Commenti a: “GOMORRA”, “IL MATTINO” E “NAZIONE INDIANA” http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/ Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Sep 2021 08:46:19 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 hourly 1 Di: Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1547 Massimo Maugeri Fri, 06 Jul 2007 04:21:46 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1547 Nei prossimi giorni sarò fuori sede e difficilmente avrò la possibilità di "controllare" il blog. Per cui ho deciso di chiudere, almeno fino al mio rientro, lo spazio commenti a questo post. Chi avesse qualcosa da aggiungere può scrivermi a letteratitudine@gmail.com Provvederò io stesso a inserire i suddetti testi tra i commenti quanto prima. Nei prossimi giorni sarò fuori sede e difficilmente avrò la possibilità di “controllare” il blog. Per cui ho deciso di chiudere, almeno fino al mio rientro, lo spazio commenti a questo post.
Chi avesse qualcosa da aggiungere può scrivermi a letteratitudine@gmail.com
Provvederò io stesso a inserire i suddetti testi tra i commenti quanto prima.

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Di: Sergio Rilletti http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1546 Sergio Rilletti Thu, 05 Jul 2007 10:07:57 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1546 @ Sergio Sozi (e tutti i tipi “fiabeschi”) Caro Sergio, scusa se ti rispondo solo ora ma ho dovuto dedicarmi ad un paio di lavori. Bah!… Io, di solito, mi paragono a qualcuno solo quando voglio fargli un grandissimo complimento; quindi non mi paragono mai agli autori del passato perché ormai, dei miei complimenti, non saprebbero che farsene! Vabbe’… comunque… Tornando a parlare di fiabe, io, per esempio, cerco di trattare il tema dell’handicap e della diversità in tutti i modi possibili. Anche sotto forma di fiaba. Ho scritto un racconto, “Il cappello del prete” - pubblicato nell’antologia “Borsalino – Un diavolo per cappello” (Robin Edizioni) -, che è un hard boiled in puro stile Mickey Spillane narrato, però, in prima persona dal cappello del detective. Il cappello, che può solo vedere e ascoltare ma non può muoversi né comunicare, diventa così un forte emblema dell’emblema dell’handicap, facendo acquisire al racconto una dimensione quasi fiabesca. Inoltre ho scritto una vera e propria fiaba per bambini, spero di prossima pubblicazione, in cui tratto il tema dell’handicap e della diversità in modo fantastico e avventuroso. Scrivere fiabe oggi, secondo me è possibile. E io, c-he adoro cimentarmi su tutto, lo faccio. Sergio Rilletti @ Sergio Sozi (e tutti i tipi “fiabeschi”)

Caro Sergio, scusa se ti rispondo solo ora ma ho dovuto dedicarmi ad un paio di lavori.

Bah!… Io, di solito, mi paragono a qualcuno solo quando voglio fargli un grandissimo complimento; quindi non mi paragono mai agli autori del passato perché ormai, dei miei complimenti, non saprebbero che farsene!

Vabbe’… comunque… Tornando a parlare di fiabe, io, per esempio, cerco di trattare il tema dell’handicap e della diversità in tutti i modi possibili. Anche sotto forma di fiaba.
Ho scritto un racconto, “Il cappello del prete” – pubblicato nell’antologia “Borsalino – Un diavolo per cappello” (Robin Edizioni) -, che è un hard boiled in puro stile Mickey Spillane narrato, però, in prima persona dal cappello del detective. Il cappello, che può solo vedere e ascoltare ma non può muoversi né comunicare, diventa così un forte emblema dell’emblema dell’handicap, facendo acquisire al racconto una dimensione quasi fiabesca.
Inoltre ho scritto una vera e propria fiaba per bambini, spero di prossima pubblicazione, in cui tratto il tema dell’handicap e della diversità in modo fantastico e avventuroso.

Scrivere fiabe oggi, secondo me è possibile. E io, c-he adoro cimentarmi su tutto, lo faccio.

Sergio Rilletti

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Di: gennaro iozzia http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1545 gennaro iozzia Mon, 02 Jul 2007 07:51:28 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1545 è da un po' che non mi collego. acc..., quanti messaggi! maugeri, questa tua risposta a iavazzo mi ha fatto ridere di gusto per un bel po'. iavazzo: "Morirete senza raggiungere un millesimo della bravura e della potenza di questo ragazzo". maugeri: "Sì, ma speriamo il più tardi possibile". sei forte! è da un po’ che non mi collego. acc…, quanti messaggi!

maugeri, questa tua risposta a iavazzo mi ha fatto ridere di gusto per un bel po’.

iavazzo: “Morirete senza raggiungere un millesimo della bravura e della potenza di questo ragazzo”.

maugeri: “Sì, ma speriamo il più tardi possibile”.

sei forte!

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Di: miriam ravasio http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1544 miriam ravasio Sat, 30 Jun 2007 13:43:19 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1544 E' vero! L'economia fa sempre la sua parte... ma uno scritto, una lezione, un tema proposto da... non costano molta fatica; un impegno volontario piccolo come un microcredito, ma grande nella sua potenzialità civile e sociale. Ciao Un abbraccio, Miriam E’ vero! L’economia fa sempre la sua parte… ma uno scritto, una lezione, un tema proposto da… non costano molta fatica; un impegno volontario piccolo come un microcredito, ma grande nella sua potenzialità civile e sociale. Ciao

Un abbraccio, Miriam

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Di: Sergio Sozi http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1543 Sergio Sozi Fri, 29 Jun 2007 22:35:37 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1543 D'accordo con te su tutta la linea, Miriam, solo che i microfinanziamenti sarebbero piu' utili ai napoletani stessi, magari, non credi? Un abbraccio Sergio D’accordo con te su tutta la linea, Miriam, solo che i microfinanziamenti sarebbero piu’ utili ai napoletani stessi, magari, non credi?

Un abbraccio

Sergio

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Di: Elektra http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1542 Elektra Fri, 29 Jun 2007 17:12:50 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1542 Per Miriam. Proposta interessante. Speriamo che qualcuno la raccolga. Per Miriam. Proposta interessante. Speriamo che qualcuno la raccolga.

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Di: miriam ravasio http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1541 miriam ravasio Fri, 29 Jun 2007 12:05:18 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1541 A proposito di don Chisciotte, Gesualdo Bufalino scrisse "l'unico, insomma, per cui si possa dire, contro Goya, che il sonno della ragione genera angeli". Tutti gli scrittori a Napoli , come angeli chisciotti, per la stesura del Grande Codice. Un codice per un comportamento responsabile, partecipato, creativo e continuo. Responsabilità, partecipazione, creatività, continuità: come liberté, ég alité ecc. Mai più sole, le istituzioni di Napoli saranno vegliate a turno dagli scrittori ( della città, del Sud, dell'Italia intera e oltre) che parteciperanno alle sedute, ai consigli comunali, provinciali, regionali e di questo scriveranno. Passandosi la staffetta, potrebbero partecipare e vegliare sui consigli di Amministrazione delle Università, delle Banche, degli Enti pubblici e, con la loro fantasia e creatività , raccontare. Trasfigurando il Bene possibile in tante altre possibili azioni, microazioni; come il microcredito per i poverissimi dei paesei in via di sviluppo. Microprogetti didattici, adottati dagli scrittori, dagli artisti per l'avvio di benefiche "catene". . E si potrebbe continuare... A proposito di don Chisciotte, Gesualdo Bufalino scrisse “l’unico, insomma, per cui si possa dire, contro Goya, che il sonno della ragione genera angeli”.
Tutti gli scrittori a Napoli , come angeli chisciotti, per la stesura del Grande Codice. Un codice per un comportamento responsabile, partecipato, creativo e continuo. Responsabilità, partecipazione, creatività, continuità: come liberté, ég
alité ecc.
Mai più sole, le istituzioni di Napoli saranno vegliate a turno dagli scrittori ( della città, del Sud, dell’Italia intera e oltre) che parteciperanno alle sedute, ai consigli comunali, provinciali, regionali e di questo scriveranno. Passandosi la staffetta, potrebbero partecipare e vegliare sui consigli di Amministrazione delle Università, delle Banche, degli Enti pubblici e, con la loro fantasia e creatività , raccontare. Trasfigurando il Bene possibile in tante altre possibili azioni, microazioni; come il microcredito per i poverissimi dei paesei in via di sviluppo. Microprogetti didattici, adottati dagli scrittori, dagli artisti per l’avvio di benefiche “catene”. . E si potrebbe continuare…

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Di: Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1540 Massimo Maugeri Thu, 28 Jun 2007 21:12:34 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1540 Grazie Elektra. Grazie Elektra.

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Di: Elektra http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1539 Elektra Thu, 28 Jun 2007 20:15:25 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1539 Bravo Massimo. Sono d'accordo. Mi sembra molto ragionevole. Bravo Massimo. Sono d’accordo. Mi sembra molto ragionevole.

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Di: Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1538 Massimo Maugeri Thu, 28 Jun 2007 16:02:44 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1538 Francesco, ribadisco ancora una volta che per me i libri di Antonella Cilento, così come di Di Consoli, o di Saviano, o di altri autori qui intervenuti sono libri buoni. Poi, possono piacere oppure no. Per alcuni possono avere effetto castrante, per altri effetto liberatorio. Ma non era questo il tema del post. Come avevo già scritto nel mio breve articolo: "Credo che la crescita intellettuale si basi sul confronto, a volte sulla contrapposizione, di tesi e idee. Ma confronto e contrapposizione genereranno crescita solo se mantenuti entro i margini di una dialettica civile. Le risse verbali tendenti al linciaggio non servono a nessuno". Questo pensavo e questo continuo a pensare. Libertà illimitata, per me, è un ossimoro. La mia libertà trova argini nel rispetto del mio prossimo. E all'anarchia preferisco una democrazia rispettosa. Ti auguro, in tutta sincerità e di vero cuore (mi devi credere), che possa trovare un lavoro con il quale realizzarti. Cosa non facile di questi tempi. Buona vita. Ciao Francesco! Francesco, ribadisco ancora una volta che per me i libri di Antonella Cilento, così come di Di Consoli, o di Saviano, o di altri autori qui intervenuti sono libri buoni. Poi, possono piacere oppure no. Per alcuni possono avere effetto castrante, per altri effetto liberatorio. Ma non era questo il tema del post.
Come avevo già scritto nel mio breve articolo: “Credo che la crescita intellettuale si basi sul confronto, a volte sulla contrapposizione, di tesi e idee. Ma confronto e contrapposizione genereranno crescita solo se mantenuti entro i margini di una dialettica civile. Le risse verbali tendenti al linciaggio non servono a nessuno”.
Questo pensavo e questo continuo a pensare.
Libertà illimitata, per me, è un ossimoro. La mia libertà trova argini nel rispetto del mio prossimo. E all’anarchia preferisco una democrazia rispettosa.
Ti auguro, in tutta sincerità e di vero cuore (mi devi credere), che possa trovare un lavoro con il quale realizzarti. Cosa non facile di questi tempi.
Buona vita.
Ciao Francesco!

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Di: Iavazzo http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1537 Iavazzo Thu, 28 Jun 2007 15:32:16 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1537 La libertà con limiti è una libertà castrante come i libri della Cilento. Anarchia! Ciao Massimo! La libertà con limiti è una libertà castrante come i libri della Cilento. Anarchia! Ciao Massimo!

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Di: Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1536 Massimo Maugeri Thu, 28 Jun 2007 13:18:53 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1536 @ Tutti: Sulla colonna sinistra del blog potete leggere quanto segue: AVVERTENZA "La libertà propria, anche di espressione, può essere esercitata solo nei limiti del rispetto altrui. Commenti ritenuti offensivi - o non rispettosi di persone e opinioni - potrebbero essere tagliati, o modificati, o rimossi. Nell'eventualità, siete pregati di non prendervela. Chi è contrario alla suddetta regola non è obbligato a frequentare questo blog." @ Tutti:
Sulla colonna sinistra del blog potete leggere quanto segue:

AVVERTENZA
“La libertà propria, anche di espressione, può essere esercitata solo nei limiti del rispetto altrui. Commenti ritenuti offensivi – o non rispettosi di persone e opinioni – potrebbero essere tagliati, o modificati, o rimossi. Nell’eventualità, siete pregati di non prendervela. Chi è contrario alla suddetta regola non è obbligato a frequentare questo blog.”

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Di: Francesco Iavazzo http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1535 Francesco Iavazzo Thu, 28 Jun 2007 09:17:20 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1535 @ Biancaneve Scusa, Brontolo mi eliminerebbe e chiedo venia anche al principe azzurro. @ Biancaneve

Scusa, Brontolo mi eliminerebbe e chiedo venia anche al principe azzurro.

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Di: Articolo di Sergio Garufi (da Cicerone 1) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1534 Articolo di Sergio Garufi (da Cicerone 1) Thu, 28 Jun 2007 07:29:00 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1534 Ecco l'articolo di Garufi su Liberazione. P.s. per Maugeri: Cicerone 2 è in vacanza. Cicerone 3 e 4 a battono la fiacca. - - - - SAVIANO, L’OSCURITA’ NON E’ IMMORALE di Sergio Garufi da Liberazione del 27 giugno 2007 Quando le terze pagine stavano dove dicevano di essere, sul Corriere apparve un articolo di Pontiggia il cui provocatorio incipit affermava: «a scuola mi insegnarono che tutte le volte che avevo intenzione di scrivere il verbo andare dovevo sostituirlo con recarsi. Ci misi molti anni per capire che era vero il contrario». Questa presa di posizione sarebbe magari piaciuta al Saviano teorico e citazionista, quello che di recente, illustrando la sua poetica dall’autorevole tribuna di Repubblica, ha sentenziato con Primo Levi che «la scrittura oscura è immorale». I miti di riferimento di questa idea edificante della letteratura sono quelli della spontaneità e dell’impegno. La scrittura deve essere militante, specchio e testimonianza del proprio tempo, e la lingua adoperata chiara e diretta, l’unica in grado di svegliare il lettore dal suo torpore. Pur non essendo nuovissimo (su queste questioni si scontrarono a suo tempo Moravia e Manganelli), il tema ha suscitato un acceso dibattito sulle pagine culturali de Il Mattino, e più di una voce (vedi Andrea Di Consoli e Antonio Pascale) si è alzata per contrastare questa “dittatura del realismo”, rivendicando pari forza e dignità ai testi di chi non affronti temi sociali e si esprima con stile ricercato. Personalmente credo abbia ragione René Daumal, quando scriveva che «lo stile è l’impronta di ciò che si è su ciò che si fa», qualcosa che fa costitutivamente parte del nostro senso identitario, che è meno frutto di una scelta che un naturale riflesso del modo di essere di ciascuno. Ci si esprime come si mangia insomma, difatti la massima istituzione in questo campo si chiama Accademia della Crusca. Pure riguardo alla superstizione della chiarezza, ottenibile con un lessico semplice, conviene forse correggere alcuni sillogismi falsi e fuorvianti. Il linguaggio è per sua natura ambiguo e metaforico. E’ il tentativo di tradurre verbalmente un pensiero o un’immagine che fa grumo e resiste; e che, per essere trasmesso, necessita di vocaboli che si fanno al contempo tramite e schermo. Il segreto non consiste tanto nel trovare le parole acconce - per usare un’espressione di Roberto Longhi, che traduceva testi figurativi in testi letterari -, perché la chiarezza non sta nei concetti o nelle parole, ma nel loro incontro. Per alcuni, come Fortini, questo incontro è impossibile, perché «la chiarezza è come la verginità, la si possiede solo nel momento in cui la si perde»; mentre per altri, come Derrida, questo incontro non era neppure auspicabile. Ne Il gusto del segreto il francese dice chiaramente: «se la trasparenza dell’intelligibilità fosse assicurata distruggerebbe il testo, mostrerebbe che non ha avvenire alcuno, che si consuma immediatamente; dunque una certa zona di misconoscimento e incomprensione è anche una riserva». Detto in modo un po’ complicato, il messaggio è: diffidate della semplicità. Quando un’argomentazione è semplice e lineare significa che c’è identità fra esposizione e pensiero, o piuttosto che le complessità sono state occultate, rimosse? Per molta narrativa italiana la mimesi dell’oralità s’ispira ai dibattiti da talk-show televisivo, ma quello è proprio il modo migliore per assecondare le ischemie dell’attenzione di un pubblico sempre più distratto e anestetizzato, cui rivolgersi con un linguaggio rassicurante e consolatorio perché iterativo, pleonastico e brachilogico; un balbettio fatto di anacoluti, di concetti basici ripetuti all’infinito, di continui punti e a capo, che mitridatizza ogni esperienza al fine di persuaderci che il mondo è comprensibile e dominabile. Non a caso propone l’essere conformi come ideale di sanità, mentre è il tratto più evidente della malattia, dato che «una vita che non si individua – come diceva Jung – è una vita sprecata». Questo linguaggio risulta inoltre offensivo perché miseramente apodittico, ci tratta come lobotomizzati ai quali spiegare perfino un truismo, e per molti versi ricorda la gestualità tautologica di Piero Angela, che accompagna le sue parole con movimenti della mano che ribadiscono i medesimi concetti. In questo senso, parlar difficile può voler dire rifiutare facili dicotomie, introdurre anticorpi di vigilanza critica all’interno del senso comune, e ciò non lo si può certo liquidare come una forma di disimpegno. Questo benedetto impegno poi, che basta nominarlo per guarire dalle scrofole, spesso evocato proprio da coloro che sono meno legittimati a farlo (non l’autore di Gomorra, ovviamente), somiglia molto al parente ricco, che non è mai così benaccetto come quando se ne può denunciare la scomparsa. E’ la sua funzione precipua, il mancare. Iosif Brodskij, uno che patì l’esilio, lo spiegò bene nel discorso di accettazione del Premio Nobel. E’ il popolo a dover parlare la lingua della letteratura, non il contrario; ed è l’estetica la madre dell’etica, non viceversa. Solo così, per dirla con Saviano, si ha «una scrittura più simile al morso di una vipera che a un acquerello di fantasie». Fonte: Liberazione.it <a href="http://www.liberazione.it/giornale_articolo_ricerca.php?id_articolo=72106" rel="nofollow">http://www.liberazione.it/giornale_articolo_ricerca.php?id_articolo=72106</a> Ecco l’articolo di Garufi su Liberazione.
P.s. per Maugeri: Cicerone 2 è in vacanza. Cicerone 3 e 4 a battono la fiacca.

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SAVIANO, L’OSCURITA’ NON E’ IMMORALE
di Sergio Garufi

da Liberazione del 27 giugno 2007

Quando le terze pagine stavano dove dicevano di essere, sul Corriere apparve un articolo di Pontiggia il cui provocatorio incipit affermava: «a scuola mi insegnarono che tutte le volte che avevo intenzione di scrivere il verbo andare dovevo sostituirlo con recarsi. Ci misi molti anni per capire che era vero il contrario». Questa presa di posizione sarebbe magari piaciuta al Saviano teorico e citazionista, quello che di recente, illustrando la sua poetica dall’autorevole tribuna di Repubblica, ha sentenziato con Primo Levi che «la scrittura oscura è immorale». I miti di riferimento di questa idea edificante della letteratura sono quelli della spontaneità e dell’impegno. La scrittura deve essere militante, specchio e testimonianza del proprio tempo, e la lingua adoperata chiara e diretta, l’unica in grado di svegliare il lettore dal suo torpore. Pur non essendo nuovissimo (su queste questioni si scontrarono a suo tempo Moravia e Manganelli), il tema ha suscitato un acceso dibattito sulle pagine culturali de Il Mattino, e più di una voce (vedi Andrea Di Consoli e Antonio Pascale) si è alzata per contrastare questa “dittatura del realismo”, rivendicando pari forza e dignità ai testi di chi non affronti temi sociali e si esprima con stile ricercato.
Personalmente credo abbia ragione René Daumal, quando scriveva che «lo stile è l’impronta di ciò che si è su ciò che si fa», qualcosa che fa costitutivamente parte del nostro senso identitario, che è meno frutto di una scelta che un naturale riflesso del modo di essere di ciascuno. Ci si esprime come si mangia insomma, difatti la massima istituzione in questo campo si chiama Accademia della Crusca. Pure riguardo alla superstizione della chiarezza, ottenibile con un lessico semplice, conviene forse correggere alcuni sillogismi falsi e fuorvianti. Il linguaggio è per sua natura ambiguo e metaforico. E’ il tentativo di tradurre verbalmente un pensiero o un’immagine che fa grumo e resiste; e che, per essere trasmesso, necessita di vocaboli che si fanno al contempo tramite e schermo. Il segreto non consiste tanto nel trovare le parole acconce – per usare un’espressione di Roberto Longhi, che traduceva testi
figurativi in testi letterari -, perché la chiarezza non sta nei concetti o nelle parole, ma nel loro incontro. Per alcuni, come Fortini, questo incontro è impossibile, perché «la chiarezza è come la verginità, la si possiede solo nel momento in cui la si perde»; mentre per altri, come Derrida, questo incontro non era neppure auspicabile. Ne Il gusto del segreto il francese dice chiaramente: «se la trasparenza dell’intelligibilità fosse assicurata distruggerebbe il testo, mostrerebbe che non ha avvenire alcuno, che si consuma immediatamente; dunque una certa zona di misconoscimento e incomprensione è anche una riserva».
Detto in modo un po’ complicato, il messaggio è: diffidate della semplicità.
Quando un’argomentazione è semplice e lineare significa che c’è identità fra esposizione e pensiero, o piuttosto che le complessità sono state occultate, rimosse? Per molta narrativa italiana la mimesi dell’oralità s’ispira ai dibattiti da talk-show televisivo, ma quello è proprio il modo migliore per assecondare le ischemie dell’attenzione di un pubblico sempre più distratto e anestetizzato, cui rivolgersi con un linguaggio rassicurante e consolatorio perché iterativo, pleonastico e brachilogico; un balbettio fatto di anacoluti, di concetti basici ripetuti all’infinito, di continui punti e a capo, che mitridatizza ogni esperienza al fine di persuaderci che il mondo è comprensibile e dominabile. Non a caso propone l’essere conformi come ideale di sanità, mentre è il tratto più evidente della malattia, dato che «una vita che non si individua – come diceva Jung – è una vita sprecata». Questo linguaggio risulta inoltre offensivo perché miseramente apodittico, ci tratta come lobotomizzati ai quali spiegare perfino un truismo, e per molti versi ricorda la gestualità tautologica di Piero Angela, che accompagna le sue parole con movimenti della mano che ribadiscono i medesimi concetti. In questo senso, parlar difficile può voler dire rifiutare facili dicotomie, introdurre anticorpi di vigilanza critica all’interno del senso comune, e ciò non lo si può certo liquidare come una forma di disimpegno. Questo benedetto impegno poi, che basta nominarlo per guarire dalle scrofole, spesso evocato proprio da coloro che sono meno legittimati a farlo (non l’autore di Gomorra, ovviamente), somiglia molto al parente ricco, che non è mai così benaccetto come quando se ne può denunciare la scomparsa. E’ la sua funzione precipua, il mancare. Iosif Brodskij, uno che patì l’esilio, lo spiegò bene nel discorso di accettazione del Premio Nobel. E’ il popolo a dover parlare la lingua della letteratura, non il contrario; ed è l’estetica la madre dell’etica, non viceversa. Solo così, per dirla con Saviano, si ha «una scrittura più simile al morso di una vipera che a un acquerello di fantasie».

