Ci sono sogni che rimangono nel cassetto, destinati a incancrenire nel buio della dimenticanza o della pigra rassegnazione. E ci sono sogni destinati a vedere la luce. E a espandersi.
In genere i sogni più belli sono quelli che si possono condividere.
Per me Letteratitudine è un sogno. L’ho sostenuto altre volte. Ma un sogno è davvero tale quando non impedisce di vedere e incrociare altri sogni.
È già da tempo che ho visto il sogno dell’amico Gian Paolo Serino… credo sia giunta l’ora di incrociarlo. Si chiama Satisfiction [un acronimo che deriva dall’inglese “satisfaction” (soddisfazione) + “fiction”] e mi piace definirlo come un “progetto letterario integrato” che si declina attraverso un blog, una trasmissione radio e una rivista.
Come scrive lo stesso Serino, “funziona così: se la critica di Satisfiction ti convince a comprare il libro, ma dopo averlo letto ritieni che l’entusiasmo di Satisfiction ha deluso le tue aspettative, invia una mail alla redazione che spieghi perché il libro che Satisfiction ti ha segnalato non era veramente “imperdibile e assolutamente da leggere”: Satisfiction ti rimborserà il prezzo di copertina”.
Questo post è finalizzato a festeggiare la nuova rivista Satisfiction edita dalla casa editrice Mattioli 1885. Una rivista gratuita, nata grazie al contributo di tante persone di qualità (scrittori, critici, giornalisti). Una rivista che, oltre alle recensioni “soddisfatti o rimborsati”, offre testi inediti di autori celebri.
Nel nuovo numero troverete scritti di Gadda, Steinbeck, Dos Passos, Sartre… giusto per fare qualche nome.
Di seguito potrete leggere l’editoriale di Gian Paolo Serino (che parteciperà alla discussione) e l’articolo di John Steinbeck che mi è stato gentilmente messo a disposizione per Letteratitudine.
Non è un caso che abbia scelto Steinbeck. Come ho avuto modo di evidenziare in altre occasioni Steinbeck è uno dei miei autori preferiti, così come – del resto – “Furore” è uno dei romanzi che ho amato di più.
L’articolo che vi propongo (e che vi chiedo di commentare) è stato pubblicato da Steinbeck su “Esquire” nel giugno del 1957. Esso si traduce in un’accurata difesa del drammaturgo Arthur Miller, giudicato colpevole (il 31 maggio 1957) di vilipendio al Congresso per aver rifiutato di rivelare i nomi dei membri del circolo letterario che aveva frequentato (associazione sospettata di avere legami con il comunismo). Un articolo che ci dipinge un’altra America, diversissima da quella che si accinge a condurre Barack Obama. Ma è anche un articolo che, a mio modo di vedere, si presta a una più generale interpretazione metaforica: la letteratura e gli interessi letterari possono essere “malvisti” e possono dare fastidio.
Nell’articolo Steinbeck – tra le altre cose – si interroga, indirettamente, su quale debba essere il compito dello scrittore: “In quanto scrittore, ho il dovere di interessarmi a tutto, sento parte della mia professione conoscere e capire ogni genere di persona e di gruppo”.
Da qui, la domande che mi permetto di rivolgervi.
Quali devono essere i compiti di uno scrittore?
È proprio necessario che uno scrittore abbia “compiti”?
A voi la parola.
Massimo Maugeri
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L’editoriale di Gian Paolo Serino
“In letteratura non è diverso che nella vita: ovunque si giri, uno si imbatte subito nell’incorreggibile plebe umana, presente a legioni dappertutto e che riempie tutto e sporca come le mosche in estate. Di conseguenza la quantità innumerevole di libri cattivi: essi si impadroniscono del tempo, dei soldi e dell’attenzione dei lettori perché i libri cattivi sono stati scritti unicamente con l’intenzione di incassare denaro o procurasi un impiego”.
Sembra scritto oggi ma è Arthur Shopenhauer (da “Parerga e paralipomena”): ha qualche
annetto ma vi sembra datato?
Satisfiction propone recensioni “soddisfatti o rimborsati”: se i consigli che leggete vi spingono alla lettura siamo pronti a ripagarvi del prezzo di copertina.
Questa la sfida di Satisfiction alla critica prezzolata e istituzionalizzata sospesa e impotente tra la polvere accademica e l’emulazione d’origine dorrichea.
Come scrive Balzac, in un passaggio di “Papa Goriot”, “la critica vecchia parassita dei festini letterari è scesa dal salone per andarsi a sedere in cucina, dove fa impazzire le salse prima che siano ancora pronte”. Accanto alle recensioni “soddisfatti o rimborsati”, firmate da critici e scrittori (da urlo più che di grido), come ogni numero Satisfiction propone inediti e anticipazioni.
Nel caso di Gadda le sue straordinarie lettere ci accompagneranno per i prossimi tre numeri: con sorprese di scrittura e vertigini narrative che non mancheranno di appassionare. Nel concludere i miei ringraziamenti ai tantissimi amici che partecipano, con passione e gratuitamente, al progetto Satisfiction. Giornalisti, critici, scrittori, grafici che contribuiscono, come vogliamo ribadire in ogni editoriale, a rendere Satisfiction una rivista gratuita ma, speriamo, per niente scontata.
Satisfiction la trovate in tutte le Feltrinelli e Fnac d’Italia e in altre 180 librerie. Gli indirizzi li trovate sul nuovo sito satisfiction.it. Un sito dove potrete anche sfogliare gli arretrati e abbonarvi alla rivista per ricevere Satisfiction direttamente a casa e sostenere il nostro progetto.
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JOHN STEINBECK IN DIFESA DI ARTHUR MILLER
Il 31 maggio 1957 il drammaturgo Arthur Miller (nella foto), nel pieno della caccia alle streghe maccartista, fu giudicato colpevole di vilipendio al Congresso per aver rifiutato di rivelare i nomi dei membri del circolo letterario che aveva frequentato, associazione sospettata di avere legami con il comunismo. La sua condanna fu commutata il 7 agosto del 1958 dalla corte d’appello. A prendere le difese dell’amico fu all’epoca lo scrittore John Steinbeck con un articolo sull’Esquire.
Sono passati 40 anni dalla morte dell’autore di “Pian della tortilla”, “Uomini e topi” e “Furore” e oggi Alet ripropone in “L’America e gli americani e altri scritti” (a cura di Bruno Osimo), una raccolta di interventi critici, articoli, resoconti di viaggio, pagine di diario e corrispondenze di guerra.
L’autodidatta nato in California, il lavoratore cresciuto a Salinas, il cantore della grande depressione, degli scioperi e della denuncia sociale, delle storie di braccianti, contadini ed emigranti, si scaglia qui contro il maccartismo, proprio lui feroce anticomunista. In questo scritto inedito Steinbeck ribadisce la propria missione dello Scrittore, il dovere di essere ovunque, capire e raccontare. Alla presa di posizione a difesa degli umili ed emarginati della letteratura dei suoi esordi, sia affianca la difesa presente (e futura) della comunità di cittadini americani e del suo stile di vita. Non è un’ideologia politica, né tantomeno di sinistra. È quell’ “American way of life” che “nessuno sa definire né indicare una persona che lo viva, ma è ugualmente reale” e che porta a coltivare l’ambizione sana di “essere saggi giusti compassionevoli e nobili”, speranze che il Congresso sembrava tradire nel tentativo di salvare il paese dall’attacco rosso. La “predisposizione realista alla speranza” (atteggiamento di stile e di vita per lo scrittore) si scontrerà proprio con l’aderenza alla nuova stagione americana: quelli del processo a Miller sono gli anni che porteranno Steinbeck al Nobel ma anche quelli che culmineranno nell’assassinio Kennedy. Un’America più paranoica che depressa da cui Steinbeck verrà tagliato fuori.
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IL PROCESSO AD ARTHUR MILLER
di John Steinbeck
[“Esquire”, giugno 1957]
Il processo ad Arthur Miller per vilipendio al Congresso 1 ci avvicina a uno dei dilemmi più strani e spaventosi che un popolo e un governo abbiano mai affrontato. Non è il primo processo di questo genere, e con ogni probabilità non sarà l’ultimo. Ma Arthur Miller è unoscrittore – proprio uno dei nostri migliori. Quello che gli è successo potrebbe succedere a qualsiasi scrittore: anche a me. Dobbiamo affrontare un problema di soluzione tutt’altro che facile. «Is a puzzlement!»
Nessuno sa che cosa farebbe in una data situazione, e di certo molte persone si domanderanno come si comporterebbero se fossero nei panni di Arthur Miller. Io mi domando che cosa farei. Supponiamo che io stia per subire un processo per vilipendio al Congresso come succede a lui. Forse penserei più o meno quello che segue: Non c’è dubbio che il Congresso abbia il diritto, per legge, di farmi qualsiasi domanda e di punire il mio rifiuto di rispondere con un’accusa di vilipendio. Il Congresso ha il diritto di fare pressoché qualsiasi cosa sia concepibile. Basta che definisca una situazione o un’azione “un evidente attuale pericolo” per la sicurezza pubblica, la morale pubblica o la salute pubblica. È possibile che vendere o mangiare mince pie 3 diventi reato se il Congresso stabilisce che la mince pie è un pericolo per la salute pubblica, il che probabilmente è vero. Dato che molti genitori allevano male i figli, l’amore materno potrebbe essere definito un pericolo per il benessere generale. Certo, il Congresso ha il preciso diritto di chiedermi qualsiasi cosa su qualsiasi argomento. La questione è: il Congresso deve avvalersene?
Diciamo che la Commissione del Congresso ritenga che il Partito comunista e molti gruppi a esso connessi – a volte arbitrariamente – costituiscano un pericolo reale per il paese.
Ebbene, in realtà se non mi iscrivo a qualche organizzazione non è né per virtù né per buon senso. Semplicemente, per natura non sono uno che s’iscrive. A parte i boy-scout e il coro episcopaliano, non ho mai avuto impulsi a far parte di qualcosa. Ma supponiamo che io ce l’abbia. E supponiamo che io abbia ammesso di avere partecipato a uno o più di questi gruppi indicati come pericolosi.
In quanto scrittore, ho il dovere di interessarmi a tutto, sento parte della mia professione conoscere e capire ogni genere di persona e di gruppo. Dopo aver ammesso questa mia partecipazione, ora la Commissione mi chiede di fare i nomi delle persone che ho visto alle riunioni di questi gruppi. Spero che allora il mio ragionamento sarebbe il seguente: le persone che ho conosciuto non erano e non sono, secondo la mia valutazione, traditori del paese. Se lo fossero, li denuncerei all’istante. Se do i nomi, è ragionevolmente certo che queste persone verranno convocate e interrogate. In alcuni casi perderanno il lavoro, comunque la loro reputazione e posizione sociale ne risentirebbero. E ricordate che sono persone che in tutta onestà credo siano innocenti. Forse non ritengo di avere quel diritto; penso che fare i loro nomi sarebbe non solo sleale ma proprio immorale. La Commissione mi chiede quindi di commettere un atto immorale in nome della virtù pubblica.
Se accetto, calpesto uno dei nostri fondamentali codici di condotta, e se rifiuto sono colpevole di vilipendio al Congresso, condannato alla prigione e multato. Una scelta offende il mio senso della decenza e l’altra mi marchia come colpevole. E questo marchio non si lava. Ebbene, supponiamo che io abbia figli, una proprietà, un posto nella società.
La minaccia dell’accusa di vilipendio mette in crisi tutto ciò che amo. Supponiamo che, per preoccupazione o codardia, acconsenta a ciò che mi viene chiesto. Non riuscirei mai a cancellare la vergogna. La storia recente della Commissione non mi rassicura. Da anni leggo quotidianamente la testimonianza di bugiardi e spergiuri confessi le cui accuse sono state usate per distruggere la pace e la felicità di persone che non conosco, e molti dei quali sono stati distrutti senza essere stati processati. Che strada scegliere? Sono in mezzo a due fuochi. Potrei pensare che da una persona che è sleale coi propri amici non ci si possa aspettare che sia leale col proprio paese. La morale non si può fare a fette. Le nostre virtù cominciano a casa nostra.
Non cambiano in tribunale, a meno che non ci costringano con la paura. Ma se sono preso tra due orrori, lo è anche il Congresso. La legge, per sopravvivere, dev’essere morale. Costringere un uomo all’immoralità personale, ferire la sua virtù privata, mina la sua virtù pubblica. Se la Commissione mi spaventa a sufficienza, è addirittura possibile che io inventi le cose per soddisfare gli interroganti. Si sa che è successo. Una legge che è immorale non sopravvive e un governo che perdona o promuove l’immoralità è davvero in reale pericolo. Il Congresso aveva tutto il diritto di approvare l’Alien and Sedition Act 4.
Questo disegno di legge è stato ritirato per la reazione contraria dell’opinione pubblica.
Le leggi Escaped 4 120 Slave 5 dovettero essere abrogate perché le persone degli Stati liberi le trovavano immorali. Le leggi sul proibizionismo erano disprezzate a livello così generale che ne soffriva la legge nel suo insieme. Abbiamo visto l’Unione Sovietica incoraggiare le spie e i delatori, incoraggiare i figli a denunciare i genitori e le mogli a dare informazioni sui mariti, e ciò ci ha disgustati. Nella Germania di Hitler, era considerato patriottico denunciare amici e conoscenti alle autorità. E noi in America ci siamo sentiti al sicuro da queste cose, superiori. Ma siamo davvero così al sicuro e superiori? I rappresentanti al Congresso devono essere consapevoli della loro scelta terribile. Il loro diritto legale è chiaro, ma non dovrebbero pensare anche alla responsabilità morale? Nel tentativo di salvare il paese dall’attacco, potrebbero benissimo minare la profonda moralità personale che è la difesa finale del paese. Il Congresso è in realtà sotto processo insieme con Arthur Miller. Lasciatemi scambiare ancora di posto con Arthur Miller. Mi rifiuto di fare i nomi delle persone. Vengo accusato, condannato, mandato in prigione. Se l’accusa fosse omicidio o furto o estorsione sarei soggetto a punizione, perché io come tutti so che queste sono cose sbagliate. Ma se mi mettono in prigione per qualcosa che dalla nascita mi hanno insegnato che è una cosa buona, vado in prigione con un profondo senso di ingiustizia e le onde di quell’ingiustizia sono destinate ad allargarsi come un’infezione.
Se sono coraggioso quanto basta per patire per i miei principi anziché salvarmi ferendo altre persone che considero innocenti, mi sembra che la legge ne soffra più di me, e che il vilipendio alla legge e al Congresso sia un disprezzo effettivo, non giuridico. In base alla legge, Arthur Miller è colpevole. Ma sembra anche coraggioso. Il Congresso ritiene di dover perseguire l’accusa contro di lui, mantenere vive le proprie prerogative. Ma non possiamo sperare che i nostri rappresentanti esaminino criticamente questo dilemma? Il rispetto per la legge può essere tenuto alto solo se la legge è rispettabile.
Qui c’è un pericolo reale, non per Arthur Miller, ma per il nostro modo di vivere in continua evoluzione. Se fossi nei panni di Arthur Miller, non so che cosa farei, ma potrei desiderare, per me e per i miei figli, di essere abbastanza coraggioso da farmi forza e difendere la mia moralità privata come fa lui. Ho la profonda convinzione che il nostro paese si giovi più del coraggio e della morale dei singoli che del patriottismo sicuro e pubblico che Johnson ha chiamato “l’ultimo rifugio dei farabutti”. Mio padre era un grand’uomo, come deve essere il padre di qualsiasi persona fortunata. Mi ha insegnato regole che non credo siano state abrogate da questi tempi isterici. Queste norme di comportamento non sono state annullate. Mi ha insegnato a glorificare Dio, a onorare la famiglia, a essere leale con gli amici, rispettoso della legge, ad amare il mio paese e a ribellarmi alla tirannia, che venga dal bullo in cortile, dal dittatore straniero o dal demagogo locale. E se questo è tradimento, signori, approfittatene.
John Steinbeck
@ Gian Paolo Serino
Intanto ti faccio tanti complimenti per il bel progetto che sei riuscito a realizzare.
E tanti in bocca al lupo per il nuovo numero di “Satisfiction”, edito da Mattioli 1885, che uscirà in questi giorni in libreria.
Come è nata l’idea di Satisfiction, Gian Paolo?
E lo slogan “soddisfatti o rimborsati”? Come deve intendersi?
Davvero “Satisfiction” rimborsa il prezzo del libro a chi non è rimasto soddisfatto dalla lettura proposta?
Vi invito a interagire con Gian Paolo e a porgli domande, se ne avete.
E poi c’è questo bel pezzo di Steinbeck (grazie per avermelo concesso, Gian Paolo)…
Pezzo che, come ho già detto, si presta a una più generale interpretazione metaforica: la letteratura e gli interessi letterari possono essere “malvisti” e possono dare fastidio.
Ma sarà vero anche oggi?
Anche oggi la letteratura è in grado di dare fastidio?
E ancora…
Nell’articolo Steinbeck si interroga, indirettamente, su quale debba essere il compito dello scrittore: “In quanto scrittore, ho il dovere di interessarmi a tutto, sento parte della mia professione conoscere e capire ogni genere di persona e di gruppo”.
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Quali devono essere i compiti di uno scrittore?
È proprio necessario che uno scrittore abbia “compiti”?
Credo ci siano gli spunti per un dibattito interessante.
A voi… se volete.
