LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » A A – I FORUM APERTI DI LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 IL SALONE DEL LIBRO DI TORINO 2021: VITA SUPERNOVA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/10/14/il-salone-del-libro-di-torino/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/10/14/il-salone-del-libro-di-torino/#comments Thu, 14 Oct 2021 08:00:35 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/05/13/io-e-gli-altri-alla-fieralibro-di-torino-2009/

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logo_salone-libro-torino 14-18 ottobre 2021 | Lingotto Fiere | 33esima edizione

Dedico questo spazio al Salone del libro di Torino, il principale evento nazionale legato al mondo dei libri. Sarà uno spazio che verrà aggiornato annualmente con l’intento di contribuire a divulgare le notizie e i temi di volta in volta affrontati.
Ulteriore obiettivo, però, è anche quello di invitare gli amici di questo blog di raccontare il Salone dal loro punto di vista.
Siete invitati a dire la vostra, dunque (esprimendo opinioni, riportando notizie, ecc).

Grazie a tutti, per l’attenzione.

Massimo Maugeri

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Il programma è disponibile qui.

Tutte le informazioni sull’edizione di quest’anno del Salone Internazionale del Libro di Torino le trovate anche su LetteratitudineNews

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ABDULRAZAK GURNAH vince il PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2020 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/10/07/nobel-per-la-letteratura/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/10/07/nobel-per-la-letteratura/#comments Thu, 07 Oct 2021 11:45:13 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/10/06/toto-nobel-per-la-letteratura-2008/ Il forum permanente di Letteratitudine dedicato ai premi Nobel per la Letteratura.

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ABDULRAZAK GURNAH vince il PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2021

Il premio Nobel per la letteratura per il 2021 viene assegnato al romanziere Abdulrazak Gurnah (nato a Zanzibar nel 1948) “”per la sua intransigente e compassionevole penetrazione degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel divario tra culture e continenti“.

Gurnah è nato nel 1948 ed è cresciuto sull’isola di Zanzibar nell’Oceano Indiano, ma è arrivato in Inghilterra come rifugiato alla fine degli anni ‘60. Ha pubblicato dieci romanzi e alcuni racconti. Il tema del disfacimento del rifugiato percorre tutto il suo lavoro.

Approfondimenti biografici
Abdulrazak Gurnah (Zanzibar, 20 dicembre 1948) è uno scrittore e romanziere tanzaniano naturalizzato britannico, vincitore nel 2021 del Premio Nobel per la letteratura.
Scrive in inglese e vive nel Regno Unito. I suoi romanzi più noti sono Paradiso (Paradise, 1994), che è stato selezionato per il Booker Prize e per il Whitbread Prize, Il disertore (Desertion, 2005), e Sulla riva del mare (By the Sea, 2001), che è stato selezionato per il Booker Prize ed è stato finalista per il Los Angeles Times Book Awards.

Gurnah in May 2009Nato sull’isola di Zanzibar, al largo della costa dell’Africa orientale, Gurnah si trasferì in Gran Bretagna nel 1968. Dal 1980 al 1982, Gurnah ha insegnato alla Bayero University, a Kano in Nigeria. Si è poi trasferito all’Università del Kent, dove ha conseguito il dottorato di ricerca nel 1982. Attualmente è professore e direttore degli studi universitari presso il Dipartimento di inglese. Il suo principale interesse accademico è la scrittura postcoloniale, assieme ai discorsi associati al colonialismo, in particolare per quanto riguarda l’Africa, i Caraibi e l’India.
Ha curato due volumi di Saggi sulla scrittura africana, ha pubblicato articoli su numerosi scrittori postcoloniali contemporanei, tra cui VS Naipaul, Salman Rushdie e Zoë Wicomb. È l’editore di A Companion to Salman Rushdie (Cambridge University Press, 2007). Lavora come redattore alla rivista Wasafiri dal 1987.

Gurnah ha supervisionato progetti di ricerca sulla scrittura di Rushdie, Naipaul, GV Desani, Anthony Burgess, Joseph Conrad, George Lamming e Jamaica Kincaid.

Il 7 ottobre 2021 vince il premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: “per la sua intransigente e compassionevole penetrazione degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel divario tra culture e continenti”.

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LOUISE GLÜCK vince il PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2020

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Louise Glück, poetessa statunitense, ha vinto il premio Nobel per la letteratura 2020 “per la sua inconfondibile voce poetica che, con austera bellezza, rende l’esistenza individuale un’esperienza universale.”

Glück è spesso descritta come poeta autobiografica; il suo lavoro è noto per la sua intensità emotiva e per aver attinto spesso al mito, alla storia o alla natura per meditare sulle esperienze personali e sulla vita moderna.

Nel suo lavoro, Glück si è concentrata sugli aspetti illuminanti del trauma, del desiderio e della natura. Nell’esplorare questi ampi temi, la sua poesia è diventata nota per le sue franche espressioni di tristezza e isolamento. Gli studiosi si sono concentrati anche sulla sua costruzione di personaggi poetici e sul rapporto, nelle sue poesie, tra autobiografia e mito classico.

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Note biobibliografiche

La poetessa americana Louise Glück è nata nel 1943 a New York e vive a Cambridge, nel Massachusetts. Oltre a scrivere, è professoressa di inglese alla Yale University, New Haven, Connecticut. Ha debuttato nel 1968 con “Firstborn”, ed è stata presto acclamata come uno dei poeti più importanti della letteratura contemporanea americana. Ha ricevuto diversi premi prestigiosi, tra cui il Premio Pulitzer (1993) e il National Book Award (2014).
Louise Glück ha pubblicato dodici raccolte di poesie e alcuni volumi di saggi sulla poesia. Tutti sono caratterizzati da una ricerca della chiarezza. L’infanzia e la vita familiare, lo stretto rapporto con genitori e fratelli, è una tematica che è rimasta centrale per lei. Nelle sue poesie, il sé ascolta ciò che resta dei suoi sogni e delle sue delusioni, e nessuno può essere più duro di lei nell’affrontare le illusioni del sé. Sebbene Glück non neghi il significato del retroterra autobiografico, non deve tuttavia essere considerata una poetessa confessionale. Glück cerca l’universale, e in questo si ispira ai miti e ai motivi classici, presenti nella maggior parte delle sue opere. Le voci di Didone, Persefone ed Euridice – gli abbandonati, i puniti, i traditi – sono maschere di un sé in trasformazione, tanto personale quanto universalmente valido.

Con collezioni come “Il trionfo di Achille” (1985) e “Ararat” (1990), Glück ha trovato un pubblico crescente negli Stati Uniti e all’estero. In “Ararat” tre caratteristiche si uniscono per ripresentarsi successivamente nei suoi scritti: il tema della vita familiare; l’intelligenza austera; e un raffinato senso compositivo che contraddistingue il libro nel suo insieme. Glück ha anche sottolineato che in queste poesie si è resa conto di come impiegare la dizione ordinaria nella sua vena poetica. Il tono ingannevolmente naturale è sorprendente. Incontriamo immagini quasi brutalmente dirette di dolorose relazioni familiari. Sono immagini candide e intransigenti, senza traccia di ornamento poetico.
Rivela molto della sua poesia quando nei suoi saggi Glück cita il tono urgente di Eliot, l’arte dell’ascolto interiore in Keats o il silenzio volontario in George Oppen. Ma nella sua stessa severità e riluttanza ad accettare semplici principi di fede assomiglia più di qualsiasi altro poeta, Emily Dickinson.
Louise Glück non è solo coinvolta dalle erranze e dalle mutevoli condizioni di vita, ma è anche una poetessa del cambiamento radicale e della rinascita, dove il balzo in avanti è fatto da un profondo senso di perdita. In una delle sue collezioni più lodate, “The Wild Iris” (1992), per la quale ha ricevuto il Premio Pulitzer, descrive il miracoloso ritorno alla vita dopo l’inverno nella poesia “Snowdrops”:

Non mi aspettavo di sopravvivere
la terra mi sopprime. Non me lo aspettavo
svegliarsi di nuovo, sentire
nella terra umida il mio corpo
in grado di rispondere di nuovo, ricordando
dopo tanto tempo come riaprire
nella luce fredda
della prima primavera -

paura, sì, ma di nuovo tra voi
piangendo si rischia la gioia

nel vento crudo del nuovo mondo.

Va anche aggiunto che il momento decisivo del cambiamento è spesso segnato dall’umorismo e dall’arguzia pungente. La raccolta “Vita Nova” (1999) si conclude con le righe: “Pensavo che la mia vita fosse finita e il mio cuore si fosse spezzato. / Poi mi sono trasferita a Cambridge. ” Il titolo allude al classico di Dante, La Vita Nuova, che celebra la nuova vita sotto le spoglie della sua musa Beatrice. Celebrata in Glück è piuttosto la perdita di un amore che si è disintegrato.

“Averno” (2006) è una raccolta magistrale, un’interpretazione visionaria del mito della discesa di Persefone agli inferi nella prigionia di Ade, il dio della morte. Il titolo deriva dal cratere a ovest di Napoli che era considerato dagli antichi romani come l’ingresso agli inferi. Un altro risultato spettacolare è la sua ultima collezione, Faithful and Virtuous Night (2014), per la quale Glück ha ricevuto il National Book Award. Il lettore è nuovamente colpito dalla presenza della voce e Glück si avvicina al motivo della morte con notevole grazia e leggerezza. Scrive poesie oniriche e narrative che rievocano ricordi e viaggi, solo per esitare e fermarsi per nuove intuizioni. Il mondo viene distrutto, solo per diventare di nuovo magicamente presente.

Anders Olsson
Presidente del Comitato Nobel

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OLGA TOKARCZUK, PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2018 – PETER HANDKE, PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2019

Come è noto, nel 2018 il Premio Nobel per la Letteratura non è stato assegnato a causa dello scandalo per le molestie sessuali che ha coinvolto la stessa Accademia svedese che assegna il premio. Si è deciso, di conseguenza, di assegnare l’ambito riconoscimento letterario per il 2018 insieme a quello per l’anno 2019.
Oggi, giovedì 10 ottobre, a Stoccolma, sono stati dunque annunciati i nomi dei vincitori delle due edizioni: 2018 e 2019.

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Il Premio per l’edizione 2018 va a Olga Tokarczuk; quello per il 2019 a Peter Handke

Olga Tokarczuk (nata a Sulechów il 29 gennaio 1962) è una scrittrice polacca piuttosto nota. Con l’opera I vagabondi (in Italia edita da Bompiani nel 2018) ha vinto il Man Booker International Prize.
Prima di iniziare la sua carriera letteraria, dal 1980 ha studiato psicologia presso l’Università di Varsavia. Durante i suoi studi, ha fatto volontariato in una struttura per adolescenti con problemi comportamentali. Dopo la laurea nel 1985, si è trasferita prima a Breslavia (Wrocław) e successivamente a Wałbrzych, dove ha iniziato a praticare come terapeuta. Tokarczuk si considera una discepola di Carl Jung e cita la sua psicologia come un’ispirazione per il suo lavoro letterario. Dal 1998 Tokarczuk ha vissuto in un piccolo villaggio vicino a Nowa Ruda, da dove gestisce anche la sua casa editrice privata, Ruta.
Il Premio Nobel per la Letteratura 2018 le è stato conferito con la seguente motivazione:per la sua immaginazione narrativa che, con passione enciclopedica, rappresenta l’attraversamento dei confini come forma di vita“.

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Peter Handke (nato a Griffen il 6 dicembre 1942) è uno scrittore e poeta austriaco.
Handke nasce a Griffen, nella Carinzia, il 6 dicembre del 1942 da padre austriaco e da madre facente parte della minoranza slovena della regione, morta suicida nel 1971, evento che segnerà profondamente il giovane Handke (alla prematura morte della madre l’autore dedicherà poi il romanzo semi-autobiografico Infelicità senza desideri). Ha studiato giurisprudenza presso l’Università di Graz, ma senza laurearsi, perché si è dedicato presto alla letteratura.
Dal suo romanzo Prima del calcio di rigore (Die Angst des Tormanns beim Elfmeter, 1970) il regista Wim Wenders, con il quale aveva avuto altre collaborazioni, trae il film omonimo. I due sono tornati a collaborare per il film Il cielo sopra Berlino.
Con La donna mancina (Die linkshändige Frau, 1976) anche Handke ha tratto un film (1978) da un proprio libro.
Alla situazione dell’ex-Jugoslavia ha dedicato tre lunghi reportage, e per solidarietà contro i bombardamenti sui civili in Serbia ha rifiutato il premio Büchner.
Nel 2009 è stato insignito del Premio Franz Kafka
Il Premio Nobel per la letteratura 2019 gli è stato conferito con la seguente motivazione: “per la sua opera influente che, con ingegno linguistico, ha esplorato le periferie e le specificità dell’esperienza umana”.


Approfondimenti su: la Repubblica, Il Corriere della Sera, Il Sole 24Ore, Ansa, Il Fatto Quotidiano.


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KAZUO ISHIGURO: PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2017

La motivazione: “who, in novels of great emotional force, has uncovered the abyss beneath our illusory sense of connection with the world” (in romanzi di grande forza emotiva ha scoperto l’abisso sottostante il nostro illusorio senso di connessione con il mondo)

“Questa notizia è sorprendente e del tutto inaspettata”, ha dichiarato Ishiguro dopo aver appreso la notizia dell’attribuzione del Premio Nobel . “Giunge in un momento in cui il mondo è incerto sui suoi valori, sulla sua leadership e sulla sua sicurezza. Spero solo che il conferimento di questo grande onore, anche in piccolo, potrà in qualche modo incoraggiare a operare per il bene comune e la pace in questo nostro tempo .

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Kazuo Ishiguro nasce l’8 novembre 1954 a Nagasaki, in Giappone. La famiglia si trasferisce in Gran Bretagna quando ha cinque anni. Ishiguro ritorna in visita nel suo Paese natale soltanto da adulto. Alla fine degli anni Settanta Ishiguro si laurea in Inglese e Filosofia all’Università del Kent, e studia Creative Writing all’Università dell’East Anglia.

Ishiguro si dedica a tempo pieno alla scrittura fin dal suo primo libro, Un pallido orizzonte di colline (1982). Sia il primo che il suo secondo romanzo, Un artista del mondo fluttuante (1986) si svolgono a Nagasaki pochi anni dopo la Seconda Guerra Mondiale. I temi ai quali più spesso Ishiguro viene accostato sono qui già presenti: la memoria, il tempo, l’autoinganno. Particolarmente evidenti nel suo più noto romanzo, Quel che resta del giorno (1989), da cui è stato tratto il film omonimo per la regia di James Ivory con Anthony Hopkins nel ruolo del maggiordomo Stevens ossessionato dal dovere.

Seguono il romanzo Quando eravamo orfani (2000), in cui nella Shangai alle porte della grande guerra un detective indaga sulla sorte dei suoi genitori rapiti; e l’opera distopica Non lasciarmi (2005), con cui Ishiguro introduce nella sua scrittura una corrente sotterranea di fantascienza. Dal romanzo è stato tratto il film omonimo di Marck Romanek con Keira Knightley.

Segue la raccolta di racconti dal titolo Notturni. Cinque storie di musica e crepuscolo (2009), in cui la musica gioca un ruolo centrale nel raffigurare le relazioni fra i personaggi.

Nel suo ultimo romanzo, Il gigante sepolto (2015), una coppia di anziani compie un viaggio a piedi attraverso un arcaico paesaggio inglese, nella speranza di riunirsi al figlio ormai adulto, che da anni non vede. Il romanzo esplora, in maniera toccante, come il ricordo sia intimamente legato all’oblio, la storia al presente, e la fantasia alla realtà.

Oltre alle sue otto opere di narrativa, Ishiguro ha scritto anche sceneggiature cinematografiche e televisive.

Tutte le opere di Kazuo Ishiguro sono tradotte in Italia da Einaudi.

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BOB DYLAN: PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2016

A BOB DYLAN, IL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2016: “per aver creato una nuova espressione poetica nell’ambito della tradizione della grande canzone americana”.

Di seguito proponiamo la traduzione in lingua italiana della nota biobibliografica diramata dall’Accademia svedese

Risultati immagini per bob dylanBob Dylan è nato il 24 maggio 1941 a Duluth, Minnesota. È cresciuto in una famiglia ebraica della classe media nella città di Hibbing. Da adolescente ha suonato in varie band e nel tempo ha approfondito il suo interesse per la musica, coltivando una particolare passione per la musica folk americana e il blues. Uno dei suoi idoli è stato il cantante folk Woody Guthrie. È stato anche influenzato dai primi autori della Beat Generation, così come dai poeti modernisti.

Dylan si trasferisce a New York nel 1961 e lì ha iniziato ad esibirsi in club e caffè del Greenwich Village. Ha incontrato il produttore John Hammond con il quale ha firmato un contratto per il suo album di debutto, chiamato Bob Dylan (1962). Negli anni successivi ha registrato un numero di album che hanno avuto un enorme impatto sulla musica popolare: Bringing It All Back Home e Highway 61 Revisited nel 1965, Blonde On Blonde nel 1966 e Blood On The Tracks nel 1975. La sua produttività è proseguita nei decenni successivi, con ulteriori capolavori come Oh Mercy (1989), Time out of Mind (1997) e Modern Times (2006).

I tour di Dylan del 1965 e del 1966 hanno attirato parecchia attenzione. Per un periodo è stato accompagnato dal cineasta D. A. Pennebaker, che ha documentato la vita intorno al palco in quello che sarebbe poi divenuto il film di Dont Look Back (1967). Dylan ha registrato un gran numero di album che ruotano attorno ad argomenti sensibili come le condizioni sociali dell’uomo, la religione, la politica e l’amore. I suoi testi sono stati continuamente pubblicati in nuove edizioni, con il titolo Lyrics (Testi). Come artista, Dylan è sorprendentemente versatile; è stato attivo anche come pittore, attore e sceneggiatore.

Oltre alla sua vasta produzione di album, Dylan ha pubblicato un lavoro sperimentale come Tarantula (1971) e la collezione Writings and Drawings (1973). Ha scritto l’autobiografia Chronicles (2004), incentrata sui ricordi dei primi anni a New York e che fornisce scorci della sua vita al centro della cultura popolare. A partire dalla fine degli anni Ottanta, Bob Dylan è stato constantemente impegnato in tour nell’mabito di un’iniziativa chiamata “Never-Ending Tour”. Dylan ha lo status di icona. La sua influenza sulla musica contemporanea è profonda, e lui è l’oggetto di un flusso costante di letteratura secondaria.

(Traduzione dall’inglese di Massimo Maugeri)

La nota biobibliografica diramata dall’Accademia svedese in lingua inglese è disponibile qui.

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SVETLANA ALEKSIEVIC: PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2015

Literature Laureate

È SVETLANA ALEKSIEVIC, IL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2015: per la sua “opera polifonica, un monumento al coraggio e al dolore della contemporaneità”.

Ragazzi di zincoIncantati dalla mortePreghiera per CernobylSvetlana Aleksievič, nata a Ivano-Frankivs’k, il 31 maggio 1948 è una giornalista bielorussa conosciuta soprattutto per essere stata cronista, per i connazionali, dei principali eventi dell’Unione Sovietica della seconda metà del XX secolo: dalla guerra in Afghanistan, al disastro di Černobyl’, ai suicidi seguiti allo scioglimento dell’URSS.

Su ognuno di questi particolari argomenti ha scritto libri, tradotti anche in varie lingue (pubblicati dalle edizioni E/O, primo editore italiano a pubblicare la Aleksievic, e dalla Bompiani), che le sono valsi la fama internazionale e importanti riconoscimenti: La guerra non ha un volto di donna (sulle donne sovietiche al fronte nella seconda guerra mondiale), Ragazzi di zinco (sui reduci della guerra in Afghanistan – edizioni E/O), Incantati dalla morte (sui suicidi in seguito al crollo dell’URSS – edizioni E/O), Preghiera per Cernobyl (sulle vittime della tragedia nucleare-  edizioni E/O), Tempo di seconda mano (la vita in Russia dopo il crollo del comunismo – Bompiani).

Avversata dal regime del presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko, è stata costretta a lasciare il paese perché su di lei gravava l’accusa di essere un agente della CIA. Attualmente vive a Parigi.

L’8 ottobre 2015 è stata insignita del Premio Nobel per la letteratura, “per la sua scrittura polifonica, un monumento alla sofferenza e al coraggio nel nostro tempo”.

Tempo di seconda manoQuattordicesima donna a vincere il Premio Nobel, è la seconda persona di origini ucraine a vincerlo dopo Shmuel Yosef Agnon che lo vinse nel 1966. “Amo la Russia, ma non quella di Stalin e Putin“, ha dichiarato Svetlana Aleksievič; aggiungendo: “Dedico questo premio al mio piccolo paese, schiacciato nel tritacarne della storia“.

Sandra Ozzola Ferri (editrice delle edizioni E/O, insieme al marito Sandro Ferri) ha dichiarato all’Espresso: “Il primo libro che abbiamo pubblicato, nel 2001, è ‘Preghiera per Černobyl”: abbiamo capito subito che il ‘plus’ di Svetlana era la sua incredibile capacità di ascoltare e restituire le voci di chi aveva vissuto un’esperienza traumatica, fosse la guerra in Afghanistan o l’esplosione della centrale nucleare. Per ogni libro, lei fa centinaia di interviste, di conversazioni. Così la Storia diventa davvero esperienza umana. E tutte queste voci si sentono nel tessuto della sua scrittura“.

(Fonte: wikipedia e varie)

Su LetteratitudineNews:

- Videontervista a SVETLANA ALEKSIEVIC, Premio Nobel per la Letteratura 2015

- Un estratto di “Ragazzi di zinco” (edizioni E/O)

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PATRICK MODIANO: PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2014
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È PATRICK MODIANO, IL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2014: “Per l’arte della memoria attraverso la quale ha evocato destini umani più inafferabili e svelato il mondo dell’occupazione nazista in Francia”.

(Clicca sulle copertine per leggere le schede dei libri)

L'orizzonte Riduzione di penaPatrick Modiano è uno scrittore e sceneggiatore francese. Nasce a Boulogne-Billancourt, una città poco distante da Parigi, il 30 luglio del 1945, figlio di Albert Modiano, un ebreo francese di origini italiane, e di Louisa Colpijn, un’attrice belga di etnia fiamminga. Studia in Alta-Savoia poi a Liceo Henri-IV a Parigi dove ha come insegnante di geometria Raymond Queneau, amico della madre e che diventerà amico suo. Termina gli studi ad Annecy e decide di non proseguirli. Introdotto da Queneau nel mondo letterario, conosce l’editore Gallimard e, nel 1967 scrive il suo primo romanzo La Place de l’Etoile (pubblicato, appunto, da Gallimard). Il romanzo gli vale il Premio Roger Nimier.

Fiori di rovinaÈ documentarista per Carlo Ponti e paroliere per Françoise Hardy. Nei suoi romanzi, per lo più ambientati nella Parigi occupata dai nazisti e costruiti intorno alla figura dello straniero, dell’esule, dell’ebreo, si intrecciano una vena disperata di ascendenza esistenzialista e il gusto della rievocazione. L’autore rievoca molto spesso, nei personaggi dei suoi romanzi, l’ambigua figura del padre, un ebreo sicuramente vittima del Nazismo, che, arrestato nel 1943, si dimostrò pronto a tutto per sopravvivere (infatti sfuggì alla deportazione grazie a potenti amicizie collaborazioniste); una figura dalla duplice e ambigua identità, invischiato molto spesso in rapporti di complicità con i carnefici.

Nel 1978 il romanzo Rue des boutiques obscures (dove lui ha anche abitato), gli vale il Premio Goncourt. Negli anni successivi approfondirà i temi a lui cari e affinerà la propria poetica grazie a una serie di romanzi dedicati a figure femminili che sono vissute durante gli anni bui della guerra, e alle cui vite dimenticate egli cerca di offrire il risarcimento della memoria.
A questo filone appartengono Dora Bruder e Des inconnues, rispettivamente del 1996 e del 1999.

Dora Bruder

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È ALICE MUNRO IL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2013

È ALICE MUNRO IL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2013: “master of the contemporary short story (maestra del racconto contemporaneo).

Il suo nome “circolava” già da diverse edizioni a questa parte

Alice Munro (Wingham, 10 luglio 1931) è una scrittrice canadese. Vincitrice per tre volte del Governor General’s Award, il più importante premio letterario canadese si aggiudica – a coronamento della sua brillante carriera – il Premio Nobel per la Letteratura 2013. In Italia è pubblicata dalla casa editrice Einaudi.
I suoi racconti indagano le relazioni umane analizzate attraverso la lente della vita quotidiana. Sebbene la maggior parte delle sue storie sia ambientata nel Southwestern Ontario, la sua fama come scrittrice di racconti è internazionale, è considerata uno dei maggiori scrittori di racconti vivente.

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La biografia
Alice Munro è nata nella città di Wingham, Ontario in una famiglia di allevatori e agricoltori. Suo padre si chiamava Robert Eric Laidlaw e sua madre, una insegnante di scuola, Anne Clarke Laidlaw (nata Chamney). Cominciò a scrivere da adolescente e pubblicò la sua prima novella, The Dimensions of a Shadow, mentre era studentessa all’University of Western Ontario nel 1950. Durante questo periodo lavorò come cameriera, raccoglitrice di tabacco e impiegata di biblioteca. Nel 1951, abbandonò l’università presso la quale aveva frequentato la facoltà di Inglese dal 1949, per sposare James Munro e trasferirsi a Vancouver, British Columbia. Le sue figlie Sheila, Catherine, and Jenny nacquero rispettivamente nel 1953, 1955 e 1957; Catherine morì quindici ore dopo essere venuta alla luce. Nel 1963 i Munro si trasferirono a Victoria dove aprirono “Munro’s Books”. Nel 1966 nacque un’altra figlia Andrea.
La prima raccolta di racconti di Alice Munro, “La danza delle ombre felici” (Dance of the Happy Shades) (1968) ebbe un gran favore di critica e vinse in quello stesso anno il Governor General’s Award. A questo successo seguì “Lives of Girls and Women” (1971), una raccolta di storie interconnesse tra loro che fu pubblicato come romanzo.
Alice e James Munro divorziarono 1972. Lei ritornò nell’Ontario e diventò “Writer-in-Residence” all’università del Western Ontario. Nel 1976 si sposò con Gerald Fremlin, un geografo. La coppia si trasferì in una fattoria nei pressi di Clinton, Ontario. Successivamente si spostarono dalla fattoria in un casa nella città di Clinton, Ontario.
Nel 1978, con la raccolta di novelle “Chi ti credi di essere?” (Who Do You Think You Are?, negli Stati Uniti The Beggar Maid: Stories of Flo and Rose), Alice Munro vinse il Governor General’s Literary Award per la seconda volta. Dal 1979 al 1982 girò Australia, Cina e Scandinavia. Nel 1980 ottenne il posto di Writer-in-Residence sia alla University of British Columbia sia alla University of Queensland. Lungo gli anni ottanta e novanta Munro ha pubblicato una raccolta di brevi racconti una volta ogni quattro anni ottenendo numerosi premi nazionali e internazionali.
Nel 2002, sua figlia Sheila Munro ha pubblicato un libro di memorie d’infanzia, Lives of Mothers and Daughters: Growing Up With Alice Munro.
I racconti di Alice Munro sono pubblicati abbastanza frequentemente in riviste come The New Yorker, The Atlantic Monthly, Grand Street, Mademoiselle, e The Paris Review.
In una intervista per promuovere la sua raccolta del 2006 La vista da Castle Rock (The View from Castle Rock) Munro ha ipotizzato che non avrebbe più pubblicato ulteriori raccolte.
Il suo racconto “The Bear Came Over the Mountain” presente nel libro “Nemico, amico, amante…” è stato adattato per il grande schermo in un film diretto da Sarah Polley con il titolo di “Away from Her – Lontano da lei” e interpretato da Julie Christie e Gordon Pinsent. Il film è stato presentato nel 2006 al Toronto International Film Festival.
Nel 2005 è stata insignita del titolo di duchessa dell’Ontario dal sovrano del Regno di Redonda.

(Fonte: Wikipedia)

Clicca qui, per avere notizie sui libri di Alice Munro.

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MO YAN, PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2012

Lo scrittore cinese Mo Yan (pubblicato in Italia da Einaudi), riceve il Premio Nobel per la Letteratura 2012. Questa, in sintesi, la motivazione dell’Accademia svedese: “con realismo allucinatorio fonde fiabe popolari, storia e contemporaneità“.

Mo Yan, originario di Gaomi nella provincia dello Shandong, nasce il 17 febbraio 1955 da una famiglia numerosa di contadini poveri e, dopo aver terminato i cinque anni delle scuole elementari, smette di studiare. In principio porta al pascolo mucche e pecore e i suoi rapporti con questi animali sono più frequenti di quelli con le persone; prova cosí il gusto della solitudine, ma acquista una profonda conoscenza della natura. Crescendo, unendosi agli adulti partecipa alle attività lavorative della comunità. A diciotto anni va a lavorare in una manifattura di cotone, e facendo capriole tra le balle si riempie di fili. Nel febbraio del 1976 abbandona il povero e isolato paese natale per arruolarsi nell’esercito. Fa il soldato semplice, il caposquadra, l’istruttore, il segretario e lo scrittore. Nel 1997, congedatosi dall’esercito, inizia a lavorare per un giornale. Nel frattempo si è laureato presso la Facoltà di Letteratura dell’Istituto Artistico dell’Esercito di Liberazione Popolare (1984-1986) e ha ottenuto un Master in Studi letterari e artistici presso l’Università Normale di Pechino (1989-1991). Inizia a pubblicare nel 1981.
Fra le sue numerose opere narrative, Einaudi ha finora pubblicato Sorgo rosso, L’uomo che allevava i gatti (entrambi del 1997), Grande seno, fianchi larghi (2002), Il supplizio del legno di sandalo (2005) e Le sei reincarnazioni di Ximen Nao. Nel 2005 gli è stato assegnato il Premio Nonino. Delle sue undici novelle si ricordano Felicità, Fiocchi di cotone, Esplosioni, Il ravanello trasparente. Tra i racconti, Il cane e l’altalena e Il fiume inaridito, che Einaudi ha pubblicato nella raccolta di racconti L’uomo che allevava i gatti (2008).
Ha anche scritto opere teatrali e sceneggiature cinematografiche come Sorgo rosso, Il sole ha orecchie, Addio mia concubina.
Il film Sorgo rosso è stato premiato con l’Orso d’Oro al Festival del Cinema di Berlino. Il film Il sole ha orecchie è stato premiato con l’Orso d’Argento al Festival del Cinema di Berlino.
Nel 2005 gli è stato assegnato il Premio Nonino per la sua intera opera.
Nel 2012 gli è stato tributato il Premio Nobel per la Letteratura.

@ dal sito Einaudi


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TOMAS TRANSTRÖMER, PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2011

L’edizione 2011 del Premio Nobel per la letteratura è stato assegnato al poeta, psicologo, pianista e traduttore svedese Tomas Tranströmer. Nella motivazione dell’Accademia svedese leggiamo che “attraverso le sue immagini dense e limpide, ci ha offerto un nuovo accesso alla realtà”. E poi: “La gran parte della poesia di Tranströmer è caratterizzata da economia di linguaggio, concretezza e metafore struggenti. Nelle sue ultime raccolte si è spostato verso uno stile ancora più essenziale e un più elevato grado di concentrazione”.
Segue la nota biografica di Tranströmer tratta dalla libera enciclopedia Wikipedia Italia (a cui vanno i migliori in bocca al lupo per il suo futuro!).
Massimo Maugeri
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(da Wikipedia Italia)

Tomas Tranströmer (Stoccolma, 15 aprile 1931) è uno scrittore, poeta e traduttore svedese, molto conosciuto e apprezzato in Patria, vincitore del Nordic Council’s Literature Prize, dello Struga Poetry Evenings (del quale sono stati insigniti poeti del calibro del cileno Pablo Neruda e degli italiani Edoardo Sanguineti e Eugenio Montale) e del Neustadt International Prize for Literature nel 1990. Nel 2011 è stato insignito del Premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: “attraverso le sue immagini dense e nitide, ha dato nuovo accesso alla realtà”.
Nato a Stoccolma, frequenta la Scuola Latina di Södra e si laurea in Psicologia presso l’Università di Stoccolma, la più prestigiosa del Paese, nel 1956. Nel 1954 aveva pubblicato una raccolta poetica intitolata “17 dikter” (17 poesie), nella quale racchiudeva anche alcune opere realizzate all’età di soli tredici anni. Nel 1990 è stato colpito da un ictus, che tuttavia non gli ha impedito di continuare a scrivere: nel 1993, infatti, ha pubblicato “Minnena ser mig” (I ricordi mi stanno guardando), la sua prima autobiografia, e nel 2004 “Den stora gåtan”, la sua più celebre – a livello europeo – raccolta di versi, è pubblicata nel Regno Unito con il titolo “The Great Enigma” (Il Grande Enigma).
È stato più volte accusato da altri poeti, specialmente negli anni settanta, di essere troppo legato alla tradizione letteraria svedese e di tralasciare i grandi mutamenti contemporanei, non parlandone in poesie e romanzi. La sua opera, in effetti, è posta a metà tra il Modernismo, l’Espressionismo e il Surrealismo, tre correnti artistiche e letterarie esauritesi già da un paio di decenni. La sua poetica, comunque, è concentrata nella ricerca dell’uomo nella vita di tutti i giorni, nel bizzarro (espresso nei suoi versi mistici) e negli universali aspetti della mente e del suo immenso potere, al di sopra del bene e del male. Come scrittore, invece, non ha mai avuto un grandioso successo.

Tranströmer è molto amico del poeta statunitense Robert Bly, con il quale si è impegnato per anni in una fitta corrispondenza fuori dal tempo. Questa corrispondenza è stata raccolta nel libro Air Mail, opera che tratta le tematiche più varie non sempre “in modo tradizionale”, come gli è stato invece criticato.

Ha vinto diversi premi letterari, tra i quali ricordiamo in particolare il macedone Struga Poetry Evenings, forse il più prestigioso, che è stato vinto dagli autori più importanti della Letteratura di questi ultimi anni.

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MARIO VARGAS LLOSA, PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2010

Il Premio Nobel per la Letteratura 2010, va allo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa, nato a Arequipa, il 28 marzo 1936.
Questa la motivazione: “for his cartography of structures of power and his trenchant images of the individual’s resistance, revolt, and defeat” (“per la sua cartografia delle strutture del potere e la sua tagliente immagine della rivolta, della resistenza e della sconfitta dell’individuo”).
Famoso per i suoi numerosi libri, inizia con “La ciudad y los perros” (1963, La città e i cani), ambientato in un collegio militare della capitale Lima, “La casa verde” (1966) e “Conversación en la Catedral” (1969, Conversazione nella “catedral”), in tutte le opere si caratterizza per la sua capacità descrittiva.
Successivamente scrive “Pantaleón y las visitadoras” (1973, Pantaleón e le visitatrici) e “La tia Julia y el escribedor” (1977, La zia Julia e lo scribacchino).

Avvia anche una carriera politica, candidandosi senza successo alla presidenza del Perù, come principale antagonista di Alberto Fujimori.

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giovedì, 08 ottobre 2009

IL NOBEL PER LA LETTERATURA ALLA SCRITTRICE TEDESCA HERTA MÜLLER

Herta Müller, scrittrice tedesca di origine romena, è il Premio Nobel per la Letteratura 2009. La motivazione: “who, with the concentration of poetry and the frankness of prose, depicts the landscape of the dispossessed”

Herta Müller, nata nel 1953 in un villaggio tedesco del Banato romeno, emigrata in Germania nel 1987 e oggi inserita a pieno titolo nel canone contemporaneo della letteratura tedesca, ha saputo restituire in un’opera poetica e saggistica molteplice, ma pressoché costante nella qualità degli esiti, la memoria della quotidianità e della persecuzione della minoranza di lingua tedesca in Romania nei decenni della dittatura di Ceauşescu. In Italia, tuttavia, il suo destino editoriale è stato alquanto ingrato: dopo le storie brevi di Bassure (Editori Riuniti 1987) e il romanzo breve In viaggio su una gamba sola (Marsilio 1992), l’attenzione dell’editoria nostrana per l’autrice parve declinare, benché nel 1994 fosse uscito Herztier, alla lettera “bestia del cuore”, il romanzo che più riccamente di ogni altro «riesce a trovare e far scaturire la poesia persino dal degrado materiale e spirituale di un’intera nazione». Sono parole, queste ultime, tratte dal risvolto di copertina dell’edizione italiana, per la quale si è dovuto attendere poco meno di un quindicennio, ma che finalmente offre ai lettori italofoni un’opera bella e importante, che tra l’altro è valsa all’autrice il prestigioso premio Kleist. L’onore al merito va all’editore Keller di Rovereto, il quale, forse per favorirne una più ampia appetibilità, l’ha pubblicata, sulle orme dell’edizione inglese, con il titolo Il paese delle prugne verdi (trad. di Alessandra Henke, pp. 254, € 14,00). Di questa storia, una volta presa confidenza con una lingua intensamente poetica, capace di squarci visionari e sconfinante a tratti in un perturbante surrealismo, colpisce innanzitutto l’aderenza empatica alla realtà descritta, che è la quotidianità oppressa di quattro giovani intellettuali dissidenti, la narratrice e tre amici, dagli anni di studio universitario all’inserimento professionale in una società dannata, pregna di paura e solitudine, estraneità e diffidenza, dove l’uomo istruito è disprezzato e nei mattatoi si beve davvero il sangue caldo delle bestie macellande. Quella a cui il regime, «fautore di cimiteri» e responsabile spietato della miseria collettiva, condanna i quattro è poco meno di una morte in vita, dove le perquisizioni e gli interrogatori sono solo le prime tappe di una persecuzione che, se non porta alla follia, chiama il suicidio o, nel migliore dei casi, incoraggia l’espatrio. La resistenza, in un simile contesto, è opzione assai ardua, e a volte fallisce. A compiere la bellezza esaustiva di questo poema in prosa altamente politico, teso in ogni momento a denunciare la mutilazione sistematica operata dal regime sulle esistenze individuali, sono poi l’alternarsi della vicenda principale con i flashback sull’infanzia della narratrice, che svelano l’abbrutimento doloso della vita privata e familiare fin nei suoi risvolti più intimi, e la presenza di due personaggi femminili, Lola e Teresa, che nella loro vitalità eslege e nel loro tragico destino incarnano al massimo grado la triste fatalità di trovarsi a «camminare, mangiare, dormire e amare qualcuno nella paura».

Fonte: qui
(Questa recensione è apparsa su «Alias» del 2 agosto 2008 con il titolo Herta Müller e il macello di Ceausescu)

Di seguito, una video intervista rilasciata dalla Müller.

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NOBEL PER LA LETTERATURA 2008: vince Jean-Marie Gustave Le Clézio
(post del 9 ottobre 2008)

Jean-Marie Gustave Le Clézio era tra i super favoriti. Me l’aveva confermato un paio di giorni fa per telefono Daniela Marcheschi che, tra le altre cose, è una vera esperta in materia di Premio Nobel per la Letteratura e Accademia di Svezia (ne approfitto per segnalare il suo Alloro di Svezia e questa raccolta di poesie di Birgitta Trotzig, da lei curata, appena edita da Oscar Mondadori: Nel fiume di luce).
Vi invito, inoltre, ad ascoltare l’intervista che la stessa Marcheschi ha rilasciato oggi nel corso della trasmissione Fahrenheit (dovreste trovarla on line domattina: qui… insieme all’intervista a Daria Galateria).

Le Clézio è stato premiato con la seguente motivazione: “Autore di nuove sperimentazioni, avventure poetiche e di sensuale estasi; esploratore di un’umanità dentro e fuori la civiltà imperante”.

Segue il video relativo alla premiazione.

Trovate approfondimenti sui siti di Repubblica, Corriere della Sera, La Stampa e – per chi conosce le lingue straniere – Le Figaro, El Pays, The Times, The New York Times.

In Italia, al momento, sono disponibili sei libri di Le Clézio tradotti in italiano e pubblicati da: Instar libri, :duepunti, Net, Il Saggiatore e Rizzoli.
Il libro di più recente pubblicazione è “Il continente invisibile” (2008, Instar libri)

Qui trovate un inedito di Le Clézio pubblicato nel 2004 su Il Corriere della Sera: si intitola “Nascere in una guerra”.

Segue la nota biografica presente su Wikipedia Italia e il post relativo alle nostre discussioni pre-Premio.

« autore di nuove partenze, avventura poetica e estasi sensuale, esploratore di un’umanità al di là e al di sotto della civiltà regnante » – (Motivazione del Premio Nobel per la letteratura 2008)

Jean-Marie Gustave Le Clézio (Nizza, 13 aprile 1940) è uno scrittore francese.
La famiglia di Le Clézio è originaria della Bretagna emigrata verso le isole Maurizie nel Settecento (suo padre era chirurgo nell’esercito francese in Africa).
Egli inizia a scrivere dall’età di 7/8 anni e, malgrado i molti viaggi trascorsi, non ha mai smesso di farlo.
Effettua gli studi nel collegio universitario letterario di Nizza e dopo essersi laureato in lettere, diventa insegnante negli Stati Uniti d’America.
A soli 23 anni, pubblica con Gallimard la sua prima opera: Le procès verbal (il Verbale) e diventa noto ricevendo il Premio Renaudot e mancando per poco il Premio Goncourt.
Da allora pubblica più di 30 libri: fiabe, romanzi, saggi, novelle, due traduzioni dalla mitologia indiana e anche innumerevoli prefazioni e articoli e alcuni contributi ad opere collettive.
Nella sua opera si possono distinguere abbastanza nettamente due periodi.
Il primo periodo va dal 1963 al 1975, i romanzi e i saggi di Le Clézio esplorano i temi della follia, del linguaggio, della scrittura, con la volontà di esplorare certe possibilità formali e tipografiche, come fecero altri scrittori della sua epoca: Georges Perec e Michel Butor. Le Clézio si conquistò allora l’immagine di scrittore innovatore e ribelle che gli procurò l’ammirazione di Michel Foucault e Gilles Deleuze.
Alla fine degli anni ‘70 (secondo periodo) Le Clézio compie un cambiamento nel suo stile e pubblica libri più lenti. La sua scrittura è più serena e i temi dell’infazia, della minoranza, del viaggio, passano al primo piano. Questo modo letterario seduce il suo grande pubblico. Nel 1980, è il primo a ricevere il Premio Paul Morand conferito dall’Académie française, per la sua opera “Désert”.
Nel 1994 è eletto “più grande scrittore vivente in lingua francese”.
Nel 2008 vince il premio Nobel per la letteratura.

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TOTO NOBEL PER LA LETTERATURA 2008 – lunedì, 6 ottobre 2008

Chi vincerà, quest’anno, il Nobel per la Letteratura?
Lo sapremo giovedì prossimo.
Intanto, se vi fa piacere, e tanto per giocare un po’, potete provare a indovinare.
Avete dei nomi in particolare? Chi meriterebbe di vincere? E perché?
Quale sarà il continente che, attraverso l’autore, sarà premiato?

Su Il Mattino di oggi leggiamo quanto segue:
“La corsa al Nobel letterario sembra particolarmente aperta. Se un candidato statunitense viene considerato scarsamente favorito (tra tutti spicca Philip Roth), maggiori possibilità vengono date agli europei. I bookmaker britannici puntano su un italiano, il saggista Claudio Magris, del quale da poco è stato tradotto in svedese «Alla cieca». Magris, illustre germanista, sarebbe gradito ai giurati del Nobel per le sue riflessioni storiche e filosofiche sul Danubio. Fra gli europei, si fanno anche i nomi dell’olandese Cees Noteboom, dei francesi Yves Bonnefoy e Jean-Marie Le Clezio, dello svedese Tomas Transtromer. Candidati anche l’israeliano Amos Oz, il poeta australiano Les Murray, il nigeriano Chinua Achebe, il poeta siriano Adonis“.
Queste… le indicazioni.

Voi che ne pensate?
Dite la vostra, su!

Massimo Maugeri

P.s. L’anno scorso, come ricorderete, vinse Doris Lessing.

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AGGIORNAMENTO DEL 17 ottobre 2008

In esclusiva per Letteratitudine la Instar libri – che ringrazio – mi ha concesso la possibilità di pubblicare gli incipit dei libri di Le Clézio presenti sul loro catalogo.
Li potete leggere di seguito. Mentre è possibile leggere le prime pagine del romanzo “Il verbale” direttamente dal sito della :duepunti edizioni.
Massimo Maugeri

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da “Il Continente invisibile – (Instar libri, 2008, euro 11, p. 126)

Raga*

Dicono che l’Africa sia il continente dimenticato.
L’Oceania è il continente invisibile.
Invisibile, perché i primi viaggiatori che vi si sono avventurati non ne hanno colto la natura, e perché rimane ancora oggi un luogo senza riconoscimento internazionale, un passaggio, quasi un’assenza.
Quando Balboa scopre il Pacifico, dopo una faticosa traversata dell’Istmo di Panama, cade in ginocchio sulla spiaggia del Darién e prende possesso di quel mare in nome del re di Spagna, senza immaginarne l’estensione. Forse sta già pensando alla via per l’Occidente, che consentirà di raggiungere l’Oriente e il Giappone seguendo il sole.
Nel XVI secolo, convinti della rotondità del nostro pianeta (che molti marinai davano per certa ancor prima che venisse ufficialmente dimostrata), i geografi crearono due miti, entrambi falsi, ed entrambi ispiratori di grandi viaggi d’esplorazione. Il primo era il mito di Anian, il famoso passaggio a Nordovest che doveva permettere alle navi di raggiungere l’Oriente senza arrischiarsi nel difficoltoso viaggio attraverso l’Arabia e l’India.
Il secondo era il mito del continente australe, una massa di terraferma che, secondo i geografi, doveva assicurare l’equilibrio del globo facendo da contrappeso al continente asiatico.
Quirós, Mendaña, quindi Magellano, Bougainville e Cook partirono alla ricerca di questo continente del Sud. Quirós pensò di averlo trovato quando per la prima volta toccò le coste della Nuova Guinea. Per lui, la scoperta di quella terra era tanto un imperativo morale quanto una necessità politica. «Questa parte del mondo costituisce un quarto del globo terrestre, e data la sua estensione potrebbe ospitare il doppio dei regni e delle province di tutte le terre di cui Vostra Maestà è attualmente il Signore; e ciò senza l’inconveniente del vicinato dei Mori e dei Turchi
[…]. Vi si troveranno gli antipodi dell’Africa, dell’Europa e dell’Asia Maggiore. Vi informo che i territori che ho scoperto intorno ai quindici gradi di latitudine sono, come sarà detto più avanti, più ragguardevoli della Spagna e di tutti i regni ai quali si vorrà paragonarli, e nel loro insieme possono essere definiti un vero e proprio paradiso terrestre.»
Successivamente, Bougainville e Cook corressero il suo errore: il navigatore portoghese aveva scoperto soltanto isole, nient’altro che isole. Cook morì alle Hawaii, l’Astrolabe e la Boussole naufragarono in acque che Dumont d’Urville crederà di ritrovare quarant’anni più tardi. Fatto scalo a Espiritu Santo (la prima terra incontrata dopo aver lasciato le coste del Perù nel 1606), Torres tracciò delle carte così imprecise che nessun viaggiatore riuscirà a ritrovare l’isola prima di Bougainville, il quale darà all’arcipelago il dolce nome di Grandi Cicladi, e di Cook, che lo battezzerà con il triste appellativo di Nuove Ebridi, in ricordo del proprio Paese natale. Torres si spinse poi fino in Nuova Guinea (già segnalata da Saavedra nel 1528), passando al largo di una lingua di terra che non riuscì a identificare e che in seguito diventerà la Nuova Caledonia. Il mito del continente sopravviverà sino alla fine del XVIII secolo. Il grande geografo e cartografo Alexander Dalrymple ci crede ancora nel 1770, poco prima che gli esploratori inglesi e francesi vi approdino davvero.
Si potrebbe quasi parlare di scoperte casuali.

* Nome dell’Isola di Pentecoste in lingua apma (in lingua sa: Aorea) – [N.d.A.].

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da “L’africano – (Instar libri, 2007, euro 10, p. 102)

Ogni essere umano è il risultato di un padre e di una madre. Si può non riconoscerli, non amarli, dubitare di loro. Eppure sono lì, con il loro volto, i loro atteggiamenti, i loro modi e le loro manie, le illusioni, le speranze, la forma delle mani e delle dita dei piedi,
il colore degli occhi e dei capelli, il modo di parlare, i pensieri, probabilmente l’ora della morte; ci hanno trasmesso ogni cosa.
Per lungo tempo ho sognato che mia madre fosse nera. Dopo il ritorno dall’Africa mi ero inventato una storia, un passato, per fuggire la realtà in un Paese dove non conoscevo più nessuno, in una città dov’ero diventato uno straniero. In seguito, quando mio padre è andato in pensione ed è venuto a vivere con noi in Francia, ho scoperto che era lui l’africano.
È stato difficile ammetterlo. Ho dovuto tornare indietro, ricominciare da capo, cercare di capire.
In ricordo di ciò ho scritto questo breve libro.

