La libertà individuale, anche di espressione, trova argini nel rispetto altrui.
La suddetta frase la trovate all’interno di una nota dal titolo “Avvertenza” che trovate sulla colonna di sinistra del blog. Si tratta di una dichiarazione di principio in cui credo fermamente.
Sulla destra del blog, invece, all’interno dello spazio “Nota legale, Responsabilità, Netiquette” (sotto “Netiquette”) trovate scritto quanto segue:
“Letteratitudine nasce fondamentalmente come luogo di incontro. Per tale motivo si basa sui principii dell’accoglienza e della cordialità. Il creatore e gestore del blog ringrazia anticipatamente tutti coloro che, con i loro interventi, daranno un contributo a mantenere un clima di accoglienza e serenità.
Naturalmente, nell’ambito delle discussioni proposte, è ammessa la polemica… purché sia sensata, utile e costruttiva; ma sempre entro i limiti dell’assoluto rispetto di persone e opinioni.”
Ecco. Io questo blog lo intendo così.
Credo nei principii dell’accoglienza e della condivisione. E continuerò a crederci.
Ciò premesso, questo post ha una funzione di “servizio”.
Troppo spesso si interviene in Rete con l’errata convinzione di poter scrivere qualunque cosa, dimenticando che accanto ai diritti figurano… “responsabilità”.
Ebbene sì. Scrivere in Rete implica anche responsabilità di natura legale. Non tutti ne sono a conoscenza, e qualcuno talvolta – magari in buona fede – assume un comportamento che potrebbe dar luogo a gravi conseguenze.
E questo è un altro dei motivi per cui spesso intervengo per smorzare i toni. E per invitarvi alla moderazione.
Ho chiesto a Simona Lo Iacono, scrittrice e magistrato, dirigente del Tribunale di Avola (SR), di predisporre un intervento sul tema accennatovi.
Il fine è quello di poter fare chiarezza e soprattutto… informare. Credo sia importante. Per questo chiedo a tutti i miei amici blogger di aiutarmi a divulgare questo post.
Simona Lo Iacono risponderà alle vostre domande di natura tecnica (e lo farà avvalendosi della sua esperienza di magistrato maturata in undici anni di brillante carriera), mentre è invece invitata dal sottoscritto a non replicare a eventuali considerazioni di carattere politico o di altra natura.
Contestualmente avremo modo di discutere del Disegno di Legge Levi, il cosiddetto decreto “ammazzablog”.
Quello che propongo è un dibattito sereno, alla conclusione del quale ciascuno di noi avrà modo di trarre le proprie conclusioni.
Prima di lasciare lo spazio a Simona vi pongo una domanda.
A vostro avviso, quale deve essere (se ci deve essere) il limite della libertà di espressione, peraltro garantita dalla nostra Costituzione?
Vi ringrazio anticipatamente per la collaborazione.
Massimo Maugeri
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COMUNICAZIONE IN RETE. ONORE. REPUTAZIONE.
di Simona Lo Iacono
Il pensiero in rete.
Basta poco. Coincide con un click. Con la pressione sul tasto “invio”. Con la velocità di un guizzo sul mouse. Una misteriosa – e imperiosa – corrispondenza tra riflessione e visione.
Eppure.
Non esiste ancora una radicata coscienza giuridica del rilievo che le opinioni espresse in Rete possiedono. Della velocità con cui si propagano. Dei limiti che incontrano.
E ciò perché lo spazio virtuale viene percepito come un mondo di libertà. Possibilità. Fantasia. Uno spazio franco e di mezzo. Un accesso segreto alle – altrimenti – impossibili esplicazioni dell’anima.
La comunicazione in Rete assume molte vesti. Siti web. Chatline. E-mail. E, per ciò che più da vicino ci riguarda, newsgroup.
Il newsgroup è un’area virtuale dove si lasciano (si “postano”) messaggi per partecipare a forum di discussione su argomenti determinati. Collegandosi al newsgroup i vari partecipanti interagiscono come in una conversazione reale. Spesso rimandando “botta e risposta”. Esprimono le proprie opinioni e lanciano dibattiti.
I sociologi stimano il newsgroup una delle maggiori fonti di informazione specializzate, vista la comunanza di interessi tra i soggetti che lo frequentano.
I frequentatori infatti inviano i propri messaggi al server che – a titolo gratuito o a pagamento – ospita i contenuti ricevuti e li rende fruibili a chi vi ha accesso. L’accesso è gestito dal Webmaster che provvede all’amministrazione e alla gestione del sito, sovrintende al suo regolare funzionamento, si occupa di organizzare graficamente i messaggi ed, eventualmente, svolge funzioni di filtro sul contenuto dell’informazione.
Si tratta di tipologie “sociali” del tutto nuove e non ritualmente organizzate, prive di un codice di comportamento ma ispirate a regole di stampo consuetudinario, una sorta di “consuetudine telematica” (netiquette) che ha valore non giuridico ma “etico”. Le regole di queste “società virtuali” diventano però più pregnanti ove i newsgroup siano “moderati” da un soggetto deputato al controllo del contenuto dell’informazione, prima che sia resa accessibile ai partecipanti. In questo caso i frequentatori si attengono alle direttive impartite dal “moderatore” e “organizzatore” del sito.
Da un punto di vista giuridico però deve porsi assolutamente in rilievo che tali nuove forme di comunicazione rientrano a pieno titolo nella nozione di “ogni altro mezzo di diffusione” dell’art. 21 della Costituzione nonché nella previsione dell’art. 10 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo che garantisce la libera manifestazione del pensiero.
Tale libertà – in quanto esplicazione primaria della personalità dell’individuo – può trovare un limite e un contemperamento solo nel rispetto dell’altrui libertà e nell’altrui esplicazione della propria personalità. Ecco perché anche in Rete – e soprattutto in Rete – deve essere riconosciuto il pieno rispetto dei diritti della persona: il diritto al nome, all’immagine, all’onore, alla reputazione, alla riservatezza e all’identità personale.
Se Internet infatti è, per eccellenza, il luogo della democraticità e della libertà, di contro possiede caratteristiche quali la sua ATERRITORIALITA’ E VELOCITA’ che consentono una maggiore lesività (rispetto ai mezzi tradizionali) sull’onore e la reputazione altrui.
Le casistiche giudiziarie dimostrano infatti che la percezione collettiva di una ingiuria o una diffamazione a mezzo Rete ha un’incidenza sul soggetto leso pressoché irrimediabile e irreversibile, proprio per l’impossibilità di riparare a un danno che non ha limite spaziale né temporale.
Ciò che maggiormente può essere compromesso in rete sono infatti i “classici” beni dell’onore e della reputazione, come già riferito. È noto che si tratta di due beni della persona che hanno ricevuto giuridico riconoscimento sin dalla tradizione romanistica e che il legislatore penale del 1930 si è preoccupato di tutelare adeguatamente, costruendo i due reati di ingiuria (art. 594 c.p.) e diffamazione (art. 595 c.p.) proprio intorno alle due distinte nozioni.
Secondo l’opinione tradizionale, l’onore consiste nel sentimento che il soggetto ha di sé e del proprio valore, mentre la reputazione nel sentimento che di tale soggetto ha la collettività. Mentre il primo viene leso solo in caso di offese rese in presenza del destinatario, il secondo può essere leso solo in caso di offese fatte in presenza di altri: la presenza del destinatario segna dunque il confine tra le due figure di reato.
Si tratta in entrambi i casi di comportamenti ben configurabili in Rete, ove semmai, data la aterritorialità sopra indicata, il problema riguarda la difficoltà di stabilire quale sia il tribunale competente a decidere (difficoltà superata da alcuni tribunali di merito – cfr. Lecce – con il luogo in cui è ubicato il server).
C’è ancora da rilevare che la condotta antigiuridica sopra evidenziata – e spesso perpetrata a mezzo stampa – in Rete assume gravità assai maggiore. Non solo, come si è detto, per la velocità di diffusione del mezzo, ma altresì per l’impossibilità di applicare alla Rete le scriminanti del diritto di cronaca. Infatti il diritto di esprimere il proprio pensiero in Internet e di diffondere informazioni – se espresso da un privato in newsgroup – non è assimilabile all’esercizio del diritto di cronaca, non essendo svolto da un soggetto – il giornalista – che esercita una attività di natura professionale.
La partecipazione a newsgroup invece si caratterizza per occasionalità e può essere svolta anche da tipologie di persone che non svolgano attività giornalistica in modo professionale.
Deve infine osservarsi che la condotta di diffamazione ha rilevanza anche civilistica e – anzi – ha un campo applicativo anche più vasto della fattispecie penale. Infatti in sede civile da un lato assumono giuridico rilievo, ai fini risarcitori, anche le condotte diffamatorie colpose (mentre in penale solo quelle dolose), dall’altro la lesione alla reputazione si ritiene perpetrata anche se l’offesa è avvenuta comunicando con una sola persona e anche se il fatto si è verificato a seguito di provocazione (che, in ambito penale, opera come un’esimente che esclude la punibilità).
In conclusione: il mondo della Rete non si sottrae alle regole che disciplinano la tutela dei diritti della persona e, anzi, si pone come un campo privilegiato – data la sua diffusione e aterritorialità – per la perpetrazione di un danno irreparabile all’onore e alla reputazione.
Beni che da sempre costituiscono il corredo dell’individuo. Un patrimonio immateriale ed evanescente, forse. Ma in grado di assicurargli – o negargli – la felicità.
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DISEGNO DI LEGGE LEVI
di Simona Lo Iacono
Mettiamo un po’ d’ordine…
Le preoccupazioni relative al nuovo disegno di legge Levi hanno varie origini e diversi profili.
1. DDL e controllo da parte di un soggetto promanante dal potere legislativo ed esecutivo.
La preoccupazione maggiore (e che allarma particolarmente i giornalisti) riguarda l’iscrizione dei “soggetti che esercitano l’attività editoriale” al Registro degli operatori della comunicazione (Roc) su cui vigila l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Prima di comprendere chi sono i “soggetti che esercitano attività editoriale” e quali siano le conseguenze dell’iscrizione (o della mancata iscrizione) bisogna precisare che attualmente il sistema di registrazione è di spettanza del tribunale. Infatti l’articolo 5 della legge n. 47 sulla stampa dell’8 febbraio 1948, afferma che “nessun giornale o periodico può essere pubblicato se non sia stato registrato presso la cancelleria del tribunale, nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi”.
Il primo timore che è stato palesato è quindi quello relativo alla libera manifestazione del pensiero. Infatti il Registro degli operatori della comunicazione (Roc) è gestito, come sopra detto, dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (il vecchio “Garante dell’editoria” del 1981 diventato nel 1990 Garante dell’editoria e delle radiodiffusioni). L’Autorità è governata da 9 membri, che sono nominati secondo questo schema: 4 dal Senato, 4 dalla Camera, mentre il presidente “è nominato con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri d’intesa con il Ministro delle comunicazioni”. In nessun caso la nomina può “essere effettuata in mancanza del parere favorevole espresso dalle Commissioni parlamentari a maggioranza dei due terzi dei componenti”.
Si teme in sostanza che un controllo proveniente dal potere legislativo ed esecutivo comprima la libera manifestazione del pensiero in analogia a quanto avveniva nello statuto albertino. L’articolo 36 dell’Editto albertino stabiliva infatti che “chi intende pubblicare un giornale od altro scritto periodico dovrà presentare alla Segreteria di Stato per gli affari interni una dichiarazione in iscritto corredata degli opportuni documenti”.
2. Destinatari del controllo:
La seconda preoccupazione ha invece travolto il mondo della Rete poiché al controllo sono sottoposti i soggetti che svolgano attività editoriale anche on line.
Per attività editoriale si intende ogni attività diretta alla realizzazione e alla distribuzione di prodotti editoriali, nonché alla relativa raccolta pubblicitaria. L’esercizio dell’attività editoriale può essere svolto anche in forma non imprenditoriale per finalità non lucrative (art 6 ddl). E con ogni mezzo.
Tale articolo che tocca anche attività di natura non imprenditoriale e di natura non lucrativa va però – per ciò che attiene alla Rete – letto in combinato disposto col successivo art. 8 che così recita: sono esclusi dall’obbligo dell’iscrizione nel Registro degli operatori di comunicazione i soggetti che accedono alla rete internet o che operano sulla stessa in forme o con prodotti, quali i siti personali o a uso collettivo, che non costituiscono il frutto di un’organizzazione imprenditoriale del lavoro.
Leggendo queste due norme deve desumersi che:
mentre per l’attività editoriale svolta al di fuori dalla Rete il legislatore all’art. 6 ha previsto che il controllo debba estendersi anche a realtà non imprenditoriali e non aventi fini di lucro, per la Rete ha fatto un’esplicita eccezione rispetto a questa regola. Non sono quindi soggetti a controllo i siti personali o a uso collettivo (blog, newsgroup) che non costituiscano il frutto di un’organizzazione imprenditoriale del lavoro.
Sotto questo profilo il legislatore ha preso atto della libertà espressiva inerente la Rete con blog e altre forme collettive, e ha escluso che – ove non siano organizzate imprenditorialmente – debbano iscriversi al Roc.
Vale la pena sottolineare tuttavia che anche in tali sedi deve ritenersi applicabile la tutela penalistica e civilistica connessa alla tutela del diritto all’onore e alla reputazione, sia pure non nelle forme (aggravate) dei reati a mezzo stampa.
3. Cosa deve intendersi per attività d’impresa?
L’art 2082 cc afferma che è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni e servizi.
Da questa definizione desumiamo che perché ci sia impresa devono sussistere- in linea di estrema sintesi – i seguenti elementi:
1-un’organizzazione
2-la professionalità dell’imprenditore
3-l’economicità e lo scopo di lucro
Tali elementi devono sussistere contestualmente e sono quindi da escludere in seno a quelle realtà in Rete che – se pure possono vantare una forma organizzativa – tuttavia manchino dell’indispensabile requisito dell’economicità e dello scopo di lucro (intendendo per il primo la copertura almeno dei costi non potendo mai essere considerata imprenditoriale l’erogazione GRATUITA dei beni e dei servizi : Cass. 14-6-1994 n. 5766).
4. Conseguenze della mancata iscrizione ed esatto inquadramento della tutela penalistica e civilistica in rete.
L’iscrizione al Roc è condizione per il ddl dell’esercizio dell’attività, in carenza della quale la stessa va considerata clandestina.
Inoltre l’iscrizione comporta per il direttore responsabile o per l’organizzatore l’estensione delle responsabilità penalistiche dei reati a mezzo stampa.
Tuttavia giova sottolineare che:
a- Solo in apparenza tale normativa comporta delle novità in campo legislativo. Infatti anche attualmente le testate giornalistiche on-line – definite “prodotto editoriale” – devono obbligatoriamente essere registrate nei tribunali e avere un direttore responsabile, un editore e uno stampatore-provider, quando hanno una regolare periodicità (quotidiana, settimanale, bisettimanale, trisettimanale, mensile, bimestrale, etc), quando puntano a ottenere dallo Stato “benefici, agevolazioni e provvidenze”, quando prevedono di conseguire ricavi e anche quando utilizzano giornalisti professionisti, pubblicisti e praticanti.
Ne consegue che attualmente anche in rete è applicabile a siffatte testate la tutela penalistica dei reati a mezzo stampa la quale, se è più stringente sotto il profilo dell’addebito di responsabilità per il direttore, offre però l’indubbio vantaggio dell’applicazione a quest’ultimo dell’ESIMENTE DEL DIRITTO DI CRONACA, non applicabile ove l’attività editoriale in Rete non sia svolta in forma di impresa.
b- Anche le realtà collettive sorte in Internet che non siano svolte in attività di impresa non si sottraggono alla generale normazione riguardante la tutela dell’onore e della reputazione.