Gentile Massimo,
hai posto proprio una bella domanda!
Secondo me, comunque, lo scrittore ha il compito – tanto basilare quanto gravoso – di essere leale con se stesso, senza cedere mai alle lusinghe della vanagloria e del compromesso etico o ideologico. Mai, lo ripeto.
Cordialmente, Ausilio Bertoli
Massi,
credo che per sua natura lo scrittore sia un clandestino.
Chiunque scriva sa e ha sperimentato che scrivere è una dimensione ancor prima che un’attività. Una dimensione che vive in una zona intermedia tra gli altri e te stesso e che proprio per questo non ti regala un’appartenenza. Non al mondo degli altri, velato da una lacerante sensazione di estraneità. Non a te stesso perchè ti percepisci frammentato e passibile di infinite altre vite, di infinite voci. Proprio come diceva Rimbaud :”Io è un altro”.
LO scrittore vive nel vuoto degli altri, all’interno di un ordine immaginario e precario che nessuno condivide.
Ecco perchè è comunque – e sempre – un clandestino e un perseguitato.
Ci sono vari livelli, è ovvio, di persecuzione. C’è la disgregazione rispetto alle idee dominanti. Ai topos. Ai periodi storici e politici.
Appartengono a questo genere i processi a Socrate, a Seneca, a Oscar Wilde.
Ci sono poi le clandestinità imposte dal sesso, il nascondimento necessario di molte scrittrici che hanno dovuto pubblicare sotto i nomi dei mariti o sotto pseudonimo. Come George Eliot, George Sand o Colette( che per anni si firmò Willi).
Ci sono, infine, i perseguitati a causa della giustizia (Saviano, Neruda, Azar Nafisi).
Ma c’è anche una persecuzione invisibile e quotidiana, un sorriso malcelato che bisogna sopportare, una barriera che acuisce la divisione dal mondo degli altri. Ed è l’incompresione che a volte regna in famiglia, o nei contesti lavorativi, rispetto a chi vive la dimensione della scrittura o della lettura. La persecuzione a una diversità che incarna l’idea stessa di libertà, perchè condivide l’essenza dei sogni.
Credo che questa sia la solitudine e la persecuzione più difficile da sopportare.
Rispetto ad essa posso dire che concepisco i compiti di uno scrittore. Che sono: la resitenza. La verità. L’adesione a se stessi o a quel frammento di se stessi che è possibile cogliere in se’ e negli altri. Lo sguardo dolente sulle altre solitudini, sugli innumerevoli spazi di mezzo in cui noi esseri umani sappiamo relegare chi non ci somiglia e in cui sappiamo bene – molto bene – condannare.
Lo scrittore non è un puro, perchè nessuno di noi lo è. Ma sa che proprio per questo – proprio per il suo affondare nella vita da una dimensione a metà e in continua contraddizione – non può giudicare.
Tuttavia è spesso giudicato.
Per gli scrittori perseguitati (come Miller e molti altri) è nata una rivista : “AUTODAFE'” che ha il compito di dare un luogo a queste voci:
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http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/14/Nasce_Autodafe_rivista_per_gli_co_0_9910143648.shtml
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Il primo editoriale è di Tabucchi e da esso è facile comprendere qual è il compito dello scrittore: guardare dentro se stesso.
Pensando alle due domande e alla citazione iniziale da Shopenhauer, verrebbe da rispondere che l’unico compito di uno scrittore è quello di scrivere buoni libri. Tuttavia è chiaro che fermarsi a questo punto vorrebbe dire dare una risposta ovvia ma anche semplicistica, dal momento che sul concetto di ‘buoni libri’ si può discutere all’infinito senza arrivare da nessuna parte. Provo allora a restringere il campo dicendo che, per me, la probabilità di scrivere un buon libro, dipende dallo spettro più o meno ampio di realtà che si è disposti ad accogliere, lasciandosene attraversare, senza porre barriere che non siano quelle della risoluzione stilistica, una volta che si avverte la necessità di trasformare quel pezzo di realtà che ci ha attraversati in un libro, in un video, in una qualunque opera artistica. In questo senso la lucidissima e ironica arringa difensiva scritta da Steinbeck per Arthur Miller è un insegnamento di grande attualità: “in quanto scrittore, ho il dovere di interessarmi a tutto” potrebbe essere una massima alla quale attenersi. Elsa Morante disse qualcosa di simile usando un paradosso. Alla domanda di un intervistatore che le chiedeva come si potesse definire uno scrittore lei rispondeva così: “lo scrittore è uno che si interessa di tutto tranne che di letteratura.” Ma lo stesso, in modo certo più poetico, aveva detto Saba a un giovane che si rivolgeva a lui come a un maestro e gli chiedeva, come si diventa poeti. Saba gli rispose “procurati un grande dolore, procurati un grande amore.” In tutte e tre queste risposte c’è l’invito a vivere intensamente, a lasciarsi prendere dalla vita in tutti si suoi aspetti, o almeno in quelli che siamo capaci di accogliere; dove il limite (per non cadere in sciocchi deliri di onnipotenza), sta nella selezione che inevitabilmente avviene nel momento in cui s’impara ad ascoltarsi. L’importante è poi sapere accettare le conseguenze di quello che il gesto artistico comporta a valle. L’esperienza anche recente dimostra che lo scrittore può dare fastidio eccome! Probabilmente ci riesce meglio quando l’effetto non è calcolato e si pone quasi come una conseguenza sorprendente. Non credo, per esempio, che Miller immaginasse che la frequentazione di un circolo o un semplice dibattito potessero interessare il Congresso degli Stati Uniti, così come non credo che Salman Rushdie, potesse pensare che le conseguenze del suo romanzo sarebbero state quelle; neppure lo credo di Saviano, dal momento che molto di quello che lui dice nel libro lo sentivamo e lo sentiamo tutti i giorni dal telegiornale. Ma le parole televisive sono volatili, quelle scritte rimangono. E’ sorprendente constatare che è ancora così a duemila e più anni di distanza dal detto latino!
Secondo me uno scrittore dovrebbe essere il meno possibile esibizionista. Questo già sarebbe un compito importante. Mi pare che invece in questo momento ci sia la corsa per la visibilità.
Ottimo post. Tanti auguri e congratulazioni a Gian Paolo Serino ed a Satisfiction.
Bellissimi i commenti di Simona Lo Iacono e Franco Romanò.
Interverrò più tardi.
Penso che i compiti dello scrittore nascano dalla natura stessa della dimensione letteraria a cui ogni scrittore, più o meno inconsapevolmente, è asservito. Tuttavia la parola “compito” mi pare che mal si addica a colui che scrive, piuttosto utilizzerei la parola “traccia” che trovo di gran lunga meno vincolante. Il “compito” è un fardello che schiaccia il pensiero, un’àncora ideologica, mentre talvolta è proprio l’assenza di “compiti” che spinge all’evoluzione dell’intelletto proponendo autocritica, discussione e divenendo, infine, “fastidiosa”. E’ la differenza abissale che intercorre tra i Miller e i governi di questo mondo, la causa generatrice, a mio parere, del caso americano citato nell’apertura di questa discussione.
auguri a satisfiction. una rivista di qualità offerta gratuitamente.
cosa chiedere di più?
🙂
secondo me uno scrittore deve fornire una chiave di lettura della società in cui vive, dunque in relazione con la sua contemporaneità.
Innanzitutto complimenti a Serino per il suo Satisfiction. Molto bello l’articolo di Steinbeck, del resto anch’io lo amo tanto, Furore resta uno dei libri più brlli che abbia mai letto. Ma concordo con Jean sulla questione “compito”: no, lo scrittore non credo abbia alcun compito, ciò comporterebbe un obbligo che mortificherebbe e soffocherebbe la sua libertà visiva e interpretativa. In ogni caso, ciò che lo scrittore esprime va visto comunque come un qualcosa filtrato dalla sua ottica personale: niente è universale.
Su tutto un ringraziamento a Massimo Maugeri e a Letteratitudine, tra i blog che amo di più per contenuti, passione e grafica.
Un ringraziamento per ospitare il nuovo numero di Satisfiction.
Inizio col rispondere alla domanda sul come nasce il “soddisfatti o rimborsati”.
Nasce da un’esigenza, la mia, e via via di tutti gli scrittori e critici che collaborano (ad oggi più di sessanta, di tutte le testate: siamo trasversali), di ritrovare una coscienza critica, di affrancarsi da quel “marketting” editoriale che confonde e diffonde recensioni come marchette. Quella che, con lungimiranza, vedeva anche Piero Chiara quando all’inizio degli Anni ’70 sottolineava che “gli scrittori non hanno bisogno di critici ma di pubblicitari”.
Da qui nasce l’idea che è una sfida a noi stessi e ai lettori: una provocazione che ci rende più responsabili e che i lettori hanno compreso immediatamente. Hanno compreso la provocazione, l’hanno stimata. Anche se in molti casi oltre i cuori abbiamo dovuto aprire il portafoglio…
Complimenti per il bellissimo progetto di Satisfiction, e anche a Letteratitudine che seguo con piacere.
Per quanto riguarda il discorso sul ruolo dello scrittore ritengo fondamentale che , prima di ogni cosa,si adotti un grande senso di responsabilità su ciò che scrive;che si traduce in gran rispetto per il lettore.
Bel dibattito, stimolante e costruttivo.
Passo qui, spesso in silenzio da tempo e passo su Satisfiction più o meno nello stesso modo, trovo siano due spazi interessanti, che propongono dialoghi utili, appunto stimolanti e che ci aiutano nel confronto, nei ragionamenti sul leggere, scrivere e commentare quasi mai oltre un certo limite che è poi il rispetto, il buon senso, l’onesta…
Un saluto e un abbraccio a tutti,
Barbara
ps: secondo me lo scrittore dovrebbe ‘dire qualcosa’, lasciare un’impronta (che è poi la sua), raccontare qualcosa che ha dentro le viscere, che non lo fa dormire, che lo ossessiona, che vorrebbe dunque uscisse da sé, che non necessariamente devono avere a che fare con i misteri dell’universo o spiegare (tanto meno chiarire) questa o quella dinamica. Raccontare storie che possono essere vicine o lontane da chi le leggerà ma che dentro portano frammenti di chi le ha scritte, amate, odiate, plasmate, vomitate…
Diplomatica.
Ho già espresso il mio parere sullo stile di Serino e Satisfaction in altra sede, sento della stima da parte tua Massimo e la rispetto anche se non la condivido granchè- per il resto, ma è un parere personale, tra i vari modi con cui si può fare critica letteraria e divulgazione culturale preferisco di gran lunga lo stile di Letteratitudine, la misura l’eleganza, i toni.
Caro massimo, chiedi se uno scrittore abbia un compito… si può definire “compito” la necessità di dialogare, sondare e raccontare l’animo umano? In fondo, uno scrittore è in genere “condannato” alla solitudine perché come dichiaro E. Hemingway in occasione del conferimento del premio Nobel: “deve ogni giorno affrontare l’eternità o la mancanza di eternità”. Bel compitino!!!!
COMPITO in CLASSE : quali sono i compiti di uno scrittore?
Svolgimento:
Nessun compito. Quelli, li danno gli insegnanti agli alunni.
Fine del tema.
–
Personalmente non so nemmeno cosa voglia dire il termine “scrittore”(lo confondo spesso con “scrittoio”, e mi hanno detto che non è la stessa cosa…). Penso che scrivere sia un modo naturale di esprimere, esternare ciò che si sente, una forma d’arte come altre.
Se guidati dall’istinto, la fantasia, la passione, chi scrive non pensa ad essere uno scrittore, ma entrare nelle pieghe delle apparenze in cui vede rivoli di vita nascosti dalla superficialità, le ottusità, dai facili giudizi che innalzano scontati clichè.
– “…Sono uno scrittore e devo interessarmi a tutto”-.
Lo trovo quanto mai sbagliato.
Un’artista è un curioso a tutto tondo, questo è vero, ma è poi la sua sensibiltà specifica che assimila, filtra, crea. E ciò che produce, è molto spesso al di là della sua stessa razionalità, la propria consapevolezza.
Quindi non ci sono “compiti e doveri” da rispettare. Altrimenti, non riuscirà a sorprendere nemmeno se stesso.
Probabilmente, c’è chi considera lo “scrittore” un essere “altero e divino” al di sopra di tutto, e per questo si sente felice di definirsi “scrittore”. Quindi ama identificarsi in un clichè. E i clichè, sono la tomba della creatività.
Oppure, ama vaneggiarsi della sua scrittura perfetta.
Bèh…c’è una nutrita corrente di pensiero, che sostiene che un romanziere, soprattutto, per essere veramente bravo ed appassionare ed emozionare il lettore, deve -addirittura- avere difetti di scrittura(!?)…
Ad ognuno la sua….
Un saluto a tutti
Non so perché da sempre uso questo termine, ma per me la scrittura è un fatto di lealtà.
Per me lo scrittore, quando scrive deve essere leale con se stesso e con i suoi lettori. Quando manca, quando sento che lo scrittore mi sta prendendo in giro, il suo libro finisce nella spazzatura senza tanti se e tanti ma. Non ci sn delle regole ben precise, ma se io vado in libreria e spendo 14 euro per un autore che mi ha nutrito di idee fino a ieri e poi scopro che il suo ultimo libro esiste solo perché “doveva” uscire, per me in futuro potrà scrivere anche i più bei libri della letteratura mondiale, non lo leggerò mai più.
Quali i compiti di uno scrittore? Ed è proprio necessario che ne abbia? Domande che potrebbero generare risposte chilometriche. O il silenzio. Che mi ha tentata, lo confesso. Vittorini aveva idee molto precise a proposito di una letteratura non consolatoria. La letteratura non deve consolare, deve cambiare il mondo. Erano altri tempi. Era appena finita la seconda guerra mondiale. Ma possiamo dire questo oggi? Ha ancora un senso dirlo ? Non credo. Il poeta, lo scrittore, se veramente tale, assolve a un compito importantissimo ed è rivoluzionario e innovativo e attivo nel proprio tempo anche se parla di fiori e di albe e di cieli. Lo ha fatto il grande Mandel’stam ed è finito come sappiamo. L’arte in quanto tale è sempre rivoluzionaria, ma non nel senso che s’intendeva fino a qualche decennio fa. E turba sempre il potere. Oggi sembra prevalere l’ansia di fare quattrini, ed ecco l’orgia di gialli, neri, thrilling. O di romanzi che sono al confine tra erotismo e pornografia, piùla seconda che il primo. Dove si è nascosta l’arte? Dove sono le grandi domande di un Tolstoj, di un Dostoevskij? Non ne abbiamo più di domande da fare? Sappiamo tutto? Abbiamo capito tutto? Dove le inquietudini e le angosce di un Pavese, per limitarci a un ambito nazionale? Oggi bisogna apparire e i compiti della letteratura passano in secondo, terzo e quarto piano. Con meravigliose eccezioni: penso a Chaim Potok, penso a Amos Oz e alla sua Storia d’amore e di tenebra, non ai suoi sconfinamenti nell’erotismo. Penso anche al coraggio di chi come Saviano per amore della verità e della giustizia (non a causa della giustizia) vive una giovinezza blindata. Ogni autore, un mondo, e noi in quel mondo dobbiamo entrare, purché ne valga la pena. Come fare a distinguere? Dobbiamo leggere i grandi classici e i grandi moderni. Da loro ci vengono ispirazione, risposte, esempi. Quando un libro è importante anche se passa inosservato, anche se il suo autore non compare in TV, ce ne accorgiamo. Dobbiamo entrare in libreria, volare sopra le tonnellate di carta e cercare lui, il nostro scrittore. Prima o poi lo troveremo e gli porremo delle domande, e lui ci risponderà ma non facendo i “compiti”, piuttosto portandoci dove non avremmo immaginato di andare: in un appartamento buio o a… Gomorra. E se ci parrà di essere capiti nella nostra ansia di verità, di giustizia, di serietà della vita e dell’arte, di rispetto per i deboli, per l’infanzia, per i sentimenti, allora lo seguiremo. E non passeremo da nessuna cassa per essere rimborsati. Cosa che oggi siamo tentati di fare troppo spesso.
Desi
Ricevo e inserisco.Mi pare che queste citazioni del Teatro Officina di Milano giungano opportune. O mi sbaglio?
LA RIVOLTA
Tratto da “I Fratelli Karamazov” di Dostoevskij
“Se tutti devono soffrire per conquistare con la sofferenza l’eterna armonia – dice Ivan Karamazov – che c’entrano i bambini? Rifiuto assolutamente la suprema armonia; essa non vale una lacrima, anche una sola di quella bambina martoriata. Non la vale perché quelle lacrime sono rimaste da riscattare. E dovranno essere riscattate, altrimenti non ci potrà essere l’armonia. Ma come, come la riscatterai?”. Come è possibile aver creato un mondo in cui si faccia violenza ai bambini? Con queste domande estreme Ivan Karamazov assedia il giovane novizio Alioska. E’ l’assalto implacabile della ragione illuminista, che tutto vuole spiegare e dispiegato ai suoi piedi, l’irresistibile attacco sferzato dalla lucidità razionalistica alla fede. Sono le domande che attraversano dolorosamente il cuore e la mente dell’uomo dostoevskiano, e di tutti coloro che sono in un cammino di ricerca che non ammette facili soluzioni consolatorie.
e
IL FANCIULLO PRESSO GESU’
Racconto di Dostoevskij
Questo racconto ci immerge in una problematica moralmente vasta e terribile, affrontata ripetutamente da Dostoevskij: il tema dei bambini vittime innocenti. In questo racconto esemplare Dostoevskij si sofferma sui bambini costretti a chiedere l’elemosina: fotografa i sotterranei di una Pietroburgo di fine ‘800 che non è affatto diversa dalle metropoli contemporanee; punta l’obiettivo sugli adulti violenti e sfruttatori; zooma sui sogni di gioco fantasticati da quei piccoli che non hanno avuto neppure l’elementare diritto di essere bambini.