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Elenco dei vincitori

Anno Ritratto Premiati Nazionalità Lingua Motivazione
1901 Sully Prudhomme Francia Francese “in riconoscimento della sua composizione poetica, che dà prova di un alto idealismo, perfezione artistica ed una rara combinazione di qualità tra cuore ed intelletto”
1902 Theodor Mommsen Germania Tedesco “al più grande maestro vivente della scrittura storica, con speciale riferimento al suo maggior lavoro, Storia di Roma
1903 Bjørnstjerne Bjørnson Svezia-Norvegia Norvegese “un tributo alla sua nobile, magnifica e versatile poeticità, con la quale si è sempre distinto per la chiarezza della sua ispirazione e la rara purezza del suo spirito”
1904 Frédéric Mistral Francia Occitano “in riconoscimento della chiara originalità e della vera ispirazione della sua produzione poetica, che splendidamente riflette gli scenari naturali e lo spirito nativo del suo popolo, e, in aggiunta, al suo importante lavoro come filologo provenzale”
José Echegaray y Eizaguirre Spagna Spagnolo “in riconoscimento delle numerose e brillanti composizioni che, in maniera individuale ed originale, hanno fatto rivivere la grande tradizione del dramma spagnolo”
1905 Henryk Sienkiewicz Polonia Polacco “per i suoi notevoli meriti come scrittore epico”
1906 Giosuè Carducci Italia Italiano “non solo in riconoscimento dei suoi profondi insegnamenti e ricerche critiche, ma su tutto un tributo all’energia creativa, alla purezza dello stile ed alla forza lirica che caratterizza il suo capolavoro di poetica”
1907 Rudyard Kipling Regno Unito (Nato in India britannica) Inglese “in considerazione del potere dell’osservazione, dell’originalità dell’immaginazione, la forza delle idee ed il notevole talento per la narrazione che caratterizzano le creazioni di questo autore famoso nel mondo”
1908 Rudolf Christoph Eucken Germania Tedesco “in riconoscimento della sua seria ricerca della verità, il suo potere di penetrare il pensiero, la sua enorme capacità di visione, il calore e la forza delle sue opere con le quali ha trasmesso una filosofia idealistica della vita”
1909 Selma Lagerlöf Svezia Svedese “per l’elevato idealismo, la vivida immaginazione e la percezione spirituale che caratterizzano le sue opere”
1910 Paul Johann Ludwig Heyse Germania Tedesco “un tributo alla consumata capacità artistica, permeata dall’idealismo, che egli ha dimostrato durante la sua lunga carriera produttiva come poeta lirico, drammaturgo, novellista e scrittore di storie brevi famose nel mondo”
1911 Maurice Polidore Marie Bernhard Maeterlinck Belgio Francese “per le sue molte attività letterarie, specialmente per la sua opera drammatica, che si distinguono per la ricchezza d’immaginazione e la poetica fantastica, che rivela, a volte sotto forma di favola, una profonda ispirazione, mentre in un modo misterioso si rivolge ai sentimenti propri del lettore e ne stimola l’immaginazione”
1912 Gerhart Hauptmann Germania Tedesco “in riconoscimento della sua fertile, varia ed eccelsa produzione nella sfera dell’arte drammatica”
1913 Rabindranath Tagore India britannica Bengalese “per la profonda sensibilità, per la freschezza e bellezza dei versi che, con consumata capacità, riesce a rendere nella sua poeticità, espressa attraverso il suo linguaggio inglese, parte della letteratura dell’ovest”
1914 non assegnato
1915 Romain Rolland Francia Francese “un tributo all’elevato idealismo della sua produzione letteraria, alla comprensione ed all’amore per la verità con le quali ha descritto i diversi tipi di esistenza umana”
1916 Carl Gustaf Verner von Heidenstam Svezia Svedese “in riconoscimento della sua importanza come esponente rappresentativo di un nuovo tempo nella nostra letteratura”
1917 Karl Adolph Gjellerup Danimarca Danese “per la sua varia e ricca poeticità, ispirata da elevati ideali”
Henrik Pontoppidan Danimarca Danese “per le sue reali descrizioni della vita moderna in Danimarca”
1918 non assegnato
1919 Carl Spitteler Svizzera Tedesco “in riconoscimento al suo poema epico, Olympischer Frühling
1920 Knut Hamsun Norvegia Norvegese “per il suo monumentale lavoro. Il risveglio della Terra
1921 Anatole France Francia Francese “in riconoscimento della sua brillante realizzazione letteraria, caratterizzata da nobiltà di stile, profonda comprensione umana, grazia, e vero temperamento gallico”
1922 Jacinto Benavente Spagna Spagnolo “per il felice metodo col quale ha proseguito la tradizione illustre del dramma spagnolo”
1923 William Butler Yeats Irlanda Inglese “per la sua poetica sempre ispirata, che con alta forma artistica ha dato espressione allo spirito di un’intera nazione”
1924 Władysław Stanisław Reymont Polonia Polacco “per il suo grande romanzo epico, I contadini
1925 George Bernard Shaw Regno Unito (Nato in Irlanda) Inglese “per il suo lavoro intriso di idealismo ed umanità, la cui satira stimolante è spesso infusa di una poetica di singolare bellezza”
1926 Grazia Deledda Italia Italiano “per la sua ispirazione idealistica, scritta con raffigurazioni di plastica chiarezza della vita della sua isola nativa, con profonda comprensione degli umani problemi”
1927 Henri Bergson Francia Francese “in riconoscimento delle sue ricche e animate idee e della brillante capacità con la quale ha saputo esprimerle”
1928 Sigrid Undset Norvegia (Nata in Danimarca) Norvegese “principalmente per la sua imponente descrizione della vita nordica durante il medioevo”
1929 Thomas Mann Germania Tedesco “principalmente per i suoi grandi romanzi I Buddenbrook e La montagna incantata
1930 Sinclair Lewis Stati Uniti Inglese “per la sua arte descrittiva vigorosa e grafica e per la sua abilità nel creare, con arguzia e spirito, nuove tipologie di personaggi”
1931 Erik Axel Karlfeldt Svezia Svedese “la poesia di Erik Axel Karlfeldt”
1932 John Galsworthy Regno Unito Inglese “per la sua originale arte narrativa, che trova la sua forma più alta ne La saga dei Forsyte
1933 Ivan Alekseevič Bunin Francia (Nato in Russia) Russo “per la precisione artistica con la quale ha trasposto le tradizioni classiche russe in prosa”
1934 Luigi Pirandello Italia Italiano “per il suo ardito e ingegnoso rinnovamento dell’arte drammatica e teatrale”
1935 non assegnato
1936 Eugene O’Neill Stati Uniti Inglese “per la forza, l’onestà e le emozioni profondamente sentite dei suoi lavori drammatici, che incarnano un concetto originale di tragedia”
1937 Roger Martin du Gard Francia Francese “per la forza artistica e la verità con la quale ha dipinto il conflitto umano così come gli aspetti fondamentali della vita contemporanea nel suo ciclo di romanzi Les Thibault
1938 Pearl S. Buck Stati Uniti Inglese “per le sue ricche e veramente epiche descrizioni della vita contadina in Cina e per i suoi capolavori biografici”
1939 Frans Eemil Sillanpää Finlandia Finlandese “per la sua profonda comprensione dei contadini del proprio paese e la squisita arte con la quale ha ritratto il loro modo di vivere e la relazione con la natura”
1940 non assegnato
1941 non assegnato
1942 non assegnato
1943 non assegnato
1944 Johannes Vilhelm Jensen Danimarca Danese “per la sua fervida immaginazione poetica con la quale ha combinato una intellettuale curiosità e uno stile fresco e creativo”
1945 Gabriela Mistral Cile Spagnolo “per la sua lirica, ispirata da forti emozioni, che ha fatto del suo nome un simbolo delle aspirazioni idealistiche dell’intero mondo latino americano”
1946 Hermann Hesse Svizzera (Nato in Germania) Tedesco “per la sua forte ispirazione letteraria coraggiosa e penetrante esempio classico di ideali filantropici ed alta qualità di stile”
1947 André Gide Francia Francese “per la sua opera artisticamente significativa, nella quale i problemi e le condizioni umane sono stati presentati con un coraggioso amore per la verità e con una appassionata penetrazione psicologica”
1948 Thomas Stearns Eliot Regno Unito (Nato negli Stati Uniti) Inglese “per il suo notevole e pionieristico contributo alla poesia contemporanea”
1949 William Faulkner Stati Uniti Inglese “per il suo contributo forte e artisticamente unico al romanzo americano contemporaneo”
1950 Bertrand Russell Regno Unito Inglese “in riconoscimento ai suoi vari e significativi scritti nei quali egli si erge a campione degli ideali umanitari e della libertà di pensiero”
1951 Pär Fabian Lagerkvist Svezia Svedese “per il suo vigore artistico e per l’indipendenza del suo pensiero con cui cercò, nelle sue opere, di trovare risposte alle eterne domande che l’umanità affronta”
1952 François Mauriac Francia Francese “per il profondo spirito e l’intensità artistica con la quale è penetrato, nei suoi romanzi, nel dramma della vita umana”
1953 Winston Churchill Regno Unito Inglese “per la sua padronanza delle descrizioni storiche e biografiche, nonché per la brillante oratoria in difesa ed esaltazione dei valori umani”
1954 Ernest Hemingway Stati Uniti Inglese “per la sua maestria nell’arte narrativa, recentemente dimostrata con Il vecchio e il mare e per l’influenza che ha esercitato sullo stile contemporaneo”
1955 Halldór Laxness Islanda Islandese “per la vivida potenza epica con la quale ha rinnovato la grande arte narrativa dell’Islanda
1956 Juan Ramón Jiménez Porto Rico (Nato in Spagna) Spagnolo “per la sua poesia piena di slancio, che costituisce un esempio di spirito elevato e di purezza artistica nella lingua spagnola”
1957 Albert Camus Francia (Nato nell’Algeria francese) Francese “per la sua importante produzione letteraria, che con perspicace zelo getta luce sui problemi della coscienza umana nel nostro tempo”
1958 Boris Pasternak (rifiutato su pressione del regime sovietico) Unione Sovietica Russo “per i suoi importanti risultati sia nel campo della poesia contemporanea che in quello della grande tradizione epica russa”
1959 Salvatore Quasimodo Italia Italiano “per la sua poetica lirica, che con ardente classicità esprime le tragiche esperienze della vita dei nostri tempi”
1960 Saint-John Perse Francia (Nato in Guadalupa) Francese “per il volo sublime ed il linguaggio evocativo della sua poesia che in modo visionario riflette gli stati del nostro tempo”
1961 Ivo Andrić Jugoslavia (Nato in Austria-Ungheria) Serbo “per la forza epica con la quale ha tracciato temi e descritto destini umani tratti dalla storia del proprio Paese”
1962 John Steinbeck Stati Uniti Inglese “per le sue scritture realistiche ed immaginative, unendo l’umore sensibile e la percezione sociale acuta”
1963 Giorgos Seferis Grecia (Nato nell’ Impero ottomano) Greco “per i suoi scritti eminentemente lirici, ispirati da un profondo legame con il mondo della cultura ellenica”
1964 Jean-Paul Sartre (rifiutato) Francia Francese “per la sua opera che, ricca di idee e pregna di spirito di libertà e ricerca della verità, ha esercitato un’influenza di vasta portata nel nostro tempo”
1965 Michail Aleksandrovič Šolochov Unione Sovietica Russo “per la potenza artistica e l’integrità con le quali, nella sua epica del Don, ha dato espressione a una fase storica nella vita del popolo russo”
1966 Shmuel Yosef Agnon Israele (Nato in Austria-Ungheria) Ebraico “per la sua arte narrativa profondamente caratteristica con i temi della vita della gente ebrea”
Nelly Sachs Svezia (Nata in Germania) Tedesco “per la sua scrittura lirica e drammatica eccezionale, che interpreta il destino d’Israele con resistenza commovente”
1967 Miguel Ángel Asturias Guatemala Spagnolo “per i suoi vigorosi risultati letterari, profondamente radicati nei tratti distintivi e nelle tradizioni degli Indiani dell’America Latina”
1968 Yasunari Kawabata Giappone Giapponese “per la sua abilità narrativa, che esprime con grande sensibilità l’essenza del pensiero giapponese”
1969 Samuel Beckett Irlanda Inglese / Francese “per la sua scrittura, che – nelle nuove forme per il romanzo ed il dramma – nell’abbandono dell’uomo moderno acquista la sua altezza”
1970 Aleksandr Isaevič Solženicyn Unione Sovietica Russo “per la forza etica con la quale ha proseguito l’indispensabile tradizione della letteratura russa”
1971 Pablo Neruda Cile Spagnolo “per una poesia che con l’azione di una forza elementare porta vivo il destino ed i sogni del continente”
1972 Heinrich Böll Germania Ovest Tedesco “per la sua scrittura che con la relativa combinazione di vasta prospettiva sul suo tempo e di un’abilità sensibile nella descrizione ha contribuito ad un rinnovamento della letteratura tedesca”
1973 Patrick White Australia (Nato in Regno Unito) Inglese “per un’arte narrativa epica e psicologica che ha introdotto un nuovo continente nella letteratura”
1974 Eyvind Johnson Svezia Svedese “per un’arte narrativa, lungimirante in terre ed epoche, al servizio della libertà”
Harry Martinson “per una scrittura che cattura le gocce di rugiada e riflette il cosmo”
1975 Eugenio Montale Italia Italiano “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”
1976 Saul Bellow Stati Uniti (Nato in Canada) Inglese “per la sensibilità umana e la sottile analisi della cultura contemporanea che si trovano combinati nella sua opera”
1977 Vicente Aleixandre Spagna Spagnolo “per una scrittura poetica creativa che illumina la condizione dell’uomo nell’universo e nella società attuale, allo stesso tempo rappresentando il grande rinnovamento delle tradizioni della poesia spagnola tra le guerre”
1978 Isaac Bashevis Singer Stati Uniti (Nato in Polonia) Yiddish “per la sua veemente arte narrativa che, radicata nella tradizione culturale ebraico-polacca, fa rivivere la condizione umana universale”
1979 Odysseas Elytīs Grecia Greco “per la sua poesia, che, contro lo sfondo di tradizione greca, dipinge con forza e chiarezza intellettuale la lotta dell’uomo moderno per la libertà e la creatività”
1980 Czesław Miłosz Polonia Polacco “che con voce chiara e lungimirante espone la condizione degli uomini in un mondo di gravi conflitti”
1981 Elias Canetti Regno Unito (Nato in Bulgaria) Tedesco “per i suoi lavori caratterizzati da un’ampia prospettiva, ricchezza di idee e potere artistico”
1982 Gabriel García Márquez Colombia Spagnolo “per i suoi romanzi e racconti, nei quali il fantastico e il realistico sono combinati in un mondo riccamente composto che riflette la vita e i conflitti di un continente”
1983 William Golding Regno Unito Inglese “per i suoi romanzi che, con l’acume di un’arte narrativa realistica e la diversità e universalità del mito, illuminano la condizione umana nel mondo odierno”
1984 Jaroslav Seifert Cecoslovacchia (Nato in Austria-Ungheria) Ceco “per la sua poesia che, dotata di freschezza, sensualità ed inventiva, fornisce un’immagine di liberazione dello spirito e della versatilità indomita dell’uomo”
1985 Claude Simon Francia (Nato in Madagascar) Francese “che nei suoi romanzi fonde la creatività del poeta e del pittore nella profonda conoscenza del tempo e la descrizione della condizione umana”
1986 Wole Soyinka Nigeria Inglese “che in un’ampia prospettiva culturale e con una poetica fuori dagli schemi mostra il dramma dell’esistenza”
1987 Iosif Aleksandrovič Brodskij Stati Uniti (Nato in Unione Sovietica) Russo / Inglese “per una condizione di scrittore esauriente, denso di chiarezza di pensiero e di intensità poetica”
1988 Nagib Mahfuz Egitto Arabo “che, attraverso gli impianti ricchi di sfumatura – ora con limpide vedute realistiche, ora evocativamente ambiguo – ha formato un’arte narrativa araba che si applica a tutta l’umanità”
1989 Camilo José Cela Spagna Spagnolo “per una prosa ricca ed intensa, che con la pietà trattenuta forma una visione mutevole della vulnerabilità dell’uomo”
1990 Octavio Paz Messico Spagnolo “per una scrittura appassionata, dai larghi orizzonti, caratterizzata da intelligenza sensuale e da integrità umanistica”
1991 Nadine Gordimer Sudafrica Inglese “che con la sua scrittura epica magnifica – nelle parole di Alfred Nobel – è stata di notevole beneficio all’umanità”
1992 Derek Walcott Saint Lucia Inglese “per un’apertura poetica di grande luminosità, sostenuto da una visione storica, il risultato di un impegno multiculturale”
1993 Toni Morrison Stati Uniti Inglese “che in racconti caratterizzati da forza visionaria e rilevanza poetica dà vita ad un aspetto essenziale della realtà statunitense”
1994 Kenzaburō Ōe Giappone Giapponese “che con forza poetica crea un mondo immaginario in cui vita e mito si condensano per formare uno sconcertante ritratto dell’attuale condizione umana”
1995 Séamus Heaney Irlanda Inglese “per gli impianti di bellezza lirica e di profondità etica, che esaltano i miracoli giornalieri e la vita passata”
1996 Wisława Szymborska Polonia Polacco “per la poesia che con ironica precisione permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti di realtà umana”
1997 Dario Fo Italia Italiano “seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”
1998 José Saramago Portogallo Portoghese “che con parabole sostenute da immaginazione, compassione e ironia ci permette ancora una volta di afferrare una realtà elusiva”
1999 Günter Grass Germania Tedesco “le cui giocose fiabe ritraggono la faccia dimenticata della storia”
2000 Gao Xingjian Cina (dal 1940 al 1998) Francia (dal 1998) Cinese “per un’opera dal valore universale, intuito pungente e ingegnosità linguistica che hanno aperto nuove strade al romanzo e al teatro cinese”
2001 Vidiadhar Surajprasad Naipaul Regno Unito (Nato in Trinidad e Tobago) Inglese “per aver unito una descrizione percettiva ad un esame accurato incorruttibile costringendoci a vedere la presenza di storie soppresse”
2002 Imre Kertész Ungheria Ungherese “per una scrittura che sostiene l’esperienza fragile dell’individuo contro l’arbitrarietà barbarica della storia”
2003 John Maxwell Coetzee Sudafrica Inglese “che in innumerevoli maschere ritrae il sorprendente coinvolgimento dello straniero”
2004 Elfriede Jelinek Austria Tedesco “per il flusso melodico di voci e controvoci in romanzi e testi teatrali, che con estremo gusto linguistico rivelano l’assurdità dei cliché sociali e il loro potere”
2005 Harold Pinter Regno Unito Inglese “perché nelle sue commedie [egli] scopre il baratro che sta sotto le chiacchiere di tutti i giorni e spinge ad entrare nelle stanze chiuse dell’oppressione”
2006 Orhan Pamuk Turchia Turco “perché nel ricercare l’anima malinconica della sua città natale, ha scoperto nuovi simboli per rappresentare scontri e legami fra diverse culture”
2007 Doris Lessing Regno Unito (Nata in Persia) Inglese “cantrice dell’esperienza femminile, che con scetticismo, fuoco e potere visionario ha messo sotto esame una civiltà divisa”
2008 Jean-Marie Gustave Le Clézio Francia / Mauritius Francese “autore di nuove partenze, avventura poetica ed estasi sensuale, esploratore di un’umanità al di là e al di sotto della civiltà regnante”
2009 Herta Müller Germania (Nata in Romania) Tedesco “con la concentrazione della poesia e la franchezza della prosa ha rappresentato il mondo dei diseredati”
2010 Mario Vargas Llosa Perù / Spagna Spagnolo “per la sua cartografia delle strutture del potere e per la sua immagine della resistenza, della rivolta e della sconfitta dell’individuo”
2011 Tomas Tranströmer Svezia Svedese “attraverso le sue immagini dense e nitide, ha dato nuovo accesso alla realtà”
2012 Mo Yan Cina Cinese “che con un realismo allucinatorio fonde racconti popolari, storia e contemporaneità”
2013 Alice Munro Canada Inglese “maestra del racconto breve contemporaneo”
2014 Patrick Modiano Francia Francese “per l’arte della memoria con la quale ha evocato i destini umani più inafferrabili e scoperto il mondo della vita dell’occupazione”
2015 Svjatlana Aleksievič Bielorussia (Nata in Unione Sovietica) Russo “per la sua opera polifonica, un monumento alla sofferenza e al coraggio nel nostro tempo”
2016 Bob Dylan Stati Uniti Inglese “per aver creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana”
2017 Kazuo Ishiguro Regno Unito (Nato in Giappone) Inglese “che, in romanzi di grande forza emotiva, ha scoperto l’abisso sotto il nostro illusorio senso di connessione con il mondo”
2018 Olga Tokarczuk
Assegnato nel 2019
Polonia Polacco “per un’immaginazione narrativa che con passione enciclopedica rappresenta l’attraversamento dei confini come forma di vita.”
2019 Peter Handke Austria Tedesco “per un lavoro influente che con ingegnosità linguistica ha esplorato la periferia e la specificità dell’esperienza umana”
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UNDICI SETTEMBRE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/09/11/11-settembre/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/09/11/11-settembre/#comments Sat, 11 Sep 2021 08:00:43 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/09/11/sei-anni-dall11-settembre/ [torrigemelle.jpg]

VENT’ANNI DALL’11 SETTEMBRE

* * *

Ritorna l’undici settembre.

Riproponiamo il post (con le stesse domande… per noi ancora attuali). Chi vuole può lasciare le proprie considerazioni (magari ri-leggendo i vecchi commenti). Questo post, del resto, si traduce anche – e soprattutto – in un invito a ricordare…

È strano. A volte l’11 settembre 2001 ci sembra ieri. Altre volte ci sembra di pensare a un avvenimento lontanissimo, accaduto una vita fa.

È così anche per voi?
E quelle immagini…

Quelle immagini terribili degli aerei che trafiggono i grattacieli, pensate che abbiano mantenuta intatta la loro atrocità?

O le trovate un po’ sbiadite (magari perché, alla fine, ci si abitua a tutto)?

E cosa ritenete che, oggi, in riferimento a questa tragedia, sia particolarmente importante ricordare?

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25 APRILE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/04/25/25-aprile/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/04/25/25-aprile/#comments Sun, 25 Apr 2021 08:00:36 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/04/25/buon-25-aprile-2008/ 25aprile.jpgIl post annuale di Letteratitudine dedicato al 25 aprile

[La bellissima versione di "Bella Ciao" eseguita da Goran Bregovic]

Qui, l’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla Cerimonia in occasione del 76° anniversario della Liberazione

* * *

Cari amici,
ritorna il 25 aprile. Nel commemorarlo, riproponiamo questo post annuale. Un modo per darvi la possibilità di riguardarvi e rileggervi nel tempo.
Siete sempre gli stessi?
Qualcosa, forse, è rimasta uguale; qualcosa, forse, è cambiata.
Il 25 aprile, in fondo, è rimasto sempre lo stesso.
Oppure no…
Che ne dite?

Cosa rappresenta il 25 aprile, oggi, nell’Italia di oggi?

Buon 25 aprile a tutti!


* * *

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GIORNATA MONDIALE DEL LIBRO (e del diritto d’autore) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/04/22/la-giornata-mondiale-del-libro/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/04/22/la-giornata-mondiale-del-libro/#comments Thu, 22 Apr 2021 15:05:40 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/04/22/la-giornata-mondiale-del-libro-articolo-di-adriano-petta/ La Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore coincide con il primo giorno de Il Maggio dei libri, la grande campagna nazionale che inizia il 23 aprile e si conclude il 31 maggio.

Letteratitudine, ogni anno, sostiene con molto piacere la Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore e Il Maggio dei libri.

Il libro è in grado di creare contatti tra uomini di epoche e orizzonti differenti e si pone come strumento della libera espressione, contribuendo quindi a costruire e consolidare la comunità umana mondiale e a favorire la causa dei diritti umani. La Giornata Internazionale del Libro e del Diritto d’Autore, celebrata il 23 aprile, vuole essere un invito a valorizzare quell’eterna fertilità delle idee di cui i libri sono rappresentanti e strumento di diffusione.

* * *

Con questo post intendo ricordare l’evento (la Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore), invitandovi a segnalare (se volete) le varie iniziative in corso… e a dire la vostra in merito.

Negli anni precedenti avevamo formulato le due seguenti domande (con l’obiettivo di favorire un eventuale dibattito). Lasciamo gli interventi visibili, come “memoria storica” di questa pagina…

-Ritenete che l’indizione di questa giornata abbia una sua effettiva utilità, oppure è un evento come altri (uno dei tanti)?

-A vostro avviso, l’Italia di oggi è più o meno pronta di altri Paesi ad accogliere iniziative come la giornata mondiale del libro?

Di seguito, riproponiamo un articolo di Adriano Petta.

* * *

Ritorna la “Giornata Mondiale del Libro e dei Diritti d’Autore” Rosa_llibre

Ritorna la “Giornata Mondiale del Libro e dei Diritti d’Autore”. Ogni anno, ogni 23 di aprile, in tutto il mondo è la festa del libro. Questa giornata è stata istituita dall’UNESCO nel 1995, dietro proposta di Jordi Pujol, allora presidente della Catalogna, la regione pilota della Spagna. Tutti gli stati membri accettarono e votarono a favore di questa iniziativa, e da dodici anni moltissimi paesi del mondo intero fanno a gara per promuovere questa giornata. La proposta venne da un catalano perché questa festa nacque proprio a Barcelona nel 1926, dallo scrittore Vicent Clavel Andrés che la propose alla camera Ufficiale del Libro di Barcelona. Il 6 febbraio del 1926 il governo spagnolo presieduto da Miguel Primo de Rivera l’accettò e il re Alfonso XIII firmò il decreto Reale che istituì la “Fiesta del Libro Español”. Nel 1930 la data venne spostata (dall’iniziale 7 ottobre) al 23 aprile, ricorrenza della morte di Cervantes nonché della nascita di Shakespeare. A Barcelona e in tutta la Catalogna divenne la “Festa del Libro e della rosa”. Il 23 aprile è la festa di San Giorgio (S. Jordi), patrono della Catalogna. In tutte le città e i paesi le librerie espongono fuori dai loro locali – su dei banchetti – libri e cesti di rose: chi compera un libro riceve in omaggio una rosa. In questa giornata ci si regala un libro e una rosa, fra amici, parenti, innamorati. Passeggiare per le Ramblas di Barcelona in mezzo a centinaia di banchetti pieni di libri e di rose, è un evento fra i più suggestivi dell’anno. È una festa anche per gli scrittori i quali, nelle loro rispettive città, vengono invitati a fare il giro delle librerie per firmare le copie delle loro opere messe in vendita, e s’improvvisano dei dibattiti. Quest’anno, il 23 aprile avranno inizio gli eventi letterari nella capitale della Colombia, a Bogotà, eletta capitale mondiale del libro. Il mondo sta facendo di tutto per promuovere questa festa… tranne la nostra italietta. Pochi anni fa durante la Fiera del Libro di Francoforte (la più importante del pianeta) ogni nazione creava qualcosa di spettacolare per poter promuovere i suoi libri, per richiamare l’attenzione: concerti, film, dibattiti. La nostra italietta (rappresentata dalla regione Umbria) usò il lezzo di salsicce alla brace, un fumo acre che prese a spirare in mezzo ai libri di tutto il mondo, affinché tutto il mondo potesse riconoscere la nazione che meno ha a cuore i libri, la cultura: l’Italia. In Europa siamo il paese che legge di meno. Io sono nato nella provincia di Isernia, la provincia in cui si legge di meno in Italia, e quindi in Europa. Ma la stessa provincia ha un primato nel mondo: è la provincia con il maggior numero di automobili per abitante: 97 auto per ogni 100 abitanti. Solo Dallas negli Stati Uniti eguaglia il suo primato.

Adriano Petta

Caro Massimo, ti sarò grato se potrai offrire un po’ di spazio a questo 23 aprile, alla Giornata Mondiale del Libro: quando questo oggetto, che contiene il respiro della ragione, inonderà le nostre case… sarà la festa più bella del mondo.

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8 MARZO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/03/08/8-marzo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/03/08/8-marzo/#comments Mon, 08 Mar 2021 06:00:59 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/03/08/8-marzo-2008/ 8-marzoTANTI AUGURI A TUTTE LE DONNE CHE GRADISCONO RICEVERLI… (il post “annuale” di Letteratitudine dedicato all’8 marzo)

Mimosa sì, o mimosa no?

Ritorna l’8 marzo e io, come sempre, non so bene come comportarmi. Conosco donne che gradiscono moltissimo ricevere gli auguri (e se non lo fai ci restano male), altre che sostengono che il tributare una giornata alle donne è prerogativa tipicamente maschilista (e perciò fuori luogo).

Auguri, dunque, a tutte le donne che gradiscono riceverli. Buon 8 marzo!

Massimo Maugeri

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8 marzo 2021

Segnaliamo il messaggio della Ministra della Giustizia Marta Cartabia: “Prevenire i femminicidi estirpando la cultura della violenza contro le donne”

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Segnaliamo questo servizio del magazine Io Donna del Corriere della Sera: 8 marzo 2019, Giornata Internazionale delle donne: che cosa deve ancora cambiare

L’Onu chiede alle donne di essere artefici del cambiamento e mette la questione femminile tra i Goal del 2030. E in Italia? Molti gap da colmare, a cominciare da lavoro e stipendi

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8 marzo 2018

Segnaliamo questo servizio dell’Ansa – 8 marzo: Udi, sciopero globale è ancora un’aspettativa, serve visibilità

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8 marzo 2017
Segnaliamo la notizia dello sciopero generale organizzato per dire no alla violenza di genere. Aderiscono le principali sigle sindacali, problemi nei trasporti pubblici, nella scuola, negli ospedali…

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8 marzo 2016

Segnaliamo quest’altro articolo dell’Ansa.

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In occasione della ricorrenza dell’8 marzo 2015, ne approfitto per segnalarvi questa riflessione di Loredana Lipperini, questo servizio del Corriere della Sera e questo articolo di la Repubblica (dedicato a Anna Magnani). Domattina, inoltre, su LetteratitudineNews i riflettori saranno puntati su due libri che hanno a che fare con la Giornata internazionale della donna.

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L’8 marzo 2014
In occasione della ricorrenza dell’8 marzo 2014, ne approfitto per segnalarvi questo articolo pubblicato dall’Ansa e questo speciale su Repubblica.it

(Massimo Maugeri)

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L’8 marzo 2013

Segnalo questo articolo pubblicato su Repubblica.it: 8 marzo, solo 10 donne su 100 nei consigli delle società quotate
(Massimo Maugeri)

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L’8 marzo 2012

Segnalo questo post di Loredana Lipperini, pubblicato in contemporanea  con Giovanna Cosenza, Femminile plurale, Ingenere, Ipaziaevviva, Marina Terragni, Lorella Zanardo.
E dico, I care!

E, a proposito di “mimose sì, mimose no”… questo articolo di Maria Laura Rodotà su Corriere.it
(Massimo Maugeri)
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L’8 marzo 2011

Vi segnalo questo servizio su WUZ… e, a proposito di 8 marzo, vi consiglio di leggere questo contributo firmato dalla prof.ssa Rawdha Razgallah (italianista e docente di letteratura italiana presso l’Università del «7 Novembre a Carthage» di Tunisi) sugli usi e costumi delle donne tunisine

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L’8 marzo negli anni scorsi…

Sull’8 marzo 2009 vi segnalo un “quaderno” di 167 pagine realizzato dagli amici di Nazione indiana: potete scaricare il pdf cliccando qui

Vi propongo un articolo di Sabina Corsaro dedicato a Françoise Sagan.

Infine, in coda al post, un omaggio da parte mia a tutte le donne di Letteratitudine. Chiamo in causa, ancora una volta, John Lennon. Stavolta il brano è (semplicemente) Woman.

Ed è dedicato a tutte voi.

Non vogliatemene.

Woman I can hardly express,

My mixed emotion at my thoughtlessness,
After all I’m forever in your debt,
And woman I will try express,
My inner feelings and thankfullness,
For showing me the meaning of success,
oooh well, well,
oooh well, well,

Woman I know you understand
The little child inside the man,
Please remember my life is in your hands,
And woman hold me close to your heart,
However, distant don’t keep us apart,
After all it is written in the stars,
oooh well, well,
oooh well, well,

Woman please let me explain,
I never mean(t) to cause you sorrow or pain,
So let me tell you again and again and again,
I love you (yeah, yeah) now and forever,
I love you (yeah, yeah) now and forever,
I love you (yeah, yeah) now and forever,
I love you (yeah, yeah)…

(Massimo Maugeri)

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La scrittrice maledetta: Françoise Sagan

di Sabina Corsaro

Non, Sagan, t’es pas toute seule” declamava una petizione di diversi anni fa, richiesta e portata avanti dagli estimatori di Françoise Sagan (personaggi, a loro volta, rappresentativi della cultura francese contemporanea). Una petizione che era stata lanciata per sostenere la scrittrice nei suoi problemi finanziari con le banche e che aveva coinvolto scrittori e lettori.
Personaggio ribelle e non catalogabile quello di Françoise (nella foto), oscillante tra l’immagine della ragazza borghese e la scrittrice scandalosa, discendente fedele di quel filone di poeti maledetti che aveva visto nella dannazione un modello irrinunciabile per l’osmosi di arte e vita.
E burrascosa, violenta e movimentata fu la sua, di vita.Françoise Quoirez (il suo nome anagrafico) nasce il 21 Giugno del 1935 a Cajarc, nel Sud-ovest della Francia. Trasferitasi definitivamente a Parigi dopo la Liberazione studia nei collegi religiosi conseguendo nel ’52 il diploma di scuola media superiore. Qualche anno dopo viene bocciata all’esame di ammissione alla Sorbona. Nel 1954 esce Bonjour tristesse che apporterà una fama indescrivibile ad una ragazza di appena vent’anni che da allora si firmerà col nome di Sagan. Sagan è il nome di uno dei personaggi de La Recherche di Proust: enigmatico, ricco di valenze simboliche non facili da perscrutare; Sagan è la principessa che racchiude in sé dei significati quasi mistici che, tuttavia, si mescolano con la sua corruttibile componente umana. Ben presto la ragazza timida e poco femminile diviene un personaggio noto: con abiti eccentrici Françoise passeggia lungo i boulevards accompagnata da uomini stravaganti e hanno inizio le sue vicissitudini sentimentali che la porteranno al concepimento di un figlio. Sposa l’editore Guy Scholler ma divorzia dopo alcuni anni, per risposarsi subito dopo con un progettista di ceramiche. Ma è la scrittrice che è dentro lei a divenire una voce di denuncia contro l’ipocrisia dei costumi della società a cui appartiene. Il caso letterario suscitato da Bonjour tristesse ha risonanza notevole in quegli anni: la descrizione veritiera e realistica della gelosia della protagonista Cécile nei confronti del padre vedovo e ‘viveur’ diviene l’elemento centrale del libro. Quello che in esso appare percepibile è il sapore del disagio che investe la ragazza ventenne quando apprende l’improvviso e temuto innamoramento del padre, vissuto come minaccia per quel loro rapporto esclusivo, definito e sicuro. Se Sagan richiama il personaggio proustiano, Françoise vive in modo simile a Marcel: frequenta l’ambiente mondano, borghese, artificiale ed è attorniata da Wisky e sostanze stupefacenti, il tutto sullo sfondo di un vago e onnipresente snobismo. I personaggi che vi sono inseriti si guardano vivere lasciandosi trascinare dalle convenzioni, dai comportamenti omologati e hanno coscienza del proprio esistere solo quando prendono coscienza del proprio corpo (ecco allora l’uso dell’alcol, della danza e dell’amore fisico). Françoise prova tutte queste forme di felicità ridimensionata, poiché per lei essa esiste solo nella forma della contentezza o del piacere temporaneo.
Bruciare la vita, bere, stordirmi, ecco quel che mi ha sempre sedotto. E quanto mi piace, questo gioco derisorio e gratuito nella nostra epoca meschina, sordida e crudele ma che, per un caso prodigioso di cui vivamente con essa mi congratulo, mi ha dato il modo di sfuggirle”.
Tra i suoi libri più significativi: Lividi dell’anima (1972), Un profilo perduto (1974), Occhi di seta (1976), Un letto disfatto (1977), La donna truccata (1981), Lo specchio smarrito (1996), Le piace Brahms?

E i libri della sua intera produzione sembrano racchiudere l’impronta di un limite varcato, di uno stato d’animo ambiguo, a metà tra l’infelicità e la perdizione lussuriosa, come quello di chi sa che per sfuggire alla tristezza deve lasciarsi travolgere da un piacere disperato.

Sabina Corsaro

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SANREMO TRA I LIBRI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/03/03/sanremo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/03/03/sanremo/#comments Wed, 03 Mar 2021 16:00:28 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/02/16/sanremo-e-linfinita-notte-di-alessandro-zaccuri/ Il post “annuale” di Letteratitudine dedicato al Festival di Sanremo

Che piaccia o no, il Festival di Sanremo ha scandito il nostro tempo… a partire dal lontano 1951, anno del suo inizio, fino a oggi.

Vorrei dedicare questa pagina di Letteratitudine al Festival della canzone italiana e a qualcuno dei libri da esso ispirati.
Come ha scritto Giovanni De Luna su Tuttolibri del 5 febbraio 2011, “Sanremo cominciò nel 1951, con una «tre giorni musicale» (29-30-31 gennaio) trasmessa alla radio. L’orchestra la dirigeva il maestro Angelini e i cantanti erano solo due (Nilla Pizzi e Achille Togliani), con il supporto del Duo Fasano. Tutto qui. Pure, un Festival nato in sordina, senza «lanci» e «promozioni», riuscì a far diventare famose in una sola sera (e con un solo «passaggio» radiofonico!) molte canzoni, non solo quella vincitrice. La serata conclusiva fu seguita da circa 25 milioni di ascoltatori. Oggi quella data è diventata storica tanto da dare l’impressione che raccontare le vicende del festival sia un po’ come scrivere pagine importanti del nostro passato, quasi che anno dopo anno le sue canzoni abbiano composto la colonna sonora della nostra quotidianità”.

Il riferimento è al volume pubblicato da Carocci e scritto da Serena Facci e Paolo Soddu, intitolato: “Il festival di Sanremo. Parole e suoni raccontano la nazione”.

Il festival di Sanremo. Parole e suoni raccontano la nazioneEcco la scheda del libro: “Il 30 gennaio 1964 Gigliola Cinquetti, accollata in un abitino acqua e sapone e lanciando occhiate maliziosamente candide, debuttò a Sanremo: “Non ho l’età”, ideata da professionisti di lungo corso come Nisa, Panzeri e Colonnello, non era solo l’efficace confezione melodica di un testo esile con un buon attacco. Era il frammento di un più complessivo discorso sulla nazione e in questo caso una delle risposte alla sfida dell’autodeterminazione femminile e della libertà sessuale. Quella serata non è che un tassello di una foto di famiglia lunga 60 anni nella quale riconosciamo volti e voci diventati monumenti nazionali incontestati (da Nilla Pizzi a Domenico Modugno, da Mina a Vasco Rossi) discussi (da Claudio Villa a Orietta Berti fino a Toto Cutugno), alcuni dimenticati, altri ancora freschissimi. La tradizione era iniziata nel 1951: l’Italia non riusciva a rielaborare le ferite del recente passato e preferiva alludere a sé stessa ricomponendo come poteva, con leggerezza quasi frivola, reminiscenze da melodramma o realismo da chansonnier, pezzi di una nazione che aspirava alla democrazia e alla modernità. Il Festival è arrivato indenne, sorvolando mille traversie, fino a questi giorni: non è solo audience, kermesse, dietrologie e pettegolezzi, noia o passione; è anche uno dei momenti in cui una fibrillante democrazia occidentale si racconta e si interroga”.

Gli amici della redazione di Fahrenheit, che hanno invitato in trasmissione uno dei due autori del libro citato, Paolo Soddu (docente di storia contemporanea alla facoltà di Musicologia dell’Università di Pavia), si domandano…

1. Quali sono le ragioni della lunga durata e dell’eco che ha avuto e continua ad avere la gara che dal 1951 si svolge annualmente a Sanremo?

2. Ragionare su Sanremo può aiutare a decifrare l’evoluzione della cultura nazionale-popolare nell’Italia repubblicana?

3. Esiste un nesso tra l’appuntamento annuale e l’evoluzione storica del paese?

Aggiungo altre domande, per favorire una possibile discussione sull’argomento e sul Festival della canzone italiana in corso quest’anno:

4. Più in generale: cosa ne pensate del Festival di Sanremo?

5. Fino a che punto ha contribuito, nel tempo, alla crescita e alla diffusione della canzone italiana?

6. Ritenete che abbia contribuito anche alla internazionalizzazione della cultura italiana e dell’immagine dell’Italia nel mondo?

7. A vostro avviso, contribuisce di più il Festival di Sanremo allo sviluppo della canzone italiana o i Festival letterari (vedi Mantova) alla crescita della nostra letteratura?

8. E questo Festival? Vi sembra all’altezza dei precedenti? Meglio? Peggio?
Su quale canzone puntereste?

9. Anzi, domanda secca: chi vincerà?

Come sempre, grazie per l’attenzione e la partecipazione.

Massimo Maugeri

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UN ROMANZO SU SANREMO

Un bel romanzo ambientato al Festival di Sanremo lo ha scritto Alessandro Zaccuri: si intitola Infinita notte (Mondadori, pagg. 272, euro 18,50).
Col precedente, Il signor figlio (Mondadori, 2007), a Zaccuri era stato tributato il premio Selezione Campiello.
Infinita notte è un romanzo su Sanremo ambientato a Sanremo, zeppo di svariati personaggi (dirigenti Rai, rapper, fan, cantanti, manager, conduttori, giornalisti) messi in scena attingendo a piene mani dalla realtà. Di seguito potrete leggere la recensione di Ranieri Polese, pubblicata sul Corriere della Sera del 13 gennaio (da cui capirete meglio il plot).

Massimo Maugeri

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ALESSANDRO ZACCURI Infinita notte MONDADORI PP. 280, euro 18

di Ranieri Polese (Corriere della Sera del 13/01/2009)

Un romanzo con il titolo di una canzone inventata (Infinita notte) e 23 capitoli ciascuno intitolato con una canzone, vera, che ha vinto Sanremo (da «Grazie dei fiori» ad «Angelo»): dopo il Leopardi de Il signor figlio, Alessandro Zaccuri (nella foto) fa un bel salto. E dai complessi rapporti del poeta con il padre Monaldo (nel libro del 2007 si immaginava Giacomo scampato al colera di Napoli e rifugiato sotto falso nome a Londra) passa a raccontarci le storie che si intrecciano all’ombra del Festival, le strategie della tv, l’agitato popolo dei giornalisti, i sospetti casi di corruzione, i tipi più o meno curiosi che per disparate ragioni si ritrovano nella settimana fatidica a due passi dall’Ariston. «Ma poi tanta distanza fra Leopardi e Sanremo non c’è» scherza Zaccuri, 45 anni, giornalista di Avvenire, scrittore, e conduttore de «Il grande talk» su Sat2000, dedicato all’analisi dei linguaggi e dei programmi televisivi. «Intanto, sono due icone dell’ italianità. Poi, il Leopardi che tutti conoscono a memoria è un Leopardi sanremizzato, zuccheroso, donzellette e passeri solitari, molto diverso dal pensatore crudele, difficile che in realtà era». Sì, però, Sanremo… «È una realtà importante, con una lunga storia alle spalle, resta ancora lo spettacolo numero uno per cui si mobilitano giornali radio e tv. È il dolce tradizionale italiano che tale rimane anche se gli ingredienti della torta sono mutati». Colto ma non per questo viziato da snobismi, Zaccuri guarda a Sanremo come la nostra Nashville, il tempio della musica country americana. «E per il romanzo mi è servito molto rivedere il film di Robert Altman, con il suo mosaico di microstorie che si compongono intorno alle esibizioni dei cantanti e ai loro refrain». Così, senza perdere di vista il lavoro degli autori dei testi e dei responsabili Rai, con un occhio puntato sul non-luogo per eccellenza, la sala stampa che sta all’ultimo piano del Teatro Ariston, Zaccuri congegna tre storie che si snodano su quello sfondo di fiori e canzonette. C’ è l’autore outsider, Raffaele Maria Ferri, già collaboratore dei programmi di Funari e ora scrittore bestseller di un libro-reportage (Tassì Draiv, 800 mila copie) su quello che i tassisti dicono: da Roma gli arrivano notizie belle e brutte, la moglie gli dice che aspetta un bambino, il padre invece è ricoverato senza più speranza. Vorrebbe scappare ma sa che lì si sta giocando qualcosa di molto importante. Poi c’è il rapper SliverG, che si fa chiamare anche Gabo, è arrivato da Roma all’insaputa di un padre molto importante: una sua canzone («Il punto G») è stata rifiutata, ma lui bombarda le strade intorno all’Ariston con un’altra sua composizione, «Infinita notte» (da qui il titolo), che resta nella mente. Infine, del tutto estraneo alla grande kermesse, c’ è anche Miles De Michele, manager italo-americano che si lascia fregare da un mafioso russo in un giro di danaro sporco al Casinò; a portarlo in questo imbroglio è Jeanne, una bellissima ragazza di Mauritius che lo fa innamorare parlandogli della sua omonima Jeanne d’Arc. Infinita notte (Mondadori) è uscito in libreria il 16 gennaio, un mese prima dell’inizio del Festival numero 59 (17-21 febbraio), che segna il ritorno di Paolo Bonolis. E che già occupa i giornali con polemiche a non finire, per un testo sui gay, per il rifiuto di una canzone firmata Sgarbi ecc. «L’ unico Sanremo che ho seguito interamente, in sala stampa con tutti gli altri, è stato quello del 2005, il primo di Bonolis – ricorda Zaccuri -. Forse nel personaggio del Conduttore c’è qualcosa di lui, ma non solo. Il libro l’avevo già scritto a febbraio del 2008, non volevo fare pronostici. Del resto il Sanremo di cui racconto è il numero 60, quello che ci sarà nel 2010». Sì, però ci sono figure molto bene identificabili, tre giornalisti per esempio: lo Stregatto, la Regina di cuori e il Presidente emerito della Sala stampa: ovvero, Mario Luzzatto Fegiz («Corsera»), Marinella Venegoni («Stampa»), Paolo Zaccagnini («Messaggero»). «Sì, sono loro, ma sono anche i pilastri di quel luogo, e ho voluto render loro un omaggio». Su altre figure si gioca più di fantasia: per esempio, Miriam Cascella, eminenza Rai che conosce e manovra i delicati equilibri del potere. O sulla super-ospitata di Britney Spears, convertita da Madonna alla spiritualità della cabala. Intanto il rapper Gabo tappezza le porte del teatro con scritte che tutti ritengono pericolose minacce eversive; la cosa passa su You Tube, l’atmosfera si riscalda, nel giro entrano Fancy e Vanessa, due ragazzine di Torino calate in Riviera per vedere i cantanti, che subito s’innamorano del cantante di strada. E poi c’è la «nuova proposta» Sarah X, già pornostar, inevitabile scandalo da prima serata. Anche se fiction, questo Sanremo di Alessandro Zaccuri è terribilmente verosimile. Resta da chiedersi, da chiedergli, che cos’è veramente Sanremo. «Negli anni ‘50 – ‘60 è stato veramente il grande romanzo popolare italiano, lo specchio in cui la gente poteva proiettare i propri sogni. Poi, superata la crisi degli anni ‘70 (la Rai per anni si limitò a trasmettere in tv solo la finale), il Festival ha cambiato pelle e sostanza. È diventato un grande evento televisivo, ospiti internazionali di richiamo, comici, intrattenimento, tutto pensato per l’Auditel, con le canzoni che perdevano la loro centralità. Certo, seppure con tutti questi condizionamenti, Sanremo è l’unico momento in cui la tv si occupa di musica italiana. Prima, per lunghissimi anni, era l’unico Festival, “il Festival”. Ora i festival si sono moltiplicati (Mantova, Roma, Modena eccetera, letteratura, cinema, filosofia). E certe regole – il divismo, le passerelle – si sono diffuse anche in altri contesti. Però Sanremo rimane un grande campionario di umanità, sarebbe sbagliato giudicarlo come un format, un clone di qualche reality. Realmente qui succede qualcosa, ci sono persone che ci mettono i loro sogni, le loro capacità. Non ci sono solo i personaggi. Un romanzo questo deve fare: scoprire la persona dietro il personaggio».
Ranieri Polese

da Corriere della Sera del 13 gennaio 2009, pag. 42

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LIBRI PUBBLICATI ALLA VIGILIA DI SANREMO 2020

70 Sanremo. Ediz. illustrata - copertina“70 Sanremo. Ediz. illustrata” di John Vignola (Rai Libri)

Un volume ricco di dichiarazioni di repertorio e testimonianze dei grandi protagonisti delle diverse edizioni dal 1951 a oggi (da Mike Bongiorno a Pippo Baudo e Fabio Fazio, da Gianni Morandi, Romina Power e Al Bano a Giorgia ed Elisa), che ripercorre, decade dopo decade, la lunga vita del Festival della canzone. A ogni decade sarà dedicata una scheda tecnica ricca di momenti epici e apicali, foto degli interpreti e curiosità, restituendone i colori, il folklore e i cambiamenti. Perché Sanremo, da sempre, rappresenta da un lato un grande momento di aggregazione familiare e dall’altro un ritratto della cultura popolare, di cui la Rai è sempre stata il medium catalizzatore e il grande narratore.

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Il festival di Sanremo. 70 anni di storie, canzoni, cantanti e serate - Eddy Anselmi - copertina“Il festival di Sanremo. 70 anni di storie, canzoni, cantanti e serate” di Eddy Anselmi (De Agostini)

Un viaggio nel tempo, nella musica, nella storia, nei ricordi e nelle emozioni di tutti noi: 70 anni di storie, canzoni, cantanti e serate.

Dall’esordio nel 1951 all’edizione 2019. Tutto – ma proprio tutto – quello che c’è da sapere sul festival più amato dagli italiani: le serate, le canzoni, gli autori, gli interpreti, le classifiche, le curiosità, i vincitori e i vinti, la televisione, i presentatori e i dietro le quinte. E quel “Sanremo d’Europa” che è l’Eurovision Song Contest.

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Almanacco del festival di Sanremo. Storia del festival alla vigilia della 70ª edizione - Marino Bartoletti,Lucio Mazzi - copertina“Almanacco del festival di Sanremo. Storia del festival alla vigilia della 70ª edizione” di Marino Bartoletti e Lucio Mazzi (Gianni Marchesini Editore)

Marino Bartoletti, massimo conoscitore della storia del Festival, racconta edizione per edizione la più importante manifestazione canora italiana. Il libro vanta la prefazione di Renzo Arbore, Pippo Baudo e Carlo Conti. Per ogni edizione si trovano i dati essenziali, la cronaca e le serate, le classifiche, le foto, la canzone vincente e quella simbolo, i dischi più venduti in Italia e nel mondo, gli eventi di quell’anno in Italia e nel mondo. E le analisi di Marino Bartoletti.

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27 GENNAIO: GIORNO DELLA MEMORIA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/01/26/giorno-della-memoria/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/01/26/giorno-della-memoria/#comments Tue, 26 Jan 2021 13:15:42 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=2950 Il post annuale di Letteratitudine dedicato al “Giorno della Memoria”

GIORNO DELLA MEMORIA 2021 – nuovi libri per non dimenticare. Su LetteratitudineNews promuoviamo la lettura di nuovi libri incentrati sulla tragedia della Shoah

anna-frank-se-questo-e-un-uomo1«La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati
Quello che avete appena letto è il testo dell’articolo 1 della legge n. 211 del 20 luglio 2000 con cui il nostro paese ha aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio come giornata in commemorazione delle vittime del nazionalsocialismo e del fascismo, dell’Olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati (l’art. 1 evidenzia, appunto, le finalità del Giorno della Memoria).

Tra i commenti, lo storico dibattito online dedicato al Giorno della Memoria partendo dall’esame (o dal riesame) di due opere che, da questo punto di vista, possono considerarsi come libri-simbolo: “Il Diario di Anne Frank” e “Se questo è un uomo” di Primo Levi.

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LETTERA DALLA BEFANA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/01/06/lettera-dalla-befana/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/01/06/lettera-dalla-befana/#comments Wed, 06 Jan 2021 09:20:12 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/01/05/lettera-dalla-befana/ Risultati immagini per befanaSalve a tutti. Sono la Befana e ringrazio Massimo Maugeri per lo spazio ricorrente che ogni anno mi concede sul suo blog.

Vorrei parlare un po’ di me e poi “chiedervi” qualcosa.

Forse non lo sapete, ma c’è chi dice che la mia sia una figura del folklore di alcune parti dell’Italia centrale, diffusasi anche in altre regioni. Il mio nome deriva dalla parola epifania, alla quale festività religiosa sono collegata. Appartengo dunque alle figure folkloristiche, dispensatrici di doni, legate alle festività natalizie.

Come certamente saprete, faccio visita ai bambini la notte precedente l’epifania per riempire le calze, appositamente lasciate appese in quella notte. A chi è buono elargisco caramelle e cioccolatini, gli altri li riempio di carbone.

Vi racconto una storia.

Più di duemila anni fa, i Re Magi, diretti a Betlemme per portare i doni a Gesù Bambino, non riuscendo a trovare la strada, chiesero informazioni a una vecchia.

Malgrado le loro insistenze affinché li seguisse per far visita al piccolo, la donna non uscì di casa per accompagnarli. In seguito, pentitasi di non essere andata con loro, dopo aver preparato un cesto di dolci, uscì di casa e si mise a cercarli, senza riuscirci.

Così si fermò a ogni casa che trovava lungo il cammino, donando dolciumi ai bambini che incontrava, nella speranza che uno di essi fosse il piccolo Gesù.

Da allora girerebbe per il mondo, facendo regali a tutti i bambini, per farsi perdonare.

Sarà vero?

I beninformati dicono che la mia festa deriverebbe da antichi elementi folclorici pre-cristiani, recepiti e adattati dalla tradizione cristiana. In tal senso sarei una sorta di simbolo connesso a tradizioni agrarie pagane relative all’inizio dell’anno. E il mio aspetto da vecchia sarebbe da mettere in relazione con l’anno trascorso, ormai pronto per essere bruciato per “rinascere” come anno nuovo. In molti paesi europei infatti esisteva la tradizione di bruciare fantocci, con indosso abiti logori, all’inizio dell’anno. In quest’ottica l’uso dei doni assumerebbe un valore propiziatorio per l’anno nuovo.

Un’ipotesi suggestiva è quella che mi collega con una festa romana, che si svolgeva all’inizio dell’anno in onore di Giano e di Strenia (da cui deriva il termine “strenna”) e durante la quale si scambiavano regali.

In ogni caso, dato che è la mia festa, fatemi gli auguri.

E siccome so che il capoccia di questo blog pone sempre domande per avviare dibattiti… ve ne faccio una io.

Pensate ai personaggi celebri che si sono distinti nell’anno appena trascorso, nel bene e nel male, italiani e non.

Secondo voi, a chi dovrei dare dolciumi? E a chi il carbone?

E non dimenticate di spiegare il perché! Altrimenti il capoccia di cui sopra (che non ammetterà mai di aver copincollato le informazioni contenute in questo post da Wikipedia) s’inalbererà di brutto.

La Befana, per gli amici “Befy”

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[Post pubblicato originariamente il 5 gennaio 2008]

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BUON NATALE E FELICE ANNO NUOVO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/12/24/buone-feste/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/12/24/buone-feste/#comments Thu, 24 Dec 2020 10:00:09 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/12/24/i-vostri-natale-2008-e-capodanno-2009/ http://www.carloneworld.org/images/Speciale_Natale/gif_animate/buon_Natale/snowybridgebymindy-blank.gifCare amiche e cari amici,
vi auguro di cuore di trascorrere un sereno Natale e uno splendido capodanno.

Per qualche giorno non pubblicherò nuovi post. E come di consueto rimetto in primo piano questo “spazio” dedicato al Natale e al nuovo anno.

Il 2020 è stato un anno particolarmente difficile e doloroso. Speriamo davvero che il 2021 possa offrire una luce diversa e nuove prospettive.

Ancora auguri! Buon Natale e felice anno nuovo a tutti!

Massimo Maugeri

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PORDENONELEGGE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/09/16/pordenonelegge/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/09/16/pordenonelegge/#comments Wed, 16 Sep 2020 13:30:33 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6405 Riportiamo in primo piano lo spazio periodico di Letteratitudine dedicato a PORDENONELEGGE, Festa del libro con gli autori: manifestazione che si svolge a Pordenone durante il mese di settembre.

Il festival, considerato uno dei più importanti appuntamenti letterari e “libreschi” italiani, ha visto passare nei suoi anni di storia narratori quali Luis Sepúlveda, filosofi (Richard Rorty, Peter Singer), scienziati (Margherita Hack, Giacomo Rizzolatti) e premi Nobel (J. M. Coetzee). Caratteristica peculiare di Pordenonelegge è la sua ubicazione: non si tiene infatti in un punto preciso della città ma coinvolge tutto il centro storico del capoluogo, che per l’occasione si tinge di giallo, il colore ufficiale della manifestazione.

L’edizione 2020 di Pordenonelegge si svolge dal 16 al 20 settembre.

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FESTIVALETTERATURA di Mantova http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/09/08/festivaletteratura-di-mantova/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/09/08/festivaletteratura-di-mantova/#comments Tue, 08 Sep 2020 05:00:22 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4242 Il post annuale di Letteratitudine dedicato a Festivaletteratura: qui, informazioni sul programma e sulle attività della nuova edizione

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Festivaletteratura

Comincia la nuova edizione di Festivaletteratura (a Mantova dal 9 al 13 settembre 2020).  Per contribuire a promuovere l’evento, abbiamo rimesso in primo piano questo breve post. Ne approfittiamo per augurare i classici “in bocca al lupo” agli organizzatori, ma anche per complimentarci con loro e ringraziarli per il lavoro eccezionale che hanno svolto in questi anni (e che ha permesso a questo evento di ergersi come uno dei più importanti appuntamenti del mondo della letteratura).
Grazie di cuore. Davvero. E tanti complimenti.

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Negli scorsi anni (nel corso della discussione legata a questo post), con l’aiuto degli amici di Letteratitudine, abbiamo tracciato la storia recente del Festival Letteratura di Mantova.

Naturalmente segnaleremo gli appuntamenti principali dell’edizione in corso.  Intanto, è possibile seguire il programma del Festival cliccando qui…

Buon mese di settembre a tutti.


Festivaletteratura

Festivaletteratura è un appuntamento all’insegna del divertimento culturale, una cinque giorni di incontri, laboratori, percorsi tematici, concerti e spettacoli con narratori e poeti di fama internazionale, saggisti, artisti e scienziati provenienti da tutto il mondo, secondo un’accezione ampia e curiosa della letteratura. Si tiene ogni anno a Mantova, dal 1997, sul finire dell’estate. La XXI edizione avrà luogo dal 6 al 10 settembre 2017.

