Mentre leggevo questo pezzo inviatomi da Luciano Comida non sono riuscito a non sorridere e a non annuire convinto. Leggetelo… e mi direte se ho ragione o no.
Il post è aperto. Ritengo che il tema dell’autoironia sia molto interessante e si presti a essere dibattuto. Fatevi sotto con i commenti, se volete! (Massimo Maugeri)
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Anni fa un mio collega un po’ sfigato, che la sera sarebbe uscito per la prima volta con una ragazza che aveva appena conosciuta, mi chiese cosa, secondo me, avrebbe dovuto fare per conquistarla. Io gli suggerii di farla ridere.
Allora lui mi domandò qualche storiella, qualche barzelletta. Cercai di spiegargli che l’umorismo non è una serie di battute o di frasi fatte. Lo humour è un’altra cosa: è un modo di guardare alla vita e alle persone. È uno sguardo sul mondo e su noi stessi.
Per inciso, non so come andò a finire quella serata del mio collega. So però che adesso è felicemente sposato. Non so però se con quella ragazza o con un’altra.
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Luciano Comida
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Io ho la barba lunga e arruffata.
Ho la barba lunga e arruffata per molti motivi. Vi racconto quali: ho cominciato a farmela crescere appena mi sono spuntati sulla faccia i primi provvidenziali peli post-adolescenziali. Diventavo rosso in viso con imbarazzante facilità e la mia barbuzza mimetizzava la mia vergogna. Avevo (e ho tuttora) il viso grassottello e la barbuzza ingannava un po’. E poi c’era un’altra ragione: guadagnavo qualche mese in età e così, con la barbetta, aumentavano le mie possibilità di entrare al cinema dove si proiettava un film vietato ai minori di diciotto anni.
Adesso questi problemi li ho superati o perlomeno non costituiscono più un motivo di imbarazzo. E allora perché continuo ad avere la barba? Perché fa parte di me e perché la mattina, quando mi sveglio, vado in bagno, mi guardo allo specchio, mi vedo con la barba tutta storta e spettinata e allora accade un miracolo: mi faccio ridere da solo. E cominciare la giornata ridendo di sé stessi, mi sembra sempre un buon inizio.
Freud scrisse : L’umorismo non è rassegnato ma ribelle, rappresenta il trionfo non solo dell’io, ma anche del principio di piacere, che qui sa affermarsi contro le avversità delle circostanze reali.
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Credo perciò che il primo punto sia questo: per essere legittimati a ridere degli altri e dell’intero mondo, dobbiamo prima di tutto essere capaci di guardarci allo specchio, per sorridere oppure per sghignazzare di noi stessi, dei nostri difetti, del nostro modo di essere.
È decisivo, per le nostre singole vite, imparare a farlo.
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Vorrei fare un paragone azzardato: il confronto tra il popolo ebraico e gli adolescenti.
Il popolo ebraico è stato perseguitato, disprezzato, massacrato, sterminato e diffamato per secoli e secoli. Eppure, gli ebrei hanno sempre trovato la forza e l’intelligenza di ridere, prima di tutto di sé stessi. La stessa Bibbia, a leggerla con attenzione, è ricca di humour. Vorrei ricordare solo un passo, tratto dalla Genesi, capitolo 18, versetti 22-32, quando Dio sta per annientare la città di Sodoma e Abramo interviene, contrattando con Dio.
Sentiamo le parole di Abramo: Davvero tu vuoi distruggere insieme il colpevole e l’innocente ? Forse in quella città ci sono cinquanta innocenti. Davvero tu li vuoi far morire ? Perché invece non perdoni a quella città per amore di quei cinquanta ?
Dio acconsente: se troverà quei cinquanta, Sodoma sarà salva.
Ma Abramo insiste. Proprio come se fosse in un mercato levantino ad abbassare il prezzo del peperoncino: Ecco, io oso parlare al Signore anche se sono soltanto un povero mortale. Può darsi che invece di cinquanta ve ne siano cinque di meno. E tu, per cinque di meno, distruggeresti tutta la città ?
Ancora una volta, Dio accetta.