Con Massimo de Vita e Gianluca Martinelli
Alla fisarmonica Mariangela Tandoi
REGIA DI MASSIMO DE VITA
sono molto contento che letteratitudine ospiti Satisfiction e che venga ripreso proprio l’articolo di Steinbeck che ho scelto per Satisfiction tra i tanti raccolti in L’america e gli americani. è un bel volume, che mancava.
e complimenti a Massimo per Letteratitudine e questo beau geste…
Non so perché da sempre uso questo termine, ma per me la scrittura è un fatto di lealtà.
Per me lo scrittore, quando scrive deve essere leale con se stesso e con i suoi lettori. Quando manca, quando sento che lo scrittore mi sta prendendo in giro, il suo libro finisce nella spazzatura senza tanti se e tanti ma.
Ladypazz mi ha scippato il pensiero dalla mente e gliene sono grata perché ha espresso benissimo il concetto. Troppo spesso oggi ci troviamo di fronte a libri che sono visibilmente, quasi dichiaratamente, pubblicati allo scopo di prendere in giro tutti coloro che avranno la sventura di acquistarli e leggerli. Istant-book, romanzucoli, pamphlet pseudointellettuali, libri strenna (mi viene in mente Bruno Vespa, chissà perché), raccolte, autobiografie di vip. Ecco, tutta questa spazzatura seppellisce e soffoca il resto. Libri onesti, leali, libri che non hanno un compito perché nessuno scrittore deve averne, secondo me. Libri che lasciano però una traccia, che albergano nella mente e nel cuore del lettore ben oltre la fine delle pagine. Uno scrittore non ha compiti, non ha doveri. Avverte l’esigenza di scrivere e se quell’esigenza è reale, allora ciò che produce ha un suo intrinseco VALORE, può risultare scomodo, può sollevare le coscienze, può semplicemente segnare la vita e le emozioni di un lettore qualsiasi. Una scrittura leale è questo è molto di più.
Sottoscrivo IN PIENO ZAuberei.
E visto che sono sempre sincera, ti dico, Massimo, che in questa occasione mi hai delusa .
Perdonami ; Massimo..
Ma la tua gentilezza di toni non c’entra niente coin il modo di operare di Serino.
E allora, spiace dirlo, viene il sospetto di una diplomazia eccessiva, che sento lontana dalla mia sensibiloità tantoq uanto il modo di opare di Serino.
(il modo di operare)
”in quanto scrittore ho il dovere di..” essere un ‘uomo’.
questo sembra dirci la bella pagina di john steinbeck . uno scrittore, un idraulico, un commesso, un architetto e tutto l’elencabile ha come primo compito quello di ruiscire ad essere un uomo, il resto se c’è vien da sè, detta con una rima che farà inorridire qualsiasi scrittore 🙂
Devo dire che questa faccenda dei compiti non me l’ero mai posta. Ho forse da assolvere a dei compiti scribacchiando quei quattro versi che, quando riescono, soddisfano me prima ancora degli altri? Osservo l’esterno, sembra a casaccio, ma guardo, memorizzo e poi cerco di vedermi dentro. Ho notato così come la società attuale sembri sradicata dal suo passato, come lo ignori, come non ci sia più un legame logico con un’epoca ancora recente e come per questo motivo non riesca a vivere e nemmeno a costruire un po’ di futuro. Io di quel passato ho ancora un po’ di memoria perché mi sono straniato dalla quotidianità del nulla e allora ho deciso di avvisare gli altri di questo immenso problema e ho scritto. E’ forse un compito questo? Secondo me un compito prevede delle regole, dei percorsi, dei corridoi che normalmente sono di ostacolo a un’artista, a chi cerca di vedere quello che normalmente gli altri non vedono, a chi cerca di capire quello che in genere sembra incomprensibile, a chi cercar di dire qualche cosa che non siano le solite parole che tutti si attendono.
Secondo me, e non solo nella scrittura, ma anche nelle altre arti l’artista non deve avere dei compiti, né delle missioni; deve semplicemente essere sempre e solo se stesso, in una ricerca di una verità a cui mai potrà giungere. Piccoli spiragli si apriranno tuttavia e di questi finiranno con il beneficare anche gli altri attraverso la lettura delle sue opere, ma senza che questo debba costituire per lui un compito, perché altrimenti finirà con l’essere condizionato da aspettative esterne che di fatto lo priverebbero della sua libertà di artista.
Complimenti, Massimo. Post davvero interessante e ben presentato. Il tuo sito diventa sempre più bello.
Per me il ‘compito’ dello scrittore è scrivere belle storie.
Un compito difficilissimo.
Ringrazio i molti che incoraggiano l’iniziativo: Comprendo le critiche ma e fossero motivate, s-piegate, le comprenderei ancora di più.
Gian Paolo Serino
Per quanto riguarda “il mestiere di scrivere” credo che il dovere di ognuno che scrive sia di entrare nel tempo senza vendersi ai poteri del tempo.
@Gian Paolo: Per quanto riguarda “il mestiere di scrivere” credo che il dovere di ognuno che scrive sia di entrare nel tempo senza vendersi ai poteri del tempo.
Sai bene che è un dovere poco rispettato…
Fare una rivista culturale e’ una faticata bestiale! Capisco Serino e lo ammiro incondizionatamente perche’ nel 1995 varai il trimestrale letterario gratuito ”I Polissenidi”, che duro’ fino al Duemila e… cosa dire: magari per la sua ammirevole iniziativa avrei preferito personalmente un titolo in lingua diversa dall’inglese, ma cio’ non toglie che una rivista letteraria in piu’ in Italia sia da sostenere sempre. Auguri, Serino!
Sergio Sozi
P.S.
pubblicammo sempre materiali inediti in Italia: interviste esclusive, versioni o nuove traduzioni: Jean Giono, Arafat, Paolo Conte, Ceronetti, eccetera. Sarebbe bello veder ripubblicati alcuni di quei testi che morirono assieme a ”I Polissenidi” nel 2000…
Sapete? Sono felice che Giampaolo e Massimo giocano tutti e due insieme. Io certe volte fingo di essere uno scrittore e allora comincio a scrivere cose tipo che uno può diventare malato e un po’ strano per via della robba perché da piccolo magari c’era uno stronzo che lo costringeva a fare cose strane. Uno scrittore gli piace scrivere perché ha delle cose da dire che gli sono capitate, oppure che le pensa lui ma sono capitate ai suoi amici. Però a volte oggi è difficile dire la verità. Per esempio, se sei omosessuale e parli solo di omosessuali, è difficile che la gente ti legge, perché per esempio in Italia molte persone poverine non sono molte aperte e allora dicono che è strano due uomini che si danno i bacetti o due donne che hanno un figlio. Sul serio! Una volta un ragazzo mi ha detto che gli facevo schifo perché sono gay e perché gli avevo confessato degli abusi che avevo subito. Io ci sono abituato a starmene da solo e per questo mi piacerebbe diventare scrittore, cioè come quelli che stanno in tv o nelle librerie importanti. Non dico che uno scrittore deve avere dei compiti però a volte sì, cioè quando immagino di essere uno scrittore il mio compito è quello che se un lettore magari è omosessuale e poi comincia a farsi la robba perché sta male e la sua famiglia non lo capisce eccetera, il mio compito è dargli un po’ di coraggio. Sul serio! Mi dispiace che magari qualcuno potrebbe dire che gli dà fastidio quando legge del sangue, dei buchi oppure dei rapporti tra due maschi, però la realtà è così. E certi non possono nemmeno scrivere e nemmeno perché sono poveri. A loro gli regalerei i libri. Oppure farei le riviste gratis. Così farei. Ma se poi ti comporti strano e dici queste cose un po’ contro la chiesa e la mafia e compagnia bella, allora succede che nessuno ti legge oppure vai per un po’ in tv e poi ti cacciano. Addirittura Pasolini lo hanno ucciso! Io mi ci rompo la testa a pensare che ancora oggi esistono certi signori che censurano le cose che devi scrivere. Allora vuol dire che a volte gli scrittori danno fastidio, ma non a tutti, sennò nessuno direbbe che quello scrittore è fastidioso perché nessuno lo pubblica. Questo penso. Forse sono stato noioso e banale. Però mi ci son divertito un sacco a scrivere queste cose. Continuerò a leggervi, a presto!
Leo.
🙂
I doveri dello scrittore: studiare la grammatica, la morfologia e la sintassi; consultare il dizionario; rispettare la punteggiatura e le mille regole dello scrivere correttamente. Fatto questo (e non e’ poco!), basta. Il resto e’ questione di gusti, stili, sentimenti – che ognuno ha a modo suo.
ops… volevo scrivere “E certi non possono nemmeno scrivere e nemmeno leggere perché sono poveri” mi ero dimenticato ‘leggere’.
🙂
@Sergio Sozi: Sarebbe il minimo indispensabile, però, leggendo, non sempre, ma abbastanza di sovente, trovo testi sgrammaticati, con errori di sintassi, magari con svarioni anche di carattere storico o geografico. L’impressione è che la scrittura stia passando in secondo piano e che i lettori, non tutti ovviamente, più che comprare il libro per sapere cosa c’è scritto e com’è scritto, lo prendano perchè l’autore è di moda, perchè la pubblicità ne ha fatto un idolo.
Non conosco Satisfiction, ma poco fa ho letto l’elenco degli autori pubblicati nei quattro numeri della rivista, ed è per me un piacere già semplicemente assaporarne i nomi. Tra questi, la maggioranza sono autori che davvero amo: Jack London, Carmelo Bene (!), Boris Vian, Piero Chiara, Tullio Avoledo, Filippo Tuena, Paul Auster, William Burroughs (!), Mario Soldati…
***
La domanda relativa a quali siano i compiti d’uno scrittore – domanda che si avvicina alla questione per eccellenza, che scaturisce quando ci addentriamo in questi territori, e cioè: perchè si scrive? – mi lascia sempre abbastanza perplesso. Generalmente non si chiede ad una madre quali siano i suoi compiti, oppure ad una donna il motivo per cui ha messo al mondo un bambino: entrambe le domande potrebbero risultare assurde. Ci addentriamo nel territorio che ha a che fare con la creatività, con l’amplificazione della nostra stessa esistenza, della nostra coscienza. E se si chiede dunque perchè esistiamo, si potrebbe rispondere facendo la linguaccia come Einstein… 🙂
@Gaetano Failla: giusta osservazione, tanto che più volte in passato mi sono chiesto il perchè scrivo, ma tutte le risposte finivano con il non soddisfarmi, e allora ho lasciato perdere.
Renzo Montagnoli,
analisi esatta, secondo me, la tua. Per questo lo scrivo a chiare note; per questo valuto i libri piu’ secondo questi aspetti che per altri, e se sono scritti male li lascio sullo scaffale. In ogni caso, al di la’ di questa prima scrematura, mi repellono le scritture realiste – ovvero gli scrittori che ripetono quel che trovo gia’ sui giornali. Io ho bisogno di fantasia, non di chi mi faccia delle perifrasi della cronaca.
Caspita Renzo ma te non ti capita di essere triste perché non puoi dire a voce certe cose e allora le scrivi? Magari se uno scrive perché ha un brutto segreto che non può dire, scrivere è ‘semplicemente’ un modo per stare meglio è come un bisogno fisiologico. Però mi riferisco agli scrittori tipo Busi, Burroughs, Berto cioè che magari hanno molte caratteristiche femminili e molte fragilità. Io dico che certi scrittori devono scrivere perché hanno problemi seri, sono depressi, sono stati abusati eccetera. E quindi non è solo regole e correttezza di scrivere, altrimenti come si spiega Joyce che scriveva intere pagine senza punti oppure i surrealisti e compagnia bella? Secondo me esistono due tipi di scrittori: quelli che hanno il male di vivere e tutti gli altri che magari stanno ore ore per scegliere la parola giusta, ma poi non hanno un malessere che poi s’ammazzano.
Leo caro,
i nostri antenati Greci e Romani erano quasi tutti ”bisessuali”. Parlando di Letteratura, la sessualita’ secondo me non conta e poco contano anche le vicissitudini, i problemi personali di un uomo-scrittore: conta molto invece il saper ampliare la propria vita dandole le ali della fantasia, del sogno, della bellezza piu’ alta! Se vuoi scrivere, ti suggerirei percio’ modestamente di dimenticare ”Leo” e metterti a sognare. Se i sogni ci sono, bisogna poi imparare la grammatica e la sintassi, la punteggiatura. Poi si hanno dei risultati molto appaganti, almeno per se stessi… e… perche’ no… magari anche per gli altri!
Ciao, caro
Sergio Sozi
In poche parole, Leo, secondo me un libro non deve essere una lettera ad un amico, uno sfogo personale e puramente istintivo. Un libro e’ un’opera d’arte.
Non sono triste, mai, anche se a volte mi prende la malinconia. Non ho complessi particolari e mi accetto per quel che sono, perchè è l’unico modo per vivere e per realizzarsi. Non sono gay, ma se lo fossi non mi vergognerei ad esserlo, così come non si devono vergognare un paralitico o uno storpio. Ha ragione Sozi quando dice che la fantasia è indispensabile e lo è anche nella rappresentazione della realtà; è un estro, un modo nostro di interpretare e di vedere, insomma è un frutto della nostra personalità.
Joyce al tempo dell’ ”Ulisse” aveva fatto una scelta stilistica, mica era incapace di scrivere correttamente. Aveva superato la correttezza, diciamo.
Post Scriptum per Renzo
(Dico questo pur essendo immerso attualmente nella lettura de ”La Storia” della Morante, che contiene delle scene da far accapponare la pelle…).
Che scene?
Io questa sera non leggo, riposo, vista la tecnica di lettura che ho, un po’ particolare, ma che ha il vantaggio di agevolarmi molto nello scrivere poi la recensione.
Non entrero’ nei particolari: ti dico solo che ne ”La Storia” c’e’ tutta la Seconda Guerra Mondiale vissuta a Roma. Stupri; massacri e stupri; violenze gratuite e feroci. Insomma guerra che punta a massacrare i civili e lo fa scientemente per bestialita’ pura e/o per la convinzione di vincere in quel modo. Cosa purtroppo, questa, in parte vera.
Io non ho regole nella lettura a scopo recensorio – eccetto questa: se il libro mi piace lo finisco presto e scrivo subito la recensione. Tu…?
@ Massimo
Steinbeck ha accompagnato la mia vita per decenni, sin da quando ero poco più che un ragazzino. Ho vissuto per molti anni nella valle dei Pascoli del cielo, e talvolta ritorno lì per immergere di nuovo i piedi nudi nel ruscello, seduto con Junius Maltby sotto un sicomoro; e ho assaporato le tortillas nella pianura della casa di Danny; ho viaggiato in un autocarro con la famiglia Joad, verso la California, in cerca di fortuna; e ho ascoltato a lungo i sogni di Lennie, seguendo il gesticolare delle sue mani troppo grandi, e ho pianto la sua fine…
Intanto saluto Serino perché ci siamo conosciuti e parlati e, in una di queste occasioni, mi fece un discorso che sarà difficile che io possa dimenticare.
Conosco Satisfiction, conosco la sua “intransigenza” e l’intransigenza di Serino. Intransigenza verso tutto ciò che puzza di mistificazione. Arriva al punto, Serino, che il solo sospetto che lui stesso possa aver “mistificato”, gli fa mettere mano al portafoglio e rimborsare i suoi lettori in caso di mancato gradimento di un libro consigliato.
Mossa pubblicitaria? Mistificazione della mistificazione? E se invece, appunto, fosse lealtà?
La stessa lealtà che ladypazz e laura invocano per lo scrittore. Cosa deve fare l’autore? Scrivere, pubblicare (possibilmente) e poi togliersi dalle palle. Lui ha fatto, ha detto, ha raccontato. Poi lasci agli altri, a tutti gli altri, il piacere e il diritto di leggere nel suo scritto ciò che vogliono. Non intervenga se non su dati oggettivi oppure esprimendo opinioni personali come se, a quel punto, fosse lui stesso diventato un lettore come un altro. Anzi, meno scaltro di altri. Perché gli altri sono tanti, e possono leggere con tanti occhi e pensare con tante menti. Lui, l’autore, ha una mente, due occhi e un cuore.
Non può fare il “lavoro” di tanti lettori. Sarebbe inutile. E sleale.
Penso possa essere un libro interessante.
Di norma recensisco solo solo i libri che mi piacciono; leggo normalmente coricato, di pomeriggio o la sera prima di dormire. Mi segno i periodi che mi interessano in particolare. Ultimata la lettura, lascio il libro a riposo per un paio di giorni, quindi lo riprendo in mano solo nelle pagine dei periodi di interesse. Quindi di nuovo a riposo e dopo due o tre giorni, dopo il caffè e lo yogurt mattutini scrivo la recensione.
Il tempo di lettura varia in base al numero delle pagine, ma comunque un romanzo di 200-250 pagine richiede normalmente una settimana.