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PENSIERI VACANZIERI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/08/14/pensieri-vacanzieri/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/08/14/pensieri-vacanzieri/#comments Fri, 14 Aug 2020 13:30:32 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=954 BUONA ESTATE da Letteratitudine!

Buona estate da Letteratitudine

…Le attività di LetteratitudineBlog riprenderanno a settembre…

Care amiche e cari amici, faccio riposare Letteratitudine per qualche settimana (come ogni anno, in questo periodo).

Intanto vi ripropongo questo post, dove chi ha voglia potrà raccontare (o rileggere) aneddoti estivi e condividere le impressioni sui libri letti (o che si leggeranno) nel corso dell’estate.

Buoni pensieri vacanzieri a voi e ai vostri cari!

Massimo Maugeri

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IN MEMORIA DI GIOVANNI FALCONE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/05/23/in-memoria-di-giovanni-falcone/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/05/23/in-memoria-di-giovanni-falcone/#comments Sat, 23 May 2020 06:00:17 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4123 Dove eravate quel 23 maggio del 1992? Come avete reagito alla notizia? Cosa scrivereste, oggi, a Giovanni Falcone se potesse leggervi? Chiedo a tutti di contribuire [...]]]> In memoria di GIOVANNI FALCONE

Rimettiamo in primo piano questo “spazio” dedicato alla memoria di Giovanni Falcone, scomparso nella strage di Capaci il 23 maggio 1992.

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Dove eravate quel 23 maggio del 1992? Come avete reagito alla notizia?

Cosa scrivereste, oggi, a Giovanni Falcone se potesse leggervi?

Chiedo a tutti di contribuire lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione… ma anche link ad altri siti e quant’altro possa servire a ricordare Giovanni Falcone e il suo impegno per la lotta alla mafia.

Segnalo i due seguenti libri…

Cose di Cosa Nostra

Cose di Cosa Nostra
di Giovanni Falcone, Marcelle Padovani – BUR Biblioteca Univ. Rizzoli – 2012

La penna è quella della giornalista francese Marcelle Padovani, ma la voce narrante è quella di Giovanni Falcone. Le venti interviste diventano materiale per dettagliate narrazioni in prima persona che si articolano in sei capitoli, disposti come altrettanti cerchi concentrici attorno al cuore del problema-mafia: lo Stato. Un’analisi che parte dalla violenza, dai messaggi e messaggeri, per arrivare agli innumerevoli intrecci tra vita siciliana e mafia, all’organizzazione in quanto tale, al profitto – sua vera ragion d’essere – e, infine, alla sua essenza: il potere. Una testimonianza resa da Falcone dopo aver lasciato Palermo nel 1991.

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La posta in gioco. Interventi e proposte per la lotta alla mafia

La posta in gioco. Interventi e proposte per la lotta alla mafia
di Giovanni Falcone – BUR Biblioteca Univ. Rizzoli – 2010

Trattamento e attendibilità dei pentiti, carcere duro ai mafiosi, intercettazioni telefoniche, separazione delle carriere: le proposte di Giovanni Falcone nella lotta alla mafia hanno contribuito allo sviluppo democratico del nostro Paese. A distanza di anni il suo pensiero sempre lucido è rimasto assolutamente attuale, e la sua lungimiranza lo ha portato ad affrontare quelle questioni che sono oggi al centro del dibattito politico. Oltre al Maxiprocesso e al patrimonio di conoscenze che ci ha tramandato su Cosa Nostra, questa raccolta di scritti ne restituisce le opinioni, le intuizioni, i progetti e le strategie per gestire e migliorare l’organizzazione della giustizia italiana. Finalmente un’immagine a tutto tondo del grande magistrato, ulteriore testimonianza della straordinaria passione civile che l’ha sempre animato e della sua perspicacia nell’individuare debolezze e criticità del nostro Stato. Una nuova edizione, perché le sue parole e le sue conquiste non siano perdute, dimenticate o, peggio, piegate a interessi particolari. (Presentazione di Giuseppe D’Avanzo; prefazione di Maria Falcone)

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Grazie in anticipo a chi potrà contribuire a riempire questo spazio di contenuti.

Massimo Maugeri

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P.s. Questo post è stato pubblicato originariamente il 24 maggio del 2012.

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Mattarella: «Ragazzi, siate fieri dell’esempio di Falcone e Borsellino e ricordatelo sempre»

Messaggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ai giovani delle scuole coinvolti nel progetto “La nave della legalità”, nel 28° anniversario della strage di Capaci

Il Presidente Sergio Mattarella«A ventotto anni dalla strage di Capaci invio un saluto caloroso a tutti i giovani delle scuole coinvolti nel progetto “La nave della legalità”, che ricorda Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E, con loro, Francesca Morvillo e gli agenti Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Rocco Dicillo, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Claudio Traina.

I due attentati di quel 1992 segnarono il punto più alto della sfida della mafia nei confronti dello Stato e colpirono magistrati di grande prestigio e professionalità che, con coraggio e con determinazione, le avevano inferto durissimi colpi, svelandone organizzazione, legami, attività illecite.

I mafiosi, nel progettare l’assassinio dei due magistrati, non avevano previsto un aspetto decisivo: quel che avrebbe provocato nella società. Nella loro mentalità criminale, non avevano previsto che l’insegnamento di Falcone e di Borsellino, il loro esempio, i valori da loro manifestati, sarebbero sopravvissuti, rafforzandosi, oltre la loro morte: diffondendosi, trasmettendo aspirazione di libertà dal crimine, radicandosi nella coscienza e nell’affetto delle tante persone oneste.

La mafia si è sempre nutrita di complicità e di paura, prosperando nell’ombra. Le figure di Falcone e Borsellino, come di tanti altri servitori dello Stato caduti nella lotta al crimine organizzato, hanno fatto crescere nella società il senso del dovere e dell’impegno per contrastare la mafia e per far luce sulle sue tenebre, infondendo coraggio, suscitando rigetto e indignazione, provocando volontà di giustizia e di legalità.

I giovani sono stati tra i primi a comprendere il senso del sacrificio di Falcone e di Borsellino, e ne sono divenuti i depositari, in qualche modo anche gli eredi.

Dal 1992, anno dopo anno, nuove generazioni di giovani si avvicinano a queste figure esemplari e si appassionano alla loro opera e alla dedizione alla giustizia che hanno manifestato.

Cari ragazzi, il significato della vostra partecipazione, in questa giornata, è il passaggio a voi del loro testimone.

Siate fieri del loro esempio e ricordatelo sempre».

Roma, 23/05/2020

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PIU’ LIBRI, PIU’ LIBERI 2019 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/12/04/piu-libri-piu-liberi/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/12/04/piu-libri-piu-liberi/#comments Wed, 04 Dec 2019 16:20:25 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/12/04/letteratitudine-il-libro-alla-fiera-romana-piu-libri-piu-liberi/ Torna “Più libri, più liberi“, la Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria: Roma Convention Center / Eur– La Nuvola – dal 4 all’8 dicembre 2019

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Riproponiamo lo spazio di Letteratitudine dedicato a uno dei più importanti eventi “libreschi” dell’anno. Tra i commenti troverete: notizie, avvisi e contributi di vario genere.

Dal sito della fiera leggiamo quanto segue…

Delle circa 60 mila novità editoriali prodotte ogni anno in Italia solo 3 mila sono facilmente reperibili nelle librerie. Per lo più si tratta dei best seller editi da Case editrici che possono giovarsi di politiche commerciali aggressive e di campagne di promozione molto incisive. Da questa considerazione nasce Più libri più liberi che ogni anno dal 2002, all’inizio di dicembre, riunisce in un unico luogo il meglio della produzione editoriale indipendente italiana.

Più libri più liberi nasce per espressa richiesta ed intuizione di un gruppo di imprese (in questo caso le Case editrici romane) che in tal modo intendono reagire per una volta non individualmente, ma “facendo sistema”, ad un impianto commerciale che le penalizza, creando attraverso la loro associazione di categoria un nuovo strumento di comunicazione e di marketing che valorizzi il frutto della loro attività: il libro“.

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OMAGGIO A LEONARDO SCIASCIA (e al crollo del Muro di Berlino) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/11/18/muro-e-sciascia/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/11/18/muro-e-sciascia/#comments Mon, 18 Nov 2019 15:57:11 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=1304 30 ANNI SENZA MURO, 30 ANNI SENZA SCIASCIA

muro-e-sciascia

Nel novembre del 2009 pubblicai il post che potete leggere di seguito, unendo due ricorrenze molto importanti.

La prima (come scrissi nel post in questione) riguardava un evento epocale, uno dei più importanti della storia recente: il crollo del Muro di Berlino, avvenuto il 9 novembre del 1989 (la ricorrenza del trentennale è stata celebrata qualche giorno fa).

La seconda segnava l’anniversario della morte di un grande della nostra letteratura, che si celebrerà tra un paio di giorni: Leonardo Sciascia (scomparso il 20 novembre del 1989).

Vi ripropongo il post in questione.

Massimo Maugeri

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sciascia-muro-berlino1Ci voglio provare. Voglio provare a unire due ricorrenze che si incrociano in questo mese di novembre dell’anno 2009.
La prima riguarda un evento epocale, uno dei più importanti della storia recente: il crollo del Muro di Berlino (avvenuto il 9 novembre di vent’anni fa).
La seconda segna il ventennale della morte di un grande della nostra letteratura: Leonardo Sciascia (scomparso il 20 novembre del 1989).
Due eventi collegati dal decorso di due decadi, ma non solo (in un modo o nell’altro, sia Sciascia, sia la caduta di quel muro, hanno contribuito all’abbattimento di barriere).

Sciascia morì undici giorni dopo la caduta del muro di Berlino. Mi chiedo se ebbe il tempo (e la possibilità) di ragionare con il dovuto grado di analisi sulla portata storica dell’evento. Un evento che riunificava una città (Berlino), una nazione (la Germania), un continente (l’Europa) segnati da una piaga profonda e dolorosa.
Un evento che avrebbe rivoluzionato gli equilibri geopolitici del pianeta.
Vi domando…
Che effetto vi fa, oggi, ripensare alla caduta del Muro di Berlino?
Cosa pensaste – e provaste – quel giorno?
Le speranze che ne conseguirono, fino a che punto si sono tramutate in realtà? Quali, tra queste speranze, sono rimaste disattese?


Di seguito, alcuni video… (vi invito a riportate citazioni e contributi di qualunque tipo su questo evento). Nel corso della discussione ne approfitterò anche per presentarvi un doppio sogno che lega Europa e Letteratura…

E poi vi invito a ricordare Leonardo Sciascia (riportate pure citazioni e contributi a lui dedicati).

Anche in questo caso vi (pro)pongo alcune domande…

Qual è, a vostro avviso, l’eredità principale che ha lasciato Sciascia?

Tra le sue opere, qual è quella che preferite?

E quella che – a prescindere dalle preferenze personali – considerate la più importante?

Quale libro di Sciascia proporreste a un/a ragazzo/a che non lo ha mai letto?

Tra i video disponibili ho scelto questo (sul “rapporto tra democrazia e assolutismi”;  in coda al post ne troverete un altro su “la Sicilia come metafora”).

Di seguito segnalerò alcune pubblicazioni, in tema con questo post… tra cui il volume “Sciascia e la cultura spagnola” (Edizioni La Cantinella) di Estela Gonzàlez de Sande – di seguito recensito da Laura Marullo – e l’audiolibro di “A ciascuno il suo” (Il Narratore audiolibri) di Leonardo Sciascia. Ma è possibile che questa sezione verrà aggiornata nel corso della settimana. Non è esclusa, inoltre, la partecipazione di ospiti speciali.
Massimo Maugeri

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«Leonardo Sciascia e la cultura spagnola» di Estela González De Sande
Hispanidad ovvero sicilitudine

di Laura Marullo

sciascia-e-letteratura-spagnola“Avevo la Spagna nel cuore” scriveva Leonardo Sciascia confessando, con inconsueto slancio emotivo, una bruciante passione per quel luogo dell’anima e “morada de la vida”, in cui “hispanidad” fa rima con “sicilitudine”, considerato non a caso rifrazione speculare della Sicilia, poiché “se la Spagna è, come qualcuno ha detto, più che una nazione un modo di essere, è un modo di essere anche la Sicilia; e il più vicino che si possa immaginare al modo di essere spagnolo”. L’amore di Sciascia per la Spagna è oggetto dell’interessante volume di Estela González De Sande, “Leonardo Sciascia e la cultura spagnola”, edito da la Cantinella con introduzione di Sarah Zappulla Muscarà e fotografie di Giuseppe Leone (pp. 240), che registra puntualmente gli innumerevoli segni di un sentimento che si colora di svariate sfumature, trascorrendo dalla “fraternità” intellettuale alla passione civile alla denuncia del dolore umano, cementato da esperienze storiche e letterarie di cui è traccia nell’affollato citazionismo di un autore che ha fatto del “riscrivere” la sua cifra poetica.
Seppure meno nota rispetto alla discendenza francese, l’influenza della cultura spagnola è parimenti fondamentale nella formazione umana e intellettuale di Sciascia, offrendogli più efficaci strumenti per quella ricerca della “verità” costantemente al centro del suo impegno di uomo e di scrittore. Lo documenta l’analisi comparativa di Estela González De Sande, Docente di Lingua e Letteratura Italiane nell’Università di Oviedo (Spagna) che a Sciascia ha dedicato importanti contributi, avviando una ricognizione capillare dell’opera del racalmutese di cui rubrica il dialogo ininterrotto con una cultura consustanziale a quella siciliana che risuona degli echi di antiche affinità elettive.
Suddiviso in due parti, la prima dedicata alla conoscenza della storia, della lingua, delle tradizioni, dell’arte spagnole e la seconda rivolta all’individuazione della pervasiva presenza della letteratura spagnola nella produzione dello scrittore siciliano, l’itinerario critico della studiosa getta fasci di luce su questioni cruciali dell’esegesi sciasciana, dimostrando come la specola ispanica nutra istanze letterarie, ideologiche, morali che l’autore sottopone a verifica proprio nell’approcciarsi alla Spagna, modello gnoseologico, mitico, interpretativo, cui rivolgerà sempre un culto devoto.
È infatti dall’Inquisizione come dalla guerra di Spagna che scaturisce il suo atto d’accusa nei confronti dell’impostura della storia, mentre la lezione dei grandi classici ne sostanzia il disincantato raziocinare: Cervantes col suo “libro unico” che dà “la gioia delle illusioni”, Ortega y Gasset da cui apprende la “capacità di spiegare tutto, di chiarire”, Castro riconosciuto “tra i pochi e i buoni maestri che ho avuto”, Azaña di cui ammira “ragione e diritto nella lotta”. E ancora, fra i numerosi altri, Unamuno e il suo razionalismo angosciato, la “splendida pleiade della generazione del ‘27″, e infine Borges, “lo scrittore più significativo del nostro tempo, delle nostre vertigini”, e l’amico Montalbán.
Uno “straordinario viaggio di conoscenza”, per usare la felice immagine di Sarah Zappulla Muscarà che sottolinea come la scoperta della Spagna, “corteggiata con lucida passione dall’innamorato Sciascia”, faccia prevalere, “come un primo amore intenso e disperato”, una componente emozionale tenacemente controllata dalla vigile attività censoria della controparte illumista.
Entelechia di una appassionata storia d’amore, le splendide immagini di Giuseppe Leone, l’amico fotografo che ha accompagnato Sciascia nel suo viaggio in terra iberica del 1984, restituiscono, nella duplice identità documentaria e narrativa, la singolare esperienza viatoria del partire per restare, per meglio conoscere, attraverso la Spagna, la Sicilia.
Laura Marullo
Da LA SICILIA del 7 giugno 2009

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Leonardo Sciascia – A ciascuno il suo
Audiolibro
Voce narrante: Massimo Malucelli
Durata: 4h 19’
Prezzo CDMP3: 19.99 €

aciascunoilsuo_cdowIn occasione del ventesimo anniversario della morte del grande scrittore e intellettuale siciliano, il Narratore propone in audiolibro (lettura di Massimo Malucelli) uno dei romanzi più conosciuti e apprezzati di Leonardo Sciascia. Pubblicato nel 1966, A ciascuno il suo traccia, attraverso l’indagine di un tranquillo uomo qualunque su un duplice omicidio apparentemente inspiegabile, il profilo di una mafia che ha ormai intriso l’intero sistema di potere, non soltanto la politica e l’economia siciliane, ma la stessa amministrazione centrale, i partiti politici e la burocrazia romana. Sullo sfondo, l’analisi minuziosa dell’animo siciliano, la contiguità di vita e morte, il mito carnale della donna. (Per dettagli e info, cliccare qui e qui).

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Il muro di Berlino. 13 agosto 1961-9 novembre 1989 (Mondadori)
di Taylor Frederick

Nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1961, nell’inquietante scenario di un mondo sull’orlo della distruzione atomica, Berlino venne tagliata in due da un reticolo di filo spinato che separò, talvolta per sempre, genitori e figli, fratelli, amici e amanti. L’operazione, tanto inattesa quanto fulminea, riuscì grazie alla perfetta efficienza con cui fu compiuta. Lo scopo dichiarato di Walter Ulbricht, il leader tedesco orientale che l’aveva ordinata, era porre fine al continuo esodo di popolazione verso la parte occidentale della città (ancora controllata dalle forze armate di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia), unico ponte per raggiungere la ricca Germania Ovest. La mossa si rivelò vincente: nonostante l’angosciato sgomento di 4 milioni di berlinesi e lo sdegno dell’opinione pubblica mondiale, divenne subito chiaro che ogni reazione era di fatto impossibile, e comunque troppo rischiosa. Intrecciando dati ufficiali, fonti d’archivio e testimonianze personali, Frederick Taylor racconta tre decenni della storia di una capitale e di una grande nazione europea che, in un lungo e tormentatissimo dopoguerra, improvvisamente si trovarono spaccate a metà. Oltre che sulle trame politiche, l’interesse di Taylor si concentra sulla vita quotidiana, sulle paure e sulle speranze dei berlinesi prigionieri che, con sempre più ingegnosi e disperati tentativi di fuga, favorirono paradossalmente la trasformazione dell’originario reticolato nell’alto muro che li avrebbe privati a lungo della libertà.

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AGGIORNAMENTO DEL 23/11/2009

Aggiorno il post per presentare altri due ospiti (nella parte del dibattito dedicato a Sciascia): Marcello Benfante e Daniela Privitera, autori di due libri dedicati a Leonardo Sciascia (seguono schede). Avremo modi di conoscere i due autori nell’ambito della discussione già sviluppatasi in questo post.

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LEONARDO SCIASCIA di Marcello Benfante
Gaffi editore, Prezzo: 13.50 Euro, pagg. 182, 2009

Leonardo Sciascia. Appunti su uno scrittore eretico - Marcello Benfante - copertinaA vent’anni dalla morte (Palermo 20/11/1989), una riflessione appassionata e puntuale sul valore civile della scrittura e sull’enorme apporto di Leonardo Sciascia all’Italia del Secolo Breve. Un bilancio sul segno lasciato da questa scomparsa in venti anni di storia contemporanea passata solo apparentemente senza lasciare traccia. Chi è oggi “l’autore”? Che rapporto ha con la politica, la società, i suoi stessi lettori? Ha ragione chi pensa a Roberto Saviano come all’erede dello scrittore di Racalmuto?
Il dibattito culturale e quello politico, la cronaca e la letteratura, le querelles sulla mafia e la giustizia, confermano continuamente l’acutezza e la lungimiranza del suo sguardo critico e del suo pessimismo analitico, non cessando di causare scandalo e aspri contraddittori.

A metà strada tra critica militante e analisi letteraria, questo profilo esamina le diverse sfaccettature della sua poliedrica opera e della sua scomoda personalità di intellettuale disorganico: la produzione narrativa e quella saggistica, gli interventi giornalistici e le controverse polemiche, la sua tormentata riflessione sui temi del diritto e quella più olimpica sulla tradizione culturale. Ne emerge un appassionante ritratto icastico, chiaroscuro, di uno scrittore complesso e sofferto, diviso tra pessimismo e impegno civile, moralismo e disincanto, distacco ironico parodico e coinvolgimento nella tragedia umana. (Chiara Di Domenico)

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Il giallo siciliano da Sciascia a Camilleri. Tra letteratura e multimedialità, di Daniela Privitera (Kronomedia, 2009,euro 10, pagg. 134)

Il saggio di Daniela Privitera è una breve escursione nei territori del giallo.
Dopo una sintetica ed agile presentazione della storia del poliziesco classico, la diegesi narrativa si concentra sulla peculiarità del giallo siciliano che, secondo l’autrice, si rivela come un genere letterario ad alto livello di entropia, in quanto scardina gli automatismi strutturali del romanzo a circuito chiuso, tipici del poliziesco. Partendo da Sciascia (maestro esemplare del giallo atipico) e passando per Bufalino, Silvana La Spina, Piazzese, Enna e Camilleri, l’autrice ritrova un filo rosso che lega i giallisti siciliani alla sofferta indagine della problematicità del reale. Il noir siculo insomma, secondo l’autrice, diventa per i Siciliani, un “pre-testo” per disquisire e interrogarsi sui perchè della giustizia (umana o soprannaturale). Il giallo pertanto, per i nostri scrittori, diventa il colore di un popolo che tra le pieghe di una scrittura barocca, ironica, raziocinante e terragna grida la sua piccola ed unica verità: l’accettazione del mistero e la rinuncia all’eterno.
La terza parte del saggio propone una rapida visione dei risvolti del poliziesco nelle realizzazioni teatrali e nelle riduzioni televisive e cinematografiche”.

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UN CARNEVALE DA RACCONTARE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/03/05/un-carnevale-da-raccontare/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/03/05/un-carnevale-da-raccontare/#comments Tue, 05 Mar 2019 20:30:13 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/02/03/un-carnevale-da-raccontare/ Il Carnevale letteratitudiniano (ri)passa da questo post annuale che si prefigge di provare a… raccontarlo.
Siete tutti invitati a farlo.
In che modo? Ecco alcuni spunti, forniti a titolo di esempio:
- microracconti sul carnevale (pura fiction)
- il carnevale nei vostri ricordi d’infanzia e adolescenza
- il carnevale oggi
- citazioni di opere letterarie che, in un modo o nell’altro, hanno a che fare con il carnevale.

Di seguito, l’ormai storico articolo di Alessandro Defilippi pubblicato su Ttl del 26 gennaio 2008…

Inoltre, se vi va, – fino a martedì notte – potrete “mascherarvi” travestendosi in un personaggio letterario, dei fumetti, del cinema (ma va bene anche indossare una “maschera classica”)… per partecipare a una carnascialesca festa letteratitudiniana che avrà luogo proprio qui, in questo post.
Si tratta di scegliere un personaggio, “impersonarlo” (appunto) e rilasciare commenti in coerenza con il personaggio impersonato.

Grazie a chi potrà e vorrà partecipare!


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di ALESSANDRO DEFILIPPI

Festa singolare, il carnevale. Per i vecchi torinesi è un luogo, divenuto sinonimo d’un evento: «Mi porti in Piazza Vittorio?», chiedevano i bambini, e la piazza era il carnevale, affollata di giostre e baracconi, con i morbidi manganelli di plastica verde da inseguirci le ragazzine, le lingue di Menelik, l’inestricabile garbuglio delle stelle filanti. E a sera la piazza diveniva quella che Ungaretti chiamò «una decomposta fiera». Perché questa, più d’ogni altra, è una festa ambigua, che porta con sé un sentore di morte. Festa del corpo pesante (il corpo di Gargantua, di cui parla Bachtin), di quell’addio alla carne (carne, vale!) che annuncia la quaresima e che viene celebrato con l’eccesso e con l’inversione dei ruoli. Festa orgiastica, in cui frenetica scorre l’energia, ma anche festa mortifera, durante la quale, al riparo della maschera, può accadere ogni cosa, si può commettere ogni peccato, consumare ogni passione. Festa in cui i confini – di sesso, di ceto, di morale – si assottigliano, sfumando l’uno nell’altro, e permettono l’erompere del caos nel flusso ordinato del tempo.
Florens Christian Rang, «funzionario statale ma anche pastore, giurista, filosofo e teologo», è un’eccentrica e fondamentale figura di intellettuale tra XIX e XX secolo. Amico dei maggiori, da Hoffmansthal a Buber, da Rosenzweig a Benjamin, di lui in Italia assai poco si conosce, ed è pertanto benvenuto il ritorno della sua Psicologia storica del carnevale (Bollati Boringhieri, pp. 126, e 9). Preceduta e seguita da due densi – talora fin troppo criptici – saggi di Fabrizio Desideri e di Massimo Cacciari, l’opera rivela un’intensità di scrittura e una libertà di pensiero che ci rimandano a Nietzsche e ai grandi della psicologia dinamica.
Carnevale, nell’interpretazione di Rang, è il car navale, il carro che trascina il tempo lungo lo zodiaco e lo scandisce, ma anche la nave dei folli – stultifera navis – dei cortei e delle pitture medievali. Il carnevale è un interludio nel tempo ordinato dell’anno, è il riempimento, fatto di scherno, follia e rovesciamento, dei giorni intercalari, che cadono tra la nascita e la morte del Salvatore, tra il giorno del sole – il solstizio d’inverno, che nel cuore del buio celebra il sol invictus con la sua promessa di ritornare a illuminare il mondo – e il buio psicologico della Passione e Morte del dio. Festa dunque che incide con forza nello spirito la carne, ricordandocene la presenza, l’ottuso legame che abbiamo con la vita e con la terra. Carnevale è dunque «un pezzo di storia della religione», in cui la risata di scherno è «la prima blasfemia».

Rang fa risalire il carnevale alla Caldea favolosa e storica degli astrologi e dei Magi, e poi all’ebbrezza dionisiaca. Dioniso non è però il cordiale Bacco romano, con la coppa in mano e la corona di pampini sul capo: è invece lo Sbeffeggiatore del Mondo. L’associazione è con Arlecchino. Arlecchino è la maschera che serve due padroni, che inverte i ruoli e le regole, il bastonato che diventa bastonatore, ma è anche il discendente di Hellequin, diavolo conduttore dell’Exercitus Mortuorum nei misteri popolari del medioevo, e nel cui nome risuona quello dell’Inferno: l’Hell inglese e l’Hel scandinavo. Del carnevale medievale e rinascimentale Rang non parla: ne tratterà Bachtin, parlando dell’inversione dei ruoli tra uomo e donna, uomo e bestia, servo e padrone, prete e peccatore, nella costruzione di quel «mondo alla rovescia» in cui pare che per una volta tutto sia possibile.
Se tutto, il dritto e il torto, diventa possibile, allo psicologo pare inevitabile associare il carnevale all’Ombra, metafora adoperata da Jung per indicare il socialmente inaccettabile, ma anche l’energia che da quel rimosso prorompe, se riconosciuta. Nel tempo dell’inversione, l’Ombra, al riparo della maschera, può parlare e agire. Come ogni dismisura essa però richiamerà il suo polo opposto: in quanto portatrice di energia e di vitalità corporale non potrà pertanto che richiamarci alla morte, facendo oscillare il tempo del carnevale tra l’euforia e la depressione, la gioia sfrenata e la malinconia. L’eccesso carnale ci ricorda la precarietà del corpo; lo sforzo del piacere ci riporta all’immobilità della tristezza: «Post coitum omne animal triste».

Ma per Rang il carnevale è anche il segno della libertà che l’uomo cerca di prendersi nei confronti di Dio: la libertà dello scherno, della blasfemia. In questo gioco d’inversioni, però, la risata beffarda si rovescia ancora una volta, e il riso, nota Cacciari, «è già anche risus paschalis, riso gioioso di rinascita». Oscillando tra l’Ombra (l’inverno, le vittime dilaniate dalle Baccanti, il pericolo annidato nel buio) e l’alba della rinascita pasquale, il carnevale, festa per eccellenza degli opposti, si muove tra perdizione e redenzione, tra Dio e Diavolo-Arlecchino. Tra quei due, dice Rang, l’uomo scelse, nel tempo del Medio Evo, il primo: così il carnevale si spense, continuando ad aggirarsi «come uno spettro», e «il riso della felicità è andato perduto», sostituito dall’ebbrezza dell’ascesi.
Peggio forse va ai moderni, per i quali, la nuova ascesi è «il dovere del lavoro». Ma in fondo alla nostra psiche, verrebbe da aggiungere, «il carnevale impazza», alimentato dal pathos, da quella passione di vivere che è anche la sofferenza di accettare la vita nella molteplicità e nell’imperfezione, nella luce e nella confusione. Noi, più o meno consapevoli, non possiamo che continuare a percorrere la nostra via, e «la via dell’umanità è la via dello spirito e la via dello spirito quella della passione».

(fonte: Tuttolibri, in edicola sabato 26 gennaio 2008)

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IN MEMORIA DI UGO RICCARELLI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/07/23/in-memoria-di-ugo-riccarelli/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/07/23/in-memoria-di-ugo-riccarelli/#comments Mon, 23 Jul 2018 13:45:39 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5363 In occasione del quinquennale della scomparsa di Ugo Riccarelli (Cirié, 3 dicembre 1954 – Roma, 21 luglio 2013) rimettiamo in primo piano questo post pubblicato poco dopo la sua scomparsa

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Post del 6 agosto 2013

ugo-riccarelliSono rimasto profondamente scosso dalla notizia della scomparsa di Ugo Riccarelli, avvenuta a Roma il 21 luglio scorso. Aveva 58 anni. Era nato a Ciriè, in provincia di Torino, il 3 dicembre 1954. La sua salute è sempre stata cagionevole, anche per via del doppio trapianto di cuore e polmone a cui fu costretto a sottoporsi anni fa in Inghilterra. La notizia, comunque, mi ha colto di sorpresa… e ho avuto bisogno di qualche giorno per “metabolizzarla” e organizzare questo dibattito su Letteratitudine dedicato alla memoria dello scrittore del “dolore perfetto”.

Ecco come si autopresentava Ugo Riccarelli nello spazio online a lui intestato sul sito de “Il Fatto Quotidiano”

Sono nato nel 1954, in una cittadina della cintura torinese, da una famiglia toscana. Ho studiato Filosofia presso l’Università di Torino e per molto tempo mi sono occupato di azione e promozione culturale in campo scolastico e teatrale, aprendo un cineclub, fondando un gruppo teatrale, lavorando in biblioteche civiche. Nel 1985 ho iniziato il mio percorso di emigrante al contrario, cominciando a scendere a Sud, verso Pisa dove ho vissuto per 16 anni occupandomi, tra le altre cose, di comunicazione: sono stato addetto stampa al Comune. Nel 2002 sono venuto a Roma dove ho lavorato prima nello staff del sindaco e quindi con il Teatro di Roma. Nel 1995 ho pubblicato il mio primo libro, “Le scarpe appese al cuore” con Feltrinelli (Mondadori 2002) al quale sono seguiti “Un uomo che forse si chiamava Schulz” (Piemme 1998) premiato con il Selezione Campiello 1998 e, nella traduzione francese, con il Prix Wizo 2001, “Stramonio” (Piemme 2000 e Einaudi 2009), “Il dolore perfetto” (Mondadori 2004) vincitore del Premio Strega 2004 e, nella traduzione spagnola, del Campiello Europeo nel 2006; “Un mare di nulla” (Mondadori 2006), “Comallamore” (Mondadori 2009), “La Repubblica di un solo giorno” (Mondadori 2011), “Ricucire la vita” (Piemme 2011) oltre alle raccolte di racconti “L’Angelo di Coppi” (Mondadori 2002), “Pensieri crudeli” (Perrone 2006) e “Diletto” (Voland 2009). Ho firmato alcune drammaturgie e collaborato con diverse testate giornalistiche e riviste tra le quali La Repubblica, Il Sole 24 Ore, Diario, Grazia, Il Tirreno. I miei libri sono tradotti in numerosi Paesi.

Il suo ultimo romanzo, edito da Mondadori, si intitola “L’amore graffia il mondo” ed è finalista al Premio Campiello 2013 (e in lizza per il SuperCampiello). Qualche mese fa ho avuto modo di incontrare Ugo Riccarelli nell’ambito del mio programma radiofonico “Letteratitudine in Fm“. È stata un bella chiacchierata. Ugo ha tracciato il suo percorso letterario parlando dei suoi inizi, delle letture con cui si è formato, delle sue abitudini di scrittura, dell’amicizia con Tabucchi e – naturalmente – del nuovo romanzo (di cui ha anche letto le prime pagine). Potete ascoltare la puntata cliccando sul pulsante audio (qui sotto)…

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A pochi giorni dalla scomparsa, nella tradizione di Letteratitudine, mi piacerebbe ricordare questo nostro scrittore con il vostro indispensabile contributo. Dedico dunque questo “spazio” alla memoria di Ugo Riccarelli, anche con l’auspicio di contribuire a farlo conoscere a chi non avesse ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.

Chiedo a tutti di contribuire lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione… ma anche link ad altri siti e quant’altro possa servire a ricordare Riccarelli e la sua produzione letteraria. Seguono alcune domande volte a favorire la discussione.

1. Che rapporto avete con le opere di Ugo Riccarelli?

2. Qual è quella che avete amato di più?

3. Qual è quella che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Tra le varie “citazione” di Riccarelli di cui avete memoria (o che magari avrete modo di leggere per questa occasione)… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

5. Qual è l’eredità che Riccarelli lascia nella letteratura italiana?

Grazie in anticipo per la vostra partecipazione.

Contestualmente, LetteratitudineNews accoglierà contributi dedicati a Riccarelli. Ne approfitto subito per ringraziare Stefano Petrocchi (segretario esecutivo della Fondazione Bellonci: Ugo Riccarelli era uno dei componenti del Comitato Direttivo del Premio Strega) e lo scrittore Paolo Di Paolo per gli articoli che hanno messo a mia disposizione (potete leggerli cliccando sui loro nomi).

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CETTI CURFINO di Massimo Maugeri (La nave di Teseo) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/05/09/cetti-curfino-di-massimo-maugeri-la-nave-di-teseo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/05/09/cetti-curfino-di-massimo-maugeri-la-nave-di-teseo/#comments Wed, 09 May 2018 15:13:21 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7782

Cetti Curfino (Cover)Care amiche e cari amici di Letteratitudine,

desidero condividere con voi la notizia dell’uscita del mio nuovo romanzo edito da La nave di Teseo e intitolato “Cetti Curfino“.

Con molti di voi ho già avuto modo di interagire su Facebook (e vi ringrazio per il vostro commovente affetto).

Qui di seguito troverete: un mio articolo (pubblicato sulla pagina cultura del quotidiano “La Sicilia”) in cui racconto la genesi del romanzo, una sintetica rassegna stampa (in corso di aggiornamento), la scheda del libro e il booktrailer (con la splendida interpretazione di Carmelinda Gentile nei panni di Cetti Curfino).

Comincia una nuova avventura letteraria, cari amici.

Grazie di cuore per il vostro sostegno!

Massimo Maugeri

(p.s. per un po’ di tempo lascerò questo post in evidenza)

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CETTI CURFINO: racconto di un romanzo

Massimo Maugeri racconta – sulle pagine de “La Sicilia” – come è nato il suo nuovo romanzo intitolato “Cetti Curfino”, in uscita il 10 maggio per La nave di Teseo

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di Massimo Maugeri

Ricordo benissimo il momento in cui la voce di questo personaggio giunse alle mie orecchie per la prima volta. Accadde qualche anno fa, ancor prima del 2011: anno in cui il racconto “Ratpus”, dove appare per l’appunto Cetti Curfino, venne pubblicato nella raccolta “Viaggio all’alba del millennio” edita da Perdisa. Ogni storia nasce a modo suo e non sempre è facile risalirne alle origini; ma in questo caso andò proprio così: prima di ogni altra cosa giunse la voce, poi il resto. E la voce era quella di una donna che pronunciava questa frase: «Intanto per incominciare è meglio che chiariamo un punto».

Si trattava di una donna arrabbiata, disperata. Provai a visualizzarla e l’immagine che mi apparve fu quella di una bella e problematica quarantenne con le mani aggrappate alle sbarre della cella di una prigione: occhi chiari, capelli castani, corpo sinuoso. Dal tono della voce sapevo che questa donna era tutt’altro che istruita. Doveva provenire da un quartiere degradato e dunque parlava in maniera sgrammaticata. A parte questo, non sapevo null’altro di lei. Di conseguenza cominciai a pormi delle domande. Per quale motivo era finita in carcere? Qual era il punto che voleva chiarire? E a chi si stava rivolgendo? Iniziai a scrivere buttando giù quella prima frase. Il resto venne da sé. Per prima cosa capii che questa donna aveva bisogno di raccontare la sua storia, di essere compresa. Così pensai che stesse scrivendo una lettera indirizzata al commissario di polizia che l’aveva arrestata (una lettera strampalata e, inevitabilmente, sgrammaticata). Mi misi in ascolto e la lasciai parlare. A mano a mano che lei parlava venni a conoscenza degli elementi fondamentali della storia e di come la sua vita si fosse trasformata in un vero e proprio inferno (perché, come dice Cetti, c’è l’inferno dei morti e quello dei vivi. Quest’ultimo è peggiore, perché i morti non hanno la necessità di «riempirsi la pancia»). E di come fosse giunta a commettere – sebbene in maniera non preventivata – un crimine che non può comunque essere giustificato. Ma c’è sempre (si spera) la possibilità di una redenzione.

Il racconto rimase custodito all’interno di “Viaggio all’alba del millennio” fino a che, circa tre anni dopo, non fui contattato dal regista Manuel Giliberti. Manuel aveva letto “Ratpus” ed era rimasto molto colpito. Mi disse che quel testo era perfetto per una trasposizione teatrale in forma di monologo in atto unico. Aveva già in mente l’attrice adatta a impersonare Cetti Curfino: Carmelinda Gentile. Fino a quel momento non avevo mai incontrato Carmelinda, ma la conoscevo anche grazie all’interpretazione del ruolo di Beba nell’ambito del “Commissario Montalbano” televisivo. Espressi a Manuel il mio entusiasmo e il progetto partì.

La prima, per la regia dello stesso Giliberti, ebbe luogo a Messina nel novembre 2015. Lo spettacolo beneficiò di successo e avrebbe travalicato i confini nazionali (nel 2016 sarebbe andato in scena persino ad Amsterdam), ma fu lì, a Messina, che capii che Carmelinda Gentile era l’interprete ideale di Cetti Curfino. Carmelinda non recitava. Carmelinda viveva Cetti. Carmelinda era Cetti. Posso affermare che il germe di questo libro nacque proprio mentre la protagonista finiva di raccontare la sua storia e si spegnevano le luci di quel primo spettacolo. È stato in quel momento che, con un’emozione mozzafiato, mi sono chiesto: e ora che ne sarà di lei? Quella domanda si ripropose ogni volta che ebbi modo di assistere alle successive rappresentazioni. Insomma, il personaggio (che ormai aveva le sembianze di Carmelinda Gentile) prese a bussare con insistenza alla mia porta (per dirla con Dacia Maraini).

Alla fine mi arresi e buttai giù l’incipit di questo romanzo: «Appena la vide, pensò due cose. La prima: il suo era uno di quegli sguardi capaci di bloccare il respiro. La seconda: la sua bellezza era dotata di un incanto ferale».

A chi apparteneva questa nuova voce? Chi era che, entrando in carcere, e incontrando per la prima volta Cetti, aveva pensato quelle due cose? Ai margini della mia immaginazione si materializzò questo giovane: simpatico, ma un po’ impacciato. Mi dissi che doveva essere un giovane giornalista spiantato che desiderava raccontare la storia della Curfino in un libro. Uno dei tanti che collaborano “quasi gratis” con un quotidiano locale online. Immaginai che vivesse con un’anziana zia, affettuosa ma asfissiante, un po’ fissata con le faccende domestiche. Insomma: sullo schermo della mia mente prendeva sempre più corpo una specie di Peter Parker italiano (anzi, siciliano), che viveva con una specie di zia May (anche lei sicula), ma senza avere i superpoteri di Spiderman. Gli dissi: ti chiamerai Andrea Coriano. Il giovane spiantato si strinse nelle spalle e annuì. È così che è nato “Cetti Curfino”: un romanzo strutturato sull’alternanza delle voci di questi due personaggi – Cetti e Andrea – che cercano nella scrittura una personale forma di riscatto.

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Per le conoscere le date della presentazione del romanzo e gli eventi in corso clicca qui

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RASSEGNA STAMPA

Romanzo finalista alla 32esima edizione 2018-2019 del Premio Letterario Chianti

Su “Il Sole 24Ore” – Domenica (recensione di Filippo La Porta)
[I due personaggi principali, il Cronista trentenne – esitante, eterno adolescente “adottato” da zia Miriam – e la Detenuta quarantenne – di una “bellezza selvaggia” che toglie il respiro, cosi determinata che infine scriverà lei il proprio libro! – sono disegnati con accuratezza (se qualcuno ne ricavasse una flction TV diventerebbero più banali: solo la parola può evocare tutte le sfumature che sfuggono alla piattezza dell’immagine). Ma la invenzione principale di Maugeri è la lingua che impresta a Cetti, un mezzo dialetto, un italiano sgraziato però educato a un ordine logico]

su “Tuttolibri”- “La Stampa” (recensione di Amedeo La Mattina)
[Cetti, dotata di «una bellezza ferale», di quelle che toglie il fiato, sceglie la strada che la porta in una cella. Massimo Maugeri ci conduce dentro questa prigione, ci fa entrare nella testa di una donna che concentra l’umiliazione e la disperazione di milioni di donne alla ricerca della propria dignità.]

su “Fahrenheit – Radio 3″ (Libro del giorno di Fahrenheit – con Loredana Lipperini)
[Cetti Curfino è una donna prorompente, con labbra carnose e occhi che rivelano abissi. Andrea ha letto la sua storia sui quotidiani: una donna semplice, un marito che muore mentre lavora in nero, un figlio da sistemare, e una lenta discesa nelle viscere di una società che sa essere molto crudele]. – per ascoltare la puntata clicca qui

Su Rai1 – La partecipazione di Massimo Maugeri al programma “Mille e un libro” di Gigi Marzullo
[clicca sul libro per vedere il video]

su “L’Espresso” (Freschi di stampa di Sabina Minardi)
[Un linguaggio che sa affrontare con credibilità registri diversi, incluso quello imperfetto e sincero della detenuta siciliana]

su “La Lettura – Il Corriere della Sera”
[Romanzo di formazione di Cetti e, nello stesso tempo di Andrea, il giornalista che ne vuole raccontare la storia, Cetti Curfino è (anche) un inno al potere salvifico della scrittura.]

su “la Repubblica.it” (recensione e intervista di Silvana Mazzocchi)
[La realtà raccontata in forma di fiction, storie credibili che scavano nei problemi sociali del nostro tempo. (...) Una storia nella storia confezionata da Massimo Maugeri con abilità, talento e passione.]

su “Il Mattino” (recensione di Francesco Durante)
[Maugeri confeziona una storia semplice, insieme disperata e lieve, algida e sensuale, con un esito a sorpresa. La sua protagonista s’impone a cagione di una personalità veramente speciale, e fin dal primo momento merita la più cordiale solidarietà del lettore.]

su “Robinson – la Repubblica” (recensione di @CasaLettori)
[Cetti Curfino (La nave di Teseo) è “vittima invisibile di una società intenta a crogiolarsi tra le proprie miserie”. (...) La morte del marito, l’odio del figlio, la precarietà del quotidiano e un gesto di ribellione che pagherà caro. Sentiamo sulla pelle la disperazione di chi non ha scelta, ricattata da una povertà che non fa sconti. Guerriera orgogliosa non si lascia distruggere dall’esperienza carceraria].

su “Avvenire” (recensione di Bianca Garavelli)
[Romanzo originalissimo di doppia formazione, Cetti Curfino ci svela le brutture di una società che non ha rispetto per i suoi ultimi, donne o uomini che siano, confermandoci un Maugeri ottimo narratore dopo la già convincente prova di Trinacria Park.]

su “la Repubblica – Palermo” (recensione di Gianni Bonina)
[È il suo urlo così contemporaneo che, chiudendo alla fine il libro di Maugeri, sentiamo riecheggiare. Un urlo di donna che sostituisce il viandante di Munch e si infrange contro le nostre coscienze sorde]

su “La Sicilia” (recensione di Maria Rita Pennisi)
[Il romanzo tratta altre tematiche come le morti bianche, l’omicidio, l’amicizia, l’amore, la politica, la passione torbida, la detenzione e il senso di colpa del protagonista. Il tutto è descritto in modo magnifico dalla penna sapiente di Massimo Maugeri, che sa dosare perfettamente dramma, comicità e ironia.]

su “La Gazzetta di Parma” (recensione di Elisa Fabbri)
[Con questo suo nuovo romanzo, «Cetti Curfino», lo scrittore siciliano Massimo Maugeri ha realizzato un’opera caratterizzata da pagine commoventi accostate ad altre crude e inquietanti, lasciando sempre trasparire una sottesa tenerezza. (...) Emerge il ritratto di una donna straordinaria, schiacciata e ferita dalla vita ma non uccisa, come dimostra l’inatteso, magnifico finale.]

su “Vivere – La Sicilia” (articolo/intervista di Domenico Trischitta)
["Cetti Curfino" (La nave di Teseo) di Massimo Maugeri è un romanzo travolgente, avvincente, e la sua protagonista è uno di quei personaggi che difficilmente dimenticheremo].

su “La Gazzetta del Sud” (recensione di Francesco Musolino)
[Pagina dopo pagina, con una prosa svelta, Maugeri dipana la matassa e alla resa dei conti si viene presi in contropiede da un colpo di scena finale che capovolge la prospettiva. Ma la verità, la nuda verità delle cose, nasconde un potere catartico e liberatorio...].

su “La Gazzetta di Parma” online (recensione di Marilù Oliva)
[Una storia che tocca il cuore e che fa riflettere, un libro necessario per comprendere e correggere i lati distorti della nostra società.]

su “Casa dei Lettori” (intervista di Maria Anna Patti)
[Cetti Curfino è una leonessa. La vita l’ha messa all’angolo, schiacciandola tra le pieghe di una società cinica e frettolosa, troppo presa da se stessa per accorgersi delle tragedie umane dei singoli.]

su “La Sicilia” (Massimo Maugeri racconta il suo romanzo “Cetti Curfino”)
[Un romanzo strutturato sull’alternanza delle voci di questi due personaggi – Cetti e Andrea – che cercano nella scrittura una personale forma di riscatto].

su “Ponza Racconta” (recensione di Tea Ranno)
[Ma un libro di denuncia, quanto può essere pericoloso? Quanto può dare fastidio a chi si fa largo a spallate e coltellate dentro la vita per non essere sopraffatto? Quanto possono essere dure le conseguenze della verità? (...) Buttana è la vita, Cetti, e buttana pure la morte che ti viene ad allisciare, a spingere verso di te la sua ombra rapinosa.]

Su “L’Immaginazione” e “La poesia e lo spirito” (recensione di Giorgio Morale)
[Una struttura a cerchio che rivela la sapienza compositiva di Massimo Maugeri. (...) Davvero, sempre, “la verità aiuta”? Anche noi, convinti di una funzione anche sociale della letteratura, non possiamo non porci questa domanda, che rende Cetti Curfino di Massimo Maugeri una sorta di apologo, di conte philosophique e ne accresce la complessità.]

su “I Love Sicilia” (recensione di Camillo Scaduto)
[“Cetti Curfino” è, dunque, oltre che un romanzo, anche un faro puntato sulla condizione carceraria  della donna e della donna madre in particolare, temi scottanti e di bruciante attualità che Massimo Maugeri non esita a trattare con cura, pur dentro i confini della fiction.]

Su “Mangialibri” (recensione di Mattia Insolia)
[Maugeri è un narratore formidabile. Ha un controllo della penna superbo, costruisce personaggi tridimensionali con cui non possiamo fare a meno di empatizzare. Personaggi che sfuggono a qualsiasi etichetta, in cui bene e male non possono essere divisi da una linea di demarcazione netta].

su “FuoriAsse” (recensione di Domenico Trischitta)
[Questo romanzo è anomalo, o meglio esemplare, nasce per necessità esistenziale e per necessità letteraria.]

sulprogramma televisivo LA VALIGIA E LA LUNA” – Telecittà ch 654 (clicca sul link per vedere il video)
[Si fa sempre più strada l'idea di un film su "Cetti Curfino" - Massimo Maugeri con il conduttore Giuseppe Lissandrello e con l'attrice Carmelinda Gentile e il regista Manuel Giliberti]

su “Radio Radicale (Le parole e le cose con Massimiliano Coccia)
["Le parole e le cose - Intervista a Massimo Maugeri, autore del libro "Cetti Curfino" (La nave di Teseo)" realizzata da Massimiliano Coccia con Massimo Maugeri (giornalista e scrittore)] – per ascoltare la puntata clicca qui

su “Global Press Italia” (recensione di Cristina Marra)
[Una storia nera, forte che ti investe come un pugno e ti conquista con una carezza, è quella di “Cetti Curfino” di Massimo Maugeri che gioca abilmente sulla doppiezza e gli opposti della struttura narrativa e della caratterizzazione dei personaggi. (…) Maugeri dopo “Trinacria Park” si riconferma un maestro della parola e del sapiente miscuglio di generi in un romanzo che non concede soste e che riempie il silenzio omertoso con una voce indimenticabile, la voce di chi ha fretta e bisogno di essere ascoltato come lo vuole essere la terra siciliana  che con Maugeri diventa metafora  per raccontare la contemporaneità].

su “Il Libraio.it”
[Chi è Cetti Curfino? Qual è la storia che l’ha portata in carcere? Il nuovo romanzo di Massimo Maugeri ha per protagonista un giornalista alle prime armi che incontra una detenuta speciale]

su “Sul Romanzo (recensione di Lavinia Palmas)
[Una storia che riesce a coinvolgere il lettore già dalle prime righe perché narra le vicende di una donna in cerca di giustizia in onore del marito che ha perso la vita. La narrazione risulta toccante non solo per i temi affrontati, ma anche per le modalità con cui l’autore riporta i fatti che vengono raccontati dalla voce della protagonista che parla con un italiano imperfetto, creando così un’atmosfera più informale e intima con il lettore.]

su “Libreriamo” (intervista)
[La Sicilia come metafora per raccontare la nostra contemporaneità, con alcune problematiche “trasversali” rispetto ai territori, come la condizione femminile, la sicurezza sul lavoro, la disoccupazione, i paradossi insiti nei quartieri a rischio].

su “Notabilis” (recensione di Orazio Caruso)
[Cetti è un personaggio inconfondibile, che preme per essere raccontato, per raccontarsi, che si impone con la sua voce unica, con la sua versione dei fatti. Cetti è un personaggio che non cerca l’autore, perché è lei stessa l’autrice in cerca di un pubblico a cui raccontarsi.]

su “SoloLibri” (recensione di Milena Privitera)
[«Cetti Curfino» (La Nave di Teseo, 2018) di Massimo Maugeri è un romanzo che ti incanta... è un romanzo stilisticamente perfetto raccontato all’unisono da due voci, che si incontrano e scontrano in un lasso di tempo che aiuterà entrambi a trovare una ragione di essere]

su “Pangea” (intervista di Gianluca Barbera)
[Non avevo alcuna scaletta. Né quando ho iniziato a scrivere il racconto, né quando ho iniziato a lavorare al romanzo. Cetti Curfino è il personaggio letterario più potente in cui, nella mia esperienza di scrittura, mi sono mai imbattuto finora. È sempre stata lei a condurre le danze.]

su “Agoravox Italia” (recensione di Flaminia P. Mancinelli)
[Un romanzo - e capita sempre più di rado, che ha il merito di prenderti fin dalle prime pagine e di non lasciarti più, neanche dopo aver finito e chiuso il libro.]

su “OggiMilazzo” (recensione)
[Un libro che va letto tutto d’un fiato. Pagina dopo pagina. Descrizione dopo descrizione. Sentimento dopo sentimento. Personaggio dopo personaggio. Perchè sì, in “Cetti Curfino” il racconto spesso è toccante e appassiona anche per i tanti aspetti sociali che vengono magistralmente messi in evidenza.]

su “Sotto Il Vulcano” (recensione di Simona Pappalardo)
[“Cetti Curfino” è un viaggio, un percorso, una destinazione. Va letto con calma e assaporato, lasciandosi cullare dalle parole della stessa protagonista, infarcite di errori grammaticali ma piene di “anima”.]

su “Persona e Danno” (recensione di Maria Zappia)
[Sono i piani della narrazione e la lingua che attraggono in quest’opera: lingua curata e precisa nelle parti in cui si esprime Andrea con i suoi tentativi di dare ordine ad una vita apparentemente incolore (...) e la lingua forte e violenta di Cetti, la lingua in cui la donna reclusa tenta di esprimere la propria verità, una lingua tutta dialettismi e senso pratico meridionale.]

su “Thriller Nord” (recensione di Francesca Mogavero)
[Una prova letteraria che scavalca la grammatica e i generi – la classifichiamo come giallo, noir, narrativa? – e che ci regala una figura femminile epica nei suoi difetti, straordinaria nel suo essere “sempre femmina seria”]

su “La Sicilia” (articolo di Domenico Russello)
[L’universo carcerario visto attraverso gli occhi di una donna dalla bellezza potente, che racconta la sua storia.]

su La Gazzetta del Mezzogiorno”
[La storia di Cetti Curfino è quella raccontata in un romanzo potente sull’origine delle azioni umane e sul mistero di ogni delitto, costruito come un valzer tra due personaggi, due specchi – drammatici e comici – dell’essere uomini e donne in terra di Sicilia].

su “La Civetta di Minerva” (articolo e intervista di Maria Lucia Riccioli)
[Uno dei punti di forza è nel linguaggio forte e dall’impronta dialettale cucito addosso a Cetti]

su “Blog Letteratura e Cultura” (recensione di Gabriella Maggio)
[La narrazione scorre fluida lungo i trentasette capitoli che alternano la  lingua italiana di Andrea e zia Miriam e altri personaggi al dialetto siciliano, che aspira a un’italianizzazione precaria e scorretta, usato da Cetti nel  suo inconsapevole percorso di autoanalisi nelle lettere scritte al  commissario Ramotta per racconta tutta la sua storia.]

su “Cultureggiando” (recensione di Antonino Genovese)
[un libro intenso, commovente, ma intriso di ironia e Sicilitudine, che ne fanno un piccolo e raro gioiello nel marasma editoriale contemporaneo.]

su “Critici per caso” (recensione di MG Colombo)
[Un processo di autodeterminazione ed emancipazione straordinario. Tutto compreso e rappresentato da due lettere autografe, che sono un inno commovente al valore della lettura e alla forza delle parole.]

su “InfoVercelli24″ (articolo di Francesca Rivano, con incipit del libro e intervista)
[La bellezza, e la potenza narrativa di questo libro, s'intravede subito, dalle prime righe]

su “Corriere Etneo” (servizio e videointervista a cura di Nicola Savoca)
[Cetti Curfino è una donna risoluta che sconta in carcere un delitto. Pur ricorrendo ad un linguaggio malfermo, la donna racconta ad un giovane giornalista la sua storia.]

su “NoCrime OnlyArt” (articolo/intervista di Linda Cercari)
[Un romanzo molto umano, ricco e intenso.]

su “Leggereonline” (intervista di Flaminia P. Mancinelli)
[John Lennon è stato molto presente nella fase di scrittura di questo romanzo. (...) Il titolo di questa canzone scuote come uno schiaffo: Woman is the nigger of the world (La donna è il negro del mondo).]

su “Convenzionali” (recensione di Gabriele Ottaviani)
[Cetti Curfino è il simbolo del dolore del mondo, è una protagonista straordinaria ritratta mirabilmente che ci racconta della vana prepotenza dell’inumanità. Eccellente.]

su “Letto, riletto, recensito” (intervista di Salvatore Massimo Fazio)
[Rispetto a Cetti Curfino credo che emergano soprattutto due problematiche: l’essere invisibili agli occhi di una società ripiegata su se stessa, incapace - a volte - di volgere lo sguardo nei confronti di chi precipita in situazioni di bisogno e di indigenza; la "condizione femminile" che, nei luoghi più disagiati, è ancora più drammatica.]

su “L’Immediato”
[Un romanzo denso di significati, in grado di rappresentare la Sicilia attraverso una figura potente e affascinante.]

su “L’Immediato” / 2
[Anche il pubblico alla Ubik è rimasto affascinato dal racconto e da come l’autore lo ha vissuto. La voce dei due personaggi e di Cetti Curfino in particolare si è come “canalizzata” in Maugeri, come in una nuova esperienza pirandelliana.]