Fonte: Liberazione.it
http://www.liberazione.it/giornale_articolo_ricerca.php?id_articolo=72106

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Di: Sergio Sozi http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1533 Sergio Sozi Thu, 28 Jun 2007 02:28:28 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1533 Caro Sergio, mi rifewrivo, parlando di mediocrita', alla nostra condizione generale di uomini moderni. E dunque anche al fatto che, ne' tu ne' io, siamo degli Omero. E nemmeno dei Seneca o dei Socrate, eccetera - Tito Livio, Cicerone, Orazio... Insomma: parlavo della condivisibile - e' vero? - minorita' della nostra condizione culturale e sprituale in confronto agli antenati. Io, insomma, Sergio mio, non ardisco paragonarmi a qualche frase dell' Imperatore Adriano o Marco Aurelio. Tu. Tu? Con Sincero Affetto Sergio Sozi Caro Sergio,

mi rifewrivo, parlando di mediocrita’, alla nostra condizione generale di uomini moderni. E dunque anche al fatto che, ne’ tu ne’ io, siamo degli Omero. E nemmeno dei Seneca o dei Socrate, eccetera – Tito Livio, Cicerone, Orazio…
Insomma: parlavo della condivisibile – e’ vero? – minorita’ della nostra condizione culturale e sprituale in confronto agli antenati. Io, insomma, Sergio mio, non ardisco paragonarmi a qualche frase dell’ Imperatore Adriano o Marco Aurelio. Tu. Tu?

Con Sincero Affetto

Sergio Sozi

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Di: Sergio Rilletti http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1532 Sergio Rilletti Thu, 28 Jun 2007 00:41:32 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1532 @ Sergio Sozi. Innanzitutto ti riguarda per i complimenti per "Solo!". Però, per rispetto a ttutti i miiei fan, non posso certo considerami uno scrittore mediocre... ;-) e, da quello che ho letto, non lo sei neanche tu! (Seguirà un mio intervento sulla mia concezione di "fiaba".) Sergio Rilletti @ Sergio Sozi.

Innanzitutto ti riguarda per i complimenti per “Solo!”.
Però, per rispetto a ttutti i miiei fan, non posso certo considerami uno scrittore mediocre… ;-)
e, da quello che ho letto, non lo sei neanche tu!

(Seguirà un mio intervento sulla mia concezione di “fiaba”.)

Sergio Rilletti

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Di: Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1531 Massimo Maugeri Wed, 27 Jun 2007 22:00:55 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1531 Scusate il ritardo... @ Elektra: In risposta alla tua domanda. No, Iavazzo non è un membro di "Nazione Indiana". Attualmente fanno parte di "Nazione Indiana": Andrea Bajani, Gianni Biondillo, Francesco Forlani, Sergio Garufi, Andrea Inglese, Helena Janeczek, Franz Krauspenhaar, Mattia Paganelli, Christian Raimo, Andrea Raos, Jan Reister, Massimo Rizzante, Marco Rovelli, Roberto Saviano, Piero Sorrentino, Antonio Sparzani, Giorgio Vasta, Maria Luisa Venuta. Ne approfitto per segnalare che, giorni fa (il 20 giugno) Sergio Garufi - di Nazione Indiana - è intervenuto sul post di Forlani con un commento in controtendenza (che vi scrivo qui): "questa polemica mi sembra una timida variante di quella che provocò sciascia col suo pezzo di 20 anni fa su “i professionisti dell’antimafia” (che potremmo magari chiamare “i professionisti dell’anticamorra”), e dà voce a un’insofferenza sommessa ma molto diffusa verso la costruzione del santino laico di saviano, che imporrebbe col suo enorme successo sia dispotici canoni letterari che virtuosi modelli comportamentali cui uniformarsi." Sullo stesso post ieri Gianni Biondillo (sempre Nazione Indiana) ha invitato tutti a stemperare i toni. @ Francesco Iavazzo: se vuole continuare a scrivere qui è il benvenuto, però deve (rubo il termine a Biondillo) "stemperare" i toni. Il libro di Di Consoli (che sta andando molto bene, mi creda) tratta in maniera approfondita forte e originale anche il tema della disoccupazione. Le consiglio di leggerlo. E glielo consiglia anche Saviano (su Ibs). Ho ricevuto una mail arrabbiatissima da Brontolo (dei 7 nani); mi scrive che se lei chiamerà ancora una volta in causa i nani da giardino le manderà il principe azzurro di Biancaneve. E poi dovrà vedersela con lui. Mi dicono che è un tipo tosto. In bocca al lupo per il suo lavoro! @ Miriam: - "Fatevi promotori di una iniziativa grande, insieme e uniti per lanciare un'idea rigenerante". Io sono a disposizione. @ Cicerone 1: bravissimo!!! Riusciresti a procurarmi l'articolo di La Capria pubblicato su "Il Mattino"? E credo ci sia un articolo di Garufi su "Liberazione". Ce la fai? Ce la fate? Notizie di Cicerone 2? Scusate il ritardo…

@ Elektra:
In risposta alla tua domanda. No, Iavazzo non è un membro di “Nazione Indiana”. Attualmente fanno parte di “Nazione Indiana”: Andrea Bajani, Gianni Biondillo, Francesco Forlani, Sergio Garufi, Andrea Inglese, Helena Janeczek, Franz Krauspenhaar, Mattia Paganelli, Christian Raimo, Andrea Raos, Jan Reister, Massimo Rizzante, Marco Rovelli, Roberto Saviano, Piero Sorrentino, Antonio Sparzani, Giorgio Vasta, Maria Luisa Venuta.

Ne approfitto per segnalare che, giorni fa (il 20 giugno) Sergio Garufi – di Nazione Indiana – è intervenuto sul post di Forlani con un commento in controtendenza (che vi scrivo qui): “questa polemica mi sembra una timida variante di quella che provocò sciascia col suo pezzo di 20 anni fa su “i professionisti dell’antimafia” (che potremmo magari chiamare “i professionisti dell’anticamorra”), e dà voce a un’insofferenza sommessa ma molto diffusa verso la costruzione del santino laico di saviano, che imporrebbe col suo enorme successo sia dispotici canoni letterari che virtuosi modelli comportamentali cui uniformarsi.”

Sullo stesso post ieri Gianni Biondillo (sempre Nazione Indiana) ha invitato tutti a stemperare i toni.

@ Francesco Iavazzo:
se vuole continuare a scrivere qui è il benvenuto, però deve (rubo il termine a Biondillo) “stemperare” i toni.
Il libro di Di Consoli (che sta andando molto bene, mi creda) tratta in maniera approfondita forte e originale anche il tema della disoccupazione. Le consiglio di leggerlo. E glielo consiglia anche Saviano (su Ibs).
Ho ricevuto una mail arrabbiatissima da Brontolo (dei 7 nani); mi scrive che se lei chiamerà ancora una volta in causa i nani da giardino le manderà il principe azzurro di Biancaneve. E poi dovrà vedersela con lui. Mi dicono che è un tipo tosto.
In bocca al lupo per il suo lavoro!

@ Miriam:
- “Fatevi promotori di una iniziativa grande, insieme e uniti per lanciare un’idea rigenerante”.
Io sono a disposizione.

@ Cicerone 1:
bravissimo!!!
Riusciresti a procurarmi l’articolo di La Capria pubblicato su “Il Mattino”?
E credo ci sia un articolo di Garufi su “Liberazione”.
Ce la fai? Ce la fate?
Notizie di Cicerone 2?

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Di: Articolo di Francesco Piccolo (da Cicerone 1) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1530 Articolo di Francesco Piccolo (da Cicerone 1) Wed, 27 Jun 2007 21:01:51 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1530 Poi c'è quest'altro articolo pubblicato sul Mattino del 20 giugno e scritto da Francesco Piccolo. - - - - IL RACCONTO E L’APOCALISSE NECESSARIA di Francesco Piccolo pubblicato su “Il Mattino” del 20 giugno 2007 Porto una notizia confortante: forse un libro che racconti Napoli con tutta la potenza narrativa che ci vuole, io l’ho trovato. È un libro molto bello e allo stesso tempo terribile, perché è narrato con gli occhi di chi ha vissuto la città da bambino e poi se n’è andato; quando in un’altra parte del mondo (New York) ha sposato una donna della sua stessa «razza» e ha visto nascere due figli, ha detto: ma questi figli miei perché non devono crescere lì dove sono uguali a tutti gli altri, e non diversi? Così ha preso la famiglia, ed è ritornato nella città. E i suoi figli hanno visto che il mondo era pieno di bambini come loro. Lo scrittore si chiama Suketu Mehta, il libro si intitola Maximum City. Bombay città degli eccessi. È pubblicato da Einaudi. L’errore, forse, è cercare i libri su Napoli solo a Napoli. Il libro di Mehta è un grandioso libro su Napoli - almeno un napoletano non riuscirà a leggerlo in altro modo. E vi troverà il racconto dei quartieri poveri, di quelli ricchi, della questione dello spazio, della sporcizia. Vi troverà il racconto della città del sesso e di quella dello spettacolo. Vi troverà anche due capitoli interi e impietosi sulla malavita. Cioè, una versione indiana di Gomorra. Vi troverà la capacità umana di fare spazio a qualcun altro, sempre. Provate a leggerlo, e poi mi dite se è un libro su Napoli o no, se è un libro importante o no. Perché, mi sono chiesto, lo è? Perché è il libro di uno che ha sulla città sia uno sguardo interno sia uno sguardo esterno; quando è sentimentale, quindi, è allo stesso tempo addolorato e orripilato; quando è orripilato, è addolorato e commosso. La vecchia diatriba tra raccontare stando lontano o vivendoci, è risolta. Il narratore racconta la città per un solo motivo: perché la ama profondamente. È questo il motivo ineliminabile (che forse coincide con quell’essere spietati con se stessi di cui ha parlato Perrella nel dibattito sul Mattino) per cui una intenzione di racconto riesce a farsi racconto necessario. La domanda successiva, per arrivare al dunque, è: ma è un libro apocalittico? Certo che lo è! Anzi, dico di più: non potrebbe non esserlo. Forse, nella discussione che sta venendo fuori su Napoli, non si fa questa distinzione: tra l’apocalisse necessaria e - per riprendere una definizione molto discussa di Sciascia - i professionisti dell’apocalisse. È questa invece la distinzione da fare: non si possono mettere sullo stesso piano la Ortese e il giornalista che intervista bambini accanto al cumulo di immondizia. Non è soltanto in nome della letteratura, ma è in nome della differenza tra necessità e professionismo. Per quel dolore e per quella necessità, esistono i romanzi di La Capria, Ortese, Ermanno Rea, per citare i libri che amo di più. Per questo esiste Malacqua, per esempio. E per arrivare ai giorni nostri: Gomorra ha dentro di sé un dolore, diciamo così, privato, e una conseguente necessità di racconto? Questo dolore e questa necessità sono visibili tra le pagine del libro? Secondo me, sì. Quindi, Gomorra è un libro che sa raccontare Napoli e la rivela. Se poi il libro ha il successo incredibile che ha avuto, si finisce per confondere la sostanza del libro con il suo risultato. Si vuole dire che c’è qualcosa di morboso in questo successo? Allora è una questione molto seria dal punto di vista sociologico, dell’animo umano - una questione che oltretutto potrebbe essere molto significativa riguardo a ciò che è Napoli nella testa dei lettori napoletani e del resto d’Italia. Ma in ogni caso la questione riguarda i lettori del libro, non il libro in sé. E chi dice che Saviano è il cantore della camorra, fa un errore molto grave e finisce per minare l’istinto più importante di uno scrittore: rivelare, svelare e perfino denunciare in nome dell’amore per la propria città. Non penso che Pascale, quando parla dell’apocalisse e dice che la rappresentazione del male allontana dalla realtà, stia facendo riferimento alla grande letteratura, ma proprio ai professionisti dell'apocalisse. In ogni caso fa un errore quando propone una «strategia»: non c'è tattica per i narratori, non può esserci, a meno che non diventino dei professionisti. Ma vorrei anche qui fare un distinguo: dovessi scegliere tra i professionisti dell’apocalisse e i professionisti della giustificazione, sarei dalla parte dei primi. Se penso che negli anni passati gli amabasciatori di Napoli nel mondo (dei libri) sono stati D’Orta e De Crescenzo, allora dico: più apocalisse! Di più! Perché alla fine, il modo di amare questa città è il modo di guardarla. Faccio un esempio: un mio amico ha comprato, qualche settimana fa, i biglietti per Napoli-Lecce, la partita che avrebbe dovuto portare il Napoli in serie A (ma poi la festa è stata rimandata): 1) Ha comprato i biglietti dai bagarini per una cifra di molte e molte volte superiore al costo reale, una cifra assurda 2) la domenica ha scoperto che il suo biglietto era falso 3) moltissimi altri biglietti sono risultati falsi 4) hanno aperto i cancelli e hanno lasciato entrare tutti i possessori di biglietto falso. Quando il mio amico ha raccontato questa storia, c’erano altre due persone oltre me. E hanno avuto due reazioni completamente diverse: una era entusiasta per la sequenza di accadimenti e la conclusione della storia; ha detto la frase classica: queste cose possono succedere solo a Napoli (e a Bombay, vorrei dirgli). L’altro era inorridito e indignato. In un consesso come il nostro, sarebbe stato additato come un apocalittico. Io sono dalla sua parte. E a proposito, alla fine del libro, Suketu Mehta racconta che prende moglie e figli e se ne torna a vivere a New York. Francesco Piccolo Fonte: Il Mattino <a href="http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070620&ediz=NAZIONALE&npag=29&file=UNO.xml&type=STANDARD" rel="nofollow">http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070620&ediz=NAZIONALE&npag=29&file=UNO.xml&type=STANDARD</a> <a href="http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070620&ediz=NAZIONALE&npag=39&file=GIRO.xml&type=STANDARD" rel="nofollow">http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070620&ediz=NAZIONALE&npag=39&file=GIRO.xml&type=STANDARD</a> Poi c’è quest’altro articolo pubblicato sul Mattino del 20 giugno e scritto da Francesco Piccolo.

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IL RACCONTO E L’APOCALISSE NECESSARIA
di Francesco Piccolo

pubblicato su “Il Mattino” del 20 giugno 2007

Porto una notizia confortante: forse un libro che racconti Napoli con tutta la potenza narrativa che ci vuole, io l’ho trovato. È un libro molto bello e allo stesso tempo terribile, perché è narrato con gli occhi di chi ha vissuto la città da bambino e poi se n’è andato; quando in un’altra parte del mondo (New York) ha sposato una donna della sua stessa «razza» e ha visto nascere due figli, ha detto: ma questi figli miei perché non devono crescere lì dove sono uguali a tutti gli altri, e non diversi? Così ha preso la famiglia, ed è ritornato nella città. E i suoi figli hanno visto che il mondo era pieno di bambini come loro. Lo scrittore si chiama Suketu Mehta, il libro si intitola Maximum City. Bombay città degli eccessi. È pubblicato da Einaudi. L’errore, forse, è cercare i libri su Napoli solo a Napoli. Il libro di Mehta è un grandioso libro su Napoli – almeno un napoletano non riuscirà a leggerlo in altro modo. E vi troverà il racconto dei quartieri poveri, di quelli ricchi, della questione dello spazio, della sporcizia. Vi troverà il racconto della città del sesso e di quella dello spettacolo. Vi troverà anche due capitoli interi e impietosi sulla malavita. Cioè, una versione indiana di Gomorra. Vi troverà la capacità umana di fare spazio a qualcun altro, sempre. Provate a leggerlo, e poi mi dite se è un libro su Napoli o no, se è un libro importante o no. Perché, mi sono chiesto, lo è? Perché è il libro di uno che ha sulla città sia uno sguardo interno sia uno sguardo esterno; quando è sentimentale, quindi, è allo stesso tempo addolorato e orripilato; quando è orripilato, è addolorato e commosso. La vecchia diatriba tra raccontare stando lontano o vivendoci, è risolta. Il narratore racconta la città per un solo motivo: perché la ama profondamente.
È questo il motivo ineliminabile (che forse coincide con quell’essere spietati con se stessi di cui ha parlato Perrella nel dibattito sul Mattino) per cui una intenzione di racconto riesce a farsi racconto necessario. La domanda successiva, per arrivare al dunque, è: ma è un libro apocalittico? Certo che lo è! Anzi, dico di più: non potrebbe non esserlo. Forse, nella discussione che sta venendo fuori su Napoli, non si fa questa distinzione: tra l’apocalisse necessaria e – per riprendere una definizione molto discussa di Sciascia – i professionisti dell’apocalisse. È questa invece la distinzione da fare: non si possono mettere sullo stesso piano la Ortese e il giornalista che intervista bambini accanto al cumulo di immondizia. Non è soltanto in nome della letteratura, ma è in nome della differenza tra necessità e professionismo. Per quel dolore e per quella necessità, esistono i romanzi di La Capria, Ortese, Ermanno Rea, per citare i libri che amo di più. Per questo esiste Malacqua, per esempio. E per arrivare ai giorni nostri: Gomorra ha dentro di sé un dolore, diciamo così, privato, e una conseguente necessità di racconto? Questo dolore e questa necessità sono visibili tra le pagine del libro? Secondo me, sì. Quindi, Gomorra è un libro che sa raccontare Napoli e la rivela. Se poi il libro ha il successo incredibile che ha avuto, si finisce per confondere la sostanza del libro con il suo risultato. Si vuole dire che c’è qualcosa di morboso in questo successo? Allora è una questione molto seria dal punto di vista sociologico, dell’animo umano – una questione che oltretutto potrebbe essere molto significativa riguardo a ciò che è Napoli nella testa dei lettori napoletani e del resto d’Italia. Ma in ogni caso la questione riguarda i lettori del libro, non il libro in sé. E chi dice che Saviano è il cantore della camorra, fa un errore molto grave e finisce per minare l’istinto più importante di uno scrittore: rivelare, svelare e perfino denunciare in nome dell’amore per la propria città. Non penso che Pascale, quando parla dell’apocalisse e dice che la rappresentazione del male allontana dalla realtà, stia facendo riferimento alla grande letteratura, ma proprio ai professionisti dell’apocalisse. In ogni caso fa un errore quando propone una «strategia»: non c’è tattica per i narratori, non può esserci, a meno che non diventino dei professionisti. Ma vorrei anche qui fare un distinguo: dovessi scegliere tra i professionisti dell’apocalisse e i professionisti della giustificazione, sarei dalla parte dei primi. Se penso che negli anni passati gli amabasciatori di Napoli nel mondo (dei libri) sono stati D’Orta e De Crescenzo, allora dico: più apocalisse! Di più! Perché alla fine, il modo di amare questa città è il modo di guardarla. Faccio un esempio: un mio amico ha comprato, qualche settimana fa, i biglietti per Napoli-Lecce, la partita che avrebbe dovuto portare il Napoli in serie A (ma poi la festa è stata rimandata): 1) Ha comprato i biglietti dai bagarini per una cifra di molte e molte volte superiore al costo reale, una cifra assurda 2) la domenica ha scoperto che il suo biglietto era falso 3) moltissimi altri biglietti sono risultati falsi 4) hanno aperto i cancelli e hanno lasciato entrare tutti i possessori di biglietto falso. Quando il mio amico ha raccontato questa storia, c’erano altre due persone oltre me. E hanno avuto due reazioni completamente diverse: una era entusiasta per la sequenza di accadimenti e la conclusione della storia; ha detto la frase classica: queste cose possono succedere solo a Napoli (e a Bombay, vorrei dirgli). L’altro era inorridito e indignato. In un consesso come il nostro, sarebbe stato additato come un apocalittico. Io sono dalla sua parte. E a proposito, alla fine del libro, Suketu Mehta racconta che prende moglie e figli e se ne torna a vivere a New York.
Francesco Piccolo

Fonte: Il Mattino
http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070620&ediz=NAZIONALE&npag=29&file=UNO.xml&type=STANDARD
http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070620&ediz=NAZIONALE&npag=39&file=GIRO.xml&type=STANDARD

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Di: Articolo di Marco Salvia (da Cicerone 1) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1529 Articolo di Marco Salvia (da Cicerone 1) Wed, 27 Jun 2007 20:52:02 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1529 Vi segnalo quest'altro articolo pubblicato sul Mattino del 19 giugno e scritto da Marco Salvia. - - - - MA IO STO CON SAVIANO di Marco Salvia pubblicato su “Il Mattino” del 19 giugno 2007 L’Italia è la terra degli insabbiamenti, la terra di quelli che «la mafia non ci risulta». Ma anche la terra in cui ogni immagine parziale che colpisca il fantomatico immaginario collettivo, diviene verità assoluta. Siamo poi prigionieri, come napoletani, di quei maledetti clichè che all’estero piacciono tanto. Prima nipotini di Totò e poi orfani di Troisi, ma sempre lì a identificarci in un ruolo stabilito da altri, a vederci con gli occhi degli altri. Ricordate il grande Massimo che sotto il ditone puntato si arrendeva alla fatidica interrogazione: «Emigrante? Sì». Ebbene, si arrendeva anch’egli al potere dell’idea preconcetta che il mondo ha in un modo o nell’altro su Napoli e sui napoletani, al meccanismo universale che afferma: se davvero così volete, così sarò. E oggi siamo di nuovo a questo punto. Soprattutto dopo gli interventi sul Mattino di Raffaele La Capria della settimana scorsa e quello ieri di Andrea Di Consoli, una paura strisciante si rende palese, e diviene necessario, io che pure l’ho criticato per una sua (a mio parere) scivolata, spezzare oggi una lancia a favore di chi per primo ha scritto un romanzo che saputo richiamare grande attenzione su realtà gravi e assolutamente irrisolte della nostra terra: mi riferisco ovviamente a Roberto Saviano, ma non solo a lui, anche a tutti quegli autori che in modo sincero hanno voluto contribuire a portare alla luce il tanto malcelato volto oscuro della città e che ora sembrano quasi averlo creato loro quel marciume. Certo è da non credere come le cose possano rivoltarsi. Comunque, mi dispiace per il maestro La capria come per l’amico Di Consoli che, entrambi da Roma, ci segnalano quello che dovremmo vedere qui a Napoli, ma tali autori «terribilisti» non esistono e se i libri «sull’altra Napoli» sono andati male (ma poi quali sono?) forse è che non erano buoni libri. «Andare avanti» poi non credo significhi mettersi a scavare sotto l’immondizia per vedere se c’è qualcosa di carino da potervi raccontare. Andare avanti oggi in questa città significa proprio debellare la camorra, sottrarre hinterland e città alle quotidiane sparatorie, focalizzarsi sui problemi seri di vita civile e ricostruire una forza politica in rotta incapace di dare risposte, e questo con tutte le nostre forze. Guardare un bicchiere che non è più pieno nemmeno per metà non serve e fare finta che lo sia è da folli. Comunque capisco anche le lamentele di chi vede rappresentata la città sotto un unico aspetto, ma il fatto centrale che è accaduto e che ha prodotto questa impressione deriva dal possedere noi un’industria culturale talmente povera e senza idee, un mercato teatrale e cinematografico così asfittico, una televisione così scandalistica e ributtante che il successo del best-seller ha trascinato con sé un mare di paccottiglia usa e getta ed un esercito di speculatori: dai diari di camorristi a quelli delle vittime ad ogni tipo di «mischiafrancesca» e di trasmissione televisiva improvvisata in cui ci si poteva azzeccare vicino la parola camorra, tutto il peggio che si poteva produrre è stato prodotto. Ora si raschia il barile. Beh, questo schifo non può essere certo attribuito a Saviano (anche se le sue esasperazioni possono aver indispettito) o ai pochi che preparavano magari da anni lavori sul tema con intenzioni e progetti letterari chiari e seri e ci sono, ma è diretta responsabilità di quell’editoria anche cinetelevisiva, o pseudo tale, che si nutre delle briciole di ogni libro di successo, che sia il «Codice Da Vinci» o «Gomorra», e che finisce per trasformare ogni cosa in gadget, perfino la camorra. Nessuno scrive un libro pensando di dare un immagine assoluta della realtà, tutti scrivono, se sinceri, di quello che conoscono e vedono, e in ogni caso questa è per definizione una visione soggettiva e parziale. Se poi la gente è stupida, drogata dalla televisione e preferisce affrescare tutta Napoli con i colori da teatro granguignolesco sono fatti loro; se poi a qualcuno altro conviene buttare benzina sul fuoco, questa è ancora un’altra storia. Ma accusare chi in fondo ha fatto solo il suo mestiere scrivendo di ciò che ha visto anche se in forma romanzata, sembra davvero ingiusto. Napoli oggi soffre una grave situazione, andare oltre Saviano è una dichiarazione impegnativa quanto pericolosa. Tutti noi poi lo vorremmo, ma come vedete siamo ancora qui e credo sia anche un bene restarci. Anche a lungo, con pazienza. Forse qualcosa cambierà. Marco Salvia Fonte: Il Mattino <a href="http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070619&ediz=NAZIONALE&npag=29&file=6H2.xml&type=STANDARD" rel="nofollow">http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070619&ediz=NAZIONALE&npag=29&file=6H2.xml&type=STANDARD</a> <a href="http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070619&ediz=NAZIONALE&npag=40&file=RER.xml&type=STANDARD" rel="nofollow">http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070619&ediz=NAZIONALE&npag=40&file=RER.xml&type=STANDARD</a> Vi segnalo quest’altro articolo pubblicato sul Mattino del 19 giugno e scritto da Marco Salvia.