Per i testi di poesia è diverso e vengono letti solo la sera perchè praticamente mi devo spersonalizzare, altrimenti è inevitabile un raffonto fra come scrive quel poeta e come scrivo io e ne uscirei per forza vincitore, almeno nel subconscio (non che io sia meglio di quello, ma inevitabilmente il giudizio è a mio favore). Ciò comporta un certo stress, tanto che poi dormo come uno che ha spaccato legna tutto il giorno.
Sergio, io utilizzo Leo come una specie di scelta stilistica alternandola ad altre scelte più fantastiche e oniriche che tu non hai letto. Racconti ‘fanta-surrealisti’ ambientati in dimensioni paralleli e in un linguaggio lontanissimo da quello del mio personaggio Leo Bloom. Scrivo anche rispettando le regole di cui tu parli, ma non devo dare conto a te del mio modo di comporre. Non sei mica Busi o Joyce! Comunque, qui si sta discutendo sul compito dello scrittore. La fantasia è importante, e io amo scrivere fantascienza, per esempio, amo Calvino, lo stesso Leo Bloom è un personaggio di fantasia. Le opere, realistiche o di fantasia, dovrebbero però romanzare certe realtà e renderle più accettabili, più comprensibili. Possibilmente avere anche una capacità catartica. In effetti preferisco le opere di fantasia ai saggi o alla letteratura realistica. Però, leggendo John Fante mi sono reso conto che uno sfogo personale può essere anche letto in chiave più universale. Quello che a te sembra un puro sfogo, è un esperimento per poter parlare di una fase della mia vita, ormai superata, non più in chiave ‘fantastica’, finta, fittizia e costuita, ma in maniera più realistica. Non concordo con la tua visione e, comunque, non ho chiesto un tuo giudizio visto che non ti considero né uno scrittore né una persona particolarmente sensibile. Può darsi che io sia incapace a scrivere correttamente, ma le regole si possono sempre imparare. La sensibilità, l’empatia e l’intelligenza o ce l’hai o non ce l’hai. E tu non ce l’hai, secondo me. Quanto alla fantasia, ho sognato per troppo tempo e scritto dei miei sogni, non sono così arido da cercarla nei libri la fantasia.
Quanto al tuo amico Renzo che addirittura scrive che non si ‘vergognerebbe di essere gay così come non si devono vergognare un paralitico o uno storpio.’ Io mi vergognerei di essere un Renzo Montagnoli, se è per questo, che paragona un gay a uno storpio.
Ma brutta nazione l’Italia.
pardon… Che brutta nazione che è l’Italia. 🙂
@Leo Bloom: ho il massimo rispetto per le persone, sia che siano sane, sia che siano storpie, sia che siano eterosessuali, sia che siano gay. Non c’era nessuna intenzione di paragonare un gay a un disabile, ma se leggi bene quel che ho scritto è che uno deve avere la capacità di accettarsi per quello che è: un mediocre poeta, un gay, uno che purtroppo ha perso l’uso delle gambe, altrimenti ha finito di vivere, quando invece può trarre tanto da se stesso anche nelle condizioni più svariate.
Quindi penso di essermi spiegato bene, soprattutto quando ho scritto che non sono gay, ma che se lo fossi non mi vergognerei ad esserlo.
Quindi tu penso che abbia altri motivi, forse, di cui vergognarti, ma francamente, mi spiace dirlo, non m’interessano, vista la “disponibilità” a colloquiare che hai manifestato.
Scusa Massimo e scusa Giampaolo, Leo non vi disturberà più.
Zero disponibilità visto che continui l’elenco: mediocre poeta, un gay, uno che purtroppo ha perso l’uso delle gambe. Come ha detto gianluca tolgo il disturbo. Continuare a risponderti: ecco l’unico motivo che ho di vergognarmi.
Ecco, bravo, Leo, non vergognarti, perchè la vita è bella ed e fatta anche da gente come me che è sempre disposta ad ascoltare, anche quando la si offende senza motivo. Ripeto che non c’era nessuna intenzione di paragonare un gay a un disgraziato, ma dato che qualcuno si sente a disagio al punto di coinvolgermi nella discussione io sono intervenuto, e ricordati che l’Italia non è una brutta nazione, ma che ci sono certi italiani, non presenti in questa discussione, che la rendono brutta.
Eccomi qui. Perdonate l’assenza, ma sono rientrato solo adesso.
Intanto, grazie mille per i vostri commenti…
Cominciamo a interagire con gli autori dei commenti scritti di recente…
Avro’ probabilmente molti difetti, caro Leo o come ti chiami visto che non ti conosco, avro’ pure i difetti che tu mi appiccichi senza conoscermi affatto. Pero’ un difetto non ce l’ho: quello di permettermi delle confidenze offensive con chi desidera solo colloquiare e lo fa senza insultare nessuno (io e Renzo Montagnoli). Questo posto non e’ fatto per trattar male gli altri, sia chiaro, qui siamo civili – e lo dico dopo due anni che scrivo qui. Pero’, vista la tua stima per me, stavolta una cosa voglio dirtela: a cose scritte come le scrivi tu, io non replico. Rivolgiti ad altri, per favore.
Innanzitutto dò il mio personale benvenuto a Leo Bloom e al suo alter ego Gianluca (o viceversa, Gianluca e il suo alter ego Leo) 🙂
È la prima volta che intervieni qui, GianLeo?
🙂
Dài, stai tranquillo.
Intervieni con serenità. Secondo me ci sono stati malintesi che eviterei di ingigantire. È proprio da questi malintesi che si scatenano le web-risse… anche perché poi spiegarsi on line è complicato.
Quindi ringrazio anticipatamente te, Renzo e Sergio perché so che eviterete eventuali polemiche.
Torniamo al post, invece.
Conosci Steinbeck, Leo? Cosa pensi del suo intervento in difesa di Miller?
Va bene, Sergio. In alcuni passaggi Leo ha esagerato.
Ma chiudiamola qui, su. E torniamo al tema del post.
Noto che la duplice domanda…
Quali devono essere i compiti di uno scrittore?
È proprio necessario che uno scrittore abbia “compiti”?
… ha favorito il dibattito. E ne sono contento.
Come al solito mi piacerebbe ringraziarvi tutti. E comincio da Giuseppe Ausilio Bertoli, Simona, Franco Romanò, Ste, Erika, Jean, Manuela.
E poi Simonetta, Giorgio, Barbara, Elena, Gianni, Ladypazz, Desi…
Ringrazio Gian Paolo per essere intervenuto e (ancora una volta) per avermi messo a disposizione il bellissimo pezzo di Steinbeck.
Apro una piccola parentesi e, contestualmente rispondo a Zau e Laura (che però non cercherò di convincere, perché ognuno ha la sua opinione).
Credo che Gian Paolo abbia lavorato davvero duramente, soprattutto per portare avanti il progetto della rivista.
È una rivista (Satisfiction) che potete trovare in tutte le librerie Feltrinelli e Fnac e in 180 librerie indipendenti, edita da un editore serio come Mattioli 1885, e… assolutamente gratis.
La rivista peraltro e di altissima qualità sia per gli inediti che offre (avete visto i nomi?) sia per le firme dei critici/recensori.
Nel prossimo commento vi scrivo i nomi di coloro che hanno partecipato a questo numero…
Anna Aglietti (Pulp), Antonio Armano ( Il Sole24ore), Violetta Bellocchio, Pietro Berra (Poesia), Daniele Biacchessi (Radio 24), Cinzia Bomoll, Roberto Borghi (Il Giornale), Francesco Borgonovo (Libero), Annarita Briganti (Mucchio Selvaggio), Angela Buccella (GQ), Errico Buonanno, Edoardo Camurri (Il Foglio) , Alberto Casadei (L’Indice dei Libri), Gaja Cenciarelli. Stefano Ciavatta (Il Riformista), Luca Crovi (RadioRai 2), Riccardo De Gennaro (L’Unità), Chiara Di Domenico, Igino Domanin (L’Unità), Florinda Fiamma (Rai Libro), Marco Filoni (Il Sole 24 ore), Stefano Gallerani (Alias- Il Manifesto), Massimo gardella, Bruno Giurato (Il Foglio), Luca Gricinella (Alias-Il Manifesto), Cinzia Leone (Il Riformista), Francesco Longo, (Il Riformista), Leonardo Luccone (Oblique), Paolo Madeddu (Rolling Stone), Ettore Malacarne, Roberta Maresci (Libero), Luigi Mascheroni (Il Giornale), Luca Mastrantonio (Il Riformista), Francesca Mazzucato, Davide Morganti (la Repubblica), Davide Musso (Rolling Stone), Jacopo Nacci (L’Indice dei libri), Pierfrancesco Pacoda (Espresso), Valeria Palumbo (L’Europeo), Alessandra Penna, Sergio Pent (La Stampa), Seba Pezzani (Il Giornale), Alberto Pezzini, Tommaso Pincio, Paola Pioppi (QN), Rosella Postorino, Raul Precht, Enrico Remmert, Davide Sapienza (Specchio- La Stampa), Simone Sarasso, Pippo Scatà Geraldine Schwarz (la Repubblica), Gian Paolo Serino (la Repubblica), Tim Small (Vice Magazine Italia), Martina Testa, Grazia Verasani, Stefania Vitulli (Il Giornale), Carlotta Vissani (Buscadero), Guido Vitiello (Internazionale), John Vignola (Mucchio Selvaggio)
Coordinare un gruppo così numeroso è davvero impegnativo. E poi sono persone in gamba (che scrivono si giornali e riviste diverse tra loro) che hanno aderito al progetto di Gian Paolo in maniera gratuita (ovviamente).
Massimo,
va bene, sia chiaro pero’ che io ho scritto quanto ricopio qua sotto senza riferirmi a nessuno in particolare, ma solo volendo rispondere alle domande del post sui compiti degli scrittori. Lo ricopio, appunto, per evitare ulteriori malintesi:
”I doveri dello scrittore: studiare la grammatica, la morfologia e la sintassi; consultare il dizionario; rispettare la punteggiatura e le mille regole dello scrivere correttamente. Fatto questo (e non e’ poco!), basta. Il resto e’ questione di gusti, stili, sentimenti – che ognuno ha a modo suo.”
E non accetto in alcun modo di essere trattato gratuitamente male dal primo che passa: ho una dignita’ anch’io – la stessa che riconosco agli altri.
Vi rivelo un dietro le quinte…
È da tempo che Gian Paolo chiede anche il mio contributo. E io gli ho promesso che gli avrei mandato qualcosa, se non l’ho ancora fatto è solo perché mi sono trovato impelagato in mille impegni e sottoimpegni (e, in parte, spero di essermi fatto perdonare con questo post).
Ma ciò che mi interessava sottolineare è che Gian Paolo al telefono mi ha detto: “Massimo, che siano recensioni ultra-sincere… mi raccomando; questo è il requisito fondamentale: soddisfatti o rimborsati“.
E io sono più che d’accordo (anche se, per mia scelta, deilibri che non mi piacciono preferisco non parlarne e non scriverne).
Questo per sottolineare quanto già espresso da Enrico qui sopra. Gian Paolo ci crede davvero e porta avanti questo suo progetto come una missione, usando – come ha scritto nel commento di stamattina – “una provocazione che ci rende più responsabili”.
Infatti, Sergio. Solo che Leo ha pensato che ti riferissi a lui… da qui il malinteso.
Una volta chiarito, andiamo avanti.
—
E la prossima volta il primo che passa potrà trattarti male solo a pagamento… e non gratuitamente.
Battuta gratuita per stemperare un po’ gli animi
🙂
Dimenticavo di ringraziare Angela di Noto e Angela 1…
(Angela 1 ??? 🙂 )
Accidenti, mi stavo dimenticando di salutare Laura Costantini…
E poi Stefano Ciavatta…
Hai scelto tu questo pezzo di Steinbeck? Ti meriti un “doppio bravo”.
(P.s. È da un pezzo che non mando proposte al “Riformista”, Stefano… ma rimedierò, vedrai).
Eh sì, caro Gaetano… anch’io mi sono commosso leggendo Steinbeck!
Un grande, vero?
Bene…
Uno stanchissimo Massimo Maugeri augura a tutti voi una serena notte.
E ricordatevi… “In quanto scrittore, ho il dovere di interessarmi a tutto, sento parte della mia professione conoscere e capire ogni genere di persona e di gruppo”.
Lo dice Steinbeck… non io, eh?
E se lo dice lui, sarà vero.
🙂
Buonanotte.
Ciao Massimo sono intervenuto anche altre volte.
Conosco Miller, un po’ meno Steinbeck che associo, non so per quale oscuro motivo, a Faulkner, che ha influenzato tantissimo la mia scrittura ‘onirica’. Quanto al processo, Steinbeck ha fatto bene a difendere Miller, così come non posso che apprezzare quest’ultimo per aver rifiutato di fare i nomi dei suoi, sospettati di comunismo.
Ma di questo ne avrei voluto parlare al modo colloquiale e becero di Leo, immaginandolo come un giovane ventenne ingenuo, poco esperto della lingua e alle primissime armi con l’arte del racconto che va in giro nel blog a parlare di sé in modo autoironico e quasi inconsapevole. Non è stato capito…
Ho sbagliato a dire che l’Italia è un brutto paese, ma che non sia un paese per giovani, questo…. forse è vero!
Continuerò a leggerti. Ma, almeno per il momento, cercherò di non intervenire più. Tanto, quello che penso e scrivo già non vale una cicca per me, figuriamoci per gli altri! 🙂
Un abbraccio.
“Leo caro,
Se vuoi scrivere, ti suggerirei percio’ modestamente di dimenticare ”Leo” e metterti a sognare. Se i sogni ci sono, bisogna poi imparare la grammatica e la sintassi, la punteggiatura. Poi si hanno dei risultati molto appaganti, almeno per se stessi… e… perche’ no… magari anche per gli altri!
Ciao, caro
Sergio Sozi”
Sergio, i sogni non esistono.
Buonanotte.
Caro Leo, questo stesso dialogo on-line è un sogno. Se poi i sogni esistono o non esistono è questione del tutto vana, e immagino che tu ne sia pienamente consapevole, talmente è il tuo amore per un dedalo di specchi. Però mi diaspiacerebbe molto se qualche frammento sognante di specchio, sfuggito al controllo di qualche tuo eteronimo, possa perfino solo sfiorare Renzo o Sergio. Siamo solo dei sogni, o forse il sogno d’un sogno, o chissà cosa, e sarebbe bello attraversare, secondo il fiato d’uno dei miei sogni, questa reale irrealtà con il respiro rilassato.
Un abbraccio (fatto della stessa materia di cui son composti gli abbracci)
Correggo, nel terzo rigo: dispiacerebbe.
Ha ragione Gaetano, Gianluca. Sia sulla necessità di essere sereni, che sul sogno.
L’ho scritto anche nell’incipit di questo post:
“Ci sono sogni che rimangono nel cassetto, destinati a incancrenire nel buio della dimenticanza o della pigra rassegnazione. E ci sono sogni destinati a vedere la luce. E a espandersi.
In genere i sogni più belli sono quelli che si possono condividere.
Per me Letteratitudine è un sogno. L’ho sostenuto altre volte. Ma un sogno è davvero tale quando non impedisce di vedere e incrociare altri sogni.”
—
Che fai, mi vuoi “smontare”?
🙂
Buon sabato mattina e buona giornata a tutti.
(Qui piove).
Altrettanto buon sabato (da me, finalmente, splende il sole) e dal balcone vedo le montagne innevate.
Gaetano, è bello questo reciproco difendervi. Io ero sereno. Ma non accetto giudizi sul mio modo scrivere se non lo richiedo, a meno che non sia Busi, che per me è l’unico Scrittore italiano vivente, a darmene. Ero sereno. Ma non mi piace l’accostamento gay, storpio, paralitico che ha fatto Renzo. Quindi puoi anche continuare a difendere i tuoi amici, per me hanno sbagliato loro. Inoltre io non sono molto avvezzo a rispettare gerarchie di sorta.
@Gianluca: non c’è stato nessun accostamento. Se preferisci che nel periodo ci sia scritto gay, pelato o di bassa statura non ci sono problemi, lma non cambia la sostanza. Uno è quello che è, ma l’importante è che sappia esserlo e conduca pienamente la sua vita senza rammarichi.
Poi ho finito perchè altrimenti si parla solo di questo e non del tema principale introdotto da Massimo.
Caro Gianluca, nessuna partigianeria, e nessun giudizio di scrittura. Ho provato solo a interagire con te e a creare una sintonia con un tipo di scrittura a cui sono interessato e a cui a me sembra tu ti avvicini. E a facilitare una sintonia di gruppo. Se comunque hai considerato ciò una interferenza, scusa.
Un abbraccio,
Gaetano
P.S.
Anche a me piace parecchio la scrittura di Busi, ingiustamente lasciata un po’ ai margini. Ero inoltre molto interessato ai suoi interventi televisivi, tra i quali quelli recenti di sue letture teatralizzate.
Il termine storpio è orribile e desueto, anche perché l’ortopedia fa miracoli. Poi se a storpio aggiungiamo, come ho letto sopra, anche l’aggettivo disgraziato, allora, cari amici, i sogni non bastano, forse sarebbe il caso di svegliarsi.
E “moderatemi” pure l’intervento.