Su “La Gazzetta Augustana
[ “Quello di Massimo Maugeri è un meta-romanzo, ossia un romanzo sullo scrivere romanzi e sull’importanza dei libri perché un libro non è mai innocuo e la scrittura può essere salvifica, come sarà per Cetti Curfino”]

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CETTI CURFINO di Massimo Maugeri (La nave di Teseo)

Cetti Curfino (Cover)

Collana Oceani, narrativa italiana, pp. 256, 18 euro

Un giornalista, una donna detenuta in carcere, una confessione che non può più aspettare.

Un giornalista giovane e spiantato, Andrea Coriano, entra in un carcere per incontrare una detenuta, Cetti Curfino. Gli si pone davanti una donna prorompente, labbra carnose, corpo colmo, occhi che rivelano abissi. Andrea ha letto la storia di Cetti sui quotidiani: una donna semplice, un marito che muore mentre lavora in nero, un figlio da sistemare e una lenta discesa nelle viscere di una società che sa essere molto crudele. Una storia di politici senza scrupoli e amici fedeli, di confessioni improvvise e segreti infamanti, un caso che ha fatto molto parlare ma che adesso sta per spegnersi, ingoiato da altri clamori. Il giornalista ha subito creduto che la sua storia andasse raccontata e ora che se la trova lì, ferina, impastata di dialetto, dolore e femminilità, capisce di non essersi sbagliato.

Chi è Cetti Curfino? Qual è la storia che l’ha portata in carcere? Sarà in grado di aprire a lui – giornalista alle prime armi – la propria vita, i percorsi oscuri che l’hanno condotta fin lì? Andrea non ha molte armi professionali in tasca, e nemmeno molti strumenti di seduzione, in verità. Al più, può sfoderare con una certa autoironia le proprie difficoltà. La vita con zia Miriam ad esempio, e le corse in macchina per portarla in giro con il suo festoso gruppo di amiche di mezza età, vedove ringalluzzite dalla gioia di godersi la stagione del tramonto. La voce di Cetti, però, non gli dà tregua: vibrante nel suo italiano imperfetto, sembra salire dalle profondità della terra di Sicilia.

Cetti Curfino è un romanzo potente sull’origine delle azioni umane e sul mistero di ogni delitto, costruito come un valzer tra due personaggi che cercano nella scrittura la propria verità.

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CINQUE ANNI DALLA MORTE DI ANTONIO TABUCCHI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/03/25/omaggio-a-antonio-tabucchi/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/03/25/omaggio-a-antonio-tabucchi/#comments Sat, 25 Mar 2017 16:00:27 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=3993 CINQUE ANNI DALLA MORTE DI TABUCCHI (Pisa, 23 settembre 1943 – Lisbona, 25 marzo 2012)

Rimetto in primo piano questo post dedicato ad Antonio Tabucchi a cinque anni esatti dalla sua scomparsa (avvenuta il 25 marzo 2012). Sarò a grato a chiunque di voi vorrà contribuire a ricordarlo.

Massimo Maugeri

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POST DEL 24 SETTEMBRE 2012

Oggi, 24 settembre 2012, Antonio Tabucchi, avrebbe compiuto 69 anni.

Rimetto in evidenza questo post pubblicato in occasione della sua scomparsa, avvenuta il 25 marzo 2012.
In occasione di questa ricorrenza, la casa editrice Cavallo di Ferro ha pubblicato un volume intitolato Una giornata con Tabucchi.

Su LetteratitudineNews potrete leggere l’intervista che Romana Petri, Paolo Di Paolo e Ugo Riccarelli (tre dei quattro coautori di questo libro) hanno rilasciato a Simona Lo Iacono.

Naturalmente invito tutti a lasciare un nuovo pensiero per Tabucchi.

Buon compleanno, Antonio!

Massimo Maugeri

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Post del 25 marzo 2012
http://cdn.blogosfere.it/arteesalute/images/ANtonio-Tabucchi-morto-a-Lisbona.jpgUn altro grande della nostra letteratura, ci lascia. Si tratta di Antonio Tabucchi, che si è spento oggi 25 marzo 2012, a Lisbona, all’età di 68 anni, a seguito di una lunga malattia.
Considerato una delle voci più rappresentative della letteratura europea, Tabucchi era nato a Pisa, il 24 settembre 1943. La sua impronta letteraria rimarrà per sempre legata al suo amore per il Portogallo. D’altra parte è stato il maggior conoscitore, critico e traduttore italiano dell’opera di Fernando Pessoa.
I libri di Antonio Tabucchi sono tradotti in quaranta lingue (in tutti i paesi europei, Stati Uniti e America Latina e nelle lingue più lontane, come il Giapponese, Cinese (Taiwan e Repubblica Popolare Cinese), Ebraico, Arabo (Libano e Siria), Kurdo, Indi, Urdu e Farsi.
Alcuni dei suoi romanzi sono stati portati sullo schermo da registi italiani e stranieri (Roberto Faenza, Alain Corneau, Alain Tanner, Fernando Lopes) o sulla scena da rinomati registi teatrali (Giorgio Strehler e Didier Bezace fra gli altri).
Ha ricevuto numerosi premi in Italia, fra cui il Pen Club Italiano, il Premio Campiello (per “Sostiene Pereira”) e il Premio Viareggio-Rèpaci; e prestigiosi riconoscimenti all’estero, fra cui il Prix Médicis Etranger (per “Notturno indiano”), il Prix Européen de la Littérature e il Prix Méditerranée in Francia; l’Aristeion in Grecia; il Nossack dell’Accademia Leibniz in Germania; l’Europäischer Staatspreis in Austria; il Premio Hidalgo e il premio per la libertà di opinione “Francisco Cerecedo” attribuito ogni anno dal Principe delle Asturie, in Spagna. È stato nominato “Chevalier des Arts et des Lettres” dalla Repubblica francese e ha ricevuto la decorazione dell’Ordine dell’Infante D. Henrique dal presidente della Repubblica portoghese.
È stato professore cattedratico dell’Università di Siena ed ha insegnato in prestigiose Università straniere (Bard College di New York, Ecole de Hautes Etudes e Collège de France di Parigi). Ha collaborato con quotidiani italiani e stranieri (“Corriere della Sera”, “Repubblica”, “L’Unità”, “Il manifesto”, “Le Monde”, “El País”, “Diário de Notícias”, “La Jornada”, “Allegemein Zeitung”) e riviste quali “La Nouvelle Revue Française” e Lettre International”. È membro fondatore dell’”International Parliament of Writers”. Dal 2000 era stato proposto dal Pen Club italiano all’Accademia di Svezia quale candidato italiano per il Nobel di letteratura.

Tabucchi ci lascia… e Il tempo invecchia in fretta: è il titolo di uno dei suoi libri più recenti. Ce ne parla l’autore stesso, in questo video pubblicato sul canale YouTube della Feltrinelli (il suo editore).

Dedico questo “spazio” alla memoria di Antonio Tabucchi. Come accaduto con altri artisti della scrittura che ci hanno lasciato, questo piccolo “tributo” vuole essere appunto un omaggio, ma anche un’occasione per far conoscere questo autore a chi non ha ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.
Chiedo a tutti di contribuire lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione, informazioni biografiche… ma anche link ad altri siti e quant’altro possa servire a ricordare Antonio Tabucchi e la sua produzione letteraria.

Per favorire la discussione, vi propongo le seguenti domande…

1. Che rapporti avete con le opere di Antonio Tabucchi?
2. Qual è quella che avete amato di più?
3. E l’opera di Tabucchi che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?
4. Qual è l’eredità che Tabucchi ha lasciato alla letteratura mondiale?

Ringrazio tutti, in anticipo, per i contributi che riuscirete a far pervenire…

Massimo Maugeri

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http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/03/25/omaggio-a-antonio-tabucchi/feed/ 324
LETTERATITUDINE 3: LETTURE, SCRITTURE E METANARRAZIONI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/02/24/letteratitudine-3-letture-scritture-e-metanarrazioni/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/02/24/letteratitudine-3-letture-scritture-e-metanarrazioni/#comments Fri, 24 Feb 2017 14:21:53 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7445 Care amiche e cari amici,
come qualcuno di voi saprà, di recente è uscito il volume intitolato “Letteratitudine 3: letture, scritture e metanarrazioni” (LiberAria).
Si tratta del terzo volume che ho curato e pubblicato con riferimento alle attività di Letteratitudine. Quest’ultimo, tuttavia, è un libro speciale. Anzi, specialissimo. Perché nasce anche – e soprattutto – con l’intento di festeggiare i dieci anni di attività online di questo “luogo d’incontro virtuale” (Letteratitudine nasce, infatti, nel mese di settembre dell’anno 2006).
Come ho provato a spiegare nella prefazione del libro, quella di Letteratitudine è stata (e continuerà a essere) un’esperienza di “condivisione” (una parola che – credo – oggi più che mai debba essere tutelata e valorizzata).
In tutti questi anni posso dire che “condivisione” è stata la parola chiave per eccellenza di Letteratitudine. Del resto è evidente il fatto che la letteratura, la cultura, i libri, i “saperi”, hanno ragion d’essere solo in un’ottica di condivisione. Lo spirito di condivisione – peraltro – favorisce anche l’accoglienza di punti di vista differenti, persino opposti e contrapposti (partendo dalla considerazione che la diversità di idee e opinioni, fondata sul reciproco rispetto, è sempre occasione di crescita). In oltre dieci anni di attività ho sempre lavorato perché lo spirito della condivisione, così inteso, fosse presente e aleggiasse su ogni attività organizzata e portata avanti con Letteratitudine.
Ecco perché questo libro è nato nell’ottica dello spirito di condivisione.
Ringrazio, ancora una volta, di vero cuore le amiche scrittrici e gli amici scrittori che mi hanno aiutato a realizzarlo donandomi il loro contributo.
Grazie, amici cari. Grazie di vero cuore!

* * *

Ne approfitto per fornire qualche informazione ulteriore sui contenuti di questo libro.
Credo che il sottotitolo sia già di per sé piuttosto indicativo: letture, scritture e metanarrazioni.
In estrema sintesi direi che le sezioni che lo compongono ruotano fondamentalmente sui due pilastri della “condivisione letteraria”: la lettura e la scrittura.

Il volume è formato da quattro sezioni, precedute – come già accennato – da una mia prefazione dove tento di “fare il punto” su questi dieci anni. La prima parte del libro è dedicata a una serie di interviste (sulla lettura e sulla scrittura) incentrate sul numero dieci. Dieci interviste strutturate sulla base di dieci domande (in questa sezione ho coinvolto: Ferdinando Camon, Massimo Carlotto, Antonella Cilento, Giancarlo De Cataldo, Maurizio de Giovanni, Nicola Lagioia, Dacia Maraini, Melania G. Mazzucco, Raul Montanari, Clara Sereni). La seconda sezione ospita una lunga serie di Autoracconti (dove gli scrittori sono stati invitati a raccontare i loro libri concentrandosi soprattutto sull’aspetto “creativo” della loro attività di scrittura). La terza sezione è dedicata alle Lettere (rivolte a scrittori scomparsi e/o personaggi letterari): qui ho chiesto agli amici scrittori di scegliere uno scrittore scomparso che avevano avuto modo di conoscere personalmente (o di studiare in maniera approfondita) oppure un personaggio letterario particolarmente amato… e di scrivergli una lettera immaginando che il “ricevente” (scrittore scomparso o personaggio letterario) avesse davvero la possibilità di leggerla. La parte finale del libro è dedicata a Vincenzo Consolo che ho voluto ricordare con il contributo di tanti amici scrittori e critici letterari.

Di seguito, riporterò l’indice completo del volume.

* * *

Care amiche e cari amici di Letteratitudine, che ci seguite con affetto da così tanto tempo… spero che possiate trovare questo libro utile e di vostro gradimento. E spero che possiate darci una mano a renderlo “vivo” attraverso la vostra lettura.
Ancora una volta, la condivisione si rivela come necessaria.

* * *

Il libro è disponibile nelle migliori librerie e presso i punti di rivendita online (Amazon libri, Ibs, Feltrinelli libri, Mondadori store, Libreria Universitaria, ecc.)

Indice
Prefazione di Massimo Maugeri pag. 7

Parte I
Lettura e scrittura:
dieci domande a dieci scrittori:

Ferdinando Camon – pag. 31
Massimo Carlotto - pag. 35
Antonella Cilento - pag. 38
Giancarlo De Cataldo - pag. 44
Maurizio de Giovanni - pag. 47
Nicola Lagioia - pag. 50
Dacia Maraini - pag. 52
Melania G. Mazzucco - pag. 55
Raul Montanari - pag. 61
Clara Sereni – pag. 67

Parte II
Autoracconti d’Autore:
scrittori raccontano i propri romanzi

Emanuela E. Abbadessa, Fiammetta - pag. 73
Eraldo Affinati, L’uomo del futuro - pag. 75
Marco Balzano, L’ultimo arrivato - pag. 78
Alessandro Bertante, Gli ultimi ragazzi del secolo - pag. 82
Rossana Campo, Dove troverete un altro padre come il mio – pag. 84
Paola Capriolo, Mi ricordo - pag. 86
Glenn Cooper, Il calice della vita - pag. 89
Mauro Covacich, La sposa - pag. 92
Maria Rosa Cutrufelli, Il giudice delle donne - pag. 94
Mario Di Caro, La capitana dell’isola di nessuno - pag. 96
Luca Doninelli, Le cose semplici - pag. 98
Ildefonso Falcones, La regina scalza - pag. 102
Catena Fiorello, L’amore a due passi - pag. 106
Chiara Gamberale, Per dieci minuti - pag. 109
Vittorio Giacopini, La mappa - pag. 112
Luigi Guarnieri, Il sosia di Hitler - pag. 116
Orazio Labbate, Lo Scuru - pag. 119
Nicola Lagioia, La ferocia - pag. 122
Joe R. Lansdale, La foresta - pag. 125
Simona Lo Iacono, Le streghe di Lenzavacche - pag. 128
Massimo Lugli, Stazione omicidi - pag. 131
Lorenzo Marone, La tentazione di essere felici - pag. 134
Paola Mastrocola, L’esercito delle cose inutili - pag. 138
Giordano Meacci, Il cinghiale che uccise Liberty Valance - pag. 143
Elena Mearini, Bianca da morire - pag. 147
Claudio Morandini, Neve, cane, piede - pag. 149
Giorgio Nisini, La lottatrice di sumo - pag. 153
Marilù Oliva, Le sultane - pag. 155
Demetrio Paolin, Conforme alla gloria - pag. 157
Marco Peano, L’invenzione della madre - pag. 162
Sergio Pent, I muscoli di Maciste - pag. 166
Sergio Claudio Perroni, Il principio della carezza - pag. 168
Romana Petri, Le serenate del Ciclone - pag. 170
Piergiorgio Pulixi, La notte delle pantere - pag. 174
Sara Rattaro, Splendi più che puoi - pag. 180
Paolo Roversi, Solo il tempo di morire - pag. 183
Clara Sánchez, Le cose che sai di me - pag. 185
Evelina Santangelo, Non va sempre così - pag. 187
Vanni Santoni, Terra ignota - pag. 192
Giuseppe Schillaci, L’età definitiva - pag. 195
Brunella Schisa, La scelta di Giulia - pag. 197
Elvira Seminara, Atlante degli abiti smessi - pag. 199
Marcello Simoni, L’Abbazia - pag. 202
Simona Sparaco, Equazione di un amore - pag. 204
Mariapia Veladiano, Una storia quasi perfetta - pag. 206
Grazia Verasani, Senza ragione apparente - pag. 209

Parte III
Lettere a personaggi letterari e autori scomparsi

Lettera ad Alice
di Francesca G. Marone – pag. 213
Lettera a Honoré de Balzac
di Mariolina Bertini – pag. 218
Lettera a Rocco Carbone
di Romana Petri – pag. 223
Lettere a Marianna Coffa
di Marinella Fiume – pag. 228
di Maria Lucia Riccioli – pag. 234
Lettera a Cthulhu
di Marco Peano – pag. 238
Lettera a Stefano D’Arrigo
di Tea Ranno – pag. 242
Lettera a Dracula
di Guglielmo Pispisa – pag. 244
Lettera a Marguerite Duras
di Sandra Petrignani – pag. 248
Lettera ad Alfonso Gatto
di Carmen Pellegrino – pag. 252
Lettera a Jean-Claude Izzo
di Stefania Nardini – pag. 256
Lettera a Primo Levi
di Sara Rattaro – pag. 258
Lettera a Katherine Mansfield
di Lia Levi - pag. 261
Lettera a Elsa Morante
di Graziella Bernabò - pag. 266
Lettera ad Anna Maria Ortese
di Adelia Battista - pag. 272
Lettera a padre Paneloux
di Filippo Tuena - pag. 278
Lettera a Pier Paolo Pasolini
di Francesco Pecoraro - pag. 284
Lettera a Perelà
di Claudio Morandini - pag. 289
Lettera a Hercule Poirot
di Ornella Sgroi - pag. 293
Lettera a Giuseppe Pontiggia
di Daniela Marcheschi - pag. 298
Lettera a Ugo Riccarelli
di Giulia Ichino - pag. 302
Lettera a Emilio Salgari
di Patrizia Rinaldi - pag. 304
Lettera a Gregorio Samsa
di Andrea Caterini - pag. 309
Lettere a Leonardo Sciascia
di Antonio Di Grado - pag. 312
di Vincenzo Vitale - pag. 315
Lettera a Manlio Sgalambro
di Domenico Trischitta - pag. 319
Lettera a Winston Smith
di Carlotta Susca - pag. 322
Lettera ad Antonio Tabucchi
di Paolo Di Paolo - pag. 326
Lettera a Tereza
di Mavie Parisi - pag. 329
Lettera a Marianna Ucrìa
di Simona Lo Iacono - pag. 334
Lettera a Sebastiano Vassalli
di Michele Rossi - pag. 337

Parte IV
Omaggio a Vincenzo Consolo

In ricordo di Vincenzo Consolo
intervista a Consolo di Massimo Maugeri – pag. 341
Per Vincenzo Consolo, poeta e profeta
di Maria Attanasio – pag. 346
Alle soglie del témenos
di Sebastiano Burgaretta – pag. 349
La memoria di una “voce narrante”
di Domenico Calcaterra – pag. 352
Quei frammenti caduti dal cielo: Lunaria 2.0
di Eliana Camaioni – pag. 356
Un mite guerriero
di Maria Rosa Cutrufelli – pag. 362
Per Vincenzo Consolo (e per Bufalino e Sciascia)
di Antonio Di Grado – pag. 367
L’utopia di Vincenzo Consolo: Itaca senza proci
di Giuseppe Giglio – pag. 369
Come Nicolas De Staël d’après Seghers
di Salvatore Silvano Nigro – pag. 373
Vincenzo Consolo, scrittore antagonista
in lotta con il potere

di Massimo Onofri – pag. 377
L’amara saggezza del narrare: Vincenzo Consolo
e Los desastres de la guerra di Francisco Goya

di Salvo Sequenzia – pag. 381
Vincenzo Consolo, l’irrequietudine
e il sigillo della scrittura

di Natale Tedesco – pag. 387
Vincenzo Consolo: la ferita che non guarisce
di Anna Vasta – pag. 389

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OMAGGIO A DARIO FO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/10/13/omaggio-a-dario-fo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/10/13/omaggio-a-dario-fo/#comments Thu, 13 Oct 2016 15:45:27 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7305 Ci lascia Dario Fo. Aveva festeggiato il suo novantesimo compleanno il 24 marzo scorso. Artista poliedrico: drammaturgo, attore, regista, scrittore, autore, illustratore, pittore, scenografo, attivista e altro ancora. L’apice del suo successo è stato raggiunto con l’assegnazione del Premio Nobel per la letteratura nel 1997 (con la seguente motivazione: “seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”). Il connubio artistico con l’amata moglie Franca Rame ha avuto un ruolo molto importante nel mondo artistico italiano (e non solo italiano).

Su LetteratitudineNews, a gennaio, avevamo pubblicato le prime pagine del suo recente romanzo RAZZA DI ZINGARO (Chiarelettere, 2016).

Dedico questo “spazio” alla memoria di Dario Fo con l’intento di celebrarlo, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere le opere di questo nostro artista.

Massimo Maugeri

* * *

Dario FoDario Fo (Sangiano, 24 marzo 1926 – Milano, 13 ottobre 2016) ha innovato il teatro comico italiano attraverso spettacoli, realizzati spesso insieme alla moglie Franca Rame. Sintesi dei motivi ispiratori del suo teatro è Mistero buffo (1969), rielaborazione di antichi testi popolari padani con continue allusioni al presente. Nel 1997 gli è stato conferito il premio Nobel per la letteratura.

Fin dagli esordi negli anni Cinquanta, come attore e autore di riviste e atti unici farseschi, ha rivelato spiccate doti mimiche e intelligenza scenica, mettendole al servizio di un progetto di rinnovamento integrale del teatro comico italiano. Tale progetto, cui ha dato un notevole contributo, come coautrice e prima attrice, la moglie Franca Rame, si è espresso in una ricca produzione di spettacoli, che, dalle brillanti commedie della prima fase (Gli arcangeli non giocano a flipper, 1959; Aveva due pistole dagli occhi bianchi e neri, 1960; Chi ruba un piede è fortunato in amore, 1961), passando attraverso l’esperimento brechtiano di Isabella, tre caravelle e un cacciaballe (1963), la satira politica di Settimo, ruba un po’ meno (1964) e La signora è da buttare (1967), e la scoperta del ricco patrimonio di canti popolari tradizionali (Ci ragiono e canto, 1966), è giunto alle farse degli anni Settanta, di ispirazione apertamente protestataria e militante, anche nella scelta di un pubblico popolare e nella ricerca di luoghi e circuiti di rappresentazione alternativi a quelli ufficiali (Morte accidentale di un anarchico, 1970; Tutti uniti, tutti insieme, ma scusa quello non è il padrone?, 1971; Guerra di popolo in Cile, 1973; Il Fanfani rapito, 1975; La marijuana della mamma è sempre più bella, 1976; ecc.), e, nella fase successiva, alla satira più divertita di Clacson, trombette e pernacchi (1980), Coppia aperta (1983), Il papa e la strega (1990), Zitti, stiamo precipitando (1990), Johan Padan a la descoverta de le Americhe (1991). Coerente testimonianza della sua opzione estetica per la creatività giullaresca dei ceti più bassi, può essere considerato Mistero buffo, più volte ripreso e modificato dopo la prima rappresentazione (1969). Nel 1997 è stato insignito del premio Nobel per la letteratura. Dopo il riconoscimento, si è impegnato soprattutto in campagne politiche e democratiche. Con lo spettacolo Marino libero! Marino è innocente! (1998), sorta di monologo con mimi e pupazzi in forma di arringa, ha proposto una lettura polemica del processo ad Adriano Sofri e ad altri esponenti di Lotta Continua per l’omicidio del commissario Calabresi. Nel 1999 ha creato Lu santo jullare Francesco, monologo sulla figura del santo di Assisi. Del 2003 è l’opera satirica L’anomalo bicefalo, e del 2007 Sotto paga, non si paga, rielaborazione di un testo degli anni Settanta. La sua decennale inventività figurativa, oltre a pupazzi e bozzetti di costumi per i suoi spettacoli, ha prodotto disegni, caricature, acquerelli, ritratti, tavole e fumetti, dal segno personalissimo e di beffarda e sgargiante incisività. Da ricordare è anche la presenza di Fo in spettacoli televisivi come per esempio Canzonissima nel 1962. Oltre a Le commedie (6 voll., 1974-84), ha pubblicato anche il Manuale minimo dell’attore (1987). Gli è stata assegnata la laurea honoris causa dall’università della Sorbona di Parigi (2005) e dall’università La Sapienza di Roma (2006). Fo ha inoltre continuato a essere molto attivo in campo politico e sociale: nel 2006 alle elezioni comunali di Milano ha presentato una propria lista (Uniti con Dario Fo), venendo eletto consigliere comunale; tuttavia dopo pochi mesi ha rinunciato al mandato. Negli ultimi anni Fo ha portato in scena diversi spettacoli, come l’inedito Sant’Ambrogio e l’Invenzione di Milano (2009) e Monologhi di Franca Rame e Dario Fo (2011); nel 2011 ha curato la regia de Il barbiere di Siviglia (Teatro Massimo Bellini di Catania). Cospicua anche la produzione letteraria; tra le pubblicazioni più recenti si ricordano: Il mondo secondo Fo. Conversazione con Giuseppina Manin (2007), Giotto o non Giotto (2009), L’osceno è sacro (2010), Arlecchino (2011), Dio è nero! Il fantastico racconto dell’evoluzione (2011), Il paese dei misteri buffi (con G. Manin, 2012); i suoi primi romanzi, entrambi del 2014, La figlia del papa, sulla vita di Lucrezia Borgia, e Ciulla, il grande malfattore (con P. Sciotto), storia di Paolo Ciulla, il pittore anarchico siciliano che produsse le sue banconote da 500 lire, beffando la Banca d’Italia. Nel 2012 è stata allestita al Palazzo Reale di Milano la mostra Dario Fo a Milano. Lazzi, sberleffi, dipinti, in cui l’artista fa della pittura un veicolo alternativo di satira politica, mentre è del 2014 la riscrittura in una nuova versione dal titolo Lu santo jullàre Françesco del lavoro del 1999, portata sulla scena teatrale ed edita nel volume omonimo nello stesso anno, e dell’anno successivo il romanzo storico su Cristiano VII C’è un re pazzo in Danimarca. Nel 2015 ha pubblicato il Nuovo manuale minimo dell’attore e Storia proibita dell’America, e sono dell’anno successivo il romanzo Razza di zingaro, tratto dalla vera storia del pugile sinti Trollmann, e Dario e Dio (con G. Manin), in cui affronta i temi della fede e della religiosità. Per i suoi 90 anni l’Archivio di Stato di Verona ha aperto un museo-laboratorio, il Musalab, dedicato al premio Nobel e a Franca Rame

[Fonte: Enciclopedia Treccani]

* * *


Dedichiamo, dunque, questo “spazio” alla memoria di Dario Fo con l’intento di celebrarlo, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere le opere di questo nostro artista.

Ecco le solite domande (volte a favorire la discussione):

1. Che rapporti avete con le opere di Dario Fo?

2. Qual è quella che avete amato di più?

3. E l’opera di Fo che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Tra le varie “citazione” di Fo di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

5. Qual è la principale eredità che Dario Fo ha lasciato nella letteratura italiana?


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IL MI-TO DEL SALONE DEL LIBRO: UNA PROPOSTA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/09/13/salone-del-libro-una-proposta/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/09/13/salone-del-libro-una-proposta/#comments Tue, 13 Sep 2016 18:42:42 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7278 torino-milano-libriUNA PROPOSTA sul Salone del Libro (tra Torino e Milano)

di Massimo Maugeri

Da giorni si discute della problematica relativa alla organizzazione di  due “Saloni” del libro da svolgersi tra Torino e Milano più o meno nello stesso periodo (leggi qui, qui e qui).
Allo stato attuale, il tradizionale Salone del libro di Torino dovrebbe svolgersi – come sempre – a maggio, mentre la nuova fiera del libro di Milano vedrebbe la luce ad aprile.

Ieri il ministro per i Beni e le attività culturali Dario Franceschini ha proposto l’organizzazione di  «un unico evento che metta insieme Milano e Torino nelle stesse date, che lavori sulla differenziazione e che punti a un’unica governance».
È già stato ampiamente evidenziato che non sarà facile trovare un accordo.
In ogni caso, al di là degli apprezzamenti per la buona volontà e per la proposta del Ministro Franceschini, sorgono alcune perplessità che provo a condividere brevemente qui di seguito.

Il Salone del Libro di Torino è sempre stato il Grande Evento nazionale (e il più conosciuto all’estero, tra quelli organizzati nel nostro Paese) dedicato ai libri e alla letteratura. I visitatori del Salone non sono soltanto i torinesi, ma lettori e addetti ai lavori provenienti da tutta Italia e dall’estero (così come una manifestazione simile realizzata a Milano non sarebbe solo per i milanesi). Immaginare un Salone unico, dislocato contestualmente tra Torino e Milano, non significherebbe dimezzare le possibilità di partecipazione tra le due sedi? Non avendo il dono dell’ubiquità i visitatori non potranno essere contestualmente presenti, nelle stesse date, a Torino e a Milano. Dovranno effettuare delle scelte. Scegliere di essere presenti un po’ qui e un po’ lì, peraltro, comporterebbe comunque evidenti disagi organizzativi e costi ulteriori per tutti. D’altra parte è difficile immaginare che gli editori imbastiscano stand in entrambi i luoghi. Certo, si potrebbe immaginare una sede dedicata alla parte più commerciale (con gli stand) e una dedicata ai grandi eventi. Ma chi farebbe cosa? Come ci si metterebbe d’accordo? E a chi servirebbe davvero uno sdoppiamento del genere?
E allora mi viene da pensare: non sarebbe più saggio e più utile per tutti immaginare un solo Salone, dislocato in una sola sede, da organizzare (insieme) ad anni alterni tra Torino e Milano?
A mio avviso potrebbe essere una buona soluzione.
Per il resto, se si volesse davvero organizzare qualcosa di nuovo e di “ulteriore” si potrebbe pensare a un altro Salone del libro per il Sud del Paese (dove si legge di meno e dove sarebbe davvero utile una presenza letteraria, editoriale e “libresca” forte)… magari itinerante (come è stato detto) e da organizzarsi in un diverso periodo dell’anno. Possibilmente insieme, ovvero per dirla con il Ministro Franceschini «puntando a un’unica governance».
Utopia?

* * *

(Questo articolo inaugura un nuovo spazio di Letteratitudine intitolato “A mio avviso”, a cura di Massimo Maugeri)

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CENTO ANNI DALLA NASCITA DI NATALIA GINZBURG http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/07/14/omaggio-a-natalia-ginzburg/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/07/14/omaggio-a-natalia-ginzburg/#comments Thu, 14 Jul 2016 18:03:43 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7218 Il 14 luglio del 1916, nasceva a Palermo, Natalia Levi Ginzburg (meglio nota come Natalia Ginzburg): una delle scrittrici più importanti del Novecento.
Suo padre, Giuseppe Levi, era uno scienziato triestino di origine ebraica; sua madre, Lidia Tanzi, una milanese cattolica. Il padre, peraltro docente universitario antifascista, sarà imprigionato e processato dal regime insieme ai tre fratelli di Natalia.
L’esordio letterario della Ginzburg risale al 1933, con la pubblicazione del racconto I bambini sulla rivista “Solaria”. Sposa Leone Ginzburg nel 1938 e da quel momento firmerà con il cognome del marito tutte le proprie opere. Dalla coppia nacquero tre figli: Carlo (che diventerà un noto storico e saggista), Andrea e Alessandra.

Nel 1940 Leone Ginzburg viene confinato a Pizzoli, in Abruzzo, per motivi politici e razziali (dove rimarrà fino al 1943). Natalia lo segue.
Il primo romanzo della Ginzburg vede la luce nel 1942 ed è, in origine, firmato con lo pseudonimo di Alessandra Tornimparte. Si intitola: La strada che va in città.

Il 1944 è un anno cruciale, di dolore e cambiamento. Nel mese di febbraio Leone viene torturato e ucciso nel carcere romano di Regina Coeli. A partire da questo periodo Natalia intensifica la sua attività lavorativa presso la casa editrice la Einaudi (Leone ne era stato uno dei fondatori). Nel 1945 si ristabilisce a Torino (dove aveva trascorso l’infanzia e l’adolescenza). La raggiungono i genitori e i figli (che durante l’occupazione nazista si erano rifugiati in Toscana).

Natalia GinzburgNel 1947 esce il suo romanzo È stato così. Nel 1950 sposa Gabriele Baldini, docente di letteratura inglese e direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Londra. Nasceranno due figli: Susanna e Antonio (entrambi portatori di handicap).

A partire dagli anni Cinquanta la produzione narrativa della Ginzburg si intensifica. Nel 1952 esce Tutti i nostri ieri; nel 1957 vede la luce la raccolta di racconti Valentino (premio Viareggio) e il romanzo Sagittario. Le voci della sera esce nel 1961, l’anno successivo pubblica la raccolta di saggi Le piccole virtù.
Lessico famigliareIl suo libro più celebre e fortunato è Lessico famigliare, con cui vince il Premio Strega nel 1963.
Negli anni successivi inizia a collaborare con la pagina culturale del Corriere della sera (in precedenza aveva collaborato con La Stampa), pubblica altri testi di narrativa e di saggistica, si dedica alla scrittura di testi teatrali e inizia a svolgere l’attività di traduttrice.
Negli anni Settanta pubblica: Mai devi domandarmi, 1970; Vita immaginaria, 1974; Caro Michele, 1973; Famiglia (racconto del 1977); La famiglia Manzoni, 1983; La città e la casa, 1984.

Di Natalia Ginzburg va ricordato anche il suo impegno politico, che giunge all’apice nel 1983 allorquando viene eletta al Parlamento nelle liste del Partito Comunista Italiano.

Natalia muore a Roma nella notte tra il 6 e il 7 ottobre 1991.

Care amiche e cari amici di Letteratitudine, dedico questo “spazio” alla memoria di Natalia Ginzburg – a cent’anni dalla sua nascita – con l’intento di celebrarla, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere questa nostra grande scrittrice a chi non avesse ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere… e vi invito (se ne avete la possibilità) a lasciare un vostro contributo tra i commenti di questo post.
Sono graditi interventi, contributi vari e la segnalazione di link attinenti ai contenuti di questo post.
Ecco qualche domanda volta a favorire i vostri interventi:

1. Che rapporti avete con le opere di Natalia Ginzburg?

2. Qual è quella che avete amato di più (oltre a Lessico famigliare)?

3. E l’opera della Ginzburg che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Tra le varie “citazione” della Ginzburg di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

5. A cent’anni dalla nascita, qual è l’eredità che Ginzburg ha lasciato nella letteratura italiana?

Ribadisco che qualunque tipo di contributo sulla vita e sulle opere di Ginzburg (citazioni, stralci di brani, considerazioni, recensioni, link e quant’altro) è gradito.

Di seguito vi propongo due video prodotti dalla Rai, dove potrete vedere e ascoltare la scrittrice: il primo è sull’intera vita di Natalia Ginzburg, il secondo è un approfondimento dedicato a “Lessico famigliare”. Per approfondimenti, vi consiglio la lettura di questo testo di Domenico Scarpa, tratto da Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 64 (2005).

Vi ringrazio anticipatamente per la partecipazione.

Massimo Maugeri


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OMAGGIO A UMBERTO ECO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/02/20/omaggio-a-umberto-eco/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/02/20/omaggio-a-umberto-eco/#comments Sat, 20 Feb 2016 11:28:42 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7058 La notizia della morte di Umberto Eco ci coglie di sorpresa e ci lascia sgomenti. Abbiamo ancora nelle nostre orecchie il suono delle parole del celebre scrittore da dove emerge il disappunto per la nascita della cosiddetta “Mondazzoli” e il conseguente avvio del progetto editoriale “La Nave di Teseo” (ne approfittiamo, peraltro, per segnalare che secondo il settimanale “L’Espresso“, l’Antitrust sembrerebbe orientata a impedire al gruppo Mondadori, dopo l’acquisto di Rcs Libri, di mantenere il controllo di due importanti case editrici tra quelle incluse nel pacchetto: la Bompiani e la Marsilio).
Gianni Coscia – avvocato e noto fisarmonicista, nonché l’amico più caro di Eco sin dai tempi del ginnasio – commenta così la notizia della scomparsa dello scrittore sul sito de “La Stampa“: «Sapevo che Umberto era malato da due anni di tumore, ma nessuno pensava che la sua fine sarebbe stata così imminente». E aggiunge: «Era uscito di casa per l’ultima volta a metà gennaio per festeggiare in un ristorante gli 80 anni di mia moglie Laura. La dote più grande era il profondo senso dell’amicizia ed era molto legato ad Alessandria, per venire cercava solo l’occasione intelligente». E infine: «Era molto disponibile, anche se all’apparenza non sembrava, era umile ma quel suo atteggiamento spavaldo era solo una difesa. Era un uomo timido, anche se nessuno lo direbbe».

Umberto Eco era nato ad Alessandria, il 5 gennaio 1932. È morto a Milano ieri sera, il 19 febbraio 2016, a causa di un tumore. Aveva 84 anni.
Semiologo, filosofo e scrittore divenne celebre in tutto il mondo dopo la pubblicazione del romanzo “Il nome della rosa“, avvenuta nel 1980 (in Italia per i tipi di “Bompiani”). Fu un successo travolgente e inatteso, con grandissimo riscontro sia dal punto di vista della critica sia da quello del gradimento dei lettori. Best-seller internazionale tradotto in oltre 40 lingue e venduto in cinquanta milioni di copie, “Il nome della rosa” si aggiudicò il Premio Strega nel 1981, fu tra i finalisti del prestigioso Edgar Award nel 1984 ed è stato inserito nella lista de “I 100 libri del secolo di Le Monde”.
Dal romanzo fu tratto, nel 1986, il film omonimo per la regia di Jean-Jacques Annaud, con Sean Connery nei panni di Guglielmo e Christian Slater nel ruolo di Adso.

La produzione “libresca” di Umberto Eco è cospicua. Ricordiamo, tra gli altri: “Diario minimo” (1963), “Apocalittici e integrati” (1964 – con nuova edizione nel 1977).
Tra i romanzi, oltre al citato “Il nome della rosa“, ricordiamo: “Il pendolo di Foucault” (1988), “L’isola del giorno prima” (1994), “Baudolino” (2000), “La misteriosa fiamma della regina Loana” (2004), “Il cimitero di Praga” (2010) e “Numero Zero” (2015), tutti editi in italiano da Bompiani.

Nell’ambito della saggistica ricordiamo: “Il superuomo di massa” (1976), “Lector in fabula” (1979), “Sei passeggiate nei boschi narrativi” (1994), “Sulla letteratura” (2002), “Dire quasi la stessa cosa” (2003).

Intanto, venerdì 26 febbraio uscirà il nuovo libro di Eco per i tipi de “La nave di Teseo“. Si intitola “Pape Satàn aleppe(476 pag. – 20€).

Quella che segue è la scheda del libro…

Crisi delle ideologie, crisi dei partiti, individualismo sfrenato… Questo è l’ambiente – ben noto – in cui ci muoviamo: una società liquida, dove non sempre è facile trovare una stella polare (anche se è facile trovare tante stelle e stellette). Di questa società troviamo qui i volti più familiari: le maschere della politica, le ossessioni mediatiche di visibilità che tutti (o quasi) sembriamo condividere, la vita simbiotica coi nostri telefonini, la mala educazione. E naturalmente molto altro, che Umberto Eco ha raccontato regolarmente nelle sue Bustine di Minerva.
È una società, la società liquida, in cui il non senso sembra talora prendere il sopravvento sulla razionalità, con irripetibili effetti comici certo, ma con conseguenze non propriamente rassicuranti. Confusione, sconnessione, profluvi di parole, spesso troppo tangenti ai luoghi comuni. “Pape Satàn, pape Satàn aleppe”, diceva Dante nell’Inferno (VII, 1), tra meraviglia, dolore, ira, minaccia, e forse ironia.

Dedico, dunque, questo “spazio” alla memoria di Umberto Eco con l’intento di celebrarlo, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere le opere di questo nostro grande scrittore a chi non avesse ancora avuto modo di leggerle.

Pongo le solite domande (volte a favorire la discussione):

1. Che rapporti avete con le opere di Umberto Eco?

2. Qual è quella che avete amato di più?

3. E l’opera di Eco che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Tra le varie “citazione” di Eco di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

5. Qual è la principale eredità che Umberto Eco ha lasciato nella letteratura italiana?

Sono graditi (e ringrazio anticipatamente i partecipanti) interventi, contributi vari e la segnalazione di link attinenti ai contenuti di questo post.

Di seguito, due video dedicati a Umberto Eco relativi alla “Consegna a Umberto Eco del Sigillum magnum d’oro – Cerimonia Dottori di Ricerca 2015″ e alla “Lectio Magistralis – Comunicazione Soft e Hard – 2014″.

Massimo Maugeri

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35 ANNI DALLA MORTE DI JOHN LENNON http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/12/08/john-lennon/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/12/08/john-lennon/#comments Tue, 08 Dec 2015 20:50:24 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6991 35 ANNI DALLA MORTE DI JOHN LENNON

Avevo 12 anni quando, la sera dell’8 dicembre 1980, John Lennon fu assassinato da Mark Chapman. L’ultimo album dell’ex-Beatle, “Double Fantasy“, era uscito poche settimane prima. Quella sera John e Yoko stavano rientrando alla loro residenza a palazzo Dakota, sulla 72ª strada, nell’Upper West Side a New York, di fronte al Central Park. Alle 22:51, questo folle omicida venticinquenne, colpì Lennon con quattro dei cinque colpi esplosi dalla sua pistola. La corsa al Roosevelt Hospital fu inutile. Il decesso fu dichiarato alle 23.07. L’artista di Liverpool aveva solo quarant’anni.

Devo tanto alla musica di John. I miei libri contengono molti riferimenti alle sue canzoni. Quello a cui sto lavorando adesso ne è proprio intriso.

Non aggiungo altro. Pubblico questo post e lo lascio aperto per vostri eventuali contributi, amiche e amici di Letteratitudine.
Riempitelo (se vi va) con notizie, citazioni, link, testi di canzoni e quant’altro possa contribuire a celebrare John Lennon e la sua arte.

Grazie, John!

Massimo Maugeri

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P.s. Di seguito, vi propongo “Gimme Some Truth”: video relativo alla realizzazione dell’album “Imagine”


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OMAGGIO A ELSA MORANTE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/11/26/omaggio-a-elsa-morante/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/11/26/omaggio-a-elsa-morante/#comments Thu, 26 Nov 2015 18:30:27 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=2728 Ieri, 25 novembre 2015, ho ricordato la ricorrenza del trentesimo anniversario della morte di ELSA MORANTE riproponendo la puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” andata in onda venerdì 8 marzo 2013 dedicata, per l’appunto, alla vita e alle opere di questa nostra grande scrittrice. Ospite: Graziella Bernabò, autrice del volume “La fiaba estrema. Elsa Morante tra vita e scrittura” (Carocci).

Nei prossimi giorni pubblicherò un’intervista a Sandra Petrignani incentrata sul volume “Elsina e il grande segreto” (edito da Rrose Sélavy).

Qui di seguito, invece, ri-propongo il post (e il dibattito che ne è seguito) pubblicato in occasione del venticinquesimo anniversario della morte della Morante (con un contributo di Paolo Di Paolo).

Il post è aperto per altri eventuali nuovi contributi.

Grazie di cuore in anticipo per l’attenzione.

Massimo Maugeri

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VENTICINQUE ANNI DALLA MORTE DI ELSA MORANTE
(post del 30 novembre 2010)

Periodo di “ricorrenze letterarie”, questo. Nelle scorse settimane abbiamo avuto modo di ricordare Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini.
Con questo post vorrei che ci occupassimo di Elsa Morante, scomparsa venticinque anni fa (per l’esattezza il 25 novembre del 1985).

La Morante – nata a Roma il 18 agosto 1912 – è senz’altro una delle più importanti autrici italiane dal dopoguerra a oggi. Basti pensare a opere come il suo romanzo d’esordio, “Menzogna e sortilegio” (pubblicato nel 1948 e vincitore del Premio Viareggio); “L’isola di Arturo” (pubblicato nel 1957 e vincitore del Premio Strega); “Il mondo salvato dai ragazzini” (opera mista di poesia, canzoni e una commedia, pubblicato nel 1968); e poi “La Storia” (pubblicato nel 1974: grande successo internazionale, anche se non mancarono critiche dure da parte di alcuni critici). Il suo ultimo romanzo, “Aracoeli”, fu pubblicato nel 1982.

Vi invito a discutere sulle opere e sulla figura di questa grande autrice (e pongo le solite domande volte a favorire la discussione)…

1. Che rapporti avete con le opere di Elsa Morante?

2. Qual è quella che avete amato di più?

3. E l’opera della Morante che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Tra le varie “citazione” della Morante di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

5. A venticinque anni dalla morte, qual è l’eredità che Elsa Morante ha lasciato nella letteratura italiana?

Qualunque tipo di contributo sulla vita e sulle opere di Elsa Morante (citazioni, stralci di brani, considerazioni, recensioni, link a video e quant’altro) è gradito.
Siete tutti invitati a intervenire, dunque.
Vi ringrazio anticipatamente per la partecipazione.

Di seguito, un video dedicato alla Morante.

Massimo Maugeri


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Aggiornamento del 3 dicembre 2010
Ringrazio Paolo Di Paolo, per avermi invato il pezzo che segue (dedicato alla memoria di Elsa Morante).
Massimo Maugeri

IL CONTRIBUTO DI PAOLO DI PAOLO SU ELSA MORANTE

Com’è strano, inatteso, questo silenzio. Sì, d’accordo, gli anniversari sono tanti e questo non è tondo. Ma dietro alla scarsa attenzione che ha destato il venticinquennale della morte di Elsa Morante, qualche ragione deve pur esserci. All’indomani di quel 25 novembre 1985, il critico Luigi Baldacci prendeva congedo dalla scrittrice ricordando come la malattia, nell’ultimo periodo, l’avesse tenuta a lungo «fuori dalla militanza letteraria; ma non era una dimenticata. Tutt’altro. Anzi, un mito resistente». Lo è ancora. Una storia della letteratura novecentesca non solo italiana non può fare a meno di lei. I suoi romanzi vengono letti; il suo nome e le sue storie non sono del tutto assenti dalle aule scolastiche. No, non è una dimenticata. E tuttavia il suo mito appare lontano, inattuale, quasi inservibile alle celebrazioni occasionali. Sembra, la sua assenza, molto più lunga. Come per i veri classici, la sua opera poco si presta alle attualizzazioni giornalistiche. Vi è in essa qualcosa di indocile, di solido, al punto da non piegarsi al richiamo del presente.
Rispondendo a un’inchiesta sul romanzo, nel 1959 criticava duramente i romanzieri («mediocri e falsi») impegnati ad apparire nuovi e moderni ai propri contemporanei, «mentre che il poeta vero sente (anche se non lo sa) che molti dei suoi lettori devono ancora nascere, e che la sua realtà è vera per sempre». Il «per sempre» di Elsa Morante non somiglia all’ambizione comune a molti che scrivono: non è, o non è solo, la volontà e la speranza di restare. È qualcosa di diverso e di raro. Come Elisa nelle prime pagine di Menzogna e sortilegio, Elsa pure avrebbe potuto scrivere di sé: «Il mio tempo e il mio spazio, e la sola realtà che m’apparteneva, eran confinati nella mia piccola camera». La camera della mente, certo, e della scrittura; la straordinaria camera della fantasia e delle visioni che rendono la fisionomia anche solo culturale di Morante imprendibile, quasi aliena al paesaggio letterario a lei coevo. La qualità della sua immaginazione – così potente, vorticosa, sovraccarica, stravolta come il vento che si alza su Almeria nel romanzo Aracoeli – non pare sensibile al «qui e ora»; sta altrove, remota e chiusa in sé, come una prigione e come un’isola.
Se un «frutto fuori stagione» poteva apparire, ai lettori del 1948, un romanzo-romanzo (o «l’ultimo romanzo possibile, l’ultimo romanzo della terra», come pretendeva l’autrice) Menzogna e sortilegio, cos’è – dell’opera di Morante – che non appare altrettanto fuori stagione, controtempo? Più ancora che il tempo della Storia, è quello della biologia, il tempo dei suoi romanzi: un sovra-tempo o non-tempo dove tutti i tempi si mescolano e si cancellano.
Non rispondono ad alcun calendario preciso Menzogna e sortilegio, o L’isola di Arturo, Aracoeli. E perfino La Storia, pure così carico di date, si apre con un «…19**» e si chiude con una valanga di puntini di sospensione: «…e la Storia continua…». Il tempo del corpo, del dolore, il tempo dei sentimenti in genere, e più di ogni altro il tempo dell’innocenza oltraggiata – la realtà «vera per sempre» – incrociano le strettoie degli anni e delle epoche, ma non appartengono ad esse. La felicità è impossibile, nel mondo: per gli uomini come per gli altri animali, per Iduzza come per il coniglio dei Marrocco. Tutti destinati a sparire, a finire in niente. Lo scandalo è crescere, è invecchiare. Lo scandalo è diventare adulti, è corrompersi. Confessa Manuel in Aracoeli: «La pubertà, ossia l’ingresso nell’età virile (la sagra onorifica dei Greci e dei Romani) per me fu un evento avverso: giacché in verità io non volevo crescere e mi pareva scandaloso farmi uomo. Le trasformazioni corporee della virilità mi sgomentarono al modo di un’usurpazione oltraggiosa». Prima di conoscere la realtà vera per sempre, prima di sapere che «fuori del limbo non v’è eliso», prima che Arturo lasci la sua isola, lì, nella «piccola età felice» delle canzoncine, dei «beati bacetti», la felicità è un’invenzione possibile: «SONO FELICE! (…) Come una prepotenza, la mia gioia invadeva la luce, lo spazio, ogni angolo della casa, anche il più polveroso ripostiglio».
Prima di Aracoeli, ogni pagina di Elsa Morante vibrava del conflitto tra la felicità dell’isola, delle isole, e ciò che tenta di corromperla e la corromperà. Tra gli occhi del bambino Useppe e le ombre che già vi si riflettono. «Che cos’altro può essere la Storia, per la Morante, se non tutto ciò che si trova fuori dall’Isola di Arturo?» si è chiesto Cesare Garboli.
In Aracoeli, l’ultimo romanzo, l’innocenza stupida dell’infanzia è invasa da quella ancora più stupida degli adulti. Inventare la felicità, la felicità guagliona e intrigante con cui per un attimo si era creduto perfino di poter salvare il mondo, è diventato impossibile. Manuel assume voce leopardiana. Rimprovera a sua madre di averlo dato alla luce. «Tu rimàngiami» la implora. Le lacrime non sanno più di cannella, come una volta. Adesso mamma Aracoeli è morta, si è «dileguata come una ladra», e Manuelito vive questa morte come un tradimento: «mi ritrovo qua, solo e nudo, davanti a questo ropero de luz – espejo de cuerpo entero, il quale mi butta in faccia, senza cerimonie, la mia forma reale». «Ma tu, mamita, aiutami». Nella solitudine dell’età adulta e corrotta ha saputo tutto, vuole tornare indietro, tornare nell’utero. Ha conosciuto l’oltraggio. La condanna al bisogno di carezze, che non salvano: «Orfani e mai svezzati, tutti i viventi si propongono, come gente di marciapiede, a un segno altrui d’amore» – le dive, i potenti, perfino i kamikaze. Forse solo i giovani belli e i taumaturghi possono riscattarsi. E i poeti, dice Manuelito. Nella corruttibilità del mondo e di tutto, si spendono per dare forma a qualcosa di incorruttibile come un’opera – con la sua realtà indocile, dolorosa, inattuale e perciò eterna, «vera per sempre».

Paolo Di Paolo

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OMAGGIO A PIER PAOLO PASOLINI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/11/02/omaggio-a-pier-paolo-pasolini/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/11/02/omaggio-a-pier-paolo-pasolini/#comments Mon, 02 Nov 2015 17:50:12 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=2630 QUARANT’ANNI DALLA MORTE DI PIER PAOLO PASOLINI

Il 1° novembre del 2010 pubblicai un post dedicato a Pier Paolo Pasolini in occasione del trentacinquesimo anniversario della sua morte (avvenuta a Roma, nella notte tra il 1 e il 2 novembre del 1975). Adesso, a distanza di cinque anni, in occasione della ricorrenza del quarantesimo, ripropongo quel vecchio post del 2010 anticipando che nel corso della settimana – su LetteratitudineNews – saranno pubblicati vari post sull’argomento (che poi verranno linkati qui di seguito a mano a mano che saranno online).
Ne approfitto, intanto, per segnalarvi questo bel docufilm visibile online su Repubblica Tv (e stasera disponibile anche su Sky Arte Hd alle 21.10 – canali 120 e 400 di Sky).
Nei giorni scorsi ho riproposto la puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” del 3 dicembre 2010 dove ho avuto il piacere di incontrare Marco Belpoliti per discutere del saggio “Pasolini in salsa piccante”, pubblicato dallo stesso Belpoliti per Guanda nel 2010 (in occasione, appunto, del 35° anniversario della morte di Pasolini).