Ringrazio in anticipo tutti coloro che mi aiuteranno a portare avanti questo post in maniera serena e responsabile.
Confido nell’aiuto di tutti.
Ringrazio di cuore Simona Lo Iacono che – nonostante il periodo pieno di impegni – è riuscita a trovare il tempo per accogliere questa mia richiesta.
Grazie, Simona.
Davvero!!!
Come dicevo, questo è un post di “servizio”… mirato soprattutto a informare.
Ponete pure domande a Simona.
Ma vi prego di farlo con garbo.
Simona, dal canto suo, risponderà solo ed esclusivamente a vostre domande di natura tecnica, mentre è invece (ripeto) invitata dal sottoscritto a non replicare a eventuali considerazioni di carattere politico o di altra natura.
E poi una domanda per voi.
Per tutti voi.
A vostro avviso, quale deve essere (se ci deve essere) il limite della libertà di espressione, peraltro garantita dalla nostra Costituzione?
Mi risulta difficile porre delle domande sulla Responsabilità legale, perchè la dissertazione è stata ampia ed esauriente e, circostanza non da poco, anche assai chiara.
Sul disegno di legge Levi, chiamato annche ammazzablog, mi è sembrato di capire che l’iscrizione al registro (il Roc) sia propria di chi svolge via internet un’attività imprenditoriale per la realizzazione di un profitto, oltre ad essere organizzata strutturalmente allo scopo. Questo sembrerebbe escludere il blog, forse con l’eccezione di quelli che ospitano banner pubblicitari e di cui si presume quindi un introito, anche se modesto, con le inevitabili conseguenze relative all’imposizione fiscale del compenso percepito.
Ho compreso bene?
Amazzablog o meno, è che spesso si confonde la libertà con il poter fare tutto ciò che si desidera in quanto riparati da uno schermo.
Come Simona ha già detto meglio di quanto possa dirlo io, esistono una quantità di reati che sono identici e punibili sia che vengano commessi in rete che nel mondo. La pedofilia, per esempio. Oppure la truffa o lo sfruttamento della prostituzione. E, quindi, perché no l’ingiuria?
Certo, in alcuni casi la rete può essere un alibi e non è facile dimostrare la colpevolezza. Un adulto, per esempio, potrebbe consapevolmente intrattenersi in conversazioni a luci rosse via chat con una minorenne. Ma, di fronte a una denuncia, potrebbe sempre dire che a lui dalla controparte era stato detto che di anni ne avesse 30.
Ma qui, è evidente, siamo al cavillo. Alcune realtà sono evidenti e non si vede perchè debbano sfuggire alla disciplina giuridica.
Posso dire solo un’opinione marginale e da profano, priva di alcuna allusione, anche lontana o metaforica, a chicchessia?
Secondo me, chi denuncia qualcun altro perche’ e’ stato evidentemente e gravemente insultato da costui su Internet sbaglia, a meno che non si tratti di una vera e propria campagna diffamatoria condotta su larga scala contro di lui. Io sono pronto a prendermi gli insulti, ai quali o replico a tono o non replico affatto, ignorandoli anche se mi fanno arrabbiare molto. La societa’ del ”Guardi che la denuncio!” non mi appartiene.
Forse non ti apparterrà.Ma se qualcuno ti denuncia a ragione, la denuncia te la becchi lo stesso.Insieme alla condanna.
@ Renzo, sì caro Renzo: il decreto Levi esclude dall’iscrizione i blog non organizzati imprenditorialmente. L’uso eventuale di pubblicità deve rispondere almeno a criteri di “economicità'” cioè servire a coprire i costi del blog . Deve quindi esservi un nesso causale tra inserzione pubblicitaria e blog. Se esso manca non c’è neanche impresa perchè è da escludere che sia tale un’attività gratuita (Cass 94/5766).
@ Grazie della precisazione Enrico: sì, i criminologi sottolineano che uno dei motivi per i quali in rete si perpetrano con grave danno reati è la pretesa di impunità.
A parte le ipotesi più allarmanti (che citi a ragione: la pedofilia per la quale vi sono settori della scientifica perfettamente adestrati a “fiutare” le piste in rete perchè possiedono elevatissime cognizioni nel campo), la giurisprudenza più recente sta già applicando al mondo virtuale i più classici reati contro l’onore, proprio a causa di un elevato contenzioso civile e penale.
@ Sergio: grazie caro Sergio. Ma bisogna distinguere tra offesa e ingiuria, come diceva Seneca:
“Dividamus iniuriam a contumelia. Prior illa natura gravior est, haec levior et tantum delicatis gravis, qua non laeduntur homines sed offenduntur”.
E cioè “distinguiamo l’ingiuria dall’offesa. La prima è più grave per natura, la seconda è più leggera e molesta solo per i permalosi. Non danneggia gli uomini ma li affligge”.
Quindi il criterio distintivo è il danno, ossia la lesione.
Purtroppo è un dato statistico che i reati contro l’onore danneggiano gravemente non solo l’immagine privata e pubblica di un individuo ma anche la sua attività in termini economici o valutabili economicamente.
I casi in tribunale sono a centinaia. I risarcmenti più invocati sono quelli da “perdita di chances” ossia da “occasione mancata” dopo la lesione della reputazione( soprattutto professionale) di un individuo.
@ tutti: buona notte!
Cara Simona, grazie a te. Solo che il rischio, qui, allora, per via di un’interpretazione giuridica tanto estensiva del detto senechiano, consiste nel fatto che nessuno piu’ provi a dire mai quel che pensa veramente di qualcosa, temendo (giustamente) di essere condannato sia per la ”iniuria” che per la ”contumelia”. Il risultato mi sembra ovvio: un’Italia di persone le une contro le altre, taciturne e rancorose perche’ ognuna in ”liberta’ vigilata” – o forse era, questo risultato, gia’ la base di partenza di tale interpretazione estensiva?
Buonanotte, cara
Sergio
Buonanotte a te, Simona.
E grazie. Grazie di cuore!
E grazie a tutti coloro che riusciranno a comprendere il senso vero e profondo di questo post.
Non è un caso se ho scelto quell’immagine che vedete in alto.
Due mani che si uniscono. E che formano un mondo.
Io ci credo davvero.
Io dico che anche qui, nel nostro piccolo, insieme… ce la possiamo fare.
Yes, we can (scusa, Obama!) 🙂
Datemi del buonista, datemi dell’illuso, datemi del noioso.
Mi va bene tutto.
Io sono fatto così.
—
(Interverrò sugli altri post domani)
Buonanotte a tutti voi, amici cari.
Caro Sergio, ti ringrazio ancora perché mi dài l’opportunità di chiarire.
Il brocardo latino che ti ho citato non è – ovviamente – la base della valutazione dei tribunali. Serve solo a far comprendere che una cosa è l’offesa e un’altra l’ingiura. I romani avevano radicato in sé il gusto delle distinzioni poiché avevano una capacità di selezione dei comportamenti antigiuridici esemplare. E comprendevano che non ogni offesa provoca un danno.
Tuttavia giova ribadire che la base delle condanne è sempre la legge, e cioè in sede penale gli artt. 594-595 cp, e in sede civile l’art 2043 cc.
Qual è la differenza tra i due ambiti?
La tutela penalistica ha una valenza di prevenzione (nella fase di comminazione della pena: ossia educativa e di orientamento dell’agire) nonché di repressione (allorché il comportamento è perpetrato).
La tutela civilistica ha invece una funzione di ristoro economico. Allorché venga prodotto un danno e ne sia data prova, tale danno va riparato attraverso una corresponsione economica (o, in taluni casi, specifica).
Da notare che mentre perché vi sa reato di ingiuria e diffamazione la condotta deve essere DOLOSA (anche se di dolo generico : ossia la volontà di usare espressioni offensive e di ledere l’altrui reptazione), perché vi sia risarcimento in sede civile invece:
-non è detto che il danno ingiusto che viene cagionato derivi da reato
-la condotta può essere anche COLPOSA ossia semplicemente negligente o connotata da imperizia.
Ciò vuol dire che l’ambito di previsione della tutela civilistica è molto più vasto.
Vi ricordo infine che ai sensi dell’art 2043 cc “Qualunque fatto doloso o colposo che cagioni ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
@ Sergio e Simona:
Simona ha spiegato chiaramente le differenze fra tutele civilistiche e penali; aggiungo che il reato di carattere penale nella fattispecie contempla spesso un ristoro economico. Comunque non è che esprimere un’opinione necessariamente comporti la chiamata in causa di carattere penale e/o civile, ma dipende da come è espressa e da quel che si dice. Per semplificare, se io tico che non sono d’accordo con te, spiegandone i motivi che sono strettamente connessi all’oggetto della discussione, non corro alcun rischio, ma se io nel farlo ti apostrofo con un epiteto diffamatorio, oppure ti dico che tu non puoi aver ragione, chiamando in causa motivi del tutto estranei alla discussione e lesivi della tua sfera privata e/o di attività professionale, allora, a seconda dei casi, scatta l’inevitabile tutela penale e/o civile, ma sempre per iniziativa della parte lesa.
@Enrico Gregori: il decreto legislativo in corso di stesura è stato definito ammazzablog un po’ impropriamente e con un’enfasi eccessiva, perchè come ha spiegato bene Simona non si correrebbe il rischio di generalizzare. Comunque, a parte che non è ancora legge e che nel suo iter potrebbe subire emendamenti positivi o negativi, resta un fatto: da noi le leggi non sono mai scritte in modo da dare una comprensione inequivocabile e quindi c’è sempre il rischio di un’interpretazione restrittiva o estensiva, anche se quanto precisato all’art. 8 mi sembra adeguato a chiarire in modo sostanzialmente univoco i limti di applicazione dell’art.1.
@Simona: grazie per i chiarimenti.
@Renzo, grazie mio caro per la precisazione opportuna.
Bisogna però specificare che il ristoro economico in sede penale viene erogato solo se la vittima del reato si è costituita “parte civile”.
Quanto alle modalità della condotta la giurisprudenza ha chiarito che:
-ricorrono gli estremi della ingiusta offesa integrante il reato di diffamazione anche quando l’addebito sia espresso in forma tale da suscitare il semplice dubbio sulla condotta disonorevole ( Cassazione, sez VI 79/144484).
-Non solo le espressioni non vere e non obiettive ma anche quelle meramente insinuanti sono idonee a ledere o a mettere in pericolo la reputazione dei terzi ( Cassazione, sez V 81/151080).
– Nel delitto di diffamazione l’offesa alla reputazione può anche consistere nella aggressione alla sfera del decoro professionale (Cassazione sez V 82/154268).
-In tema di reato di diffamazione la sfera morale altrui può essere lesa sia con modalità direttamente e oggettivamente aggressive del diritto all’apprezzamento e alla opinione altrui, sia con modalità che – oggettivamente non lesive – tali diventano per le forme con cui vengono estrinsecate (Cassazione sez I, 85/169931)
Vi ringrazio per il “servizio”.In genere vi leggo senza intervenire.
Io penso che chi agisce in buonafede può solo sentirsi protetto e garantito da questa normativa, mentre chi agisce in malafede può temere ripercussioni a proprio danno. Io così mi sento più garantita.e sarò più spinta a scrivere online.grazie,
@Grazie Annalisa. Hai colto lo spirito della tutela dei “delitti contro l’onore” di cui stiamo parlando.
Giova forse ribadire che “la reputazione è quell’opinione o stima di cui l’individuo gode in seno alla società per carattere, ingegno, abilità professionale e anche per qualità fisiche o altri attributi personali” (Cassazione sez II 5-12-1955. Per chi vuole approfondire : Giust. Pen. 56, II, 566)
@ Simona, ti ho fatto lavorare subito di prima mattina. Sì, perchè sia previsto il ristoro economico è necessario in sede penale che l’offeso si costituisca parte civile.
Piuttosto volevo chiederti una cosa? Nornalmente per questa tipologia di reato occorre l’iniziata della parte offesa con un esposto-querela. Ci sono dei casi, invece, in cui il PM può agire d’iniziativa?
Ah, meglio tardi che mai: buona giornata a tutti.
Caro Renzo, grazie delle occasioni di confronto!
E allora, per ciò che attiene agli aspetti processualpenalistici: la procedibilità è sempre a querela della persona offesa anche nelle ipotesi “aggravate” (per esempio art 595 commi 2,3,4). La competenza prima pretorile è ora del tribunale , a seguito della riforma del “giudice unico”. L’arresto e il fermo non sono consentiti.
Da ricordare che la diffamazione in internet è SEMPRE ipotesi aggravata rientrando nei casi previsti dal comma 3 art 595 cp allorchè, cioè, “L’offesa è arrecata col mezzo della stampa o CON QUALSIASI ALTRO MEZZO DI PUBBLICITA'”.
Lo ha stabilito una recente sentenza della Cassazione (17-11/27-12 2000 n. 4741) che ha messo in evidenza la maggiore lesività dei comportamenti in rete.
Per chi volesse leggerla ecco il link:
http://www.legalionline.com/html/Cass4741-2000.htm
Grazie, Simona, ma la procedura d’ufficio del PM non è prevista nemmeno nel caso di grave offesa alle istituzioni?
@Simona: un altro quesito. E’ mia abitudine, quando leggo un libro, poi di scriverne la recensione, a patto che l’opera sia di mio gradimento, cioè non ho mai stroncato (nel caso di un libro che non mi piace non scrivo nulla). Ammettiamo che invece decida di scrivere una recensione negativa, pubblicandola, come al solito, in rete. Preciso che non ci sono frasi ingiuriose, ma mi limito a dire che, a mio parere, l’opera non vale nulla e che l’autore inoltre non sa scrivere. Poniamo caso che questi, in accordo con l’editore, mi quereli, adducendo il grave danno economico derivante da questa stroncatura. Ha possibilità di costui di vincere la causa, oppure no?
intervengo di corsa e ringrazio te e Simona per i chiarimenti legali e il tempo che spendete per noi, voglio dire, quasi a margine di questa discussione, che spesso mi sconvolge la maleducazione di chi interviene. Ecco, se c’è da rispettare un obbligo è sicuramente quello delle buone maniere. Ho appena cancellato dalla mia lista di acquisti un paio di libri dopo aver letto commenti degli scrittori. So che l’opera e la persona sono cose diverse ma purtroppo internet è anche questo: cozzare con la persona… e perdere interesse al libro. Ciao.
Oriana Fallaci sosteneva che la libertà è un dovere prima che un diritto…cioé una scelta personale, educazione, rispetto, etc….pertanto offese, denigrazioni e lesioni dell’immagine altrui dovrebbero essere evitate. Se esitono in rete è giusto che siano punite perché ledono la dignità personale…ma ieri sera in diretta televisiva a Ballarò ho visto Di Pietro accusare Berlusconi di essere un corruttore…mi ha sorpreso che a farlo fosse un ex magistrato, non perché il Cavaliere sia per me intoccabile ma credo che accuse così forti vadano quantomeno provate …o no?
Infine, una domanda: fin dove può spingersi la satira e l’ironia?
Mio caro Renzo: l’offesa alle istituzioni non è tutelata dal reato di cui ci stiamo occupando (diffamazione, ingiuria) bensì dall’art 290 cp (vilipendio della repubblica, delle istituzioni e delle forze armate) che attiene ai delitti contro la personalità dello Stato e non ai delitti contro l’onore.