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MA IO STO CON SAVIANO
di Marco Salvia

pubblicato su “Il Mattino” del 19 giugno 2007

L’Italia è la terra degli insabbiamenti, la terra di quelli che «la mafia non ci risulta». Ma anche la terra in cui ogni immagine parziale che colpisca il fantomatico immaginario collettivo, diviene verità assoluta. Siamo poi prigionieri, come napoletani, di quei maledetti clichè che all’estero piacciono tanto. Prima nipotini di Totò e poi orfani di Troisi, ma sempre lì a identificarci in un ruolo stabilito da altri, a vederci con gli occhi degli altri. Ricordate il grande Massimo che sotto il ditone puntato si arrendeva alla fatidica interrogazione: «Emigrante? Sì». Ebbene, si arrendeva anch’egli al potere dell’idea preconcetta che il mondo ha in un modo o nell’altro su Napoli e sui napoletani, al meccanismo universale che afferma: se davvero così volete, così sarò. E oggi siamo di nuovo a questo punto.

Soprattutto dopo gli interventi sul Mattino di Raffaele La Capria della settimana scorsa e quello ieri di Andrea Di Consoli, una paura strisciante si rende palese, e diviene necessario, io che pure l’ho criticato per una sua (a mio parere) scivolata, spezzare oggi una lancia a favore di chi per primo ha scritto un romanzo che saputo richiamare grande attenzione su realtà gravi e assolutamente irrisolte della nostra terra: mi riferisco ovviamente a Roberto Saviano, ma non solo a lui, anche a tutti quegli autori che in modo sincero hanno voluto contribuire a portare alla luce il tanto malcelato volto oscuro della città e che ora sembrano quasi averlo creato loro quel marciume. Certo è da non credere come le cose possano rivoltarsi. Comunque, mi dispiace per il maestro La capria come per l’amico Di Consoli che, entrambi da Roma, ci segnalano quello che dovremmo vedere qui a Napoli, ma tali autori «terribilisti» non esistono e se i libri «sull’altra Napoli» sono andati male (ma poi quali sono?) forse è che non erano buoni libri. «Andare avanti» poi non credo significhi mettersi a scavare sotto l’immondizia per vedere se c’è qualcosa di carino da potervi raccontare. Andare avanti oggi in questa città significa proprio debellare la camorra, sottrarre hinterland e città alle quotidiane sparatorie, focalizzarsi sui problemi seri di vita civile e ricostruire una forza politica in rotta incapace di dare risposte, e questo con tutte le nostre forze. Guardare un bicchiere che non è più pieno nemmeno per metà non serve e fare finta che lo sia è da folli. Comunque capisco anche le lamentele di chi vede rappresentata la città sotto un unico aspetto, ma il fatto centrale che è accaduto e che ha prodotto questa impressione deriva dal possedere noi un’industria culturale talmente povera e senza idee, un mercato teatrale e cinematografico così asfittico, una televisione così scandalistica e ributtante che il successo del best-seller ha trascinato con sé un mare di paccottiglia usa e getta ed un esercito di speculatori: dai diari di camorristi a quelli delle vittime ad ogni tipo di «mischiafrancesca» e di trasmissione televisiva improvvisata in cui ci si poteva azzeccare vicino la parola camorra, tutto il peggio che si poteva produrre è stato prodotto. Ora si raschia il barile. Beh, questo schifo non può essere certo attribuito a Saviano (anche se le sue esasperazioni possono aver indispettito) o ai pochi che preparavano magari da anni lavori sul tema con intenzioni e progetti letterari chiari e seri e ci sono, ma è diretta responsabilità di quell’editoria anche cinetelevisiva, o pseudo tale, che si nutre delle briciole di ogni libro di successo, che sia il «Codice Da Vinci» o «Gomorra», e che finisce per trasformare ogni cosa in gadget, perfino la camorra. Nessuno scrive un libro pensando di dare un immagine assoluta della realtà, tutti scrivono, se sinceri, di quello che conoscono e vedono, e in ogni caso questa è per definizione una visione soggettiva e parziale. Se poi la gente è stupida, drogata dalla televisione e preferisce affrescare tutta Napoli con i colori da teatro granguignolesco sono fatti loro; se poi a qualcuno altro conviene buttare benzina sul fuoco, questa è ancora un’altra storia. Ma accusare chi in fondo ha fatto solo il suo mestiere scrivendo di ciò che ha visto anche se in forma romanzata, sembra davvero ingiusto. Napoli oggi soffre una grave situazione, andare oltre Saviano è una dichiarazione impegnativa quanto pericolosa. Tutti noi poi lo vorremmo, ma come vedete siamo ancora qui e credo sia anche un bene restarci. Anche a lungo, con pazienza. Forse qualcosa cambierà.
Marco Salvia

Fonte: Il Mattino
http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070619&ediz=NAZIONALE&npag=29&file=6H2.xml&type=STANDARD
http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070619&ediz=NAZIONALE&npag=40&file=RER.xml&type=STANDARD

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Di: Elektra http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1528 Elektra Wed, 27 Jun 2007 20:24:58 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1528 Per Massimo. Forse il tono del mio precedente commento era un po' troppo aggressivo. Mi scuso Per Iavazzo. Mi dispiace che lei sia disoccupato. Capisco il suo disagio (che vivo anch'io in prima persona). Ma ribadisco il concetto: quel tipo di commento è lesivo della figura di Saviano. Personalmente, dopo averlo letto mi sono molto infastidita. Se Saviano ha parlato bene del libro di Di Consoli è perché il libro di Di Consoli è buono (l'ho iniziato a leggere ieri e posso confermarlo). Se non sbaglio anche Di Consoli ha parlato bene di Saviano e del suo libro e se l'articolo pubblicato sul Mattino va in altra direzione non deve essere visto come un "attacco" a Saviano. Lo hanno scritto in tanti anche qui. E secondo me non c'è dietrologia, o invidia. Ma se lei la pensa diversamente rimanga pure del suo parere. L'importante è... "non offendere". Per Miriam. tu hai ragione a porre quei perchè. Ma temo che potrebbe avviarsi una discussione infinita da cui non ne usciremmo più. Grande responsabilità va alla classe politica, ma è anche vero che i politici vengono eletti dai cittadini. Mi fermo qui. Per Massimo.
Forse il tono del mio precedente commento era un po’ troppo aggressivo. Mi scuso

Per Iavazzo.
Mi dispiace che lei sia disoccupato. Capisco il suo disagio (che vivo anch’io in prima persona). Ma ribadisco il concetto: quel tipo di commento è lesivo della figura di Saviano. Personalmente, dopo averlo letto mi sono molto infastidita.
Se Saviano ha parlato bene del libro di Di Consoli è perché il libro di Di Consoli è buono (l’ho iniziato a leggere ieri e posso confermarlo). Se non sbaglio anche Di Consoli ha parlato bene di Saviano e del suo libro e se l’articolo pubblicato sul Mattino va in altra direzione non deve essere visto come un “attacco” a Saviano. Lo hanno scritto in tanti anche qui. E secondo me non c’è dietrologia, o invidia. Ma se lei la pensa diversamente rimanga pure del suo parere. L’importante è… “non offendere”.

Per Miriam.
tu hai ragione a porre quei perchè. Ma temo che potrebbe avviarsi una discussione infinita da cui non ne usciremmo più. Grande responsabilità va alla classe politica, ma è anche vero che i politici vengono eletti dai cittadini. Mi fermo qui.

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Di: miriam ravasio http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1527 miriam ravasio Wed, 27 Jun 2007 19:39:53 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1527 Mi ero promessa di non intervenire più su questo argomento, ma oggi curiosando in Letteratitudine ho letto il "sentito" intervento (risentito e appassionato) di Iavazzo e ho postato un mio telegrafico parere. Vorrei che si chiudesse tutta questa storia perché è umiliante per tutti. A me non è piaciuto per niente il servizio un po' goliardico pubblicato su Altatensione (o il titolo è diverso?); non mi è piaciuto lo stile e tanto meno il contenuto. Perché, da ex stilista con esperienza ventennale,so con sicurezza che quando qualcosa ha successo e per questo E' IMITATA, la sostanza c'è! Quando un prodotto piace c'è consenso di massa. Perché gli uomini sono esseri semplici che aspirano a capire e sentirsi partecipi e...uguali. Gomorra piace perché senza annoiarti ti dà una dimensione. Chi non è di Napoli non sa cosa pensare quando puntualmente si propone l'emergenza dei rifiuti. Ne parliamo fra noi ma non riusciamo a darci delle risposte. Ma perché non si abituano a fare la raccolta differenziata? Ma perchè non vogliono un centro di smaltimento dei rifiuti? Ma perché non fanno come noi? Possibile che siano tutti così scemi? ( vi ho riassunto il pensiero comune del Nord) Leggervi, sentirvi litigare non ci aiuta a comprendervi, ogni giorno ci allontaniamo, vi allontanate sempre di più. Fatevi promotori di una iniziativa grande, insieme e uniti per lanciare un'idea rigenerante; o Bertolaso vi basta? Un affettuoso abbraccio. Mi ero promessa di non intervenire più su questo argomento, ma oggi curiosando in Letteratitudine ho letto il “sentito” intervento (risentito e appassionato) di Iavazzo e ho postato un mio telegrafico parere. Vorrei che si chiudesse tutta questa storia perché è umiliante per tutti. A me non è piaciuto per niente il servizio un po’ goliardico pubblicato su Altatensione (o il titolo è diverso?); non mi è piaciuto lo stile e tanto meno il contenuto. Perché, da ex stilista con esperienza ventennale,so con sicurezza che quando qualcosa ha successo e per questo E’ IMITATA, la sostanza c’è! Quando un prodotto piace c’è consenso di massa. Perché gli uomini sono esseri semplici che aspirano a capire e sentirsi partecipi e…uguali. Gomorra piace perché senza annoiarti ti dà una dimensione. Chi non è di Napoli non sa cosa pensare quando puntualmente si propone l’emergenza dei rifiuti. Ne parliamo fra noi ma non riusciamo a darci delle risposte. Ma perché non si abituano a fare la raccolta differenziata? Ma perchè non vogliono un centro di smaltimento dei rifiuti? Ma perché non fanno come noi? Possibile che siano tutti così scemi? ( vi ho riassunto il pensiero comune del Nord)
Leggervi, sentirvi litigare non ci aiuta a comprendervi, ogni giorno ci allontaniamo, vi allontanate sempre di più.
Fatevi promotori di una iniziativa grande, insieme e uniti per lanciare un’idea rigenerante; o Bertolaso vi basta?
Un affettuoso abbraccio.

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Di: Francesco Iavazzo http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1526 Francesco Iavazzo Wed, 27 Jun 2007 17:39:22 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1526 Nel mondo culturale italiano basso e confuso è facile mitizzare potenti scrittori come Saviano. E ben venga se invece di mitizzare Moccia o Baricco ci sia gente come lui. Ma avete idea di quello che ha fatto? Forse no. Avete idea di come vive? Io si. Successo di DI CONSOLI? Ma se non si è visto neanche col binocolo in classifica. Andate a vedere cosa dice Saviano di Di Consoli su IBS ne parla benissimo. E viene ripagato non con una critica (quella è sacrosanta e non dipende dalle amicizie, io schifo i meglio romanzi dei miei più cari amici) ma con dietrologia, falsa coscienza, invidietta, meglio il mare...ma Di Cò...ma vattela a piglià...io sono 12 anni che sono disoccupato che vivo in un quartiere marcio e che sono stato costretto da sei mesi all'emigrazione. Mi riconosco in Saviano e non in questi nani da giardino! Nel mondo culturale italiano basso e confuso è facile mitizzare potenti scrittori come Saviano. E ben venga se invece di mitizzare Moccia o Baricco ci sia gente come lui. Ma avete idea di quello che ha fatto? Forse no. Avete idea di come vive? Io si. Successo di DI CONSOLI? Ma se non si è visto neanche col binocolo in classifica.
Andate a vedere cosa dice Saviano di Di Consoli su IBS ne parla benissimo. E viene ripagato non con una critica (quella è sacrosanta e non dipende dalle amicizie, io schifo i meglio romanzi dei miei più cari amici) ma con dietrologia, falsa coscienza, invidietta, meglio il mare…ma Di Cò…ma vattela a piglià…io sono 12 anni che sono disoccupato che vivo in un quartiere marcio e che sono stato costretto da sei mesi all’emigrazione. Mi riconosco in Saviano e non in questi nani da giardino!

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Di: Rosa Fazzi http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1525 Rosa Fazzi Wed, 27 Jun 2007 15:23:00 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1525 Leggendo quest'ultimo intervento di Iavazzo e il successivo di Elektra mi sono convinta che una delle cose più giuste le ha scritte proprio Massimo Maugeri usando la parola "mitizzazione". Leggendo quest’ultimo intervento di Iavazzo e il successivo di Elektra mi sono convinta che una delle cose più giuste le ha scritte proprio Massimo Maugeri usando la parola “mitizzazione”.

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Di: Elektra http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1524 Elektra Wed, 27 Jun 2007 13:34:50 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1524 Signor Francesco Iavazzo, onestamente non riesco a credere ciò che leggo. Intanto una domanda per lei, e la pregherei di rispondermi. E' un componente di Nazione Indiana? Giusto per saperlo. Se si va a leggere il mio precedente commento scoprirà che sono una grande estimatrice di Roberto Saviano. Ho già scritto di aver acquistato più di una copia di "Gomorra". L'ultima, una decina di giorni fa, l'ho regalata a una cara amica per il compleanno. Credo di aver acquistato in tutto sei copie di "Gomorra". E lei signor Iavazzo? Sorvolo sulle reiterate minacce lanciate contro Antonella Cilento. Lei scrive "Non vi merita..." e poi "Morirete senza..." Ma di chi stiamo parlando, di un santo? Di qualcuno che è stato brutalmente ucciso dopo esser stato assoggettato a indicibili torture? Guardi che commenti "boomerang" come il suo nuociono all'immagine di Roberto Saviano. Rischiano di farlo diventare (indirettamente) antipatico, se non odioso. Mi scusi, ma credo che Saviano si meriti sostenitori migliori. Solidarietà a Roberto Saviano! Signor Francesco Iavazzo,
onestamente non riesco a credere ciò che leggo.
Intanto una domanda per lei, e la pregherei di rispondermi. E’ un componente di Nazione Indiana? Giusto per saperlo.

Se si va a leggere il mio precedente commento scoprirà che sono una grande estimatrice di Roberto Saviano. Ho già scritto di aver acquistato più di una copia di “Gomorra”. L’ultima, una decina di giorni fa, l’ho regalata a una cara amica per il compleanno. Credo di aver acquistato in tutto sei copie di “Gomorra”. E lei signor Iavazzo?
Sorvolo sulle reiterate minacce lanciate contro Antonella Cilento.
Lei scrive “Non vi merita…” e poi “Morirete senza…”
Ma di chi stiamo parlando, di un santo? Di qualcuno che è stato brutalmente ucciso dopo esser stato assoggettato a indicibili torture?
Guardi che commenti “boomerang” come il suo nuociono all’immagine di Roberto Saviano. Rischiano di farlo diventare (indirettamente) antipatico, se non odioso.
Mi scusi, ma credo che Saviano si meriti sostenitori migliori.
Solidarietà a Roberto Saviano!

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Di: miriam ravasio http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1523 miriam ravasio Wed, 27 Jun 2007 12:16:21 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1523 Per Francesco Iavazzo L'intervento "ironico" non è piaciuto nemmeno a me! Saluti, Miriam Per Francesco Iavazzo
L’intervento “ironico” non è piaciuto nemmeno a me!
Saluti, Miriam

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Di: Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1522 Massimo Maugeri Wed, 27 Jun 2007 07:38:06 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1522 @ Francesco Iavazzo Caro Francesco Iavazzo, nessuno è invidioso del successo di "Gomorra" (di cui se ne è parlato benissimo anche all'interno di questo post). E, in particolare, la parola invidia non è proprio accostabile a Francesco Costa che è un gentiluomo e persona squisita (lo dico perché lo conosco personalmente) come del resto è facilmente intuibile dal tono del suo commento. Ma lo hai letto? Ti riporto due passaggi: "Perchè dai lontani conflitti su Coppi-Bartali o su Lollo-Loren si deve arrivare al dilemma Saviano o gli altri?" E poi: "Basta con questi scontri inutili! Individuate un progetto da realizzare e siategli fedeli. Il resto è silenzio, come diceva il buon Shakespeare." Di Gomorra se ne è parlato bene anche all'interno di questo post, pur non essendoci persone del "peso" di: "Fofi, Stajano, D'Orrico, Jonathan Galassi, Carla Benedetti, Sanvitale, Consolo, Fruttero, Camilleri". Ancora con questa storia della querela? Sostituiamo la parola "querela" con "querelle"? È più elegante e raffinata... e ci fa sembrare più "intellettuali". Di Consoli non ha nessuna invidia per Saviano (anche perché, a sua volta, sta beneficiando di un meritato successo). Scrivi: "Morirete senza raggiungere un millesimo della bravura e della potenza di questo ragazzo". Sì, ma speriamo il più tardi possibile. :) Grazie, comunque, per il tuo commento. @ Francesco Iavazzo

Caro Francesco Iavazzo,
nessuno è invidioso del successo di “Gomorra” (di cui se ne è parlato benissimo anche all’interno di questo post). E, in particolare, la parola invidia non è proprio accostabile a Francesco Costa che è un gentiluomo e persona squisita (lo dico perché lo conosco personalmente) come del resto è facilmente intuibile dal tono del suo commento.

Ma lo hai letto? Ti riporto due passaggi:

“Perchè dai lontani conflitti su Coppi-Bartali o su Lollo-Loren si deve arrivare al dilemma Saviano o gli altri?”
E poi: “Basta con questi scontri inutili! Individuate un progetto da realizzare e siategli fedeli. Il resto è silenzio, come diceva il buon Shakespeare.”

Di Gomorra se ne è parlato bene anche all’interno di questo post, pur non essendoci persone del “peso” di: “Fofi, Stajano, D’Orrico, Jonathan Galassi, Carla Benedetti, Sanvitale, Consolo, Fruttero, Camilleri”.

Ancora con questa storia della querela? Sostituiamo la parola “querela” con “querelle”? È più elegante e raffinata… e ci fa sembrare più “intellettuali”.

Di Consoli non ha nessuna invidia per Saviano (anche perché, a sua volta, sta beneficiando di un meritato successo).

Scrivi: “Morirete senza raggiungere un millesimo della bravura e della potenza di questo ragazzo”.
Sì, ma speriamo il più tardi possibile. :)

Grazie, comunque, per il tuo commento.