Dedico, dunque, questo “spazio” alla memoria di Pier Paolo Pasolini con l’intento di celebrarlo, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere questo nostro grande scrittore a chi non avesse ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.

Sono graditi (e ringrazio anticipatamente i partecipanti) interventi, contributi vari e la segnalazione di link attinenti ai contenuti di questo post.

Di seguito, il post pubblicato nel novembre del 2010.

Massimo Maugeri

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TRENTACINQUE ANNI DALLA MORTE DI PASOLINI
(post del 1° novembre 2010)

Trentacinque anni fa, nella notte tra il 1 e il 2 novembre del 1975, Pier Paolo Pasolini veniva brutalmente ucciso (battuto a colpi di bastone e travolto con la sua auto) sulla spiaggia dell’idroscalo di Ostia, località del Comune di Roma.
In questi giorni, in occasione del 35°, si sta dando ampio risalto alla tragica notizia di allora, anche per via delle recenti riaperture delle indagini giudiziarie.
Vi segnalo questo servizio pubblicato su WUZ (a cura di Sandra Bardotti), che apre con questo cappello: “Trentacinque anni dopo, le indagini giudiziarie sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini all’Idroscalo di Ostia non sono ancora giunte a una verità accettabile e condivisibile da tutti. Indagini che si aprono e chiudono regolarmente a distanza di anni, da cui si ricava l’impressione che l’unica verità di cui siamo in possesso è che il caso Pasolini rimarrà irrisolto e che l’immagine che la società ha di lui sarà eternamente compromessa.
Nostro dovere in quanto cittadini è forse continuare a pretenderla, questa verità che da qualche parte deve pur trovarsi, senza rifugiarsi dietro inutili dietrologie e teorie di complotti, e contemporaneamente riappacificarci definitivamente con la figura e l’opera di Pier Paolo Pasolini, per capire quanto ancora i suoi scritti possono parlare al presente e alle generazioni future
”.

Ma la ricorrenza offre anche l’occasione per ricordare il Pasolini scrittore, poeta, regista e giornalista.
Ed è quello che vorrei fare (e invitarvi a fare) con questo post. Seguono le solite domande, volte a avviare la discussione…

1. Che rapporti avete con le opere di Pier Paolo Pasolini?

2. Qual è quella che avete amato di più?

3. E l’opera di Pasolini che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Preferite il Pasolini scrittore, poeta o regista?

5. Tra le varie “citazione” di Pasolini di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

6. A trentacinque anni dalla morte, qual è l’eredità che Pasolini ha lasciato nella letteratura italiana?

Nel corso del dibattito vi segnalerò alcuni articoli – in tema con questo post – pubblicati su quotidiani e magazine.
Di seguito, i riferimenti ad alcuni libri pubblicati di recente sulla figura di Pasolini e un video contenente l’ultima videointervista che ha rilasciato prima della morte.

Aspetto i vostri contributi…

Massimo Maugeri

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UN ELENCO DI ALCUNI DEI LIBRI DEDICATI A PIER PAOLO PASOLINI (di recente pubblicazione)

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PPP. Pasolini, un segreto italianoPPP. Pasolini, un segreto italiano” di Carlo Lucarelli
(Rizzoli)

Un romanzo-inchiesta sugli ultimi giorni di Pasolini e sugli anni più violenti della nostra storia recente. «Le bombe, le fucilate e le sprangate, e tutto quello che ci sta dietro, sono fatti concreti, azioni umane. Ciò che non sappiamo sta nella mente di qualcuno che non parla. Insomma, non sono Misteri, quelli. Sono Segreti. Segreti Italiani.»

Primi anni Settanta. A pancia in giù e sollevato sui gomiti, un ragazzino legge su una rivista frasi impenetrabili, rabbiose, attraenti. Sono tutte di Pier Paolo Pasolini. Il tempo passa e, quasi inavvertitamente, dentro quel bambino che oggi è uno scrittore sedimenta qualcosa di profondo: non è solo la passione per la parola, è l’istinto di un mestiere. «Seguire quello che succede, immaginare quello che non si sa o che si tace, rimettere insieme i pezzi disorganizzati e frammentari, ristabilire la logica dove regnano l’arbitrarietà, la follia e il mistero». Perché il Pasolini che ci parla dalle pagine di questo libro non è il poeta né il letterato, è quello della narrazione civile, lo stesso che confessò di sapere e che è stato assassinato. È proprio lì che torna Carlo Lucarelli, agli anni più violenti della nostra storia recente, ai pestaggi, ai morti ammazzati e alle stragi. Torna al Pasolini intellettuale e all’odio che lo circondava. Attraverso un tessuto di impressioni intime, analisi politiche e ricostruzioni storiche, torna a quella notte di novembre del 1975 in cui si è consumato un delitto comunque politico. Ciò che resta, una volta disintegrata la versione ufficiale e rimessi in ordine i fatti, è la certezza di trovarci di fronte a un Segreto Italiano.

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Pasolini, un uomo scomodoPasolini, un uomo scomodo” di Oriana Fallaci
(Rizzoli)

Per prima mise in dubbio la versione ufficiale dell’omicidio di Pasolini, nel reportage che dal 14 novembre 1975 pubblicò sulle pagine de L’Europeo e che Rizzoli ripubblica oggi in questo libro.

«Diventammo subito amici, noi amici impossibili. Cioè io donna normale e tu uomo anormale, almeno secondo i canoni ipocriti della cosiddetta civiltà, io innamorata della vita e tu innamorato della morte. Io così dura e tu così dolce.» – Oriana Fallaci

Quella tra Oriana e Pier Paolo è una delle più affascinanti e intense storie di amore-odio della letteratura e del costume italiani del Novecento. Scrittori di primissimo livello, polemisti spietati, personaggi venerati e infangati dall’opinione pubblica del tempo, le loro personalità contrapposte non potevano far altro che incrociarsi. Forse anche perché, a differenza dei loro colleghi italiani, Oriana e Pier Paolo si muovono con agio sullo scenario internazionale: lei grazie ai suoi reportage dalle zone di guerra e a una serie di indimenticabili interviste ai potenti della terra, lui soprattutto per merito del suo cinema che spiazza, divide e scandalizza i censori di tutto il mondo. Tra gli anni Sessanta e i primi Settanta, questi due protagonisti del panorama intellettuale si incontrano e si scontrano, si cercano e si negano: lei ammira e detesta il suo essere sempre bastian contrario, lui adora e disprezza la sua intensa visceralità. Ma la morte di Pasolini, il brutale omicidio che lo strappa alla vita il 2 novembre del 1975, spinge Oriana a rinsaldare il legame con questo amico-nemico andato via troppo presto. E lo fa con i mezzi a sua disposizione, quelli del giornalismo e della scrittura. Sotto la sua spinta, “L’Europeo” – il settimanale per cui lavora – si lancia in una controinchiesta che smentisce e ribalta la versione offerta dalle autorità e mette alle strette l’unico indiziato: Pino Pelosi, un minorenne che – pur di coprire gli effettivi responsabili – si è maldestramente autoaccusato dell’omicidio. Questo libro raccoglie tutti i contributi di Oriana al caso Pasolini apparsi sull’“L’Europeo” e rende finalmente giustizia al suo ruolo nella risoluzione di uno dei delitti più misteriosi e controversi della storia d’Italia.

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La macchinazione. Pasolini. La verità sulla morteLa macchinazione. Pasolini. La verità sulla morte” di David Grieco (Rizzoli)

Chi c’era quella notte all’idroscalo di Ostia? Che cosa aveva scoperto Pasolini? Chi ha firmato la sua condanna a morte?

“Beati voi che siete tutti contenti quando potete mettere su un delitto la sua bella etichetta.” Con queste parole cariche di profetico sarcasmo, Pasolini liquidava i suoi colleghi giornalisti e intellettuali. E lo faceva poche ore prima di essere ucciso e diventare lui stesso uno di quei delitti etichettabili, carne da prima pagina e niente più. Infatti, all’indomani della sua morte, quasi tutti i giornali trovarono il modo più remunerativo per presentare il caso: Pasolini era stato ammazzato dal povero ragazzo che aveva tentato di violentare. L’opinione pubblica abboccò e così, quella notte del 1975, Pasolini fu ucciso due volte: prima dalle mani di chi lo aveva aggredito, poi da quelle di chi ne ha per sempre cancellato il ricordo. In “La Macchinazione” David Grieco, che di Pasolini è stato amico e collaboratore, racconta una storia che comincia proprio nel punto in cui finisce il suo omonimo film. Se la pellicola ricostruisce la spaventosa rete di complicità che si nasconde dietro al delitto, nel libro Grieco presenta le prove, le testimonianze e i documenti di un caso giudiziario complesso, abilmente ripercorso nei suoi chiaroscuri dalla postfazione di Stefano Maccioni, l’avvocato che dal 2009 lotta per fare luce sull’intera vicenda. Nel tempo, l’ombra di quel sordido delitto ha oscurato l’opera di Pasolini. Generazioni di studenti sono cresciute senza conoscere i suoi libri, le sue poesie, i suoi articoli, i suoi film.

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Pasolini, massacro di un poetaPasolini, massacro di un poeta” di Simona Zecchi (Ponte alle Grazie)

Il 2 novembre 1975, all’Idroscalo di Ostia, si consuma il “massacro tribale” di uno dei maggiori intellettuali del ventesimo secolo: Pier Paolo Pasolini. L’inchiesta di Simona Zecchi riparte proprio da quella sciagurata notte e, con l’ausilio di prove fotografiche mai emerse sinora, documenti inediti, interviste e testimonianze esclusive, fa tabula rasa dei moventi ufficiali e delle piste finora accreditati, dall’”omicidio a sfondo sessuale” al “misterioso” Appunto 21 di Petrolio. Come nella Lettera rubata di Edgar Allan Poe, lo “schema perfetto” che condusse il poeta friulano fra le braccia dei suoi carnefici è sempre stato sotto gli occhi degli inquirenti e, in parte, dell’opinione pubblica: un oscuro attentato a pochi passi dall’abitazione di Pasolini la cui funzione viene finalmente svelata, un furto di bobine come espediente dai tratti inediti, la presenza di più macchine all’Idroscalo e la prova del doppio sormontamento del corpo ormai agonizzante, i testimoni che nessuno ha mai voluto veramente ascoltare, la matrice fascista dell’agguato, la direzione dell’intelligence nostrana, i tentativi di alcuni giornali di trasformare Pasolini in imputato nello stesso processo che avrebbe dovuto stabilire l’identità dei suoi assassini. Tra le numerose inchieste che hanno cercato di decostruire la gigantesca opera di depistaggio messa in atto già all’indomani dell’omicidio, Pasolini, massacro di un poeta si incarica di dire la verità, tutta la verità.

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Pasolini. Ragazzo a vitaPasolini. Ragazzo a vita” di Renzo Paris
(Elliot)

A quarant’anni dall’omicidio di Pasolini, Renzo Paris torna sui luoghi degli incontri romani con l’autore di “Petrolio”, raccontando un’amicizia durata dal 1966 al 1975. Nel suo vagabondaggio a ritroso nella memoria, Paris si spinge fino a Nuova Delhi e a Nairobi, per le celebrazioni pasoliniane, commentando parallelamente la versione non censurata del dramma “Affabulazione”, che Pasolini gli donò in dattiloscritto, conservato come una reliquia. Un post-romanzo nel quale sfila al completo la “famiglia” romana dello scrittore bolognese: da Moravia a Laura Betti, da Ninetto Davoli a Elsa Morante, con i loro viaggi, le estati a Sabaudia, i dibattiti televisivi sul ‘68. Un testo intenso e malinconico, alla ricerca di un senso che colmi il vuoto lasciato da quella morte così atroce avvenuta nel novembre del 1975.

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Pier Paolo Pasolini. Vivere e sopravviverePier Paolo Pasolini. Vivere e sopravvivere” di Italo Moscati (Lindau)

La vita e l’opera di Pasolini, la sua passione, il suo coraggio, la sua costante disponibilità a mettersi in gioco, esercitano un richiamo che sembra crescere con il tempo. Il panorama politico e culturale di questi anni frammentato, confuso, percorso da tensioni dagli esiti imprevedibili – ha bisogno di voci capaci di incidere, se non di convincere. E Pasolini era e resta una di quelle. Questo libro prosegue la ricerca di Moscati dopo gli anni in cui ha conosciuto, frequentato e si è sforzato di capire il poeta, romanziere, regista, scrittore corsaro: protagonista di percorsi, mestieri, esperienze che provano una vitalità sfrenata, drammatica, gioiosa nei giorni migliori (quelli del primo cinema, degli interventi, delle amicizie, dei viaggi), ma anche disperata; e non per vicende personali che pure esistono – e il libro le racconta andando in profondità; bensì per l’isolamento da cui questo artista, ricco di idee per tutti, si sforzava di uscire. Il suo è un “romanzo esistenziale” sacro per dignità e pensiero; e inviolabile patrimonio di chi non lo commemora, ma ne avverte acutamente la mancanza.

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PasoliniPasolini” di Davide Toffolo (Rizzoli Lizard)

“Con Pasolini Toffolo realizza questa missione quasi impossibile: dare un senso, un’intensità, un’attualità a uno dei più importanti artisti europei moderni.”
– Stéphane Piatszek e Olivier Séguret, Libération

Mi parve bellissimo, con la sua faccia dove i tratti slavi, romagnoli, ebrei, avevano composto linee uniche, una maschera irripetibile. Il corpo fin troppo espressivo, da Mantegna e anche da povero, medioevale così forte che se ti afferravano i polsi così forte per comunicare affetto, ti stringeva tra due tenaglie. Dal suo atteggiamento timido, di riserbo e sobrietà, settentrionali, così diversi dalla mia traboccante estroversione di ragazza del centro sud, uscivano discorsi lenti, esitanti, con l’accento acerbo, spoglio, rugiadoso, acre, dei veneti del Friuli.” - Silvana Mauri, Su Pasolini.

Un colloquio immaginario tra due artisti che parte da un assunto fantastico: Pasolini è vivo, e ha delle cose da dire. Molte. Essenziali. Ma è davvero lui? O un fantasma, un attore, un mitomane? Quel che è certo è che la sua conversazione con Davide Toffolo vibra di quel senso, di quell’acutezza che ne hanno reso immortale lo spirito. Toffolo cerca Pasolini tra le pagine dei suoi libri, nei ritagli di stampa, nelle interviste e ne cattura l’essenza: la rabbia, l’inalienabile solitudine, la feroce irriducibilità del poeta sono tutte tra queste pagine, in quest’intenso ritratto della grazia pasoliniana a opera di uno degli artisti più anticonformisti del panorama italiano.

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Per indegnità moralePer indegnità morale” di Anna Tonelli (Laterza)

Nel 1949 Pier Paolo Pasolini fu espulso dal Partito comunista italiano per ‘indegnità morale’. Il punto di partenza della vicenda sono i ‘fatti di Ramuscello’, che innescano l’accusa di corruzione di minorenni e atti osceni in luogo pubblico. Pasolini diventa così immediatamente un bersaglio politico: per i democristiani l’avversario da colpire, per i comunisti il pericolo da allontanare. Fondamentale nella biografia e nel percorso artistico di uno dei protagonisti della vita intellettuale del Novecento, questo caso è cruciale per capire il clima culturale e politico del dopoguerra. Due ‘chiese’, Democrazia cristiana e Partito comunista, impongono due pedagogie collettive distinte ma finalizzate entrambe a codificare vere e proprie regole di moralità. Il partito deve orientare le masse nella vita quotidiana, correggere i comportamenti anomali e, di fronte a gravi errori, espellere. La scelta compiuta con Pasolini è, dunque, esemplare della modalità punitiva adottata nei confronti dei ‘compagni’ che trasgrediscono. L’indagine di Anna Tonelli getta finalmente luce su particolari centrali sinora inediti della vicenda, compreso il lungo silenzio del Pci.

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Improvviso il Novecento. Pasolini professoreImprovviso il Novecento. Pasolini professore” di Giordano Meacci (Minimum Fax)

“Mi alzo alle sette, vado a Ciampino (dove ho finalmente un posto di insegnante, a 20.000 lire al mese), lavoro come un cane (ho la mania della pedagogia), torno alle 15, mangio, e poi…” È il 1952, e Pier Paolo Pasolini può dedicarsi alla letteratura solo “poi”, nel tempo libero dall’insegnamento. Attorno agli anni ciampinesi di Pasolini e ai ricordi dei suoi alunni e dei suoi amici (Bertolucci, Cerami, Pivano) – quei primi anni Cinquanta in cui nasceva “Ragazzi di vita” – Meacci costruisce un libro che è al contempo saggio, reportage, diario di viaggio e racconto, e in cui trova posto un’intera teoria di figure del nostro Novecento (e non solo): Totò, Fellini, Hemingway, gli sfollati del dopoguerra, Mizoguchi, il Vangelo, Mantegna, le tradizioni contadine, Simone Martini, il comunismo, Anna Magnani, Goldrake e Happy Days, l’America, Roma, il terremoto del Friuli, la grande poesia, la “scomparsa delle lucciole”. Da quel 2 novembre del 1975; da Ostia a noi, oggi, quarant’anni dopo quella morte che pesa sui cittadini di questo triste, meraviglioso, sfortunato, bellissimo paese: forse è stato già detto tutto, o troppo. O troppo poco, chissà.

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Breve vita di Pasolini” di Nico Naldini (Guanda)

Un protagonista della cultura del Novecento, una figura complessa e luminosa, un artista versatile e geniale, un eretico… Questo è stato Pier Paolo Pasolini, ma non solo: per la vita che ha condotto e per la morte che ha incontrato, Pasolini è stato anche un simbolo della società italiana e dei suoi cambiamenti. Ecco perché la biografia scritta da Nico Naldini, che ne fu il cugino, è tanto preziosa. Perché mescola, con lucida sobrietà, ricordi personali e ricostruzione documentata, spirito analitico e commozione; e ne disegna un ritratto volutamente essenziale. Riemergono così, da un passato ancora tanto vivo, le estati friulane dell’infanzia, il rapporto con la madre e l’indomabile vocazione pedagogica, l’amore per la semplicità dei contadini e la «competenza in umiltà». E poi, subito dopo, le prime tensioni politiche, la scelta militante del comunismo e la sofferenza per la morte del fratello Guido, nella strage di Porzus. E quindi, nella piena maturità artistica, la scoperta di Roma e delle sue periferie, la capacità tutta pasoliniana di entrare in contatto con il mondo dei «miseri» e delle borgate. Fino a quella terribile morte violenta, che in troppi hanno voluto circondare di mistero e che Naldini interpreta invece nella sua lineare essenzialità, senza alcuna concessione ai complottismi. Questa è dunque la vita «breve» di Pasolini. Un poeta corsaro, un artista capace di visioni altissime, un diverso, sempre e comunque, nell’affettività come nelle tensioni intellettuali, un uomo alla ricerca di una verità «altra».

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Un paese di temporali e primule” di Pier Paolo Pasolini – a cura di Nico Naldini (Guanda)

Per la formazione umana, intellettuale e letteraria di Pasolini, gli anni trascorsi a Casarsa, paese natale della madre, furono decisivi. Il mondo friulano, intensamente vissuto e amato, resterà per lui un punto di riferimento esistenziale e mitologico: il simbolo di un’umanità arcaica e innocente, capace di un senso lirico, magico della vita, il punto d’avvio di una vocazione artistica assoluta. Un paese di temporali e di primule racchiude ed esprime l’esperienza friulana di Pasolini attraverso scritti che vanno dal 1945 al 1951. Il libro si articola in quattro sezioni. La prima e più cospicua comprende racconti e prose che, nelle loro vibrazioni espressive, anticipano l’evoluzione futura dello scrittore. La seconda sezione è dedicata alla lingua friulana come portato di un lungo percorso storico, manifestazione di una cultura e mezzo letterario, e documenta il precoce interesse dello scrittore per le questioni linguistiche, che in seguito sfocerà nelle pagine di Passione e ideologia. Pasolini tocca poi, con lucidità e intuizione straordinarie, i temi dell’autonomia regionale, collegandoli a una necessità soprattutto culturale e linguistica. Vi sono infine i ricordi dell’intenso periodo di insegnamento svolto nella piccola scuola di Valvasone, cui si aggiungono i testi dell’Appendice, che illuminano un periodo tanto cruciale quanto poco conosciuto della vita di Pasolini (particolarmente le poesie composte per i suoi scolari). Nico Naldini ha scritto per questo libro un’introduzione che ci regala la testimonianza diretta e la lettura approfondita di ciò che è stato Pasolini giovane, il Pasolini di Casarsa: la miglior guida per chi oggi accosti questi scritti di sorprendente bellezza e suggestione.

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Poesie scelte” di di Pier Paolo Pasolini - a cura di Nico Naldini e Francesco Zambon (Guanda)

«Nello sviluppo del mio individuo, della diversità, sono stato precocissimo; e non mi è successo, come a Gide, di gridare d’un tratto ’Sono diverso dagli altri’ con angoscia inaspettata; io l’ho sempre saputo» scriveva Pasolini nei giovanili «quaderni rossi». E questo sentimento di diversità che domina tutta la sua opera – coscienza della propria omosessualità, certo, ma anche un senso più vasto di spaesamento e di inattualità – troverà subito un nome: quello di poesia. È stato en poète che egli ha sempre svolto la sua molteplice e anche dispersiva attività di scrittore, di regista, di critico o di polemista: si pensi soltanto alla sua esemplare teorizzazione del «cinema di poesia». Narciso, dolceardente usignolo, eretico, martire, barbaro, animale senza nome o bestia da stile – a seconda delle maschere sublimi o infami assunte sulle diverse scene della vita – egli rimase sempre fedele, con eroica ostinazione, al ruolo di poeta, inteso in un senso che si potrebbe dire «romantico» e perfino «sacrale»: quello di testimone solitario di una dimensione altra, di verità che agli uomini non possono apparire se non come scandalo e bestemmia.
(Dall’introduzione di Francesco Zambon)

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“Ròmans” di Pier Paolo Pasolini – a cura di Nico Naldini (Guanda)

La vicenda di Romàns si svolge negli anni del secondo do¬poguerra e ha per sfondo la pianura friulana tra le rive del Tagliamento e i bastioni delle Prealpi. La scena è costituita da un borgo contadino che nei giorni di festa formicola di grida, canti, risa, ma nei giorni feriali ritrova la piena dimensione della povertà e del lavoro umile, nella quale affiorano ormai impeti di rivolta, confusi ideali politici. Romàns è la storia di un giovane prete, del suo arrivo in uno sperduto paesino del Friuli, del suo duro servizio pastorale e del rapido, drammatico processo interiore che lo porterà alla consapevolezza di una realtà sociale che il suo apostolato non riesce ad assorbire del tutto, e anche dell’insanabile contrasto tra la visione del proprio ruolo e gli impulsi più naturali, che lo spingono all’amore per un ragazzo. A Romàns, che si configura quasi come un breve romanzo autonomo, si accosta Un articolo per il «Progresso», un racconto «che vede una volta ancora in azione la ‘meglio gioventù’» (così Nico Naldini nell’introduzione). A questi due testi si aggiunge, a formare un armonico trittico, Operetta marina, narrazione emersa «da una raccolta di carte, frutto di un complesso e mutevole disegno narrativo che ha come oggetto il mare» e che è compresa sotto il titolo Per un romanzo del mare. Nella sua dimensione di «leggenda personale» essa viene a completare e a chiudere il libro esemplare di una felicissima stagione.

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ALCUNI LIBRI USCITI NEL 2010

Morire per le idee. Vita letteraria di Pier Paolo Pasolini” di Roberto Carnero
Bompiani, 2010
Morire per le idee. Vita letteraria di Pier Paolo PasoliniL’opera pasoliniana va letta come un tutt’uno, in cui le diverse fasi di un lavoro artistico complesso e articolato (dalla poesia alla narrativa, dal teatro al cinema, dal giornalismo alla critica letteraria) tendono a intersecarsi continuamente all’interno di un discorso creativo ‘aperto’ e mobile’. Tn altre parole quella di Pasolini è una grande opera ‘totale’, all’interno della quale è difficile scindere i diversi ‘generi’. A partire da questa premessa il libro di Roberto Carnero indaga l’opera pasoliniana senza scindere i diversi aspetti della sua produzione, ma anzi riportando le diverse esperienze e i diversi momenti del lavoro pasoliniano alla coerenza di un percorso artistico unico. Un’opera, quella di Pasolini, strettamente legata alla vicenda biografica del suo autore. Per questo “una vita letteraria’, che Carnero ci aiuta a riscoprire e a percorrere in capitoli a metà tra il ‘tematico’ e il ‘biografico’. Il volume si presenta come un profilo di Pasolini, agile e aggiornato: una monografia critica adatta sia per gli studenti (delle università e delle scuole secondarie) sia, più in generale, per tutti i lettori interessati ad avvicinarsi a Pasolini in maniera informata. In un’apposita appendice (contenente, tra l’altro, un’intervista inedita a Walter Veltroni) si dà conto della controversa questione della morte di Pasolini, a partire dalle clamorose novità emerse negli ultimi mesi.

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Pasolini in salsa piccante” di Marco Belpoliti
Guanda, 2010
Sono trascorsi trentacinque anni dalla morte di Pasolini e forse è venuto il momento di fare con lui quello che il Corvo consigliava a Totò e Ninetto in Uccellacci e uccellini: i maestri si mangiano in salsa piccante. Per digerirli meglio, ingerendo il loro sapere e la loro forza. Andare oltre Pasolini con Pasolini: è quello che si propone Marco Belpoliti nel suo saggio.
Partendo dal primo processo, nel 1949, in Friuli, per atti osceni in luogo pubblico e corruzione di minore, passando attraverso la rilettura degli Scritti corsari e delle Lettere luterane, e attraverso l’analisi dei nudi del poeta scattati nel 1975 da Dino Pedriali e le foto inedite di Ugo Mulas sul set di Teorema, sino ad arrivare alla pubblicazione postuma di Petrolio, Belpoliti mostra come la cultura italiana abbia sempre rifiutato l’omosessualità di Pasolini, come non abbia compreso che questa è la radice della sua critica alla «mutazione antropologica», e come oggi si cerchi di fare di lui un martire delle trame occulte degli anni Settanta, quasi per alleggerirsi del senso di colpa nei suoi confronti. Un pamphlet che è un atto d’amore: mangiare Pasolini per onorarlo, per liberarlo dal limbo dei cattivi pensieri e dei falsi perdoni, delle solerti ammirazioni e degli impotenti moralismi che l’hanno tenuto sospeso nei nostri pensieri per tre decenni. Mangiarlo in salsa piccante perché è un maestro. Un grande maestro.

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I burattini filosofi. Pasolini dalla letteratura al cinema” di Marco Bazzocchi
Bruno Mondadori, 2010
I burattini filosofi. Pasolini dalla letteratura al cinemaQuello di Marco Antonio Bazzocchi è un viaggio alla ricerca dei molteplici e non sempre ovvi legami fra la produzione cinematografica e quella letteraria di Pier Paolo Pasolini.

Ripercorrendo le origini eminentemente narrative dei suoi lungometraggi (i miti greci, il “Decamerone” di Boccaccio, le “Mille e una notte”, ma anche il romanzo erotico e, sempre onnipresente, la Commedia dantesca), il saggio si concentra sul passaggio pasoliniano dalla letteratura al cinema e sulle reciproche influenze di questo momento, leggendolo attraverso il filtro di temi quali la rappresentazione della morte e della sessualità, il costante dialogo con Dante e con Michel Foucault, il significato antropologico dell’atto del mangiare, la ripresa di citazioni dalla pittura di Velázquez e la riflessione sulla questione delle origini.

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Pier Paolo Pasolini. Una morte violenta” di Lucia Visca
Castelvecchi, 2010
Pier Paolo Pasolini. Una morte violenta. In diretta dalla scena del delitto, le verità nascoste su uno degli episodi più oscuri nella storia d'ItaliaLa mattina del 2 novembre del 1975, quando all’Idroscalo di Ostia fu scoperto il cadavere di Pier Paolo Pasolini, Lucia Visca fu la prima cronista ad accorrere sulla scena del delitto.

Lì, su quella spiaggia sporca di sangue e povertà, insieme al cadavere del poeta giacevano alcuni indizi importantissimi: dettagli trascurati dai primi investigatori ma che, a distanza di trentacinque anni dall’assassinio dell’autore di Ragazzi di vita, tornano alla ribalta grazie alla riapertura delle indagini voluta dal Tribunale di Roma nella primavera del 2010.

Scrupolosa inchiesta sulla morte di Pier Paolo Pasolini, il libro di Lucia Visca accende i riflettori su ciò che accade nelle prime tre ore dopo il ritrovamento del corpo martoriato del poeta, nella convinzione che è proprio a quei momenti che occorre tornare per elaborare ipotesi realistiche sulle modalità dell’omicidio e sui suoi possibili moventi e mandanti di ciò che resta uno dei delitti più dolorosi mai sopportati dalla storia e dall’opinione pubblica italiana.

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RICORDANDO ALBERTO MORAVIA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/10/02/ricordando-alberto-moravia/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/10/02/ricordando-alberto-moravia/#comments Fri, 02 Oct 2015 15:15:33 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/11/25/ricordando-alberto-moravia/ Paolo Monti - Servizio fotografico - BEIC 6361580.jpg

25 ANNI DALLA MORTE DI ALBERTO MORAVIA

Nel novembre del 2007 pubblicai un post dedicato a Alberto Moravia in occasione del centenario della sua nascita (avvenuta a Roma, il 28 novembre 1907). Nei giorni scorsi è stata celebrata un’altra ricorrenza: il venticinquesimo anno dalla morte (avvenuta a Roma, il 26 settembre 1990). Per l’occasione vorrei riproporre quel vecchio post del 2007 (contenente anche un contributo di Massimo Onofri tratto dal volume “Tre scrittori borghesi. Soldati, Moravia, Piovene” – Gaffi, 2007).

Ne approfitto altresì per proporvi questo video che contiene:
- uno “scherzoso” scambio tra Indro Montanelli e Alberto Moravia (1959)
-un’intervista di Pasolini a Moravia sul tema dello “scandalo amoroso” (1965)
- una trasmissione dedicata a Moravia, condotta da Mirella Serri con il contributo critico di Antonio De Benedetti (incentrata sui “gusti letterari”)
- una trasmissione dedicata interamente al profilo dello scrittore (con una serie di interviste molto interessanti)

Dedico, dunque, questo “spazio” alla memoria di Alberto Moravia con l’intento di celebrarlo, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere questo nostro grande scrittore a chi non avesse ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.

Sono graditi (e ringrazio anticipatamente i partecipanti) interventi, contributi vari e la segnalazione di link attinenti ai contenuti di questo post.

Di seguito, il post pubblicato nel novembre del 2007.

Massimo Maugeri

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CENTO ANNI DALLA NASCITA DI ALBERTO MORAVIA
(post del 25 novembre 2007)

Alberto MoraviaCent’anni fa nasceva Alberto Pincherle, in arte Alberto Moravia. Per l’esattezza il 28 novembre 1907.

Mi piacerebbe che ne parlassimo qui a Letteratitudine, ricordando la sua figura di grande scrittore e i suoi libri.

Vi fornisco uno spunto avvalendomi di un testo di Massimo Onofri, estratto dall’ottimo saggio “Tre scrittori borghesi. Soldati, Moravia, Piovene” appena edito da Gaffi editore.

Si tratta della raccolta di alcuni scritti nati in circostanze differenti per “celebrare tre scrittori – tre uomini – sorprendentemente affini ed in concorrenza, nella diversa declinazione d’una borghesia che fu anche il loro modo di vivere ed interpretare una vicenda fin troppo italiana. Borghesia come condizione storica e proposta metafisica: a definire il rapporto che intrattennerò con se stessi e il mondo”.

Aspetto i vostri contributi.

Massimo Maugeri

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Un borghese contro se stesso: Moravia 1927-1951

di Massimo Onofri

Non mi fa fatica affermare che la pubblicazione dei Racconti (1927-1951), nel 1952, felicissima antologia d’autore, rappresenta un evento capitale, tanto nella già molto folta vicenda editoriale di Moravia, quanto nella storia della cultura letteraria italiana di quegli anni. Ma molto folta, vorrei aggiungere, è dire in fondo poco: se è vero che, come scrivono Simone Casini e Francesca Serra nell’Introduzione al notevole Racconti dispersi (1928-1951), stampato da Bompiani nel 2000, Moravia, a quell’altezza cronologica, ha già pubblicato otto romanzi, da Gli indifferenti (1929) al Conformista (1951), e scritto «ben duecentotrenta racconti più o meno lunghi». Lascio ancora, e volentieri, la parola ai due giovani filologi: «Certo, non tutti i racconti esclusi nel 1952 vanno considerati tra i dispersi, abbandonati cioè dallo scrittore dopo la loro prima comparsa su questo o quel periodico. Una cinquantina, per esempio, di carattere allegorico o fantastico, confluirà nei Racconti surrealisti e satirici del 1956; qualcun altro verrà recuperato in raccolte posteriori come L’automa; e ben trentaquattro, comparsi sul “Corriere della Sera” dall’inizio del 1949, inauguravano la lunghissima e fortunata serie dei Racconti romani (1954). Dopo aver fatto tutti i conti del caso e verificato di non incorrere in errori per via delle ingannevoli metamorfosi di titolo o di forma, rimane tuttavia un dato sorprendente di cui prendere atto: i racconti scritti da Moravia tra il 1927 e il 1951 che rimasero sepolti nelle pagine dei quotidiani o delle riviste sono più di cento».

Da queste non molte ma assai precise parole si possono ricavare almeno due notizie fondamentali. Che i due volumi antologici del 1952 hanno un valore davvero quintessenziale – ventiquattro antologizzati (alcuni molto lunghi) su duecentotrenta scritti – nella produzione moraviana. Che, nella loro quintessenzialità, essi vanno a toccare solo il versante borghese, certamente e di gran lunga il più importante, di un’opera sterminata:distinguendosi, appunto, non solo dai racconti di tematica popolare o romana (nati dentro la specialissima esperienza che lo scrittore fece del Neorealismo), ma anche da quelli di disposizione fantastica o allegorica. Ho detto borghese: che è un aggettivo, oggi, disusato, se non screditato, e carico di troppe implicazioni, ma che s’impiega qui in un’accezione storica e di minima sociologia: quando è vero che, di questi ventiquattro racconti, borghese è esattamente l’ambientazione delle vicende e l’anagrafe dei personaggi: d’una riconoscibilissima borghesia italiana, sostanzialmente, neghittosamente, impolitica, silenziosamente fascista prima, perbenista poi. Non è un mistero per nessuno: negli Indifferenti Moravia non usa mai la parola fascismo, ma noi non ci dimentichiamo nemmeno per un solo istante, durante la lettura, che gli anni sono quelli delle domenicali adunate in orbace, del fascio littorio e del fez. Ma, dire borghesi questi racconti, significa nominare anche la provenienza sociale di chi li ha scritti: e che, pur nella spietatezza d’una narrazione oggettiva, non riesce a non trasferire, sulla pagina, le componenti di un’inquieta, insoddisfatta, se non guasta autobiografia. Come avviene nel caso di uno dei più bei racconti del Novecento italiano: Inverno di malato. Ma andiamo con ordine.

Articolo, novella, racconto, saggio, racconto lungo, romanzo breve, romanzo, romanzo-saggio, teatro, in perenne osmosi l’uno con l’altro genere: non v’è pratica della scrittura che Moravia, nella sua lunga vita, non abbia frequentato. E che testimonia d’una necessità biologica e d’un impegno quotidianamente imprescindibile che hanno però dello straordinario: a testimonianza d’una fede, non dico d’una religione, che è stata l’unica, forse, a non abbandonarlo mai, ed esercitata con puntualità inesorabile nelle prime ore della mattina. Ogni giorno un segno inciso nel legno storto della propria umanità: perché, per Moravia, l’uomo è innanzi tutto – vichianamente, crocianamente – ciò che fa. Un’operosità straordinaria ed in polemica implicita, direi naturale, con ogni idea di vita eccezionale, eroica.Contro D’Annunzio, insomma, letterato e vate sempre sopra le righe: il quale ancora rappresentava molto, e non soltanto per la patria letteraria, in quegli anni Trenta e Quaranta, quando Moravia scriveva la più parte dei racconti inclusi nel 1952: spunti d’un dannunzianesimo d’interni e sentimenti non mancano, del resto, nelle pagine più antiche della raccolta, per esempio quelle di Cortigiana stanca (1927). Un’operosità straordinaria, ripeto: come virtù, appunto, eminentemente borghese, di quella borghesia, però, subito disprezzata e deprecata. In effetti, come il borghesissimo Croce, rimasto sepolto per molteore nel 1883, giovanissimo, sotto le macerie di Casamicciola, nell’isola d’Ischia, accanto ai propri famigliari morti, anche Moravia ebbe, negli anni decisivi dell’adolescenza, il suo privato terremoto, e nemmeno troppo simbolico. E come Croce ne ricavò, precocemente, imperativi inderogabili per la sua implacabile etica del lavoro.Ecco: il 1916 volge alla fine quando, a soli nove anni, mentre il padre lo accompagna a scuola, cade a terra per un fortissimo dolore alle gambe. La diagnosi è spietata: una tubercolosi ossea all’anca, la malattia che segnerà tutta la sua giovinezza sino ai diciott’anni. Cominciano così i lunghi periodi d’immobilità a letto, gli studi irregolari affidati perlopiù ad insegnanti privati, se non a governanti, le letture disordinate, ma matte e disperatissime (da Dante e Ariosto a Goldoni e Manzoni, da Shakespeare e Molière a Rimbaud e D’Annunzio, al fondamentale Dostoevskij): sino al ricovero nel sanatorio di Cortina d’Ampezzo, tra il marzo 1924 e il settembre 1925, ed alla convalescenza a Bressanone, in un Kurhaus, un albergo con assistenza medica. Moravia lo definirà più volte come il fatto più importante della sua vita: bisognerà prenderlo alla lettera. Non per niente, il già citato Inverno di malato, che trasporrà sulla pagina proprio questa esperienza in sanatorio, può essere letto come un racconto aurorale e fondativo, di larga parte della sua opera e di tutto un atteggiamento: quello conflittuale e risentito con la propria classe d’appartenenza, e magari letto anche col valore di un’autogiustificazione a posteriori, quanto alla luce feroce che illumina i personaggi e gli eventi che s’accampano negli Indifferenti, autogiustificazione che Edoardo Sanguineti, nel 1962, in chiave rigorosamente (e limitativamente) marxista, ha preferito tradurre coi termini di «coscienza» e «ideologia».

Scritto presumibilmente nell’estate del 1929 a Divonne-les-Bains, come confidò ad Alain Elkann nel 1990 (altrove, però, parlerà anche dell’autunno del 1925, collocandolo dunque a ridosso della stesura del romanzo d’esordio), Inverno di malato, terzo testo antologizzato nei Racconti, fu pubblicato da Pietro Pancrazi su «Pegaso» nel 1930, quindi incluso nella prima raccolta del 1935, La bella vita, poi ristampato nell’Amante infelice (1943). Ilperno attorno a cui ruota tutto il racconto è il rapporto tra il giovane protagonista (che ha più o meno l’età di Moravia quando entra in sanatorio), «di famiglia una volta ricca e ora impoverita», e il suo compagno di stanza, il Brambilla, «viaggiatore di commercio e figlio di un capomastro», personaggio che nasce dalla condensazione di due ospiti dell’Istituto Coldivilla di Cortina d’Ampezzo conosciuti da Moravia: il primo e momentaneo compagno di stanza, appunto un volgare rappresentante di commercio, e il più che ventenne e triestino Faloria, figlio d’un sarto, giovine leggero e non problematico, don Giovanni al naturale, per il quale lo scrittore in erba prova una vera e propria infatuazione.

C’è da domandarselo, inseguendo indebitamente la biografia fin dentro la letteratura, braccando quell’io che vive sotto le mentite spoglie dell’io che scrive: che cosa sarebbe stato il rapporto di Moravia con la sua classe se non fosse passato al vaglio feroce d’uno sguardo “altro”, non borghese, epperò classista e risentito, come quello che ci restituisce qui il Brambilla, il quale non avrebbe forse ragioni da accampare – e il giovanissimo Girolamo lo sa bene nei rari momenti di lucidità -, se non quelle dell’azione, meglio: dell’attivismo e del vitalismo, e d’una certa braveria, d’una facilità di vivere, che a Girolamo, dal fondo della malattia e della sua paralisi, delle sue velleità, possono parere addirittura le ragioni stesse della salute e della virtù. Lo veniamo a sapere sin dalle prime righe: il Brambilla «l’aveva a poco a poco convinto, in otto mesi di convivenza forzata, che un’origine borghese o, comunque, non popolare fosse poco meno che un disonore ». Sia detto per inciso: proprio il primevo e positivo sentimento del popolo può dirsi alla base, dunque antica e dissimulata, di quelle cautissime illusioni populiste che Moravia vivrà tra i Racconti romani e i Nuovi racconti romani (1959).

Intendiamoci: se abbiamo scavato nel racconto in direzione della vita, se abbiamo finto un’identità tra le verità del testo e quelle dell’autore, non è per il fatto che vogliamo sottovalutarne la letterarietà.Quella che già nel 1938, molto tempestivamente, e come a rimproverargliela, Eurialo De Michelis sottolineava vigorosamente: magari segnalando calchi di Dostoevskij e Manzoni.

Epperò il fatto d’una sintassi dello sguardo che trapassa dalla vita all’opera – se inteso, diciamo, in senso trascendentale, come a fornirci una delle condizioni di possibilità del mondo moraviano, una sua chiave d’accesso – ci pare sia da privilegiare: a motivare meglio anche la qualità eccezionale dei racconti più lontani: non solo di Inverno di malato, ma anche di Cortigiana stanca, Delitto al circolo di tennis (1927), Fine di una relazione (1933). Insomma: il giovanissimo Moravia presta molto di sé al Girolamo di Inverno di malato, che è poi, in versione adolescente (o poco più), il Michele degli Indifferenti, o, per pescare a caso anche in questi Racconti (1927-1951), il Gianmaria dell’Imbroglio (1937), il Giacomo di Luna di miele, sole di fiele (1951), inserito però a partire dalla ristampa del libro del 1953, col suo amore «fatto più della volontà di amare che di sentimento vero»: inetto, velleitario, dilemmatico e inadeguato alla vita. Il giovanissimo Moravia, ripeto, presta molto di sé a Girolamo: ma sospingendolo subito dentro una luce che è già, insieme, di pietà e di condanna. Ecco: ricerca morale della verità o pregiudizio immoralistico? Distacco moralistico dalla propria materia autobiografica e di classe o adesione senza riserve? Furono proprio queste le domande che impegnarono e divisero i primi recensori degli Indifferenti, che oggi ci appaiono, quasi tutti, con le armi spuntate di fronte a quell’aggressività implacata ma fredda di Moravia, a quel fuoco sempre bagnato, però, dalle ragioni d’una strana pietà.Pietà e rifiuto, insomma: laddove, in Inverno di malato, nel serrato confronto tra Girolamo e Brambilla, tra un borghese inconsapevole di sé (e delle sue radici di classe) e un giovane del popolo, finisce per esplicitarsi, e per chiarirsi a se stessa, quella dialettica che, invece, negli Indifferenti resta muta, nel cerchio conchiuso e strozzato d’un interno pariolino dove, come notava Pancrazi recensendo il romanzo, manca davvero l’aria, sicché verrebbe la voglia d’aprire subito una finestra o scambiare due parole con la serva di casa. In Inverno di malato Moravia si serve d’un Brambilla insolente, sadico e persecutorio, anche un po’ mascalzone – quel Brambilla che giganteggia dentro la coscienza larvale di Girolamo -, per fare subito i conti con la sua classe sociale d’origine. Ma, dentro quel conto, saranno proprio le ragioni della pietà a impedirgli di riconoscersi positivamente in Brambilla, nel suo vitalismo, insomma in tutte le mitologie piccolo-borghesi con cui la malata borghesia italiana s’illuse di rivitalizzare se stessa e che culminarono nella barbarie del fascismo.

Ho parlato dello sguardo, della sua peculiare disposizione, che, da questo racconto aurorale, trasmigra, fondandola, dentro larga parte dell’opera moraviana, fino al suo punto terminale, passando, ovviamente, per tutte le metamorfosi che la borghesia italiana, con la sua realtà di riferimento e d’espressione, conoscerà nei decenni del secolo scorso, arrestandosi al principio degli anni Novanta, con la morte dello scrittore. Dovrei parlare ora – e sempre in termini trascendentali – del sesso e delle donne.

Perché, affrontare la questione del sesso in Moravia, significa, inevitabilmente, entrare nel merito di quell’aggressione in cui consiste il movimento del personaggio uomo, quando si rapporta, eroticamente, al personaggio donna. Un’aggressione che sta sempre nella lente ferocemente millimetrica d’un uomo che guarda: e che, non di rado, si traduce anche in violenza reale ed omicidio, come accade in Delitto al circolo di tennis. Partiamo, ancora una volta, da Inverno di malato: Girolamo, per ottenere da Brambilla una patente di virilità, studia di sedurre Polly, la paziente inglese quattordicenne con cui, per volontà dei genitori di lei, è solito conversare. Quella di Polly è, sin da subito un’«intorpidita» e «ritardata infantilità», che la fa terrorizzata e atona alle goffe avances del ragazzo, il quale, in quei rapporti voluti con tutto se stesso, e contro la sua stessa inadeguatezza, non s’impedisce di avvertire subito un che di «illecito, triste, torbido», fino alla convinzione «di essere guasto, senza rimedio».Ecco: il sesso è in Moravia, e sin da subito, qualcosa di agognato e ineludibile, ma anche di irreparabile, e che ha a che fare con la mortificazione e la perdita di sé.Il personaggio di Polly, poco più che una bambina, induce meno lo scrittore a quel moto aggressivo di cui s’è detto, rivolto più a se stesso, in questo caso, al suo io vicario. Tutto risulta più chiaro quando, sulla scena, campeggiano donne mature.Prendete Cortigiana stanca: «Per strada, la sua fantasia si era accanita con una specie di rabbiosa volontà a immaginare una Maria Teresa carica di autunni, dai seni pesanti, dal ventre grasso tremolante sulle giunture allentate dell’inguine, dai fianchi impastati e disfatti». Laddove, però, la logica stessa del desiderio nei suoi momenti più accesi, se non addirittura quella stessa dell’amore, si alimenta proprio di quanto c’è di più penoso nel commercio della carne: «Non se lo confessava, ma l’avrebbe amata di più, mille volte di più, […] se avesse sentito sotto le sue mani irrequiete una carne ancora più stanca di quella, una pelle ancora più vizza e sfiorita. Tutto il suo amore avrebbe dato ad una povera donna matura che non senza disgusto avrebbe tenuto sopra le sue ginocchia e stretta contro il proprio petto». Anche alla donna di Fine di una relazione – che non si trova nell’incipiente autunno della vita come Maria Teresa, ma nella pienezza della sua fresca maturità – il suo infastidito amante non riserva premure migliori. E nello sguardo feroce e disturbato di lui, i suoi sono «occhi neri e inespressivi», per «una serenità indolente e un po’ bovina», di «animale inabile».

Il culmine di questa aggressività maschile, però, s’era già toccato dall’inizio, in Delitto al circolo di tennis, dove la «principessa», una donna invecchiata male, ma di ancor vive ambizioni, viene invitata al ballo di gala al Circolo, corteggiata e illusa, sbeffeggiata e umiliata, denudata e stuprata collettivamente, sino all’omicidio. Ecco: «lo scolorimento della carne ingiallita e grinzosa rivelava il disfacimento dell’età». E ancora, nei modi d’un dileggio che arriva al linciaggio: «La trascinarono daccapo alla tavola, quella resistenza li aveva imbestialiti, provavano un desiderio crudele di batterla, di punzecchiarla, di tormentarla». Si tratta di una modalità di rappresentazione che resisterà negli anni: ed I racconti ne danno continua e prolungata testimonianza.

Prendete L’imbroglio (1937), là dove compare in scena Santina, la fanciulla tutt’altro che sprovveduta da cui il protagonista maschile sarà prima irretito e poi ingannato: «Attonito e tuttavia incuriosito, Gianmaria notò soprattutto il singolare contrasto tra la gracilità infantile di questo corpo e le due macchie rotonde dei capezzoli che trasparivano sotto il velo verdognolo della sottoveste, anormalmente larghe, quasi mostruose, grandi e scure come due soldoni; e i peli lunghi, folti e molli che nereggiavano sotto le ascelle di quelle magre braccia alzate».

All’avvenente Gemma della Provinciale (1937) non tocca migliore destino: «Aveva il naso aquilino, la bocca grande e sdegnosa e, sotto capelli crespi, la carnagione delicata e malsana, ora diafana ora chiazzata di macchie di rossore. Certa peluria, che le adombravale braccia e la nuca, faceva pensare ad un corpo villoso ed infuocato pur nella sua sgraziata magrezza». Ma anche in Luna di miele, sole di fiele (che chiude la raccolta del 1952), il protagonista in questi termini s’esprime sulla moglie, all’indomani delle nozze: «Ella non era alta, ma aveva le gambe lunghe, di fanciulla, e magre, soprattutto nelle cosce che, nei calzoncini corti, mostravano sotto l’inguine quasi una fessura. Erano bianche, queste gambe, di una bianchezza fredda, casta, lucida. Ella aveva i fianchi stretti, la vita snella e poi, solo tratto muliebre, se si girava a parlargli, si profilava sotto la maglia il petto gonfio e basso, simile, sul busto esile, ad un peso aggiunto ed estraneo, penoso a portarsi».

Penoso a portarsi quel seno gonfio e basso: come sempre, in questi racconti, penoso è fare all’amore. Già, fare all’amore: tutto ciò che abbiamo per incontrarci e conoscerci in quanto essere umani, ma anche tutto quello che dobbiamo sopportare e soffrire.Aveva ragione Enzo Siciliano nel 1998: «In Moravia la sessualità diventa il segno tangibile della crisi del personaggio uomo – e lo stile, il lessico lo documentano». E ancora: «C’è in Moravia il torbido languore che segue al coito, una felicità offuscata da un rimorso senza nome, o la consapevolezza che si è vittime di noi stessi – la nostra persona è soltanto il risultato di un conflitto mal domato». Parlando di Agostino (1944), Umberto Saba disse che Moravia «sporcava l’amore». E Siciliano, molto giustamente commentò: «Voleva dire che Moravia piegava il sesso sul versante della tenebra piuttosto che su quello della luce». Il sesso e la sua natura di tenebra: parrebbe, il fare all’amore, l’unica declinazione dell’esistenza che abbia a che fare con una qualche idea di felicità, mentre invece si nutre, «oltre che di torbidi desideri, di sentimenti così poco amorosi come il disgusto, la crudeltà e il disprezzo», per usare le parole con cui Paolo, nella Provinciale, giustifica la sua «passione grossa e furtiva» per Gemma. Il giovane Moravia ha già capito tutto quello che c’era da capire, e continuerà a ribadirlo per tutta la sua vita di scrittore: la natura dell’uomoè ignota a se stessa, nonostante tutta la scienza che su tale natura è stata costruita, psicanalisi compresa. Il sesso è esattamente la dimensione in cui l’inconoscibilità della nostra natura arriva a palesarsi fulmineamente in quanto tale: disperatamente inattingibile.

Quale atto sostanzialmente aggressivo, il sesso è, così, anche un’aggressione alla stessa verità: per come ci appare, identica a se stessa, integra eppure incomprensibile. Fateci caso: che cosa rimane, a tutti i personaggi maschili, al termine dell’inappagata espugnazione che finisce per essere, ogni volta, il rapporto sessuale con una donna? Nient’altro che la proclamazione spazientita e insoddisfatta d’un mistero. Prendete Cortigiana stanca. Dopo l’amore, appena il suo amante s’è liberato dal viluppo delle coperte per andarsene via, Maria Teresa comincia a piangere «senza rumore, senza scosse, silenziosamente, come scorre il sangue da un corpo ferito a morte». L’amante ne ascolta le disperate parole – «è duro essere costretti per la prima volta a mendicare la vita» – quindi assiste a quella sorta di riflusso per cui Maria Teresa si richiude nell’impenetrabilità del sonno: «Gli pareva, di fronte a questa immobilità, che ella non avesse mai parlato; dubitava dei suoi occhi e delle sue orecchie; avrebbe voluto rivedere la smorfia lacrimosa, riudire la voce piangevole. La guardava e gli pareva di vedere la faccia stessa dell’esistenza, un momento rivelata e parlante, ora di nuovo muta e immobile». Già, la faccia stessa dell’esistenza che si rivela alla luce, per ritornare nella tenebra muta della sua immobilità. Siamo agli esordi: ma questa epifania del mistero della vita attraverso la donna è già un patrimonio morale ed esistenziale conquistato dal giovane scrittore. Inesorabile il suo giuoco di diastole e sistole, nella sua intera opera, attraverso personaggi femminili sempre più enigmatici: da Cortigiana stanca, appunto, a L’amore coniugale (1949), al postumo La donna leopardo (1991), per attenerci a tre diverse altezze cronologiche, per sottolinearne la prodigiosa continuità, anche di tenuta letteraria. Epifania del mistero della vita attraverso la donna che, guarda il caso, si realizzaanche nelle ultime righe dell’ultimo racconto della raccolta, così come Moravia ha perentoriamente voluto a partire dall’edizione del 1953, Luna di miele, sole di fiele: «Giacomo la strinse a sé e quasi subito, mentre lei cercava, sempre piangendo, il suo abbraccio, penetrò dentro di lei, facilmente e agevolmente. Ebbe la sensazione come di un fiore segreto, formato di due soli petali, che si schiudesse, pur rimanendo sepolto e invisibile, a qualche cosa che era il sole per la buia notte carnale. Nulla era risolto, pensò più tardi, ma per ora, gli bastava sapere che ella si sarebbe uccisa per lui».