In questi casi la procedibilità è su autorizzazione dell’ assemblea vilipesa o del ministero di grazia e giustizia.
Io mi sorprenderei poco, cara Elena. Di Pietro è un politico e si comporta come tutti gli altri politici, che invece di dare il buon esempio del rispetto troppo spesso usano il mezzo televisivo per dare l’esempio opposto. I parlamentari godono dell’immunità, che è giusta. Non tutti ne fanno buon uso. Purtroppo.Almeno qui, inquesto blog, si cerca di dare l’esempio opposto.mi pare una perla rara,che va potretta e difesa.Grazie anche da parte mia
Sempre per Renzo:
per quanto riguarda la seconda domanda ti ringrazio ancora una volta poichè mi consente una riflessione a cui tengo molto: i rapporti tra libertà di manifestazione del pensiero , in cui rientrano il diritto di cronaca e di critica e i reati contro l’onore.
In particolare, i diritti di cronaca e critica trovano fondamento nell’articolo 21 della Costituzione, che sancisce che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Per risolvere la presunta antinomia di norme fra l’articolo 21 della Costituzione e gli articoli 594 e 595 del codice penale (norme che tutelano anch’esse un bene di rango costituzionale quale l’onore, espressione della personalità umana tutelata dall’articolo 2 della stessa Costituzione) si fa generalmente riferimento alla nozione di limite del diritto.
In particolare, la giurisprudenza, con una lunga opera di interpretazione, ha elaborato dettagliatamente i limiti di operatività del diritto di cronaca; le condizioni, cioè, necessarie affinché il reato di diffamazione venga scriminato dalla causa di giustificazione in discorso. In sintesi, perché operi la scriminante, è necessario: a) che vi sia un interesse pubblico alla notizia; b) che i fatti narrati corrispondano a verità; c) che l’esposizione dei fatti sia corretta e serena, secondo il principio della continenza (cfr per tutte Cassazione , 7-10-1997 n. 9743).
Per quel che concerne il diritto di critica, invece, definito come libertà di esprimere giudizi, valutazioni e opinioni, la dottrina e la giurisprudenza prevalente ricostruiscono le stesse condizioni adattandole alla peculiarità del caso. In particolare, sul requisito della verità, se la critica riguarda un fatto è necessario che soltanto quello sia vero, non potendosi pretendere ontologicamente la verità su opinioni e valutazioni. Per l’espressione del diritto di critica, dunque, si tiene conto del fatto che esso non è sostenuto dalla necessità di informare ma dalla necessità di stimolare il dibattito.
@ Elena Varriale:
grazie anche a te, mia cara , perchè mi consenti di mettere in evidenza le differenze tra diritto di cronaca, diritto di critica e diritto di satira.
Ebbene:essendo una forma d’arte, il diritto di satira trova riconoscimento nell’art. 33 Cost., che sancisce la libertà dell’arte. Ma è una forma d’arte particolare. Il contenuto tipico del messaggio satirico è lo sbeffeggiamento del suo destinatario, che viene collocato in una dimensione spesso grottesca. La satira mette alla berlina il personaggio al di sopra di tutti, l’intoccabile per definizione. Esalta i difetti dell’uomo pubblico ponendolo sullo stesso piano dell’uomo medio. Da questo punto di vista, la satira è un formidabile veicolo di democrazia, perché diventa applicazione del principio di uguaglianza. Non a caso è tollerata persino nei sistemi autoritari, fortemente motivati a mostrare il volto “umano” del regime.
Ma proprio perché trova la sua ragion d’essere nello sminuimento del soggetto preso di mira, il messaggio satirico può entrare in conflitto con i diritti costituzionali all’onore, al decoro, alla reputazione, etc. Dunque anche qui, come per la cronaca e la critica, occorre procedere ad un bilanciamento degli interessi in conflitto. Bilanciamento che dovrà tenere conto delle peculiarità dell’opera satirica.
Peculiarità che fanno dell’interesse pubblico, riferito al personaggio rappresentato, il solo parametro di valutazione della legittimità della satira. Con un significato diverso, più ampio rispetto a quello assunto nella cronaca e nella critica. Il termine “interesse pubblico” viene qui adoperato al solo scopo di identificare il problema, poiché mal si concilia con la funzione della satira, che non è quella di fornire “notizie”.
Difatti, la giurisprudenza preferisce parlare di qualità della dimensione pubblica del personaggio, relazionandola al contenuto artistico espressivo del messaggio satirico. La satira è lecita se tra i due termini sussiste un nesso di coerenza causale. Si tratta di chiarire cosa debba intendersi per “qualità della dimensione pubblica” del personaggio e per “nesso di coerenza causale”.
La qualità della dimensione pubblica del personaggio va vista come un enorme contenitore dal quale l’artista può liberamente attingere per creare il contenuto dell’opera satirica. In questo enorme contenitore sono raccolti i frammenti che compongono il personaggio, ossia tutte le informazioni di sé che il personaggio, volente o nolente, ha visto fornire al pubblico: le sue fattezze fisiche, la sua mimica facciale, la sua voce, i suoi tic, le sue dichiarazioni, i suoi comportamenti in pubblico, le sue gaffes, i suoi guai giudiziari; e persino i pettegolezzi sul suo conto, se di dominio pubblico. Ebbene, la satira restituisce al pubblico quelle informazioni, quei frammenti, dopo averli mescolati, interpretati, enfatizzati, distorti. In questo modo la loro riproposizione (ossia il contenuto del messaggio satirico) è in coerenza causale con la qualità della dimensione pubblica del personaggio preso di mira. Ed è irrilevante che alcune delle informazioni che confluiscono nel contenitore del personaggio pubblico siano false: la satira non agisce su fatti, ma sulla dimensione pubblica acquisita da un personaggio, che potrebbe non corrispondere a quella reale.
Il significato del “nesso di coerenza causale” tra la qualità della dimensione pubblica del personaggio e il contenuto del messaggio satirico viene meglio colto descrivendo la differenza tra la satira da un lato, la cronaca e la critica dall’altro. La cronaca si incarica di raccogliere uno ad uno quei frammenti dalla realtà (o presunta tale) ed inserirli inalterati, allo stato puro, nel contenitore, man mano delineando la dimensione pubblica del personaggio. La critica esprime un giudizio su uno o più frammenti inseriti nel contenitore, dopo un’attenta osservazione. La satira seleziona alcuni di quei frammenti, ci scolpisce e disegna sopra. Ed è proprio questa attività artistica e artigianale ad essere tutelata dall’art. 33 Cost.
In linea dunque di sintesi:
la CRONACA è legata all’exceptio veritatis, è strumentale all’informazione e all’interesse pubblico alla notizia (art 21 cost).
La CRITICA è legata al valore democratico del dibattito, è strumentale al confronto sereno e motivato (art 21 Cost e art 2 Cost).
La SATIRA è legata al diritto alla produzine artistica. Trova un limite nel nesso causale con la dimensione pubblica del personaggio. Non è legata all’exceptio veritatis ma non può comunque trascendere oltre i limiti offerti dalla immagine pubblica legata al personaggio (art 33 Cost)
@Simona: grazie.
Per Massimo e Simona.
Grazie, grazie, grazie.
Dovrebbero pagarvi per il servizio che state rendendo.
Per quanto riguarda infine la compatibilità di tali diritti con la RETE aggiungo che:
-la scriminante del diritto di cronaca non è applicabile al frequentatore occasionale poichè non riveste la qualifica di giornalista.
-la responsabilità del direttore del giornale non è applicabile ai newsgroup poichè è strettamente legata (anche dal nuovo disegno di legge Levi) all’esistenza di un’attività in forma di impresa. La responsabilità è quindi individuale (CAssazione 2000/4741 già citata e di cui trovate il link più sopra, la quale ha sottolineato l’inapplicabilità ai gestori del sito della responsabilità prevista per i direttori dei giornali fatta eccezione per le ipotesi di concorso criminoso nei reati)
Mi sembra un superpost di servizio molto utile.
E sono veramente ammirata dalla estensione delle competenze di simona.
Ho anche beneficiato delle domande e delle risposte tra Renzo e Simona e tra Enrico e Simona.
Vorrei chiedere però – considerando che la piattaforma di kataweb è amministrata un po’ come un’impresa che publbicizza i blog più di altre piattaforme in cambio dell’uso di spazi pubblicitari. I blogger di kataweb non sono più esposti di altri a essere passibili di denuncia? I blogger di splinder, o di blogspot non sono pubblicizzati sulla home page di un giornale on line e non hanno infatti banner nella loro pagina personale.
Per il resto, rimango dell’idea che il profilo giuridico è fondamentale ma non sufficiente a fissare le regole di partecipazione di un forum. Il blog – questo è un blog – è uno spazio condiviso in cui NON tutti i partecipanti hanno gli stessi diritti, perchè IL TITOLARE ha più poteri degli altri. Il titolare, usa questo suo spazio come crede. Per esempio senza dover aspettare gli estremi dell’ingiuria legale ma per esempio decidendo di intervenire in base alla semplice sgradevolezza e mancanza di rispetto e maleducazione. In base al fatto che se una stessa persona fa un commento sgradevole può andare, ma se si ostina a monopolizzare il post con 45 commenti sgradevoli che battono lo stesso tasto eh beh, non sarà passibile di denuncia, ma almeno per il mio modo di concepire l’uso del mio spazio blog beh, è bannabile.
Spero di essere stata chiara e grazie ancora.
Grazie Simona dell’esauriente spiegazione e credo che nel nostro paese ci sia davvero bisogno di “limiti” ai colpi bassi, a quelli che servono solo a demonizzare il nemico, a fomentare odio, volenza e non a criticarlo o ad ironizzare per le sue idee, i progetti, la visione delle cose.
Massimo, in questo, è un esempio di democrazia e di rispetto delle opinioni altrui. Grazie.
Caro Marco è triste dover accettare lo status quo come inevitabile. E dovrebbero essere proprio gli intellettuali a difendere valori e principi, perché in una democrazia, in una società aperta, come ha spiegato Popper, è sempre necessario il “consenso sul dissenso”…cioé libera critica, profondo rispetto dell’altro e garanzia della varietà e differenza fanno e sono la democrazia!!!
@ Zaub,
anche a te grazie per l’intervento che consente un’ulteriore chiarimento.
Dunque: vi sono due livelli…che posso illustrare riprendendo il brocardo latino già esposto e riguardante la differenza tra INIURIA e CONTUMELIA.
L’uno (l’ingiuria) reca non solo offesa ma danno.
Lo abbiamo illustrato nei precedenti commenti.
L’altro (l’offesa) può non recare un danno ma essere egualmente fastidioso e sgradevole.
In ambito telematico si utilizzano pertanto le cd NETIQUETTE ossia consuetudini generalizzate e condivise di stampo etico, in base alle quali vi è un accordo tacito tra frequentatore del blog e suo gestore circa i comportamenti da tenere in quel determinato ambito.
Anche Massimo lo richiama in seno alla colonna destra del sito.
Vale la pena sottolineare che il carattere CONSUETUDINARIO delle NETIQUETTE nulla toglie alla VALENZA NORMATIVA.
La consuetudine è una fonte del diritto( art 1 PRELEGGI AL CODICE CIVILE). Essa consiste in un comportamento costante ed uniforme, tenuto dai consociati con la convinzione (opinio iuris) che tale comportamento sia obbligatorio.
Esistono tre diversi generi di consuetudini:
•Consuetudo secundum legem (secondo la legge): è la consuetudine che opera in senso integrativo della norma di legge: ad esempio laddove si sforza di dare un significato particolare ad un elemento della norma per renderlo più adeguato agli usi locali o alle mutate esigenze sociali (consuetudine interpretativa);
•Consuetudo praeter legem (“oltre la legge”): è quella consuetudine che disciplina un ambito non ancora disciplinato dalla legge;
•Consuetudo contra legem (“contro la legge”): è quella consuetudine che opera in direzione opposta al precetto legislativo
Naturalmente le netiquette rientrano nella consuetudo praete legem.
Sempre a ZAUB: il gestore del sito ha responsabilità identiche ai frequentatori da un punto di vista INDIVIDUALE.
Ma non gli si può imputare un contegno antigiuridico altrui se se ne dissocia attraverso il ricorso alle netiquette di cui sopra fatta eccezione per le ipotesi di concorso nei reati.
A meno che, come sopra detto, non abbia la qualifica di direttore di testata. In questo caso è a lui estensibile la normativa afferente ai reati a mezzo stampa con le conseguenti responsabilità anche per culpa in vigilando.
@ Simona:domanda:perché tanta euforia nel violentare(con la parola)l’altro?
possibile risposta:si é totalmente eclissata la società di VERGOGNA, anche, purtroppo, nel profondo Sud. Dove la famiglia solida rispettava i ruoli genitoriali, la giovane arrossava le guance, la scuola depennava autori e opere piccanti(anche se si trattava di vere opere d’arte).Mai il mio docente di latino ha letto passi dal satyricon.(achtung:non sto lodando l’antico!)E oggi?La nostra società pseudodemocratica e fortamente libera é sofferente.Mugugna sulle colpe commesse. E va in chiesa ad espiare i peccati o in tribunale a chiedere risarcimento.Poi, conclusosi l’evento, torna a macchiarsi e a risentirsi colpevole. All’infinito.La società di vergogna, che poteva limitare sconcezze e sproloqui, é soppiantata dalla società della colpa.E in tale calderone, la dura lex(ma non tanto dura) stenta a decollare.Oggi, poca vergogna e molto senso di colpa.Quali rimedi? Grazie. Lucia Arsì
Infine un’ultima precisazione. La giurisprudenza nel porre l’accento sul criterio di continenza ha riguardo anche alla quantità. Come sottolineava esattamente Zaub un commento non dannoso di per sè ma sgradevole ripetuto più volte e con insistenza assume carattere persecutorio ed è proprio in base a tale fumus persecutionis che può cagionare un danno che – diversamente – non avrebbe cagionato.
E’ quindi importante anche calibrare le proprie opinioni a livello non solo qualitativo ma quantitativo (Cassazio sez v 85/169472).
@ Lucia, c’è un rimedio : aumentare quella che i sociologi del diritto chiamano la “coscienza dell’illiceita’” ossia la percezione collettiva dell’antigiuridicità di un contegno.
Tale percezione – stimano i sociologi – è fortemente diminuita anche a causa del massiccio uso dei mezzi di diffusione.
Recuperare la coscienza dell’illiceità comporta educazione. Ascolto. Buon esempio.
Massimo, questo post è davvero illuminante e tempestivo.
Proprio la settimana scorsa ho dovuto fronteggiare una situazione molto sgradevole sul blog, situazione che all’inizio avevo preso sottogamba e alla fine mi è sfuggita di mano.
Per la prima volta in tre anni sono stata costretta a chiudere i commenti.
Sto leggendo con molto interesse l’evolversi del dibattito. Grazie a Simona Lo Iacono (è stata, ad esempio, molto chiara nel distinguere cronaca, critica e satira).
Condivido la riflessione circa la necessità di diffondere e incrementare la percezione di illiceità legata a certi comportamenti: c’è troppa gente ancorata all’idea che se ti celi dietro lo schermo di un pc sei protetto da una corazza di impunità.
Ma oggi, data la quantità spropositata di relazioni (amicali e professionali) che corrono su internet, l’idea che le dinamiche relazionali “virtuali” possano essere sistematicamente improntate all’offesa non è più accettabile.
(Chiariamoci: non che prima fosse accettabile, ma si trattava di comportamenti residuali; adesso che il virtuale è così diffuso il problema si pone con forza maggiore).