Saluti, Miriam Ravasio
@Miriam: mi sembra che non si voglia capire il significato di accettarsi, che è tutto il contrario di un pensiero razzista. Ti faccio un esempio: io da tanto tempo ho ben pochi capelli in testa; per me non è niente di grave, ma certo che ad averne di più non mi dispiacerebbe; ho amici calvi invece che si condizionano la vita per questo. In fin dei conti uno è quello che è indipendentemente dal colore della pelle, dai capelli o da altro, e proprio per questo si deve accettare: questa presa di coscienza lo farà vivere meglio e più sereno, ma non solo, perchè gli consentirà di dare anche il meglio di se stesso.
Personalmente sono avvezzo ad essere educato sempre. Meno quando gli altri mi suggeriscono di farlo. Questo è un bel blog “buonista”, ove il padrone di casa tende a stemperare polemiche ritenute sterili, e rialzi di toni di voce sono bacchettati con toni che hanno qualcosa di evangelico. “Non fare il cattivo, dai, non ce ne è il bisogno. La vita è bella, sai?” 😉
Però è un bel blog.
Leo/Gianluca, ho letto qualcosa dei tuoi scritti. A me sembrano onirici…
Quanto ai compiti di uno scrittore, io non li conosco.
Ma faccio mie le parole di un commentatore di un altro blog, baldrus non me ne vorrà, quando dice che da un libro “voglio dei racconti. Voglio delle storie. Che filino, che scorrano, che mi avvincano, che mi seducano, che mi stupiscano, che mi addolorino, che mi divertano, che mi eccitino, che mi deprimano, che mi indignino, che mi inteneriscano”.
Ecco. Io credo sia sbagliata la domanda. Lo scrittore non ha compiti da scrivere. Scrive in libertà. Una grande libertà da consumare nella storia, nelle storie che vuole raccontare. Il tempo trascorso nello scrivere, con tutto il proprio carico di contenuti, passano attraverso la troncatura del finale – se di un romanzo trattasi – e si rigenerano nei tempi a disposizione del lettore per leggere e capire. Rappresentando l’altra faccia della libertà che si prende il lettore di giudicare, con tutto il carico delle emozioni che la lettura, se è andata bene, gli ha trasmesso.
Saluti, e salute a tutti
PS Renzo Montagnoli, ottime intenzioni di stemperare la polemica. Ma non si fa gettando benzina sul fuoco consigliando una presa di coscienza di essere gay ad un gay…
scusatemi, ho sbagliato io. scusa massimo, scusa renzo, scusa sergio, scusa gaetano. non ne parliamo più, dai. sono troppo impulsivo e arrogante, mi sento veramente un bimbetto ridicolo. ho rovinato tutto!
se volete lasciate i commenti fatelo sul mio blog. non è giusto rovinare questo bel post. io voglio bene a massimo e giampaolo e non mi va di rovinare la bella atmosfera che si era creata solo per le mie frustrazioni narcisistiche. buon proseguimento a tutti. alla prossima.
(Massimo neanche io proverò a persuadere te.
Ma ecco la gratuità non è sinonimo di qualità. E’ certamente senza dubbio sinonimo di passione, sacrificio e mazzo tanto. E io ho certamente rispetto per queste cose. Ma non di qualità. In qualsiasi contesto e non di meno in questo quello che mi rende oltremodo critica è l’uso di certi toni, l’uso di certe ironia, l’uso di certa supponenza, e certo l’uso di certi entusiasmi. Tutte cose che neanche il migliore degli intelletti e dei talenti critici possono giustificare. A mio personale parere quando interviene l’atteggiamento provocatorio, la corrosività oltranzista, c’è qualcosa che sposta l’accento sul narcisismo di chi critica e non sull’oggetto eventualmente criticato. E lo spostamento di accento puzza di una carenza di strumenti.
Così c’è modo e modo di criticare un testo letterario e solo il concetto di stroncatura mi fa pensare alla mancanza di rispetto per quello stesso lavoro che si vorrebbe rivendicare per se. Stroncare è diverso di fare una recensione negativa ecco. Insomma c’è in Satisfaction qualcosa che mi fa pensare a una mancanza di classe, di classe intellettuale, e questo rinvia a qualcosa di sostanziale molto più che formale.
E’ quel citare Schopenauer, senza essere Schopenauer. E senza ricordare che Schopenauer non sarebbe mai stato noto per quello, ma in caso ignoto. Plebe è una parola eticamente concepibile in un certo momento storico. Oggi fa prudere le mani.
Naturalmente ciò non toglie che io ti faccia tanti auguri per la tua collaborazione. )
Salve a tutti!
Il post è interessantissimo, mi piace il progetto Satisfiction… Massi, partecipa, sounds good!
Lo scrittore non ha compiti. Nell’antichità il poeta era l’aedo il vate il bardo che dava continuità a una civiltà trasmettendone e interpretandone miti storie leggende… poi nacque il mito del poeta vate, che doveva inneggiare alla patria alla libertà conculcata eccetera. Ma quello che non sopporto è il poeta engaged, cioè quello impegnato per forrza, come se bastasse dire abbasso e alè in versi. Si può fare politica e rivoluzionare i cuori parlando d’amore o di un fiore.
D’accordo con Sergio: padroneggiare i ferri del mestiere. Paghereste un idraulico che si porta appresso cannucce o ferrivecchi? Andreste da un chirurgo che non si aggiorna o usa bisturi del tempo di Napoleone?
Non voler essere quello che non si è. Mostrare, non dimostrare, show me don’t tell me. Ma la politica non può essere quella della deresponsabilizzazione assoluta: chi scrive sappia che influenza chi legge, quindi massima onestà sincerità verità anche se si scrive di draghi e ufo!
Uno scrittore nasce per prima cosa come pensatore e analista, prima di sé e poi degli altri. Solo dopo, nasce lo stimolo di scrivere, allo scopo di estrapolarsi e comunicare con l’esterno del suo mondo, diventato abbastanza forte e tenace da poterlo sostenere al confronto.
Uno scrittore vero cerca sempre la verità, che intende come entità variabile, perché sorgente dalla sua indole di perlustrare tutte le dimensioni accessibili attraverso la sua fertilità e profondità di pensiero e quindi mai fissa e ferma, e non appartenente a quella semplice, grezza e di solito opportunistica della gente comune.
Per questo sarà sempre uno sconfinato e condannato, come ho avuto occasione di leggere negli altri commenti; uno stato di privilegio, vorrei dire, anche se spesso gli costerà l’essere solo, incompreso, perseguitato e anche condannato, come la storia ci rivela.
Un vero scrittore, quello che sorge da una coscienza elevata e immersa nella sorte dell’umanità intera, nella quale si sentirà di dover assumere il ruolo di messia del vero e indissolubile, tenderà anche a non rinnergarsi, anche sotto la minaccia e le violenze della classe del potere, al quale non si sentirà mai di appartenere.
La sua forza sta nelle verità che ha trovato per sé e che intende comunicare anche agli altri; sono verità che liberano l’uomo dalla sua dimensione limitata e gli permettono di avvicinarsi al divino, fuori di essa, ma sempre in essa fino alla fine.
Se esistesse una forza superiore comunicante con l’uomo, lo scrittore ne sarebbe il suo rappresentante e mediatore, le sue verità da considerare e confrontare con la propria coscienza e solo dopo da seguire e sostenere.
Senza gli scrittori saggi, seri e coraggiosi, la società perderebbe la parola guida illuminante da trasformare in azioni nei suoi momenti critici e oppressivi.
Chi non adempia a questi criteri non può definirsi scrittore, ma al più comunicatore, informatore di fatti reali già accaduti.
Saluti.
Lorenzo
Caro ZEub, come scrivevo le critiche sono le benvenuto ma, credo, prima bisognerebbe informarsi.
Satisfiction non stronca nessun libro: come potremmo proporre libri “soddisfatti o rimborsati” se i libri non ci piacciono?
Forse ti confondi con il blog, che è un’altra cosa: usa toni e argomenti diversi ma unicamente perchè il mezzo internet è diverso e nche linguaggio, questo il mio pare, come nella radio è molto molto diverso dalla voce d’inchiostro.
Ti ringrazio
Gian Paolo
Homo sum: humani nihil a me alienum puto (Terenzio)….
Non mi sembra molto diverso da quello che dice Steimbeck:
“In quanto scrittore, ho il dovere di interessarmi a tutto, sento parte della mia professione conoscere e capire ogni genere di persona e di gruppo”.
E’ dalla coralità che nasce l’uomo come lo scrittore…E forse più si approfondisce il senso dell’umanità, più si entra nell’altro, più si prende la pelle di chi non ci somiglia, più forte è la voce di chi scrive…di chi interpreta.
Ecco perchè incrociare altri sogni, Massi, mi sembra un ottimo modo per approfondire la nostra umanità.
E’ stato detto con poesia da Jean De Luxemburg qualche commento fa che lo scrittore non ha compiti…ma lascia “tracce”.
Mi è molto piaciuto e mi chiedo che tracce lasci un progetto che si annoda a un altro progetto, una voce che si unisce a un’altra voce.
Mi sono detta… lascia tracce di stelle, di polvere e di lacrime, perchè noi esseri umani siamo tutto questo…Mi sono detta che bilanciare questi sogni che si incrociano con equilibrio e rispetto come fai tu , Massi, equivale ad approfondire quel senso dell’umano di cui parlava Terezio e Steinbeck. Vuol dire lasciare traccia della propria fatica quotidiana.
Vuol dire anche non rinunciare a credere. Che i sogni esistono.
Ho visto le riviste Satisfiction disponibili online attraverso il link fornito. A me sembrano veramente belle e di qualità. Faccio tantissimi complimenti. Onestamente non capisco le critiche. De gustibus! Certo che però ci vuole tanta pazienza nella vita.
Bellissimo questo intrecciarsi di sogni in rete. La rete, dove spesso so sgomita per uno spazio, dove a volte si pensa più al counter, può essere un terreno di sogni collettivi…
Massimo, grazie della tua abnegazione, del fatto che ci credi e persisti…
Satisfiction mi sembra veramente una formula interessante.
L’intellettuale parla di cose teoriche – ma anche di sogni, sentimenti, spirito e possibilita’ – mentre l’uomo comune parla di pancia, problemi e uomini. L’intellettuale offende l’ideale ma non l’uomo, perche’ l’intellettuale, secondo me e secondo mezzo millennio di Storia letteraria italiana, e’ un umanista e non puo’ offendere l’uomo che stima e ama. Cosi’ son io.
Va be’: io parlo di questa rivista, ”Satisfiction”, e ribadisco, con immenso affetto, che ne ho fatta gia’ una identica, I Polissenidi, nel 1995: era identica (gratuita!) eccetto che eravamo una redazione di cinque neolaureati senza una lira in tasca, con venti collaboratori, fra saltuari e continuativi. Ebbene, credo che una rivista debba essere, si’, gratuita, ma anche pagare chi scrive. Miracolo obbligatorio questo: PAGARE, Serino caro, altrimenti si rischia di chiudere dopo quattro-cinque anni (come noi, che chiudemmo, di fatto, nel 2000, anche se restiamo sempre iscritti al Tribunale di Perugia). Il rischio della gratuita’, Serini, e’ la possibilita’ di chiusura, se i collaboratori si stufano. Parlo per esperienza. Bisogna trovare fondi pubblici e privati e tanti, tanti! Muoviti, per carita’ di Dio!
Sergio Sozi
Miriam,
anche dare dell’ ”insensibile” a qualcuno, come tu facesti con me un anno fa senza credibili cause, e’, credo proprio, ”desueto”. O forse no, no, certo che no: si puo’ dare dell’ ”insensibile” a chiunque, mentre invece dire ”storpio”, senza parlare di nessuno in particolare come ha fatto ora Renzo, e’ ”scorretto”.
Insomma: se io dico ”uno storpio (eccetera)” e’ uguale a ”tu sei un insensibile”. Riflettiamoci, va’.
Miriam, vorrei parlarti in linea teorica, ora. Ecco: un assunto fondamentale della democrazia moderna e’ il seguente: dire a uno ”sei un cretino” e’ una colpa, mentre dirgli ”penso che tu faccia delle cretinate” o ”penso tu sia un cretino” e’ altra cosa, giustamente, poiche’ l’offesa alla persona e’ considerata punibile, mentre l’offesa a cose derivanti dalla persona no – altrettanto giustamente.
Trai da questo le dovute conclusioni, se vuoi.
Ciao, cara
Sergio
Caro Sergio, TI ringrazio per la generosità e i consigli.
Chiaramente Satisfiction ha una progettualità: si sta muovendo la pubblicità grazie alla forte tiratura e alla presenza in tutte le feltrinelli e fnac oltre che nelle indipendenti che crescono di giorno in giorno (www.satisfiction.it l’elenco).
C’è un’associazione culturale (www.satisfiction.org) alla base del progetto: profossionisti in diversi campi (dal cinema alla grafica all’architettura al mondo imprenditoriale) che seguono il discorso imprenditoriale.
Per adesso nessuno è pagato e nessuno lo sarà mai: nello statuto della associazione è scritto chiaramente che futuri e possibilissimi guadagni, chiaramente l’idea di una rivista di cultura gratuita è unica nel suo genere,con un target di lettori alti e ben definibili quindi molto interessante per gli investitori.
Comunque ogni futuro entroito sarà rispeso nel trogetto: in festival, come quello che stiamo organizzando a Maggio in Brera, mostre (come quella che stiamo organizzando su Pasolini inedito) e su altre iniziative.
Non credo che se il progetto cresce i collaboratori si stanchino, anzi: fare parte di un progetto che come SAtisfiction raccoglie sempre maggiore visibilità e permette di diffondere e di scrivere ciò che, magari, altrove non è possibile, scrivere accanto a Steinbeck e CAmus non è così da tutti i giorni.
Almeno credo.
Almeno, CI CREDIAMO!
Mille grazie a Simona e a Maria Lucia per il sostegno.
@ Plessus
Mi fa piacere che questo blog ti piaccia nonostante il mio “buonismo” e il mio “fare evangelico”.
Per mia fortuna, però, conosco anche metodi più sbrigativi per dirimere i conflitti.
Gianluca, ti ringrazio molto per le tue scuse. Le ho molto apprezzate.
Spero, in effetti, che la polemica fuori argomento si possa chiudere qui. In caso contrario non avrò difficoltà a eliminare eventuali ulteriori strascichi.
@ Zauberei
Gian Paolo ti ha già risposto.
So che tu rimarrai della tua idea.
Ma va bene così.
@ Sergio
Non sei un cretino, ma a volte ”penso che tu faccia delle cretinate”.
Una di questa è rivangare episodi di un anno fa (di cui nemmeno ricordo) per polemizzare.
Ringrazio Gian Paolo per essere ulteriormente intervenuto.
Se qualcuno volesse continuare a intervenire è pregato di farlo rimanendo nel tema di questo post.
Scusate il tono rude.
Buona domenica.
Necessita un distinguo( senza pretesa alcuna di verità):scrittura- comunicazione e scrittura-arte.L’arte é resistenza alla comunicazione. E’ il canto che nessuno sa interpretare ma che tutti godono nell’ascoltarlo, proprio perché ti prende, coinvolge totalmente la sfera psichica(animus-anima).Ascolti la messa in latino, non capisci nulla, ma il rito, la cadenza del ritmo,l’atmosfera magica coinvolgono, allo stesso modo in cui sei coinvolto quando,al teatro greco, ascolti passi in greco di cui sconosci il significato pedissequo, ma sei attratto dalla gestualità, dalle azioni pregne di emozioni.
@Leo Bloom che asserisce”secondo me esistono due tipi di scrittori”, ed io aggiungo: esistono due visioni riguardo la modalità scrittoria. Uno ama il flusso impetuoso di sillabe che inevitabilmente saranno cariche di detriti.Un altro ama l’acqua pura di una fonte, ove ogni sillaba si carica della significanza voluta ed indossa il vestito opportuno che la rende graziosa e appetibile. Se entrambe le scritture sono il risultato del naturale genio artistico ( i contenuti sono relativi perché nulla di nuovo sotto il sole e spesso il “nuovo” é mera elucubrazione mentale) che ben vengano.Grazie per la diatriba. In tempi di taedium vitae, di totale indifferenza, un pizzico di dif-ferenza aiuta a sperare che possiamo liberarci dalla massificazione, dall’informe e dall’anestetizzato. Da tutto ciò che fa comodo a chi mira all’autoritarismo gratuito. Grazie a tutti.Lucia
@Sergio Sozi,simpaticamente:
perché affermi che l’intellettuale é un umanista e non offende l’uomo?Conosco tante persone che usano l’intelletto(la Ratio) per convincere gli altri a pensare a loro modo.Senza spostarsi di un centimetro.Tali persone non hanno neanche una briciola di umanità, che, a mio avviso, é quella carica di energia totalizzante che investe il logos e il corpo.Eros dolce-amaro, al di là del genere.Se le Idee( di cui vanno fieri gli intellettuali) rimangono nell’Olimpo e non si umanizzano(non partecipano all’arcobaleno dei differenti colori che percepiamo nel cursus vitae), che esperienza abbiamo stando in questo mondo?E se ti umanizzi comprendi che la felicità é a scapito della conoscenza, perché conoscere é quasi morire( a meno che tu non abbia la forza di urlare sì alla vita comunque la viva). Ciao.lucia
Brava Lucia come sempre, coi suoi richiami al mondo classico che Sergio non potrà che apprezzare…
L’intellettuale deve essere umanista e non usare il potere della parola a suo profitto, per discreditare gli altri o peggio per offenderli, altrimenti diventerà uno stregone e non un mago della parola, un suo sfruttatore anziché il suo amoroso sacerdote…
Ciao a tutti,
ho letto appassionatamente questi commenti davvero “elettrici” ma non ho ancora capito qual’è il compito dello scrittore… sempre che li abbia.