E ancora una volta, Abramo torna alla carica : Può darsi che ve ne siano solo quaranta.
Dio risponde : Io non la distruggerò per amore di quei quaranta.
Non citerò tutto l’episodio, ma Abramo va ancora avanti, sempre al ribasso : trenta, poi venti, infine dieci innocenti.
Rispettosamente dice a Dio: Non offenderti, mio Signore… Insisto ancora, Signore… Non adirarti, Signore. Rispettosamente, molto rispettosamente; ma intanto tira la corda.
Un po’ come fanno gli adolescenti con papà o mamma.
Questo è solo un esempio, ma se ne potrebbero raccontare decine e decine, di passi umoristici della Bibbia.
E anche solo un’antologia di libri e di film sull’umorismo ebraico occuperebbe intere biblioteche e cineteche.
Forse, il popolo ebraico è riuscito a sopravvivere alla sua tragica storia grazie anche al proprio senso del comico, alla propria ironia ed autoironia.
Vi è però un altro gruppo di persone che vivono da secoli e secoli una condizione difficile. Un gruppo di persone che bene o male sopravvive, ma che in genere non possiede né ironia né autoironia. Questo gruppo di persone sono gli adolescenti.
Anni fa, venne fatta a un vasto campione di ragazzini e ragazzine italiane una domanda : quando ti guardi allo specchio, cosa vedi ?
La maggioranza degli adolescenti dette una risposta che ci deve far riflettere a lungo e profondamente. Risposero: vedo un mostro.
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Ora, c’è un antidoto prezioso contro la vergogna di sé.
Questo antidoto, lo avrete intuito, è l’umorismo, è l’autoironia. È il riuscire a guardare me e le mie confusioni con uno sguardo il più possibile esterno. E questo sguardo è impietoso, questo sguardo ride di me e delle mie contraddizioni, questo sguardo mi salva.
È un antidoto prezioso, un talismano che, se non mi garantisce da solo la felicità, almeno contribuisce, insieme a tante altre cose, a illuminarmi l’esistenza.
Ma di solito gli adolescenti questo talismano non l’hanno ancora trovato. E forse addirittura ignorano che esista.
Come aiutarli ad entrarne in possesso ?
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Io credo che i libri servano a tante cose.
Un giorno mi slogai una caviglia e finii al pronto soccorso dell’ospedale. Tra l’attesa della prima visita, l’attesa della radiografia e del referto, la seconda visita conclusiva e la dimissione, rimasi in sala d’aspetto quattro, cinque ore.
Attorno a me c’era gente che si annoiava a morte, altri cercavano disperatamente di scambiare due parole con il vicino di barella. Io avevo con me un romanzo di John Irving e passai quelle ore leggendo beatamente.
Avete mai fatto una fila in posta o in banca ? C’è chi cerca di scavalcare la fila, chi si annoia senza speranza, chi guarda il vuoto, chi protesta col mondo. Io accolgo le file con gratitudine: mi regalano il tempo di leggere.
I libri insomma ci saziano, ci riempiono ghiacciai di tempo che se no faremmo fatica ad affrontare.
Ma servono anche ad altro, a tanto altro.
Io sono stato al centro della Terra, ho navigato oltre i confini del Sistema Solare, ho inseguito spietati assassini sui tetti di Parigi, ho amato una guerriera indiana del 1700, ho dialogato con Socrate, ho ascoltato le parabole di Gesù Cristo, ho assistito a lezioni filosofiche di Karl Popper, sono stato ad Auschwitz assieme a Primo Levi, ho vissuto la vita tranquilla di Emily Dickinson e quella avventurosa di Giacomo Casanova.
Io ho cinquant’anni, ma ho vissuto mille e una vita, perché ho letto mille e un libri.
La letteratura insomma allarga le nostre esistenze, ci mette in contatto con il mondo, arricchisce le nostre menti, fa entrare sangue fresco nelle nostre vene.
Ma i libri servono anche ad altro, a tanto altro.