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Di: Francesco Iavazzo http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1521 Francesco Iavazzo Tue, 26 Jun 2007 23:59:13 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1521 Costa, anche lui invidioso marcio, è lì a concedere cittadinanza a Gomorra, come se lui dovesse dirlo. Fofi, Stajano, D'Orrico, Jhonatan Galassi, Carla Benedetti, Sanvitale, Consolo, Fruttero, Camilleri, ed altri che hanno parlato bene di Gomorra spettavano il lasciapassare di Costa. La cosa triste è che invece di stringersi intorno a Saviano e salvarlo dalla degenerazione delle copie lo si attacca come fautore di queste retoriche. Che follia! E poi come saprà l'allieva della Cilento, se non fosse stato per il successo di Saviano col cavolo che pubblicava Einaudi (chiedere a Paola Gallo e Dalia Oggero). Una volta ho raggiunto Saviano via email e gli ho detto "quanta chiavica stai facendo pubblicare dopo il tuo successo" E' un bene, mi ha risposto. Non vi merita. Morirete senza raggiungere un millesimo della bravura e della potenza di questo ragazzo. FI ps pare non ci sia stata nessuna querela ance se io la vorrei fare contro la Cilento. ps 2 Ma Saviano è stato avvertito di quanto Di Consoli un prsunto amico si sia sbavato di invidia? Qualcuno dovrebbe avvertirlo Costa, anche lui invidioso marcio, è lì a concedere cittadinanza a Gomorra, come se lui dovesse dirlo. Fofi, Stajano, D’Orrico, Jhonatan Galassi, Carla Benedetti, Sanvitale, Consolo, Fruttero, Camilleri, ed altri che hanno parlato bene di Gomorra spettavano il lasciapassare di Costa. La cosa triste è che invece di stringersi intorno a Saviano e salvarlo dalla degenerazione delle copie lo si attacca come fautore di queste retoriche. Che follia! E poi come saprà l’allieva della Cilento, se non fosse stato per il successo di Saviano col cavolo che pubblicava Einaudi (chiedere a Paola Gallo e Dalia Oggero). Una volta ho raggiunto Saviano via email e gli ho detto “quanta chiavica stai facendo pubblicare dopo il tuo successo” E’ un bene, mi ha risposto. Non vi merita. Morirete senza raggiungere un millesimo della bravura e della potenza di questo ragazzo. FI

ps pare non ci sia stata nessuna querela ance se io la vorrei fare contro la Cilento.

ps 2 Ma Saviano è stato avvertito di quanto Di Consoli un prsunto amico si sia sbavato di invidia? Qualcuno dovrebbe avvertirlo

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Di: Erika Di Giorgio http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1520 Erika Di Giorgio Tue, 26 Jun 2007 21:06:22 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1520 Complimenti a tutti per il bellissimo dibattito. Mi rifaccio all'ultimo intervento, quello di Sabina Corsaro. Mi pare che la Corsaro, opportunamente, bypassi la questione "Cos'è letteratura e cosa non lo è" ed evidenzi la necessità di un'approccio pluralistico della scrittura per descrivere e affrontare le problematiche umane e dell'umano vivere. E anzi lo fa citando alcuni capisaldi della letteratura nazionale. Ha ragione quando sostiene che la letteratura (realista) di Verga non è stata e non poteva essere esaustiva, così come non poteva esserla quella di Sciascia. Ecco allora che la scrittura e la letteratura devono essere viste come un grande mare capace di bagnare tutte le terre. A me, scusate se lo sottolineo, magari vi sembrerò arrogante, la definizione di Celine citata dal bravo Saviano nel suo testo fa un po' sorridere. Con tutto il rispetto per Celine (che non credo sia il più grande genio della letteratura mondiale di tutti i tempi), quella definizione mi pare un "tantino" didascalica. Ma forse mi sbaglio. Un saluto a tutti. Complimenti a tutti per il bellissimo dibattito.
Mi rifaccio all’ultimo intervento, quello di Sabina Corsaro.
Mi pare che la Corsaro, opportunamente, bypassi la questione “Cos’è letteratura e cosa non lo è” ed evidenzi la necessità di un’approccio pluralistico della scrittura per descrivere e affrontare le problematiche umane e dell’umano vivere. E anzi lo fa citando alcuni capisaldi della letteratura nazionale. Ha ragione quando sostiene che la letteratura (realista) di Verga non è stata e non poteva essere esaustiva, così come non poteva esserla quella di Sciascia. Ecco allora che la scrittura e la letteratura devono essere viste come un grande mare capace di bagnare tutte le terre. A me, scusate se lo sottolineo, magari vi sembrerò arrogante, la definizione di Celine citata dal bravo Saviano nel suo testo fa un po’ sorridere. Con tutto il rispetto per Celine (che non credo sia il più grande genio della letteratura mondiale di tutti i tempi), quella definizione mi pare un “tantino” didascalica.
Ma forse mi sbaglio.
Un saluto a tutti.

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Di: Sabina Corsaro http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1519 Sabina Corsaro Tue, 26 Jun 2007 14:01:45 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1519 Il mio intervento è probabilemente molto più generale, premetto che trovo importante e significativo un testo come quello di "Gomorra". Detto ciò riprendo alcune delle frasi scritte da Antonio Pascale e vi apporto la mia riflessione: "L’arte realistica è, in questo senso, un potente sismografo. Serve in primo luogo a proteggerci, proprio perché ci fa riconoscere l’onda sismica e in secondo luogo, serve, a costruire strutture antisismiche.Il narratore realista crede, in buona o mala fede, con ottimi e cattivi risultati, che questo sia il suo compito, indagare e costruire". Il problema sollevato introduce due visuali apparentemente opposte: quella della verità e quella dell'essenza della rappresentazione di essa nella forma artistica (letteraria e non solo) e della sua funzione sociale. La letteratura realista (così come, sino ad oggi, quella verista) ha sempre suscitato delle reazioni che si sono radicate nel tempo, e hanno dato adito a contrapposte considerazioni creando vere e proprie spaccature tra studiosi e intellettuali, a volte irreversibili. Il problema che oggi vive Napoli è un po’ il problema che vivono quelle realtà geografiche e culturali la cui l'identità nel tempo (per varie cause) è andata frantumandosi. Gli storici, gli antropologi, i sociologi, ( ma anche le persone 'comuni') fanno i conti con il riflesso dell'immagine deformata, eppure familiare, nota, vera ma a volte non completa ed esaustiva. In questo dibattito mi sembra di vedere il dibattito che ruota (da tempo) attorno alla ricostruzione dell'immagine della Sicilia, della sua identità storica, culturale, economica. La letteratura verista ha condizionato, nel bene e nel male, a torto o a ragione, la visione del mondo sull'isola e persino degli stessi siciliani: la Sicilia rurale di Verga, quella del potere marcio e corrotto di De Roberto e Pirandello, fino alla Sicilia, 'sconfitta' dal male di una politica in osmosi con la mafia, di Sciascia. Ma non mi limito a citare esempi letterari lontani nel tempo (anche se per alcuni aspetti attuali) e penso al libro di diversi anni fa di Lara Cardella, in cui il sesso femminile siciliano veniva descritto sotto il segno della piena discriminazione (quando in realtà molte donne non avevano mai vissuto quelle restrizioni o quel senso di vittimismo). Per non allontanarmi più di tanto, oltrepassando i confini letterari, anche la scrittura giornalistica ha riempito, alcuni mesi fa, pagine di fogli e web a proposito dei fatti dello stadio di Cibali (per la morte dell'Ispettore Raciti). In quei giorni l'orgoglio siciliano (in particolar modo catanese) ha sentito l'urgenza di difendere la parte onesta, pulita, dinamica e costruttiva della città, puntando il dito contro la parte marcia e quasi estranea. Il punto di riflessione che allora mi nasceva era questo: ma Catania, la vera Catania esiste realmente? È un'unica città, con le sue contraddizioni, con le sue opposte direzioni o non esiste ancora un'identità compatta che si chiami Catania? La disoccupazione, la corruzione, la miseria, gli intrecci tra loro, accomunano molte realtà del meridione, ma sono le sole cose che le possono rappresentare? Verga descriveva verso la fine dell'800 la vita dura dei contadini, dei lettighieri, dei raccoglitori, dei pescatori, le sopraffazioni dei galantuomini nei confronti dei loro dipendenti, così come la non sincera vocazione spirituale dei piccoli preti di campagna. Le inchieste parlamentari e giornalistiche gli davano ragione, e veniva fuori l'immagine di una Sicilia rozza, sofferente, ma a distanza di tempo la storiografia moderna ha capito che la parte attiva e dinamica della Sicilia non aveva avuto la stessa capacità espressiva (forse perché non ci sono stati letterati altrettanto grandi che ne parlassero?) di entrare nel motore più veloce di divulgazione che era ed è il senso comune. Per contro: quello che ritraeva la letteratura verista era un aspetto della realtà, poiché quella gente viveva di fatto in quel modo, i sorprusi descritti spesso erano reali, la miseria esisteva e l'insoddifazione era continua. Ci sarebbe un discorso di valenza analitica da fare, che ponga dei confronti tra la realtà dei fatti e le sue varie rappresentazioni ma il punto è quello di considerare più o meno efficaci le varie ipotesi di identità di un luogo al fine di optare con consapevolezza per quella tanto agognata ricostruzione, che riguardi Napoli, o Catania o un'altra città che da sempre ha dovuto fare i conti con la natura schizofrenica della sua identità. Il mio intervento è probabilemente molto più generale, premetto che trovo importante e significativo un testo come quello di “Gomorra”. Detto ciò riprendo alcune delle frasi scritte da Antonio Pascale e vi apporto la mia riflessione:

“L’arte realistica è, in questo senso, un potente sismografo. Serve in primo luogo a proteggerci, proprio perché ci fa riconoscere l’onda sismica e in secondo luogo, serve, a costruire strutture antisismiche.Il narratore realista crede, in buona o mala fede, con ottimi e cattivi risultati, che questo sia il suo compito, indagare e costruire”.

Il problema sollevato introduce due visuali apparentemente opposte: quella della verità e quella dell’essenza della rappresentazione di essa nella forma artistica (letteraria e non solo) e della sua funzione sociale. La letteratura realista (così come, sino ad oggi, quella verista) ha sempre suscitato delle reazioni che si sono radicate nel tempo, e hanno dato adito a contrapposte considerazioni creando vere e proprie spaccature tra studiosi e intellettuali, a volte irreversibili. Il problema che oggi vive Napoli è un po’ il problema che vivono quelle realtà geografiche e culturali la cui l’identità nel tempo (per varie cause) è andata frantumandosi. Gli storici, gli antropologi, i sociologi, ( ma anche le persone ‘comuni’) fanno i conti con il riflesso dell’immagine deformata, eppure familiare, nota, vera ma a volte non completa ed esaustiva. In questo dibattito mi sembra di vedere il dibattito che ruota (da tempo) attorno alla ricostruzione dell’immagine della Sicilia, della sua identità storica, culturale, economica. La letteratura verista ha condizionato, nel bene e nel male, a torto o a ragione, la visione del mondo sull’isola e persino degli stessi siciliani: la Sicilia rurale di Verga, quella del potere marcio e corrotto di De Roberto e Pirandello, fino alla Sicilia, ’sconfitta’ dal male di una politica in osmosi con la mafia, di Sciascia. Ma non mi limito a citare esempi letterari lontani nel tempo (anche se per alcuni aspetti attuali) e penso al libro di diversi anni fa di Lara Cardella, in cui il sesso femminile siciliano veniva descritto sotto il segno della piena discriminazione (quando in realtà molte donne non avevano mai vissuto quelle restrizioni o quel senso di vittimismo). Per non allontanarmi più di tanto, oltrepassando i confini letterari, anche la scrittura giornalistica ha riempito, alcuni mesi fa, pagine di fogli e web a proposito dei fatti dello stadio di Cibali (per la morte dell’Ispettore Raciti). In quei giorni l’orgoglio siciliano (in particolar modo catanese) ha sentito l’urgenza di difendere la parte onesta, pulita, dinamica e costruttiva della città, puntando il dito contro la parte marcia e quasi estranea. Il punto di riflessione che allora mi nasceva era questo:
ma Catania, la vera Catania esiste realmente? È un’unica città, con le sue contraddizioni, con le sue opposte direzioni o non esiste ancora un’identità compatta che si chiami Catania? La disoccupazione, la corruzione, la miseria, gli intrecci tra loro, accomunano molte realtà del meridione, ma sono le sole cose che le possono rappresentare? Verga descriveva verso la fine dell’800 la vita dura dei contadini, dei lettighieri, dei raccoglitori, dei pescatori, le sopraffazioni dei galantuomini nei confronti dei loro dipendenti, così come la non sincera vocazione spirituale dei piccoli preti di campagna. Le inchieste parlamentari e giornalistiche gli davano ragione, e veniva fuori l’immagine di una Sicilia rozza, sofferente, ma a distanza di tempo la storiografia moderna ha capito che la parte attiva e dinamica della Sicilia non aveva avuto la stessa capacità espressiva (forse perché non ci sono stati letterati altrettanto grandi che ne parlassero?) di entrare nel motore più veloce di divulgazione che era ed è il senso comune.
Per contro: quello che ritraeva la letteratura verista era un aspetto della realtà, poiché quella gente viveva di fatto in quel modo, i sorprusi descritti spesso erano reali, la miseria esisteva e l’insoddifazione era continua.
Ci sarebbe un discorso di valenza analitica da fare, che ponga dei confronti tra la realtà dei fatti e le sue varie rappresentazioni ma il punto è quello di considerare più o meno efficaci le varie ipotesi di identità di un luogo al fine di optare con consapevolezza per quella tanto agognata ricostruzione, che riguardi Napoli, o Catania o un’altra città che da sempre ha dovuto fare i conti con la natura schizofrenica della sua identità.

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Di: Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1518 Massimo Maugeri Tue, 26 Jun 2007 13:26:09 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1518 @ Rossella Milone, Emilia Cirillo, Francesco Costa: grazie davvero per essere intervenuti. @ Sergio Sozi e Sergio Rilletti: Sergio Sozi scrive: "... la ''strada favolistica'' all'approccio letterario con la realta' e' tanto interessante quanto difficilmente praticabile, forse perche' la realta' scotta e l'utopia e' tiepida, tenera, piacevole." Io penso che la realtà di questo nostro mondo, da che tempo e tempo, è stata sempre scoppiettante. - "... Siamo letterati di serie b..." Sozi, parla per te! Ovviamente scherzo. :) @ Giampiro Minnelli: benvenuto anche a te e grazie per il tuo commento. E stai tranquillo, che Saviano resterà Saviano.Vedrai! @ Rossella Milone, Emilia Cirillo, Francesco Costa:
grazie davvero per essere intervenuti.

@ Sergio Sozi e Sergio Rilletti:
Sergio Sozi scrive: “… la ‘’strada favolistica” all’approccio letterario con la realta’ e’ tanto interessante quanto difficilmente praticabile, forse perche’ la realta’ scotta e l’utopia e’ tiepida, tenera, piacevole.”
Io penso che la realtà di questo nostro mondo, da che tempo e tempo, è stata sempre scoppiettante.

- “… Siamo letterati di serie b…”
Sozi, parla per te!
Ovviamente scherzo. :)

@ Giampiro Minnelli:
benvenuto anche a te e grazie per il tuo commento. E stai tranquillo, che Saviano resterà Saviano.Vedrai!

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Di: Giampiero Minnelli http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-2/#comment-1517 Giampiero Minnelli Tue, 26 Jun 2007 09:33:00 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1517 Complimenti a questo blog per l’acume, il livello e la serenità degli interventi. Una vera rarità sul web, di questi tempi. Sono rimasto colpito della partecipazione di così tanti scrittori e del fatto che, con onestà, sono stati messi in luce i rapporti personali che li legano. E’ bello che si faccia rete in maniera costruttiva. Ho apprezzato, in particolare, l’intervento di Rossella Milone e quello di Francesco Costa. E ho molto apprezzato che sia stato inserito il bellissimo articolo di Roberto Saviano. Vi dirò con molta sincerità la mia opinione, che è l’opinione di un semplice lettore che scrive anche per proprio diletto. Credo che “Gomorra” di Roberto Saviano sia uno dei libri più belli e necessari scritti negli ultimi anni, e credo pure che rimarrà con merito nella storia della letteratura. Insomma, spero che Saviano continui a scrivere così. Se poi si crea una moda camorra e tutti cominciano a scrivere di camorra per essere pubblicati e le case editrici si prestano a questo gioco (illuminante l’intervento di Sabrina Campolongo) il problema è dovuto ad una distorsione del sistema editoriale a cui gli altri scrittori qui intervenuti fanno bene ad opporsi. Poi sta a noi lettori saper scegliere, cosa che purtroppo non sempre avviene, decretando il successo dei libri di qualità. Ma Saviano deve rimanere Saviano e andare avanti per la sua strada con forza e determinazione. E con il sostegno dei lettori che lo amano. Grazie per lo spazio concesso. Giampiero Minnelli Complimenti a questo blog per l’acume, il livello e la serenità degli interventi. Una vera rarità sul web, di questi tempi. Sono rimasto colpito della partecipazione di così tanti scrittori e del fatto che, con onestà, sono stati messi in luce i rapporti personali che li legano. E’ bello che si faccia rete in maniera costruttiva.
Ho apprezzato, in particolare, l’intervento di Rossella Milone e quello di Francesco Costa. E ho molto apprezzato che sia stato inserito il bellissimo articolo di Roberto Saviano.
Vi dirò con molta sincerità la mia opinione, che è l’opinione di un semplice lettore che scrive anche per proprio diletto. Credo che “Gomorra” di Roberto Saviano sia uno dei libri più belli e necessari scritti negli ultimi anni, e credo pure che rimarrà con merito nella storia della letteratura. Insomma, spero che Saviano continui a scrivere così.
Se poi si crea una moda camorra e tutti cominciano a scrivere di camorra per essere pubblicati e le case editrici si prestano a questo gioco (illuminante l’intervento di Sabrina Campolongo) il problema è dovuto ad una distorsione del sistema editoriale a cui gli altri scrittori qui intervenuti fanno bene ad opporsi. Poi sta a noi lettori saper scegliere, cosa che purtroppo non sempre avviene, decretando il successo dei libri di qualità. Ma Saviano deve rimanere Saviano e andare avanti per la sua strada con forza e determinazione. E con il sostegno dei lettori che lo amano.
Grazie per lo spazio concesso.
Giampiero Minnelli

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Di: Rossella Milone http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-1/#comment-1516 Rossella Milone Tue, 26 Jun 2007 08:33:52 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1516 E' la prima volta che scrivo in un blog e sono contenta di farlo qui, in casa Maugeri dove la cordialità del padrone (di casa...)la correttezza che è in grado di mantenere e stimolare nei partecipanti apprezzo moltissimo, data la scarsità che se ne trova in giro. In giro non solo tra i blog ma soprattutto tra le scritture, tra gli scrittori, tra i libri che ci propongono come libri di letteratura. La correttezza pare abbia fatto un grosso tuffo in un qualsiasi mare profondo, ed è annegata. Mi pare che però qualcuno pure abbia voglia di farla venire su, ad avere interesse che torni a galleggiare perchè altrimenti le parole soltanto (scritte nei libri, nei blog o dovunque) non bastano. Se non trovano terreno comune e solidale dove mettere radici, riaffondano. Sono daccordo con Francesco Costa (che conosco e stimo tantissimo) quando dice che la rete tra scrittori deve significare questo, deve avere un terreno fertile di concordanze e disposizione alla parola prima ancora della parola stessa, per poter fare in modo che le cose 'cambino' o quanto meno, si spostino. Il fotografo Renè Burri quando ha cominciato il suo mestiere di reporter per le vie di Cuba o del Brasile, aveva l'illusione di poter cambiare il mondo, di poterlo modificare con i suoi scatti e le sue testimonianze. Poi, in una sua bellissima biografia, ci dice che s'era sbagliato, che era impossibile: ma non perchè il suo mestiere lo disilludesse, ma perchè erano le persone a togliergli l'illusione. Nonostante ciò non ha smesso di andare avanti, di crederci, di provare, col risultato di illudersi di nuovo e ancora. E le sue illusioni sono diventate le sue fotografie. Per raccontare le storie che aveva necessità di fotografare ha dovuto lottare con le persone e non con la materia del suo narrare. La materia della narrazione è qui, vicino a noi, nelle invenzioni di chi la scrive, nella fatica creativa che comporta scrivere un libro. Tutto il resto credo che sia pura ricercatezza, 'burdello' (per dirla alla napoletana) che alla narrazione non serve. Quello che succede qui a Napoli (dove vivo) e ovunque, è una narrazione continua, e forse per questo Napoli si presta tanto ad essere messa sotto i riflettori: una sconfitta giornaliera, piccole vincite giornaliere, seguita da altrettante illusioni e speranze giornaliere. Se non ci fossero le illusioni e le speranze Napoli e le persone di Napoli non sopravviverebbero. E, forse, poichè per dirla alla Bocca Napoli non è che la rappresentazione sfacciata di ciò che è diventata l'Italia, nemmeno le persone dell'Italia (ma la letteratura non racconta questo?) Chi vive a Napoli lo sa, lo fa, lo vive sulla pelle, ne fa i conti tutti i giorni. Conosco Antonio Pacale e Andrea di Consoli. Ma più di tutti conosco Antonella (Cilento) che a sgomitate e a volte anche con le lacrime (ma quelle passano, sennò si annega di nuovo) giorno per giorno scalpella la crosta che circonda la città, fa a botte con la burocrazia, con l'ignoranza, con la difficoltà di fare imprenditoria in una città dove l'imprenditoria è l'arte del 'far fesso', e soprattutto di far cultura. Lo so perchè provo ad aiutarla, lo so perchè spesso discutiamo, a volte litighiamo, gioiamo delle piccole soddisfazioni, o ci amareggiamo per le ennesime difficoltà, e leggere certe cattiverie mi pare davvero non solo una forma di mancanza di educazione punto e basta, (e già questo...) ma soprattutto un parlare a sproposito per esserci, per, come dice Francesco, litigare come se non si potesse fare altro (o non si voglia fare altro). Ma altro si puo' fare e si fa: lo dimostra lei, quello che ha creato in città (una delle poche realtà culturali cittadine che abbia spessore, continuità e, forse, anche forza lavorativa) i suoi libri, i libri di Pascale, di Di Consoli, di Emilia Cirillo, di Francesco... Perchè non si fa 'scandalo' su questo?Credo che la letteratura racconti storie, fatti che sono in grado di toccare la radice del profondo, farla male e pulsare in ogni lettore, recuperare in lui qualcosa che appartiene al libro e al genere umano tutto. Con la correttezza di chi osserva e fotografa, con l'onestà letteraria che forse oggi pare sia un po' desueta ma che invece è alla base della dialettica scrittore\lettore. Altrimenti l'umanità non viene raccontata, ma mortificata e messa sotto un microscopio da laboratorio. E' inutile. Chiunque abbia letto Cechov lo sa. Grazie per l'opportunità saluti cari Rossella Milone E’ la prima volta che scrivo in un blog e sono contenta di farlo qui, in casa Maugeri dove la cordialità del padrone (di casa…)la correttezza che è in grado di mantenere e stimolare nei partecipanti apprezzo moltissimo, data la scarsità che se ne trova in giro. In giro non solo tra i blog ma soprattutto tra le scritture, tra gli scrittori, tra i libri che ci propongono come libri di letteratura. La correttezza pare abbia fatto un grosso tuffo in un qualsiasi mare profondo, ed è annegata. Mi pare che però qualcuno pure abbia voglia di farla venire su, ad avere interesse che torni a galleggiare perchè altrimenti le parole soltanto (scritte nei libri, nei blog o dovunque) non bastano. Se non trovano terreno comune e solidale dove mettere radici, riaffondano. Sono daccordo con Francesco Costa (che conosco e stimo tantissimo) quando dice che la rete tra scrittori deve significare questo, deve avere un terreno fertile di concordanze e disposizione alla parola prima ancora della parola stessa, per poter fare in modo che le cose ‘cambino’ o quanto meno, si spostino. Il fotografo Renè Burri quando ha cominciato il suo mestiere di reporter per le vie di Cuba o del Brasile, aveva l’illusione di poter cambiare il mondo, di poterlo modificare con i suoi scatti e le sue testimonianze. Poi, in una sua bellissima biografia, ci dice che s’era sbagliato, che era impossibile: ma non perchè il suo mestiere lo disilludesse, ma perchè erano le persone a togliergli l’illusione. Nonostante ciò non ha smesso di andare avanti, di crederci, di provare, col risultato di illudersi di nuovo e ancora. E le sue illusioni sono diventate le sue fotografie. Per raccontare le storie che aveva necessità di fotografare ha dovuto lottare con le persone e non con la materia del suo narrare. La materia della narrazione è qui, vicino a noi, nelle invenzioni di chi la scrive, nella fatica creativa che comporta scrivere un libro. Tutto il resto credo che sia pura ricercatezza, ‘burdello’ (per dirla alla napoletana) che alla narrazione non serve. Quello che succede qui a Napoli (dove vivo) e ovunque, è una narrazione continua, e forse per questo Napoli si presta tanto ad essere messa sotto i riflettori: una sconfitta giornaliera, piccole vincite giornaliere, seguita da altrettante illusioni e speranze giornaliere. Se non ci fossero le illusioni e le speranze Napoli e le persone di Napoli non sopravviverebbero. E, forse, poichè per dirla alla Bocca Napoli non è che la rappresentazione sfacciata di ciò che è diventata l’Italia, nemmeno le persone dell’Italia (ma la letteratura non racconta questo?)
Chi vive a Napoli lo sa, lo fa, lo vive sulla pelle, ne fa i conti tutti i giorni. Conosco Antonio Pacale e Andrea di Consoli. Ma più di tutti conosco Antonella (Cilento) che a sgomitate e a volte anche con le lacrime (ma quelle passano, sennò si annega di nuovo) giorno per giorno scalpella la crosta che circonda la città, fa a botte con la burocrazia, con l’ignoranza, con la difficoltà di fare imprenditoria in una città dove l’imprenditoria è l’arte del ‘far fesso’, e soprattutto di far cultura. Lo so perchè provo ad aiutarla, lo so perchè spesso discutiamo, a volte litighiamo, gioiamo delle piccole soddisfazioni, o ci amareggiamo per le ennesime difficoltà, e leggere certe cattiverie mi pare davvero non solo una forma di mancanza di educazione punto e basta, (e già questo…) ma soprattutto un parlare a sproposito per esserci, per, come dice Francesco, litigare come se non si potesse fare altro (o non si voglia fare altro). Ma altro si puo’ fare e si fa: lo dimostra lei, quello che ha creato in città (una delle poche realtà culturali cittadine che abbia spessore, continuità e, forse, anche forza lavorativa) i suoi libri, i libri di Pascale, di Di Consoli, di Emilia Cirillo, di Francesco… Perchè non si fa ’scandalo’ su questo?Credo che la letteratura racconti storie, fatti che sono in grado di toccare la radice del profondo, farla male e pulsare in ogni lettore, recuperare in lui qualcosa che appartiene al libro e al genere umano tutto. Con la correttezza di chi osserva e fotografa, con l’onestà letteraria che forse oggi pare sia un po’ desueta ma che invece è alla base della dialettica scrittore\lettore. Altrimenti l’umanità non viene raccontata, ma mortificata e messa sotto un microscopio da laboratorio. E’ inutile. Chiunque abbia letto Cechov lo sa.