Un mio caro amico poeta un giorno mi ha detto ( più o meno): ” quando scrivi qualcosa su un libro ( nero su bianco) devi essere consapevole della grossa responsabilità che hai perché quel libro può capitare in mano a chiunque e quel chiunque potrebbe farsi influenzare da quelle parole che sta leggendo dando loro un importanza forse immeritata” ( un po’ come la televisione che stabilisce – spesso falsamente – cosa è vero oppure no)
Credo perciò – a mio avviso- che uno scrittore dovrebbe avere ( oltre i mezzi tecnici, naturalmente) un grosso senso di responsabilità verso gli altri, una buona onestà intellettuale ( parola desueta) una fortissima curiosità ( per me questa è la cosa più importante ma non solo per uno scrittore, ma per tutti gli uomini) e una spiccata sensibilità… che abbia infine un profondo rispetto per se stesso e di conseguenza per il suo potenziale lettore
Buona domenica
stefano
Io non credo che lo scrittore debba assumersi un “compito”, se non quello di proiettare i propri fantasmi attraverso una lingua corretta e convincente. Dio ci scampi dagli scrittori guru, che presumono di pedagogizzare il lettore. Amo i libri – e così vorrei fossero i miei – che pongono domande, e più la domanda è ardua e priva di risposta, più il libro è interessante. Amo i libri che si misurano con la letteratura e la scrittura e non quelli che si propongono solo come future sceneggiature. Io non credo che lo scrittore debba sentirsi investito di incarichi sociali, filosofici, etici. Se attraverso le sue storie e le sue parole emerge una Weltanschauung, deve essere il grido del bambino di Andersen: il re è nudo. Vi rimando a un libro letto di recente, di un certo Louis- Ferdinand Celine: COLLOQUI CON IL PROFESSOR Y. Sembra scritto stamattina.Un caro saluto a Massimo e a tutti i frequentatori di Letteratitudine.
Sono dello stesso avviso di Antonella Del Giudice che parla di “spirito del tempo” ossia di Weltanschauung.Lo scrittore respira le energie che attraversano il suo Tempo, ma se lo spirito logistico di Oggi ama coprire di panni lerci o sfilacciati l’uomo, lo scrittore potrà solamente raccontare quello che vede.Mai dis-velare il re!La nudità é nullità. Ed emergere dal nulla é veramente pericoloso. Attenzione!Lucia
La responsabilità è connessa con l’azione.
La parola è azione.
Non è necessario che la descriva, che la sancisca. Può limitarsi a descriverne gli effetti o le condizioni a priori, lo spazio, il tempo, i personaggi. La parola delimita il contesto dell’azione e con esso esalta di essa il fine, la speranza, l’attesa. In questo c’è una grande responsabilità.
Chi scrive parole agisce.
Non ottempera necessariamente ad un compito, ma ha di certo lo scopo di donare un pò di sè agli altri, i quali potranno essere un pò più felici o più tristi, auspicabilmente mai indifferenti perchè questa sarebbe la vera violenza. Generare ulteriore indifferenza è una grande violazione.
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Gian Paolo Serino non vuole creare indifferenza e raggiunge il suo scopo.
Conservo con piacere uno scambio di mail nel quale ho reso palese il gioco delle parti tra chi come lui è condannato ad essere chiamato in causa sulle speranze degli esordienti e chi, come me, esordiente quale ero e rimango, deve sfidare ogni ragionevole prudenza per non incorrere in alcun rammarico a posteriori. Ebbene era chiaro fin dall’inizio l’esito dello scambio, ma devo dare atto a Gian Paolo che non ha mai sbattuto nessuna porta e mi invitò a partecipare al blog.
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Nulla è cambiato nella mia vita, ma ho ricevuto un comportamento leale. Non ho più ripetuto con nessun altro un simile gesto, ma quella è stata solo una mia scelta.
Quale è il compito dello scrittore ?Lo scrittore deve avere un compito ?
A queste domande non so rispondere.Ma di una cosa sono sicuro.Prima di giocare a fare i grandi intellettuali bisognerebbe imparare a essere uomini comuni.Io sono un uomo comune, e me ne vanto.
La rivista Satisfiction pare proprio bella.Tanti complimenti e auguri al suo direttore
Cara Lucia Arsi’,
voglio ripetere qui le tue belle parole, per poter adeguatamente risponder loro:
”Perché affermi che l’intellettuale é un umanista e non offende l’uomo?Conosco tante persone che usano l’intelletto(la Ratio) per convincere gli altri a pensare a loro modo.Senza spostarsi di un centimetro.Tali persone non hanno neanche una briciola di umanità, che, a mio avviso, é quella carica di energia totalizzante che investe il logos e il corpo.Eros dolce-amaro, al di là del genere.Se le Idee( di cui vanno fieri gli intellettuali) rimangono nell’Olimpo e non si umanizzano(non partecipano all’arcobaleno dei differenti colori che percepiamo nel cursus vitae), che esperienza abbiamo stando in questo mondo?E se ti umanizzi comprendi che la felicità é a scapito della conoscenza, perché conoscere é quasi morire( a meno che tu non abbia la forza di urlare sì alla vita comunque la viva). Ciao.lucia”
Qui emergono, nel complesso, DUE punti di vista ben precisi:
1) Ci sono degli intellettuali che parlano per convincere gli altri a pensare come loro;
2) La felicita’ e la conoscenza non possono convivere.
–
Le mie risposte:
1) Francamente mi sembra naturale che qualcuno si esprima per portare gli altri a condividere il proprio pensiero – lo fanno tutti, intellettuali e non, e anche a proposito di sentimenti, lavoro, affetti umanissimi, passioni diverse, eccetera. Cosa c’e’ di male? La democrazia dopotutto e’ questo: chi e’ piu’ convincente ottiene piu’ consensi e governa (poi l’obbligo di essere onesti e rispettare gli impegni presi e le leggi e’ un discorso diverso, che non tiro in ballo per evitare di andar fuori argomento).
–
2) La felicita’ e la conoscenza possono ottimamente convivere, a mio avviso. Dipende dall’armonia che si ha o che si riesce ad ottenere fra mente, spirito e corpo. Un matematico puo’ amare sua moglie, avere amici e figli, intrattenere ottime relazioni umane coi concittadini, credo, tanto quanto un filosofo teoretico o un ingegnere. Oppure puo’ essere arido e cinico, egoista. Ci possono d’altronde – faccio l’esempio contrario – essere degli ignoranti antipatici e aridi, egoisti.
Cio’ dimostra, a mio avviso, che non esistono teoremi fissi del tipo: ”se hai passioni non puoi essere un intellettuale” o viceversa ”se sei ignorante sei anche una persona aperta e disponibile, umana”.
–
Ti saluto vcon affetto, cara,
Sergio Sozi
Caro Gian Paolo Serino,
–
ripeto qui sotto anche te, riconoscente per la risposta:
–
”Caro Sergio, TI ringrazio per la generosità e i consigli.
Chiaramente Satisfiction ha una progettualità: si sta muovendo la pubblicità grazie alla forte tiratura e alla presenza in tutte le feltrinelli e fnac oltre che nelle indipendenti che crescono di giorno in giorno (www.satisfiction.it l’elenco).
C’è un’associazione culturale (www.satisfiction.org) alla base del progetto: profossionisti in diversi campi (dal cinema alla grafica all’architettura al mondo imprenditoriale) che seguono il discorso imprenditoriale.
Per adesso nessuno è pagato e nessuno lo sarà mai: nello statuto della associazione è scritto chiaramente che futuri e possibilissimi guadagni, chiaramente l’idea di una rivista di cultura gratuita è unica nel suo genere,con un target di lettori alti e ben definibili quindi molto interessante per gli investitori.
Comunque ogni futuro entroito sarà rispeso nel progetto (…)”
–
Ottimo! Ne sono felice! A me successe che, proprio a causa dello status di semidisoccupati (o disoccupati totali) dei miei collaboratori, la nostra rivista gratuita perse forza e si sfaldo’: ognuno cercava in fondo anche un legittimo stipendio – ma il tuo caso e’ diverso: i tuoi collaboratori hanno gia’ degli altri contratti che li remunerano. Dunque credo che ”Satisfiction” avra’ un destino migliore de ”I Polissenidi”.
Ciao, caro
Sergio Sozi
P.S. Per Gian Paolo Serino
Caro ”collega” (posso chiamarti cosi’?) Dimenticavo di farti i miei migliori complimenti per il brano di Steinbeck che hai concesso Letteratitudine. Se ti servisse qualcosa, dimmi pure… ho un bell’archivio ancora ”vivo” anche se ”ibernato” e la mano destra mi funziona meglio di prima.
Ciao ciao
Sergio
Sono d’accordo con Marco Vinci. Aggiungo solo che un vero intellettuale sa di essere solo un uomo comune che per professione pensa, studia e cerca di capire l’uomo – tal’e’ il vero critico letterario, a mio avviso. Una professione come un’altra, mi pare, l’intellettualita’, niente di piu’ importante rispetto al fare il netturbino o la cassiera. A ciascuno il proprio mestiere, tutto qua, senza gerarchie valoriali.
Ciao, caro
Sergio
In ultimo, dopo aver risposto alle sue, ecco una domanda che vorrei porre sempre alla cara Lucia Arsi’, accompagnandola con un’affermazione.
Domanda:
esiste un’umanita’ attuale odierna – di qualsiasi classe sociale e Paese – che sia solamente definibile ”nulla”? C’e’ il nulla dentro tutti noi, re, impiegati o spazzacamini?
Affermazione:
l’assenza attuale di amore puro, semplice, spontaneo, di sentimenti condivisi e di razionalita’ condivisa, e’ solamente il segno di un’umanita’ che si e’ persa, che e’ confusa, drogata e inebetita, abbrutita dallo ”spirito del tempo”; non si tratta dunque di una mancanza in assoluto: il fuoco della bellezza e dell’amore cova sotto le ceneri della diffidenza e della sfiducia, della superbia e dell’ignoranza, della pazzia letale di questi tempi vuoti. Ma sotto, il fuoco c’e’: l’anima e la ”simpatia”. E’ l’organizzazione megalomane del nostro Paese a toglierci umanita’, non l’uomo stesso. La megalomania toglie peso alle molecole che siamo – importanti molecole, Lucia…
Al commento rilasciato in precedenza volevo aggiungere che questo post è bellissimo e tale rimane, nonostante i vani tentativi di chi ha provato a inquinarlo. Grazie Massimo Maugeri, grazie Gian Paolo Serino.
«Il ruolo dello scrittore è quello di suscitare nel lettore la simpatia verso quei personaggi che ufficialmente non hanno diritto alla simpatia.»
Oz sostiene che dovere dello scrittore è onorare la propria responsabilità verso il linguaggio, dunque denunciare il linguaggio portatore di violenza o di aggressione.
Dice Oz: «Ove parole piene di odio vengano brandite come un’ascia, non tarderà a fare la sua comparsa la vera ascia. Lo scrittore può essere il vigile del fuoco del linguaggio, o almeno il rivelatore di fumo. Può e quindi deve».
http://www.sindacatoscrittori.net/comunicazione/news4/amosoz.htm
@…
La mia affermazione “difetti di scrittura” non era riferita alla grammatica e a “stroppiare” le parole. Quindi, se c’è un’maldestro tentativo d’ironia inerente, in qualche commento di qualcuno, personalmente lo trovo molto infantile.
Un caso emblematico, cui mi riferivo, tanto per fare un esempio, è stato “Il codice Da Vinci”(che non ho letto).
Semplici lettori che comunque lo hanno trovato appassionante, mi hanno detto che l’autore comunque ha difetti di scrittura; in quanto tornava a delle descrizionio che sembravano finite, generando nel elttore un po’ di confusione Anche Camilleri asserì qualcosa del genere : “…ho letto le prime venti pagine e poi l’ho chiuso. L’autore non sa scrivere!…”.
C’è chi usa le parole come strumento “efficace” delle proprie intenzioni, e c’è chi e le usa come strumento “musicale” delle proprie emozioni(questa, asserita da Epicuro, a modo suo, qualche ora prima che nascesse Freud).
Come c’erano bambini, che vedendo all’azione Maradona, davano calci al pallone sognando di essere come lui. Qualcuno ne era convinto.
Ogni arte ha il suo mestiere(certo). Ma quando si crede che appliocandosi ossessivamente sul mestiere, questo faccia sbocciare l’arte, il risultato non soltanto può essere arrivare alla paranoia; ma negare in maniera assoluta l’arte e il talento(che è naturale). Come alcuni, che davanti ad un quadro, sono estasiati dalla cornice : in modo che, non riconoscendo l’opera, si nega l’artista e la sua soggettività. Che, in quanto tale, la sua espressione è oltre le regole precostituite(che qualcuno si stizza a “legiferare”, perchè altrimenti gli sembra caos che smuove le sue ossessioni).
–
Gli artisti vanno “letti”, non interpretati.
Un saluto a tutti.
Secondo me, Gianni, il talento e’ talento, l’arte e’ arte: in una persona che pubblica un libro o ci sono o non ci sono, non vedo vie di mezzo – e in questo sono con te.
Solo che talento ed arte includono (oltre alla fantasia, alla sensibilita’ e alla passione) anche il lavoro sulle scelte espressive, partendo dalle piu’ ovvie regole tecniche fino a giungere alle scelte piu’ radicali. Non condivido quegli autori che, senza prima aver dimostrato di conoscere il periodo, scrivono opere sperimentali che stravolgono il periodo. Insomma personalmente scelgo dei narratori maturi, che siano consci di parlare ad altre persone e dunque rispettino la leggibilita’ dei loro testi, pertanto applicando le leggi naturali della nostra lingua – cio’ non toglie che, gradualmente, certe leggi vengano poi personalizzate, anche in parte stravolte.
Pero’ bisogna iniziare, come in ogni altra carriera professionale, dal ”basso” e poi imporre, lentamente, il proprio modo di vedere, non si puo’ pretendere di esordire con cose rivoluzionarie. La maturazione, infatti, e’ un processo in genere lento (come si dice ”nessuno nasce imparato”: Michelangelo senza le mani e senza l’umilta’ di imparare ad usarle su marmo e pareti non sarebbe stato Michelangelo; la gavetta e’ importante ed irrinunciabile, come l’umilta’: parola di neofita che ogni volta trova errori tremendi nella propria scrittorucola!).
Ciao ciao
Sergio
@gianni Parlato:
se “leggere” ha il senso di legarmi al pensiero altrui, mi sta bene. Poi,però, quel pensiero lo metabolizzo e lo ri-scrivo. Ritorno al detto, in modo altro e poi in altro modo. Senza fine. Ed é ciò che quotidianamente avviene.RICERCA. Il certo é che quel pensiero non lo giudico mai. Ciao. Lucia
Caro Sergio, cerco di sintetizzare(sperando che ci riesca)…
Secondo me vanno rispettati tutti gli ‘stili’, e non volerne imporre soltanto uno. Se qualcuno ascolta solo musica classica, perchè convinto che quella sia il “top”, vuol dire che non è un mero appassionato di musica. E se la musica si fosse fermata lì (ensa un po’) non avremmo conosciuto il rock, il jazz, il pop e tutto il resto(come c’è chi ha sperimentato musica senza melodia). Insomma, l’arte è prima di tutto espressione dell’artista(secondo me)e nel suscitare emozioni a qualcuno, trova il suo “compito”(alle quali seguono riflessioni, elaborazioni, processi e tutto il resto non solo emotivo). Quindi ci sono i gusti : tu potresti trovare avvincente un libro ed io invece palloso ; io potrei trovare esaltante un altro e tu schizofrenico, e così via…
Per quanto riguarda Michelangelo(che adoro), pure lui aveva le sue ‘altere’ critiche : addirittura gli accusavano di non ‘riempire’ i quadri!…
Penso che chi è preso dall’arte, sicuramente è estasiato da una sua forma specifica(che sia letteratura, pittura, ecc…), e se preso più da uno stile anzichè da un altro -se apprezza l’arte nella sua natura- riconosce il ‘seme’ pur non apprezzando la ‘foglia’. Poi di errori ne commenttiamo tutti : artisti e non, professionisti e non. Ma forse, è proprio quel ‘difetto’ che ci inoltra nella fantasia e l’immaginazione; proprio come l’amore : immaginiamo una “famme fatale” perfetta, e poi c’innamoriamo della donna che sembra avere dei difetti di carattere “detestanti”(perchè, forse, più ci fa confondere in tutt’uno odio e amore?).
Il mio difetto, tra i tanti, è che a volte sono convinto di essere sintetico ma proprio non mi viene(anche se l’avevo promesso, anzi sperato). E con questo, non sto facendoti nessuna proposta ‘seducente'(non mi fraintendere).
Per quel che riguarda la gavetta, bè, io penso che quella non finisca mai(nemmeno quando ci si sente arrivati) ; altrimenti, è solo l’inizio della fine della creatività.
Non so se sei d’accordo, ma non pretendo questo da nessuno. Condividere passioni non significa trovare il “professore” o l’accordo, ma cercare lo scambio(perchè “nisciuno nasce ‘mparato”(visto? se non conoscevi il napoletano, nonostante tu non lo sia…)e “l’unica cosa che so, è di non sapere niente”.