I libri ci fanno sentire meno soli. Ci fanno scoprire che i nostri problemi, quelli che noi pensiamo accadano a noi per la prima volta nella storia dell’umanità, sono invece problemi che gli esseri umani hanno già affrontato milioni e milioni di volte. E questo patrimonio di esperienze ci aiuta a vivere meglio.
Ma i libri ci fanno anche percepire l’insoddisfazione, la ribellione contro le ingiustizie, gli squallori e le infelicità del mondo: i libri sono un combustibile per andare avanti, per non rassegnarsi, per intravedere e per cercare la speranza ed il cambiamento.
Chi legge, anche se il suo corpo è fermo, fa viaggiare la propria mente nel tempo e nello spazio, nella fantasia, nelle menti di altri esseri umani.
Chi legge è creatore al pari di chi ha scritto. Un libro esiste solo se qualcuno lo apre e si mette a leggerlo.
Chi legge non annoia né sé né gli altri.
Chi legge trasmette il contagio di due morbi meravigliosi: la curiosità e la libertà.
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Secondo me, umorismo nei libri per ragazzi non significa ridere degli adolescenti, bensì ridere con gli adolescenti.
In vari miei libri, il protagonista è un tredicenne di nome Michele Crismani. I romanzi sono tutti scritti in prima persona, è lui l’io narrante. Dico lui perché ormai Michele è una persona a tutti gli effetti vera. Non posso costringerlo a fare quello che voglio io, non posso imporgli di comportarsi come a me autore verrebbe comodo. Devo lasciarlo libero di essere sé stesso.
Un esempio. In Michele Crismani vola a Bitritto, io avevo un’idea di trama. Però, dopo una cinquantina di pagine, Michele e la sua amica Michelle, una coetanea di colore, litigano, una brutta baruffa che cambia radicalmente i loro rapporti. Ma io quella lite non l’avevo mica prevista! È avvenuta davanti ai miei occhi sorpresi, sotto le mie dita che trascrivevano tutto battendo sui tasti del computer.
Se si lasciano liberi i personaggi, accade anche questo, accade che siano loro a fare il libro, a guidarlo dove li porta la loro personalità.
Quando scrivo le storie di Michele, faccio buio nella mia mente e lascio che sia lui, il mio personaggio, a raccontare.
Con Michele Crismani io cerco di guardare il mondo con gli occhi di un adolescente.
E per provare a farlo bisogna conoscerli, gli adolescenti.
Le strade per tentare di riuscirci credo siano due.
La prima: ascoltarli, guardarli, sapere quali sono i loro gusti, tenersi aggiornati. Noi adulti non dobbiamo né scimmiottarli né disprezzarli, ma conoscerli a fondo, pur restando noi stessi.
La seconda: ogni adulto (anche se l’ha dimenticato) ha avuto undici, dodici, tredici anni. E allora lo scrittore deve attingere a questo proprio passato, arricchendolo con la fantasia e con l’osservazione della realtà.
Il mio Michele Crismani è stato definito da un critico un adolescente con diritto di mugugno. È una definizione che mi piace molto: penso che Michele faccia ridere gli adolescenti perché si riconoscono in lui e nel suo sguardo sul mondo.
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Chiudo con un interrogativo. Ricordate l’episodio di Abramo che contratta con Dio per salvare Sodoma? Avevamo lasciato Abramo che si ferma sulla soglia dei dieci innocenti. Ma Dio non trova nemmeno quelli e distrugge l’intera città, dopo aver permesso a Lot, a sua moglie e alle loro due figlie, di salvarsi.
Io spesso mi pongo una domanda, che non so se sia più teologica, filosofica o umoristica: in questa trattativa con Dio, Abramo fin dove poteva arrivare?
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Sono d’accordo con Massimo. Questo intervento di Luciano Comida è molto bello.
Credo che chi riesce a ridere di sè è fortunato, perché ha più possibilità degli altri di godersi la vita.
Ridere di sè e prendere meno sul serio se stessi e gli altri credo sia un’arte.
Forse bisognerebbe insegnarlo nelle scuole, magari con l’aiuto della narrativa.
Tra l’ora di italiano e quella di matematica potrebbe esserci quella di autoironia. Però il docente dovrebbe essere un tipo frizzante.