Massimo Onofri

(Copyright Alberto Gaffi Editore)

TRE SCRITTORI BORGHESI di Massimo Onofri

Alberto Gaffi Editore in Roma, 2007

pagg. 112, euro 10

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OMAGGIO A ITALO CALVINO (a trent’anni dalla sua morte) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/09/18/omaggio-a-italo-calvino/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/09/18/omaggio-a-italo-calvino/#comments Fri, 18 Sep 2015 15:20:41 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=2441 Italo CalvinoCinque anni fa, nel settembre 2010, proposi un post in occasione del venticinquesimo anniversario della morte di Italo Calvino.

A distanza di cinque anni, in occasione del trentesimo (che ricorrerà domani 19 settembre 2015), vorrei riproporvi lo stesso post di allora, con le stesse domande, gli stessi spunti, gli stessi contributi, chiedendovi di contribuire a (r)innovarlo e a integrarlo, in omaggio a questo grandissimo scrittore del Novecento letterario (non solo italiano) che è stato Calvino.

Dedico, dunque, questo “spazio” alla memoria di Italo Calvino con l’intento di celebrarlo, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere questo nostro grande  scrittore a chi non ha ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.

Di seguito, il post pubblicato nel settembre del 2010.

Massimo Maugeri

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VENTICINQUE ANNI DALLA MORTE DI CALVINO
(settembre 2010)

Il 19 settembre 1985 Italo Calvino moriva all’ospedale di Siena, a causa di un ictus che lo aveva colpito qualche giorno prima nella sua villa di Roccamare.

Non sembra passato molto tempo, ma sono già trascorsi venticinque anni. Un quarto di secolo ad alta velocità, però; a cavallo tra due millenni. Un quarto di secolo che, forse, in termini di intensità e di velocità di cambiamento, non ha eguali rispetto al passato.

Su La Stampa del 12 settembre Marco Belpoliti scrive che “all’inizio degli anni Ottanta Calvino era un intellettuale-scrittore in panne, il cui motore, perfetto e oliato, girava a vuoto. Era sospeso nel vuoto della fine del XX secolo. (…) La solitudine è l’esperienza fondamentale della contemporaneità su cui s’innestano, pur nella loro diversità, sia il fascismo novecentesco sia il Grande Fratello. Calvino sta al di qua di questa soglia, indica il problema, ma non fornisce soluzioni. Un grande scrittore, senza dubbio, un grande moralista, e insieme un agilissimo saggista. Ma per andare avanti non basta più, bisogna cercare altrove. Dopo Calvino”.
Sempre sulle pagine de La Stampa, nell’inserto Tuttolibri di sabato 18 settembre, Ernesto Ferrero scrive: “L’enfasi celebrativa con cui di solito ci occupiamo di ricorrenze e anniversari sta a significare il suo contrario: celebriamo rumorosamente i grandi scomparsi per meglio auto-esentarci dal dovere di rileggerli. Con Italo Calvino questi rischi non si corrono. I venticinque anni che sono passati dalla sua prematura scomparsa (aveva da poco passato i sessanta) servono a capire ancor meglio quanto ci sia (sempre più) necessario, addirittura indispensabile. (…) Perfettamente consapevole dell’inevitabile scacco finale, ha continuato a disegnare mappe sempre più esatte del labirinto che ci tiene prigionieri. Per questo continueremo ad avere bisogno di lui. Per questo continuano a leggerlo in tutto il mondo”.

Vi propongo di ricordare Italo Calvino partendo dalle sue opere. Credo che (come abbiamo fatto in altre circostanze) sia un buon modo per “tributare” un grande autore scomparso. Seguono alcune domande volte a favorire la discussione.

1. Che rapporti avete con le opere di Calvino?

2. Qual è quella che avete amato di più?

3. E l’opera di Calvino che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Tra le varie “citazione” di Calvino di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

5. A venticinque anni dalla morte, qual è l’eredità che Calvino ha lasciato nella letteratura italiana?

Di seguito, l’intero articolo di Ernesto Ferrero citato prima.

Massimo Maugeri

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da LA STAMPATuttolibri del 18.9.2010

Nel labirinto ci serve ancora la sua bussola

di Ernesto Ferrero

L’enfasi celebrativa con cui di solito ci occupiamo di ricorrenze e anniversari sta a significare il suo contrario: celebriamo rumorosamente i grandi scomparsi per meglio auto-esentarci dal dovere di rileggerli. Con Italo Calvino questi rischi non si corrono. I venticinque anni che sono passati dalla sua prematura scomparsa (aveva da poco passato i sessanta) servono a capire ancor meglio quanto ci sia (sempre più) necessario, addirittura indispensabile.
E cade opportuna la dedica di «Portici di Carta» anche perché il sardo-ligure Calvino qui aveva trovato il suo habitat naturale. Di Torino, scrisse, gli piaceva «l’assenza di schiume romantiche, il far affidamento soprattutto sul proprio lavoro, una schiva diffidenza nativa, e in più il senso sicuro di partecipare al vasto mondo che si muove e non alla chiusa provincia, il piacere di vivere temperato di ironia, l’intelligenza chiarificatrice e razionale». Lo aveva attratto «un’immagine sociale e civile» più che «letteraria».
Qui ha messo a punto la sua strategia cognitiva. Figlio di scienziati, e scienziato per abito mentale egli stesso, Calvino elabora nientemeno che un nuovo modo di vedere il mondo al di là delle vecchie convenzioni neo-impressioniste o neoespressioniste.
Gli interessa definire le complicate reti di relazioni che si danno tra le persone, le cose, gli eventi: simile in questo a Gadda, ma con tutt’altri registri di scrittura. È un cartografo, un costruttore di sestanti e astrolabi, un maestro del calcolo combinatorio, un architetto-urbanista di palazzi e città letterarie, un inventore di apparecchi radiografici e tomografie assiali computerizzate.
Nulla lo appassiona quanto fare continuamente il punto, fissare la posizione propria e degli altri, cercare nessi, indagare il rovescio, la trama segreta di quell’arazzo di inganni e di apparenze che è la vita.
Tutto questo, si badi, partendo più o meno dall’Ariosto, cioè da un’apparenza di leggerezza fantastica, quasi d’evasione fiabesca. Che invece è un modo di giocare di sponda, di sottrarsi alle servitù della cronaca e del realismo, ai gonfiori e alle complicazioni dell’Io e dello psicologismo, alle pretese dello storicismo, ai lenocini dell’intrattenimento.
Scegliendo la posizione defilata e lievemente rialzata del “Barone Rampante”, Calvino è quello che ha visto meglio di tutti. Ci voleva una grande intelligenza e un grande coraggio per esordire raccontando la guerra partigiana nei modi del “Sentiero dei nidi di ragno” e proseguire in piena età
dell’impegno con la trilogia degli antenati (ma già i raccontini giovanili hanno un’impronta di apologo filosofico incredibile per quei tempi). E poi andare avanti a sperimentare, senza mai ripetersi, senza mai campare di rendita, fino alla fine, sempre contando su una qualità di scrittura che rende ogni pagina, anche la più estemporanea, semplicemente perfetta.
Per via della stessa lucidità del suo talento d’indagatore, Calvino ha conosciuto il disincanto sin dalla metà degli Anni 50, ma non si è lasciato travolgere dallo sgomento e dall’angoscia, non ha alterato la sua fisionomia illuministica con sogghigni nichilisti alla Cioran o voluttà apocalittiche.
Fedele al diritto-dovere della laconicità, ha tenuto la postazione senza arretrare, ha continuato a esercitare il pragmatismo stoico definito in una celebre pagina delle “Città invisibili”: l’inferno esiste, è il qui e ora che abbiamo costruito insieme, ma se non vogliamo lasciarcene inghiottire o diventare parte integrante di esso, dobbiamo «cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».
In questi anni di basso impero è un invito che costituisce una bussola sicura. Leggendo alla radio il poema ariostesco, Calvino aveva osservato a proposito del destino già scritto a cui Ruggiero è condannato: «Tra il punto in cui egli si trova ora e l’adempiersi del destino possono succedere tante mai vicende, tanti ostacoli frapporsi, tante volontà entrare in campo a contrastare il volere degli astri: la strada che il predestinato deve percorrere può essere non una linea retta ma un interminabile labirinto. Sappiamo bene che tutti gli ostacoli saranno vani, che tutte le volontà estranee saranno sconfitte, ma ci resta il dubbio se ciò che veramente conta sia il lontano punto d’arrivo, il traguardo finale fissato dalle stelle, oppure siano il labirinto interminabile, gli ostacoli, gli errori, le peripezie che dànno forma all’esistenza».
Antieroe della «perplessità sistematica», anti-presenzialista che cercava di far perdere le proprie tracce tra le moltitudini delle metropoli, Calvino non si è mai sottratto alla sfida, fino a schiattare letteralmente di fatica, come un contadino dei poderi paterni, durante la stesura delle “Lezioni americane”, un libro che da solo può dare la misura di una civiltà letteraria. Perfettamente consapevole dell’inevitabile scacco finale, ha continuato a disegnare mappe sempre più esatte del labirinto che ci tiene prigionieri.
Per questo continueremo ad avere bisogno di lui. Per questo continuano a leggerlo in tutto il mondo.

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AGGIORNAMENTO DEL 22 settembre 2010

L’uomo grasso che è in me
(Intervista a Italo Calvino – del 1985 – di Sandra Petrignani uscita sul Messaggero, poi in volume)

Italo Calvino ricorda un verso bellissimo del Purgatorio: «Poi piovve dentro a l’alta fantasia… » La fantasia, dunque, è un posto in cui piove dentro, piovono immagini dal cielo. Per Dante l’ispirazione artistica viene da Dio come nella concezione classica veniva dalle Muse.
«Le Muse come custodi della memoria, figlie della Memoria, la memoria collettiva» dice Calvino. «Le Muse rappresentano il deposito di tutto il raccontabile, di tutto il dicibile. Saper attingere a questo repertorio potenziale è la dote del poeta».
« E nella sua fantasia come piove, quanto, cosa?»
«Piovono immagini e parole insieme. Mi baso su un processo misto. Spesso è un’immagine visiva prima che verbale a venirmi in mente. Però il momento decisivo è quello in cui mi metto a scrivere. Allora l’intenzione originale cambia, può anche trasformarsi del tutto, venire completamente dimenticata. Altre volte resiste. Per esempio: l’immagine iniziale era un uomo tagliato in due? Era un ragazzo che si arrampica su un albero e non scende più? Era un’armatura vuota capace di muoversi per la forza di volontà, sorretta da nessun corpo? Su queste immagini figurali lavoro. Faccio tutti i casi possibili, mi chiedo cosa succederà…»
Ora l’uomo tagliato in due, il ragazzo scontroso che va a vivere sugli alberi, l’armatura senza corpo se ne stanno guardinghi sul divano. Parlare con Calvino è sempre un avvenimento, è stato detto. Infatti lo è, non tanto per le snervanti resistenze dello scrittore a farsi intervistare, quanto per la sua prerogativa, davvero unica, di circondarsi di un’invisibile eppure tangibile barriera. Come intorno a un’inespugnabile fortezza, corre intorno a Calvino un minaccioso fossato. Forse dentro ci sono coccodrilli, o forse soltanto pesci rossi, chissà. Intimiditi, si resta dall’altra parte a guardare. Calvino si offre di profilo. Fissa un punto indefinito di fronte a sé; le dita sono intrecciate sul petto, le gambe tese in avanti e incrociate. Di tanto in tanto si volta fugacemente, lancia uno sguardo marrone e curioso. Qualche volta, in mezzo a un’immensa serietà, ride. Brevemente, ma ride.
«In un’intervista di qualche anno fa ha dichiarato: “Credo all’esistenza del mondo”. Dunque lei non mette in dubbio ciò che si definisce “realtà”. La fantasia fa parte della realtà o vi si contrappone?»
«Non ricordo mai quello che ho detto in precedenti interviste e di solito sono tentato di affermare il contrario; se una cosa era vera nel momento in cui l’ho detta, probabilmente non è più vera in un altro momento. Penso però che quella dichiarazione fosse in polemica con chi sostiene che esiste solo il linguaggio o, comunque, che soltanto il linguaggio possiamo conoscere. Mentre io credo che esista anche il non linguistico, il non dicibile, il non scrivibile e che lo scrivere sia appunto un rincorrere sempre questo mondo non scritto e forse non scrivibile. In tal senso il mondo è fatto anche di immagini, di pensieri: è il mondo moltiplicato le proprie immagini, le proprie trasfigurazioni. Quindi sul mondo aleggia sempre una specie di nuvola, una fantasfera, che è un’atmosfera creata dalle nostre immagini del mondo. Di queste immagini abbiamo bisogno per agire, per crescere, per operare, per giudicare. Ecco, in questo senso credo alla realtà e alla fantasia insieme, se la fantasia è l’insieme delle immagini».
«La saggezza cos’è?»
«Non vale. Lei prima mi dice che mi vuole intervistare sulla fantasia e poi mi chiede della saggezza… Mi prende in contropiede… Vediamo,.. La saggezza è una capacità di decidere, di giudicare nelle cose della vita sulla base di ciò che si è acquisito nell’esperienza. È la capacità di applicare in casi singoli quello che si è imparato in altri casi singoli completamente diversi. È qualcosa di quasi impossibile o richiede una particolare dote di astrazione e di adesione al particolare contemporaneamente ».
«La fantasia non ha niente a che vedere con la saggezza?»
«Sì, è vero, la fantasia c’entra qualcosa. Perché la fantasia è velocità nell’immaginare il possibile o l’impossibile. E’ avere in testa una specie di macchina elettronica che fa tutte le combinazioni possibili e sceglie quelle che rispondono a un fine o che, semplicemente, sono le più interessanti, piacevoli, divertenti. È dunque anch’essa basata su astrazione e adesione ai particolari allo stesso tempo».
«Fra fantasia e ragione vede contrapposizione?»
«No. La fantasia salta dei passaggi. La ragione senza fantasia comporta una grande perdita di tempo. Perché bisogna percorrere tutti i passaggi e anche tutti i casi che poi vanno scartati».
«Quando ha scritto la prima fiaba?»
«Da bambino leggevo molto il “Corriere dei Piccoli” e prima ancora di leggere lo sfogliavo e attraverso le figure mi raccontavo da me stesso delle storie. Facevo variazioni di storie possibili. Credo che quella sia stata una scuola di immaginazione e di logica delle immagini. Perché pur sempre di logica si tratta, soprattutto nella fiaba, che è un tipo di narrazione molto semplice e in cui tutto ha una funzione».
«Com’era il bambino Italo?»
«Non troppo sveglio, non molto precoce, non molto dotato, non molto agile».
«La fantasia la portava all’isolamento o alla comunicazione?»
«Ah, all’isolamento totale, sì. Sì. Un isolamento che è durato fino a questo momento. Tanto è vero che è forse la prima volta che ne parlo a qualcuno».
«Allora una spiccata fantasia rende più soli i bambini? »
«Naturalmente i bambini non vogliono essere diversi dagli altri. Se ero diverso, rifiutavo di ammetterlo e in fondo tutti i bambini sono fantasiosi e quindi una maggior fantasia avrebbe dovuto accomunarmi agli altri… Ma è difficile parlare della propria infanzia da adulti, soprattutto passati i sessant’anni. Penso che non si possano che raccontare fantasie sulla propria infanzia. No, credo che la mia memoria non sia affidabile…»
«Sua madre com’era?»
«Era una donna molto severa. Era anche dolce. Ma era una donna molto severa… Cosa c’entra?»
E’ qui che Calvino lancia una delle sue rare occhiate frontali. Un’altra arriva quando chiedo quale dei tre tavoli disposti in fondo alla sala sia il suo.
«Tutti e tre. Lavoro un po’ qua, un po’ là».
Il colore prevalente della casa, arredata in stile moderno, è il bianco. Vi spiccano piante verdi. Siccome il salotto, oltre che studio, è anche ingresso, la moglie dello scrittore e la figlia, una ragazza sui vent’anni, vanno avanti e indietro, rispondono al telefono, aprono la porta. Ma lui non fa caso a loro, loro non fanno caso a lui. Intorno alla fortezza il borgo è agitato e vivace, rumoroso e vitale.
«Crede in fate, streghe, elfi, gnomi?»
«Oh, che bella domanda! Fate, elfi, gnomi sono quelli che nella fisica rinascimentale si chiamavano “spiriti elementali”, proprio così, con la elle. Credo in una società di tutti gli esseri viventi, e delle piante, e degli oggetti, e delle pietre. Penso che se ho un’anima io, ce l’hanno anche i cosiddetti oggetti inanimati ».
«Lei ama giocare?»
«No, non gioco a niente».
«Vuol farlo adesso?»
«Giocare adesso? A cosa?»
«Le suggerisco delle immagini che, a giudicare dai suoi scritti, dovrebbero esserle care. Lei mi dice che fantasie le fanno venire in mente. Cominciamo con lo scheletro ».
«Lo scheletro mi pare assolutamente essenziale. È qualcosa che portiamo in noi ed è un simbolo universale. Soprattutto è dotato di una sua allegria. E di una sua funzionalità e pulizia. È un’immagine allegra. Ha uno stile, ha sempre un grande stile».
«Preferisce i magri ai grassi?»
«Ah! Alle volte penso che io interiormente sono un uomo grasso. I grassi non esistono quasi più, nel senso che non si vedono quasi più. Ma certamente ci sono ancora. Ci sono dei grassi nascosti nei magri. Amo molto la snellezza come agilità. Io sono magro, ma non sono agile. Quindi tanto varrebbe che fossi grasso».
«Torniamo al nostro gioco. Ora tocca al labirinto ».
«È un altro simbolo universale. In qualsiasi spazio possiamo trovare un labirinto. Non dimentichiamo che il labirinto è una macchina per uscire, diciamo che è una porta un po’ più complicata, è qualcosa che bisogna attraversare».
«Ma è una porta verso cosa?»
«Una porta è sempre verso il dentro e verso il fuori. I veri labirinti ci mettono nella condizione di scegliere che cosa è il dentro e che cosa è il fuori. Ogni fuori può essere trasformato in un dentro, così come possiamo considerare fuori ogni dentro e decidere che la nostra cella è l’unica libertà possibile».
«Adesso c’è l’uovo».
«Uovo. È una grande riuscita di design, è il container universale, è qualcosa che dovrebbe essere librata nello spazio, perché non può stare in piedi. Ed è, a differenza del labirinto e della porta, qualcosa per cui il dentro e il fuori sono decisamente opposti e non può esserci alcuno scambio possibile. Quello che è dentro è dentro e quello che è fuori è fuori. Quindi si pone sempre il problema del fuori. Se l’Universo è un uovo, è circondato da un non-universo. E si pone il problema di quale sia l’alto e quale il basso. A meno che non ci sia un portauovo o portauniverso ».
«E la gallina non ha alcun merito?»
«Ecco, ho detto design e lei ha subito pensato a un architetto milanese. Invece io pensavo anche alla gallina e a tutte le specie ovipare, ivi compresa la coppia uomo-donna. Perché anche l’uomo nel far diventare l’uovo un uovo ha una sua parte».
«Se una zingara le indovina passato e futuro resta incredulo o si affida alla profezia?»
«No, non rimango incredulo. Penso sia un caso di velocità mentale: il potersi rappresentare nello stesso tempo tutto il possibile ed escludere via via tutto l’improbabile. Però è solo in questa velocità che simili fatti possono avere a che fare con la fantasia. In genere gli esempi del cosiddetto paranormale appartengono a un repertorio molto noto e prevedibile e che non trovo più stimolante di tanti aspetti dell’infinità del possibile che ci si presentano anche nelle esperienze cosiddette normali».
«Pensa che l’esperienza dello scrittore sia in qualche modo medianica?»
«No, non credo, non so. Sì, è un’esperienza che ha pur sempre a che fare con la molteplicità. Cercare l’espressione adatta ogni volta è cimentarsi con un vocabolario immenso, con un repertorio di usi. Ma come sempre si tratta di circoscrivere le proprie scelte. In questo senso io non sono molto medianico, perché scrivo molto lentamente. Un tipo di ultrasensibilità dovrebbe portare a scrivere con il minor sforzo possibile. Io no, fatico come una bestia. È il caso di dire che mi guadagno il pane con il sudore della fronte».
«Si sente nei suoi romanzi e nei suoi scritti teorici una costante posizione di bilico fra fantasia e ragione, come se il tentativo di dare confini, di costringere nel cerchio della scrittura l’esistente fosse costantemente minacciato dallo sconfinamento fantastico. E così? »
«Sì, mi pare una bellissima metafora del lavoro dello scrittore. Mi ci riconosco anch’io. Lo stimolo a immaginare viene dalle restrizioni che ci si pone. Si stabiliscono le regole del gioco e in quelle si attua una quantità enorme di combinazioni, si realizza la propria libertà e si può a un certo punto anche rompere le regole. Ma se regola non c’è, non è possibile infrangerla. Le norme in letteratura sono sempre state un grande stimolo per l’immaginazione. La metrica in poesia è stimolo a costruire un verso. Nessuno può sostenere che la poesia sia diventata più immaginativa da quando è invalso l’uso del verso libero. E del resto anche il verso libero ha una metrica implicita, sottintesa».
«C’è una parte della vita che ha un legame privilegiato con la fantasia: l’amore… »
«In amore ha una parte enorme quello che gli psicoanalisti chiamano il fantasma: fra gli amanti si frappone sempre un’immagine o più immagini incorporee. Mi pare sia stato Freud a dire che ogni incontro amoroso è l’incontro fra almeno quattro persone: i due partner e i loro fantasmi. Questi fantasmi possono essere poco o tanto simili al vero; se sono totalmente separati dalla realtà non credo sia una buona cosa. Diciamo che l’incontro amoroso avviene nella realtà, accompagnato da centomila variazioni possibili nella fantasia».
«Ma gli amori sono sempre “difficili” come dice un suo titolo?»
«Bah! Tutto è difficile e molto è possibile. Ma guardi un po’ che razza di frase mi fa dire… »
Ora Calvino guarda l’orologio. È passata più di un’ora dall’inizio della conversazione.
«Avevamo detto un’ora al massimo» commenta. E la sua voce è diventata improvvisamente fredda e burocratica. Impenetrabile.

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AGGIORNAMENTO DEL 29 settembre 2010
Nella puntata di “Letteratitudine in Fm” del 24 settembre (trasmissione di radiofonica libri e letteratura che curo e conduco su Radio Hinterland) ho avuto come ospite “virtuale” Italo Calvino nell’ambito di una sorta di intervista radiofonica “impossibile”. L’intento è stato quello di omaggiare il grande scrittore facendo sentire la sua voce in radio in occasione del 25° anniversario dalla sua morte.
Potete ascoltare la registrazione di quella porzione di puntata cliccando qui

Dura poco più di dieci minuti.
Vi invito (se potete e se vi va) ad ascoltarla e a commentarla.

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STORIE (IN) SERIE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/05/22/storie-in-serie/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/05/22/storie-in-serie/#comments Fri, 22 May 2015 16:23:51 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6789 Storie (In) Serie

di Massimo Maugeri

È da tempo che medito sulla possibilità di dedicare uno spazio di Letteratitudine alle Serie Tv che,  a detta di molti (e con riferimento a quelle prodotte negli ultimi anni), rappresenterebbero la nuova frontiera della narrazione. È innegabile che molte delle serie che sono andate in onda in questi ultimi anni sono di altissima qualità e hanno attratto una enorme fetta di pubblico. Basti pensare (giusto per citarne alcune delle più seguite) a: “House of Cards“, “Game of Thrones“, “The Walking Dead“. (Va subito precisato che qualità e abilità narrativa non risiedono solo nelle produzioni americane. Valga per tutti l’esempio della serie francese “Les Revenants).
Più volte, qui a Letteratitudine, ci siamo interrogati sul rapporto tra “letteratura e cinema” (non dimentichiamo, peraltro, la sezione “Letteratitudine Cinema” curata dalla critica cinematografica Ornella Sgroi). Anche la relazione tra “romanzi e serie tv” è molto stretta: “House of Cards” nasce dagli omonimi romanzi dello scrittore britannico Michael Dobbs; “Game of Thrones” deriva dal ciclo di romanzi “Cronache del ghiaccio e del fuoco” di George R. R. Martin; la produzione di “Les Revenants” si è avvalsa della collaborazione (nel ruolo di sceneggiatore) dello scrittore francese Emmanuel Carrère; qui in Italia aspettiamo la serie tv tratta dalla saga de “L’amica geniale” di Elena Ferrante (per la sceneggiatura di Francesco Piccolo); di recente la Amblin Entertainment, la casa di produzione di Steven Spielberg, e il canale americano SyFy hanno annunciato la collaborazione per realizzare una serie tv tratta dal noto romanzo di Aldous HuxleyIl mondo nuovo” (classico della letteratura distopica). E poi (per rimanere in casa nostra)… come non pensare alla serie televisiva de Il commissario Montalbano tratta dai romanzi di Andrea Camilleri? Insomma: di esempi non ne mancano e potremmo farne tanti altri (e se guardassimo al passato, pensando alle serie tv storiche prodotte nei decenni precedenti, il campo si allargherebbe ulteriormente). In ogni caso, più di che competizione tra romanzo e serie televisiva (con vittoria della seconda sul primo), forse sarebbe opportuno parlare di commistione e di reciproco supporto (le serie tv di successo contribuiscono moltissimo alla vendita dei romanzi da cui sono tratte).
C’è da dire, inoltre, che il mondo di Hollywood guarda con molta attenzione al fenomeno in questione (e già da parecchi anni). Le stelle del grande schermo non ci pensano due volte a tuffarsi nel mare delle opportunità offerte dal piccolo schermo (le serie tv, oggi, sono guardate – ancora più dei “movie” – su diversi supporti: dai megaschermi casalinghi degli home theatre a quelli dei pc, dai tablet agli smartphone, ecc.). Giusto per fare un esempio, (il due volte Premio Oscar) Kevin Spacey non ci ha pensato due volte nell’accettare il ruolo di protagonista (Frank Underwood) nella citata serie “House of Cards” (peraltro affiancato dalla ottima Robin Wright): e milioni di persone in tutto il mondo sono rimaste incollate ai teleschermi per assistere all’ascesa politica del cinico e senza scrupoli deputato del Partito Democratico Frank Underwood che, da capogruppo di maggioranza al Congresso, conquista lo scranno di Presidente degli Stati Uniti d’America.
Sono tante le star di Hollywood che farebbero “carte false” (giusto per rimanere in tema con “House of Cards”) per accedere al ruolo di protagoniste di serie televisive da primato. Matt Dillon, per esempio, è il protagonista di “Wayward Pines” (adattamento televisivo del bestseller “I misteri di Wayward Pines“, romanzo di Blake Crouch), serie appena approdata in tv. Si è parlato di evento “epocale”, giacché la serie sta andando in onda in contemporanea mondiale in 125 paesi (a partire dal 14 maggio di quest’anno). “Quando ho letto gli script dei primi due episodi ho creduto davvero di essere finito dentro un libro“, ha affermato Dillon. “Ho pensato: wow, qui dentro c’è davvero un mondo“. E alla domanda ‘preferisci recitare in un film o in una serie?’, Dillon risponde così: “Amo il cinema, mi piace la magia del grande schermo e il modo in cui un film possa realmente cambiarti la vita. Tuttavia, la televisione ha un incredibile potenziale creativo perché, grazie alla serialità, permette di raccontare storie impensabili per un film. Che poi è la parte più bella del mio lavoro, raccontare storie“.
Raccontare storie, dunque. E qui torniamo a Letteratitudine… e a questa rubrica dedicata alle serie tv.

Il titolo è “Storie (in) Serie” ed è stato proposto da Carlotta Susca (foto accanto), a cui ho affidato il coordinamento della rubrica (uno spazio che sarà arricchito da recensioni, interviste e contributi di vario genere incentrati sulle serie tv ).
Ho conosciuto Carlotta nel 2012, nel corso dell’evento “k.Lit – Il Festival dei Blog Letterari“, e ho avuto modo di apprezzare il suo ottimo saggio “David Foster Wallace nella casa stregata” (Stilo). Tra le altre cose, Carlotta è una delle anime di “STORIE (IN) SERIE” (la rassegna dedicata alle Serie Tv organizzata a Bari) e dunque un grande conoscitrice delle tematiche in questione.
Ringrazio, dunque, Carlotta per la collaborazione… e ringrazio voi, amiche e amici di Letteratitudine, che vorrete seguirci in questa nuova avventura di… Storie (in) Serie.

P.s. Lascio la sezione commenti “aperta” per vostri eventuali contributi.

* * *

Carlotta Susca (1984) è una consulente editoriale e organizzatrice di eventi sulla narrazione nelle sue varie forme, anche quelle seriali; è docente del laboratorio di Editoria libraria e multimediale presso l’università degli Studi di Bari ‘Aldo Moro’ e insegna editoria e scrittura in vari corsi e workshop.
È autrice del saggio David Foster Wallace nella casa stregata. Una scrittura fra postmoderno e nuovo realismo (Stilo Editrice) e collabora con alcuni blog, per cui recensisce libri, film e serie tv.

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OMAGGIO A GÜNTER GRASS http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/04/20/omaggio-a-gunter-grass/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/04/20/omaggio-a-gunter-grass/#comments Sun, 19 Apr 2015 22:01:12 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6752 Noto soprattutto per il romanzo d’esordio “Il tamburo di latta” (1959), nonché primo scritto della Trilogia di Danzica (che comprende [...]]]> Il 13 aprile 2015, a Lubecca, è morto Günter Grass scrittore tedesco insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1999 (motivazione: “le cui licenziose fiabe ritraggono la faccia dimenticata della storia”).

Il tamburo di lattaNoto soprattutto per il romanzo d’esordio “Il tamburo di latta” (1959), nonché primo scritto della Trilogia di Danzica (che comprende anche “Gatto e topo” del 1961 e “Anni di cani” 1963), Günter Grass è senz’altro uno dei massimi scrittori tedeschi della seconda metà del Novecento.

Nella tradizione di Letteratitudine, dedico questo “spazio” alla memoria di Günter Grass con l’intento di celebrarlo, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere questo grande autore di calibro internazionale a chi non ha ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.

Pongo, di seguito, alcune domande volte a favorire la discussione…

1. Che rapporti avete con le opere di Günter Grass?

2. Qual è quella che avete amato di più?

3. E l’opera della Grass che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Tra le varie “citazione” di Grass di cui avete memoria (o in cui, magari, vi siete imbattuti in questa occasione)… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

5. Qual è l’eredità che Günter Grass ha lasciato nella letteratura mondiale?

Qualunque tipo di contributo sulla vita e sulle opere di Günter Grass (citazioni, stralci di brani, considerazioni, recensioni, link a video e quant’altro) è gradito.

Siete tutti invitati a intervenire, dunque.

Vi ringrazio anticipatamente per la partecipazione.

Massimo Maugeri

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Illustrazione della pittrice Rossella Grasso dedicata a “Il tamburo di latta”

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RATPUS va in scena http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/03/07/ratpus-va-in-scena/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/03/07/ratpus-va-in-scena/#comments Sat, 07 Mar 2015 10:30:15 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6580 ratpus“RATPUS” VA IN SCENA

di Massimo Maugeri

Care amiche e cari amici di Letteratitudine,
sono molto lieto di condividere con voi una bella notizia che mi riguarda (e che qualcuno di voi conosce già).
Un mio personaggio letterario, che amo molto, la Cetti Curfino di un mio vecchio racconto intitolato “Ratpus“, prenderà vita a teatro.

Ratpus” andrà in scena con la riduzione, l’adattamento e la regia di Manuel Giliberti (autore della monografia teatrale “Bravo lo stesso” per i tipi di Lombardi Editori dedicata al teatro di Piera degli Esposti, consulente artistico dell’Istituto Nazionale Dramma Antico di Siracusa, regista, tra l’altro dello spettacolo dell’Accademia Giusto Monaco dell’Inda, in scena al Teatro Greco di Siracusa nel maggio del 2014 “Verso Argo”). A interpretare la protagonista, Cetti Curfino, sarà Carmelinda Gentile, già, tra l’altro, Ismene al fianco di Giorgio Albertazzi nell’”Edipo a Colono” in scena nel 2009 al Teatro Greco di Siracusa, ma conosciutissima dal grande pubblico anche grazie al ruolo di Beba del “Commissario Montalbano” televisivo. A eseguire dal vivo le musiche originali che ha composto per lo spettacolo, Antonio Di Pofi, autore delle musiche per l’”Agamennone” di De Fusco in scena la stagione del 2014 al Teatro Greco di Siracusa. Completa il cast tecnico Lidia Agricola, che firma scene e costumi.

* * *

IL TOUR DEGLI SPETTACOLI

- MESSINA:
nell’ambito di “
Atto Unico. Scene di Vita, Vite di Scena” di QuasiAnonima Produzioni. Lo spettacolo è andato in scena il 23 novembre 2015, a Messina,  presso la Chiesa di Santa Maria Alemanna in doppia replica (alle ore 18 e alle ore 21).

- CATANIA:
giorno 8 marzo 2015, a Catania, alle h. 18, presso il Teatro del Canovaccio (Via Gulli, 12, Catania)

- SIRACUSA:

28 marzo 2015, h. 21

29 marzo 2015, h. 18

ANTICO MERCATO ORTIGIA – VIA TRENTO, N. 2

(giovedì 26 marzo, h. 21 – serata extra per gli studenti)

- NOTO:
27 luglio 2015, nell’ambito dell’iniziativa “Atto Unico” di EFFETTO NOTO,  – Noto (Sr), alle h. 21:30, presso Largo Landolina

[E ci saranno tante altre date ancora... in giro per l'Italia e forse anche all'estero]


* * *

Qui di seguito, il video promozionale dello spettacolo con l’interpretazione di Carmelinda Gentile.

Due parole sul personaggio…

Cetti Curfino, la protagonista di “Ratpus”, è stata arrestata perché ha commesso un grave reato, di cui però non è pentita. Ora si trova davanti al commissario di polizia a raccontare la sua versione dei fatti. È una storia amara, dura. Il calvario quotidiano che deve vivere una quarantenne di un quartiere popolare, bella e poco istruita, che ha perso il marito a causa di un incidente sul lavoro. La trama si incentra sulle seguenti domande. Cosa accade a una casalinga che vive già una vita disagiata, quando le muore il marito che svolge un lavoro irregolare? Cosa può fare per recuperare i soldi necessari per portare avanti le giornate e per crescere un figlio adolescente in un quartiere “a rischio”? A chi si deve rivolgere, quando all’orizzonte non si profila nemmeno l’ombra di un lavoro degno di tal nome? Ma c’è dell’altro … perché Cetti ha la sfortuna di finire impigliata all’interno di meccanismi famigliari vergognosi, meschini e raccapriccianti …

Mi piacerebbe che il pubblico continuasse a pensare a questo personaggio anche dopo la chiusura del sipario. Mi piacerebbe che pensiero, immagine e suggestione del pubblico fossero rivolti tutti a lei, a Cetti Curfino. A questa donna bella e poco istruita che ha dovuto fare i conti con la vita in un contesto di estrema difficoltà, intriso di abusi più o meno velati, nonché di aspettative più o meno malate. Ringrazio in anticipo Carmelinda Gentile, e il suo talento, per aver reso “vivo” questo personaggio.

Aggiungo che “Ratpus” giunge in teatro per merito di Manuel Giliberti. Dopo aver letto “Viaggio all’alba del millennio“, Manuel è rimasto particolarmente colpito da questo racconto e dal personaggio di Cetti. È stato lui a dirmi che il racconto, peraltro scritto in forma di monologo, si prestava benissimo per una trasposizione teatrale…
Un grazie di cuore a Manuel, dunque. Grazie a Antonio Di Pofi e Lidia Agricola.
E grazie, ancora, a Carmelinda Gentile: la migliore interprete che potessi immaginare per Cetti Curfino.

Infine… grazie di cuore a voi, amiche e amici di Letteratitudine.

So che farete il tifo per questo spettacolo. E se voleste lasciare un commento… io, Cetti e tutti gli altri vi saremmo ulteriormente grati.

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OMAGGIO A PINO DANIELE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/01/05/omaggio-a-pino-daniele/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/01/05/omaggio-a-pino-daniele/#comments Mon, 05 Jan 2015 14:12:25 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6640 OMAGGIO A PINO DANIELE (Napoli, 19 marzo 1955 – Roma, 4 gennaio 2015)

Quando ci lascia un artista, scompare un po’ di luce che la sua arte aveva contribuito a generare. E tuttavia rimangono vive le sue opere, stelle accese sul firmamento della bellezza.

Dedichiamo questo spazio alla memoria di Pino Daniele, invitando i frequentatori del blog a lasciare un commento volto a commemorare l’artista scomparso.
Di seguito, due video che abbiamo selezionalo da YouTube.
Tra i commenti del post, la rassegna stampa dedicata alla morte di Pino Daniele.

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Il sito ufficiale di Pino Daniele.

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OMAGGIO A NADINE GORDIMER http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/07/14/omaggio-a-nadine-gordimer/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/07/14/omaggio-a-nadine-gordimer/#comments Mon, 14 Jul 2014 20:58:35 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6303 È MORTA NADINE GORDIMER.

Il 13 luglio 2014, a Johannesburg, all’età di 90 anni (a causa di un tumore al pancreas), è morta la scrittrice sudafricana vincitrice del Booker Prize nel 1974 e del Premio Nobel per la letteratura nel 1991.

La ricordiamo proponendo questo video con traduzione in italiano (invitando i frequentatori del blog a intervenire per commemorarla)

Nadine Gordimer è nata a Johannesburg, il 20 novembre 1923. È stata una scrittrice sudafricana di grande successo. Ha ricevuto numerosi e prestigiosi riconoscimenti, tra cui: il Booker Prize nel 1974 e il Premio Nobel per la letteratura nel 1991. Nel gennaio 2007 le è stato assegnato il Premio Grinzane Cavour.

Nella tradizione di Letteratitudine, dedico questo “spazio” alla memoria di Nadine Gordimer con l’intento di celebrarla, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere questa grande scrittrice di calibro internazionale a chi non ha ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere, tra cui (ne cito qualcuna): Un ospite d’onore (1970), Il Conservatore (1974), Qualcosa là fuori (1984).

La Gordimer con il suo impegno e le sue opere ha avuto un ruolo importante nella lotta contro l’apartheid.

Pongo, di seguito, alcune domande volte a favorire la discussione…

1. Che rapporti avete con le opere di Nadine Gordimer?

2. Qual è quella che avete amato di più?

3. E l’opera della Gordimer che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Tra i suoi racconti, qual è quello che preferite?

5. Tra le varie “citazione” della Gordimer di cui avete memoria (o in cui, magari, vi siete imbattuti in questa occasione)… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

6. Qual è l’eredità che Nadine Gordimer ha lasciato nella letteratura mondiale?

Qualunque tipo di contributo sulla vita e sulle opere di Nadine Gordimer (citazioni, stralci di brani, considerazioni, recensioni, link a video e quant’altro) è gradito.

Siete tutti invitati a intervenire, dunque.

Vi ringrazio anticipatamente per la partecipazione.

Massimo Maugeri

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IL CENTENARIO DELLA NASCITA DI ANNA MARIA ORTESE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/06/11/il-centenario-della-nascita-di-anna-maria-ortese/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/06/11/il-centenario-della-nascita-di-anna-maria-ortese/#comments Wed, 11 Jun 2014 21:15:56 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6193 anna-maria-orteseIl 13 giugno 1914 nasceva, a Roma, Anna Maria Ortese (morì, a Rapallo, il 9 marzo 1998).
A cento anni dalla nascita, nella tradizione di Letteratitudine, vorrei ricordarla con il vostro aiuto.

Dedico, dunque, questo “spazio” alla memoria di Anna Maria Ortese con l’intento di celebrarla, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere questa nostra grande  scrittrice a chi non ha ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere, tra cui vanno citate senz’altro (giusto per ricordarne qualcuna): Il mare non bagna Napoli (1953, premio Viareggio), L’iguana (1965), Poveri e semplici (1967, Premio Strega), Il porto di Toledo (1975), Il cardillo addolorato (1993) e Alonso e i visionari (1996)…

Su LetteratitudineNews ospiterò alcuni contributi “speciali” (che saranno online già da domani mattina), ma chiedo a tutti di partecipare all’iniziativa lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione, informazioni biografiche… ma anche link ad altri siti e quant’altro possa servire a ricordare Anna Maria Ortese e la sua produzione letteraria.

Pongo, di seguito, alcune domande volte a favorire la discussione…

1. Che rapporti avete con le opere di Anna Maria Ortese?

2. Qual è quella che avete amato di più?

3. E l’opera della Ortese che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Tra i suoi racconti, qual è quello che preferite?

5. Tra le varie “citazione” della Ortese di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

6. A cento anni dalla nascita, qual è l’eredità che Anna Maria Ortese ha lasciato nella letteratura italiana?

Come ho precisato sopra, qualunque tipo di contributo sulla vita e sulle opere di Anna Maria Ortese (citazioni, stralci di brani, considerazioni, recensioni, link a video e quant’altro) è gradito.
Siete tutti invitati a intervenire, dunque.

Vi ringrazio anticipatamente per la partecipazione.

Di seguito, vi propongo alcuni video relativi a un servizio della RAI dedicato alla Ortese.

Massimo Maugeri

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OMAGGIO A GABRIEL GARCÍA MÁRQUEZ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/04/18/omaggio-a-gabriel-garcia-marquez/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/04/18/omaggio-a-gabriel-garcia-marquez/#comments Fri, 18 Apr 2014 14:20:14 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6089 Ieri, 17 aprile 2014, è scomparso lo scrittore e premio Nobel per la letteratura Gabriel García Márquez (era nato a Aracataca, 6 marzo 1927). Sapevamo che le sue condizioni di salute erano precarie: il 3 aprile scorso era stato ricoverato in un ospedale di Città del Messico a causa dell’aggravarsi di una polmonite.
Il patrimonio letterario e culturale che ci lascia García Márquez è immenso, a prescindere dal conferimento del Premio Nobel per la Letteratura (avvenuto nel 1982).
Il suo romanzo più celebre, “Cent’anni di solitudine“, è stato votato, durante il IV Congresso internazionale della Lingua Spagnola, tenutosi a Cartagena nel marzo del 2007, come seconda opera in lingua spagnola più importante mai scritta, preceduta solo da Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes.
Vorrei ricordarle Gabriel García Márquez in questo post, con il vostro preziosissimo contributo.
Dedico dunque questo “spazio” alla memoria di “Gabo”, anche con l’auspicio di contribuire a far conoscere questo autore a chi non avesse ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.
Chiedo a tutti di contribuire lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione, informazioni biografiche… ma anche link ad altri siti e quant’altro possa servire a ricordare García Márquez e la sua produzione letteraria. Seguono alcune domande volte a favorire la discussione.

1. Che rapporto avete con le opere di Gabriel García Márquez?

2. Qual è quella che avete amato di più?

3. Qual è quella che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Tra le varie “citazione” di García Márquez di cui avete memoria (o che magari avrete modo di leggere per questa occasione)… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

5. Qual è l’eredità che García Márquez ha lasciato nella letteratura mondiale?

Di seguito, per celebrarlo, il video con una breve intervista (rilasciata qualche anno fa a Gianni Minoli).
Grazie in anticipo per la vostra partecipazione.

Massimo Maugeri



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MAMMA ROMA, di Pier Paolo Pasolini http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/01/22/mamma-roma-di-pier-paolo-pasolini/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/01/22/mamma-roma-di-pier-paolo-pasolini/#comments Wed, 22 Jan 2014 16:28:54 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5815 pellicole-italicheIl nuovo appuntamento della rubrica PELLICOLE ITALICHE da rivedere, curata da Gordiano Lupi, è dedicato a uno dei più grandi film girati da Pier Paolo Pasolini: “Mamma Roma” (con indimenticabile interpretazione di Anna Magnani).

Il post si presta per discutere del cinema di Pasolini e della figura della Magnani (di cui avevamo già avuto modo di occuparci in quest’altro post).

Di seguito, oltre all’articolo di Lupi, la locandina e la prima parte del film.

Massimo Maugeri

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MAMMA ROMA (1962) – di Pier Paolo Pasolini

recensione di Gordiano Lupi

Regia: Pier Paolo Pasolini. Soggetto e Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini. Consulente ai dialoghi: Sergio Citti. Fotografia: Tonino Delli Colli. Montaggio: Nino Baragli. Scenografia: Flavio Mogherini. Musiche: Carlo Rustichelli (rimaneggia Antonio Vivaldi). Aiouto Regia: Carlo Di Carlo.Assistente Alla Regia: Gianfrancesco Salma. Produttore: Alfredo Bini. Produzione: Arco Film (Roma). Distribuzione: Cineriz. Interni: Incir De Paolis (aprile – giugno 1962). Esterni: Roma, Frascati, Guidonia, Subiaco. Durata: 115’. Genere: Drammatico. Prima: XXIII Mostra di Venezia, agosto 1962. Premio Mostra di Venezia della FICC (Federazione Italiana Circoli di Cinema). Interpreti: Anna Magnani (Mamma Roma), Ettore Garofolo (Ettore), Franco Citti (Carmine), Silvana Corsini (Bruna), Luisa Orioli (Biancofiore), Paolo Volponi (il prete), Luciano Gonini (Zaccarino), Vittorio La Paglia (il signor Pellisser), Piero Morgia (Piero), Leandro Santarelli (Bengalo, il Roscio), Emanuele di Bari (Gennarino, il Trovatore), Antonio Spoletini, Nino Bionci, Roberto Venzi, Nino Venzi, Maria Bernardini, Santino Citti, Lamberto Maggiorani, Franco Ceccarelli, Marcello Sorrentino, Sandro Meschino, Franco Tovo, Pasquale Ferrarese, Renato Montalbano, Enzo Fioravanti, Elena Cameron, Maria Benati, Loreto Ranalli, Mario Ferraguti, Renato Capogna, Fulvio Orgitano, Renato Troiani, Mario Cipriani, Paolo Provenzale, Umberto Conti, Sergio Profili, Gigione Urbinati.

Pier Paolo Pasolini realizza il secondo film da regista e aggiunge un importante tassello al suo viaggio nell’umanità dolente delle borgate romane. Accattone (1961) mostra il mondo del sottoproletariato urbano della capitale visto dalla parte del maschio, con un grande Franco Citti, sublime interprete del ragazzo di vita pasoliniano. Pasolini continua l’adattamento cinematografico della sua opera letteraria (Ragazzi di vita, Una vita violenta, Il sogno d’una cosa, Poesia in forma di rosa…), definendo un discorso aperto da sceneggiature importanti come La notte brava (1959), di Mauro Bolognini, tratto proprio da Ragazzi di vita. Accattone narra la vita quotidiana dei ragazzi delle borgate romane, tra litigi, notti insonni, bravate, giornate all’osteria, piccoli furti e prostitute. La Borgata Gordiani viene messa in primo piano da sapienti movimenti di macchina, carrellate, poetiche panoramiche, primi piani e mirabili piani sequenza.
Mamma Roma gode della stessa ambientazione borgatara di Accattone, ma la protagonista è una donna, Anna Magnani nei panni di una prostituta romana che vuole cambiare vita per dedicarsi al figlio Ettore. Sergio Citti è fondamentale come consulente per i dialoghi in romanesco, recitati da attori dilettanti, a parte la grandissima Magnani. Le tematiche sono quelle care a Pasolini che accompagneranno tutta la sua vita artistica: gli emarginati, il sottoproletariato confinato in un ghetto di incomunicabilità con le altre classi sociali, la sconfitta del diseredato, l’impossibilità di affrancarsi da un destino di sofferenza. Anna Magnani non lega con il regista, le rispettive visioni del mondo non coincidono, ma nonostante tutto regala un’interpretazione memorabile. La sua Mamma Roma è una madre coraggio in pena per la sorte d’un figlio ribelle, in preda alle tempeste adolescenziali, che contraccambia il suo amore ma non lo sa esprimere. “Mia madre? A me che me frega di mia madre? In fondo credo di volerle bene, perché se morisse mi metterei a piangere”, confessa a Bruna, la ragazza che lo fa diventare uomo. Vediamo in breve la trama. Mamma Roma (Magnani) decide di abbandonare la vita da prostituta quando Carmine (Citti), il protettore, si sposa, liberandola da ogni obbligo. La donna decide di dedicarsi anima e corpo al figlio, Ettore (Garofolo), che non sa niente del suo mestiere ed è cresciuto nella vicina Guidonia. Mamma Roma si mette a vendere frutta e verdura, si trasferisce in un appartamento alla periferia di Roma, segue il figlio, cerca di indirizzarlo nelle scelte femminili e di trovargli un lavoro. Mamma Roma non vuole che il ragazzo faccia la sua fine, che si seppellisca nella periferia romana, ma sogna per lui un futuro di tranquillità, con un lavoro rispettabile. A un certo punto il protettore torna a cercare Mamma Roma e la riporta sulla strada, come il passato che non si può cancellare, l’ineluttabilità del destino. Ettore viene a sapere da Bruna quale sia la vera professione della mamma, per reazione comincia a delinquere, infine viene arrestato dopo per aver rubato una radiolina a un degente dell’ospedale. Finale melodrammatico: il ragazzo muore in carcere, legato a un letto di contenzione, in preda a un delirio febbrile.
Il film è dedicato allo storico dell’arte Roberto Longhi e certe rappresentazioni scenografiche sono pittoriche, grazie alla collaborazione di Flavio Mogherini, futuro regista di scuola pasoliniana. Il finale, con il ragazzo che muore legato al letto del carcere, ricorda un Cristo del Mantegna, una scena da struggente deposizione. Carlo Rustichelli compone una colonna sonora basata sulle musiche sinfoniche di Antonio Vivaldi che accompagna sequenze poetiche fotografate in un livido bianco e nero. Violino tzigano, di tanto in tanto, interrompe la musica barocca e porta in primo piano note di musica popolare. Il ritmo è lento, cadenzato, tra piani sequenza della periferia, panoramiche, dialoghi in romanesco. Puro cinema, una gioia per gli occhi vedere una Roma notturna e seguire le passeggiate logorroiche di mamma Roma che racconta episodi di vita mescolando fantasia e realtà. Pasolini narra per immagini un’umanità dolente che sogna un riscatto impossibile ma deve rassegnarsi a un destino infelice.

Il regista compie un grande lavoro figurativo, guida con bravura una straordinaria Anna Magnani che recita in mezzo a un gruppo di attori dilettanti. Pasolini ci tiene a sviscerare il complesso rapporto madre – figlio, secondo canoni psicanalitici, facendo capire la difficoltà di un adolescente a rivelare il suo amore per la madre. Un tema caro al poeta, anche per vicende biografiche, che lo vedono molto legato alla madre, anche se il loro è un amore borghese, non certo borgataro. Ricordiamo poesie come Ballata delle madri e Supplica a mia madre, contenute in Poesia in forma di rosa, che ricalcano identica tematica. L’educazione sentimentale di un adolescente è un altro tema caro a Pasolini che lo inserisce nella pellicola ricorrendo al personaggio di Bruna, la ragazza che introduce Ettore ai misteri del sesso. Non possono mancare i volti del sottoproletariato urbano, i ragazzi di vita che tanto interessano Pasolini, fotografati nelle espressioni naturali e nella sofferenza quotidiana. Il regista indugia sui campetti di calcio sterrati, inventati dai ragazzini di borgata, con le porte segnate da giacchetti e maglioni, simbolo di un modo di giocare tipico degli anni Sessanta. Anche i rapporti tra donne che fanno la vita, segnati da amicizia e spirito di colleganza, sono in primo piano. Le parole di denuncia di Mamma Roma: “E allora di chi è la colpa? Se avevano i mezzi erano tutti brave persone”, pesano come macigni, anche se il regista non interferisce con le immagini, non dà mai un giudizio morale o politico, ma si limita a fotografare la realtà. Fantastico il finale, vero che sembra uscito da un racconto di Cuore, ma vero anche che la rappresentazione del dolore materno e delle sofferenze del figlio è drammatica e commovente. La galera non è acqua che passa, ma dolore che resta, dolore infinito. La pellicola termina con la disperazione materna e la macchina da presa si ferma alcuni istanti su quel volto dolente, da Madonna straziata per la morte del figlio, senza dissolvenze o inutili lungaggini, per lasciare il posto alla parola Fine in campo bianco.
Accattone e Mamma Roma sono pellicole non ascrivibili a un genere, si tratta di lavori molto letterari dai quali scaturisce l’intera poetica del regista. Se mi è concessa una definizione personale, senza voler essere blasfemo, parlerei di neorealismo corretto da un pizzico di melodramma pascoliano e deamicisiano, due autori molto cari a Pasolini.
Alcune curiosità. Il debuttante Ettore Garofolo viene scoperto da Pasolini mentre fa il cameriere in una trattoria, e in alòcune sequenze del film lo vediamo all’opera nel suo vero mestiere, quando è assunto per servire ai tavoli di un ristorante. Lo scrittore Paolo Volponi, amico di Pasolini, interpreta il prete al quale Mamma Roma chiede un aiuto per trovare lavoro al figlio. Gli esterni del film sono girati alla periferia di Roma, al palazzo dei Ferrovieri di Casal Bertone, al villaggio INA – Casa del Quadraro, al Parco degli Acquedotti e a Tor Marancia. Altre scene sono girate a Frascati, Guidonia e Subiaco. Notiamo spesso sullo sfondo la cupola della Basilica di San Giovani Bosco, così come si vedono le borgate con le baracche dove vive la povera gente. Un piccolo escamotage di Pasolini riesce a far convivere recitazione impostata con interpretazione spontanea. Anna Magnani non recita quasi mai in diretta insieme a un attore dilettante, ma il dialogo viene realizzato ricorrendo a primi piani uniti in sala montaggio.
Rassegna critica. Paolo Mereghetti (tre stelle e mezzo): “Il tema dell’incoscienza, o della diversa coscienza, proletaria è al centro del secondo film di Pasolini, dove il regista nobilita i suoi personaggi con richiami alla pittura rinascimentale (il Cristo mori del Mantegna), e tocca vertici di pathos senza versare una lacrima: Mamma Roma rappresenta la femminilità dolente ma indistruttibile, mentre Ettore, scettico e prematuramente deluso dalla vita, è fratello ideale di Accattone, senza esserne una scialba replica. Quella della Magnani (che pure non s’intese con Pasolini, che la accusò di voler dare al personaggio tratti piccolo – borghesi) è una delle sue migliori interpretazioni”. Morando Morandini (tre stelle e mezzo per la critica, tre stelle per il pubblico): “L’esperimento di fondere la recitazione di Anna Magnani con quella dei ragazzi di vita è parzialmente riuscito, ma contro scompensi e intemperanze e zone sorde, il film ha momenti di coinvolgente vigore stilistico”. Tre stelle anche per Pino Farinotti, ma senza motivare. Il nostro giudizio, da pasoliniani convinti, raggiunge le quattro stelle, non trova difetti a un film riuscito, che unisce dramma psicologico a scene di vita quotidiana, recitazione spontanea a impostazione tecnica, sceneggiatura priva di difetti a dialoghi realistici.