–
Comunque non mi riferivo a te, ma ne ho approfittato e ti ho ‘usato’ da strumento per la diatriba(altro mio difetto…).
Un caro saluto
@Lucia Arsì…
Perfetto. Hai saputo ben “leggere” quello che ho scritto.
Mi sei simpatica.
Bellissima questa citazione di Amos Oz: «Ove parole piene di odio vengano brandite come un’ascia, non tarderà a fare la sua comparsa la vera ascia. Lo scrittore può essere il vigile del fuoco del linguaggio, o almeno il rivelatore di fumo. Può e quindi deve».
La faccio mia, ringraziando chi l’ha “postata”.
@Sergio Sozi
nulla da eccepire se qualcuno tenti di persuadermi.Ma il linguaggio suadente si carichi di fascino grazioso e di costruttiva intelligenza( Peitho era sempre ccompagnata da Afrodite e da Atena).Oggi la comunicazione, il cui senso stimola al cum ossia allo stare insieme,é stata defenestrata dall’imbonitore, l’uomo qualunque che mercifica ogni sillaba.Un esempio:qualcuno, in questo post, ha scambiato il banale raccontino storico per la historia(quella che tratta delle nostre vite, del nostro fu),scritta da occhi obiettivi e profondi.Al modo dell’imbrattatore che crede di essere artista. Quanta trada! L’anonimo autore del SUBLIME diceva che doti essenziali perché sia l’ARTE sono:pathos e techne.Chi non ha studiato(pubblicamente o per conto suo)la grammatica(il linguaggio contemporaneo e antico per cogliene attraverso gli etimi la significanza originaria)e chi non é carico di PASSIONE(sconvolgimento)non può assolutamente operare,quanto dire produrre opere d’arte(ars significa agire con le mani e con la testa). Per il resto ti risponderò.Ciao Lucia
Ciao Massimo,
per l’ennesima volta hai apparecchiato la tavola con un menù a dir poco succulento!!(ehm, è quasi l’ora di pranzo..mi si perdoni la similitudine).
Intervengo a proposito della citazione di Amos Oz, perchè, senza nulla togliere alla grandezza dell’autore, non la condivido.
Intendiamoci, quando Oz sostiene che “dovere dello scrittore è onorare la propria responsabilità verso il linguaggio, dunque denunciare il linguaggio portatore di violenza o di aggressione” penso che si riferisca alla scrittura di narrativa, o di poesia, che dovrebbe essere anche l’oggetto della discussione, sul “compito” dello scrittore.
E’ scontato che, nel caso in cui allarghiamo il contesto dello scrivere a qualunque tipo di testo (fosse pure un comunicato di Hamas piuttosto che delle B.R.), le parole di Oz vadano condivise.
Ma, se restringiamo il focus sulla letteratura, allora quelle stesse parole pongono, a mio avviso, dei vincoli di espressione, delle censure inaccettabili.
Come si fa a stabilire quanto una parola, una frase, un racconto, una poesia, un romanzo sia pieno d’odio? Come si fa a stabilire qual è il limite massimo di odio esprimibile in un testo? E come si fa ad esser sicuri che da quel testo scaturisca necessariamente un’azione violenta?
Lasciamo perdere gli estremi tipo il Mein Kampf, rimaniamo sulla letteratura, accettando l’idea di Oz quanti libri dovremmo cassare?
E, con lo stesso principio, per dire, non dovremmo probire tutti i libri che descrivono uno stupro, perchè potrebbero ingenerare altri stupri? Dovremmo bruciare American Psycho perchè stimola alla violenza?
Vero che Oz dice: «Ove parole piene di odio vengano brandite come un’ascia…” ma questo brandire le parole piene d’odio non è ascrivibile alla responsabilità dello scrittore, perchè, tornando all’esempio American Psycho, se uno dopo averlo letto impazzisce e attua le imprese del protagonista mica posso imprigionare Bret Easton Ellis.
A mio parere lo scrittore, come dice Oz, può e deve essere il “rivelatore di fumo”, ma non limitando la propria scrittura, vigilando su di essa, piuttosto avvicinando il lettore alla verità di quel fumo con le proprie parole.
Oh, con tutto il rispetto per Amos Oz…
Paolo
A proposito di “poiein”,arte. Torno ad un papiro scoperto trent’anni addietro e messo in circolazione solamente nel 2006( nel fondo c’é sempre un interesse economico). Si tratta del Papiro di Deveni,risalente a 2400 anni addietro, trovato nel nord della Grecia, dentro un sepolcro, scritto in greco di cui riporto un frustolo: poetare é dire e dire é insegnare.In summa l’artista della parola ha una funzione: trasmettere la sua parola che inevitabilmente é pedagogica.Lucia Arsì
@Sergio Sozi
……e se ti umanizzi comprendi che la felicità é a scapito della conoscenza, perché conoscere é quasi morire( a meno che tu non abbia la forza di urlare sì alla vita comunque la viva). Cosa intendo?Da quel barlume di luce coscenziale che irradia la nostra mente arriva la consapevoleza di ciò che siamo: genìa effimera(limitata nel tempo) e vile, pretenziosa a voler sapere ciò che sarebbe vantaggiosissimo non sapere,che la cosa migliore sarebbe non essere nati.Ergo:come si può gustare la felicità quando sai, scopri, ascolti quotidianamente delle migliaia di persone prossime alla morte?E sai inoltre che lo statuto umano si basa sul dolore? Aggiungo che personalmente sto bene ,ma non sono un’egoista. Lucia
– Paolo Cacciolati pemme American Psycho andrebbe cassato perchè è una stronzata sopravvalutata, che simula profondità per cedere in masturbazioni, in senso relativamente metaforico. Se istigava alla violenza era già na’ cosa:)
Almeno per me è importante distinguere il dovere dell’ uomo in quanto uomo dal quale derivano una serie di necessità etiche nel caso in cui l’uomo di mestiere fa lo scrittore. Ma le occasioni sarebbero le stesse nel caso in cui facesse un altro mestiere, perchè l’etica è pervasiva. La differenza, in termini di responsabilità la fa eventualmente il potere acquisito: è diverso se gino dice ” prendi a calci tutti l’omini con la pelle nera” che se lo dice Cota, ahimè, o se lo dice uno scrittore.
Ma aldilà dell’umano, se penso allo scrittore in specifico, no – non deve niente. Può soltanto. L’estetica viaggia su altri binari, e rientra nel continuum della seduzione. Se lo scrittore dovesse egli non creerebbe mai. Copierebbe. Perchè se poi confrontiamo i nostri doveri estetici, ci scontriamo con la relatività delle nostre prospettive. Il che è facile da individuare, non tanto pensando ai doveri, e non tanto pensando a chi li viola, ma pensiamo per esempio ai nostri personali metri di giudizio che ci fanno dire. Questo scrittore è buono ma è buono adesso. E questo scrittore è ottimo, perchè è metastorico.
Zaub, American Psycho una stronzata sopravvalutata? AMERICAN PSYCHO UNA STRONZATA SOPRAVVALUTATA??? AMER…
ma sì, può essere, del resto mica l’ho citato per elogiarlo,
del resto mi piaci di più quando scrivi così,
piuttosto che quando parli di continuum della seduzione, ti ho mica tanto capito..;-)))
Paolo
Paolo … So stata troppo incisiva eh? diciamo “per me”, ecco per me. Che me lo son letto tutto eh, e anche con certo senso di gradimento, almeno le peime 150 pagine, poi a un certo punto mi sono sentita un po’ presa per i fondelli. E ho sentito una profonidtà facile. Un moralismo di quart’ordine con qualche descrizione graziosa. Per me Ellis ci prova, ma è Palahniuk che ci riesce.
Per il resto, forse se dicevo de gustibus era mejo:)
“Ellis ci prova, ma è Palahniuk che ci riesce” lo sottoscrivo, pure con lo svolazzo…
Cara Lucia Arsi’,
premetto che con te mi sento di colloquiare con le dovute intensita’ e comunanza d’intenti. E’ bello, insomma, questo carteggio, bello e utile – dulcis et utile. Sul dolore… be’, ne parlero’ dopo – sto per uscire di casa per lavoro, insegno l’italiano a Lubiana presso scuole private e l’IIC lubianese. Intanto ricopio qui sotto una tua affermazione che faccio del tutto mia:
–
”L’anonimo autore del SUBLIME diceva che doti essenziali perché sia l’ARTE sono:pathos e techne. Chi non ha studiato (pubblicamente o per conto suo) la grammatica (il linguaggio contemporaneo e antico per cogliene attraverso gli etimi la significanza originaria)e chi non é carico di PASSIONE (sconvolgimento) non può assolutamente operare,quanto dire produrre opere d’arte (ars significa agire con le mani e con la testa).”
–
Cosa aggiungere, Lucia? Niente: hai detto la ”parola” finale. Grazie.
–
Sul dolore universale (weltschmerz) di cui hai trattato nel commento successivo non la pensiamo ugualmente: io sono cattolico – e paganeggiante! – e dunque considero l’uomo pieno della natura e di Dio, degli dei anche; non vuoto, l’uomo, noi, dunque, ma pieno e meritevole di bellezza, di cultura, di sublimazione e di amore. Di arte insomma, in sintesi. La vita va salvaguardata e valorizzata, non prima cancellata e dopo (rim)pianta. Io amo la vita in tutte le sue forme e mi inchino ad essa finche’ non diventa foriera di morte e dolore, di cattiveria. Comunque l’amore muove anche me, insieme al ”sole e l’altre stelle”. Noi siamo stelle che devono rinnegare la piu’ bella fra loro: Lucifero. Per questo esisto e faccio quel che faccio. Amore. Affinche’ divenga gioia e vita bambina.
Ciao cara, grazie di tutto
Sergio
P.S. Per Lucia Arsi’
Dunque per noi uomini esiste una altra via, oltre alla rassegnazione alla morte: la fede nell’eternita’ e la lotta per far vivere bene gli altri. L’amore si trasmette ed e’ la nostra unica chance per superare l’egoismo: far vivere meglio gli altri uomini grazie al nostro amore per loro. Amore vero: critico, profondo, virile, non superficiale, certo – non mi riferisco a te, naturalmente ne’ ad altri qui presenti, ma parlo in generale. Amor omnia vincit – anche la guerra e la morte fisica.
quindi l’amore gay non è amore? *Dunque per noi uomini esiste una altra via, oltre alla rassegnazione alla morte: la fede nell’eternita’ e la lotta per far vivere bene gli altri.* e come faccio a vivere bene se il mio amore gay è considerato non vero? e gli scrittori atei? e poi che c’entra con il compito dello scrittore? mi piacerebbe capire.
Cari
Mi sono imbattuto per caso in questo blog e una fiumana di parole e pensieri mi ha letteralmente sommerso.
Una gran confusione si è impossessata della mia mente.
Da millenni mi chiedo chi sia lo scrittore o l’artista e se tento risposte mi si annebbia la vista (la rima è del tutto involontaria, non sono poeta o artista, ma, finalmente! ho compreso quali siano gli ingredienti per fare un’opera d’arte!)
Ho la vaga impressione, così a lume di naso, che ognuno promuova se stesso. Niente di male, anzi tutto bene.
In questo marasma ho notato troppe astrazioni, troppe elucubrazioni mentali, e decisamente troppi luoghi comuni, dall’essere gay, ai compiti assegnati allo scrittore, all’intellettuale e via discorrendo.
Io sono un transfuga da altri lidi di conoscenze (mai potrei dire di avere cultura su… perché onestamente non ce l’ho.)
Se proprio volete sprecare energie, e sarebbe già molto bello, perdonate se da transfuga mi permetto, prendete 10 versi, un breve racconto ( magari mai scritto!!!! Solo quello è perfetto!!!! Scusate, volevo allentare la tensione) o che so io, che mai hanno visto la luce e vivono nel limbo di tanti cassetti, schiaffatelo lì e ognuno dica la sua….
Renderete un servizio all’aspirante scrittore, mentre per il recensore… qui si vedrà la sua nobilitate.
E, comunque, per finire, vi esorto a non scomodare il Giove tonante per sottrargli fulmini e tuoni da scagliare contro di me. Non vale la pena! Sono un transfuga, come già detto, e provengo da mondi altri.
E comunque qualche volta tornerò a sbirciare. Un grande abbraccio a tutti
B. Ipsilon
mmh… non credo che lei, benedetto, sia quello che dice di essere. e non credo ci sia capitato per caso.
e ora? improvvisamente la moderazione? ma è per tutti o solo per me?
il compito dello scrittore deve essere condiviso quando scrive in rete, per esempio?
Dalle interessantissime critiche e commenti letti in questa rubrica, mi viene di inviare queste mie riflessioni sul comunicare:
Alla domanda cosa sia l’impresa più difficile da affrontare, risponderei: iniziare un colloquio e ancor più un rapporto con il prossimo.
Alla richiesta di una spiegazione, risponderei che il colloquio comprende il rischio di venire frainteso e sfruttato.
Inoltre, sono più disposto a riconoscere i difetti degli altri che i propri, ad eccezione di quando servano ad evidenziare i propri pregi, che altrimenti verrebbero difficilmente riconosciuti.
Nel colloquio rischio di denudarmi, di venire utilizzato per gli scopi degli altri, che poi si onorano di essere più abili e intelligenti.
Eppure, esistono tante forme d’intelligenza, quante le presuntuosità che le sostengono.
Esiste quindi quella dei furbi, oppressori, malvagi, distruttori, ma anche dei benefattori, umili, dormienti, e così via.
Essa è la capacità di svolgere l’attività che si vuole svolgere.
La superficialità ha molti volti, mentre la serietà ne ha uno solo.
La prima è fantasiosa e attira sempre di nuovo, la seconda stanca presto, annoia e crea indifferenza in coloro che preferiscono vivere per stare bene, invece di cercare di comprendere cosa significhi vivere.
Nella prima do agli altri la colpa del vuoto che lascio e degli insuccessi personali, mentre nella seconda ho sempre molto da fare perché ritengo di aver fatto poco e gli errori riscontrati vengono prima cercati in me stesso e solo dopo anche negli altri.
Cari saluti.
Lorenzo
@lorenzerrimo: concordo. I rapporti, il relazionarsi con gli altri che a prima vista può apparire così semplice è invece tremendamente complesso. Si teme di scoprirci, soprattutto di far uscire i nostri difetti, circostanza di cui l’altro potrebbe avvantaggiarsi. E’ il frutto purtroppo di un mondo in cui l’unico scopo di vita è di raggiungere il successo con qualsiasi mezzo, così che gli amici di ieri diventano di colpo nemici e i nemici di oggi domani saranno amici. E’ un gioco pericoloso, in cui tutto è consentito e al vinto non è riservata nemmeno la pietà.
D’altra parte quando non esistono valori i sentimenti sono semplici esternazioni di convenienza e null’altro.
Non vedo un futuro roseo, ma sinceramente spero tanto di sbagliarmi.
[…] Non ho mai amato l’atmosfera delle case di correzione e non accetto che me la si applichi.
Lo ripeto, a guidarmi non è l’orgoglio letterario dello scrittore che vuole piazzare e veder pubblicato il suo prodotto. Sono i fatti che racconto che voglio che nessuno ignori, i gridi di dolore che lancio e che voglio siano sentiti.
No io, Antonin Artaud, no e poi ancora no, io, Antonin Artaud, non voglio scrivere se non quando non ho più niente da pensare. Come che divori il proprio ventre, da dentro.
Sotto la grammatica si nasconde il pensiero che è un obbrobrio più difficile da battere, una vergine molto più renitente, molto più difficile da superare quando lo si prende per un atto innato.
Perché il pensiero è una matrona che non è sempre esistita.
E che le parole gonfie della mia vita si gonfino nel vivere dei bla-bla dello scritto.
Io scrivo per gli analfabeti.
Tratto da Antonin Artaud: Pour les analphabètes, Stampa Alternativa
@ Gianluca
l’amore, quello per il quale si rinuncerebbe alla propria vita, non conosce confini, uguale come la società la pensi. Non è infine il tuo amore e non quello di un altro?
Devi essere sempre fiero di viverlo in serietà d’intenti e credo, perché solo così si può mutare nel tempo anche l’atteggiamento della società.
La natura è svariata nelle sue manifestazioni e l’amore, quello vero, ne è la sua migliore espressione, ma anche l’amore debole rispecchia la natura, con la differenza che svanirà facilmente e non darà frutti.
La natura è la madre che ci crea e forma, che ci sostiene ed induce a ravvederci, ma anche punisce e condanna.
Essa va riconosciuta e sostenuta, affinché da madre non si tramuti in matrigna, abbandonandoci nello stato d’incoscienza, invece di elevarci verso il divino e la salvezza.
Saluti.
Lorenzo
sì… ma io non credo nella distinzione tra natura matrigna-incoscienza e nemmeno al divino. non credo che la natura condanni, semmai è l’uomo e la cultura che condanna, generalizzando sulla base di dogmi che rassicurano. non credo esista un amore vero e uno falso. del mio amore non vorrei essere fiero, cioè dovrebbe essere scontato che sia amore. invece non è così, non è scontato. ma non è colpa mia, è colpa di esseri umani che possono avere il diritto di giudicare cosa è giusto e cosa non lo è facendo leva su assiomi. in questo senso il ruolo dello scrittore è far aprire gli occhi alla gente, far capire che a volte una favola si trasforma in un pretesto assurdo per fare una guerra in onore di hallah, per esempio, o per creare gabbie di tolleranza. lo scrittore deve lottare contro l’oscurantismo, e io vedo che in questi anni ce n’è tanto. ed è un oscurantismo ottuso.
tra l’altro credo che anche la tecnologia possa essere madre.
saluti.