Grazie per l’opportunità
saluti cari

Rossella Milone

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Di: Sergio Sozi http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-1/#comment-1515 Sergio Sozi Tue, 26 Jun 2007 00:40:59 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1515 Prima di tutto saluto caramente la sig.ra Cilento, ringraziandola per aver colto la mia modesta lettera si' da sviluppare un proprio suo discorso che io personalmente considero del tutto condivisibile. Poi, ma non ''dopo'', invio un caro saluto a Sergio Rilletti, al quale vorrei (dopo avergli fatto i complimenti per il suo racconto ''Solo'') dire che la ''strada favolistica'' all'approccio letterario con la realta' e' tanto interessante quanto difficilmente praticabile, forse perche' la realta' scotta e l'utopia e' tiepida, tenera, piacevole. Forse, per dire qualcosa di forte sotto il vestito di un'invenzione fantastica, sarebbe meglio ricorrere a qualcosa di simile ai racconti-apologo dell'antichita' greco-romana - vedasi quello su Menenio Agrippa, vedasi Esopo. Oggi, pero', oibo', invece, caro Sergio, non ne siamo capaci. Siamo letterati di serie b che non sanno fare le cose piu' quotidiane degli Antichi ma pensano di proporre chissa' quale complesso discorso letterario. Inventare una favola e' la cosa piu' difficile che esista, per noi Moderni. Magari perche' dentro abbiamo polvere e aria, con le quali non si fa inchiostro e saggezza. Un Abbraccio Caro ad entrambi Sergio Sozi Prima di tutto saluto caramente la sig.ra Cilento, ringraziandola per aver colto la mia modesta lettera si’ da sviluppare un proprio suo discorso che io personalmente considero del tutto condivisibile.

Poi, ma non ”dopo”, invio un caro saluto a Sergio Rilletti, al quale vorrei (dopo avergli fatto i complimenti per il suo racconto ”Solo”) dire che la ‘’strada favolistica” all’approccio letterario con la realta’ e’ tanto interessante quanto difficilmente praticabile, forse perche’ la realta’ scotta e l’utopia e’ tiepida, tenera, piacevole. Forse, per dire qualcosa di forte sotto il vestito di un’invenzione fantastica, sarebbe meglio ricorrere a qualcosa di simile ai racconti-apologo dell’antichita’ greco-romana – vedasi quello su Menenio Agrippa, vedasi Esopo. Oggi, pero’, oibo’, invece, caro Sergio, non ne siamo capaci. Siamo letterati di serie b che non sanno fare le cose piu’ quotidiane degli Antichi ma pensano di proporre chissa’ quale complesso discorso letterario. Inventare una favola e’ la cosa piu’ difficile che esista, per noi Moderni. Magari perche’ dentro abbiamo polvere e aria, con le quali non si fa inchiostro e saggezza.

Un Abbraccio Caro ad entrambi

Sergio Sozi

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Di: Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-1/#comment-1514 Massimo Maugeri Mon, 25 Jun 2007 22:56:38 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1514 @ Cicerone 3 e Cicerone 4: bravi! @ Antonella Cilento: ho letto i post di Giusi Marchetta. Di essere la ragazza è tosta (e non ho dubbi sul fatto che sia talentuosa). Te le "allevi" bene le allieve, eh? @ Cicerone 3 e Cicerone 4:
bravi!

@ Antonella Cilento:
ho letto i post di Giusi Marchetta. Di essere la ragazza è tosta (e non ho dubbi sul fatto che sia talentuosa).
Te le “allevi” bene le allieve, eh?

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Di: Articolo di Sergio De Santis (segnalato da Cicerone 4) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-1/#comment-1513 Articolo di Sergio De Santis (segnalato da Cicerone 4) Mon, 25 Jun 2007 22:21:15 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1513 Cicerone 4 c’è: Ecco l’articolo di De Santis - - - KAMORREIDE E LIBRI DI CONSUMO Di Sergio De Santis Bene, tra scrittori e intellettuali napoletani si riprende a ragionare sulla città attraverso le pagine dei giornali. Il che, anche se non risolutivo, è sicuramente meglio che perdere un ombrello. Pascale ha ragione da vendere quando sulle colonne del Mattino scrive che la denuncia di una realtà come quella napoletana, per quanto legittima, alla fine, se reiterata in tutte le salse possibili e immaginabili, finisce per essere inefficace e retorica, come da sempre sono tutte le prassi ripetitive. Pascale e Perrella parlano di retorica dell’apocalisse. Potremmo aggiungere che a Napoli e su Napoli è nato addirittura un nuovo genere letterario e massmediatico che possiamo battezzare kamorreide (col k, così fa più blog e quindi più moda), teso più alla spettacolarizzazione sanguinolenta che alla conoscenza, un’epopea che vede al centro una città eletta a quintessenza del male cosmico. Nella kamorreide ormai si esercitano tutti: scrittori, sociologi, psicologi, talk-show, insomma chiunque voglia accreditare di impegno sociale la propria dimensione lavorativa ed esistenziale. Non è complicato dar vita a un buon prodotto di kamorreide. Se si è scrittori basta deportare un paio di personaggi in periferia, magari a Scampia, scriverci su un bel raccontino più o meno lungo e il gioco è fatto. Oppure setacciare i resoconti giudiziari per dar vita a un best-seller bello truculento e sdegnato nel quale scopriamo quello che già sapevamo dalla visione di qualsiasi fiction sulle criminalità organizzate: che tutte le mafie vivono di connivenze politiche, che operano ben oltre i confini del Mezzogiorno e della nazione, che le centrali finanziarie di riciclaggio sono nel nord del Paese o anche all’estero. Peccato, per chi non lo sapesse, che i camorristi reputano un punto d’onore essere citati in questo o quel libro. Diverso è se si colpisce un loro affare in corso: allora, come purtroppo sperimentò Giancarlo Siani, ti trovano e ti ammazzano sul serio. Se invece si lavora per i media, è ancora più facile: un’intervista a un pusher minorenne, per sfondo un bel mucchio di immondizia alto più dell’intervistato e il successo è assicurato. Vanno benissimo anche una prostituta, meglio se vecchia e brutta, o un ladro di motorini dodicenne, ottimo se fornito di coltello. La kamorreide più che retorica è diventata stucchevole accademia letteraria, cinematografica e massmediale. Un’arcadia del male assoluto che però si vende benissimo in film, libri, sfusa e a pacchetti. Peccato che, come dice Pascale, non muti di una virgola lo stato delle cose. E cos’è che cambierebbe lo stato delle cose? Questo più che agli intellettuali bisognerebbe domandarlo ai poliziotti, agli insegnanti, ai vigili urbani, agli impiegati, ai medici, insomma a tutti quelli che la mattina si alzano e vanno a lavorare incontrando approssimazione, nepotismo, indifferenza, tracotanza, abuso. Loro ci direbbero che no, Napoli non è un inferno apocalittico, ma nemmeno un paradiso perduto. È una città davvero tosta, dove tutto forse andrebbe meglio se ognuno pensasse a fare bene il proprio lavoro, senza delegare sempre ad altri la soluzione di ogni problema e senza usare le mancanze altrui per legittimare le proprie. Insomma, come scrive Perrella, bisogna essere spietati prima di tutto con se stessi, anche perché ormai le cose sono arrivate a un punto se non apocalittico, certamente insostenibile: lo sanno tutti, dentro e fuori l’intera nazione. Le scelte sono due, le stesse di sempre: o si va via o si cerca seriamente di cambiare quello che c’è. Ciascuno è libero di fare come vuole e come può, anche di continuare a straparlare, strascrivere e strafilmare, almeno fin quando la Napoli del male assoluto continuerà a vendersi bene. Quanto alla letteratura, per scrivere un grande libro su una realtà così complessa, vitale ed estrema come quella napoletana occorrerebbe la penna di Dostoevskij, ma di scrittori come lui ne nascono ben pochi in un secolo. Quello passato non sembra ce ne siano stati molti, e in quello appena cominciato... Non ci resta che sperare. Sergio De Santis Fonti: <a href="http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070616&ediz=NAZIONALE&npag=35&file=GIROVRO.xml&type=STANDARD" rel="nofollow">http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070616&ediz=NAZIONALE&npag=35&file=GIROVRO.xml&type=STANDARD</a> <a href="http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070616&ediz=NAZIONALE&npag=45&file=GIROVRO.xml&type=STANDARD" rel="nofollow">http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070616&ediz=NAZIONALE&npag=45&file=GIROVRO.xml&type=STANDARD</a> - - - - Articolo segnalato da Cicerone 4 Cicerone 4 c’è: Ecco l’articolo di De Santis

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KAMORREIDE E LIBRI DI CONSUMO
Di Sergio De Santis

Bene, tra scrittori e intellettuali napoletani si riprende a ragionare sulla città attraverso le pagine dei giornali. Il che, anche se non risolutivo, è sicuramente meglio che perdere un ombrello. Pascale ha ragione da vendere quando sulle colonne del Mattino scrive che la denuncia di una realtà come quella napoletana, per quanto legittima, alla fine, se reiterata in tutte le salse possibili e immaginabili, finisce per essere inefficace e retorica, come da sempre sono tutte le prassi ripetitive. Pascale e Perrella parlano di retorica dell’apocalisse.
Potremmo aggiungere che a Napoli e su Napoli è nato addirittura un nuovo genere letterario e massmediatico che possiamo battezzare kamorreide (col k, così fa più blog e quindi più moda), teso più alla spettacolarizzazione sanguinolenta che alla conoscenza, un’epopea che vede al centro una città eletta a quintessenza del male cosmico. Nella kamorreide ormai si esercitano tutti: scrittori, sociologi, psicologi, talk-show, insomma chiunque voglia accreditare di impegno sociale la propria dimensione lavorativa ed esistenziale. Non è complicato dar vita a un buon prodotto di kamorreide. Se si è scrittori basta deportare un paio di personaggi in periferia, magari a Scampia, scriverci su un bel raccontino più o meno lungo e il gioco è fatto. Oppure setacciare i resoconti giudiziari per dar vita a un best-seller bello truculento e sdegnato nel quale scopriamo quello che già sapevamo dalla visione di qualsiasi fiction sulle criminalità organizzate: che tutte le mafie vivono di connivenze politiche, che operano ben oltre i confini del Mezzogiorno e della nazione, che le centrali finanziarie di riciclaggio sono nel nord del Paese o anche all’estero. Peccato, per chi non lo sapesse, che i camorristi reputano un punto d’onore essere citati in questo o quel libro. Diverso è se si colpisce un loro affare in corso: allora, come purtroppo sperimentò Giancarlo Siani, ti trovano e ti ammazzano sul serio. Se invece si lavora per i media, è ancora più facile: un’intervista a un pusher minorenne, per sfondo un bel mucchio di immondizia alto più dell’intervistato e il successo è assicurato. Vanno benissimo anche una prostituta, meglio se vecchia e brutta, o un ladro di motorini dodicenne, ottimo se fornito di coltello. La kamorreide più che retorica è diventata stucchevole accademia letteraria, cinematografica e massmediale. Un’arcadia del male assoluto che però si vende benissimo in film, libri, sfusa e a pacchetti. Peccato che, come dice Pascale, non muti di una virgola lo stato delle cose. E cos’è che cambierebbe lo stato delle cose? Questo più che agli intellettuali bisognerebbe domandarlo ai poliziotti, agli insegnanti, ai vigili urbani, agli impiegati, ai medici, insomma a tutti quelli che la mattina si alzano e vanno a lavorare incontrando approssimazione, nepotismo, indifferenza, tracotanza, abuso. Loro ci direbbero che no, Napoli non è un inferno apocalittico, ma nemmeno un paradiso perduto. È una città davvero tosta, dove tutto forse andrebbe meglio se ognuno pensasse a fare bene il proprio lavoro, senza delegare sempre ad altri la soluzione di ogni problema e senza usare le mancanze altrui per legittimare le proprie. Insomma, come scrive Perrella, bisogna essere spietati prima di tutto con se stessi, anche perché ormai le cose sono arrivate a un punto se non apocalittico, certamente insostenibile: lo sanno tutti, dentro e fuori l’intera nazione. Le scelte sono due, le stesse di sempre: o si va via o si cerca seriamente di cambiare quello che c’è. Ciascuno è libero di fare come vuole e come può, anche di continuare a straparlare, strascrivere e strafilmare, almeno fin quando la Napoli del male assoluto continuerà a vendersi bene. Quanto alla letteratura, per scrivere un grande libro su una realtà così complessa, vitale ed estrema come quella napoletana occorrerebbe la penna di Dostoevskij, ma di scrittori come lui ne nascono ben pochi in un secolo. Quello passato non sembra ce ne siano stati molti, e in quello appena cominciato… Non ci resta che sperare.
Sergio De Santis

Fonti:
http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070616&ediz=NAZIONALE&npag=35&file=GIROVRO.xml&type=STANDARD
http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070616&ediz=NAZIONALE&npag=45&file=GIROVRO.xml&type=STANDARD
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Articolo segnalato da Cicerone 4

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Di: Articolo di Silvio Perrella (segnalato da Cicerone 3) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-1/#comment-1512 Articolo di Silvio Perrella (segnalato da Cicerone 3) Mon, 25 Jun 2007 21:27:43 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1512 Caro Massimo, rispondo subito al tuo invito. Ecco l'articolo pubblicato da Silvio Perrella sul mattino del 15 giugno 2007. Tuo Cicerone 3 - - - - NAPOLI BLOCCATA DALLA RETORICA DELL’APOCALISSE di Silvio Perrella Quante volte ho formulato quest’ipotesi. Cioè che una certa letteratura «napoletana» sia diventata una retorica dell’apocalisse. Adesso, leggendo il suo articolo sul Mattino, vedo che Antonio Pascale la pensa nello stesso modo. Mi sento meno solo. Ma cerco di argomentare meglio. La letteratura ha voluto, rispetto alla conoscenza sulla città, una funzione di supplenza. In mancanza di studi veri e propri, la letteratura ha praticato l’arte dell’intuizione. Ottima cosa, ma con il concreto rischio che la supplenza possa essere durata troppo a lungo. Il terreno da cui prendono forza i libri d’immaginazione deve essere nutrito di altre competenze. Se s’insterilisce anche la letteratura comincia a vacillare. Noi sappiamo che, soprattutto negli anni Cinquanta, sono venute alla luce alcune opere, che oggi ben figurano tre le più importanti del secondo Novecento. Si pensi al lavoro di quel poliedro di narratori composto da Domenico Rea, Luigi Compagnone, Michele Prisco, Luigi Incoronato, Enzo Striano, Mario Pomilio, a cui vanno aggiunti Raffaele La Capria, Anna Maria Ortese ed Ermanno Rea. Attraverso i loro libri ci facciamo un’idea di cosa sia stata la città, di chi l’ha abitata, delle tensioni che l’hanno attraversata e via di seguito, oltre a godere della bellezza della lingua, che è sempre un tutt’uno con tutto il resto. Ma anche dai loro libri da tempo si estrapolano formule ossificate, che tolte dai contesti servono tutt’al più a fare dei titoli ammiccanti. Il mare? Non bagna Napoli, certo. La città? O ti ferisce a morte o ti addormenta. E via di seguito. E allora? Allora è venuto il momento di porsi il problema della conoscenza. Quanti dati davvero condivisi possediamo sulla città e sui noi stessi. Siamo sicuri che i tanti libri che sembrano parlare di Napoli, parlino davvero della città? Chi può dire onestamente di aver fatto indagini, di parlare a partire da una reale esperienza? È evidente: dopo la stagione evocata prima, sono usciti altri libri d’immaginazione seri e importanti. Poi però c’è stato il diluvio. E si è finiti in un tragico paradosso. Si ha la sensazione che non si parli d’altro che di Napoli, eppure di Napoli non sappiamo quasi nulla. Per di più, spesso si scambiano le atmosfere della narrativa e del cinema come qualcosa di vero, da noi vissuto. Si finisce per dare più credito all’immaginazione altrui (spesso già inquinata dai luoghi comuni) che non ai nostri sensi, alla nostra percezione primaria. Se si aggiunge che Napoli non è riuscita ancora a dotarsi di un sistema dei media che la rappresenti, e che ancora la terza più grande città d’Italia debba scontare una realtà «locale», che va in «nazionale» solo se si passa attraverso alcuni codici, si capisce che il lavoro da fare è enorme, quasi impossibile. Forse è necessaria una bonifica dell’immaginazione, tale che permetta di retrocedere dalle metafore ai dati letterali. Gli storici, i geografi, i sociologi, gli antropologi, i fotografi, dovrebbero darci una mano, pena lo sfinimento della letteratura. Ciò significa che alla retorica dell’apocalisse bisogna contrapporre un’altra retorica, magari edulcorante. No, assolutamente no. Anzi, è necessario essere spietati, prima con se stessi, e poi con quel che la nostra mente partorisce. Bisogna credere ai nostri occhi. Non è facile, lo so. Eppure non esiste altra strada. Silvio Perrella Articolo pubblicato su “Il Mattino” del 15 giugno 2007 Fonti: <a href="http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070615&ediz=NAZIONALE&npag=37&file=10H3.xml&type=STANDARD" rel="nofollow">http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070615&ediz=NAZIONALE&npag=37&file=10H3.xml&type=STANDARD</a> <a href="http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070615&ediz=NAZIONALE&npag=45&file=D.xml&type=STANDARD" rel="nofollow">http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070615&ediz=NAZIONALE&npag=45&file=D.xml&type=STANDARD</a> - - - Articolo segnalato da Cicerone 3 Caro Massimo,
rispondo subito al tuo invito.
Ecco l’articolo pubblicato da Silvio Perrella sul mattino del 15 giugno 2007.
Tuo Cicerone 3

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NAPOLI BLOCCATA DALLA RETORICA DELL’APOCALISSE
di Silvio Perrella