Che ne dice Miriam Ravasio?
E Luciano Comida?
E Massimo Maugeri?
E voi? Che ne dite?
Mah, tutto va preso con misura. Io sono una grande autoironica. So che mi rende molto piacevole. questa piacevolezza però è la garanzia di una distanza di sicurezza da una vita che talora va acchiappata da vicino. L’autoironico è socialmente commestibile perchè si prende da lontano e porta te a fare altrettanto – te che ridi con lui. Per questo di solito, apprezzo molto volentieri l’umorismo, ma le persone costantemente autoironiche mi addolorano un po’.
Non so, l’ironia è una bella stanza, ma deve aver sempre due porte – per poi andare dall’altra parte.
Elektra,
sono d’accordo con te. L’autoironia è una bella cosa e dovrebbe essere insegnata. Soprattutto ai giovani. Ma non solo.
Sapersi considerare con distacco e allegria aiuta a vivere e a “vedere” meglio il prossimo.
Complimenti a Luciano Comida per il brano!
Elektra: completamente d’accordo. Alcune altre materie che io introdurrei a scuola?
Empatia, autostima, come copiare bene, il punto di vista dell’altro, decodificare la televisione e i media visivi, come difendersi dalla pubblicità, anti-fanatismo, godersi la vita.
Un piccolo episodio sul ridere di me: premetto che io sono molto distratto. Domenica mattina sono in camera che mi sto vestendo per uscire, sento mia moglie che fuori dal bagno mi chiede “se in bagno?” e io le rispondo “no”. E lei: “Sei sicuro?”
Rido ancora
Zauberei: d’accordo con te. Essere sempre autoironici stufa se stessi e gli altri, diventa una posa stucchevole. Io penso che nella vita si debba essere in grado di modulare il nostro modo di stare al mondo.
L’autoironia, a volte, non è dolore mascherato? Non è, a volte, una forma di autoconsolazione?
Sono d’accordo con zauberei. Se non c’è un’altra porta l’autoironia può diventare una prigione per chi la pratica e un fastidio per chi frequenta l’autoironico.
Mark, a me quella che descrivi tu più che autoironia mi pare depressione. Mentre l’autoironia può essere un’antitodo alla depressione. o no?
Io penso che l’autoironia sia un antidoto contro il fanatismo. Se i nazisti, quando sfilavano col passo dell’oca, si fossero messi a ridere, Hitler non avrebbe causato la Seconda guerra mondiale.
Autoironia significa mettere in discussione prima se stessi e poi l’intero mondo. Significa vedere il bicchiere mezzo pieno ma poi dire “che peccato ci sia solo acqua, preferivo fosse Barbera”
Credo che le cose che ha scritto Luciano nei suoi commenti siano perfette. Se ci fosse più autoironia in giro il mondo sarebbe nettamente migliore.
Invece aggiungerei come spunto per ulteriore dibattito il concetto di amore per i libri e le letture.
Ripropongo un passo del testo:
“Avete mai fatto una fila in posta o in banca ? C’è chi cerca di scavalcare la fila, chi si annoia senza speranza, chi guarda il vuoto, chi protesta col mondo. Io accolgo le file con gratitudine: mi regalano il tempo di leggere.
(…)
Io sono stato al centro della Terra, ho navigato oltre i confini del Sistema Solare, ho inseguito spietati assassini sui tetti di Parigi, ho amato una guerriera indiana del 1700, ho dialogato con Socrate, ho ascoltato le parabole di Gesù Cristo, ho assistito a lezioni filosofiche di Karl Popper, sono stato ad Auschwitz assieme a Primo Levi, ho vissuto la vita tranquilla di Emily Dickinson e quella avventurosa di Giacomo Casanova.
(…)
La letteratura insomma allarga le nostre esistenze, ci mette in contatto con il mondo, arricchisce le nostre menti, fa entrare sangue fresco nelle nostre vene.
(…)
I libri ci fanno sentire meno soli. Ci fanno scoprire che i nostri problemi, quelli che noi pensiamo accadano a noi per la prima volta nella storia dell’umanità, sono invece problemi che gli esseri umani hanno già affrontato milioni e milioni di volte. ”
Non trovate che tutto questo sia bellissimo?