Un cordiale saluto a tutti e buona continuazione.
Alessandra
Oddio, io detesto la giurisprudenza, mi perdo nel ginepraio di leggi e leggine, cavilli, e normative. In genere preferisco risolvere la questione a modo mio: una coltellata e via. Il caso è chiuso. Nei diverbi meno gravi, basta una fraccata di legnate. Non sono riuscito a comprendere che differenza passa tra offesa e ingiuria. Se dico, per esempio, che Berlusconi e Gianni Parlato hanno lo stesso modo di ragionare, chi è l’offeso?
All’utopico Massimo il massimo encomio,per avere reso possibile l’impossibile(utopia).Caro Max, l’agire del web é un agire politico(noi cittadini del mondo), che segue una logica interna, ossia lo scambio di opinioni per superare ostacoli che limitano la FELICITA’.Politica verbale=felicità.Più aspro é il dibattito, più ci avviciniamo al fine.Da quando l’utopico Rousseau sostenne che l’uomo é buono ma la società lo corrompeva e oggi Hillman urla che bisogna curare l’anima del mondo(in primis le istituzioni).Da quando gli utopici giacobini francesi e non hanno lottato consapevolmente per affermare libertà uguaglianza e fratellanza. Il tutto nel rispetto della dignità umana e con serrata consapevolezza di mettere in gioco la vita.Sì, ,nella realizzazione dell’utopico( un coro di voci per capire dove andiamo a parare, la tua)inceppi in sterpi, rovi. Non ti crucciare. Si elimineranno da sé. Basta scansarli, non puoi evitarli. L’utopia si realizza col tempo(tesi della seconda metà del ‘700). Complimenti.Lucia Arsì.
@…
E tutto, perchè a volte perdiamo il buon senso…
Si arriva all’offesa e all’ingiuria, quando si ha una determinata predisposizione : la mancanza di rispetto per se stessi.
Per formazione e lavoro io vivo molto la ‘strada’(non nel senso delinquanziale, ma di non essere ‘rinchiuso’ in quattro mura e di avere a che fare con ogni ‘genere di umanità’ ). Bene, questo vivere porta ad assistere ed avere comportamenti svariati e spesso di conseguenza, quindi, anche a comportamenti che vanno oltre il proprio essere consapevole e il proprio pudore. Ma quando scrivo o leggo preferisco pensare, parlare seriamente o scherzare, ma vorrei che mai ci fossero parolacce o allusioni e forme tendenzialmente volgari : sembrano violare una forma di pudore che pure si mette in gioco, credo, in chi scrive come in chi legge(e non datemi del facile “moralista”).
Quindi, al di là della voluta intenzionalità, capisco però che la scrittura(rivolgendomi specificatamente ad essa sperando di non essere cavilloso)ha i suoi margini d’interpretabilità. Nella scrittura non si evincono i toni, per quanto si possa essere sommi poeti o scrittori, e a volte capita di leggere con lo stato d’animo del momento più che con lucida obiettività; quindi, il fraintendimento è sempre lì pronto a fare -“cucù!?”.
Credo che Libertà voglia dire sapersi muovere incondizionatamente rispettando pereò la sensibilità e il pudore degli altri.
–
(non ditemi che sono andato fuori tema!!!)
Un caro saluto a tutti
@Salvo…
Ti rispondo io(anche per Lui) : ti sei offeso da solo!
@gianni parlato…
fraintendimento é il termine esatto. Quindi… bisogna partecipare al dibattito con serietà e onestà di intenti e in larga parte-a me pare- ciò avviene. Ciao. Lucia Arsì
@Simona, in tempi di passioni tristi e disvalori, é veramente arduo calcolare il limen tra ciò che sarebbe lecito fare e il non lecito.Per ovviare al nulla entro cui vagoliamo, dato che tutto é deciso da potentati, appare lecito tutto(quanti modelli negativi!) a scapito di leggi valoriali.Est modus in rebus, dicevano i latini. Ma poi attuavano quanto asserivano?.Ciao lucia
Mia cara Lucia, sì.
I romani conoscevano benissimo il senso del limite e del danno.
Si deve proprio a loro l’introduzione della “responsabilità aquiliana” , ossia di quella responsabilità di cui all’art 2043 cc che ho citato per fare riferimento alla tutela civilistica della diffamazione.
Infatti nel III secolo a.C. una Lex Aquilia de damno introduce la fattispecie del damnum iniuria datum tra i delicta .
La lex si articolava così:
– Il primo capitolo riguardava l’uccisione iniuria di schiavi e pecudes altrui
– Il secondo capitolo riguardava l’ adstipulator il quale in frode allo stipulante avesse estinto il credito mediante acceptilatio.
– Il terzo capitolo riguardava il ferimento di schiavi e pecudes, nonché l’uccisione di altri animali e il danneggiamento cose inanimate.
Ma poi l’azione andò “spiritualizzandosi ” sempre più fino a concepire forme di danno e di aggressione anche alla persona e ai suoi diritti. Tant’è che dal rozzo criterio del valore della cosa si passò poi a considerare l’interesse dell’attore all’integrità fisica della cosa stessa.
Questa altissima riflessione giuridica è stata recepita dal nostro codice.
@Ancora Lucia.
A proposito del rapporto tra utopia e diritto: se ne parla, tra l’altro,
-nella Repubblica di Platone (giustizia e utopia)
– nella la Città del Sole di Campanella (eguaglianza e utopia).
Segno che i sognatori sono indispensabili al diritto perchè hanno sempre sostenuto lo spirito di giustizia, di ricerca del bene sociale e individuale e hanno contribuito all’evoluzione della coscienza giuridica collettiva.
CIAOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO
sai meglio di me che il mestiere dello scrittore è molto delicato come tutto quello che va in pasto alla pubblica opinione. Massimo Maugeri ha prontamente colto l’occasione per approfondire il discorso della responsabilità della scrittura introducendo leggi e legalità, ma è d’obbligo metterci dalla parte di chi legge, di chi guarda e di chi ascolta, valutare che l’oggettività della coscienza critica non nasce prontamente, spesso si forma con processi di metabolizzazione e dopo un pò di tempo.
Ma non è di questo che voglio parlare, quanto di una subdola trappola che la stessa informazione chiamata “dovere di cronaca” può tendere in senso inverso a quanto propone. Mi spiego meglio.
Molto spesso l’opera d’arte, lo scritto, la verbalità di chi vuol mettere in mostra determinate problematiche in nome della “verità” a tutti i costi da affrontare, finisce con il rafforzare quel che inizialmente dice di combattere, approdando ad risultato contrario dello stesso dovere di sensibilizzazione d’opinione pubblica.
Quando la cronaca è troppo faziosa non finisce per saturare il lettore ed invitarlo ad entrare in campo opposto, della serie prendo una boccata d’aria dall’altra parte?
Questo bisogno di “dire” che oggi hanno un pò tutti con la penna e i pennelli in mano, non credi che sia il segnale di una mancanza di contenuti reali da proporre e che finisce per produrre chiari risultati come curve sud e curve nord da stadio, davvero poco culturali?
Tutti vogliono stupire, scandalizzare, non riescono ad abbassare i toni, sarà che forse prendono dosi massicce di viagra….che si dimenticano pure di parole come privacy, buon gusto, educazione, codici e regolamenti deontologici, ho anche la sensazione che si sia scambiato il concetto di diritto con l’esibizionismo adrenalitico che provoca soddisfazione in chi lo produce, insomma la responsabilità comprende anche riflettere sul fatto che al mondo siamo in tanti e tutti diversi, i bambini hanno una sensibilità differente dagli adulti, per esempio e che anche fra gli stessi adulti ci sono provenienze multiculturali svariate e che la tolleranza ha significati profondi.
ciao
Rossella
L’argomento è sicuramente interessante, gli interventi pertinenti, i chiarimenti di Simona sono pregevoli, ma mi sorge un dubbio. Ho paura di andare un po’ fuori tema e se è così lasciate perdere.
Il problema che mi pongo è questo: la nostra vita è regolata da una miriade di leggi, che sanzionano, come nel caso di quelle penali, reati ben identificati.
Prendiamo l’omicidio, forse il reato più grave. Dovrebbe essere logico e moralmente ineccepibile non uccidere qualcuno, ma purtroppo non è così e allora un assassinio viene considerato un reato e sanzionato in modo particolarmente oneroso.
Tuttavia, non è che il timore della pena serva a impedire il reato, e neanche sanzioni estreme, come la pena di morte, sono deterrenti tali da rendere impossibile perfino l’ipotesi dell’omicidio.
La stessa cosa possiamo dire per violazioni molto minori come l’offesa, ma allora perché non cercare di prevenire, perché non istruire i cittadini a un’educazione civica che dovrebbe partire dalla famiglia, anche se spesso ormai i peggiori esempi vengono proprio dai genitori.
Direi che in una società vuota, priva di valori come la nostra, sarebbe chiedere troppo, perché contrasterebbe soprattutto con un certo andazzo che tende a privilegiare comportamenti discriminanti, come possono essere i ripetuti provvedimenti di amnistia o addirittura d’indulto, che spesso urtano i cittadini, ma questa reazione è breve come una folata di vento.
Perché i reati penali vengono puniti e se vengono puniti, perché poi ogni tanto le sanzioni vengono abbuonate?
Non c’è di peggio che il dare non credibilità alle leggi, anzi non riconoscere dignità a chi le rispetta, premiando chi le viola.
Non parliamo poi di una recente legge che istituisce la non punibilità per 4 alte cariche dello stato; con questa si è toccato il fondo, a ormai totale dispregio del buon diritto, ma soprattutto di quei principi costituzionali che dovrebbero garantire l’eguaglianza di tutti i cittadini.
Sarà per un’assenza di valori, ma è anche per un’evidente sfiducia nell’efficacia delle leggi che piano piano il cittadino si deprime, finisce con il non credere alle istituzioni e da lì a comportarsi senza remore, anche di carattere morale, il passo è breve.
Molto pericoloso. Qualcuno la potrebbe leggere così: è a causa di un’evidente sfiducia nell’efficacia delle leggi che tu cittadino ti deprimi, e che finisci con il non credere alle istituzioni e da lì a comportarti senza remore, anche di carattere morale. dunque se ti comporti senza remore di carattere morale la colpa non è tua…………………………
@ Angela: hai compreso bene e purtroppo è quello che sta avvenendo. Ogni tanto al bar sento discorsi di gente che dice che con uno stato così è giusto fare ciò che si vuole, incrinando così anche la già labile morale personale.
E’ questo il vero pericolo e cioè che il reato non sia più considerato tale, perchè tanto è lo stesso.
Ma questa mentalità va combattuta…….. anche perché è tipica di chi cerca giustificazioni. e poi penso che prima di guardare fuori sarebbe bene che guardassimo dentro le nostre famiglie. la società la formiamo noi, nel nostro piccolo. partiamo da qui e lasciamo i comportamenti senza remore ai delinquenti…….
@Angela: certamente che va combattuta, ma se non cambiano le altre cose non ottiene risultati, se insomma c’è chi si lascia andare perchè si accorge che le leggi non lo tutelano, non c’è discorso che tenga. E guarda che purtroppo è una specie di macchia che si espande. Mi capita anche in autobus di sentirse discorsi, magari in altri termini, che nella sostanza è come ho riportato. Del resto una società è salda se i suoi membri credono in essa, nelle norme che la regolano, nelle leggi insomma.
sono discorsi che sento anch’io. Ma in genere li sento fare a gente che non mi piace e che forse in situazioni del genre ci sta bene. io preferisco rimboccarmi le maniche ed impegnarmi ad educare i miei figli. buona serata
@Angela: io non detto che seguo questa linea, anzi io rispetto anche le leggi che non mi piacciono, perchè auspico siano state fatte nell’interesse di tutti. Purtoppo la mia è una semplice constatazione di un andazzo che non posso che deprecare.
BRAVA SIMO!
La tua competenza e l’estensione delle tue cognizioni può solo lasciare ammirati…
Grazie a Massi di averci dato l’opportunità di riflettere sulla netiquette in particolare e soprattutto sulla legalità, tanto sbandierata a parole quanto ignorata e calpestata nei fatti. La scuola – e rispondo a Montagnoli – insegna alle elementari STORIA, GEOGRAFIA E STUDI SOCIALI. Con buona pace della Gelmini che vorrebbe riportarci all’educazione civica degli anni che furono, gli Studi sociali insegnano al bambino i rudimenti delle scienze umane come la sociologia e comprendono elementi di educazione alla legalità – rispetto per l’ambiente, delle norme civiche…
Io insegno in un Liceo Socio-Psico-Pedagogico, l’ex istituto magistrale per capirci. Indirizzo Scienze sociali. In cui tra l’altro si studia Diritto e in cui sono previste compresenze Storia-Diritto per vedere le reciproche interconnessioni tra Storia umana ed evoluzione del concetto di legalità, norma, diritto…
Ma è la famiglia la culla della legalità. Se i genitori svuotano posacenere dai finestrini, gettano i rifiuti nelle discariche abusive, costruiscono ville a 50 centimetri dall’acqua, non pagano le tasse, inventano escamotages vari per giocare al vecchio e sempre nuovo gioco del fotticompagno, fatti furbo ché i furbi vanno avanti, se i genitori pagano per far superare gli esami ai figli, si svendono per procurare loro un posto di lavoro e li esortano a scavalcare sempre e comunque gli altri, specie i meritevoli e fessi… che cosa può fare la scuola?
La scuola è l’alibi del genitore fallito.
Per Simo: caro giudice, mi spiega come si quantifica il danno in rete? Se io dico che Maria Lucia ha scritto fesserie ed è una delle fannullone part time stigmatizzate dai nostri santi parlamentari, quanto rischio di dover tirare fuori per risarcire l’offesa?
Grazie…
🙂
@Maria Luisa Riccioli: infatti, non a caso, ho chiamato in causa la famiglia. I figli si uniformano al comportamentoo dei genitori e se questo è irrispettoso, molto probabilmente saranno irrispettosi anche loro. Questa situaxione attuale non è nata all’improvviso, ma è una degenerazione progressiva, e in fin dei conti i principali responsabili sono proprio i genitori.
@ Maria Lucia:grazie!
Il problema della quantificazione del danno è complesso anche perchè la giurisprudenza unanime afferma che tale valutazione debba essere effettuata in base a criteri equitativi, alla luce del combinato disposto degli artt. 2043, 2059 e 1226 c.c. (Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 2000, n. 1637).
–
Da più parti, tuttavia, è stato sollevato il timore che tale tipo di valutazione possa comportare una sostanziale imprevedibilità degli importi riconoscibili a tale titolo, disparità di trattamento e di volta in volta risarcimenti eccessivi o inadeguati, senza possibilità di appello e, nella sostanza, una considerevole incertezza circa le conseguenze riconducibili a tale tipo di danno.
–
La giurisprudenza stessa, perciò, ha affermato che tale valutazione va fatta bensì equitativamente, ma alla luce di criteri oggettivi che essa stessa ha avuto cura di delineare (App. Roma, 2 maggio 1995). Per tale motivo, la Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato che “la liquidazione del danno morale da fatto illecito, benchè rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito, non si sottrae alla esigenza di una motivazione adeguata” (Cass. civ., sez. III, 13 aprile 1995, n. 4255).