@ Renzo Montagnoli
dalla nostra concordanza riscontrata in questa rubrica, credo che siamo sulla stessa frequenza, almeno in linea di massima. Con riguardo al futuro, è sempre necessario riflettere sul come affrontarlo meglio, ma non sta a noi di giudicare il corso della storia umana, bensì di vivere nella coscienza di aver almeno tentato di trovare una connessione con la spiritualità, intendo con la propria, perché allora sì che qualunque fine sarà la sapremo affrontare con dignità e coraggio.
Saluti e grazie della conversazione.
Lorenzo
Non ho molto tempo per intervenire, ma ho capito una cosa molto importante: la responsabilità dello scrittore, la responsabilità di quel che viene comunicato. Motivo: il lettore identifica quel che legge con chi lo ha scritto ed è quindi molto (ma molto importante) – forse impossibile – separare lo scritto dal suo autore, forse solo il distaccato dovere di cronaca… ma anche lì … il giornalista è un opinionista, la coscienza critica non potrebbe fare altrimenti.
ciao
@ Gianluca……..No io, Antonin Artaud, no e poi ancora no, io, Antonin Artaud, non voglio scrivere se non quando non ho più niente da pensare. Come che divori il proprio ventre, da dentro.Sotto la grammatica si nasconde il pensiero che è un obbrobrio più difficile da battere, una vergine molto più renitente, molto più difficile da superare quando lo si prende per un atto innato.Perché il pensiero è una matrona che non è sempre esistita.
E che le parole gonfie della mia vita si gonfino nel vivere dei bla-bla dello scritto.Io scrivo per gli analfabeti.”
Queste parole veramente mi toccano l’anima!Dato che la “vera lingua”, quella non manomessa e pertanto naturale, é la lingua mitica mediterranea, quella dei racconti archetipici, poi minacciata e depennata dalla religione della logica, quella socratea, volta a conoscere la ragione dell’essere di ogni cosa.Si é trattato, a mio modesto avviso, di una giro di vite, nel corso dei millenni, a favore della funzione “ragione”a discapito della naturale semplicità e ci stiamo perdendo in un ordinato disordine. Si tratta di pensare con il cuore caldo e non con la ragione fredda.Con simpatia, Lucia Arsì
ancora a Gianluca: chi mai ha asserito che l’amore gay non é vero? Se la forza d’amore t’illumina, ti stordisce, t’invischia, ti avvince, ti soffoca, t’inebria, contorce le tue budella quando sei con chi ti offre tali opportunità inebrianti,chi potrebbe asserire che quell’amore non sia vero, almeno per te?Dato che la verità é una ricerca infinita, durante la quale il togliere il velo é altrettanto importante che il rimetterlo, per poi svelarsi. Ciao. Lucia
@Lucia e Gianluca
perchè non fate un salto nella Camera accanto(7)? Ho lanciato un input, mi piacerebbe sapere la vostra(sperando che il Maugeri non pensi che mi stia allargando…).
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–
Amore “vero”, amore “falso”, amore “forte”, amore “debole”… E quello che paga i conti?
Forse sarà per questa confusione, che sono restio a dire “ti amo”? Eh già…uno dice e l’altro “interpreta”.
Meglio tacere…
Mi rivolgo a chiunque non mi conosca:
io non sono qui per discutere in generale di altre cose; sono qui solo perche’ questo e’ un blog letterario, quindi reputo implicito parlare di Letteratura. Se ho parlato di ”amore” era implicito dunque che intendessi ”l’amore che prende delle forme letterarie”. Io faccio cosi’, ognuno faccia come crede, sono affari che non mi riguardano.
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Lorenzo caro, hai detto una cosa stupenda, la ripeterei per tutti:
”La superficialità ha molti volti, mentre la serietà ne ha uno solo.
La prima è fantasiosa e attira sempre di nuovo, la seconda stanca presto, annoia e crea indifferenza in coloro che preferiscono vivere per stare bene, invece di cercare di comprendere cosa significhi vivere.
Nella prima do agli altri la colpa del vuoto che lascio e degli insuccessi personali, mentre nella seconda ho sempre molto da fare perché ritengo di aver fatto poco e gli errori riscontrati vengono prima cercati in me stesso e solo dopo anche negli altri.”
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Ciao
Sergio
Cara Rossella, vorrei risponderti in breve, dunque ti cito:
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”il lettore identifica quel che legge con chi lo ha scritto ed è quindi molto (ma molto importante) – forse impossibile – separare lo scritto dal suo autore, forse solo il distaccato dovere di cronaca… ma anche lì … il giornalista è un opinionista, la coscienza critica non potrebbe fare altrimenti.”
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Modesta opinione personale: quel lettore che non riesca a distinguere lo scritto dall’autore non sa nemmeno l’abbicci’ di questa arte. L’uomo non si identifica sempre nei suoi prodotti – sia artistici che d’altro tipo – anzi spesso un romanzo e il suo autore sono due rette parallele. L’uomo ”di per se”’, infatti, va rispettato ed amato sempre, i suoi prodotti invece spesso sono pessimi e poche volte ottimi. Scindiamo, valutiamo, confrontiamo. Creiamoci, appunto, una coscienza critica rispetto alle azioni umane. Ma amiamo l’uomo in se’ – o almeno proviamo a farlo quando ce ne siano le condizioni.
Ciao ciao
Sergio
@Lorenzerrimo:” Con riguardo al futuro, è sempre necessario riflettere sul come affrontarlo meglio, ma non sta a noi di giudicare il corso della storia umana, bensì di vivere nella coscienza di aver almeno tentato di trovare una connessione con la spiritualità, intendo con la propria, perché allora sì che qualunque fine sarà la sapremo affrontare con dignità e coraggio.”
E’ proprio così. E la ricerca di quella spiritualità che c’è in noi porta a un dono prezioso: la serenità, non temporaneo come la felicità, ma costante e che ci porta a vedere le cose come prima non le avevamo mai viste.
Caro Sergio,
su “autore e opera” amo citare questo brano di Borges, tratto da “Frammenti di un vangelo apocrifo”:
***
“Non giudicare l’albero dai suoi frutti nè l’uomo dalle sue opere; essi possono essere peggiori o migliori di quelli.”
***
Buonanotte,
Gaetano
Caro Gaetano,
grazie mille per questa citazione borgesiana, che pero’ purtroppo, nonostante la sua bellezza, resta a mio avviso non risolutiva del nostro cruccio. Certo, bisogna esser prudenti, dice Borges, solo che anche il giudicare fa parte della natura umana, e’ parte inscindibile di noi. Dunque ci resta da scegliere se giudicare i pensieri o le azioni. Io sono dell’avviso che le azioni siano giudicabili, perche’ hanno conseguenze sull’esistente, sugli altri uomini, sulla natura eccetera, e l’uomo no. La legge appunto fa cosi’, mi pare: non ti dice: ”Tu rapinatore sei un uomo sbagliato” ma ”Tu uomo hai fatto una azione sbagliata e per questo ti mando in galera per impedirti di danneggiare gli altri e spingerti al ravvedimento” (ovviamente ho portato agli estremi la cosa, la realta’ normale e’ molto meno drammatica, per fortuna, e contempla molte sfumature).
–
Ciao, Buonanotte, caro
Sergio
P.S. Per Gaetano
…o forse Borges ha detto proprio quel che dico io? Magari non ci ho capito niente, eh eh eh… eeeh: sono un po’ stanco a quest’ora, scusami se ho poco ”comprendonio”, Gaeta’.
Mmmmh… rileggo e faccio esegesi: ”Essi” e’ riferito da Borges all’ ”uomo” e all’ ”albero” (allegoria umana) e ”quelli” ai ”frutti” e alle ”opere”. Se fosse cosi’, avrei finalmente capito che Borges, qui, in quest’opera che non ho letto, mi darebbe ragione. Fiuuu!
@Massimo: che te ne pare della provocazione di Benedetto Ipsilon….se proprio volete sprecare energie, e sarebbe già molto bello, perdonate se da transfuga mi permetto, prendete 10 versi, un breve racconto ( magari mai scritto!!!! Solo quello è perfetto!!!! Scusate, volevo allentare la tensione) o che so io, che mai hanno visto la luce e vivono nel limbo di tanti cassetti, schiaffatelo lì e ognuno dica la sua….
@Gianni Parlato…appena ho un attimo di riposo, darò una sbirciatina…
@SergioSozi, a proposito di uomo…
a mio avviso non esiste l’uomo in assoluto, quell’invisibile valore che trascende il sic et nunc; esiste l’essere terreno che mi sta accanto dotato di energia( se c’é)fisica e mentale, il quale si porta dietro, nel DNA, tracce di vissuto degli antenati(io, ad esempio, ho la fobia per gli animali, e così i miei fratelli e mio padre),cui aggiunge il Suo. Senza la memoria del già, io non potrei scrivere una riga.L’uomo e non l’astratto, ossia tu che hai la genialità della scrittura, il pittore che ama i colori, etc, l’uomo reale non é mai autoreferenziale,agisce perché carico di fede che ricordo é certezza delle cose sperate. L’uomo non qualunque ha certezze che mette in campo e si spende sempre per gli altri.Essere incompreso,svilito, provocato fa parte del gioco vitale. D’altra parte le muraglia-condizionamenti simboleggianogli confini da non valicare, da cui tabù e idiosincrasie.La domanda:salvare l’uomo o chi mi sta accanto? Ciao. Lucia
@ Sergio e Gaetano e tutti quanti
sai meglio di me che il mestiere dello scrittore è molto delicato come tutto quello che va in pasto alla pubblica opinione. Massimo Maugeri ha prontamente colto l’occasione per approfondire il discorso della responsabilità della scrittura introducendo leggi e legalità, ma è d’obbligo metterci dalla parte di chi legge, di chi guarda e di chi ascolta, valutare che l’oggettività della coscienza critica non nasce prontamente, spesso si forma con processi di metabolizzazione e dopo un pò di tempo.
Ma non è di questo che voglio parlare, quanto di una subdola trappola che la stessa informazione chiamata “dovere di cronaca” può tendere in senso inverso a quanto propone. Mi spiego meglio.
Molto spesso l’opera d’arte, lo scritto, la verbalità di chi vuol mettere in mostra determinate problematiche in nome della “verità” a tutti i costi da affrontare, finisce con il rafforzare quel che inizialmente dice di combattere, approdando ad risultato contrario dello stesso dovere di sensibilizzazione d’opinione pubblica.
Quando la cronaca è troppo faziosa non finisce per saturare il lettore ed invitarlo ad entrare in campo opposto, della serie prendo una boccata d’aria dall’altra parte?
Questo bisogno di “dire” che oggi hanno un pò tutti con la penna e i pennelli in mano, non credi che sia il segnale di una mancanza di contenuti reali da proporre e che finisce per produrre chiari risultati come curve sud e curve nord da stadio, davvero poco culturali?
Tutti vogliono stupire, scandalizzare, non riescono ad abbassare i toni, sarà che forse prendono dosi massicce di viagra….che si dimenticano pure di parole come privacy, buon gusto, educazione, codici e regolamenti deontologici, ho anche la sensazione che si sia scambiato il concetto di diritto con l’esibizionismo adrenalitico che provoca soddisfazione in chi lo produce, insomma la responsabilità comprende anche riflettere sul fatto che al mondo siamo in tanti e tutti diversi, i bambini hanno una sensibilità differente dagli adulti, per esempio e che anche fra gli stessi adulti ci sono provenienze multiculturali svariate e che la tolleranza ha significati profondi.
ciao
Rossella
Lucia,
secondo me: salvare l’uomo che sta dentro l’uomo che ho affianco – ovverosia quello che hai descritto tu.
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Rossella,
pienamente d’accordo con te. Di solito la scrittura di fantasia, diciamo quella meno realistica possibile, e’ proprio quella che non crea i controproducenti fenomeni di ”feedback” che hai citato tu: da un romanzo di Calvino non nascono ultras.
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Ciao ad ambedue
Sergio
@ Gianluca
La distinzione la facciamo noi, riflettendo sull’agire e reagire della natura e quindi anche di noi stessi.
Di seguito, anche la condanna viene assunta come tale da noi, e sempre quando da uno stato di irragionevolezza, anche quella sorta dai nostri sentimenti diventati eccessivi, non riusciamo a stabilire equilibrio e quindi armonia.
La natura è un conglomerato di energie seguenti calcoli non ancora riconoscibili e imitabili da noi, per cui rimaniamo tuttora a lei soggetti e bisognosi della sua grazia, o della fortuna propria quando non si credesse in lei.
In questo stato di subordinazione, abbiamo bisogno di regolamenti che regolino la convivenza umana. Il loro valore educativo e culturale dipende dalla maturità raggiunta dai membri della società, affinchè chi li emette non lo faccia per il suo tornaconto: quello di voler dominare e determinare il comportamento degli altri membri.
Tra i nemici del progresso sociale conto l’ignoranza, la povertà, la superficialità e la noncuranza verso i valori veri della vita che si riflettono specialmente sul nostro comportamento verso il prossimo; è da loro che sorge la dipendenza e l’opportunismo del singolo.
Un amore vero, cioè forte e sentito, crea anche la capacità di sopportarlo, anche quando richiedesse tutto; non si realizza quindi ancora nelle persone che non sanno chiaramente ciò che vogliono, che vivono alla giornata e per sé.
Eppure può sorgere anche improvvisamente e inaspettatamente; per esempio con l’avverarsi di un fatto a prima vista insignificante ma dopo determinante, o s’incontrasse una persona il cui carisma lo risvegliasse dal suo stato di letargia.
Ho scritto svegliarlo, perché credo che ogni essere lo abbia in sé nel suo inconscio, come desiderio sublime di essere capace di liberarsi dal suo egocentrismo, da poter capire che da solo rimarrebbe sempre la metà di un’unità assoluta da raggiungere.
Ogni aspetto della vita può essere benigno come maligno, quindi anche la tecnologia.
Più ci inoltriamo nella scoperta delle verità scientifiche e più responsabilità dobbiamo assumere, se non vogliamo essere distrutti da loro.
È quindi indispensabile crescere di pari passo con loro.
Saluti.
Lorenzo
@ Renzo Montagnoli
concordo e ringrazio
Lorenzo
@ Sergio
come vedi, pur non essendo un letterato enciclopedico, a volte riesco ad inviare riflessioni utili e brevi.
Grazie della tua bella notazione.
Cari saluti.
Lorenzo
Scusate il ritardo con cui intervengo qui, ma dovevo almeno un paio di risposte…
@ Paolo Cacciolati
Caro Paolo, grazie per essere intervenuto.
A mio avviso quella dichiarazione di Amos Oz («Ove parole piene di odio vengano brandite come un’ascia, non tarderà a fare la sua comparsa la vera ascia. Lo scrittore può essere il vigile del fuoco del linguaggio, o almeno il rivelatore di fumo. Può e quindi deve») non sono riferite alla letteratura o a testi letterari, bensì alla comunicazione umana in genere. In effetti, spesso, alle parole di odio fanno seguito atti violenti (e per questo è bene stigmatizzarle). Così mi è parso collegandomi al link fornitoci dall’amico che lo ha postato qui sopra:
http://www.sindacatoscrittori.net/comunicazione/news4/amosoz.htm
@ Lucia
Cara Lucia, mi domandi il parere sulla simpatica provocazione di Benedetto Ipsilon….
se proprio volete sprecare energie, e sarebbe già molto bello, perdonate se da transfuga mi permetto, prendete 10 versi, un breve racconto ( magari mai scritto!!!! Solo quello è perfetto!!!! Scusate, volevo allentare la tensione) o che so io, che mai hanno visto la luce e vivono nel limbo di tanti cassetti, schiaffatelo lì e ognuno dica la sua….
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Questa proposta non solo è fattibile, ma è… auspicabile.
Esiste uno spazio all’interno del blog – che si chiama “Iperspazio creativo” – che attende solo di essere sfruttato:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2006/11/02/iperspazio-creativo/
In effetti mi piacerebbe molto che venisse rilanciato.
ciao Lucia e ciao Lorenzo!
un abbraccio a entrambi!
un abbraccio anche a Massimo.
mi piacerebbe lasciarvi delle poesie o dei racconti sull’iperspazio…. naaa. meglio di no! sarò mica un kamikaze! 🙂
@gianluca
se lasci poesie su iperspazio(non ho mai visitato il sito) ti leggerò volentieri,anzi farò un’analisi testuale dettagliata.(chissà….potresti essere uno di quei geni incompresi!) Scherzi a parte, mi farebbe tanto piacere leggerti. Ciao. Lucia
Come si fa per provare a far recensire i libri di un piccolo editore da Satisfiction?
Gordiano Lupi
@lucia
un mio… amico ha lasciato delle ‘poesie’ su iperspazio. Ho cercato di convincerlo a desistere, perché non credo sappia scrivere. Lui ha voluto fare di testa sua. Un saluto 🙂
“In quanto scrittore, ho il dovere di interessarmi a tutto, sento parte della mia professione conoscere e capire ogni genere di persona e di gruppo”.
Queste parole di Steinbeck mi sembrano lo svolgimento più bello del tema “quali sono i compiti dello scrittore?” Saluti a tutti. Franca
SOS Ciao a tutti, il blog si è fermato al 22 novembre o non mi reputate all’altezza di stare con voi?
Benedetto Ipson