Non è questa, in fondo, la magia vera della letteratura?
Ironia ed umorismo: certamente sono il vero profumo di sostanza di un’intera esistenza.
Non faccio quasi niente senza divertirmi almeno un po’….Farei i salti mortali per farmi inviare dalle teche rai un pezzo comico di Montesano dove lui interpreta ironicamente un pianista provetto… a me basta ricordarmene e già comincio a sorridere come una pazza. A volte immagino me stessa come ospite a “Sottovoce” di Marzullo ma non perchè ambisca ad andarci ma soltanto per ridere su me stessa fino alle lacrime….perchè vedere questo Gigi Marzullo a quell’ora in cui abbiamo tutti un gran sonno…con la poverina al pianoforte che una volta è con il capello liscio e un’altra con i boccoli e sempre pronta a interpretare quel che gli ospiti scelgono….e vedere poi queste ultime novità televisive che pure a quell’ora si fanno in otto per apparire al meglio…e la loro orgogliosa bramosia di apparire e di essere…insomma io mi diverto con poco…e poi vedere questo Luca Giurato che come un saltapicchio prende al volo le notizie…e a me sembra che non ne sappia proprio un bel niente…e lui che ripete a iosa di essere stato redattore qui e redattore là, giornalista qui e giornalista là…mi fa un gran ridere! Oggi, poi, dulcis in fundo, sapeste quanto divertente sia stato per me quel che mi è capitato proprio oggi. Quasi quasi ve lo racconto.
Dunque, apro una confezione di fettine di petto di pollo, ho deciso di cuocerle perchè tutti in famiglia desideravamo mangiare poco, leggero e in fretta: quindi cosa meglio di due fettine di petto di pollo ai ferri e un’insalata.
Mentre pongo la bistecchiera sul fuoco, mi cade lo sguardo sul retro della confezione e leggo i consigli di buona cucina ed una ricetta indicata come sana ed equilibrata. Penso fra me che sia proprio utile al momento giusto e comincio a leggerla per poterla mettere subito in pratica. La leggo…
Per 3 persone: in un tegame porre 40 gr. di burro e fate rosolare le fettine (e già cui quel burro mi rende inquieta, fritto poi, mi dico, dove starà mai la leggerezza?) ma continuo e qui succede una cosa terribile, la ricetta continua…”unire 4 cetrioli sott’aceto, 5 carciofini, un cucchiaio di funghetti sminuzzati e cipolline al seguito. Bagnate il tutto con un mestolo di brodo e continuate fino a cottura ultimata.) Buah! ma siami matti! A voi sembra una ricetta leggerina questa, sottaceti con il brodo….Ma dico, non ci si può fidare neanche più di cuocere delle normali fettine di petto di pollo che quasi finisci al pronto soccorso! Ecco, vi ho scritto questo, perchè io con questa ricetta ho cominciato a ridere come una pazza, perchè mi sono immaginata catapultata all’ora solita della Prova del cuoco e sempre me medesima in diretta tv che magari consigliavo una tale bruttura di ricetta indicandola come menù leggero e disintossicante…Insomma io rido così, per delle scemenze, ma alla fine mica sono tanto così sceme queste cose….
anche perchè per rispetto alla ditta che si è inventata questi buoni consigli insieme al pollo che vende, che non nomino, ho continuato a ridere anche sul nome di costei che era proprio in tema con l’inevitabile mal di pancia che mi porta a dire: aia, aia, aia….!
Come pure ripensando al test di Carlo Conti sulle buone maniere dove tra le altre cose consigliate veniva indicata anche quella della distanza consigliata tra le persone deve essere almeno della lunghezza di un braccio teso..e qui che comincio a ridere come una folle perchè mi viene in mente che una delle mie migliori amiche ha l’abitudine quando usciamo insieme di parlarti e di darti certe pacche sulle braccia ad ogni frase pronunciata da farti venire i lividi per una settimana…ed infatti con lei esco ogni quindici giorni almeno per far riassorbire le ultime ecchimosi..e mentre scrivo rido e rido e rido. Che bello!