–
In tale prospettiva, la Suprema Corte ha in primo luogo precisato che il danno non patrimoniale va inteso non come solo danno morale, vale a dire l’insieme delle sofferenze psichiche arrecate, ma come l’insieme di qualsiasi pregiudizio ad un bene o interesse protetto la cui conseguenza non si concreti in una perdita di valori patrimoniali, da intendersi come valori immediatamente scambiabili in denaro (Cass. civ., sez. III, 3 marzo 2000, n. 2367). Pertanto, lo stato di turbamento, rabbia, vergogna e preoccupazione e, più in generale, di dolore psichico conseguente alla condotta dell’agente rappresenta esclusivamente una voce del danno non patrimoniale liquidabile, senza che questo possa esaurirsi nel primo.
–
In secondo luogo, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito come nella liquidazione del danno non patrimoniale sia necessario tenere conto di tutte le circostanze della fattispecie (Cass. civ., 29 maggio 1998, n. 5366; Cass. civ., 2 luglio 1997, n. 5944 ), in modo da garantire l’adeguatezza del risarcimento ed al fine di evitare, in ogni caso, che il risarcimento stesso possa rappresentare unicamente un simulacro di risarcimento (Cass. civ., 11 giugno 1998, n. 5795; Cass. civ., 6 ottobre 1994, n. 8177; Cass. civ., 18 dicembre 1987, n. 9430; Cass. civ., 6 aprile 1983, n. 2396).
Questo in linea generale.
Il problema della quantificazione in rete però si aggrava. La riflessione sulla quantificazione del danno, infatti viene mutuata dai reati a mezzo stampa.
In tale sede la Suprema Corte ha statuito che “il danno non patrimoniale derivante da diffamazione per mezzo della stampa si determina in base al criterio della gravità del fatto, considerata sia sotto il profilo oggettivo (gravità dell’accusa mossa) sia sotto il profilo soggettivo (personalità del soggetto offeso e incidenza dell’accusa sullo stesso), nonchè in base al criterio della natura e diffusione del mezzo di informazione” (Cass. civ., 19 settembre 1995, n. 9892).
Per quanto attiene alle modalità della diffamazione, massimo rilievo è attribuito all’estensione ed alla possibile incidenza di questa, avuto riguardo ad un certo numero di dati oggettivi e prontamente rilevabili, quali: la diffusione e notorietà del periodico; il fatto che esso e/o l’autore dell’articolo siano noti ed autorevoli; la visibilità degli articoli diffamatori, ed in particolare il fatto che gli assunti diffamatori in essi contenuti abbiano collocazione primaria e siano non semplici incisi, ma l’oggetto principale di articoli e titoli; il rilievo tipografico attribuito agli stessi, l’associazione ad eventuali fotografie; la reiterazione e il numero degli articoli diffamatori; le forme espressive utilizzate e la ricorrenza delle stesse; il contesto e momento storico in cui tutto ciò avviene (Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 1997, n. 9672; Cass. civ., 1 marzo 1993, n. 2491; Trib. Roma, 31 ottobre 1991; Trib. Roma, 6 marzo 1990; Trib. Napoli, 28 ottobre 1989; Trib. Milano 18 settembre 1989; Trib. Roma, 14 luglio 1989; Trib. Napoli, 22 marzo 1996; Cass. civ., sez. III, 19 settembre 1995, n. 9892; Trib. Roma, 20 luglio 1993; Trib. Roma, 24 novembre 1992; Trib. Roma, 31 ottobre 1991; Trib. Milano, 27 giugno 1991; App. Roma, 16 gennaio 1991; App. Roma, 5 novembre 1990; Trib. Roma, 6 marzo 1990, Trib. Napoli, 28 ottobre 1989; Trib. Roma, 8 agosto 1988).
Tali elementi sono tutti in grado di accrescere, oggettivamente, il grado di lesione all’onorabilità ed alla reputazione della persona diffamata e, soggettivamente e per conseguenza, il grado di turbamento psicologico che ne deriva.
–
Tuttavia il problema della rete è la aterritorialità e la velocità di propagazione della notizia. Elementi questi che contribuiscono a un oggettivo potenziamento dei risvolti dannosi.
Mia carissima Simona, ti chiedo scusa per il mio forzato silenzio, ma sto
attraversando un periodo turbolento e non solo per la salute.
Grazie per le preziose e pertinenti delucidazioni che gentilmente ci elargisci.
Vorrei chiederti due spiegazioni, ho scritto una letteraccia al gestore del mio sito, poiché ho notato da diversi mesi che tra i visitatori abituali e graditi, intervengono massicciamente le segnalazioni delle Case Farmaceutiche estere e altre Aziende Pubblicitarie che non rientrano negli scopi Letterari e On Lus del mio sito.
Inoltre cliccando il mio nome e cognome su Google mi ritrovo in siti strani e sconosciuti, non solo con i miei testi poetici, ma in botteghe, ristoranti, allevamenti di cani, persino aereoporti che non mi sono mai sognata di autorizzare.. Per alcuni Portali Culturali, sono stata lieta della maggiore visibilità ottenuta, per gli altri, non ho la più pallida idea di come ci si debba comportare ? Immagino che tali situazioni siano lo scotto da pagare di molti altri forumisti.
Dolce Simona, rispondimi solo quando avrai esaurito le richieste degli altri amici, non voglio impegnarti più del dovuto.
Ringrazio anche il Super Massimo e dopo un caloroso abbraccio estensibile a tutti, Vi propino una celebre frase inerente alla colta
dissertazione dell’eccellente Giudice nostro.
” La potenza pura del furore umano non si spiega finché non interviene con molto tatto un amico comune per entrambe le parti” G.K. Chesterton
La Vostra Tessy
Significativa a tal proposito la sentenza della Corte di Cassazione N. 25875 del 25-7-06.
La Corte precisa che «l’accesso ai siti web è solitamente libero e, in genere, frequente (sia esso di elezione o meramente casuale), di talchè l’immissione di notizie o immagini in rete integra l’ipotesi di offerta delle stesse in incertam personam e dunque implica la fruibilità da parte di un numero solitamente elevato (ma difficilmente accertabile) di utenti”.
Quindi l’impatto è IN INCERTAM PERSONAM. E la quantificazione dovrà tenerne conto.
Ma – Onlus – si scrive attaccato?
La somarella Tessy
Cara Tessy
grazie della bellissima citazione.
Il problema che sollevi è parzialmente diverso da quello che stiamo trattando e attiene lla diffusione e al trattamento dei dati personali, di cui al dlgs 30-6-96 n 193.
In questi casi la tutela dell’utente prevede un doppio binario: o il ricorso alla via giudiziaria (il tribunale è competente anche in sede cautelare, ossia con ordini di sospensione immediata del nocumento ex art 700 cpc) ovvero in sede amministrativa con un previo ricorso al garante della privacy. Vi è tutela anche in sede penale perchè la diffusione dei dati personali senza autorizzazione è contemplata in apposite figure di reato.
il limite della libertà d’espressione non esiste, perché non esiste più la libertà d’espressione.
io rimango un po’ perplesso sul fatto che si parli d’onore e reputazione e non di empatia e sensibilità, onore mi fa pensare alle faide tra clan mafiosi e reputazione mi fa pensare al padre siciliano che accoltellò il figlio perché gay. quindi rispettare l’altro significa essere empatici con l’altro e non mi sembra che l’empatia sia una specialità del popolo italiano.
io credo che in una società democratica e libera non ci sia la necessità di insultare od offendere e se ciò avvenisse dovrebbe punirsi l’offesa, indipendentemente da chi la fa. in italia il signor papa, che è un essere umano come tutti noi, può definire l’omosessualità una ferita e una malattia ma questa non è offesa.
in italia, il caso di biagi e di santoro, della guzzanti e di luttazzi, dimostrano chiaramente la mancanza di libertà d’espressione.
la blogosfera è un luogo da cui io sto cominciando ad allontanarmi così come feci con la televisione cinque anni fa perché: non mi piace il concetto di ‘blog come casa mia’, a meno che non si è chiari all’inizio e si invitano solo gli amici trasformando il blog in un circolo digitale. per me non c’è crescita culturale se non c’è un vero scontro, il semidittatore berlusconi non ti fa fare televisione e l’amministratore ti banna.
inoltre la blogosfera è un luogo poco democratico, perché se tu entri nel gioco del collettivo e ti crei un circolo di amici, allora sei integrato, altrimenti vaghi da solo subendo dei muri di gomma anche quando esprimi concetti intelligenti. vi è un conformismo in rete che è la traduzione del conformismo sociale, insomma ormai c’è una specie di pensiero unico. gira e rigira, la blogosfera si riduce ad un piccolo paesino in cui vige una sorta di nepotismo elettrico. io sono per il ‘vivi e lascia vivere’ . è questa la morte del virtuale: la blogosfera dovrebbe essere un rovesciamento della società e invece ne è un’amplificazione. in un’altra nazione sarebbe un bene, ma avere due italie con una miriade di leggi, di privatizzazioni, di circoli ristretti apparentemente aperti al diverso ma in sostanza essendo dei vicendevoli sostegni in un confuso ‘volemose bene’, non permette alcuna dialettica. mi dispiace molto che questo post sia nato dopo le parole che leo bloom ha rivolto all’indirizzo di persone che non sono al mio stesso livello. Probabilmente, e spero di sbagliarmi, se le persone che si sono risentite per le mie parole, fossero state al mio stesso livello, questo post non ci sarebbe mai stato. è giusto che sia così. ripensiamo alla difesa di miller da parte del suo amico steinbeck. io sono meridionale e sento molto il peso soffocante dell’orgoglio maschile nei confronti di un minimo ‘sgarro’ alla propria immagine. la mia famiglia ha cercato di educarmi ai valori del cattolicesimo e del perbenismo ma non ci sono riusciti, per fortuna. mi dispiace molto, insomma, che ci si debba scontrare anche all’interno della rete con questioni molto ‘italiane’ e, se mi permettete, molto ‘provinciali’. 🙂 che insomma anche qui si esageri a volte con le offese ma spesso anche con un perbenismo quasi claustrofobico. sembra che pasolini non ci sia mai stato e nemmeno il ’68, se è per questo.
p.s.
il mio stato d’animo è molto sereno e ho scritto semplicemente quello che sto pensando. accetto il vostro punto di vista, accetto che un’offesa non possa essere rivolta a chi conta per una questione di prestigio sociale. ammiro lo sforzo di scrivere un post dettagliato sulle responsabilità legali, e accetto ogni vostra critica, anche con il silenzio, l’indifferenza e il sorriso di sufficienza sulle labbra. approvo solo che si debba essere empatici nei confronti dell’altro. ma non condivido assolutamente i concetti di onore, reputazione e simili, come non approvo la società perbenista della buona educazione a tutti i costi per una questione d’immagine e, in fine, non condivido che si debba parlare di poteri e leggi. ‘non esistono poteri buoni’ mi sembra dicesse de andrè.
scusate : dlgs 30-6-1996 n 196 (lo trovate citato anche a piè di pagina nelle news letter che ci invia Massimo). E’ il noto codice sulla privacy.
N.N.S.Z.
(Nota per i Non Conoscitori di Salvo Zappulla)
Attenzione!! Salvo Zappulla SCHERZA!
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”Oddio, io detesto la giurisprudenza, mi perdo nel ginepraio di leggi e leggine, cavilli, e normative. In genere preferisco risolvere la questione a modo mio: una coltellata e via. Il caso è chiuso. Nei diverbi meno gravi, basta una fraccata di legnate. Non sono riuscito a comprendere che differenza passa tra offesa e ingiuria. Se dico, per esempio, che Berlusconi e Gianni Parlato hanno lo stesso modo di ragionare, chi è l’offeso?”
(Dio lo mantenga in salute altri cent’anni. Non piu’, pero, per favore, se no bisognera’ farlo diventare Papa).
Buonasera, ringrazio Massimo Maugeri, per dare spazio su Letteratitudine (il blog!) ad un tema tanto importante, e sovente mal interpretato, o addirittura sottovalutato. Bisogna parlarne, ci vuole più informazione.
I lucidi chiarimenti della dott.ssa Simona Lo Iacono, conducono sulla retta via della comprensione, e centratura della questio, dando risposte a domande importanti, che evidenziano fattispecie con le quali ci troviamo a contatto quotidianamente.
Il suo intervento è magnifico, perchè inizia in modo musicale, poetico, per poi dipanarsi giuridicamente:
“Il pensiero in rete.
Basta poco. Coincide con un click. Con la pressione sul tasto “invio”. Con la velocità di un guizzo sul mouse. Una misteriosa – e imperiosa – corrispondenza tra riflessione e visione”.
Simona, – mi permetto il tu, dato che questa è una conversazione tra amici di rete-, dipinge con tratti essenziali la dimensione stessa del problema.
Click, e quel che è scritto, è scritto; click, e il nostro pensiero, con una velocità che fino a dieci anni fa nenche prospettavamo, entra nella rete globale, e diventa patrimonio di tutti, o quantomeno di molti.
Quel click ha la velocità del nostro pensiero, ma non lascia, a volte, il tempo della riflessione. E riflettere, che richiede lentezza, concessione di quell’attimo in più, è l’unico modo per compiere azioni ponderate, nelle quali un domani ci potremo riconoscere, e delle quali saremo in grado di affrontare le conseguenze.
Il mondo intorno a noi è cambiato forse più di quanto riusciamo a rendercene conto. Siamo stati i soggetti di una rivoluzione che ha trasformato inizialmente il modo di fare comunicazione, e informazione; di seguito il modo di lavorare; fino ad influenzare le stesse relazioni interpersonali ed il modo di pensare. Velocità, sembra essere il dictat, una sorta di imperativo categorico della società contemporanea.
Siamo di fronte, certo, ad un mezzo formidabile per migliorare la comunicazione politica ed i rapporti tra cittadini ed istituzioni, per esercitare in modo più comodo ed efficace diritti tradizionali (si pensi al diritto di voto), per sperimentare nuove forme di dialogo, e di partecipazione alla vita politica ed istituzionale (democrazia diretta).
Qualunque sia il settore in cui operiamo abbiamo una possibilità molto maggiore di prima di cambiarlo in meglio.
Un medium, internet, che ha fagocitato, tutti i precedenti strumenti di comunicazione, ha ringovanito intere generazioni, e nella sua trasversalità, è strumento democratico.
Ogni società, ogni aggregazione umana non può vivere senza un complesso di regole che disciplinano i rapporti tra le persone che l’aggregazione stessa compongono, dicevano i romani, maestri di sintesi, ubi societas ibi ius, e senza apparati che s’incarichino di farle osservare.
Pertanto, da un lato, il compito del diritto è tutelare il cittadino, che agisce, e opera, in questo nuovo luogo, che è la società della rete, laddove questi sia leso nei suoi diritti fondamentali.
Dall’altro lato, il compito del cittadino è applicare nell’uso di questo strumento le stesse norme comportamentali, che applica nel vivere sociale, ovvero nella società reale.
Ricordo a me stessa, quanto sancito nell’art. 19 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo:
« Chiunque ha il diritto alla libertà d’opinione e d’espressione; il che implica il diritto di non essere turbato a causa delle sue opinioni e quello di cercare, ricevere e diffondere, senza considerazione di frontiere, le informazioni e le idee attraverso qualunque mezzo di comunicazione».
Articolo, che, insieme ad altri, garantisce la difesa di un diritto fondamentale dell’uomo, quello di pensare e di esprimersi, la cui restrizione è inaccettabile, esclusi i casi previsti dalla legge, ovvero, in termini pratici, laddove vengano intaccati altri diritti, altrettanto fondamentali, e che sono oggetto di questo interessante dibattito, quali la protezione dei diritti e dell’integrità morale altrui (allo scopo di prevenire la diffamazione), la protezione della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico, della salute e del senso comune.