© Letteratitudine

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CAPACITA’ NASCOSTE (la prima antologia diversamente thriller) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/12/09/capacita-nascoste/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/12/09/capacita-nascoste/#comments Mon, 09 Dec 2013 18:16:02 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5688 La prima volta che ebbi modo di “ospitare” Sergio Rilletti fu nell’ambito di questo vecchio post di Letteratitudine datato 2 marzo 2007. In seguito, il 16 marzo 2007, pubblicai il racconto SOLO (dove Sergio racconta una vicenda “difficile” che lo ha riguardato e che gli sta particolarmente a cuore). Lo stesso post fu poi aggiornato il 16 giugno 2009, con l’inserimento di un nuovo testo. In uno di questi post ebbi modo di definire Sergio come un… “abilmente diverso“. Queste diversità, in effetti, convergono – a mio modo di vedere – nelle due seguenti abilità: talento e tenacia.

Sergio racconta di se stesso in questo post di LetteratitudineNews, dove – tra le altre cose – parla delle sue capacità: “Capacità, più o meno nascoste, scoperte da tre lungimiranti maestre dell’asilo, quando, all’età di 5 anni, infilandomi un guantino dal quale spuntava il solo dito indice della mano destra, mi indussero a scrivere a macchina. Non sapendo assolutamente che razza di macchina per scrivere umana stavano mettendo in moto”.

Capacità nascoste. La prima antologia diversamente thrillerIl talento e la tenacia di Sergio l’hanno spinto, in questi anni, a creare un personaggio seriale (Mister Noir) e a collaborare a varie iniziative letterarie. La più recente riguarda la pubblicazione di un’antologia intitolata “Capacità nascoste” (edita da No Replay): una raccolta di racconti, curata da Sergio Rilletti, dove i protagonisti sono personaggi diversamente abili. Nonostante i loro handicap, e nell’ambito di atmosfere rigorosamente thriller, questi personaggi riescono ad affrontare e risolvere situazioni di pericolo proprio grazie alle proprie capacità.  Oltre ad aver ridato spazio al proprio personaggio seriale (il già citato Mister Noir), Sergio è riuscito a coinvolgere tanti bravi autori (tra cui A. Pinketts, Claudia Salvatori, Marilù Oliva, Luca Crovi, Andrea Carlo Cappi, Patrizia Debicke Van der Noot, Giuseppe Lippi, e talenti emergenti che, con la loro sensibilità, hanno voluto mostrare la disabilità in modo diverso).

Avevo promesso a Sergio che, nella tradizione di Letteratitudine, avrei organizzato un dibattito online dedicato a “Capacità nascoste”. Ed eccoci qua…

Vi invito, care amiche e cari amici di Letteratitudine, a interagire con Sergio Rilletti e con gli autori dell’antologia che avranno la possibilità di partecipare alla discussione, per ragionare insieme sulle problematiche affrontate dal libro e – ovviamente – sulla stessa antologia.

Mi piacerebbe, intanto, che gli autori di “Capacità nascoste” (compatibilmente con i loro impegni) potessero intervenire per accennarci qualcosa sul racconto che hanno donato all’antologia.

A tutti, vorrei porre la seguente domanda: Cosa sono diversità e normalità?

Credo sia opportuno fare riferimento al pensiero e agli scritti di Giuseppe Pontiggia, autore – tra le altre cose – del celebre “Nati due volte“. “I bambini disabili”, scrive Pontiggia, “nascono due volte: la prima li vede impreparati al mondo, la seconda è una rinascita affidata all’amore e all’intelligenza degli altri. Ma questa rinascita esige anche negli altri un cambiamento integrale nei confronti dell’handicap: un limite fisico o mentale che direttamente o indirettamente, prima o poi, ci coinvolge tutti e che in un’epoca dove si esalta la sfida fine a se stessa come superamento del limite, impone la sfida più importante che è la consapevolezza e l’accettazione del limite.

Quando Einstein, alla domanda del passaporto, risponde ‘razza umana’ “ – scrive ancora Pontiggia – “non ignora le differenze: le omette in un orizzonte più ampio, che le include e le supera“. E ancora: “Non è negando le differenze che le si combatte, ma modificando l’immagine della norma”. “Nati due volte“, del resto, è dedicato “Ai disabili che lottano / non per diventare normali / ma per diventare se stessi“.

Riporto quest’ultima considerazione di Pontiggia, secondo cui la vita stessa comporta – già di per sé – una coesistenza con la disabilità.

“Noi da un punto di vista antropologico siamo certamente disabili a vivere nel mondo e nella società in cui viviamo perché – lo confermano medici e psicologi – il nostro corpo, la nostra psiche si sono plasmati in un ambiente che è radicalmente diverso da quello in cui noi viviamo e l’evoluzione della società ha proceduto molto più rapidamente dell’evoluzione della specie. Perciò noi, ad esempio, soffriamo di moltissimi disturbi di carattere fisico perché il nostro corpo non è adeguatamente attrezzato a vivere con i ritmi, l’alimentazione, le occupazioni che ci impone la vita di oggi. Questo è assodato dalla medicina. Hanno constatato che l’alimentazione o i ritmi di sonno e veglia o la tensione, la vigilanza si sono formati da ambienti che sono agli antipodi rispetto a quelli di oggi e quindi noi di fatto siamo fisiologicamente, psicologicamente disabili ad affrontare in modo adeguato, costante e continuo la società in cui viviamo. Ma poi tutti soffriamo di avere limiti emotivi, psicologici, culturali, professionali. I giovani soffrono di non essere adeguati rispetto a modelli che una società propone sia sul piano della bellezza fisica sia sul piano della prestazione atletica o professionale. Quindi la persona, andando avanti con gli anni, si imbatte inevitabilmente in handicap o limitazioni fisiche che lo riguardano direttamente oppure che riguardano i suoi familiari. La disabilità tecnica, funzionale e anche soprattutto la disabilità emotiva, mentale noi la avvertiamo continuamente. L’occhio che la cultura dovrebbe modificare nei confronti del disabile dovrebbe indurci a considerare il disabile non con commiserazione o come un diverso ma con solidarietà, come un compagno di viaggio, certamente sfortunato in certe forme di handicap, ma non estraneo alla nostra esperienza”.

Da qui la domanda: Cosa sono diversità e normalità?

Di seguito, due testi firmati da Sergio Rilletti: il racconto dell’esperienza relativa alla pubblicazione di “Capacità nascoste” e un approfondimento su Mister Noir (il primo eroe diversamente abile seriale della storia della letteratura italiana).

Grazie in anticipo a tutti per la partecipazione al dibattito.

Massimo Maugeri

* * *

CAPACITA’ NASCOSTE

(MIE E ALTRUI)

Quando si affronta per la prima volta un lavoro nuovo, diverso da quello che si svolge di solito, difficilmente ci si rende conto dell’impresa che si dovrà affrontare.

Si pensa di saperlo, ma non è così.

E la mia esperienza di curatore è stata molto più impegnativa e lunga di quanto avessi previsto.

Ma forse, proprio per questo, è stata così gratificante!…

1. La scintilla iniziale

Era l’Aprile 2009, quando Elio Marracci mi contattò proponendomi di curare, insieme a lui, un’antologia di racconti thriller dove i protagonisti, tutti  diversamente abili, dovevano cavarsela da una situazione di pericolo grazie alle proprie capacità.

Un’idea che gli venne leggendo, e recensendo, il mio racconto autobiografico Solo!, una storia che avevo scritto nel 2006 e tuttora scaricabile gratuitamente da Internet, in cui narro tutte le strategie che ho dovuto adottare in due ore di autentico terrore vissute da solo in mezzo al Parco di Monza, per cavarmi da una bruttissitma e pericolosa situazione in cui un gruppo di cosiddetti normodotati mi aveva ficcato per farsi un giro in risciò (racconto che ora, in occasione di quest’articolo, ho deciso di ripubblicare sul forum di WMI).

Un fatto che, unito ad una serie di deplorevoli comportamenti che hanno avuto queste persone nei miei confronti, mi scatenò la voglia di far conoscere questa mia drammatica esperienza a tutti, scrivendo Solo!, in cui, attraverso la descrizione “in soggettiva” di tutto ciò che avevo provato e vissuto, attimo per attimo, senza invenzioni né omissioni, costringevo il lettore ad immedesimarsi in me, nei miei pensieri, e nelle mie notevoli difficoltà motorie e orali.

Un racconto che, oltre a decretare la mia improvvisa ascesa come scrittore, facendomi partecipare anche al programma radiofonico Tutti i colori del giallo di Luca Crovi (Radio Rai 2), ha generato una serie di reazioni a catena che ha portato alla creazione di questa antologia, dandomi l’opportunità di realizzare un’idea che avevo in mente sin dagli albori del 2003 – Anno Europeo della Disabilità -, quando però dovetti rinunciarvi perché, pur essendo fermamente convinto della sua forza, ero agli inizi della mia carriera di scrittore e non potevo certo propormi, in modo convincente, ad altri autori come curatore!

E così nel 2003 rinunciai al progetto, di cui, accennandolo ad Andrea Carlo Cappi – Direttore editoriale in coppia con Andrea G. Pinketts di M-Rivista del mistero, edita dalla Addictions -, avevo già in mente il titolo: Capacità Nascoste.

Finché, sei anni dopo, nell’Aprile 2009, Elio Marracci, che non conoscevo e che, nel momento in cui scrivo, continuo a non aver ancora mai visto di persona, mi contattò.

Ed è davvero straordinario come, da una brutta vicenda come quella che ho narrato in Solo! e nei relativi “sequel” – tutti rigorosamente autobiografici al 100%, disponibili anch’essi in rete -, sia potuta nascere una bella iniziativa come questa, che ha visto tantissimi autori di thriller – molti di più di quelli che poi abbiamo selezionato -, cimentarsi nell’arduo compito di scrivere storie ad alta tensione con personaggi diversamente abili come protagonisti assoluti.

Non solo. Ma i suddetti protagonisti (disabili) dovevano cavarsela da situazioni di pericolo grazie alle proprie capacità. Esattamente come avevo fatto io nella realtà.

2. La selezione degli autori

Un invito che, essendo per un progetto nato dal mio racconto Solo!, e convinto che la gratitudine sia un valore da esprimere in modo tangibile, ho voluto iniziare a rivolgerere a tutti i giornalisti e gli scrittori che avevano parlato di Solo! e della relativa drammatica esperienza che avevo vissuto al Parco di Monza.

Dopodiché ho esteso questa proposta ad alcuni rinomati scrittori professionisti, miei amici, di cui sapevo di potermi fidare, e agli scrittori che, in passato, mi avevano invitato a partecipare alle loro antologie; ad altri scrittori, più o meno noti, che stimo come lettore; e, infine, ad alcuni scrittori emergenti, che, volendo appunto emergere, sono comunque garanzia di lavori eccellenti.

Non tutti gli autori hanno accettato l’invito, ma l’idea è stata accolta con grande entusiasmo e passione da moltissimi scrittori, nonostante che non fossero affatto sicuri che sarebbero stati pagati per il loro lavoro né, tanto meno, se l’antologia sarebbe realmente venuta alla luce.

Un’idea, quella dell’antologia, che ben presto si è trasformata in un lungo percorso di confronti, in cui la massima libertà nella scelta dell’ambientazione, del genere di thriller, della tipologia di disabilità, e dello stile, si fondesse con la mission positiva che gli autori dovevano comunque seguire. Pena, l’esclusione dall’antologia.

Una regola inderogabile che abbiamo applicato con chiunque, indipendentemente se l’autore in questione fosse normodotato, portatore di handicap, emergente, o già piuttosto noto.

Molti autori ce l’hanno fatta, altri ci hanno provato ma poi si sono arresi, altri invece abbiamo dovuto proprio eliminarli (anche se non proprio fisicamente), perché, presi dall’entusiasmo di scrivere un racconto sulla disabilità, si erano dimenticati proprio la regola fondamentale che stava alla base di questo progetto.

E’ sempre un dispiacere dire di no ad un autore, che magari aveva mostrato un vivo interesse per la tua iniziativa; ma se ritieni che la tua idea abbia uno scopo sociale ben preciso, puoi certo tentare di mediare, di cercare insieme una soluzione, ma non puoi assolutamente permetterti di fare eccezioni, perché rischieresti di trasformare il tuo progetto finale in un ibrido informe, improponibile in modo coerente agli editori, alle librerie, e al pubblico.

3. Alla ricerca di un editore

Esaurita la selezione dei racconti, infatti, è iniziata la ricerca dell’editore. E quindi abbiamo preparato un’apposita e-mail, in cui, oltre a spiegare il contenuto e lo scopo di questa antologia, abbiamo evidenziato la passione e la professionalità degli autori, enunciando i loro nomi e i titoli dei loro racconti, allegando la prefazione, e impegnandoci a inviare il file (o, su richiesta, il cartaceo) della bozza dell’antologia a chiunque fosse stato interessato.

Una ricerca che, complessivamente, è durata circa un anno e mezzo. Un lungo periodo di tempo in cui ci siamo dovuti districare tra Case editrici note – tra cui la Mursia, la Todaro, la Sellerio, e la Erickson –, che si sono mostrate interessate al nostro lavoro e con le quali abbiamo cercato di tenere vivo un dialogo, ed editori “a pagamento”, ovvero quegli editori che vorrebbero farsi pagare dagli autori – o, in questo caso, dai curatori – per fare il proprio mestiere, ma che, trovando abbastanza distorto il fatto di dover pagare per aver lavorato, ovviamente non abbiamo neanche considerato.

Un anno e mezzo in cui abbiamo sempre mantenuto i contatti con gli autori, rassicurandoli sul fatto che non eravamo scappati coi loro racconti, ma che, anzi, il progetto stava proseguendo bene; anche perché, in effetti, i candidati editori “seri” comunque non mancavano, e la fiducia che ci aveva donato ciascun autore impegnandosi a scrivere un racconto pur non sapendo se avremmo trovato un editore, andava sicuramente premiata!

Poi, nel Novembre 2011, piombò Leonardo Pelo, Direttore editoriale della Casa editrice No Reply, che, energeticamente entusiasta della nostra idea, ci convinse, nell’arco di pochissimi giorni, a pubblicare quest’antologia con lui.

Una gioia infinita, per me; non solo perché finalmente avevamo trovato un editore, ma anche perché Leonardo Pelo era l’editore con cui mi ero confrontato agli inizi della mia carriera, quando era alla guida della Casa editrice Addictions.

4. Al lavoro con l’editore

E così, una volta elaborata la bozza del volume, ci mettemmo all’opera sulla revisione dei racconti, chiedendo la collaborazione a ciascun autore. E, quasi nel medesimo tempo, preparammo un’accattivante scheda di presentazione per invogliare le librerie a prenotarlo.

Ecco quindi che, su richiesta dell’editore, mi ritrovai ad inventare un sottotitolo ad hoc, vagamente esplicativo ma che attirasse ancor di più l’attenzione, trasformando il titolo originale che avevo in mente sin dal 2003, composto da due semplici parole, in: Capacità Nascoste – La prima antologia diversamente thriller.

E così giungemmo all’ultima fase della creazione dell’antologia: la scelta della copertina.

L’editore, visto il nostro entusiasmo, decise di coinvolgerci anche su questo aspetto, e ci sottopose quattro possibili immagini. Dopo una piccola consultazione – in cui abbiamo coinvolto anche altre persone, come campionario di possibili lettori -, abbiamo scelto quella che ci sembrava rappresentare meglio il contenuto del nostro libro: un’immagine un po’ misteriosa, giustamente inquietante, che però non sfocia né nell’intimista né nell’orrorifico.

5. Il risultato finale

Dopo tre anni e mezzo di costante lavoro, il risultato finale è un’antologia di 250 pagine, edita dalla Casa editrice No Reply, contenente 25 racconti ad alta tensione in cui gli autori – Andrea G. Pinketts, Claudia Salvatori, Marilù Oliva, Patrizia Debicke van der Noot, Luca Crovi, Andrea Carlo Cappi, Giuseppe Lippi, Sergio Paoli, Angelo Marenzana, Mario Spezi, Fabio Novel, Bruno Zaffoni, Giuseppe Cozzolino & Bruno Pezone, Franco Bomprezzi, Giovanni Zucca, Angelo Benuzzi, Antonino Alessandro, Maurizio Pagnini, Giuseppe Pastore, Renzo Saffi, Massimiliano Marconi, Myriam Altamore, Dario Crippa, e Andrea Scotton – affrontano il tema dell’handicap in modo dirompente e appassionante, come non è mai stato fatto prima d’ora qui in Italia.

Se infatti il cinema ha spesso sfruttato il binomio thriller/disabilità – di cui mi piace ricordare il capostipite Gli occhi della notte con Audrey Hapburn e Alan Arkin, e il brillante Do not disturb con Francesca Brown e William Hurt – e la televisione ha avuto il suo massimo fulgore con la serie Ironside – creata da Collier Young alias Robert Bloch, l’autore di Psycho – e con i personaggi di Mamma e Papà in Agente speciale – la serie a cui mi sono ispirato per creare Le avventure di Mister Noir -, l’editoria, fatta eccezione per i romanzi di Jeffery Deaver con protagonista il detective forense Lincoln Rhyme, e lo strepitoso Misery di Stephen King, è molto restia al riguardo: più incline alla pubblicazione di autobiografie e saggi, che però rischiano di interessare solo chi è già abbastanza sensibilizzato sull’argomento, piuttosto che occuparsi di storie di narrativa pura, con protagonisti diversamente abili.

E questo, secondo me, è un vero handicap!

Lo scopo di questa antologia, invece, è quello di coinvolgervi in storie avvincenti dove, come in tutti i thriller, i protagonisti partono da una situazione di grande svantaggio, ma dove, diversamente dai thriller normali, lo svantaggio è naturale, intrinseco nei protagonisti stessi!

Un’antologia per la quale, essendo generata dal mio racconto Solo!, nella prefazione non ho potuto fare a meno di citare e ringraziare quella meravigliosa coppia di giovani, un lui e una lei, che quella fatidica Domenica 9 Aprile 2006, alla fine mi trovarono in mezzo al Parco di Monza, capirono tutto, e mi aiutarono in maniera assolutamente encomiabile.

Un’antologia di racconti diversamente thriller in cui, oltre a spaziare in diverse tipologie di disabilità e in diversi generi di thriller – dal mystery all’urban legend, dal fantastico all’umoristico, dall’action al realistico-sentimentale, dallo spionistico al bellico, in cui non mancano le ispirazioni a fatti reali e le contaminazioni tra diversi generi -, alcuni autori non hanno avuto alcun problema ad affrontare temi particolarmente spinosi quali: l’Alzheimer, la follia, l’epurazione dei disabili ai tempi del nazismo, la guerra in Libia, il sesso a pagamento per le persone con handicap, e, ovviamente, i parcheggi riservati ai disabili sempre abusivamente occupati!… Un comportamento di assoluta professionalità, passione, e umiltà, di cui voglio ringraziare di cuore tutti gli autori!

Un’antologia in cui, diversamente da quanto accade di solito, la dislocazione dei racconti non segue l’ordine alfabetico degli autori, che invece è mantenuto per le note biografiche degli stessi, ma segue piuttosto l’alternarsi delle varie tipologie di handicap: un entusiasmante percorso ad ostacoli in cui il lettore, sostenuto e guidato dai vari protagonisti diversamente abili, affronterà e supererà ogni prova con slancio ed entusiasmo.

Un’antologia a cui ho voluto partecipare anch’io, non con Solo!, che si può scaricare gratuitamente dal web, ma con un’avventura inedita di Mister Noir, Snuff Movie – Inconsapevole gioco di morte, che, per solidarietà con gli autori, ho voluto appositamente ideare attenendomi scrupolosamente alla mission positiva di questo volume (onde evitare, come curatore, di dovermi eliminare da solo). Un’avventura particolare in cui il mio eroe seriale, pur mantenendo il suo aplomb e il suo immancabile umorismo, si ritrova intrappolato in una famigerata casa costellata da indovinelli e trappole mortali, e in cui io, contrariamente a quanto faccio di solito, porgo particolare attenzione ai problemi fisici del detective e a tutte le “strategie” che deve attuare per superare determinati ostacoli e difficoltà.

Un’antologia che, sin dalla sua presentazione in anteprima a Celle Ligure (SV), durante la 10^ Mostra Internazionale del Cinema Indipendente, è riuscita a mietere un notevole interesse, facendo parlare di sé quotidiani, radio, riviste, e moltissimi siti web, tra cui il prestigioso quotidiano on-line Affari Italiani, Thriller Magazine, FamigliaCristiana.it, e Personecondisabilità, il sito della LEDHA – Lega per i diritti delle persone con disabilità, allargandosi in consensi e visibilità ad ogni presentazione.

Un’antologia che si può acquistare anche on-line sul noto sito IBS.it, ma che, indipendentemente dalle copie che venderà, ha già comunque un record assoluto che nessuno potrà mai usurparle: essere la prima antologia di questo genere realizzata in Italia!

©Sergio Rilletti, 2013

articolo pubblicato su Writers Magazine Italia

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“SNUFF MOVIE – INCONSAPEVOLE GIOCO DI MORTE”

ovvero le “CAPACITA’ NASCOSTE” di Mister Noir

mister-noirNato ufficialmente nell’Ottobre 2004 sulle pagine di M-Rivista del mistero, Mister Noir è il primo eroe diversamente abile seriale della Storia della letteratura italiana, protagonista, oltretutto, di thriller umoristici.

In Snuff Movie – Inconsapevole gioco di morte, un’avventura inedita pensata appositamente per questo volume, Mister Noir deve districarsi in una famigerata casa in cui un gruppo di diversamente disabili, ufficialmente considerati normodotati, l’ha rinchiuso con l’intenzione di ammazzarlo attraverso un finto gioco – ovviamente truccato – e una serie di trappole sempre più micidiali… riprendendolo con delle telecamere!

Un thriller d’azione in cui l’acume di Mister Noir, sempre assistito da Elena Fox e Consuelo Gomez, può risultare un mortale handicap per l’investigatore stesso.

Un racconto ad alta tensione, che, pur ispirandosi alla grave piaga sociale degli Anni ’70 degli snuff movie – dove i protagonisti, con loro grande stupore e terrore, alla fine venivano realmente torturati e uccisi -, mantiene invariato lo spirito brioso della serie, con Mister Noir ed Elena Fox ironici e satenati più che mai!

Un racconto in cui Mister Noir, che da sempre, nonostante le proprie considerevoli difficoltà motorie, si considera un super-dotato in un mondo popolato da semplici normodotati, deve fare appello a tutte le proprie capacità mentali e soprattutto fisiche per cavarsela finalmente da solo!

Un racconto che non solo è perfettamente in linea con l’antologia, ma che mi sono accorto che aveva molto a che fare proprio con la genesi dell’antologia stessa, dato che può essere tranquillamente considerato la versione “MisterNoirese” di Solo!, il mio racconto autobiografico che portò alla nascita di Capacità Nascoste – La prima antologia diversamente thriller (edizioni No Reply). Un fatto di cui mi resi conto solo a stesura già iniziata, ma che mi divertì parecchio.

©Sergio Rilletti, 2013

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IL CAIMANO, di Nanni Moretti http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/11/06/il-caimano-di-nanni-moretti/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/11/06/il-caimano-di-nanni-moretti/#comments Wed, 06 Nov 2013 17:05:13 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5582 Il nupellicole-italicheovo appuntamento della rubrica PELLICOLE ITALICHE da rivedere, curata da Gordiano Lupi, è dedicato a uno dei più celebri film di Nanni Moretti: “Il caimano”.

Se vi va, potremmo cogliere l’occasione e approfittare di questo post per discutere del cinema di Moretti in generale.

Di seguito, oltre all’articolo di Lupi, la locandina e il trailer del film.

Massimo Maugeri

* * *

IL CAIMANO (2006) – di Nanni Moretti

recensione di Gordiano Lupi

Regia: Nanni Moretti. Soggetto: Nani Moretti, Heidrun Schleefer. Sceneggiatura: Nanni Moretti, Francesco Piccolo, Federica Pontremoli. Fotografia: Arnaldo Catinari. Montaggio: Esmeralda Calabria. Musiche. Franco Piersanti. Scenografia: Giancarlo Basili. Costumi: Lina Nerli Taviani. Genere: Commedia, Drammatico, Politico. Durata: 112’. Produttore: Angelo Barbagallo e Nanni Moretti. Case di Produzione: Sacher Film, Bac Films, Stephan Films, France 3 Cinema, con la collaborazione di Wild Bunch, Canal+, Cinecinema. Distribuzione: Sacher Distribuzione. Interpreti: Silvio Orlando (Bruno Bonomo), Margherita Buy (Paola Bonomo/ Aidra), Jasmine Trinca (Teresa, la regista), Michele Placido (Michele Pulici/Silvio Berlusconi), Elio De Capitani (Silvio Berlusconi), Paolo Sorrentino (cammeo in Cateratte), Paolo Virzì (cammeo in Cateratte), Giuliano Montaldo (Franco Caspio, vecchio regista), Tatti Sanguineti (Beppe Savonese, il critico), Toni Bertorelli (Indro Montanelli), Lucia Arikò (Marica, la sceneggiatrice), Nanni Moretti (se stesso/Silvio Berlusconi), Jerzy Stuhr (Jerzy Sturovsky, produttore polacco), Matteo Garrone (direttore della fotografia), Luisa De Santis (Marisa, la segretaria di Bonomo), Anna Bonaiuto (Ilda Bocassini), Valerio Mastandrea (Cesari, il finanziere), Sofia Vigliar (baby-sitter), Cecilia Dazzi (Luisa), Carlo Mazzacurati (cameriere), Antonio Petrocelli (legale del caimano), Dario Cantarelli (critico gastronomico).

Locandina Il caimanoIl caimano è un film importante, tra i migliori realizzati da Nanni Moretti, non tanto per la feroce critica allo stile di vita incarnato dal modello berlusconiano, quanto per la piccola storia di fallimento esistenziale raccontata da uno straordinario protagonista. Silvo Orlando si cala con partecipazione nei panni di Bruno Bonomo, un produttore cinematografico che sta attraversando un periodo difficile, professionale e sentimentale. Negli anni Settanta faceva furore con il cinema trash, pellicole di genere dai titoli improbabili (Maciste contro Freud, Viterbo violenta, Violenza a Cosenza, Mocassini assassini, La vendetta di Aidra e il mitico Cateratte), la moglie (Buy) era al suo fianco e interpretava il ruolo di Aidra, eroina vendicatrice assetata di sangue. Adesso tutto è finito: la casa di produzione sta per fallire, il matrimonio va a pezzi, anche se il produttore è ancora innamorato della moglie, gli amici lo abbandonano, persino un vecchio collega (Montaldo) è stanco di lavorare per lui. A un certo punto si presenta una giovane regista (Trinca) con una sceneggiatura intitolata Il caimano, che lui scambia per cinema di genere, mentre si tratta di un film politico su Silvio Berlusconi. Bonomo dopo alcuni tentennamenti decide di fare il film, anche se in passato non ha mai voluto fare film impegnati, cerca un produttore polacco, un attore importante (Placido) e parte per l’avventura con una troupe di fedelissimi. Il mondo, intanto, gli crolla intorno, sua moglie vede un’altra persona, lui è costretto a incontrare i figli in uno squallido residence, il vecchio regista gli ruba un progetto su Cristoforo Colombo e persino l’attore importante abbandona il progetto Berlusconi. Bonomo è sull’orlo del fallimento, ma con i pochi soldi che gli restano gira un giorno della vita di Silvio Berlusconi: il processo al caimano, che si conclude con una profetica condanna a sette anni di reclusione e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Finale imprevedibile con Berlusconi (Moretti) che esce dal Palazzo di Giustizia tra gli applausi mentre il popolo si ribella ai magistrati e li colpisce con sassate e bombe molotov.

Il caimano è cinema nel cinema, costruito tra continui flashback, con il film su Berlusconi che si interseca in maniera geniale alla piccola storia di Paolo Bonomo. Nanni Moretti sceglie di far interpretare Berlusconi da tre attori, per sottolineare quanto sia difficile descrivere monodimensionalmente il personaggio: Elio De Capitani (Bonomo legge la sceneggiatura e immagina la storia), Michele Placido (l’attore prescelto che ne dà un’interpretazione simpatica) e se stesso (il finale apocalittico). Il caimano è un lavoro metacinematografico zeppo di citazioni al cinema del passato, un vero e proprio omaggio al tanto vituperato cinema di genere italiano. Non credo che Moretti odi il nostro cinema di genere, come afferma certa critica. Orlando esprime in poche parole il pensiero del regista: “Il cinema d’autore e il cinema di genere erano soltanto due modi diversi di fare lo stesso lavoro”. Numerosi cammei di personaggi del cinema, a cominciare dalle prime sequenze – estratte da un inesistente Cateratte – con Paolo Virzì nei panni di un dirigente maoista e Paolo Sorrentino trafitto da un tridente di Aidra. Tatti Sanguineti interpreta se stesso nei panni di un critico cinematografico, tra l’altro è un cinefilo importante che nel corso del tempo ha cambiato spesso idea sul valore del nostro cinema popolare. Basti pensare che vituperava come pochi Franco & Ciccio, ma dopo la morte di entrambi passa il tempo in televisione a rivalutarli. Il regista Giuliano Montaldo è il vecchio regista Franco Caspio, collega di tante battaglie a fianco del produttore che finisce per tradirlo. Ricordiamo altri cammei di Carlo Mazzacurati, Renato De Maria, Stefano Rulli, Matteo Garrone, Antonello Grimaldi. Sono geniali i due spezzoni di cinema che vedono protagonista Aidra, girati con la tecnica delle vecchie pellicole di genere, eccessive e piene di sangue. Moretti cita il genere splatter a più riprese, in un frangente si prende anche la soddisfazione di far divorare un critico (gastronomico, ma fa lo stesso) da alcuni astici vivi, infine lo travolge con un pentolone di acqua bollente e lo fa sbudellare da Aidra. Dario Cantarelli è perfetto nella caratterizzazione eccessiva del critico, così come era straordinario nei panni del preside in Bianca. Il produttore utilizza le storie di Aidra come favole per far addormentare i figli, sono ricordi del suo passato che vuol condividere almeno con loro, visto che la moglie ha rinnegato il passato per dedicarsi alla musica. Silvio Orlando presta la sua maschera dolente per un personaggio straordinariamente riuscito, un uomo vero travolto dai problemi, inadeguato ad affrontare la realtà che lo circonda. Bonomo vive di ricordi, dorme nei suoi studi che i creditori gli stanno portando via, passeggia nella piscina priva di acqua dove ha girato l’ultimo film di pirati e le locandine del tanto amato cinema trash che i giovani ricercano per celebrarlo nel corso di inutili retrospettive. Il piano sequenza con Silvio Orlando che attraversa disperato il Lungotevere mostra – tra immagini stupende e musica suadente – la sconfitta definitiva di un uomo che non riesce ad affrontare la vita. Nanni Moretti gira con bravura un film che si rivide con piacere a distanza di tempo e interpreta con ironia la parte di se stesso: “È sempre il tempo di fare una commedia!”, dirà alla giovane regista. “Io non l’ho letta la tua sceneggiatura ma tanto lo so cosa c’è scritto: le solite cose che il pubblico di sinistra vuole sentirsi dire su Berlusconi. Io voglio fare una commedia, adesso!”. Bravo anche nella parte finale dove interpreta Berlusconi recitando le stesse parole pronunciate dall’ex premier. Alcuni spezzoni d’epoca completano il film politico, che si ricorda anche per alcune parti oniriche molto ben girate: i soldi che piovono dal cielo sfondando il soffitto, l’atterraggio dell’elicottero di Berlusconi in un campo sportivo. Un film che va oltre i generi, come ogni pellicola di Nanni Moretti: commedia, dramma esistenziale, film sociale e satira politica.

Il film scatenò molte reazioni perché uscì in periodo elettorale e molti politici chiesero con forza di posticiparne la programmazione. Ha ragione Moretti quando afferma che “Il caimano non è un film politico, ma un film intimista, la storia di una coppia che si sta separando, mentre la vicenda Berlusconi è il film nel film, quello che nella finzione si sta girando, e fa soltanto da cornice alla storia principale”. Tra l’altro Moretti non critica tanto Berlusconi, quanto il berlusconismo, vuol sottolineare il fatto che un certo modo di pensare e tanta brutta televisione abbiano cambiato in peggio gli italiani. “Volevate quella televisione grigia e triste con soltanto due canali e quelle ballerine vestite? Io vi ho dato la televisione piena di luci e colori, a ogni ora del giorno. È tutto merito mio”, dirà il Berlusconi al pubblico di uno show televisivo in mezzo a ballerine discinte. Berlusconi la prese con ironia: “Un ottimo regista italiano ha raccontato una fiaba e mi ha dato un soprannome che mi mancava: signori, io sono il caimano”.

Alcuni passaggi televisivi importanti: Sky Cinema Mania (27 aprile 2007), La7 (30 aprile 2011), Rai 3 (19 giugno 2011 – 12,97% di share, circa tre milioni di spettatori), infine di nuovo su La7 (4 ottobre 2013), programma Film Evento condotto da Enrico Mentana, come spunto per un dibattito politico sulla decadenza di Berlusconi da parlamentare, dopo la nota sentenza di condanna.

Ottima la colonna sonora di Franco Piersanti che torna a collaborare con Moretti a 23 anni di distanza, dopo il film Bianca. Assistenti alla regia sono Cosimo Messeri, figlio dell’attore Marco, e Alice Di Giacomo, figlia del direttore della fotografia Franco, che aveva collaborato ai primi tre film di Moretti. Tra le citazioni d’autore ricordiamo alcune sequenze de La città incantata di Hayao Miyazaki, premio Oscar 2001 come miglior film di animazione. Partecipa al film anche il Nuovo Coro Sinfonico Romano che esegue il Dixit Dominus di Händel. Molte analogie con la realtà per quel che riguarda la profetica parte finale, sia per lo svolgimento del processo che per la durata della pena inflitta dalla corte. La scena finale apocalittica, invece, dobbiamo augurarci che sia meno profetica. Tra gli attori la sola a convincere poco è la bella ma inespressiva Jasmine Trinca.

Rassegna critica. Paolo Mereghetti (tre stelle): “Moretti fa decantare le proprie ossessioni grazie all’interpretazione di Silvio Orlando, ma non rinuncia a un punto di vita personale per riflettere sull’Italia. Berlusconi diventa una specie di concreto esempio e di illuminante metafora della realtà, che Moretti racconta come un elemento interno e soggettivo che interagisce con la vita di chi vuole interessarsi a lui. La fallimentare vita privata di Bonomo diventa l’altra faccia di un paese che ha perso le sue certezze, mentre i diversi stili con cui è rappresentato il caimano sono esempi concreti della difficoltà di trovare un unico linguaggio per narrare e per spiegare l’Italia”. Troppo politico come giudizio. Preferiamo Morando Morandini (tre stelle per la critica, quattro stelle per il pubblico), che parla di cinema nel cinema: “Il caimano è anzitutto un film sul cinema, la storia di un film da fare. Disomogeneo fin che si vuole, ma è difficile negarne l’originalità. Dopo una mala partenza (col peggio di quella commedia all’italiana che Moretti ha sempre irriso) arriva al bersaglio con un duro finale fantapolitico di anticipazione. Un Silvio Orlando da premio”. Non siamo così convinti sul giudizio negativo di Moretti nei confronti del cinema popolare italiano che ci pare trattato con il massimo rispetto. Pino Farinotti concede due stelle, salva soltanto il segmento privato e non ama il compitino politico su Berlusconi, ma riconosce a Moretti la genialità del grande autore.

Il caimano riscuote molti premi prestigiosi. David di Donatello 2006: miglior film, regista, produttore, attore protagonista, musica, fonico in presa diretta. Nastro d’argento 2007: produttore, attori protagonisti. Ciack d’oro 2006: miglior film, regia, attori protagonisti, sceneggiatura, musica, produzione, montaggio e persino manifesto. Globo d’oro 2006. Nomination al Festival di Cannes e all’European Film Awards 2006.

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IN MEMORIA DI GIULIANO GEMMA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/10/09/in-memoria-di-giuliano-gemma/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/10/09/in-memoria-di-giuliano-gemma/#comments Wed, 09 Oct 2013 15:52:20 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5496 Il secondo appuntamento della rubrica PELLICOLE ITALICHE da rivedere, curata da Gordiano Lupi, abbiamo voluto dedicarlo all’attore Giuliano Gemma, che è scomparso pochi giorni  fa (il 1° di ottobre) a causa di un incidente automobilistico. Tutti coloro che vorranno intervenire lasciando commenti volti a ricordare Giuliano Gemma (con riferimenti a uno o più film in particolare) saranno i benvenuti.

Qui di seguito troverete un articolo di Gordiano Lupi e la recensione del film “Arrivano i Titani” (1961) di Duccio Tessari (Giuliano Gemma era nel cast nei panni di Crios). In coda, il video con la presentazione dello stesso Tessari e uno spezzone del film.

Ringrazio tutti in anticipo per la partecipazione.

Massimo Maugeri

* * *

Giuliano Gemma, l’eroe della mia generazione

di Gordiano Lupi

Giuliano Gemma (1938 – 2013) rappresenta buona parte della mia infanzia. La prima volta che l’ho visto al cinema – in una saletta di terza visione nel quartiere operaio della mia città – vestiva i pani di Ringo e si faceva chiamare Montgomery Wood. Credevo che fosse americano, pure mio padre lo pensava, lui che disprezzava il western italiano, ma era andato in delirio per tutte le pellicole di Sergio Leone, convinto che fossero interpretate da attori d’oltreoceano. Magia degli pseudonimi, ma pure magia del ricordo d’un bambino che stringeva un pacchetto di semi, varcava le porte del Cinema Teatro Sempione (scomparso nella nebbia del tempo perduto) per andare a vedere un peplum, al tempo che manco sapeva cosa volesse dire peplum, come Arrivano i Titani. Da grande quel bambino avrebbe scoperto che sia i due Ringo (Una pistola per Ringo, Il  ritorno di Ringo) che il peplum erano opera di Duccio Tessari, un regista italiano che avrebbe usato spesso Giuliano Gemma (Kiss kiss… bang bang, Vivi o preferibilmente morti, Tex e il signore degli abissi), considerandolo un suo attore feticcio. Abbiamo trovato un ricordo di Giuliano Gemma che fa riferimento a quel periodo storico: “Il primo film che ho fatto con Tessari è Arrivano i Titani, un lavoro che smitizza il peplum dove recito con il mio vero nome. Il primo western che ho interpretato è Una pistola per Ringo (1965), film in cui nasce il mio pseudonimo, Montgomery Wood. Si trattava di una condicio sine qua non per fare il film, imposta dalla produzione che voleva venderlo come nordamericano. Era una moda. Mi obbligarono e lo pseudonimo lo scelse il produttore. A me andava bene tutto. Sono riuscito a usare il mio vero nome solo a partire dal terzo western come protagonista. Ho fatto due western della serie Ringo, entrambi con Tessari, tutti e due buoni lavori, ma fondamentalmente diversi l’uno dall’altro. Una pistola per Ringo è un film ironico, nelle corde di Tessari, girato con il suo inconfondibile stile. Il ritorno di Ringo è un film drammatico, ispirato all’Odissea. Il primo è più divertente, il secondo più serio. Sono due film coprodotti con gli spagnoli, girati nella penisola iberica, interpretati da Fernando Sancho, persona simpatica e grande mangiatore, che poi ho ritrovato in Arizona Colt (Michele Lupo, 1966, nda). Nel cast ricordo anche George Martin, un ginnasta spagnolo molto atletico con cui spesso mi allenavo. E che dire di Pajarito? Un personaggio inventato da Tessari, uno spagnolo che parlava in modo buffo e si occupava di produzione. Tessari lo utilizzò come attore dandogli il soprannome che aveva nella realtà. Una pistola per Ringo è un film ironico che anticipa il western comico di Barboni, alternativo al cinema di Leone, ma non meno violento, nonostante l’ironia. Nella mia carriera non ho mai interpretato personaggi cliché, né stereotipi. Pure nei due film della serie Ringo differenzio i personaggi. Nel primo sono un pistolero ironico e strafottente. Nel secondo sono un eroe cupo e represso che torna a casa dopo una lunga guerra, una sorta di Ulisse – Ringo. Vivi o preferibilmente morti è un altro western diretto da Tessari, sceneggiato niente meno che da Ennio Flaiano, nato dalla mia amicizia con Nino Benvenuti sin dai tempi del militare. Si sperava che andasse meglio, che la coppia Gemma – Benvenuti portasse più gente al cinema, che il debutto di Sidney Rome incuriosisse il pubblico. L’incasso non fu male, comunque, ma la critica distrusse il film. Ma il  vero insuccesso tra i lavori di Tessari da me interpretati fu Tex e il signore degli abissi (1985), una pellicola che non era western all’italiana e che non funzionò per niente. Credo che sia il peggior western di Tessari, nonostante ci fosse William Berger, un ottimo attore. La storia era sbagliata, servivano troppi soldi per realizzarla, ma noi disponevamo di un budget irrisorio. La produzione non aveva la possibilità di costruire un accampamento indiano di venti tende (ce n’erano soltanto tre) e neppure di affittare cinquanta cavalli (erano dieci). La storia di Tex venne scelta male perché troppo complessa e costosa da realizzare al cinema. Conoscevo bene i fumetti di Tex, un eroe della mia infanzia, ed ero orgoglioso di prestare il volto al ranger mezzo sangue. Ma avremmo dovuto sceneggiare una storia low-budget, stile spaghetti-western, non un soggetto ambizioso che finì per restare irrisolto. Persino Gianni Ferrio compose una musica anonima, in piena sintonia con il film. L’insuccesso fu così clamoroso che bloccò l’idea di girare una serie di ventuno film televisivi con protagonista Tex. Una pistola per Ringo resta il mio film preferito, comunque. Forse perché il primo western non si scorda mai…”. Abbiamo fatto ricordare al protagonista parte della sua carriera western, che è proseguita con Tonino Valerii e Giorgio Ferroni, ma Giuliano Gemma non è stato soltanto l’eroe buono, il castigamatti, il pistolero della mia generazione. Ha interpretato un intenso ruolo da protagonista ne Il deserto dei Tartari (1976) di Valerio Zurlini e Il prefetto di ferro (1977) di Pasquale Squitieri. E che dire dei ruoli comici ne Anche gli angeli mangiano fagioli (1973) di Barboni e Il bianco, il giallo, il nero (1974) di Sergio Corbucci? Impossibile citare tutto il suo grande lavoro nel cinema italiano, ma se vi interessa approfondire consigliamo la lettura di Roberto Poppi, che ha scritto un imperdibile libro sugli attori italiani, edito da Gremese. A noi piace ricordare Giuliano Gemma mentre cavalca nelle improbabili praterie dello spaghetti western, perché – come ha detto lui – il primo western non si scorda mai.

* * *

“Arrivano i Titani” (1961) – di Duccio Tessari

recensione di Gordiano Lupi

Duccio Tessari (Genova, 1926 – Roma, 1994) è un autore a tutto tondo del nostro cinema di genere, prima prolifico sceneggiatore di pellicole mitologiche e documentarista, quindi regista di fiction capace di muoversi con disinvoltura tra peplum, western, commedia, poliziesco, melodramma, thriller, film d’avventura e di guerra. La sua cifra stilistica è l’ironia, che anticipa i lavori anni Ottanta del western comico interpretati da Bud Spencer e Terence Hill. Una pistola per Ringo e Il ritorno di Ringo sono due western del 1965 che si ricordano con piacere, ma è notevole anche il poliziesco La morte risale a ieri sera, ispirato a un romanzo di Scerbanenco con protagonista Duca Lamberti. La critica è unanime nel dire che il suo film più riuscito è Tony Arzenta (1973), un noir interpretato da Alain Delon. Tessari si dedica a smitizzare i generi, trattandoli con ironia, ma nell’ultima parte della carriera gira molti film televisivi affrontando argomenti più seriosi. Il suo unico errore è stato aver tentato di portare al cinema un mito come Tex nel poco riuscito Tex e il signore degli abissi (1985), interpretato da Giuliano Gemma.

Arrivano i Titani (1961) è il primo film da regista di Duccio Tessari, una parodia di un genere al quale ha dedicato tutta la prima parte della sua carriera. La pellicola anticipa il western all’italiana, che sarà un altro degli amori di Tessari, ma soprattutto il western comico e scanzonato di Enzo Barboni.

Soggetto e Sceneggiatura: Duccio Tessari ed Ennio De Concini. Musiche: Carlo Rustichelli. Montaggio: Maurizio Lucidi. Fotografia: Alfio Contini. Produttore: Franco Cristaldi. Interpreti: Pedro Armendáriz (Cadmo), Giuliano Gemma (Crios), Jacqueline Sassard (Antiope), Antonella Lualdi, Serge Nubret, Gérard Séty, Tanya Lopert, Ingrid Schoelle, Franco Lantieri, Monica Berger, Maria Luisa Rispoli, Isarco Ravaioli, Aldo Podinottì, Fernando Rey, Fernando Sancho, Alfio Caltabiano, Ileana Grimaldi ed Erika Spaggiari.

L’azione si svolge a Creta, governata dal folle tiranno Cadmo, che ha avuto una terribile profezia: perderà il trono se la figlia Antiope si innamorerà. Cadmo si autoproclama Dio, rende immortale anche la moglie, quindi rinchiude la figlia in una prigione dorata, privandola di contatti con l’esterno. Giove, che non sopporta miscredenti e tiranni dispotici, si adira con Cadmo e manda sulla Terra il Titano Crios con il compito di uccidere il signore di Creta. Al termine di una serie di avventure mirabolanti, Crios corona il suo sogno d’amore con Antiope e l’intervento degli altri Titani provoca una rivolta popolare contro il tiranno.

Duccio Tessari dopo aver sceneggiato molti peplum seriosi e avventurosi si dedica alla smitizzazione del genere, chiamando a interpretare la pellicola un insolitamente biondo Giuliano Gemma, alla prima prova come attore dopo anni di gavetta. La pellicola può dirsi riuscita anche per merito dell’interpretazione sopra le righe di un ottimo Giuliano Gemma. L’attore rende credibile un personaggio scaltro e acrobatico, che lotta per la libertà e per conquistare il suo amore. Il regista e lo sceneggiatore compongono un calderone di ricordi mitologici che vanno da Polifemo alle Parche, passando per la Gorgone, Plutone e il regno negli inferi, ma ben amalgamato e ancora oggi godibile in un contesto ironico e di pura azione. Le sequenze che vedono Giuliano Gemma e i suoi fratelli Titani impegnati in solenni scazzottate anticipano il clima da spaghetti – western e il cinema comico anni Ottanta di ambientazione western.

Arrivano i Titani è un interessante esempio di commistione dei generi, perché al suo interno troviamo il peplum classico rivisto alla lente dell’ironia tipica di Tessari, il melodramma, l’action – movie,  suggestioni horror, elementi di cinema fantastico e parti di puro romanticismo. Un film sperimentale, una provocazione a metà strada tra il mitologico e il melodramma sentimentale. Le scenografie sono spesso di cartapesta colorata, ma si segnalano ottimi esterni e parti suggestive girate all’interno di grotte che compongono una buona atmosfera infernale. Il clima da horror fantastico è evidente nelle scenografie cupe, nella discesa negli inferi e in alcune sequenze che vedono protagonisti ciclopi, esseri mitologici e divinità dell’Olimpo. Puro cinema fantastico quando Giuliano Gemma ruba l’elmo di Plutone che lo rende indivisibile ai soldati del signore di Creta. Le sequenze di azione sono spettacolari e Giuliano Gemma fa sfoggio di tutta la sua prestanza fisica e abilità di acrobata. Il messaggio politico è presente come in tutti i peplum, anche se molto sfumato: “Le parole di un uomo libero nessuno può imbrigliarle”, dice Giuliano Gemma in una delle prime sequenze.

Segnaliamo diversi falsi storici e commistioni di usanze che non hanno niente a che vedere con la Grecia, come quando il regista mette in scena una sorta di corrida tra tori e amazzoni, che sembra un inserto riempitivo prelevato da un’altra pellicola.

Il personaggio interpretato da Giuliano Gemma è un abile ribelle dalla lingua sciolta, che sfida il signore di Creta per amore e per compiere il volere di Zeus. Il suo messaggio è non violento e cavalleresco: “Basta vincere. Non c’è bisogno di uccidere”. Jacqueline Sassard è bella ed espressiva, perfetta nella parte della ragazza ingenua, sacrificata al volere di un dispotico padre. A un certo punto si intravede, molto sfumato, pure un seno nudo. Il massimo dell’erotismo per i tempi, insieme ad alcuni baci sensuali. Il finale vede la consueta sfida tra buono e cattivo con conseguente liberazione della bella in pericolo, ma anche un velato romanticismo con la storia d’amore che giunge a compimento. I Titani liberano Creta da un signore dispotico e si abbandonano alla consueta ironia: “Questa è stata proprio un’impresa titanica!”. Da riscoprire.

© Letteratitudine

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GIORNATA MONDIALE DELL’ALZHEIMER http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/09/20/giornata-mondiale-alzheimer/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/09/20/giornata-mondiale-alzheimer/#comments Fri, 20 Sep 2013 16:05:27 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=2799 Sabato 21 settembre 2013 si celebra la XX Giornata Mondiale dell’Alzheimer.

Di questa terribile malattia abbiamo avuto modo di occuparcene qui a Letteratitudine in un post del 14 dicembre 2010 (dedicato al romanzo “Perdersi” di Lisa Genova, edito da Piemme). Lo ripropongo qui di seguito, dato che – tra i commenti – potrete trovare (o ritrovare) notizie utili.

PerdutamenteTornando alla letteratura, ci sono diversi libri che in questi anni si sono occupati dell’Alzheimer. Di recente, in Italia, è uscito Perdutamente” di Flavio Pagano (Giunti, 2013) di cui conto di pubblicare uno stralcio nei prossimi giorni.

Ne approfitto, infine, per segnalare questo articolo su “La Stampa“.

Questo, invece, è il link al sito della Federazione Alzheimer Italia.

Eventuali commenti e contributi saranno più che graditi.

Massimo Maugeri

* * *

Post del 14 dicembre 2010

E SE I VOSTRI IERI SCOMPARISSERO FINO A… PERDERSI?

I miei ieri stanno scomparendo, i miei domani sono incerti, e allora per cosa vivo?
Vivo giorno per giorno. Vivo nel presente. Uno di questi domani dimenticherò di essere stata qui davanti a voi a tenere questo discorso.
Ma solo perché presto me ne dimenticherò non vuol dire che l’oggi non conta.

Avete appena letto il testo inserito sulla quarta di copertina di “Perdersi” (Piemme, 2010 – traduz. di Laura Prandino) di Lisa Genova. Si tratta di un romanzo (lo sto iniziando a leggere) incentrato su una delle più terribili malattie dei tempi moderni: l’Alzheimer.

Lisa Genova – l’autrice di questo libro – è nata in Massachusetts, dove vive tuttora con la sua famiglia. Dopo una laurea in neuropsichiatria a Harvard, ha dedicato la sua vita allo studio di gravi disturbi quali la depressione, il morbo di Parkinson e quello di Alzheimer.
“Perdersi” è il suo primo romanzo, inizialmente auto-pubblicato (un caso editoriale – leggo nella minibio dell’autrice – premiato da un clamoroso successo internazionale).

Come già accennato, vorrei dedicare questa pagina di Letteratitudine ad approfondire la conoscenza di questa terribile malattia (conoscere le malattie è una delle prime armi per combatterle).

Per Wikipedia, la malattia (o morbo) di Alzheimer è oggi definita come un “processo degenerativo che distrugge progressivamente le cellule cerebrali, rendendo a poco a poco l’individuo che ne è affetto incapace di una vita normale”. In Italia ne soffrono circa 800.000 persone, e nel mondo 26.6 milioni secondo uno studio della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health di Baltimora, USA, con una netta prevalenza di donne (per via della maggior vita media delle donne rispetto agli uomini). Definita anche “demenza di Alzheimer”, viene appunto catalogata tra le demenze, essendo un deterioramento cognitivo cronico progressivo. Tra tutte le demenze quella di Alzheimer è la più comune, rappresentando, a seconda della casistica, l’80-85% di tutti i casi di demenza.
A livello epidemiologico, tranne che in rare forme genetiche famigliari “early-onset” (cioè giovanili), il fattore maggiormente correlato all’incidenza della patologia è l’età. Molto rara sotto i 65 anni, a partire da questa età la sua incidenza aumenta progressivamente con l’aumentare dell’età, per raggiungere una diffusione significativa nella popolazione oltre gli 85 anni.

Come dicevo, vorrei riflettere insieme a voi su questa malattia e su tutto ciò che essa implica. E poi vi chiedo di raccontare – se vi va – casi di Alzheimer di vostra conoscenza…

1. Come si fa a combattere e a contrastare questo terribile male?

2. È possibile mettere in atto strategie per attutirne le conseguenze?

3. Cosa è possibile fare a livello di prevenzione?

4. In che modo la letteratura (oltre a questo romanzo di Lisa Genova) si è occupata dell’Alzheimer?

5. Con riferimento alla vostra personale esperienza, vi siete mai imbattuti in casi di Alzheimer?

6. Infine: e se i vostri ieri scomparissero fino a… perdersi… ?
(Ci avete mai pensato?)

Vi invito a discuterne insieme.
Di seguito, la scheda del romanzo di Lisa Genova.