Sono sicura di una cosa, non posso fare il politico, lo immaginate voi una come me che quando meno te lo aspetti comincio a ridere a crepapelle perchè magari mi immagino scenette a fumetto soltanto guardando la faccia di Vespa mentre intervista i suoi ospiti…ah!ah!
Scusatemi, non scriverò più niente per una settimana. Prometto.(non mi sono riletta, altrimenti non avrei invaito il post e la libertà di espressione andava a farsi benedire)
Grazie, Massino, per l’occasione gentile……
Scusate la cui al posto di qui. Scriverò un’intera paginetta di qui con la q.
Ecco anche questo mio non rileggermi lo faccio per ridere…perchè immagino io premio Nobel sulla letteratura e i posteri che andranno a spulciare tra le note biografiche troverebbero errori ortografici all’infinito…senza sapere che è stato fatto tutto appositamente da quella parte di me stessa che vuole essere ironica fino all’eccesso. Tanto per ridicolizzare quella parte di me che non viene a galla per la mancanza di ironia della società che abbiamo intorno….Bella fatica sarebbe a rileggersi a prepararsi il testo, limarlo, servirsi del word con il controllo ortografico che io mi rifiuto di adoperare…e qui è tutto! Grazie per lo spazio…lo adopererò fino a quando sarà gradevole per me….se non lo fosse per voi, fatemelo sapere, tanto non mi offendo. Magari mi offendessi.Ciao
Del resto mi chiamo Gabry e la Y è sempre un incognita.
Io, il controllo ortografico di Word l’ho tolto: non ho voglia di litigare di continuo con questo occhiuto, pedante e ottuso correttore di bozze.
Bravo Luciano, hai reso perfettamente l’idea, non è solo pedante ed occhiuto il correttore ortografico ma se si dovesse andare a ricercarlo sarebbe come perdere di vista le proprie idee e far scomparire il getto continuo dell’inchiostro mentale che tanto ci piace adoprare almeno nei blog, con tutto il rispetto per chi lo adopera e per chi non ne ha alcun bisogno, del resto come noi…a buon intenditor poche parole. Ciao
Bravo Luciano, hai reso perfettamente l’idea, non è solo pedante ed occhiuto il correttore ortografico ma se si dovesse andare a ricercarlo sarebbe come perdere di vista le proprie idee e far scomparire il getto continuo dell’inchiostro mentale che tanto ci piace adoprare almeno nei blog, con tutto il rispetto per chi lo adopera e per chi non ne ha alcun bisogno, del resto come noi…a buon intenditor poche parole. Ciao
Gabry, se dovessi pagare coloro che scrivono su questo blog in base al numero delle parole adoperate… con te finirei sul lastrico. Comunque ti ringrazio molto. Sei simpaticissima. E con i tuoi petti di pollo sei riuscita a farmi sorridere (e io non vado particolarmente matto per i petti di pollo).
Era quello che volevo, farti ridere, per ringraziarti di tutta la pazienza che mi hai riservato…grazie di tutto…e buon san valentino con il sorriso in bocca!