Quante volte ho formulato quest’ipotesi. Cioè che una certa letteratura «napoletana» sia diventata una retorica dell’apocalisse. Adesso, leggendo il suo articolo sul Mattino, vedo che Antonio Pascale la pensa nello stesso modo. Mi sento meno solo. Ma cerco di argomentare meglio. La letteratura ha voluto, rispetto alla conoscenza sulla città, una funzione di supplenza. In mancanza di studi veri e propri, la letteratura ha praticato l’arte dell’intuizione. Ottima cosa, ma con il concreto rischio che la supplenza possa essere durata troppo a lungo.
Il terreno da cui prendono forza i libri d’immaginazione deve essere nutrito di altre competenze. Se s’insterilisce anche la letteratura comincia a vacillare. Noi sappiamo che, soprattutto negli anni Cinquanta, sono venute alla luce alcune opere, che oggi ben figurano tre le più importanti del secondo Novecento. Si pensi al lavoro di quel poliedro di narratori composto da Domenico Rea, Luigi Compagnone, Michele Prisco, Luigi Incoronato, Enzo Striano, Mario Pomilio, a cui vanno aggiunti Raffaele La Capria, Anna Maria Ortese ed Ermanno Rea. Attraverso i loro libri ci facciamo un’idea di cosa sia stata la città, di chi l’ha abitata, delle tensioni che l’hanno attraversata e via di seguito, oltre a godere della bellezza della lingua, che è sempre un tutt’uno con tutto il resto. Ma anche dai loro libri da tempo si estrapolano formule ossificate, che tolte dai contesti servono tutt’al più a fare dei titoli ammiccanti. Il mare? Non bagna Napoli, certo. La città? O ti ferisce a morte o ti addormenta. E via di seguito. E allora? Allora è venuto il momento di porsi il problema della conoscenza. Quanti dati davvero condivisi possediamo sulla città e sui noi stessi. Siamo sicuri che i tanti libri che sembrano parlare di Napoli, parlino davvero della città? Chi può dire onestamente di aver fatto indagini, di parlare a partire da una reale esperienza? È evidente: dopo la stagione evocata prima, sono usciti altri libri d’immaginazione seri e importanti. Poi però c’è stato il diluvio. E si è finiti in un tragico paradosso. Si ha la sensazione che non si parli d’altro che di Napoli, eppure di Napoli non sappiamo quasi nulla. Per di più, spesso si scambiano le atmosfere della narrativa e del cinema come qualcosa di vero, da noi vissuto. Si finisce per dare più credito all’immaginazione altrui (spesso già inquinata dai luoghi comuni) che non ai nostri sensi, alla nostra percezione primaria. Se si aggiunge che Napoli non è riuscita ancora a dotarsi di un sistema dei media che la rappresenti, e che ancora la terza più grande città d’Italia debba scontare una realtà «locale», che va in «nazionale» solo se si passa attraverso alcuni codici, si capisce che il lavoro da fare è enorme, quasi impossibile. Forse è necessaria una bonifica dell’immaginazione, tale che permetta di retrocedere dalle metafore ai dati letterali. Gli storici, i geografi, i sociologi, gli antropologi, i fotografi, dovrebbero darci una mano, pena lo sfinimento della letteratura. Ciò significa che alla retorica dell’apocalisse bisogna contrapporre un’altra retorica, magari edulcorante. No, assolutamente no. Anzi, è necessario essere spietati, prima con se stessi, e poi con quel che la nostra mente partorisce. Bisogna credere ai nostri occhi. Non è facile, lo so. Eppure non esiste altra strada.
Silvio Perrella

Articolo pubblicato su “Il Mattino” del 15 giugno 2007
Fonti: http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070615&ediz=NAZIONALE&npag=37&file=10H3.xml&type=STANDARD
http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20070615&ediz=NAZIONALE&npag=45&file=D.xml&type=STANDARD

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Articolo segnalato da Cicerone 3

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Di: Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-1/#comment-1511 Massimo Maugeri Mon, 25 Jun 2007 20:54:35 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1511 @ Antonella Cilento: darò senz'altro un'occhiata al blog satirico della tua ex collega. E' pestifera e ha vinto il premio Calvino di quest'anno? Accidenti! dal premio Calvino vengono fuori scrittrici pestifere. Mi ricordo un romanzo segnalato nel lontano 1997 (o era il 1998?). Si intitolava "Ora d'aria". Chi era l'autrice? :) @ Cicerone 1: hai fatto benissimo. Se riuscite a a procurare gli altri articoli sarebbe un'ottima cosa. Il post rimane aperto per ulteriori contributi. P.S. Ragazzi, qui si brucia. Superati i 45 gradi... e scrivo da una stanza non climatizzata mentre grondo sudore sulla tastiera. @ Antonella Cilento:
darò senz’altro un’occhiata al blog satirico della tua ex collega. E’ pestifera e ha vinto il premio Calvino di quest’anno?
Accidenti! dal premio Calvino vengono fuori scrittrici pestifere. Mi ricordo un romanzo segnalato nel lontano 1997 (o era il 1998?). Si intitolava “Ora d’aria”. Chi era l’autrice? :)

@ Cicerone 1:
hai fatto benissimo. Se riuscite a a procurare gli altri articoli sarebbe un’ottima cosa.
Il post rimane aperto per ulteriori contributi.

P.S. Ragazzi, qui si brucia. Superati i 45 gradi… e scrivo da una stanza non climatizzata mentre grondo sudore sulla tastiera.

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Di: antonella cilento http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-1/#comment-1510 antonella cilento Mon, 25 Jun 2007 20:05:05 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1510 Sentite, c'è Giusi Marchetta, giovanissima casertana, vincitrice del Premio Calvino di quest'anno (e che è stata anche la più pestifera, ma fra le talentuose, delle mie allieve:-)), che ha fatto una cosa troppo divertente sul suo blog e mette tutto in burletta (con serietà di satira). Date un'occhiata...<a href="http://altainfedelta.splinder.com/" rel="nofollow">http://altainfedelta.splinder.com/</a> Buona notte Antonella Cilento Sentite, c’è Giusi Marchetta, giovanissima casertana, vincitrice del Premio Calvino di quest’anno (e che è stata anche la più pestifera, ma fra le talentuose, delle mie allieve:-)), che ha fatto una cosa troppo divertente sul suo blog e mette tutto in burletta (con serietà di satira).
Date un’occhiata…http://altainfedelta.splinder.com/

Buona notte
Antonella Cilento

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Di: Il pensiero di Roberto Saviano (da Cicerone 1) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-1/#comment-1509 Il pensiero di Roberto Saviano (da Cicerone 1) Mon, 25 Jun 2007 17:12:27 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1509 Per favorire il dibattito, confidando nel fatto che Massimo Maugeri sia d'accordo, "posto" il pensiero di Roberto Saviano recentemente espresso nell'ambito della manifestazione "Officina Italia" e pubblicato su Repubblica e Lipperatura. Gli altri del gruppo (di segnalazione collettiva) Cicerone sono alla ricerca degli ulteriori articoli pubblicati sul Mattino da Silvio Perrella, Sergio De Santis, Marco Salvia, Francesco Piccolo. Vostro Cicerone 1. Segue Saviano. - - - - - - Nelle lunghe discussioni con Vincenzo Consolo, Goffredo Fofi, Corrado Stajano, ho appreso che la necessità prima dell´intellettuale è presenziare al dolore umano, mantenersi sentinella della libertà umana, non delegare mai ad altro il proprio imperativo di difesa della dignità umana. Non all´interno di una sorta di nuova ideologia ma come unica capacità di fare del talento, della scrittura, necessità: «Esiste la bellezza e l´inferno degli oppressi, per quanto possibile vorrei rimanere fedele a entrambi», scrive Albert Camus. Fedele alla bellezza e all´inferno dei viventi, è il canone estetico che preferisco. La scrittura letteraria è labirintica, multiforme, non credo possano esserci strade univoche, ma quelle su cui credo debbano posare i miei piedi le riconosco. Primo Levi, in polemica con Giorgio Manganelli che rivendicava la possibilità di scrivere oscuro, affermò che "scrivere oscuro è immorale". Quando Philip Roth dichiara che dopo Se questo è un uomo nessuno può più dire di non essere stato ad Auschwitz. Non di non sapere dell´esistenza di Auschwitz. Ma non si può più dire di non essere stati in fila fuori ad una camera a gas. Questa la potenza di quelle pagine. Libri che non sono testimonianze, reportage, non sono dimostrazioni. Ma portano il lettore nel loro stesso territorio, permettono di essere carne nella carne. In qualche modo questa è la differenza reale tra ciò che è cronaca e ciò che è letteratura. Non l´argomento, neanche lo stile, ma questa possibilità di creare parole che non comunicano ma esprimono, in grado di sussurrare o urlare, di mettere sottopelle al lettore che ciò che si sta leggendo lo riguarda. Non è la Cecenia, non è Saigon, non è Dachau, ma è il proprio luogo, e quelle storie sono le proprie storie. Ed il rischio per gli scrittori non è mai di aver svelato quel segreto, di aver scoperto chissà quale verità nascosta, ma di averla detta. Di averla detta bene. Orhan Pamuk, Salman Rushdie, Anna Politkovskaja hanno avuto in modalità fortemente diverse la responsabilità di fare delle storie che raccontavano vicende riguardanti ogni essere umano e non più circoscritte alla geografia di un territorio. Questo rende lo scrittore pericoloso, temuto. Può arrivare ovunque attraverso una parola che non trasporta soltanto l´informazione, che invece può essere nascosta, fermata, diffamata, smentita, ma trasporta qualcosa che solo gli occhi del lettore possono smentire e confermare. Questa potenza non puoi fermarla se non fermando la mano che la scrive. La forza letteraria continua ad essere questa sua incapacità a ridursi ad una dimensione, ad essere soltanto qualcosa, sia essa notizia, informazione o sensazione, piacere, emozione. Questa sua fruibilità la rende in grado di andare oltre ogni limite, di superare le comunità scientifiche, gli addetti ai lavori, e di andare nel tempo quotidiano di chiunque, divenendo strumento ingovernabile e capace di forzare ogni maglia possibile. La potenza stessa che faceva temere di più ai governi sovietici Boris Pasternak e Il dottor Zivago e I Racconti di Kolyma di Salamov che gli investimenti del controspionaggio della Cia. Mentre i saggisti venivano isolati, relegati in riviste accademiche, lasciati sfogare, gli scrittori dovevano essere eliminati, le pagine nascoste, le parole rese cieche e mute. Quando mi capita di ascoltare le litanie sulla vacuità della scrittura, o quando io stesso mi lascio convincere dal vizio della letteratura come palestra per onanisti con poco talento per la vita, penso sempre alla figura di Kostylev, personaggio del libro di Gustaw Herling Un mondo a parte, un libro per anni marginalizzato e boicottato. Kostylev era stato un uomo che aveva dedicato la sua vita alla causa bolscevica. Poi iniziò a leggere Balzac, Stendhal, Constant e trovò in quei testi "un´aria diversa, mi sentivo come un uomo che, senza saperlo, era stato soffocato tutta la vita". Kostylev abbandonò il lavoro di partito, concesse tutto il suo tempo alla lettura desideroso di conoscere le verità che gli erano state nascoste. I libri stranieri che si procurava clandestinamente lo fecero arrestare. La polizia segreta lo accusò d´essere una spia e torturandolo fu costretto a confessare la mendace accusa. Kostylev si ustionava di sua volontà il suo braccio esponendolo alle fiamme vive, preferiva avere un braccio piagato e gonfio, piuttosto che lavorare per i suoi carcerieri. Nella baracca dove, esentato dal lavoro, passava le giornate, non c´era attimo in cui non leggesse libri. La lettura che gli aveva cambiato l´esistenza portandolo nei campi di lavoro, continuò ad essere la maggiore espressione della sua umanità in quel girone infernale. Non mi interessa la letteratura come vizio, non mi interessa la letteratura come debole pensiero, non mi riguardano belle storie incapaci di mettere le mani nel sangue del mio tempo, e di non fissare in volto il marciume della politica e il tanfo degli affari. Esiste una letteratura diversa, può avere grandi qualità e riscuotere numerosi consensi. Ma non mi riguarda. Ho in mente la frase di Graham Green: «Non so cosa andrò a scrivere ma per me vale soltanto scrivere cose che contano». Cercare di capire i meccanismi. I congegni del potere, del nostro tempo, i bulloni della metafisica dei costumi. Tutto diventa materia. Danaro, taglio della coca, transazioni, assessori, documenti, uccisioni, proclami, preti e capizona. Tutto è coro e materia, con registri diversi. Senza il terrore di scrivere al di fuori dei perimetri letterari, prescegliendo dati, indirizzi, percentuali e armamentari, contaminando con ogni cosa. Se devo scrivere devo farlo in emergenza, dove le bestemmie sono più sincere delle preghiere. E dove la realtà ha slabbrature maggiormente in grado di mostrare verità. Il rap in Europa sembra essere anni luce più avanti della letteratura nella capacità di fare della parola parte della carne del presente, rapper parigini che si trasferiscono a Napoli per raccontare il mediterraneo, filippini e gallaratesi che si lanciano in slang comuni e codificano nuovi sguardi, foggiando nuove grammatiche del racconto. E narrano di un mondo dove tutto è meccanismo di potere, danaro, affermazione, dove la politica è sempre tradimento e dove la parola è il discrimine capace di raccontare tutto questo senza negarlo, senza considerarlo inevitabile ma sentendo necessaria la bellezza di narrarlo e di corroderlo. Con le parole e con i succhi gastrici. Molta scrittura invece sembra fare tarantelle intorno alle questioni centrali del nostro vivere. Tutto sommato non mi interessa far evadere il lettore. Mi interessa invaderlo. E mi interessa la letteratura più simile al morso di vipera che ad un acquarello di fantasie. Arrovellarsi sui territori delle definizioni di ciò che è letterario e di ciò che non lo è, tra combattimenti di accademici e filologi, ruzzolando nell´aia degli scrittori, può essere un´attività infinita senza soluzione alcuna. Una risposta credo risolutiva la diede l´autore del Viaggio al termine della notte e di Morte a credito. Una giovane giornalista andò a trovare un ormai vecchio, isolato e sempre più accidioso Louis Ferdinand Céline. Andò a Meudon, a pochi chilometri da Parigi, dove lo scrittore si era rintanato con sua moglie e i suoi animali. La giornalista dopo le solite domande di circostanza trovò il coraggio e gli chiese, quasi come se stesse pretendendo che lo scrittore gli svelasse il segreto del suo mestiere: «Ma quanti modi ci sono di fare letteratura?». Céline rispose, secco senza titubare: «Ci sono solo due modi di fare letteratura». La giornalista così si aspettava lo scibile umano delle lettere divise in due correnti e Céline diede la sue sintesi insuperabile: «Fare letteratura o costruire spilli per inculare le mosche». Per favorire il dibattito, confidando nel fatto che Massimo Maugeri sia d’accordo, “posto” il pensiero di Roberto Saviano recentemente espresso nell’ambito della manifestazione “Officina Italia” e pubblicato su Repubblica e Lipperatura.
Gli altri del gruppo (di segnalazione collettiva) Cicerone sono alla ricerca degli ulteriori articoli pubblicati sul Mattino da Silvio Perrella, Sergio De Santis, Marco Salvia, Francesco Piccolo.
Vostro Cicerone 1.

Segue Saviano.

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Nelle lunghe discussioni con Vincenzo Consolo, Goffredo Fofi, Corrado Stajano, ho appreso che la necessità prima dell´intellettuale è presenziare al dolore umano, mantenersi sentinella della libertà umana, non delegare mai ad altro il proprio imperativo di difesa della dignità umana. Non all´interno di una sorta di nuova ideologia ma come unica capacità di fare del talento, della scrittura, necessità: «Esiste la bellezza e l´inferno degli oppressi, per quanto possibile vorrei rimanere fedele a entrambi», scrive Albert Camus. Fedele alla bellezza e all´inferno dei viventi, è il canone estetico che preferisco.

La scrittura letteraria è labirintica, multiforme, non credo possano esserci strade univoche, ma quelle su cui credo debbano posare i miei piedi le riconosco. Primo Levi, in polemica con Giorgio Manganelli che rivendicava la possibilità di scrivere oscuro, affermò che “scrivere oscuro è immorale”. Quando Philip Roth dichiara che dopo Se questo è un uomo nessuno può più dire di non essere stato ad Auschwitz. Non di non sapere dell´esistenza di Auschwitz. Ma non si può più dire di non essere stati in fila fuori ad una camera a gas.

Questa la potenza di quelle pagine. Libri che non sono testimonianze, reportage, non sono dimostrazioni. Ma portano il lettore nel loro stesso territorio, permettono di essere carne nella carne. In qualche modo questa è la differenza reale tra ciò che è cronaca e ciò che è letteratura. Non l´argomento, neanche lo stile, ma questa possibilità di creare parole che non comunicano ma esprimono, in grado di sussurrare o urlare, di mettere sottopelle al lettore che ciò che si sta leggendo lo riguarda. Non è la Cecenia, non è Saigon, non è Dachau, ma è il proprio luogo, e quelle storie sono le proprie storie. Ed il rischio per gli scrittori non è mai di aver svelato quel segreto, di aver scoperto chissà quale verità nascosta, ma di averla detta. Di averla detta bene. Orhan Pamuk, Salman Rushdie, Anna Politkovskaja hanno avuto in modalità fortemente diverse la responsabilità di fare delle storie che raccontavano vicende riguardanti ogni essere umano e non più circoscritte alla geografia di un territorio. Questo rende lo scrittore pericoloso, temuto. Può arrivare ovunque attraverso una parola che non trasporta soltanto l´informazione, che invece può essere nascosta, fermata, diffamata, smentita, ma trasporta qualcosa che solo gli occhi del lettore possono smentire e confermare.

Questa potenza non puoi fermarla se non fermando la mano che la scrive. La forza letteraria continua ad essere questa sua incapacità a ridursi ad una dimensione, ad essere soltanto qualcosa, sia essa notizia, informazione o sensazione, piacere, emozione. Questa sua fruibilità la rende in grado di andare oltre ogni limite, di superare le comunità scientifiche, gli addetti ai lavori, e di andare nel tempo quotidiano di chiunque, divenendo strumento ingovernabile e capace di forzare ogni maglia possibile. La potenza stessa che faceva temere di più ai governi sovietici Boris Pasternak e Il dottor Zivago e I Racconti di Kolyma di Salamov che gli investimenti del controspionaggio della Cia. Mentre i saggisti venivano isolati, relegati in riviste accademiche, lasciati sfogare, gli scrittori dovevano essere eliminati, le pagine nascoste, le parole rese cieche e mute.

Quando mi capita di ascoltare le litanie sulla vacuità della scrittura, o quando io stesso mi lascio convincere dal vizio della letteratura come palestra per onanisti con poco talento per la vita, penso sempre alla figura di Kostylev, personaggio del libro di Gustaw Herling Un mondo a parte, un libro per anni marginalizzato e boicottato. Kostylev era stato un uomo che aveva dedicato la sua vita alla causa bolscevica. Poi iniziò a leggere Balzac, Stendhal, Constant e trovò in quei testi “un´aria diversa, mi sentivo come un uomo che, senza saperlo, era stato soffocato tutta la vita”. Kostylev abbandonò il lavoro di partito, concesse tutto il suo tempo alla lettura desideroso di conoscere le verità che gli erano state nascoste. I libri stranieri che si procurava clandestinamente lo fecero arrestare. La polizia segreta lo accusò d´essere una spia e torturandolo fu costretto a confessare la mendace accusa. Kostylev si ustionava di sua volontà il suo braccio esponendolo alle fiamme vive, preferiva avere un braccio piagato e gonfio, piuttosto che lavorare per i suoi carcerieri. Nella baracca dove, esentato dal lavoro, passava le giornate, non c´era attimo in cui non leggesse libri. La lettura che gli aveva cambiato l´esistenza portandolo nei campi di lavoro, continuò ad essere la maggiore espressione della sua umanità in quel girone infernale.

Non mi interessa la letteratura come vizio, non mi interessa la letteratura come debole pensiero, non mi riguardano belle storie incapaci di mettere le mani nel sangue del mio tempo, e di non fissare in volto il marciume della politica e il tanfo degli affari. Esiste una letteratura diversa, può avere grandi qualità e riscuotere numerosi consensi. Ma non mi riguarda. Ho in mente la frase di Graham Green: «Non so cosa andrò a scrivere ma per me vale soltanto scrivere cose che contano». Cercare di capire i meccanismi. I congegni del potere, del nostro tempo, i bulloni della metafisica dei costumi. Tutto diventa materia. Danaro, taglio della coca, transazioni, assessori, documenti, uccisioni, proclami, preti e capizona. Tutto è coro e materia, con registri diversi. Senza il terrore di scrivere al di fuori dei perimetri letterari, prescegliendo dati, indirizzi, percentuali e armamentari, contaminando con ogni cosa.

Se devo scrivere devo farlo in emergenza, dove le bestemmie sono più sincere delle preghiere. E dove la realtà ha slabbrature maggiormente in grado di mostrare verità. Il rap in Europa sembra essere anni luce più avanti della letteratura nella capacità di fare della parola parte della carne del presente, rapper parigini che si trasferiscono a Napoli per raccontare il mediterraneo, filippini e gallaratesi che si lanciano in slang comuni e codificano nuovi sguardi, foggiando nuove grammatiche del racconto. E narrano di un mondo dove tutto è meccanismo di potere, danaro, affermazione, dove la politica è sempre tradimento e dove la parola è il discrimine capace di raccontare tutto questo senza negarlo, senza considerarlo inevitabile ma sentendo necessaria la bellezza di narrarlo e di corroderlo. Con le parole e con i succhi gastrici.

Molta scrittura invece sembra fare tarantelle intorno alle questioni centrali del nostro vivere. Tutto sommato non mi interessa far evadere il lettore. Mi interessa invaderlo. E mi interessa la letteratura più simile al morso di vipera che ad un acquarello di fantasie. Arrovellarsi sui territori delle definizioni di ciò che è letterario e di ciò che non lo è, tra combattimenti di accademici e filologi, ruzzolando nell´aia degli scrittori, può essere un´attività infinita senza soluzione alcuna. Una risposta credo risolutiva la diede l´autore del Viaggio al termine della notte e di Morte a credito. Una giovane giornalista andò a trovare un ormai vecchio, isolato e sempre più accidioso Louis Ferdinand Céline. Andò a Meudon, a pochi chilometri da Parigi, dove lo scrittore si era rintanato con sua moglie e i suoi animali. La giornalista dopo le solite domande di circostanza trovò il coraggio e gli chiese, quasi come se stesse pretendendo che lo scrittore gli svelasse il segreto del suo mestiere: «Ma quanti modi ci sono di fare letteratura?». Céline rispose, secco senza titubare: «Ci sono solo due modi di fare letteratura». La giornalista così si aspettava lo scibile umano delle lettere divise in due correnti e Céline diede la sue sintesi insuperabile: «Fare letteratura o costruire spilli per inculare le mosche».

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Di: Sergio Rilletti http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-1/#comment-1508 Sergio Rilletti Mon, 25 Jun 2007 16:32:14 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1508 C'è un concetto, espresso in questo forum, che ci tengo a riprendere: il recupero dei valori. Finora abbiamo dibattuto sulla realtà "bella" da mettere in contrapposizione a quella "brutta". Ma esiste anche un'altra via da non sottovalutare: quella della fiaba; ovvero scrivere una storia di qualunque genere, rigorosamente divertente e appassionante, in cui un forte “concetto morale” trionfa su tutto, mostrando la vittoria dell’utopia (e magari di un determinato personaggio) sull’insensatezza di alcuni preconcetti, troppo ben radicati, che ormai contaminano la nostra società. Sergio Rilletti C’è un concetto, espresso in questo forum, che ci tengo a riprendere: il recupero dei valori.