Una società che viene intaccata in questo principio fondamentale, attraverso un’interpretazione del diritto, più o meno, restrittiva, o espansiva, a seconda dei casi, o attraverso l’emanazione di leggi, che arbitrariamente lo limitano,va in una direzione, a mio avviso, che la Storia ci ha insegnato, essere nefasta.
Grazie dell’attenzione.
Un caro saluto a tutti.
@ Simona, scusa la domanda che esula un po’ dal tema. Da quando è stato introdotto il dlgs 30.6.96 n. 196, ma in misura più accentuata negli ultimi quattro anni, mi arrivano telefonate pubblicitarie (spesso sono nastri registrati), per non parlare di quelle dei gestori di telefonia, e questo a ore anche impensabili (l’altro ieri addirittura alle 22,30). Non è che per tutelare la privacy sia andato a finire che ora viene costantemente violata?
@ Adriana: grazie per l’importantissimo riferimento alla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il primo codice etico mondiale, nato all’indomani degli orrori del secondo conflitto. E’ la sintesi e l’approdo delle idee di Kant, Locke, Rousseau, Nitzche. Ma è soprattutto un inno alla dignità umana e alle più alte prerogative di ogni essere umano.
@Renzo: le condotte che lamenti sono purtroppo molto usuali. E sì, sono violative della privacy. Forse le percepiamo oggi anche con maggiore sensibilità del passato proprio a causa dell’introduzione del codice.
Grazie, grazie di cuore, cara Simona, sei profonda e suasiva.Con affetto. Lucia
Grazie, Simona. E’ un altro esempio di legge che non conta un cavolo, perchè non viene fatta rispettare.
Caro Renzo,
in verità l’introduzione del codice ha migliorato le relazioni tra privati, enti, e organi di informazione. Introduco questa piccola parentesi perchè anche la privacy, come la riservatezza, attengono alla tutela dei cd “diritti della personalità”. In particolare è in continuo aumento l’attività del Garante volta a perseguire un giusto equilibrio tra il diritto/dovere dei mezzi di comunicazione di informare la collettività su fatti di rilevanza pubblica e il diritto alla riservatezza delle persone coinvolte.
Dal 2002 e fino a tutto il 2008 sono state numerose le segnalazioni relative a possibili violazioni delle norme dettate dalla legge 31 dicembre 1996, n. 675 e dal codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica (provvedimento del 29 luglio 1998, in G.U. n. 179 del 3 agosto 1998) con riferimento ai trattamenti svolti nell’esercizio della professione giornalistica o, più in generale, del diritto di libera manifestazione del pensiero.
Le statistiche dimostrano una accresciuta attenzione su tali temi da parte degli operatori dell’informazione. Conferma di ciò è anche l’aumento dei casi in cui sono gli stessi organi di informazione e -in particolare- i singoli cronisti ad interpellare il Garante, ponendo quesiti o chiedendo chiarimenti in ordine al corretto utilizzo delle informazioni nel quadro delle vigenti norme in materia di protezione dei dati.
@Grazie Sergio, sei un amico. Solo tu mi comprendi. A volte ho l’impressione che ci prendiamo troppo sul serio e cerco di creare un intermezzo pubblicitario. Comunque la Simo sta andando alla stragrande, lei sì andrebbe beatificata.
Per quanto attiene invece a comportamenti violativi della privacy attraverso la linea telefonica lamentati dal caro Renzo , essi sono ancora molto persistenti.
E’ del 2007 la svolta grazie soprattutto alle associazioni dei consumatori e degli utenti che segnalano con assiduità tali interferenze al garante.
Le casistiche giudiziarie stanno di conseguenza registrando un aumento della sfera di tutela in un campo in cui la collaborazione del cittadino è essenziale.
Caro Renzo, per il problema che hai segnalato ecco il link:
http://alleanzaconsumatorisa.blogspot.com/2008/03/spamming-telefonico-e-telefonate.html
–
Riporta anche le sanzioni del garante e le attività delle associazioni dei consumatori in questo difficile contesto.
Grazie, cara Simona. Sei una fonte preziosa di informazioni e di chiarimenti.
E colgo l’occasione per ringraziare anche gli altri intervenuti. Le opinioni sono indispensabili per procedere nell’acquisizione della conoscenza.
Buona notte.
Scusate se riesco a intervenire solo ora, ma ho avuto qualche piccolo problema.
Vi avevo chiesto di aiutarmi a portare avanti questo post in maniera serena e responsabile.
E in effetti così è stato.
Vi ringrazio moltissimo.
Ma ringrazio soprattutto la nostra Simona Lo Iacono.
La ringrazio di cuore.
Come avete visto si è messa a nostra totale disposizione per tutto il giorno svolgendo un’attività impegnativa e impeccabile per precisione, chiarezza e serenità espositiva.
Una bellissima forma di volontariato a servizio dell’informazione.
Apprendo, peraltro, che Simona ha svolto la suddetta attività nonostante avesse la febbre alta.
Per questo motivo chiedo a Simona di chiudere e di pensare alla sua salute.
Simo… a nanna!!! 🙂
E grazie. Ancora grazie.
@Sì…vado a nanna.
Grazie a voi tutti per le occasioni di confronto!
Notte!
Grazie ancora, Simo. Ti prego di riguardarti.
Domani, se non te la senti… non intervenire.
I nostri amici capiranno.
(Scusate i miei interventi a singhiozzo ma – a proposito di febbre alta – ho la piccolina che è proprio messa male).
Ci mancherebbe che non capissimo: Simona ci sta offrendo delle consulenze legali che altrimenti costerebbero care – scusatemi se sono stato un po’ venale, ma anche questo… conta.
Prima di augurarvi la buonanotte desidero ringraziarvi ancora tutti (ma proprio tutti, uno per uno… come se avessi citato uno per uno i vostri nomi).
Ringrazio in particolare Adriana Merola per il suo bell’intervento che integra benissimo i vostri commenti e l’ottimo (impagabile) lavoro svolto da Simona.
(Non per nulla Adriana fa anche l’avvocato 🙂 ).
Buonanotte!
Mi riprometto approfondita lettura.Su quella frettolosa fatta,convengo su molto.Credo che un blog sia sempre una sfida con se stessi nella relazione con gli altri.Senza ambiguità di parola ma capace di raccogliere altri pensieri (giacchè il proprio si già pensato), in condivisioni di ricerca,di creazione,di suggestioni partite solo da una verità del sentire immediato che coinvolga e stimoli gli altri o i simili,riconoscendosi, a fare altettanto.In pluralità di parola ma ricche sempre di verità di un sentire,senza retorica,senza scopi speculativi ma che,attraverso la forza delle argomentazioni e del sentimento sappiano suscitare la PASSIONE della ricerca,creando le basi per una civile discussione partecipativa libera o i presupposti per una condivisione dalla quale partire per sentirsi amici,simili,ricchi di molecole universali che danno senso per averlo aperto un blog. Con la fretta ma “sentitamente” Carola
Grazie a Simona (e naturalmente a Massimo che ha proposto questo post): sei stata chiarissima!
Metto un link dal mio blog perché questo post si diffonda come merita :-))
Grazie anche da parte mia. Davvero un servizio notevole reso in maniera perfetta anche se gratuita. Da quanto letto traggo la conseguenza che anche il sacrosanto diritto di critica deve rivestirsi di una forma decorosa.
Carissima Simona, ti ringrazio tanto, ora ho le idee più chiare e Giudici, onesti, preparati e affidabili come te andrebbero – c l o n a t i – per moralizzare questa povera Italietta che fa acqua da tutte le parti.
Ma, persone garbate come il nostro amato Massimo e come te, perla rara e preziosa, ci fanno essere ottimisti e possiamo pensare, che non esistono solo piccoli uomini gretti, senza remore ed etica.
Ai nostri due gioielli. GRAZIE. Ho scovato per Voi, un altro istruttivo motto dell’adorabile Oscar:-
” Perdonate sempre i vostri nemici. Non c’è niente che possa dar loro più
fastidio…” Oscar Wilde
Tessy Vi augura una serena giornata
Grazie Massimo per questo prost interessante e utilissimo. Anche la lettura dei commenti è risultata valida. Avevo bisogno di saperne di più sull’argomento e di chiarirmi le idee.
Grazie a tutti! E buona giornata!
L’intervento di Mario mi offre occasione per specificare che nell’ambito del generico diritto di critica, si pone il diritto di critica specifico o tecnico, come la critica letteraria e artistica.
La critica letteraria utilizza metodologie specifiche per l’analisi del testo letterario, nelle sue componenti formali, tematiche, retoriche e stilistiche, nonché nei suoi rapporti con i contesti storici, culturali e ideologici.
E’ dunque legato a regole, a un’esposizione logica, a un procedimento mentale e analitico.
Ne consegue che è esercitatile solo da parte di chi abbia specifica abilitazione a farlo e abbia un’approfondita conoscenza del testo cui applica le metodologie e ove non sconfini in un giudizio gratuito e immotivato o utilizzi forme espressive non adeguate allo scopo (criterio di continenza) . E ciò nonostante, essendo una valutazione, non è necessario che sia obiettiva.
Da ultimo lo ha ribadito :Cassazione penale , sez. V , 14 febbraio 2002 , n. 20474 che ha sottolineato come “Non avrebbe, alcun senso pretendere che la critica sia rigorosamente veritiera (id est, obiettiva) proprio perché una critica obiettiva sarebbe mera contraddizione in termini, e dunque la negazione stessa della sua essenza concettuale.
È vero, di contro, che la critica deve avere un contenuto di veridicità, ma solo nel senso che deve riferirsi ad un fatto storicamente vero o ad un evento realmente accaduto (cfr., in questo senso, Cass. sez. 5, 3.6.1998, n. 6548), Ma, accertata che sia la connotazione critica di una determinata manifestazione di pensiero e verificata, altresì, la sostanziale rispondenza al vero del fatto cui si riferisce, la critica resta soggetta solo al rispetto dei criteri della rilevanza sociale della notizia e della correttezza delle espressioni usate”.
E ancora, il tono scherzoso di Salvo Zappulla mi consente di specificare che anche l’IRONIA è stata definita un particolare modo di fare critica.
Il tono ironico è utilizzato, secondo un sentenza della CdA penale, per sostenere la critica attraverso degli artifici retorici, non per offendere deliberatamente.
Ne desumiamo quindi qual è la differenza tra IRONIA e SATIRA (di cui abbiamo parlato più sopra):
la satira è quella forma espressiva del pensiero, la cui peculiarità è quella di suscitare ilarità attraverso lo sbeffeggiamento di personaggi noti, attraverso il ricorso al paradosso, a metafore surreali e a forzature dei toni.Mentre l’ironia è una tipologia del diritto di critica.
Quindi l’IRONIA è tutelata dall’art 21 Cost, mentre la SATIRA, come già detto, dall’art 33 Cost.
Anche nel caso dell’ironia , tuttavia, la giurisprudenza ha sottolineato che la condizione che fa sì che il suo esercizio rimanga nella sfera del lecito è la veridicità del fatto a cui fa riferimento l’attività comica. Non la verità.
Cara Simona,
prima di tutto ti sei sfebbrata?
Indi, un quesito e una constatazione: il diritto di di esprimere le proprie opinioni è giustamente tutelato, pur con i dovuti limiti volti a non ledere l’immagine, diciamo pure la personalità di un soggetto di cui si parla. Evidentemente non è facile giudicare se uno sia stato effettivamente offeso dalle parole altrui, perchè questo dipende anche dalla sensibilità della parte lesa, a patto che sia riscontrabile con criteri obiettivi. La domanda è questa: se io dico figlio di p… a un personaggio noto e lo dico a uno sconosciuto, a parte il ristoro economico, le conseguenze sanzionatorie sono uguali?
” Perdonate sempre i vostri nemici. Non c’è niente che possa dar loro più
fastidio…” Oscar Wilde:
in questo modo, spesso, si diventa come il nemico.
il nemico usa l’affondo con un colpo diretto e irrispettoso, chi perdona, invece, lo fa con le buone maniere.
la buona educazione, a volte, è un’arma peggiore, perché è subdola e sottile e non è meno gretta della cattiva educazione.
non v’è differenza, insomma, tra il nemico e chi perdona, se chi perdona persegue lo stesso fine del nemico: fastidiare, con le buone maniere e con l’irreprensibile calma di chi si reputa superiore, fastidiare colui che scomoda le sicurezze acquisite della propria personale weltanschauung.
vanità delle vanità, tutto è vano, nell’italietta: gli apocalittici come gli integrati.
li differenzia una fenomenologia diversa dell’ingiuria: la si può rivolgere con sottile intelligenza e con scaltrezza sottraendosi alla pena con un cavillo irrefutabile; la si può rivolgere andando al sodo, rischiando l’accusa e mettendosi dalla parte del torto con una faciloneria volgarotta.
cavillo tecnicistico o motto volgare: ‘una formalità, una questione di qualità’.
la differenza vera tra il nemico e chi perdona sta in qualcosa di più essenziale, che non è visibile agli occhi.
saluti.
Carissimo Renzo,
intanto grazie per esserti interessato alla mia salute!
Sto meglio, mio caro.
Passando al tuo quesito. Naturalmente le conseguenze sanzionatorie sono identiche in sede penale, così come in sede civile in seno alla quantificazione del danno morale e non patrimoniale.
Ciò che può cambiare è la valutazione del danno patrimoniale ove possono assumere una componente nella liquidazione le qualità professionali dell’offeso.
Ti faccio un esempio.
Una cosa è dire “sei un incompetente” a un soggetto privo di occupazione che non svlgendo concretamente un’attività lavorativa potrà subirne solo un contraccolpo emotivo e morale.
Altra è dirlo per esempio a un noto professionista che vanta una clientela estesa e che può avere un danno ecomico dalla divulgazione malevola di tali affermazioni.
In questo caso la diminuzione dell’afflusso della clientela a causa della diffamazione (una volta dimostrato in sede probatoria il nesso eziologico tra divulgazione della notizia e perdita concreta di clientela) avrà un’incidenza economica maggiore.
Un’altra voce di danno, invece, è la perdita di chances, ossia di occasioni .
In questo caso anche un soggetto privo di occupazione potrebbe dolersi del fatto che quella espressione”sei un incompetente” lo ha privato dell’opportunità di un’occupazione futura.
E per quantificare, monetariamente, la perdita di chances, come si fa?
Mi fa piacere che tu stia meglio; ho avuto anch’io un evento influenzale, maturato nel giro di tre o quattro giorni, e risolto anche velocemente.
Sta riguardata però, anche se lì da te non penso che ci sia il freddo che invece da me oggi è particolarmente evidente.
Si, stai riguardata… e intanto quello fa domande a raffica.
tanto a lui che gliene viene
🙂
E grazie anche a Gianluca che offre l’opportunità di chiarire, in seno all’uso linguistico, il rapporto tra forma e sostanza.
Tale rapporto è preso espressamente in considerazione dalla suprema corte e ha una valenza diversa a seconda del livello di incidenza dell’exceptio veritatis, ossia della necessità di riportare la verità.
In seno al diritto di CRONACA la necessità tra questa coincidenza è massima poichè viene in rilievo il diritto all’informazione.
A tale proposito, la Suprema Corte di Cassazione, ha sottolineato che non rispettano il requisito della veridicità e, quindi, debbono considerarsi illecite, le c.d. “mezze verità”. Esse si hanno quando vengono riferiti fatti veri e, contemporaneamente, vengono taciuti altri che muterebbero il senso dei primi.