Io, autoironica ci sono diventata per forza. Però c’è voluto del tempo e come al solito ho fatto tutto da sola. Crescevo bene, da piccola, e nonostante la mia fragilità costituzionale amavo le figure forti e decise; mi facevano un baffo Le piccole donne, volevo essere come Zorro, Madame Curie, Startaco, Garibaldi. Aspettavo di diventare grande per dedicarmi alla società con decisione ed entusiasmo. Gli anni passavano, Le piccole donne crescevano, ma io no! Un metroequarantacinque cm e basta! Bellina, proporzionata, una bambolina…ma non un centimetro di più. Ho preso la cosa alla larga; primaditutto decisi che mai avrei messo dei tacchi: solo scarpe basse! Che mi sarei circondata solo di persone altissime, appunto per dimostrare che a me dell’altezza, non importava proprio niente. Infine che, nei vari campi e discipline, avrei battuto tutti . Per diversi anni la mia vita fu piuttosto tempestosa, mi ci volle un po’ per capire che girare in compagnia di amiche e amici (che lo erano proprio solo in virtù dell’altezza), era la cosa più comica che potessi fare e incominciai a ridere. Nelle vetrine non sbirciavo più la bella altezza dei miei amici, ma guardavo l’insieme, con me nel mezzo…
Ciao a tutti, Miriam
Che bell’argomento hai scelto oggi Massimo! Come al solito arrivo buon ultimo…O quasi 😉
Perfettamente d’accordo con tutti. Ho cominciato a ridere di me stesso con gli altri sin da bambino.I miei compagni di scuola alle medie mi sfottevano per via delle mie orecchie un po’ sporgenti. All’inizio un po’ me la prendevo, ma poi ho cominciato anch’io a ridere di me e di loro. La vita va’ presa allegramente e mai troppo sul serio. Ho un amico straordinario che potrebbe scrivere (quasi) un vangelo sull’argomento. Si chiama Alfonso Palieri ed è nato a Cerignola, ma vive a Bari da sempre. Un giorno o l’altro ve lo porto nel blog. Lui fa l’avvocato, come me (nei ritagli di tempo ;-), scrive aforismi geniali, canzoni che fanno il verso a Paolo Conte, ma soprattutto ama “giocare” a cinquant’anni suonati e non si prende mai, dico mai, troppo sul serio. Un giorno vorrei essere completamente così anch’io, se non altro per sfuggire a quella depressione che certe volte, prima di coricarmi la sera, mi ronza forte nella testa come una fastidiosa zanzara.
Miriam: sei grande, con i tuoi 145 centimetri senza tacchi alti. Pensa a quanto saresti ridicola se ti arrampicassi sopra trampoli a spillo: sviliresti te e il tuo corpo. Così invece tu sei tu, prendere o lasciare e tanto peggio per quelli che bramano sole le stangone alte un metro e novanta (con o senza tacchi)
Negli incontri con le scuole, racconto sempre episodi dai quali emerga l’importanza di ridere per primi dei nostri difetti: a quel punto, non sono più elementi di cui vergognarsi, ma un semplice dato di fatto su cui si può condivide la risata assieme agli altri.
Alessandro: questo Alfonso Palieri…mi ha incuriosito. Che aforismi scrive?
Se vi interessa, sabato sul mio blog ho lanciato il tema: la più bella battuta del Novecento. Io ho candidato una di Nereo Rocco.
Come vedete, sull’argomento – ironia – ci sarebbe da dire e da ridere un mondo di cose. Miriam mi è piaciuta molto, quel suo esteriorizzare quel che nel comune mondo chiamasi semi-difetto e cioè la bassa statura è stato di mio gradimento. Infatti anch’io non sono alta, non ho occhi azzurri, e non sono palestrata. Non sono filiforme…ma a differenza di quando ero giovinetta che mi vergognavo della mia allora terza misura, oggi per me è un vanto non aver alcun bisogno di bisturi gemellare…Me la rido quando vedo queste vippose tutte rifatte e mi fanno una gran pena ma le ringrazio appunto perchè mi fanno ridere. E penso alla loro avventura, andare a scadenze fisse dal chirurgo plastico per rifarsi i ritocchini e poi non uscire di casa subito perchè piene di gonfiori e lividini..Bah! roba da incubo! Io mi innervosisco già quando devo fare il richiamo dell’antitetanica. Però il mondo televisivo e dintorni obbliga questo scadenzario effetto look rifatto e rifatto. Ma mi chiedo queste signore se escono con le proprie figlie magari ventenni, che figura ci fanno? E poi, quanti soldi spesi che sarebbero stati utili per altri programmi più sostanziali. Comunque, contente loro….io le sto a guardare e prego che il loro supplizio sia gradevole almeno ai loro occhi! Una cosa ve la posso confermare: quando mi capita di fare un cascatone non mi faccio mai male, sarà merito delle rotondità o dell’essere poeti che ti fa stare sempre sollevato da terra! Chissà!