Finora abbiamo dibattuto sulla realtà “bella” da mettere in contrapposizione a quella “brutta”. Ma esiste anche un’altra via da non sottovalutare: quella della fiaba; ovvero scrivere una storia di qualunque genere, rigorosamente divertente e appassionante, in cui un forte “concetto morale” trionfa su tutto, mostrando la vittoria dell’utopia (e magari di un determinato personaggio) sull’insensatezza di alcuni preconcetti, troppo ben radicati, che ormai contaminano la nostra società.

Sergio Rilletti

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Di: emilia cirillo http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-1/#comment-1507 emilia cirillo Mon, 25 Jun 2007 13:11:10 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1507 Ho letto in ritardo, come il caldo mi ha consentito, la questione di Gomorra e gli altri autori campani che chiedono , anche , di ritornare alla letteratura. Sicuramente il libro di Saviano vuole denunciare e rappresentare una questione, la camorra appunto e la modalità barbara di esistenza che si conduce in Campania, ma per dirla alla Guido Dorso, la questione meridionale è soprattutto una questione nazionale. Il libro di Saviano non è, a mio modesto parere, letteratura; è un libro giornalistico; è , per quello che ho potuto capire sfogliandolo e notando alcuni errori qua e là, un libro denuncia,caro ad una letteratura degli anni settanta, necessario, crudele, rappresentativo di questo tempo .Detto questo, secondo chi e perchè dovremmo pensare che o gli scrittori meridionali seguono quella strada o niente? Perchè o Gomorra o morte? Le cose che dice antonella Cilento a proposito della fuga dei turisti da Napoli, le finte dicerie del colera, sono vere e giuste. Non c'è rimedio, all0ra? Sprofondiamo tutti, aspettando la nuova apocalisse?Giustamente Cilento, Pascale, Di Consoli propongono di andare avanti, guardare oltre, continuare la nostra difficile normalità, essere propositivi dopo Gomorra, se si vuole dare senso ad una nostra permanenza in Campania, a napoli, ma anche ad avellino.(sabato mattina hanno finalmente arrestato i componenti del clan del partenio) Oppure fuggire, partire, guardare le cose da lontano.Chi vuole,o chi può, vada.E Pascale e Di Consoli sono andati via. L'unica a fronteggiare Napoli e le sue munnezze é Antonella Cilento, che è la scrittrice contro cui si puntano maggiormente le critiche. Nelle polemiche, come queste, lo abbiamo detto, è molto più facile scagliarsi contro le donne.Soprattutto quelle che lavorano secondo coscienza, che non hanno tolto il posto a nessuno, che fanno i conti quotidianamente con la normalità. Che la Cilento continui il suo lavoro, la sua scuola di scrittura ,realtà interessante, viva, formativa a Napoli. So anche quando le costi, e non basta dire quanto le sono vicina. Andiamo oltre le polemiche. Ognuno ha il suop sguardo e il suo modo per dire. E' importante lavorare perchè le cose, qui da noi, in Campania, diventino solo un poco più umane, solo un poco più sopportabili. emilia cirillo Ho letto in ritardo, come il caldo mi ha consentito, la questione di Gomorra e gli altri autori campani che chiedono , anche , di ritornare alla letteratura.
Sicuramente il libro di Saviano vuole denunciare e rappresentare una questione, la camorra appunto e la modalità barbara di esistenza che si conduce in Campania, ma per dirla alla Guido Dorso, la questione meridionale è soprattutto una questione nazionale.
Il libro di Saviano non è, a mio modesto parere, letteratura; è un libro giornalistico; è , per quello che ho potuto capire sfogliandolo e notando alcuni errori qua e là, un libro denuncia,caro ad una letteratura degli anni settanta, necessario, crudele, rappresentativo di questo tempo .Detto questo,
secondo chi e perchè dovremmo pensare che o gli scrittori meridionali seguono quella strada o niente? Perchè o Gomorra o morte?
Le cose che dice antonella Cilento a proposito della fuga dei turisti da Napoli, le finte dicerie del colera, sono vere e giuste. Non c’è rimedio, all0ra? Sprofondiamo tutti, aspettando la nuova apocalisse?Giustamente Cilento, Pascale, Di Consoli propongono di
andare avanti, guardare oltre, continuare la nostra difficile normalità, essere propositivi dopo Gomorra, se si vuole dare senso ad una nostra permanenza in Campania, a napoli, ma anche ad avellino.(sabato mattina hanno finalmente arrestato i componenti del clan del partenio)
Oppure fuggire, partire, guardare le cose da lontano.Chi vuole,o chi può, vada.E Pascale e Di Consoli sono andati via.
L’unica a fronteggiare Napoli e le sue munnezze é Antonella Cilento, che è la scrittrice contro cui si puntano maggiormente le critiche.
Nelle polemiche, come queste, lo abbiamo detto, è molto più facile scagliarsi contro le donne.Soprattutto quelle che lavorano secondo coscienza, che non hanno tolto il posto a nessuno, che fanno i conti quotidianamente con la normalità. Che la Cilento continui il suo lavoro, la sua scuola di scrittura ,realtà interessante, viva, formativa a Napoli.
So anche quando le costi, e non basta dire quanto le sono vicina.
Andiamo oltre le polemiche. Ognuno ha il suop sguardo e il suo modo per dire.
E’ importante lavorare perchè le cose, qui da noi, in Campania, diventino solo un poco più umane, solo un poco più sopportabili.
emilia cirillo

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Di: Rosa Fazzi http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-1/#comment-1506 Rosa Fazzi Mon, 25 Jun 2007 08:09:50 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1506 Intervengo con ritardo per dire che il mio pensiero è molto vicino a quello formulato da Elektra. per cui eviterò di ripetere gli stessi concetti. Mi sembra particolarmente bello l'intervento di Francesco Costa che credo abbia accolto l'appello di Massimo Maugeri a ricomporre. Però desideravo esprimere la mia solidarietà ad Antonella Cilento. Sarò forse una all'antica, ma come ha scritto Costa "offendere con linguaggio scurrile una donna...". Evidentemente esiste ancora un po' di signorilità. Intervengo con ritardo per dire che il mio pensiero è molto vicino a quello formulato da Elektra. per cui eviterò di ripetere gli stessi concetti.
Mi sembra particolarmente bello l’intervento di Francesco Costa che credo abbia accolto l’appello di Massimo Maugeri a ricomporre.
Però desideravo esprimere la mia solidarietà ad Antonella Cilento. Sarò forse una all’antica, ma come ha scritto Costa “offendere con linguaggio scurrile una donna…”. Evidentemente esiste ancora un po’ di signorilità.

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Di: Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-1/#comment-1505 Massimo Maugeri Sun, 24 Jun 2007 20:28:26 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1505 Grazie per i nuovi commenti. Purtroppo ho un problema al pc (spero di risolverlo entro domani) e sono costretto a essere stringatissimo. Il dibattito continua. Un caro saluto a tutti. Grazie per i nuovi commenti.
Purtroppo ho un problema al pc (spero di risolverlo entro domani) e sono costretto a essere stringatissimo.
Il dibattito continua.
Un caro saluto a tutti.

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Di: francesco costa http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-1/#comment-1504 francesco costa Sun, 24 Jun 2007 16:58:40 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1504 In un saporito passaggio del bellissimo "Viaggio in Italia", Goethe (che dell'Italia era pazzo) nota che in questo paese tutto diventa occasione per litigare e racconta che a una cena lo si tormentò per fargli confessare chi preferiva fra Leonardo e Michelangelo, perchè non si tollerava che potesse amarli tutti e due. Perchè litighiamo sempre? Perchè dai lontani conflitti su Coppi-Bartali o su Lollo-Loren si deve arrivare al dilemma Saviano o gli altri? Che cos'hanno detto di così terrificante amici e colleghi a me carissimi come Antonella Cilento o Antonio Pascale da attirarsi virulente scariche d'insulti? Stiamo male davvero se dimentichiamo dove si trova il vero nemico e passiamo il tempo ad azzuffarci fra di noi. Li ricordate i polli di Renzo in "I promessi sposi" che si beccavano mentre andavano dal macellaio? Quali frustrazioni sono alla base di così incivili aggressioni? Se il pamphlet come "Gomorra" ha pieno diritto di cittadinanza nel modo delle lettere, e lo attesta il suo successo, perchè sorvolare sul fatto che ci sono molti modi d'intendere l'impegno sociale? Se il pamphlet, intriso di echi giornalistici, sferra un attacco frontale al Male, il romanzo, per sua natura, fa evolvere la società nascondendo la sua voglia di cambiamento fra le pieghe di un racconto. Che c'è da contestare? La condizione femminile è migliorata anche grazie a "Orgoglio e pregiudizio" di Jane Austen, gli orrori del lavoro minorile ci hanno fatto rabbrividire in "Oliver Twist" di Charles Dickens, il potere corruttore del denaro è al centro dei romanzi di Henry James, e l'umanità deve tantissimo ai russi, ai francesi, alla Woolf, alla Mansfield, a Kafka e a tanti altri. Perchè accapigliarci? Perchè non riflettiamo invece sul fatto che la Campania con le sue sofferenze e le sue speranze ha prodotto negli ultimi dieci anni una letteratura che non ha eguali in Italia per forza, delicatezza, immaginazione, varietà, e anche per l'altissimo numero di rappresentanti. E' la regione che vanta il maggior numero di scrittori, e tutti di talento. Alla luce di questa considerazione perchè non ci rimbocchiamo le maniche per lavorare tutti insieme, e di Napoli dire il brutto e il bello, invece di urlare come se stessimo vendendo il pesce al mercato? Offendere con linguaggio scurrile una donna che lavora è poi una cosa di cui non c'è proprio da andar fieri. Io non vorrei aver niente a che fare con chi lo fa, e neanche ne prova disagio. Chi ha un cervello, lo faccia funzionare. Chi ha un cuore, lo faccia battere forte. Basta con questi scontri inutili! Individuate un progetto da realizzare e siategli fedeli. Il resto è silenzio, come diceva il buon Shakespeare. Francesco Costa In un saporito passaggio del bellissimo “Viaggio in Italia”, Goethe (che dell’Italia era pazzo) nota che in questo paese tutto diventa occasione per litigare e racconta che a una cena lo si tormentò per fargli confessare chi preferiva fra Leonardo e Michelangelo, perchè non si tollerava che potesse amarli tutti e due. Perchè litighiamo sempre? Perchè dai lontani conflitti su Coppi-Bartali o su Lollo-Loren si deve arrivare al dilemma Saviano o gli altri? Che cos’hanno detto di così terrificante amici e colleghi a me carissimi come Antonella Cilento o Antonio Pascale da attirarsi virulente scariche d’insulti? Stiamo male davvero se dimentichiamo dove si trova il vero nemico e passiamo il tempo ad azzuffarci fra di noi. Li ricordate i polli di Renzo in “I promessi sposi” che si beccavano mentre andavano dal macellaio? Quali frustrazioni sono alla base di così incivili aggressioni? Se il pamphlet come “Gomorra” ha pieno diritto di cittadinanza nel modo delle lettere, e lo attesta il suo successo, perchè sorvolare sul fatto che ci sono molti modi d’intendere l’impegno sociale? Se il pamphlet, intriso di echi giornalistici, sferra un attacco frontale al Male, il romanzo, per sua natura, fa evolvere la società nascondendo la sua voglia di cambiamento fra le pieghe di un racconto. Che c’è da contestare? La condizione femminile è migliorata anche grazie a “Orgoglio e pregiudizio” di Jane Austen, gli orrori del lavoro minorile ci hanno fatto rabbrividire in “Oliver Twist” di Charles Dickens, il potere corruttore del denaro è al centro dei romanzi di Henry James, e l’umanità deve tantissimo ai russi, ai francesi, alla Woolf, alla Mansfield, a Kafka e a tanti altri. Perchè accapigliarci? Perchè non riflettiamo invece sul fatto che la Campania con le sue sofferenze e le sue speranze ha prodotto negli ultimi dieci anni una letteratura che non ha eguali in Italia per forza, delicatezza, immaginazione, varietà, e anche per l’altissimo numero di rappresentanti. E’ la regione che vanta il maggior numero di scrittori, e tutti di talento. Alla luce di questa considerazione perchè non ci rimbocchiamo le maniche per lavorare tutti insieme, e di Napoli dire il brutto e il bello, invece di urlare come se stessimo vendendo il pesce al mercato? Offendere con linguaggio scurrile una donna che lavora è poi una cosa di cui non c’è proprio da andar fieri. Io non vorrei aver niente a che fare con chi lo fa, e neanche ne prova disagio. Chi ha un cervello, lo faccia funzionare. Chi ha un cuore, lo faccia battere forte. Basta con questi scontri inutili! Individuate un progetto da realizzare e siategli fedeli. Il resto è silenzio, come diceva il buon Shakespeare.
Francesco Costa

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Di: Gabriele Montemagno http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-1/#comment-1503 Gabriele Montemagno Sun, 24 Jun 2007 16:13:19 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1503 Innanzitutto voglio fare i miei complimenti a Massimo perché, come sempre, riesce a nutrire il suo blog di spunti, questioni, notizie ecc. che non solamente si rivelano interessanti, ma dimostrano che la letteratura (e la cultura) è tutt'altro che fumo o semplice svago (come mi è capitato di sentire), bensì qualcosa che può toccare intimamente la nostra vita quotidiana e la nostra sensibilità, sotto molti punti di vista. In merito alla questione circa l'opprtunità o meno dello stile "realistico" adottato da Saviano ho condiviso molto le opinioni espresse da Elektra e da Miriam Ravasio le quali sono molto vicine al mio modo di considerare la letteratura e che ho trovato efficaci e complementari fra loro. Posso solamente aggiungere e suggerire che è, a mio avviso, un po' rischioso limitare un testo "realistico" a semplice cronaca: se si guarda al cinema si fa un po' fatica a ritenere opere, quali "Roma città aperta" o "La terra trema" o "Umberto D.", come pellicole che "semplicemente" ci hanno voluto mostrare la realtà e non vedere in esse tutta una serie di risvolti poetici, letterari, psicologici, mitici, e persino favolistici. Opere, cioè, che esprimevano il complesso e articolato sentire dei loro autori. Voglio aggiungere ancora, riguardo agli accenni polemici nei cofronti di Massimo Maugeri e del suo blog (al quale, modestamente, collaboro)che Massimo compie un'operazione civile ed intelligente riportando, come ho già detto, questioni attuali che lui stesso può anche non condividere personalmente, ma di cui ne intravede l'interesse per tutti coloro che si accostano a Letteratitudine; il quale è un blog realmente onesto proprio nel momento in cui Massimo lascia a noi collaboratori (con rubriche e non) piena libertà di scrittura e d'iniziativa; giacché grazie alle sue provocazioni si possano comporre opinioni anche divergenti fra loro, ma utili per il lettore. Nè, ovviamente, è suo obiettivo o intenzione alimentare una qualunque "camorra" letteraria. Scusate se mi sono dilungato ma ho voluto epsrimere queste mie opinioni per contribuire al ristabilimento di quella discussione civile propria di questo blog, che mi ha fatto piacere aver subito rivisto dopo il momento di provocazione. Dicussione civile anche nel rispetto e stima di chi, quella provocazione, la ha voluta esprimere per delle ragioni che hanno trovato validi interlocutori, con i quali, mi auguro, vorrà ancora (più pacatamente) continuare a discutere. Un saluto a tutti, Gabriele Montemagno. Innanzitutto voglio fare i miei complimenti a Massimo perché, come sempre, riesce a nutrire il suo blog di spunti, questioni, notizie ecc. che non solamente si rivelano interessanti, ma dimostrano che la letteratura (e la cultura) è tutt’altro che fumo o semplice svago (come mi è capitato di sentire), bensì qualcosa che può toccare intimamente la nostra vita quotidiana e la nostra sensibilità, sotto molti punti di vista. In merito alla questione circa l’opprtunità o meno dello stile “realistico” adottato da Saviano ho condiviso molto le opinioni espresse da Elektra e da Miriam Ravasio le quali sono molto vicine al mio modo di considerare la letteratura e che ho trovato efficaci e complementari fra loro. Posso solamente aggiungere e suggerire che è, a mio avviso, un po’ rischioso limitare un testo “realistico” a semplice cronaca: se si guarda al cinema si fa un po’ fatica a ritenere opere, quali “Roma città aperta” o “La terra trema” o “Umberto D.”, come pellicole che “semplicemente” ci hanno voluto mostrare la realtà e non vedere in esse tutta una serie di risvolti poetici, letterari, psicologici, mitici, e persino favolistici. Opere, cioè, che esprimevano il complesso e articolato sentire dei loro autori.
Voglio aggiungere ancora, riguardo agli accenni polemici nei cofronti di Massimo Maugeri e del suo blog (al quale, modestamente, collaboro)che Massimo compie un’operazione civile ed intelligente riportando, come ho già detto, questioni attuali che lui stesso può anche non condividere personalmente, ma di cui ne intravede l’interesse per tutti coloro che si accostano a Letteratitudine; il quale è un blog realmente onesto proprio nel momento in cui Massimo lascia a noi collaboratori (con rubriche e non) piena libertà di scrittura e d’iniziativa; giacché grazie alle sue provocazioni si possano comporre opinioni anche divergenti fra loro, ma utili per il lettore. Nè, ovviamente, è suo obiettivo o intenzione alimentare una qualunque “camorra” letteraria. Scusate se mi sono dilungato ma ho voluto epsrimere queste mie opinioni per contribuire al ristabilimento di quella discussione civile propria di questo blog, che mi ha fatto piacere aver subito rivisto dopo il momento di provocazione. Dicussione civile anche nel rispetto e stima di chi, quella provocazione, la ha voluta esprimere per delle ragioni che hanno trovato validi interlocutori, con i quali, mi auguro, vorrà ancora (più pacatamente) continuare a discutere.
Un saluto a tutti, Gabriele Montemagno.

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Di: miriam ravasio http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-1/#comment-1502 miriam ravasio Sun, 24 Jun 2007 13:36:09 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1502 Napoli è anche Peter Ustinof, o sbaglio? Napoli è grande come i suoi miti! Il dibattito ritorna ai temi di fondo e Cilento ci richiama alla vivibilità quotidiana in una città "mitica" riproponendo anche il dibattito su giornalismo e letteratura. Condivido, in via teorica, le sue opinioni, ma come lettrice io applaudo a Saviano. Lessi Gomorra lo scorso anno e ne rimasi colpita, l’autore (il giovane autore) mi trasmetteva la dimensione sociale della camorra; la base popolare del consenso. Io figlia di operai riconoscevo nel traffico economico dei pensionati, tutta l’apprensione del vivere dei poveri, dei salariati, dei senza speranza. Capivo il loro consenso che Saviano, senza retorica, descriveva narrando i fatti, facendoli nostri; trasfigurandoli. Non considerai Gomorra il libro dell’anno, che per me fu La figlia oscura della Ferrante, però pensai a lui come a un giovane promettente, a cui essere grata per il coraggio e per l’ inventiva. Pensai anche alle strumentalizzazioni che ne sarebbero seguite, agli inviti televisivi, ai cappelli politici, ma soprattutto al vuoto culturale che i tanti Festival letterari ( e relativi colti dibattiti) non colmano. Mi preoccupai per le strumentalizzazioni di cui, inevitabilmente, sarebbe stato vittima; immaginai il suo successo, grande e necessario per coprire i problemi della città. Gomorra è giornalismo? La letteratura è altro? Cari amici scrittori siete anacronistici se pensate veramente di dibattere su questo tema. Lo dico con affetto, e sorridendo vi pongo una domanda: è arte l’installazione di un bambino appeso ad un cappio; è scultura la Merda d’artista di Piero Manzoni ( per non citare le uova sode); è pittura il piscio che Pollock versava sulle tele? È da considerarsi un capolavoro artistico una cartina geografica realizzata incollando i ritratti dei marines morti in Iraq; è arte l’esposizione di sangue e di ossi buchi Kossovari? è arte riempire una stanza di palloncini colorati , incollare un Cristo su un relitto d’aereo, registrare cupi suoni, urla di partorienti, rumori d’amplesso ? e potrei continuare all’infinito… Gomorra è un buon libro, La figlia oscura è letteratura; ma scrivere è un arte, un’azione creatrice che si propone di interagire…dipende con chi. Vi abbraccio, Miriam Napoli è anche Peter Ustinof, o sbaglio? Napoli è grande come i suoi miti!
Il dibattito ritorna ai temi di fondo e Cilento ci richiama alla vivibilità quotidiana in una città “mitica” riproponendo anche il dibattito su giornalismo e letteratura. Condivido, in via teorica, le sue opinioni, ma come lettrice io applaudo a Saviano. Lessi Gomorra lo scorso anno e ne rimasi colpita, l’autore (il giovane autore) mi trasmetteva la dimensione sociale della camorra; la base popolare del consenso. Io figlia di operai riconoscevo nel traffico economico dei pensionati, tutta l’apprensione del vivere dei poveri, dei salariati, dei senza speranza. Capivo il loro consenso che Saviano, senza retorica, descriveva narrando i fatti, facendoli nostri; trasfigurandoli. Non considerai Gomorra il libro dell’anno, che per me fu La figlia oscura della Ferrante, però pensai a lui come a un giovane promettente, a cui essere grata per il coraggio e per l’ inventiva. Pensai anche alle strumentalizzazioni che ne sarebbero seguite, agli inviti televisivi, ai cappelli politici, ma soprattutto al vuoto culturale che i tanti Festival letterari ( e relativi colti dibattiti) non colmano. Mi preoccupai per le strumentalizzazioni di cui, inevitabilmente, sarebbe stato vittima; immaginai il suo successo, grande e necessario per coprire i problemi della città. Gomorra è giornalismo? La letteratura è altro? Cari amici scrittori siete anacronistici se pensate veramente di dibattere su questo tema. Lo dico con affetto, e sorridendo vi pongo una domanda: è arte l’installazione di un bambino appeso ad un cappio; è scultura la Merda d’artista di Piero Manzoni ( per non citare le uova sode); è pittura il piscio che Pollock versava sulle tele? È da considerarsi un capolavoro artistico una cartina geografica realizzata incollando i ritratti dei marines morti in Iraq; è arte l’esposizione di sangue e di ossi buchi Kossovari? è arte riempire una stanza di palloncini colorati , incollare un Cristo su un relitto d’aereo, registrare cupi suoni, urla di partorienti, rumori d’amplesso ? e potrei continuare all’infinito…
Gomorra è un buon libro, La figlia oscura è letteratura; ma scrivere è un arte, un’azione creatrice che si propone di interagire…dipende con chi.
Vi abbraccio, Miriam