Oppure allorchè si possa parlare di verità alterata, ossia della esposizione di fatti arricchita da allusioni, sottintesi ed espressioni dubitative, elementi, questi, che rendono la narrazione caratterizzata da incompletezza e da squilibrio anche se linguisticamente ineccepibile.
Quindi anche se IN APPARENZA è fatta salva la forma, la giurisprudenza esamina l’insieme delle circostanze. Non solo quelle puramente espressive.
Ed ancora, non può dirsi veritiera una ricostruzione degli avvenimenti realizzata attraverso il travisamento della successione degli eventi o l’omissione di fatti rilevanti o l’enunciazione di altri, ma in modo artificioso.
In seno al diritto di CRITICA, invece, la valutazione della forma terrà conto del fatto che l’ambito è valutativo (per cui anche una forma ironica è ammessa purchè non trasbordi il canone della “veridicità”).
In seno al diritto di SATIRA, ancora, la forma, avendo valenza creativa (dato che siamo nel campo della libertà artistica), andrà adeguata alla peculiarità della forma d’arte prescelta.
In sintesi, quindi, il rapporto tra forma e sostanza deve essere valutato in concreto, e non in astratto, dall’insieme delle circostanze che accompagnano l’evento lesivo.
Caro Renzo,
anche qui occorre valutare caso per caso.
Nel primo esempio che ti ho fatto (quello del soggetto privo di occupazione) una volta dimostrato in via probatoria il nesso con la perdita dell’occupazione futura, si accerta a quanto sarebbe ammontato lo stipendio mensile in caso di occupazione. Si moltiplica poi questo coefficiente almeno per il periodo cd di “prova”.
Nel secondo caso, invece, si valutano le dichiarazioni dei redditi passate del professionista. Si accerta in relazione ad esse a diminuzione. Si liquida infine la differenza.
@ Ste: devi sapere che il diritto è la mia passione e che, benchè abituato a colloquiare con dei giudici, ma sempre per motivi di lavoro, non mi era mai capitata l’opportunità di trovarne uno competente e disponibile come Simona.
Grazie, Simona, anche per la capacità di rendere facilmente comprensibile il diritto anche ai non addetti ai lavori.
grazie Simona, riguardo a questo:
# […]IN APPARENZA è fatta salva la forma, la giurisprudenza esamina l’insieme delle circostanze. Non solo quelle puramente espressive.# ma come si fa a capire? io personalmente, ‘sento’ se una persona dice la verità o meno, ho un’ipersensibilità quasi patologica, come dice il mio docente psicanalistica, che mi permette di aniticipare, eccetera, narcisimo mio dissimulato a parte, come si fa in un’aula di tribunale a verificare la corrispondenza tra forma e sostanza? cioè, esiste veramente la macchina della verità? oppure ci sono degli psicologi forensi che giudicano il livello preverbale?
la ringrazio e la saluto.
DEFINIZIONE DI TROLL
Troll – nel gergo di Internet, e in particolare delle comunità virtuali come newsgroup, forum, mailing list, chatroom o nei commenti dei blog – è detto un individuo che interagisce con la comunità tramite messaggi provocatori, irritanti, fuori tema, allo scopo di disturbare gli scambi normali e appropriati. Spesso l’obiettivo specifico di un troll è causare una catena di insulti ; una tecnica comune consiste nel prendere posizione in modo plateale, superficiale e arrogante su una questione già lungamente (e molto più approfonditamente) dibattuta, specie laddove la questione sia già tale da suscitare facilmente tensioni sociali. In altri casi, il troll interviene in modo semplicemente stupido (per esempio volutamente ingenuo), con lo scopo di mettere in ridicolo quegli utenti che, non capendo la natura del messaggio del troll, si sforzano di rispondere a tono.
Un troll particolarmente tenace e fastidioso può effettivamente scoraggiare gli altri utenti e causare la fine di una comunità virtuale. Se un troll viene invece ignorato (in genere la contromisura più efficace), solitamente inizia a produrre messaggi sempre più irritanti ed offensivi cercando di provocare una reazione, per poi abbandonare il gruppo.
Oltre all’indifferenza, in molti contesti esistono anche strumenti tecnici utili per combattere i troll; un approccio generale consiste nel predisporre opportuni filtri che rendono automaticamente invisibili i messaggi inviati dagli utenti segnalati al sistema come disturbatori.
Caro Gianluca,
approfitto del tuo intervento per sottolineare che l’indagine di cui parli attiene all’elemento soggettivo dei reati.
In diritto penale, il dolo è il criterio normale di imputazione soggettiva per i delitti. Lo stabilisce l’art. 42 del codice penale secondo cui nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge. Si ha dolo quando il soggetto agisce con coscienza e volontà (rappresentazione e realizzazione dell’evento voluto da parte dell’agente). Coscienza e volontà che devono ricadere su ogni elemento costituente il fatto tipico.
Il dolo è definito nel nostro ordinamento penale dall’art. 43 del codice penale: “Il delitto è doloso o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”.
Tale definizione postula dunque due elementi strutturali fondamentali ai fini della presenza o meno del dolo: la rappresentazione e la volontà e rappresenta un compromesso tra le due teorie principali che si contendevano il campo al tempo dell’emanazione del codice penale: la teoria della rappresentazione e la teoria della volontà.
La teoria della rappresentazione concepiva la volontà e la rappresentazione quali fenomeni psichici distinti: in particolare ritenevano i suoi sostenitori che la volontà aveva ad oggetto solo il movimento corporeo dell’uomo; mentre le modificazioni del mondo esterno provocate dalla condotta si riteneva potessero costituire solo oggetto di previsione mentale.
La teoria della volontà privilegiava invece l’elemento volitivo del dolo nel convincimento che potessero costituire oggetto di volontà anche i risultati della condotta: i suoi sostenitori consideravano la previsione o rappresentazione un mero presupposto della volontà
Il codice penale ha invece raggiunto un compromesso tra le due teoria dando pari dignità ai due elementi, quello cognitivo della rappresentazione e quello volitivo della volontà.
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I metodi di indagine giudiziaria sono delicati e pazienti e riguardano tanto la rappresentazione quanto la volontà. Atengono alla raccolta di precedenti, di prove testimoniali, di relazioni psichiatriche. Un affondo , credimi, misterioso e non di rado doloroso nel cuore umano.
@angela: posso fare una battuta? ma lo sai che ad Alberobello è pienissimo… di troll?….
grazie simona! 🙂 mi sembra una sorta di psicanalisi sociale.
saluti
Gianluca, ma il mio era solo un commento scritto così, per informare tutti. Perché ti sei sentito in dovere di fare la battuta?
così… per un gioco di parole! troll… trull… trulli. non mi sono sentito in dovere, m’è venuto da ridere nel pensare una guida turistica del futuro con i trull di alberobello, poi io sono pugliese…. un jeu de mots, gioco di parole. amo i giochi di parole. e anche i fiumi di parole. 🙂
mica volevo sminuire la tua informazione, e d’altronde l’avessi ritenuta inutile non ci avrei viaggiato con la fantasia! scusami se ti è sembrato che volessi sminuirti. ti ha dato fastidio? 🙂
si usa ancora fare dei complimenti qui dentro? beh, simona, sei davvero in gamba. ogni tuo intervento è limpido ed esauriente. grazie
@ Simona
con riferimento alla giurisprudenza, ho sempre provato un stato d’animo di disagio.
Più numerose sono le leggi, i decreti che ne seguono e così via, e più ho l’impressione che la società rimanga un conglomerato di persone ineducabili.
È come se una legge naturale abbia definito che la conformità e la contrarietà vadano insieme, siano il volto di una stessa entità alla ricerca illusoria di un’uscita dalla loro condizione di dipendenza.
A pagarne il conto è lo spirito umano, donatoci per la nostra liberazione da un conflitto che sembra non aver mai fine.
Per chiarire posizioni differenti e a volta diffamatorie nel loro contenuto, ci serviamo della lingua parlata e scritta: un mezzo per regolare ciò che sembra non regolabile, data la complessità della natura umana, davanti alla quale il mezzo risulta non idoneo, se non a creare nuovi e più complicati fraintendimenti.
Educazione e spirito d’intesa, nel senso della solidarietà generale che trova il suo fondamento nel concetto che siamo tutti figli di una forza superiore, potrebbero ottenere maggior successo e risparmiarci molte fatiche impiegate e sofferte inutilmente negli sforzi d’intendimento.
Entrambe non vengono assunte con il necessario valore e così triboliamo ancor più rimanendo relegati in una situazione restrittiva e limitata.
Non vedo alcun logica e fine, quando ci diamo da fare alla realizzazione di equilibrio ed armonia e nello stesso tempo non prendiamo in considerazione nessun metodo basato su concetti liberatori.
È come affermare che alcuni devono essere bravi e seri, mentre altri possono fare quello che la loro indole debole, viziata e degradata suggerisce.
Eppure i tempi si restringono e il momento della presa di decisione senza però e come s’avvicina.
In un futuro oscuro, impostatoci dalla nostra stessa ignoranza ed egoismo, tutte queste leggi e provvedimenti appariranno come una sagoma di una civiltà troppo limitata da meritarsi questo nome, ma troppo vanitosa da usarlo come decoro e merito.
Cari saluti, Simona, e grazie per i tuoi interventi eccellenti, dietro i quali emerge la tua personalità chiara ed equilibrata di persona carismatica e saggia.
Lorenzo
Caro Lorenzo,
comprendo che la complessità e il numero elevato di leggi e pronunce possa confondere e scoraggiare. Che possa rimandare l’idea di una legge e una giustizia lontana dall’uomo.
In realtà la norma si fa interprete della fragilità della condizione umana. La raccoglie. Cerca di lenirla.
Per recuperare il senso generale dell’orientamento del nostro Stato, per ricordare da quali negazioni proviene e quanto l’enunciazione delle libertà siano costate a molti (partigiani, uomini di ingegno, magistrati e tanta tanta gente comune) vorrei però suggerirti che c’è un modo.
La lettura della nostra Costituzione.
E’ un testo breve, facilissimo da ricordare e – soprattutto – non ha valore PROGRAMMATICO ma immediatamente PRECETTIVO.
Questo vuol dire che scorrendola con gli occhi e col cuore potrai rinsaldare il legame con il diritto, con il suo spirito arcaico e sacrale, col suo sforzo quotidiano di dare una voce all’uomo.
Non c’è legge del nostro ordinamento nè pronuncia che non si ispiri e non applichi la carta costituzionale.
Rileggendola, è come se tu abbracciassi l’intero sistema giuridico del nostro Stato.
Ti inserisco anche un link….così, per ricordare come eravamo.
http://centri.univr.it/resistenza/novecento/html/diritto/storia_cost.htm
Mi connetto sempre più tardi, lo so 🙁 …
E avrei così tante cose da scrivervi…
Ma stanco come sono mi limito a ringraziare ancora una volta Simona per l’abnegazione, professionalità, pazienza, bravura, competenza e grande amicizia con cui sta rispondendo alle nostre domande.
Standing ovation per te, Simona.
🙂
E ancora grazie a tutti voi. Nessuno escluso.
Un bacio alla dolce Tessy (bellissima la citazione di Wilde) e un ringraziamento speciale per Angela. Anche io di tanto in tanto ricordo la definizione di Troll… per due motivi:
a) perché così, i Troll, finiscono con l’essere irrimediabilmente isolati (e disinnescati)
b) chi, magari in buona fede, assume atteggiamenti da Troll ha la possibilità di autocorreggersi.
Ma ci sono nuovi Trolls che non sono dannosi.
Vi lascio con una “carezza della sera”… per voi
http://www.youtube.com/watch?v=uV1rY7cbWRk
🙂
http://www.kataweb.it/blog/
c’e’ un metro molto semplice da usare per conoscere i “limiti” della cosi detta liberta’ di espressione.
fermo restando che chi dice una verita’ pubblica non puo’ a parer mio essere ami censurato credo che la liberta’di una persona finisca dove comincia quella di un’altra cosi’ come i diritti e le responsabilita’.
edmondo
Scusate, faccio la solita pippodellamonicata, dal sapore vagamente trollesco, intervengo in ritardo dopo aver scorso sommariamente i post.
Mi sembra che il dibattito, specie all’inizio, sia stato un po’ troppo tecnico a parte gli interventi di Lucia, ai quali mi ricollego.
Oggi il web si sta sostituendo con autorità, ma non sempre con autorevolezza, ai tradizionali media elettronici, e tende ad essere considerato una fonte di per sé “ufficiale” e degna di fede (“sta su Internet”, “l’ho letto su Internet”). E questo vale soprattutto per chi, per formazione o età, non è in grado di decodificare la comuncazione (né la tradizionale, né quella offerta dalla Rete).
Ciò detto, per me il rischio è quello di trasmettere disvalori, più o meno inconsciamente.
Se infatti io scrivo in un testo connotativo che il protagonista fuma, e lo “dipingo” positivamente, c’è la possibilità che un “destintario debole” lo recepisca come un modello da imitare.
E a questo effetto concorrono la immaterialità del mezzo e il parziale anonimato della fonte.
Ciò detto saluto tutti immaterialmete…
Gentile Gianluca, non avrei mai supposto che una battuta dell’amato Oscar… potesse suscitare – tanto rumore per nulla –
Per motivi di salute ho disertato il blog, lei forse è poco che lo frequenta
altrimenti saprebbe che da anni segnalo tali freddure alla allegra combriccola dei miei simpatici amici.
Non volevo riferirmi a lei, ma era una considerazione generale inerente
all’argomento. Anch’io mi creda, – amo la verità che ci fa liberi – e non scrivo solo salvando la forma.. anzi direi che quando devo difendere un principio di cui sono convinta, ci metto anche troppa sostanza, infatti chi mi conosce sa, che malgrado la mia quarta, età, odio il compromesso.
Ho letto che lei è pugliese, ma forse abbiamo avuto esperienze e
insegnamenti diversi. La Puglia ha formato la mia mente di ragazza per ben cinque anni, nel Collegio Magistrale delle Suore Betlemite di Andria e sono grata a questa terra meravigliosa e benedetta, che conosco palmo a palmo. Dunque, negli anni cinquanta, secondo la buona Società del tempo, sono stata educata con metodi prussiani e con le ferree regole del Bon ton, come prevedevano le aspettative della mia famiglia.
Tale corazza è divenuta per me una spessa pelle ed è improbabile che ora possa modificarmi. Infatti i miei figli mi chiamano M. Teresa d’Austria
Rispetto tutte le idee, poiché ciascuno è libero di vivere secondo i suoi canoni etici. Fortunatamente sono una persona che ama l’ironia, ineludibile sale della vita…La prego quindi, di perdonare questa imbelle ed arzilla vegliarda se ancora una volta concluderà la sua noiosa filippica con una arguzia:-
” Non bisogna essere inutilmente bruschi con una signora, eccetto quando si è sul tram.” O Henry
La saluto con simpatia.
Tessy
Senta Signora, io ho ripreso solo la frase di Wilde senza alcun riferimento al testo del post e tantomento alla sua persona.
Se avessi voluto riferirmi a lei, lo avrei fatto direttamente.
Io sono pugliese, sì, salentino, della magna grecia, di quella terra fuori dalla storia, come ama dire Carmelo Bene.
Quanto agli insegnamenti, purtroppo anche io ho ricevuto un’educazione cattolica ferrea quanto a bon ton e rispetto delle gerarchie. Ma gli effetti su di me sono stati totalmente differenti, avendo determinato in me una profonda avversione per le regole e le gerarchie. Rispetto le idee e le persone, sono dotato di una forte empatia, ma ciò indipendentemente dalla loro gerarchia o dalla loro età. In questo caso, se leggo un commento e mi colpisce, nel bene e nel male, rispondo a mia volta con un mio commento. Lungi da me voler attaccare l’autore.