Il bello della diretta è che non mi accorgo che il tempo passa. L’unica cosa che reputo indispensabile alla vita: diventare persone sempre più educate. E’ vitale! Ciao
Va be’, Miriam è troppo forte! Non c’è dubbio alcuno.
“Bellina, proporzionata, una bambolina…”… a questo punto vorremmo vedere una tua foto, Miriam.
Aggiungo che prediligo le donne bassine. Non per nulla mia moglie è (alta?) 1,60 cm (ironia anche su di te, Agata… non ti arrabbiare… a proposito, pubblici auguri per S. Valentino). E nel pomeriggio (o stasera) in un nuovo post di natura “carnascialesca” (vedrete!) coinvolgerò la non altissima Jennifer Aniston (1,65 cm).
Caro Luciano, proverò a mettervi in contatto. Gli aprlerò di te. Magari nasce una collaborazione e posso prendermene il merito con i posteri e al contempo soddisfare il mio EGO…Senza fine 🙂 Intanto, perdonami se, per la solita maledetta fretta, non mi sono adeguatamente complimentato col tuo strepitoso pezzo di oggi. Ciao e alla prossima.
P.S. Domanda oziosa: ma la barba così lunga non ti dà nemmeno un po’ di fastidio quando dormi o, peggio, fai all’amore?
Bellissimo post. Secondo me l’autoironia è ottima purché non diventi autodistruzione. Per quanto riguarda la letteratura, mi viene in mente Pirandello che distingueva fra comicità e umorismo. Ma anche la comicità, a mio parere, ha un lato oscuro: il comico è un diverso che vuole farti ridere per farsi accettare, per farsi perdonare la sua diversità. Purtroppo, per alcuni, c’è ancora il vecchio pregiudizio che chi fa ridere non possa avere delle cose serie da dire, ed ecco che ci si scandalizza per il Nobel a Dario Fo. Io non sono d’accordo. Anzi, in questo senso credo che il vero colpo di genio di Einstein non sia stato la teoria della relatività, ma la linguaccia.
Alessandro: la baraba diventa un problema solo a volte quando mangio e mi inzacchero. Però basta usare con accortezza il tovagliolo e, al termrine del fiero pasto, andare a lavarmi.
Per il resto non dà fastidio: a mia moglie piace.
Complimenti a Massimo per aver proposto e a Luciano per aver scritto questo post. Si evince che oltre alle mille e una vita che hai vissuto grazie agli amici libri, vivi ed hai vissuto davvero la tua vita..le tue sono parole di un profondo conoscitore empirico, che parla in base alle proprie esperienze. Mi è piaciuto particolarmente davvero questo post. Grazie per questo momento di riflessione accompagnato da un sano humor.
Gero
Amos Oz ha scritto che una delle grandi lezioni della sua vita gli vennero da sua nonna, che gli disse: “Quando si sono piante tutte le lacrime, non resta che ridere”
Esercizio che propongo nelle scuole: “Quando piangete, andate in bagno e guardatevi allo specchio. Vi vedrete così buffi e ridicoli che forse smetterete di piangere”
ho visto su konrad la tua vignetta sul ritalin…giro pagina e trovo il solito psichiatra che ropme i coglioni con le sue affermazioni che chi si droga lo fa x nascondere che e depresso…ma c e tutta sta differenza tra le droghe psichiatriche e le altre..a paroposito belli gli articoli su konrad sulla marijuana ,aspetto quelli sui funghi allucinogeni…che coerenza!cambia mestiere si vede che sei amici di delll acqua apriti un circo il giullare c e l avete gia!
Giorgio: perdona ma non ho capito se mi rimproveri la tavola a fumetti contro l’uso del Ritalin oppure l’ articolo arrivato dalla Francia sugli spinelli. Non capisco poi cosa ci sarebbe di male nell’essere io amico di Peppe Dell’Acqua (per chi non lo conosce è psichiatra, a suo tempo collaboratore di Franco Basaglia all’epoca della fine dei manicomi, attualmente è direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste) Un’amicia della quale vado felice
Comunque sia, un saluto e un grazie: le critiche fano sempre bene. Se però sono più chiare, è meglio