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Di: antonella cilento http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-1/#comment-1501 antonella cilento Sun, 24 Jun 2007 07:40:41 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1501 Cari amici, torno a intervenire perché Sergio Sozi, con il consueto acume, ha toccato da vicino la questione di cui si dibatte, o meglio un suo lato, quella dei generi e della loro indipendenza: letteratura e giornalismo. Condivido con lui che è pericoloso pensare di poterli facilmente sovrapporre e ho sempre detto, anche direttamente a Roberto (Saviano) in un lungo viaggio verso Castel del Monte che facemmo insieme, che questa era una strada che mi sembrava eticamente e letterariamente pericolosa, nel senso che la finzione mescolata al dato reale rischiava di rendere poco credibili, o discutibili, gli urgentissimi e sacrosanti dati reali. Ma Saviano ha avuto ragione perché alla fine, in questo paese, ha più effetto l’invenzione che la realtà e, come si può vedere dai risultati dei dibattiti, questa discussione entra subito nell’opinione media e comune in un ambito periglioso, come se discutere dei riflessi delle scelte letterarie diventasse una presa di posizione pro o contro la legalità. E questo la dice lunga sulla scarsa intelligenza dei fatti come delle invenzioni in cui globalmente viviamo. Alcuni di noi hanno un impegno annoso contro la camorra e tutti gli stili di vita che la alimentano. La città distratta di Antonio Pascale, libro teso su Caserta e l’hinterland, si può quasi dire che abbia aperto all’origine ogni discussione. Io ho scritto Non è il Paradiso, dove si parla di camorra light, e cioè di quei comportamenti numerosi, indecenti, antichi e che fanno pure simpatia (sic!) dei napoletani di ogni classe sociale che sono la base, volontaria e involontaria, di ogni criminalità, ( e che rende impossibile una vera vita culturale, una nascita dell’industria culturale in città) cosa che non mi stanco di ripetere in tutte le scuole dove vado, e ormai sono 15 anni che vado per scuole in tutta la Campania, a fare oltre che a dire. Perché cambiare un territorio (avere la speranza di) significa anche starci dentro e lavorarci, mettendo in opera quelle gocce nel mare che, si spera incrollabilmente, un giorno faranno peso. Come si può lontanamente credere che qualcuno di noi sia a favore di ciò che combatte? O che voglia spazzolare sotto un tappeto l’orrore e la vergogna? Non è il Paradiso non mi è mai stato perdonato a Napoli: troppe persone hanno creduto di riconoscersi nel ritratto. Ho ricevuto attacchi pubblici, damnatio memoriae, prime pagine insultanti. Sono nata a Napoli e ho scelto di restare, abitare e lavorare in questa città anche se tutti i giorni ci troviamo in situazioni assurde: dal parcheggiatore abusivo che ritiene normale chiederci i soldi e indurci a non pagare il parcheggio comunale perché ha un accordo con la Napoli Park che non ci metterà le multe, al furto d’auto, alla minaccia diretta, alle violenze, all’abbandono più completo. Un episodio, fra i molti personali: a mia madre che è dirigente scolastico telefona un collega dell’ex Provveditorato. Il parcheggiatore del Provveditorato l’ha fermato presentandosi. Si occupa di cavalli di ritorno per un celebre notaio ( e gli fa il nome): il notaio vuole che sua figlia, che è nella scuola di mia madre, venga spostata di classe. In cambio mia madre riavrà l’auto che le è stata rubata davanti al cancello della scuola. Ovviamente mia madre non ha ceduto alla pressione. Una delle tante, infinite esperienze che ci fanno pensare ogni giorno di andar via perchè la camorra è diventata uno stile di vita di ogni classe sociale in città. Ce ne sono altrettante però – e io le cerco con ostinazione – che ci impongono di restare. Fosse anche il fatto che nel fare laboratori recuperiamo un ragazzino alla scuola fra quelli che sono stati assorbiti dal lavoro minorile (Frattamaggiore). Fosse anche per il fatto che amo profondamente questa città e non mi sta bene di lasciarla morire perchè non smetto di guardarla: tanto è orrenda, tanto è bella. Così, vedete che è difficile distinguere ciò che siamo da ciò che scriviamo, pure va fatto. Perché, come molti hanno scritto su queste pagine, bisogna ricordarsi cos’è la letteratura, cos’è uno scrittore, cosa significa e che peso ha inventare. Disgraziatamente quando una città è così forte nell’immaginario collettivo, per queste e per altre ragioni che sono state dette, è facile confondere gli scrittori con la città (una storia assai vecchia) ed è molto facile che le istituzioni si coprano con l’operato altrui (Bassolino pochi giorni fa in una trasmissione locale per giustificarsi della sua inoperosità circa la spazzatura e i rifiuti citava Gomorra: ma lui non sapeva niente prima? E neanche adesso? Ma ci prende per stupidi?). E’ necessario raccogliere l’invito di Antonio Pascale per queste e molte altre ragioni: una cosa è la realtà che cerchiamo di cambiare, che subiamo, che richiede scelte forti e collettive, un’altra è la letteratura, che ha funzioni più ampie, più varie, non appiattibili e con ricadute lontane nel tempo e nello spazio. Antonella Cilento Cari amici,
torno a intervenire perché Sergio Sozi, con il consueto acume, ha toccato da vicino la questione di cui si dibatte, o meglio un suo lato, quella dei generi e della loro indipendenza: letteratura e giornalismo. Condivido con lui che è pericoloso pensare di poterli facilmente sovrapporre e ho sempre detto, anche direttamente a Roberto (Saviano) in un lungo viaggio verso Castel del Monte che facemmo insieme, che questa era una strada che mi sembrava eticamente e letterariamente pericolosa, nel senso che la finzione mescolata al dato reale rischiava di rendere poco credibili, o discutibili, gli urgentissimi e sacrosanti dati reali.
Ma Saviano ha avuto ragione perché alla fine, in questo paese, ha più effetto l’invenzione che la realtà e, come si può vedere dai risultati dei dibattiti, questa discussione entra subito nell’opinione media e comune in un ambito periglioso, come se discutere dei riflessi delle scelte letterarie diventasse una presa di posizione pro o contro la legalità. E questo la dice lunga sulla scarsa intelligenza dei fatti come delle invenzioni in cui globalmente viviamo.
Alcuni di noi hanno un impegno annoso contro la camorra e tutti gli stili di vita che la alimentano. La città distratta di Antonio Pascale, libro teso su Caserta e l’hinterland, si può quasi dire che abbia aperto all’origine ogni discussione. Io ho scritto Non è il Paradiso, dove si parla di camorra light, e cioè di quei comportamenti numerosi, indecenti, antichi e che fanno pure simpatia (sic!) dei napoletani di ogni classe sociale che sono la base, volontaria e involontaria, di ogni criminalità, ( e che rende impossibile una vera vita culturale, una nascita dell’industria culturale in città) cosa che non mi stanco di ripetere in tutte le scuole dove vado, e ormai sono 15 anni che vado per scuole in tutta la Campania, a fare oltre che a dire. Perché cambiare un territorio (avere la speranza di) significa anche starci dentro e lavorarci, mettendo in opera quelle gocce nel mare che, si spera incrollabilmente, un giorno faranno peso.
Come si può lontanamente credere che qualcuno di noi sia a favore di ciò che combatte? O che voglia spazzolare sotto un tappeto l’orrore e la vergogna?
Non è il Paradiso non mi è mai stato perdonato a Napoli: troppe persone hanno creduto di riconoscersi nel ritratto. Ho ricevuto attacchi pubblici, damnatio memoriae, prime pagine insultanti. Sono nata a Napoli e ho scelto di restare, abitare e lavorare in questa città anche se tutti i giorni ci troviamo in situazioni assurde: dal parcheggiatore abusivo che ritiene normale chiederci i soldi e indurci a non pagare il parcheggio comunale perché ha un accordo con la Napoli Park che non ci metterà le multe, al furto d’auto, alla minaccia diretta, alle violenze, all’abbandono più completo.
Un episodio, fra i molti personali: a mia madre che è dirigente scolastico telefona un collega dell’ex Provveditorato. Il parcheggiatore del Provveditorato l’ha fermato presentandosi. Si occupa di cavalli di ritorno per un celebre notaio ( e gli fa il nome): il notaio vuole che sua figlia, che è nella scuola di mia madre, venga spostata di classe. In cambio mia madre riavrà l’auto che le è stata rubata davanti al cancello della scuola. Ovviamente mia madre non ha ceduto alla pressione. Una delle tante, infinite esperienze che ci fanno pensare ogni giorno di andar via perchè la camorra è diventata uno stile di vita di ogni classe sociale in città. Ce ne sono altrettante però – e io le cerco con ostinazione – che ci impongono di restare. Fosse anche il fatto che nel fare laboratori recuperiamo un ragazzino alla scuola fra quelli che sono stati assorbiti dal lavoro minorile (Frattamaggiore). Fosse anche per il fatto che amo profondamente questa città e non mi sta bene di lasciarla morire perchè non smetto di guardarla: tanto è orrenda, tanto è bella. Così, vedete che è difficile distinguere ciò che siamo da ciò che scriviamo, pure va fatto. Perché, come molti hanno scritto su queste pagine, bisogna ricordarsi cos’è la letteratura, cos’è uno scrittore, cosa significa e che peso ha inventare.
Disgraziatamente quando una città è così forte nell’immaginario collettivo, per queste e per altre ragioni che sono state dette, è facile confondere gli scrittori con la città (una storia assai vecchia) ed è molto facile che le istituzioni si coprano con l’operato altrui (Bassolino pochi giorni fa in una trasmissione locale per giustificarsi della sua inoperosità circa la spazzatura e i rifiuti citava Gomorra: ma lui non sapeva niente prima? E neanche adesso? Ma ci prende per stupidi?).
E’ necessario raccogliere l’invito di Antonio Pascale per queste e molte altre ragioni: una cosa è la realtà che cerchiamo di cambiare, che subiamo, che richiede scelte forti e collettive, un’altra è la letteratura, che ha funzioni più ampie, più varie, non appiattibili e con ricadute lontane nel tempo e nello spazio.
Antonella Cilento

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Di: Luigi La Rosa http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-1/#comment-1500 Luigi La Rosa Sun, 24 Jun 2007 01:42:08 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1500 Gentile Sergio Sozi, grazie per aver citato la mia breve lettera. Sì, la divisione tra i generi resta fondamentale per capire il nocciolo della questione. C'è la grande letteratura ed esiste da sempre il buon giornalismo. Utili entrambi, ma finalizzati a due forme di comunicazione assolutamente differenti. Nessuno intende negare il valore della cronaca e di chi la fa, ma al tempo stesso chi scrive narrativa ha il sacrosanto dovere di difendere il diritto al sogno e alla fantasia, che oggi mi sembra così infelicemente violentato. Difendiamo il primato dell'invenzione artistica - che non vuol dire negare la realtà, ma comprenderla semmai a un livello assai più emotivo e più profondo. Grazie per le sue parole, le porgo un caro saluto Gentile Sergio Sozi, grazie per aver citato la mia breve lettera. Sì, la divisione tra i generi resta fondamentale per capire il nocciolo della questione. C’è la grande letteratura ed esiste da sempre il buon giornalismo. Utili entrambi, ma finalizzati a due forme di comunicazione assolutamente differenti. Nessuno intende negare il valore della cronaca e di chi la fa, ma al tempo stesso chi scrive narrativa ha il sacrosanto dovere di difendere il diritto al sogno e alla fantasia, che oggi mi sembra così infelicemente violentato. Difendiamo il primato dell’invenzione artistica – che non vuol dire negare la realtà, ma comprenderla semmai a un livello assai più emotivo e più profondo. Grazie per le sue parole, le porgo un caro saluto

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Di: Sergio Sozi http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-1/#comment-1499 Sergio Sozi Sun, 24 Jun 2007 01:00:31 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1499 Egr. Luigi La Rosa, La ringrazio di cuore: avevo modestamente detto poco sopra - mutatis mutandis ma non poi troppo - quanto Lei ha ora espresso, in una lettera aperta intitolata ''La Patria, la tribu' e l'ego''. Praticamente la pensiamo alla stessa maniera, con l'eccezione che... Le sarei grato se leggesse il mio scritto (basta vedere piu' su, in questa colonna di opinioni). Saluti Cari Sergio Sozi Egr. Luigi La Rosa,

La ringrazio di cuore: avevo modestamente detto poco sopra – mutatis mutandis ma non poi troppo – quanto Lei ha ora espresso, in una lettera aperta intitolata ”La Patria, la tribu’ e l’ego”.
Praticamente la pensiamo alla stessa maniera, con l’eccezione che… Le sarei grato se leggesse il mio scritto (basta vedere piu’ su, in questa colonna di opinioni).

Saluti Cari

Sergio Sozi

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Di: Anonimo http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/21/gomorra-il-mattino-e-nazione-indiana/comment-page-1/#comment-1498 Anonimo Sat, 23 Jun 2007 21:37:00 +0000 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/21/%e2%80%9cgomorra%e2%80%9d-%e2%80%9cil-mattino%e2%80%9d-e-%e2%80%9cnazione-indiana%e2%80%9d/#comment-1498 Caro Massimo e amici cari, intervengo con grosso ritardo, per motivi di lavoro e di spostamenti vari. Il mio sarà un contributo breve, essenziale - ma che davvero farei fatica a trattenere oltre. Conosco personalmente Antonella Cilento, Antonio Pascale e Andrea Di Consoli, che considero validissimi scrittori oltre che artisti, amici, persone che stimo profondamente. E mi spiace davvero del tono che si è venuto a creare intorno al semplice diritto di espressione che ciascuno di questi tre scrittori ha manifestato attraverso il proprio strumento espressivo: la scrittura. Che è anche il mio. E quello di quanti hanno preso parte a questa discussione. Io, a differenza di Cilento, Pascale e Di Consoli, sono siciliano, pur vivendo a Roma ormai da vari anni, e devo riconoscere che il clima esasperato creatosi ultimamente intorno a Napoli è stato a lungo dei miei luoghi, della mia isola, di una regione considerata oscura, pericolosa, da evitare. Siamo stati per decenni periferia dell'impero. O meglio: periferia della periferia dell'impero. Siamo stati ai margini della vita cultura, artistica, e abbiamo sentito sulla pelle il fastidio di chi considerava la Sicilia un luogo esistente, magari caratteristico, ma da tenere ai margini del reale e delle possibilità effettive. Una sorta di apparente e silenziosa Macondo, su cui discutere, ma da evitare accuratamente. Troppe volte dire siciliano ha purtroppo significato dire "mafioso". O comunque finire vittima di un razzismo sottile, strisciante, vergognoso. Questo, perché probabilmente porre l'accento sui drammi storici e politici della Sicilia ha finito col metterne in ombra le meraviglie, i carismi, gli incanti naturali e paesaggistici. Certamente non imputo a Sciascia - autore che amo e che considero tra i massimi che l'Italia abbia regalato al mondo - la responsabilità di aver consegnato una certa sicilianità all'immaginario collettivo. Anzi, la mafia è stata e rimane un dramma da tenere d'occhio, col quale tutti dobbiamo inevitabilmente fare i conti. Ma ribadisco - da siciliano, da scrittore e soprattutto da lettore - il diritto di rapportarmi a territori altri, luoghi visionari, del delirio creativo, sui quali si innesta la letteratura che amo maggiormente. La letteratura dell'immaginazione. Il paese che non c'è. L'isola che ci portiamo dentro, ovunque andiamo. Penso ad autori grandissimi, come Bufalino, come Silvana La Spina, come Maria Attanasio, Giovanna Giordano e altri - romanzieri che amo e che hanno avuto la forza di raccontare il sociale senza tuttavia tradire la magia della parola, lo smalto della visione, dell'affresco interiore. Credo che la stessa cosa sia accaduta a - e su - Napoli. Troppe volte si parla di Napoli in maniera esageratamente aggressiva, dimenticando che si tratta di una delle città più affascinanti del mondo, dalla quale i massimi viaggiatori della storia sono stati ispirati. Io ci torno periodicamente, ho amici, persone alle quali voglio bene e che rendono migliore la mia vita. E voglio poterci tornare senza paure, senza necessariamente pensare che sia tutto male, tutto sbagliato, tutto da rifare. Nessuno chiude gli occhi davanti ai drammi sociali, ma agli scrittori io chiedo l'attitudine al sogno, all'evasione, alla sacrosanta mistificazione evocativa - oggi così poco sviluppata. La letteratura deve essere Letteratura, con la "l" maiuscola. Il giornalismo è tutt'altra storia. La letteratura non è perlustrazione del proprio perimetro dissoluto, ma esplorazione di mondi altri, che raccontano quello reale attraverso la sua sublimazione, la sua ricostruzione parallela e individuale. Non neghiamo alla letteratura il diritto di raccontarci questo altrove. Non rapportiamoci ai mali del nostro piccolo giardino. Guardiamo oltre, per favore. Io credo che Antonella Cilento, Antonio Pascale e Andrea Di Consoli abbiano fatto proprio questo: ricordarci che la letteratura è altro, oltre, che è il luogo dove le diversità e le differenze possono finalmente trovare un'armonia diventando elementi universali, che parlano di noi parlando d'altro. Ribadendo che la letteratura ci educa solo facendoci guardare al di fuori della finestra di casa, in quello spazio magico dove io sono me stesso, ma sono anche nessuno e centomila altri da me. Nonostante i suoi evidenti problemi, io credo che Napoli abbia ancora il potere misterioso di sedurre, di innamorare, di richiamarci tutti alla sua bellezza. Ebbene, cerchiamo di trasmetterla alla letteratura e all'arte. Se i narratori fallissero tale obiettivo, non avremmo più bisogno di aprire un libro. Basterebbe lo squallore del vivere quotidiano. Grazie per lo spazio al caro Massimo, riferimento per tutti. Un saluto affettuoso, Luigi La Rosa Caro Massimo e amici cari, intervengo con grosso ritardo, per motivi di lavoro e di spostamenti vari. Il mio sarà un contributo breve, essenziale – ma che davvero farei fatica a trattenere oltre. Conosco personalmente Antonella Cilento, Antonio Pascale e Andrea Di Consoli, che considero validissimi scrittori oltre che artisti, amici, persone che stimo profondamente. E mi spiace davvero del tono che si è venuto a creare intorno al semplice diritto di espressione che ciascuno di questi tre scrittori ha manifestato attraverso il proprio strumento espressivo: la scrittura. Che è anche il mio. E quello di quanti hanno preso parte a questa discussione. Io, a differenza di Cilento, Pascale e Di Consoli, sono siciliano, pur vivendo a Roma ormai da vari anni, e devo riconoscere che il clima esasperato creatosi ultimamente intorno a Napoli è stato a lungo dei miei luoghi, della mia isola, di una regione considerata oscura, pericolosa, da evitare. Siamo stati per decenni periferia dell’impero. O meglio: periferia della periferia dell’impero. Siamo stati ai margini della vita cultura, artistica, e abbiamo sentito sulla pelle il fastidio di chi considerava la Sicilia un luogo esistente, magari caratteristico, ma da tenere ai margini del reale e delle possibilità effettive. Una sorta di apparente e silenziosa Macondo, su cui discutere, ma da evitare accuratamente. Troppe volte dire siciliano ha purtroppo significato dire “mafioso”. O comunque finire vittima di un razzismo sottile, strisciante, vergognoso. Questo, perché probabilmente porre l’accento sui drammi storici e politici della Sicilia ha finito col metterne in ombra le meraviglie, i carismi, gli incanti naturali e paesaggistici. Certamente non imputo a Sciascia – autore che amo e che considero tra i massimi che l’Italia abbia regalato al mondo – la responsabilità di aver consegnato una certa sicilianità all’immaginario collettivo. Anzi, la mafia è stata e rimane un dramma da tenere d’occhio, col quale tutti dobbiamo inevitabilmente fare i conti. Ma ribadisco – da siciliano, da scrittore e soprattutto da lettore – il diritto di rapportarmi a territori altri, luoghi visionari, del delirio creativo, sui quali si innesta la letteratura che amo maggiormente. La letteratura dell’immaginazione. Il paese che non c’è. L’isola che ci portiamo dentro, ovunque andiamo. Penso ad autori grandissimi, come Bufalino, come Silvana La Spina, come Maria Attanasio, Giovanna Giordano e altri – romanzieri che amo e che hanno avuto la forza di raccontare il sociale senza tuttavia tradire la magia della parola, lo smalto della visione, dell’affresco interiore. Credo che la stessa cosa sia accaduta a – e su – Napoli. Troppe volte si parla di Napoli in maniera esageratamente aggressiva, dimenticando che si tratta di una delle città più affascinanti del mondo, dalla quale i massimi viaggiatori della storia sono stati ispirati. Io ci torno periodicamente, ho amici, persone alle quali voglio bene e che rendono migliore la mia vita. E voglio poterci tornare senza paure, senza necessariamente pensare che sia tutto male, tutto sbagliato, tutto da rifare. Nessuno chiude gli occhi davanti ai drammi sociali, ma agli scrittori io chiedo l’attitudine al sogno, all’evasione, alla sacrosanta mistificazione evocativa – oggi così poco sviluppata. La letteratura deve essere Letteratura, con la “l” maiuscola. Il giornalismo è tutt’altra storia. La letteratura non è perlustrazione del proprio perimetro dissoluto, ma esplorazione di mondi altri, che raccontano quello reale attraverso la sua sublimazione, la sua ricostruzione parallela e individuale. Non neghiamo alla letteratura il diritto di raccontarci questo altrove. Non rapportiamoci ai mali del nostro piccolo giardino. Guardiamo oltre, per favore. Io credo che Antonella Cilento, Antonio Pascale e Andrea Di Consoli abbiano fatto proprio questo: ricordarci che la letteratura è altro, oltre, che è il luogo dove le diversità e le differenze possono finalmente trovare un’armonia diventando elementi universali, che parlano di noi parlando d’altro. Ribadendo che la letteratura ci educa solo facendoci guardare al di fuori della finestra di casa, in quello spazio magico dove io sono me stesso, ma sono anche nessuno e centomila altri da me. Nonostante i suoi evidenti problemi, io credo che Napoli abbia ancora il potere misterioso di sedurre, di innamorare, di richiamarci tutti alla sua bellezza. Ebbene, cerchiamo di trasmetterla alla letteratura e all’arte. Se i narratori fallissero tale obiettivo, non avremmo più bisogno di aprire un libro. Basterebbe lo squallore del vivere quotidiano. Grazie per lo spazio al caro Massimo, riferimento per tutti. Un saluto affettuoso, Luigi La Rosa

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