Quindi non sono stato brusco con lei, ho solo ripreso la frase di Wilde, che tra l’altro amo, per il coraggio che ha dimostrato nello sfidare le regole rigide della società vittoriana, finendo anche in carcere per questo. Se le sono sembrato brusco o arrabbiato, deve comprendere che sono un precario di trentanni senza una lira in tasca in un paese in cui, secondo me, è meglio non nascere e una volta nati lasciarlo al più presto.
Con rispetto, buonagiornata.
@Buongiorno a tutti.
Le osservazioni di Edmondo colgono il procedimento logico che viene utilizzato nell’attività giudiziaria per risolvere i casi di conflitto tra pari e concorrenti libertà.
Ebbene i contrasti vengono risolti attraverso un delicato procedimento di cd “bilanciamento di interessi”.
Ossia viene prima di tutto valutato il “bene giuridico” tutelato da una determinata norma (ossia l’interesse collettivo protetto) e poi lo si mette in confronto con la contrapposta esigenza sottesa all’altro bene giuridico che viene in rilievo.
Facciamo un esempio: se durante un furto, senza essere provocato, nè minacciato, sparo sul ladro, non potrò vedermi applicata la legittima difesa poichè tra il bene tutelato dal furto (il patrimonio personale) e quello tutelato dall’omicidio (la vita umana) il secondo ha una valenza superiore.
Il problema più difficile quindi si pone quando vanno bilanciati beni giuridici aventi pari rango costituzionale (diritto alla manifestazione del pensiero e diritto di informazione o critico) dove viene applicato il concetto – di cui abbiamo parlato – di “limite del diritto”.
Anche l’interessante commento di Pippo della Monica offre la possibilità di una riflessione importante.
I rapporti tra diritto ed etica.
Infatti il problema del disvalore di una determinata azione attiene, innanzi tutto, al campo dell’etica e viene successivamente mutuato dal diritto che svolge un’opera di selezione e di positivizzazione dei comportamenti umani.
E cioè:
l’etica è quella riflessione che ha ad oggetto il contegno umano visto nella prospettiva di un giudizio di valore( buono/cattivo).
Si pone quindi questioni di principio e valore, non tecniche (diremo che ragiona in termini”fondamentalistici”).
Quindi il problema etico si pone allorchè nasce un conflitto di valori e l’uomo si trova innanzi al dilemma della scelta( mirabile in questo senso l’Antigone di Sofocle). Il dramma della scelta è quasi sempre quello tra dovere e libertà.
In seno allo stato di diritto e in particolare allo stato democratico, i valori etici non si pongono come assoluti nè come verità universali, e tuttavia il problema etico persiste anche se viene risolto in base a criteri di aggregazione (ossia attraverso le assemblee parlametari).
In tale contesto il diritto esprime i valori etici che la società ha imposto attraverso la discussione democratica.
E tuttavia non tutto ciò che è immorale è antigiuridico proprio perchè il diritto seleziona quei valori tutelati dall’ordinamento e non altri.
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Tornando all’intervento di Pippo della Monica: non tutto ciò che, pure, è disdicevole secondo coscienza è tutelabile in sede giudiziaria.
E tuttavia esiste (tesi giusnaturalistiche) un diritto “naturale” , cioè un insieme di norme di comportamento dedotte dalla “natura” e conoscibili dall’essere umano anche se non codificate.
Ce ne parla Aristotele nell’etica Nicomachea: “Del giusto civile una parte è di origine naturale e un’altra si fonda sulla legge”.
Ciò non toglie, come ha giustamente sottolineato Pippo, che anche il disvalore (pur potendo attenenere all’etica e non al diritto, o al più al diritto naturale) possa essere aggravato dalle caratteristiche della rete: aterritorialità e velocità.
Ulteriore segno della cautela con cui lo strumento deve essere utilizzato.
Passo di qui velocemente per un saluto. A Massimo e a tutti, auguro un buon fine settimana 🙂
Eg. Maugeri, la domanda che faccio a Simona e questa: Sapendo che nel nostro parlamento sono stati eletti poltici condannati in via definitiva per reati attinenti alla collusione mafiosa o al favoreggiamento della mafia, o per i vari reati sia penali che civili, sono perseguibile se esprimo la mia convinzione che il nostro parlamento può configurarsi come una associazione per delinquere di stampo politico mafioso? Se ascoltando un Ministro che viola con grave offesa la MAGISTRATURA definendola una CLOACA, commetto reato se chiamo quel ministro un DELINQUENTE? Sentendomi offeso come cittadino da un ministro della Repubblica che dichiara di pulirsi il c… con il tricolore sono condannabile? Non so come fare per sapere tutto questo, e ti sarei grato se facessi in modo attraverso il blog di rispondermi. Grazie a te e alla signora Simona.
Molto lucida la disamina della questione, cara Simona, e molto pertinenti le risposte a tutti i quesiti emersi lungo il dibattito. In un periodo di grande confusione mediatica, di prevalenza dell’ingiuria come strumento di sopraffazione dell’avversario e come mezzo di affermazione di un ego smisurato (la classe politica non risparmia teatrini al riguardo), mi chiedo dove sia finita l’etica. E’ vero, il diritto regola i vari ambiti del “viver civile”, ci sono norme che limitano le possibilità di ingerenza nell’altrui sfera non solo giuridica, si tende ad arginare l’uso smodato della parola, ma può bastare?
Mi richiamo a quanro scritto da Franco Devi per un’osservazione non politica, ma di carattere giuridico che mi sembra pertinente all’argomento. Come tutti sapranno il concetto di comune senso del pudore nel tempo si è via via modificato, al punto che mostrare certe immagini non è più un reato come tempo fa. L’ingiuria, a sua volta, dovrebbe costituire secondo logica un evento eccezionale, ma di questi tempi assistiamo continuamente in televisione a dibattiti che definirli rissosi è a dir poco riduttivo; sembra anzi che offendere, anche pesantemente, chi ha un’altra opinione sia diventato una regola e del resto c’è qualcuno che pubblicamente ha ingiuriato pesantemente chi non è della sua idea politica.
Alla luce di questi fatti riengo che anche la giurisprudenza abbia ad adeguarsi, visto che la parolaccia, la frase insinuante, la menzogna ripetuta o la verità taciuta sono diventati normalissimi. C’è da dire che questo comportamento è prevalente nei parlamentari, che, come tutti sanno, per essere sottoposti a un procedimento giudiziario necessitano dell’autorizzazione a procedere che non viene deliberata da un organo terzo indipendente, ma dallo stesso parlamento, con le conseguenze che è assai raro che ciò accada.
Rimaniamo noi, poveri tapini, forse a credere, come è logico, che pretendere il rispetto ha come presupposto indispensabile il rispetto degli altri. Ma guai ad alzare i toni, guai anche a sottindere involontariamente, perchè la nostra controparte, così insensibile a ingiurie generalizzate da parte di un parlamentare, diventa estremamente suscettibile quando qualcosa tocca solamente lui.
E’ come se esistessero due mondi: uno, quello dei comuni mortali, che devono rispettare le leggi, e l’altro quello degli dei dell’Olimpo che possono permettersi di violarle.
Dato pero che il pesce puzza dalla testa questi scontri verbali a suon d’ingiurie si vanno progressivante estendo anche verso il basso e se andiamo avanti così i tribunali dovranno lavorare con i turni, a meno che l’offesa venga sempre più meno sentita come tale. perchè diventata abituale.
Caro Franco,
il problema che sollevi attiene ai rapporti tra attività politica e diritto di critica.
Il diritto di critica riveste necessariamente connotazioni soggettive quando si svolge in ambito politico, in cui risulta preminente l’interesse generale al libero svolgimento della vita democratica. Ne deriva che,” una volta riconosciuto il ricorrere della polemica politica ed esclusa la sussistenza di ostilità e malanimo personale, è necessario valutare la condotta alla luce della scriminante del diritto di critica di cui all’articolo 51 c.p (esercizio di un diritto o adempimento di un dovere)”.Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza 19509 del 4 maggio 2006.
Caro Renzo e cara Tea
il problema che sollevate – la progressiva normalizzazione del linguaggio scurrile, tale da non far percepire l’offensività di alcune espressioni pure caratterizzate da volgarità – è da qualche anno al vaglio della suprema corte. A un primo orientamento che propendeva per l’adeguamento del diritto all’evoluzione del linguaggio, si è passati di recente all’opposta previsione, facendo leva sulla indubbia valenza educativa e di orientamento del diritto. In particolare vi riporto la seguente massima della Cassazione (Cass. Sez. V, 17 febbraio 2004, Metta). : “E’ indispensabile che il linguaggio usato per comunicare sia corretto; il modo di esprimersi puo’ anche essere severo ed aspro, ma il requisito della continenza deve essere rispettato.
E’ vero che oggi e’ invalso il costume, oramai diffuso, di avvalersi di inaccettabili linguaggi usati anche da personaggi molto in vista, negli ambienti piu’ disparati.
Ma si tratta di un malcostume che deve essere contenuto per la salvaguardia di coretti rapporti tra i consociati che debbono essere improntati ad un minimo di rispetto e di civilta’, requisiti ai quali non e’ possibile rinunciare.
Ed invero, si e’ perspicacemente osservato che la violenza verbale, ingiustamente tollerata proprio in nome della liberta’ di espressione e di critica, e’ talvolta anche piu’ dannosa della violenza fisica”
Cara Simona,
l’orientamento mi sembra più che giusto, ma temo che non sia sufficiente per frenare il malcostume, ormai talmente radicalizzato che l’ingiuria sta diventando un linguaggio corrente. Non che approvi la cosa, ma le leggi sono fatte per essere rispettate, altrimenti non avrebbero senso; purtroppo c’è chi impunemente non le rispetta e il cattivo esempio finisce con l’autorizzare il comportamenti altri, egualmente incivili, con tutte le conseguenze che si possono immaginare. Ogni legge ha una ragione d’essere se inserita in un giusto contesto, altrimenti diventa solo un indirizzo. Per fare un esempio, prova a pensare a una legge in un ipotetico stato di cannibali che vieta di cibarsi di carne umana.
…E con questo, cari amici, devo chiudere.
Vi ringrazio delle meravigliose occasioni di confronto, ringrazio il carissimo Massimo che mi ha ospitata e che con sensibiltà e onestà intellettuale ha offerto questo servizio, ringrazio per gli spunti giuridici, etici, filosofici che mi avete fornito.
Grazie.
Per me è stata un’occasione davvero preziosa.
Spero che attraverso le mie risposte abbiate potuto intravedere quanto lo spirito della legge conosca l’uomo. Quanto sia consapevole delle sue mancanze. Dei suoi dubbi e delle sue necessità.
Quanto il processo somigli alla letteratura.
Uno scavare nel misterioso incavo del nostro cuore. Un domandarsi e poi darsi risposte e poi di nuovo domandarsi: perchè?
Per arrivare a questo perchè è spesso necessario un viaggio. Estremo. Doloroso.
E’ la discesa negli inferi del nostro personale perchè, del processo nascosto che allestiamo nelle nostre coscienze e che non conosce codicilli ma emozioni. Ferite. Desideri.
Spesso quando emetto la sentenza in nome del popolo italiano e la leggo davanti agli imputati, colgo nei loro occhi – e nei miei – l’inizio dello stesso viaggio.
A voi non posso che augurare di intraprendere il vostro con pietà e commozione umana.
Un abbraccio a tutti.
Simona
Ringrazio ancora una volta Simona Lo Iacono per essere stata a nostra completa disposizione per tutto questo tempo.
Ti ringrazio (di cuore) e al tempo stesso mi scuso, perché forse abbiamo un po’ abusato della tua gentilezza e disponibilità.
Ci hai reso un servizio grandissimo.
Grazie.
Grazie davvero.
Brava Simo… se i giudici avessero sempre la tua preparazione, la tua umanità, se quando emettono le sentenze fossero tecnici e umani insieme, il nostro paese sarebbe un paese migliore…
Non invidio la tua responsabilità, il peso della toga che fa vacillare, fa tremare vene e polsi…
Maria Lucia
…Massi, ma non devi scusarti!
E’ stato bellissimo interagire con voi tutti!
Anzi, vi ringrazio.
Un bacio
Simo
Mari…
ti abbraccio, tesoro.
@ Tessy e Gianluca
Caro Gianluca, non c’è dubbio che il nostro è un paese tutt’altro che facile per un trentenne. E come sottolinei tu, sono in tanti i giovani che lo lasciano. Al tempo stesso non è un paese per persone anziane, soprattutto per quelle che devono fare i conti con pesanti malattie (è il caso di Tessy).
Anzi, tempo fa pubblicai un post dal titolo “Non è un paese per vecchi” (in riferimento al film dei fratelli Coen e al libro di McCarthy):
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/04/17/non-e-un-paese-per-vecchi-il-libro-il-film/
Siamo arrabbiati, e spesso le nostre arrabbiature sono giustificate.
Tuttavia credo che scaricarle sugli altri (qui, in questo spazio) non serva e non risolva i problemi.
Invece trovo commovente che nonostante tutto (ripeto… nonostante tutto) ci sia ancora gente che abbia voglia di scrivere poesie e di leggerle.
La poesia è una delle cose che unisce te e Tessy (poetessa di vecchia data), caro Gianluca (oltre al disagio arrecato da una società difficile).
Per questo ti ringrazio per aver postato le tue liriche nell’ “Iperspazio creativo” di questo blog.
Sarebbe bello se poteste incontrarvi lì. Insieme a tutti gli amanti della poesia.
Sì, sarebbe molto bello.-
(P.s. “Iperspazio creativo” si può usare anche per “postare” racconti brevi).
Che posso aggiungere, io? Di giudici ne ho conosciuti diversi, ma così competenti e alla mano come Simona, mai!
@ Simo
E invece mi scuso (oltre che ringraziarti ancora). Hai dedicato tre giorni della tua vita a questo post, nonostante i problemi contingenti di salute e i tuoi moltissimi impegni.
Ti sarò sempre grato per questo.
Grazie Renzo. Simona si merita tutti gli apprezzamenti non solo per la competenza e la disponibilità… ma anche per il coraggio mostrato nello “esporsi” qui, in tempi difficili come i nostri.
E’ vero, Massimo, e a quei magistrati che, nonostante tutto, continuano a fare il loro dovere, non possiamo che essere grati, cercando, per quanto possibile, di sostenerli. Spesso conducono battaglie da soli, e questo è veramente deprecabile. Almeno moralmente dobbiamo essere con loro, perchè vuol dire credere ancora nella giustizia.
Sulle critiche alla classe politica mi sento di essere concorde. Del resto la pubblicazione di libri sulla malapolitica (molti dei quali bestseller) non fanno altro che mostrare la realtà.
Però non sono d’accordo sul “generalizzare”.
E comunque, sia i “cattivi politici” sia i “bravi politici”… alla fine vengono eletti.
E a elleggerli siamo noi.
Grazie ancora, Renzo. Giustissimo e sacrosanto.
Adesso, però, mi sento di “esimere” Simona dal gravoso compito.
Ha fornito numerossisime risposte che hanno necessitato studio e ricerca.
Le risposte (abbondanti) resteranno qui, a disposizione di tutti.
Credo che questa discussione sia stata utilissima. E lo sarà ancora per tutti coloro che leggeranno il “botta e risposta”.
Vi ringrazio di cuore per la partecipazione e per la bellissima esperienza.
Con queste parole, dichiaro chiuso questo post.