Massimo Maugeri

*******************

PERDERSI di Lisa Genova
(in basso, la foto dell’autrice e la scheda del libro)
Piemme, 2010 – euro 16,50 – pagg. 294

lisagenovawebAlice ha lavorato sodo per raggiungere i suoi obiettivi e ora, a quasi cinquant’anni, sente di avercela finalmente fatta.
Dopo anni di studio, di notti in bianco e libri di psicologia, ha coronato il suo sogno, è una scienziata di grido, insegna a Harvard e viene chiamata dalle più prestigiose università per tenere conferenze. E poi c’è il suo più grande orgoglio, la famiglia: il marito John, un brillante esperto di chimica, che non riesce a trovare gli occhiali neppure quando li indossa, e i loro figli, Anna, Tom e Lydia, tutti e tre realizzati, anche se ognuno a modo suo.
All’improvviso, però, tutto cambia. All’inizio sono solo piccole dimenticanze: una parola sulla punta della lingua che non riesce a ricordare, il numero di uova nella ricetta del pudding natalizio, quello che prepara fin da bambina. E poi un giorno, dopo il giro di jogging quotidiano, Alice si ritrova in una piazza che è sicura di conoscere ma che non sa dove si trovi. Si è persa, a pochi metri da casa.
Qui comincia il suo viaggio tra le corsie d’ospedale, a caccia del male che sta cancellando i suoi ricordi. Quando le viene diagnosticata una forma presenile di Alzheimer, tutto ciò in cui Alice ha sempre creduto pare sgretolarsi. E anche la sua famiglia, che l’aveva sempre considerata un pilastro indistruttibile, perde ogni certezza e fatica ad accettare la nuova Alice, che in certi momenti è quella di sempre, ma che in altri sembra una sconosciuta, fragile e indifesa. Insieme dovranno affrontare il dolore. Insieme si scopriranno diversi e impareranno ad amarsi in un modo nuovo.

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DAVID FOSTER WALLACE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/09/12/david-foster-wallace/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/09/12/david-foster-wallace/#comments Thu, 12 Sep 2013 17:50:50 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/09/14/la-fine-di-david-foster-wallace/ Il 12 settembre 2008 moriva lo scrittore statunitense David Foster Wallace (nato il 21 febbraio 1962), autore di opere importanti come “La scopa del sistema“, “La ragazza con i capelli strani“, “Infinite Jest” (giusto per citarne qualcuna).
A cinque anni dalla scomparsa, vorrei ricordarlo riproponendo questo post.
Ne approfitto per segnalare quest’altro post, in tema, pubblicato su LetteratitudineNews.
Massimo Maugeri

* * *

Post del 14 settembre 2008
Il 12 settembre si è suicidato lo scrittore americano David Foster Wallace.
Aveva 46 anni. Si è ucciso impiccandosi nella sua abitazione di Claremont, in California. Il cadavere è stato rinvenuto dalla moglie, Karen Green, alle ore 21.30.
Foster Wallace è diventato un autore di culto (anche se non mancano i detrattori), soprattutto in seguito alla pubblicazione dell’opera monumentale “Infinite Jest” (più di mille pagine… qui in Italia pubblicato prima da Fandango e poi da Einaudi).
Un altro scrittore che si aggiunge alla lista degli artisti della penna che hanno deciso di spegnere l’interruttore dell’esistenza (e potremmo anche discutere sul tema difficilissimo del suicidio).
Tempo fa lo stesso Wallace ebbe modo di sostenere: “Succedono cose davvero terribili. L’esistenza e la vita spezzano continuamente le persone in tutti i cazzo di modi possibili e immaginabili” (da Brevi interviste con uomini schifosi).

Quella che segue, invece, è una citazione tratta da “Infinite Jest”:
La persona che ha una così detta “depressione psicotica” e cerca di uccidersi non lo fa aperte le virgolette “per sfiducia” o per qualche altra convinzione astratta che il dare e avere nella vita non sono in pari. E sicuramente non lo fa perché improvvisamente la morte comincia a sembrarle attraente. La persona in cui l’invisibile agonia della Cosa raggiunge un livello insopportabile si ucciderà proprio come una persona intrappolata si butterà da un palazzo in fiamme. Non vi sbagliate sulle persone che si buttano dalle finestre in fiamme. Il loro terrore di cadere da una grande altezza è lo stesso che proveremmo voi o io se ci trovassimo davanti alla finestra per dare un’occhiata al paesaggio; cioè la paura di cadere rimane una costante. Qui la variabile è l’altro terrore, le fiamme del fuoco: quando le fiamme sono vicine, morire per una caduta diventa il meno terribile dei due terrori. Non è il desiderio di buttarsi; è il terrore delle fiamme. Eppure nessuno di quelli in strada che guardano in su e urlano “No!” e “Aspetta!” riesce a capire il salto. Dovresti essere stato intrappolato anche tu e aver sentito le fiamme per capire davvero un terrore molto peggiore di quello della caduta.

Rattristato dalla notizia della morte mi piacerebbe ricordare David Foster Wallace, il suo talento letterario e la sua opera principale: “Infinite Jest“, appunto. Qualcuno di voi ha letto questo libro?

Di seguito potrete leggere l’estratto di un’intervista – pubblicata su Repubblica del 23 dicembre 2000 – che Foster Wallace rilasciò ad Antonio Monda.
Massimo Maugeri

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da Repubblica — 23 dicembre 2000
di Antonio Monda

La consacrazione culturale del grande talento di David Foster Wallace avvenne con un ritratto sul New York Times pubblicato in occasione dell’uscita negli Stati Uniti di Infinite Jest. La dimensione monumentale del libro aveva sorpreso chi si aspettava in piena epoca minimalista un nuovo capitolo irridente dell’affresco americano iniziato con The Broom of the system (La scopa del sistema) ma l’uso entusiasta del termine “genio” usato ripetutamente da Esquire e i paragoni con Joyce suggerito dalla Midwest Book Review e con Poe dal New York Times Book Review, aprirono le porte ad una celebrazione mediatica nella quale venne proclamata la nascita del «piu’ eccitante e interessante talento della sua generazione». Ad incontrarlo oggi, Wallace appare un ragazzo dallo sguardo ferito, che vive con sospetto lo straordinario successo critico e non nasconde le sbandate di una vita irregolare che sembra aver trovato un po’ di pace nel ritiro nel piccolo centro di Bloomington, nell’Illinois. La sua ironia cela sempre il dolore, il suo giudizio tagliente una malinconia venata di incertezza, il racconto affascinato di personaggi più grandi della vita una concezione dell’esistenza che ha ben poco di grande, e che trova nell’aurea mediocritas una possibile risposta al mistero del vivere. Ha deciso di non scrivere saggi e articoli per almeno due anni, ma rivela di sentirne già la mancanza…

Lei crede al potere di redenzione dell’arte?
«Certamente, ma esito sempre nell’identificare pubblicamente le opere che hanno avuto un tale effetto su di me. E’ una forma di pudore, ma anche una constatazione: esistono libri, quadri, brani musicali o film che riescono a svolgere un determinato ruolo soltanto in particolarissimi momenti».

Quali sono i libri che l’hanno influenzata come scrittore?
«La lista sarebbe lunghissima. Le cito due romanzi di Manuel Puig che hanno avuto un ruolo fondamentale: Il bacio della donna ragno e Il tradimento di Rita Hayworth».

Lei si e’ ritirato in un piccolo centro che è difficile non definire «in the middle of nowhere». In questo lei è simile a Salinger, De Lillo, Pynchon… Come mai molti dei piu’ importanti scrittori americani hanno deciso di vivere in un isolamento quasi assoluto?
«Ogni caso ovviamente e’ differente, ma la mia impressione è che ci sia una crescente cautela, e a volte una reazione netta, nei confronti dell’esposizione pubblicitaria. Sempre più spesso si rischia di cambiare geneticamente il senso ultimo di una scelta di vita artistica. Per uno scrittore l’espressione artistica è una necessità, e ciò che lui crea è un fine, non un mezzo. Ho l’impressione che questo fenomeno sia soprattutto statunitense perché l’America è il paese dove è più evidente la cultura della celebrità, e dove è più smaccata la confusione tra apparenza e sostanza. Io provo nei confronti degli eventi sociali lo stesso tipo di reazione che ho quando viene scattata una foto con il flash: non riesco a vedere bene, mentre gli altri mi vedono sotto una luce falsa».

Come mai mescola costantemente personaggi reali come il presidente Johnson ad altri puramente immaginari?
«Molti di questi personaggi nascono da una conoscenza televisiva, quindi indiretta, se non addirittura irreale. Ricordo ad esempio che da bambino vedevo Johnson in televisione: si trattava di una presenza costante, della quale conoscevo le espressioni, la cadenza, i modi di muoversi. Ero affascinato dalla sua personalità, tuttavia non potevo certo dire di conoscerlo. Ritengo che non sia possibile fare una vera e propria distinzione, ma nello stesso tempo ciò ci deve portare a riflettere su cosa consideriamo realtà, e su quello che ci viene propinata come tale. Sempre più spesso assistiamo ad azioni o dichiarazioni fatte ad uso e consumo dei media, che pretendono di acquistare la dignità della realtà».

Ritiene che il linguaggio televisivo sia dannoso anche per la letteratura?
«Terribilmente, ma si deve estendere il discorso anche a realtà più nuove come Internet. Io insegno letteratura inglese, ed è deprimente vedere come ogni anno si registri meno passione, meno cultura, e conseguentemente una minore qualità nella scrittura».

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OMAGGIO A ALBERTO BEVILACQUA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/09/09/omaggio-a-alberto-bevilacqua/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/09/09/omaggio-a-alberto-bevilacqua/#comments Mon, 09 Sep 2013 20:35:48 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5398 Oggi, 9 settembre 2013, a Roma, è morto Alberto Bevilacqua. Artista poliedrico (scrittore, regista, sceneggiatore, poeta e giornalista), era nato a Parma, 27 giugno 1934.

Nei primi anni cinquanta aveva iniziato a pubblicare i suoi scritti su invito di Mario Colombi Guidotti, responsabile del supplemento letterario della Gazzetta di Parma. La sua prima raccolta di racconti, “La polvere sull’erba“, (1955), ebbe l’apprezzamento di Leonardo Sciascia.
Nel 1961 pubblicò la raccolta di poesie “L’amicizia perduta“.
Il successo internazionale arrivò con “La Califfa” (1964). La Califfa è una bellissima ragazza di origine popolare che diventa l’amante di Annibale Doberdò: l’industriale più potente della città, una sorta di Mastro-don Gesualdo, autorevole e spregiudicato… La protagonista di questo romanzo, Irene Corsini, inaugura la galleria dei grandi personaggi femminili di Bevilacqua.

Nel 1966 Bevilacqua vinse il Premio Campiello con il romanzo “Questa specie d’amore” (di questo romanzo ne curò la trasposizione cinematografica, vincendo il David di Donatello per il miglior film).

Con “L’occhio del gatto” (1968) vinse il Premio Strega. Si aggiudicò inoltre, per ben due volte, il Premio Bancarella: nel 1972 con “Il viaggio misterioso” e nel 1991 con “I sensi incantati“.

Hanno goduto di un buon successo anche gli ultimi libri pubblicati. Ricordiamo, tra gli altri: Anima amante (1996), Gialloparma (1997), Sorrisi dal mistero (1998), La polvere sull’erba (Einaudi 2000), Roma Califfa (2012 – segue video tratto da “Che tempo che fa”).

Nel 2010 la Mondadori gli ha dedicato un volume nella collana “I Meridiani”.

Nella tradizione di Letteratitudine, dedico questo “spazio” alla memoria di Alberto Bevilacqua. Come accaduto con altri artisti della scrittura che ci hanno lasciato, questo piccolo “tributo” vuole essere appunto un omaggio, ma anche un’occasione per far conoscere questo autore a chi non ha ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.

Come sempre chiedo a tutti di contribuire lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione, informazioni biografiche… ma anche link ad altri siti e quant’altro possa servire a ricordare Alberto Bevilacqua e la sua produzione letteraria.

Per favorire la discussione, vi propongo le seguenti domande…

1. Che rapporti avete con le opere di Alberto Bevilacqua?
2. Qual è quella che avete amato di più?
3. E l’opera di Bevilacqua che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?
4. Qual è la principale “eredità letteraria” che Bevilacqua ci lascia?

Ringrazio tutti, in anticipo, per i contributi che riuscirete a far pervenire…

Massimo Maugeri

© Letteratitudine

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VEDUTE DALL’AUSTRALIA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/07/18/vedute-dallaustralia/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/07/18/vedute-dallaustralia/#comments Thu, 18 Jul 2013 20:24:24 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5337 letteratitudine-chiama-mondoTempo fa creai una sorta di rubrica intitolata LETTERATITUDINE CHIAMA MONDO. In coerenza con gli obiettivi allora delineati, conto di coinvolgere (all’interno di questo spazio) donne e uomini di cultura che risiedono in altri Paesi (e che – in un modo o nell’altro – hanno un legame con il nostro) per farci raccontare la realtà del luogo in cui vivono e come ci vedono da lì.
Cominciamo con un intervento che proviene dall’Australia offertoci dallo scrittore italo-australiano Antonio Casella (ne approfitto per ringraziarlo) che per tanti anni è stato direttore della Società Dante Alighieri di Perth.
Antonio Casella sarà disponibile a rispondere a vostre eventuali domande sull’Australia e sulle tematiche affrontate sul post.
Grazie, dunque, agli amici di questo blog per l’interesse e la partecipazione con cui seguiranno questi articoli.
A presto!

Massimo Maugeri

* * *

L’ITALIA VISTA DALL’ESTERO: vedute dall’Australia

di Antonio Casella

Vivo in Australia dal 1959, vale a dire da una vita. Come tanti emigranti italiani del dopoguerra ho guardato il mio paese di nascita attraverso i decenni e gli oceani che ci separano con un misto di sentimenti che scorre dall’orgoglio alla delusione. E non manca mai un pizzico di nostalgia. Ma lasciamo stare la nostalgia, anche perché in Italia ci vengo con frequenza e poi, oggi come oggi, il mondo te lo porti in tasca sullo Smartphone e i sogni di terre lontane vengono schiacciati dalla realtà di Google Earth.
Ciò nonostante il desiderio di viaggiare, di vedere, di provare emozioni nuove è tuttora vivo. Come pure sopravvive forte il desiderio d’Italia fra la gente d’Australia. Migliaia di miei concittadini si recano ogni anno in Italia in cerca di storia, di arte, di architettura, di eleganza, di buona cucina, di panorami mozzafiato. Cosa paradossale, mentre l’Italia giace in mezzo a una crisi economica, politica e sociale di vaste dimensioni, all’estero il paese riesce ancora a far sognare la gente.
A Perth, nella mia città, c’è una scuola d’Italiano per adulti, gestita dalla Società Dante Alighieri, frequentata da un gruppo eterogeneo di giovani e anziani: gente di razza anglo-sassone o asiatica, altri che magari vantano un nonno, o addirittura un bisnonno italiano e vogliono riallacciare il legame con le proprie radici. Tutti hanno una cosa in comune, una grande passione per l’Italia.
Dice un proverbio inglese , ‘imitation is the best form of flattery.’ Ebbene posso assicurare che lo stile di vita italiano – almeno da come lo si immagina – è molto apprezzato ed emulato nelle città d’Australia. Gli emigranti italiani hanno dato un forte contributo alla rivalutazione dello stile di vita nella mia città di Perth. Tantissimi bar e ristoranti portano nomi italiani e sono gestiti da italiani. Senza dubbio l’Italia – talmente divisa ed autocritica dentro i propri confini – è molto amata all’estero.

L’Australia dei grandi spazi.
Ho l’impressione che sia pure vero il contrario, cioè che l’Australia goda di una reputazione eccellente in Italia (tutto sommato meritata).vedute-dall-australia-1Viaggiando per l’Italia – in treno, in aereo, per la strada, in piazza – la domanda più frequente che mi si fa è questa: ‘com’è l’Australia, bella vero?’ oppure, ‘come si vive in Australia? Benissimo, no?’ Ti colpisce il fatto che non si tratta di vere domande, s’intravede non tanto il desiderio di sapere o di imparare, ma di convalidare l’immagine dell’Australia che l’italiano si porta in testa. Spesso ne sussegue un commento di puro escapismo, ‘Io l’Australia me la sogno sempre, un giorno ci voglio andare’.
Suppongo che ciò che fa sognare gli italiani sia l’impressione che hanno dell’Australia: ovvero quella di un paese moderno proiettato verso il futuro. Vero, verissimo… ma al di sotto di questa immagine, un po’ blanda e superficiale, non mancano neanche da noi problemi sociali.
In effetti l’Australia è vasta. La distanza da Perth, nel Western Australia, a Sydney è di oltre 4.000 chilometri. Come dire da Roma a Mosca, andata e ritorno. In questo vasto continente ci vivono 23 milioni di persone, poco più di un terzo degli abitanti dell’Italia. A prima vista l’Australia si presenta di una “sparsitá” impressionante, ma il paradosso sta nel fatto che l’Australia è senza dubbio uno dei paesi più urbanizzati del mondo. Oltre tre quarti dei suoi abitanti vivono in cinque grandi città: Sydney, Melbourne, Brisbane, Adelaide e Perth. In queste città, grandi corridoi urbani si allungano per decine di chilometri lungo strisce costiere. Quindi, il paese più sconfinato al mondo ha una concentrazione di energie umane fra le più intense al mondo.
Altro paradosso. L’Australia è il paese delle etnie e delle razze più varie. Un quarto degli abitanti è nato all’estero, se aggiungiamo i loro figli si arriva alla metà della popolazione. Eppure la società Australiana è una delle più compatte, socialmente e politicamente più progressive, più stabili, più linguisticamente omogenee al mondo. Altri paesi moderni, come gli Stati Uniti, hanno una variante linguistica cospicua – nel senso che l’inglese parlato a Boston e ben diverso da quello del Mississippi – da noi l’inglese che si parla a Perth è pressoché identico a quello parlato a Sydney. Questa uniformità si estende pure ai livelli economici. Sommariamente parlando – e fatta eccezione della popolazione indigena, economicamente ancora al di sotto dei livelli nazionali – il tenore di vita di Perth è molto simile a quello di Sydney o Melbourne. Non sorprende dunque l’alto livello di coesione sociale di cui gode il paese. Vero è che, come succede in Italia, i politici non esitano a insultarsi a vicenda dentro e fuori del Parlamento, ma un politico australiano non si permetterebbe mai di lanciare insulti collettivi verso i connazionali che vivono al Sud o al Nord del paese. Non è soltanto questione di forma o di buone maniere, ma di sopravvivenza politica. La compattezza sociale fa parte integrale del tessuto della società australiana e il politico, o partito, che dimostra di essere ‘divisivo’ viene punito alle urne.

Gli italiani d’Australia
Senza dubbio l’emigrante italiano ha trovato talmente terreno fertile in Australia, da potersi “tirare su” e farsi una vita, almeno dal punto di vista economico. Gli italiani arrivarono in Australia fin dall’inizio della colonizzazione del paese. Sulla nave del Capitano Cook, che nel 1777 salpò verso il nuovissimo continente si trovava già un italiano: Antonio Ponto. Gruppi di italiani accorsero verso le miniere d’oro nei famosi ‘gold rush’di Ballarat nella costa orientale e di Kalgoorlie nell’Australia occidentale. Altri si inserirono nei settori dell’agricoltura e nella nascente industria peschereccia di Fremantle alla fine del diciannovesimo secolo. Ma il grande flusso di emigranti italiani avvenne negli anni cinquanta e sessanta, quando non meno di 450 mila emigranti arrivarono in Australia da tutta Italia. Vi trovarono un paese in fase di grande espansione – nel periodo 1950-80, la popolazione dell’Australia si è quasi raddoppiata da 8 a 15 milioni – spinto da un sistema economico laisser-faire in forte bisogno di manodopera. Gli italiani, in maggioranza contadini e manovali dal sud d’Italia – ma non solo- si rimboccarono le maniche e si misero al lavoro facendosi cuochi e camerieri, piccoli bottegai, minatori e agricoltori. Nell’industria edilizia s’inventarono da carpentieri, muratori, piastristi e così via. In pochi anni i più intraprendenti misero su le proprie fabbriche e cantieri, e diventarono costruttori edili a comando di dipendenti…
Furono loro i padri e i nonni eroici dei professionisti, avvocati, medici, uomini d’affari di oggi. Molti hanno avuto successo in politica. Si vedono oggi nomi italiani fra i sindaci delle città e paesi, (lo stesso sindaco di Perth, Lisa Scaffidi, porta nome italiano). Fino a qualche anno fa Morris Iemma, figlio di italiani, era il Premier dello stato più popoloso d’Australia, il New South Wales.
E oggi? L’emigrazione italiana verso l’Australia pressappoco cessò negli anni 70. Solo negli ultimi due anni, all’insegna della crisi in Europa i giovani italiani incominciano a riscoprire l’Australia, come fecero i loro connazionali mezzo secolo fa. L’Australia, guarda caso, ha attraversato un altro periodo di boom, almeno fino al 2012, grazie alle estese miniere di ferro, di carbone e di oro, e ai giacimenti di gas naturale, che la Cina – in fase di frenetico sviluppo – richiede in quantità ingenti. Ma non vedo una nuova ondata di emigranti italiani. I nuovi arrivati sono pochi, per lo più giovani professionisti, in particolare ingegneri, richiesti appunto dalle industrie minerarie nel lontano nord del continente. Altri trovano lavoro in città, principalmente nei caffè e ristoranti. L’Australia di oggi non è quella di mezzo secolo fa che si presentava chiusa in se stessa, insicura e spesso ostile verso gli emigranti. La società di oggi è più aperta, multiculturale, sofisticata e tollerante se non sempre disposta – bisogna anche dirlo – ad accogliere i nuovi arrivati a braccia aperte.

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DIECI ANNI DALLA MORTE DI GIUSEPPE PONTIGGIA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/06/24/dieci-anni-dalla-morte-di-giuseppe-pontiggia/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/06/24/dieci-anni-dalla-morte-di-giuseppe-pontiggia/#comments Mon, 24 Jun 2013 17:38:53 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5296 Dieci anni fa, per l’esattezza il 27 giugno 2003, moriva a Milano (colpito da collasso circolatorio mentre era ancora in piena attività) lo scrittore e critico letterario italiano Giuseppe Pontiggia.
Era nato a Como, il 25 settembre 1934.
L’attività letteraria di Pontiggia è stata molto intensa (già a partire dalla sua collaborazione con la rivista d’avanguardia “Il Verri” diretta da Luciano Anceschi) nonostante il “vincolo” dei primi anni dovuto all’impegno assorbente del lavoro in banca. Da tale attività lavorativa (e dalla frustrazione che ne derivò), Pontiggia prese lo spunto per la scrittura del suo primo romanzo autobiografico “La morte in banca” (1959). Nel 1961 decise di lasciare l’impiego in banca e si dedicò all’insegnamento serale e alla letteratura (a partire da quell’anno curerà per la Mondadori l’Almanacco dello Specchio).

Nonostante la prematura scomparsa, la produzione letteraria di Pontiggia è molto ricca. Ricordiamo le seguenti opere di narrativa (oltre al già citato romanzo “La morte in banca”): “L’arte della fuga“, (Adelphi, 1968 – di recente riedito da Mondadori); “Il giocatore invisibile” (1978); “Il raggio d’ombra” (1983); “La grande sera” (1989 – Premio Strega); “Vite di uomini non illustri” (1994 – Premio SuperFlaiano); “Nati due volte” (2000 – Premio Campiello e Premio Società dei Lettori Lucca-Roma); “Prima persona” (Mondadori); “Il residence delle ombre cinesi” (2003, postumo). Ricordiamo altresì che le “Opere” di Pontiggia sono pubblicate nei «Meridiani» Mondadori, a cura e con introduzione di Daniela Marcheschi.
Tra i vari riconoscimenti tributati a Pontiggia, non bisogna dimenticare il conferimento del Premio Chiara alla carriera nel 1997.

A dieci anni dalla scomparsa, nella tradizione di Letteratitudine, mi piacerebbe ricordare questo nostro scrittore con il vostro indispensabile contributo. Dedico dunque questo “spazio” alla memoria di Peppo Pontiggia, anche con l’auspicio di contribuire a far conoscere questo autore a chi non avesse ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.
Chiedo a tutti di contribuire lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione, informazioni biografiche… ma anche link ad altri siti e quant’altro possa servire a ricordare Pontiggia e la sua produzione letteraria. Seguono alcune domande volte a favorire la discussione.

1. Che rapporto avete con le opere di Giuseppe Pontiggia?

2. Qual è quella che avete amato di più?

3. Qual è quella che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Tra le varie “citazione” di Pontiggia di cui avete memoria (o che magari avrete modo di leggere per questa occasione)… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

5. A dieci dalla morte, qual è l’eredità che Pontiggia ha lasciato nella letteratura italiana?

Grazie in anticipo per la vostra partecipazione.

Contestualmente, a partire da domani (e per qualche giorno), LetteratitudineNews accoglierà contributi dedicati a Pontiggia.

Massimo Maugeri

© Letteratitudine

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OMAGGIO A PAOLO DE CRESCENZO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/04/08/omaggio-a-paolo-de-crescenzo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/04/08/omaggio-a-paolo-de-crescenzo/#comments Mon, 08 Apr 2013 17:23:06 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5126 Pubblico con piacere questo contributo messomi a disposizione dall’amico Franco Pezzini, dedicato alla memoria di Paolo De Crescenzo (che ricordo con particolare affetto anche per via della sua partecipazione al dibattito di Letteratitudine dedicato alla “letteratura dei vampiri“).
Massimo Maugeri

* * *

RICORDO DI PAOLO DE CRESCENZO

di Franco Pezzini

Ci sono persone che hanno la capacità di conciliare il sogno – con quanto di azzardato o cocciuto ciò comporti, perché un sogno è più che un’aspirazione, un forte interesse o persino una passione – con la sana concretezza, impastata di fatica quotidiana: persone che sanno insomma armonizzare i due termini, senza rinunciare al secondo ma senza mai permettere che il primo sia avvilito. Vorrei iniziare a ricordarlo così, Paolo De Crescenzo, rispondendo all’invito dell’amico Maugeri su uno spazio a lui dedicato.
Tengo poi da subito ad aggiungere qualcosa che non riguarda un semplice dettaglio del ritratto, ma la chiave e il combustibile di quella capacità: cioè la sovrabbondanza di umanità (burbera, ironica, esigente ma rispettosissima, affettuosa) che chiunque abbia frequentato un po’ Paolo non poteva non riconoscergli. E che rappresenta – è un discorso già fatto – una merce non troppo considerata sul listino degli interessi diffusi: eppure, senza retorica da coccodrilli, è ciò che rende speciale condividere con una persona, lavorarci insieme. E continuare a ricordarla – e farcela mancare – quando gli occhi si siano chiusi.
Molti aspetti della vita di Paolo sono stati richiamati nei primi articoli a caldo, i giorni successivi alla morte: testimonianze, in particolare, sull’avventura di fondazione e conduzione di una casa editrice votata all’horror di qualità, sullo stile delle scelte autorali, sulla costruzione di una “squadra” italiana, e in ultimo sulla parabola che attraverso crisi economica generale e malattia ha condotto al suo abbandono del timone – e su ciò non tornerei. Mi sembra invece importante riprendere un aspetto particolare dell’esperienza della Camelot gotica edificata in quel breve volgere d’anni, perché permette di non guardare soltanto indietro ma avanti, a un’eredità ideale, a un futuro.
Lo stile di Paolo era di far collaborare le persone. Per carità, in un contesto di base imprenditoriale, non per generico buonismo: eppure tale mettere insieme non era semplicemente funzionale a un risultato di cassa. Il progetto editoriale si configurava come culturale ad ampio raggio: non solo un portfolio di autori più o meno apprezzati dagli acquirenti, non solo una “scuderia” di penne di qualità per introduzioni e prefazioni ai romanzi, ma un bacino di interlocutori con cui confrontarsi e sognare. Di qui progetti continui, fino alla fine: progetti in molti casi portati avanti e approdati a esiti felici, in altri ridefiniti via via o abbandonati per scelta, in altri ancora caduti con la fine della sua direzione. E ciascuno di noi che (in forme diversissime) con Paolo abbiamo collaborato trattiene probabilmente nel proprio archivio qualcuna di queste avventure mancate.
Uno stile, comunque, che permetteva di cogliere senso e sensatezza di un piano altrimenti folle come la fondazione di una factory dell’horror su carta nel nostro paese: e qualcosa della relativa latitudine e profondità può avvertirsi nel vivacissimo scambio in questo stesso sito a proposito della letteratura di vampiri (e altri orrori), con la squadra Gargoyle fortemente presente. L’horror insomma non baraccone di effetti facili, ma linguaggio degli imbarazzi di una società, dei suoi timori e desideri inconfessati o inconfessabili, delle sue crisi; linguaggio-antidoto alle certezze manipolatorie tanto spesso calateci addosso, linguaggio-laboratorio per l’emersione dei demoni di un orizzonte culturale. Linguaggio che irride la conciliazione a poco prezzo, e capace – se valido, “di qualità” – di lasciare il segno nel lettore. Come dice Arthur Machen, l’orrore può aggiungere bellezza alla vita, e anzi il terrore, in qualche modo, è la preghiera alla bellezza sconosciuta. E a questo genere in Italia considerato spesso impresentabile – al punto da favorire l’etichettatura di testi horror come thriller o noir, qualifiche considerate meglio vendibili – Paolo col suo lavoro ha offerto, si può dire, una dignità nuova.
Tutto ciò permette di guardare avanti. E non entro ora nel merito specificamente editoriale, ma piuttosto in quello di uno stile, un modo di rapportarsi. Paolo faceva incontrare le persone, le faceva sognare insieme. Bene, se gli autori da Paolo radunati, in controtendenza a un mondo culturale spesso nel segno dell’individualismo, riusciranno a mantenere vivo quel tessuto e inventarsi occasioni d’incontro, magari più vivaci e personali di uno scambio su youtube; se al di là dei diversi marchi delle pubblicazioni e dei confini del fandom, continueranno a condividere i sogni – un sognare che è ragionare e progettare insieme, anche se non ha connotati di idillio e non toglie fatica; se riusciranno a contagiare altri con questo stile, mostrando che il Fantastico non è solo o banalmente un’evasione ma una messa a fuoco alla giusta distanza del mondo in cui siamo immersi, allora potrà cambiare anche in Italia la percezione dell’horror. Un risultato che non si consumerebbe in una semplice questione di target, traducendosi in una ben più ampia circolazione di istanze critiche, di salutari provocazioni e spiazzamenti. Una sfida insomma che, per quanto ardua in una situazione come quella italiana, non giace nel limbo delle utopie irrealizzabili – e ci farebbe un gran bene.
E ciò, ripetiamolo, in particolare grazie a Paolo.

* * *

FRANCO PEZZINI (Torino, 1962)
Laureato in Diritto Canonico con la tesi Esorcismo e magia nel Diritto della Chiesa, è studioso dei rapporti tra letteratura, cinema e antropologia, con particolare attenzione agli aspetti mitico-religiosi e al Fantastico. Tra i fondatori della rivista L’Opera al Rosso, è membro del comitato editoriale de L’Indice dei libri del mese’, della Redazione di Carmillaonline. Letteratura, immaginario e cultura di opposizione, e collabora alla rivista ‘LN – Libri Nuovi’. Ha pubblicato i saggi Cercando Carmilla. La leggenda della donna vampira (Ananke, 2000); con Arianna Conti, Le vampire. Crimini e misfatti delle succhiasangue da Carmilla a Van Helsing (Castelvecchi, 2005); con Angelica Tintori, The Dark Screen. Il mito di Dracula sul grande e piccolo schermo (Gargoyle Books, 2008) e Peter & Chris. I Dioscuri della notte (Gargoyle Books, 2010). È Vicepresidente del Comitato Scientifico di Autunnonero, Festival Internazionale di Folklore e Cultura Horror.
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CINQUANT’ANNI DALLA MORTE DI BEPPE FENOGLIO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/02/21/cinquantanni-dalla-morte-di-beppe-fenoglio/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/02/21/cinquantanni-dalla-morte-di-beppe-fenoglio/#comments Thu, 21 Feb 2013 21:42:05 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4986 Cinquant’anni fa – per l’esattezza il 18 febbraio 1963 – , a Torino, moriva lo scrittore italiano Beppe Fenoglio.
Era nato ad Alba il 1° marzo 1922. Nel corso della seconda guerra mondiale, combatté come partigiano. Quell’esperienza segnò in maniera determinante la sua scrittura e la sua produzione artistica. La sua opera più nota “Il Partigiano Johnny” (romanzo pubblicato postumo, nel 1968), ne è un valido esempio.
A cinquant’anni dalla scomparsa, nella tradizione di Letteratitudine, mi piacerebbe ricordare questo nostro scrittore con il vostro indispensabile contributo. Dedico dunque questo “spazio” alla memoria di Beppe Fenoglio con l’auspicio di contribuire a far conoscere questo autore a chi non avesse ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.
Chiedo a tutti di contribuire lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione, informazioni biografiche… ma anche link ad altri siti e quant’altro possa servire a ricordare Beppe Fenoglio e la sua produzione letteraria. Seguono alcune domande volte a favorire la discussione.
1. Che rapporto avete con le opere di Fenoglio?

2. Qual è quella che avete amato di più?

3. A parte “Il Partigiano Johnny” (l’opera più celebre di Fenoglio) qual è quella che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Tra le varie “citazione” di Fenoglio di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

5. A cinquant’anni dalla morte, qual è l’eredità che Fenoglio ha lasciato nella letteratura italiana?

Propongo, di seguito, l’articolo di Gianni Riotta pubblicato su La Stampa del 17 febbraio 2013.

Massimo Maugeri

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ITANGLISH: COSÌ PARLÒ IL PARTIGIANO (da La Stampa)

di Gianni Riotta

Insegnando cultura italiana all’estero si ha talvolta l’impressione che per tanti studenti la nostra sia una lingua morta, classica, ma spenta come il greco di Omero e il latino di Orazio. Che l’italiano sia invece vivo, in trasformazione continua e mai, come in questo XXI secolo, letto, parlato, studiato e innovato, si dimentica, schiacciati dalla grandezza di Dante, Machiavelli, Manzoni. A volte ho ricordato la citazione del De Mauro, meno del 2% dei cittadini parlava italiano al momento dell’Unità, 150 anni or sono, e una letteratura viva, scritta nella lingua della gente, nasce solo nel Novecento. E per interessare i ragazzi a Princeton ho citato Pavese, che scrive in inglese le sue ultime poesie, tenere e struggenti, Vittorini, a cui Hemingway dedica di pugno una prefazione all’edizione Usa di Conversazione in Sicilia, ma soprattutto Beppe Fenoglio.

Il partigiano Johnny non è solo un capolavoro come romanzo politico – il dibattito tra Johnny e il professore comunista Corradi sulla moralità in guerra e nella battaglia ideologica resta imperdibile -, cambia anche completamente la struttura dell’italiano scritto, parlato e pensato.

Johnny agisce secondo una volontà morale, da individuo e tra i partigiani, comunisti e autonomi, perché pensa in una lingua che non ha più la retorica fascista e monarchica. La sintassi frenetica del Partigiano Johnny, il ritmo senza uguali nella nostra narrativa, deriva dall’ibrido di italiano e inglese che Fenoglio, scrittore sperimentale, riesce a ottenere. Ma, ecco il punto, l’effetto magnifico non nasce dall’alambicco dell’avanguardia astratta, come capiterà nel Gruppo 63. È la sperimentazione di idee nuove, il coraggio morale sincero, l’azione politica democratica che, temprata dal talento narrativo di Fenoglio, plasmano la nuova lingua. Rileggete l’incontro di Johnny con i due prigionieri alleati che non vogliono più combattere, «il motore della guerra s’è rotto dentro di noi», e pelano invece patate: «Johnny parlò abruptly. – A bit unwarlike, isn’t, to be peeling potatoes? – Si voltarono lenti, guardarono in su, senza la minima sorpresa di sentir la loro lingua, in un attimo ripresero il ritmo della pelatura. Quello d’aspetto più anziano ed imposing che disse di chiamarsi Burgess, domandò semplicemente se anche Johnny era partigiano. – Yes. What army service, then? – Artirl’ry. – Where were you caught? – Marsah Matruh, 1942. – By Graziani’s troops? – Rommel’s – precisò Burgess rather martellatamente. – Where was the camp you ran out of on the armistice day? – Near Vercelli – disse Burgess, prodigiosamente riuscendo a saltare tutte le vocali del nome. – Near the rice-marshes – disse l’altro, con una voce bizzarramente immature… Si chiamava Grisenthwaite, Johnny dovette farselo ripetere ed infine ripiegare sulla sillabazione. Grisenthwaite sillabò docilmente il suo cognome, e poi: – Have you got any spare razor blade for me? – Sorry, I haven’t. The chief here tells me you’re unwilling to fight. May I know why? – Naturalmente rispose Burgess. – We have enough of fighting, me boy, ’cause we have been through too much fighting, big big fighting in the sands. Mself I’ll never put my finger on a trigger what-soever. So will my pal here Grisenthwaite. The fighting engine’s broken inside us. Furthermore…».

In che lingua scrive qui Fenoglio? Un lettore italiano che non sappia, e bene, l’inglese è tagliato fuori. È Itanglish, come a New York scrivono poesie in Nuyorican, inglese e spagnolo di Portorico: la lingua futura, vaticinata dal grande romanziere del secolo scorso.

Twitter @riotta

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ARRIVA LA FINE DEL MONDO (e ancora non sai cosa mettere) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/02/18/arriva-la-fine-del-mondo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/02/18/arriva-la-fine-del-mondo/#comments Mon, 18 Feb 2013 16:50:11 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4774 Rimetto in primo piano questo post dedicato alla “fine del mondo” (secondo i Maya, ma non solo) per dare l’occasione alle autrici e agli autori dell’antologia ULTIME NOTIZIE: FINE DEL MONDO (Navarra editore) di dire la loro sull’argomento.

Massimo Maugeri

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Post del 18 dicembre 2012
Arriva la fine del mondo (e ancora non sai cosa mettere)Cari amici, ci siamo. Secondo i Maya, la fine del mondo si verificherà il prossimo 21 dicembre. Se ciò dovesse essere vero, questo potrebbe essere l’ultimo post di Letteratitudine. Uso il condizionale perché, nel caso in cui la fine del mondo iniziasse di sera, farei in tempo – venerdì mattina – ad accogliere in radio Melania Mazzucco (prossima ospite di “Letteratitudine in Fm”) e a pubblicare il relativo post. Voi, naturalmente, fate il vostro dovere per disinnescare la profezia mayana (o mayese?). Toccate ferro, o “altrove” (se è il caso). Andate a caccia di cacche di cane sui marciapiedi e schiacciatele con coraggio. Insomma, impegnatevi al massimo per scongiurare la catastrofe.
Che poi, a pensarci bene, come dovrebbe verificarsi questa fine del mondo? Improvvisa inversione dei poli? Arresto della rotazione terrestre? Pandemia? Impatto con un asteroide? Esplosione di una supernova? Queste domande le ho prese in prestito dalla scheda del volume di Roberto Alajmo intitolato “Arriva la fine del mondo (e ancora non sai cosa metterti)” (Laterza, 2012).
La funesta profezia del 21 dicembre 2012 è solo un esempio”, ci dice Roberto Alajmo. “L’ultimo, se i Maya avevano ragione. Il fatto è che periodicamente l’umanità si prepara a sloggiare dal pianeta Terra. Millenarismi di ogni tipo per secoli hanno attirato la credulità popolare, e ogni scampato pericolo è sempre servito solo come carburante per la profezia successiva. In particolare, però, è la generazione di noi contemporanei quella che sta coltivando con maggiore convinzione l’idea di essere l’ultima della Storia del Mondo. Dopo di noi, il diluvio: e pazienza per i posteri. Potrà essere un collasso finanziario, oppure un drammatico stravolgimento climatico. Forse un’ondata migratoria devastante. Uno tsunami di spazzatura. Una guerra mondiale. La fine delle risorse petrolifere. Oppure tutte queste cose assieme, senza escludere i classici del cinema: impatto con un meteorite o invasione di extraterrestri. Se pure i Maya avessero torto, un’Apocalisse sembra davvero alle porte. Se non altro la fine del mondo così come siamo abituati a viverlo da qualche secolo a questa parte. Ecco lo specifico contemporaneo: ci sentiamo talmente sicuri di un’imminente Apocalisse che ci siamo convinti di non poter fare nulla per fermarla. Se ne ricava la più classica delle profezie che si autoverificano: siccome la fine del mondo ci sarà, ci sarà la fine del mondo”.
Troverete un approfondimento sul libro di Roberto Alajmo cliccando qui. Cliccando su LetteratitudineNews, invece, avrete la possibilità di leggere un testo messo a disposizione da Roberto appositamente per questo dibattito.

In ogni caso non c’è dubbio che la profezia dei Maya abbia fatto presa sull’immaginario collettivo del pianeta Terra. E che tale suggestione sia stata fonte di ispirazione anche nel mondo della fiction. Come te la immagini la fine del mondo? Questa, per esempio, è stata la domanda alla base del progetto editoriale delle “Cronache dalla fine del mondo”: un’antologia di racconti, curata da Laura Costantini per i tipi di Historica edizioni, che ha coinvolto ben 25 autori ai quali è stato chiesto – appunto – di “immaginare” la fine del mondo. Su LetteratitudineNews, avrete la possibilità di leggere la prefazione di Maurizio de Giovanni.

Vi propongo di approfondire la conoscenza dei due libri citati, approfittando della partecipazione al dibattito degli autori coinvolti. Per favorire la discussione, provo a formulare qualche domanda “in tema”.

1. Che tipo di emozione, o reazione, ha suscitato in voi l’apprendimento della notizia della “fine del mondo” profetizzata dai Maya?

2. La diffusione della notizia della profezia ha causato davvero una sorta di psicosi collettiva, oppure no? Qual è la vostra percezione?

3. La popolazione del 2012 è più “immune” dal rischio di “superstizione apocalittica” rispetto a quella delle generazioni dei secoli scorsi, oppure – paradossalmente – la facilità della circolazione delle notizie e la maggiore possibilità di interazione (anche online) rendono tale rischio ancora più alto?

4. Domanda/gioco a) – giusto per sdrammatizzare. Vi viene chiesto di scrivere un messaggio, un testo breve. In caso di “fine del mondo” solo il vostro messaggio potrà essere salvato dall’oblio a beneficio di ipotetici posteri o di eventuali extraterrestri curiosi. Cosa scrivereste?

5. Domanda/gioco b) – giusto per esorcizzare. Se dovesse arrivare la fine del mondo, che abito indossereste?

Grazie in anticipo per la partecipazione.

Massimo Maugeri


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IL PELE’ DEL SACRO CUORE (tra calcio e letteratura) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/02/05/calcio-e-letteratura/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/02/05/calcio-e-letteratura/#comments Tue, 05 Feb 2013 11:25:47 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4314 CopertinaAggiorno il post del 19 settembre, dove si è sviluppato il forum dedicato al rapporto tra “calcio e letteratura“, per ospitare un nuovo libro (e un nuovo autore). Si tratta del romanzo “Atletico Minaccia Football Club“, di Marco Marsullo (Einaudi).

Su LetteratitudineNews, potete leggere uno stralcio del libro.
Invito Marco Marsullo a partecipare alla discussione…

Massimo Maugeri

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Post del 19 settembre 2012
Dedico questo post al gioco del calcio, il nostro sport nazionale (avevamo già avuto modo di parlarne in occasione del dibattito condotto su questo libro). L’idea mi è venuta quest’estate, nel corso di una breve vacanza a Parigi. Un pomeriggio, nel quartiere di Montmartre, proprio ai piedi della Basilica del Sacro Cuore, sono stato attratto da una folla raccolta attorno a un ragazzo che palleggiava. Mi sono avvicinato e… be’, non vorrei esagerare, ma… non ho mai visto nessuno palleggiare in quel modo. Quel ragazzo sembrava tutt’uno con il pallone… come se lo telecomandasse con la mente. Ma non aggiungo altro. Ho avuto la possibilità di registrare un video che vi propongo qui di seguito. Guardatelo. Poi, se vi va, ne discuteremo insieme…

Avete visto il video? Io, ripeto, sono rimasto molto colpito. E ho deciso di “battezzare” questo ragazzo come… Il Pelè del Sacro Cuore.
Prendendo spunto da questo video, vorrei organizzare un dibattito sul rapporto tra calcio e letteratura. E non è un caso se ho scelto come “immagine/icona” di questo post, la vecchia foto di Pasolini che gioca a pallone (Pasolini era un grande amante di questo sport).

Proverò a coinvolgere nella discussione alcuni degli autori che si sono occupati dell’argomento (a fine post inserirò riferimenti ad alcuni libri in tema). Vi invito, peraltro, a leggere su LetteratitudineNews (dove nei prossimi giorni spero di pubblicare altri contributi) l’introduzione di Carlo D’Amicis al libro da lui curato per Manni e intitolato “C’è un grande prato verde. 40 scrittori raccontano il campionato di calcio 2011-2012“.

Naturalmente faccio affidamento alla vostra partecipazione, cari amici di Letteratitudine.
Seguono, come al solito, alcune domande volte a favorire il dibattito…

1. Avete visto il video? Cosa ne pensate di questo giovane giocoliere del pallone che ho ribattezzato come il “Pelè del Sacro Cuore”?

2. Cosa ne pensate del gioco del calcio? Conserva ancora il suo fascino originario? Finirà con l’essere distrutto, soggiogato, dagli scandali legati alle scommesse, dal business, dallo strapotere delle paytv? Oppure riuscirà, in un modo o nell’altro, a salvaguardarsi e a mantenere integra la propria natura?

3. Perché in Europa e in Sud America il calcio è riuscito ad “attecchire”  più di altri sport?

4. C’è una componente artistica nel gioco del calcio, oppure è solo una competizione sportiva?

5. Calcio e letteratura hanno qualcosa in comune?

6. Qual è lo sport che, più di altri, può avere similitudini con la letteratura?

7. Classica domanda calcistica:  ”meglio” Pelé o Maradona?

8. E Messi? A quale dei due campioni si avvicina di più? Considerata la ancora giovane età, Messi potrà mai raggiungere o superare Pelé e Maradona? (Be’, magari secondo qualcuno di voi lo ha già fatto…)

Vi ringrazio in anticipo per la partecipazione.
Di seguito, i riferimenti ad alcuni libri che hanno a che fare con il gioco del calcio.

Massimo Maugeri

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Pensare con i piedi di Osvaldo Soriano (Einaudi)

Pensare con i piediNei racconti di questo volume Soriano si aggira in tre mondi dall’apparenza assai distanti tra loro. Nel gruppo di racconti dedicati al calcio come arte dell’intelligenza sono in primo piano la passione dell’autore, alcuni personaggi memorabili, come il figlio di un cow-boy fuorilegge appassionato lettore di Hegel che fa da arbitro in una leggendaria partita tra socialisti e comunisti nella Terra del Fuoco. La sezione intitolata “Nel nome del padre” introduce il lettore alla realtà quotidiana dell’epoca peronista, amara ed esilarante insieme, così come la vede un bambino che, all’ombra dell’orgogliosa figura paterna, si rifugia ogni tanto nel proprio mondo fantastico.

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Fútbol. Storie di calcio di Osvaldo Soriano (Einaudi)

Fútbol. Storie di calcioCentravanti di buone speranze – “ricordo di aver fatto più di trenta goal in campionato” -, fino a che la carriera calcistica non gli viene stroncata da un incidente, Osvaldo Soriano diviene innanzi tutto cronista sportivo e solo in seguito, con “Triste, solitario y final”, del 1973, uno dei romanzieri più amati e acclamati dell’America latina. Ma questa sua passione per lo sport, e per il fútbol in particolare, non l’ha mai lasciato. Scrive con la stessa passione e lo stesso amore di grandi campioni – uno tra tutti Diego Armando Maradona – e di oscuri portieri, di arbitri improbabili, di allenatori in pensione. Storie di calcio, di memoria, di personaggi indimenticabili, come il figlio di Butch Cassidy o il míster Peregrino Fernández, ma “imperfetti” (come diceva lui stesso), che giocano partite senza fine, contro un avversario o contro la vita. Venticinque bellissimi racconti di calcio che attraversano l’intera sua produzione letteraria, con sei racconti in più rispetto all’edizione precedente.

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La passione del calcio di Franz Krauspenhaar (Perdisa Pop)

La passione del calcio

Un racconto rapsodico dedicato alla passione stessa: un sentimento che prima o poi riguarda tutti. Una scrittura accurata e vertiginosa, come è nello stile di Krauspenhaar, che mescola lo sport alla letteratura, la poesia al quotidiano, la cultura alta e quella bassa, disegnando un profilo della contemporaneità italiana attraverso l’evocazione e l’interpretazione di alcune delle immagini del calcio che più la rappresentano: Sivori, Gianni Brera, Maradona, Gigi Riva, i Mondiali. Un romanzo autobiografico sull’Italia calcistica degli ultimi cinquant’anni, un viaggio nella memoria che porta il nostro sport nazionale a farsi metafora di ogni passione.

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C’è un grande prato verde. 40 scrittori raccontano il campionato di calcio 2011/12
(A cura di Carlo D’Amicis – Manni editore)

C'è un grande prato verde. 40 scrittori raccontano il campionato di calcio 2011/12Il campionato di calcio è un appassionante romanzo.
E allora perché non scriverlo? Perché non trattare Ibrahimovic, Pirlo e gli altri eroi del pallone come personaggi di una fiction a puntate?
Questa la sfida raccolta da 40 scrittori (tanti quanti sono i turni della serie A, con l’aggiunta della prima giornata di sciopero, e con una coppia), che in questa antologia raccontano, domenica dopo domenica, davanti alla tv o su un seggiolino dello stadio, l’edizione 2011-2012 del rito più amato dagli italiani.
Un rito fatto di gol strepitosi e di eccezionali parate, ma anche di radioline accese, pomeriggi in poltrona, chiacchiere da bar: un libro, quindi, che nel ricostruire l’andamento del campionato attualmente in corso, descrive il rapporto – abitudinario e avventuroso al tempo stesso – che ogni italiano, tifoso o no, intrattiene con il grande circo del pallone.

In campo
Francesco Abate, Eraldo Affinati, Cosimo Argentina, Roberto Barbolini, Eugenio Baroncelli, Francesco Bianconi, Giosuè Calaciura, Cristiano Cavina, Giuseppe Culicchia, Mario Desiati, Paolo Di Stefano, Gian Luca Favetto, Roberto Ferrucci, Francesco Forlani, Christian Frascella, Fabio Geda, Fabio Genovesi, Nicola Lagioia, Elisabetta Liguori, Marco Lodoli, Michele Mari, Marco Mathieu, Matteo Nucci, Francesco Pacifico, Darwin Pastorin, Alessandro Perissinotto, Paolo Piccirillo, Pulsatilla, Ugo Riccarelli, Vanni Santoni & Matteo Salimbeni, Giampaolo Simi, Elena Stancanelli, Fabio Stassi, Emanuele Trevi, Walter Veltroni, Valeria Viganò, Gianmario Villalta, Francesco Zardo.

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Ho parato un rigore a Pelé (AA.VV. – Perrone editore)

Ho parato un rigore a PeléCome entra il calcio nella vita di un italiano? Quanto conta, fin da bambini, il rapporto con il pallone? Quali esperienze offre, in termini di sogni, di crescita, di amicizia, di sentimenti in genere? Si può amare o odiare il calcio, ma è impossibile non sfiorarlo, in un Paese che davanti alle partite si ferma e a volte si ritrova miracolosamente unito. Palloni di plastica o di cuoio che finivano sotto le ruote di auto parcheggiate. Rigori in cui si giocava la stima di tutti, e magari pure lo sguardo di una ragazza. Episodi anche minimi della vita di ciascuno possono raccontare come il calcio agisca da collante sociale, come incida sull.identità di gruppi e di singoli, di luoghi. Come possa mescolare adrenalina, gioia, calore emotivo, crudeltà, violenza. Se il calcio in Italia è il grande romanzo popolare, chi meglio degli scrittori può provare a spiegarlo? Conversazioni in forma di racconto tra bandiere strappate, ricordi di famiglia e d’amore, accensioni politiche, nostalgia, partite (eroiche) sotto casa.

Raccolta di conversazioni realizzate da Giuseppe Aloe, Giorgio Nisini e Paolo Di Paolo con tredici scrittori contemporanei di diverse generazioni. Hanno partecipato Gianrico Carofiglio, Raffaele La Capria, Antonio Tabucchi, Ugo Riccarelli,Antonio Pascale, Raul Montanari, Gian Paolo Serino, Gianluca Morozzi, Errico Buonanno, Walter Mauro, Roberto Perrone, Alberto Garlini e Dario Voltolini.

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Volevo solo giocare a calcio. Vera storia di Adriano Ferraira Pinto di Pierdomenico Baccalario (Mondadori)

Volevo solo giocare a calcio. Vera storia di Adriano Ferraira PintoAdriano, tu hai un dono, non lasciarlo perdere. Gioca. Gioca sul serio. In una squadra vera. Quando rimane orfano, Adriano Ferreira Pinto è un ragazzino. Da anni lavora come operaio in un mattonificio. Estrae a mano mattoni bollenti dal ventre infuocato di una fornace dieci ore al giorno. Un lavoro durissimo, ma che gli lascia la domenica libera. E durante il giorno di riposo può dedicarsi alla sua vera passione: giocare a calcio con gli amici del quartiere. Perché Adriano ama giocare a calcio. Se non fosse poverissimo non farebbe altro da mattina a sera. Ma le necessità della famiglia vengono prima di tutto. Prima della sua felicità, prima dei suoi diritti di ragazzo. Un bel giorno c’è il torneo fra i quartieri della città di Port Ferreira. Lui e il fratello Edievaldo si iscrivono con la loro squadretta di amici. Adriano è il centravanti della Lotto Selvaggio, e segna. Segna a ripetizione. La sera prima della finale, a casa Pinto bussa un signore che di mestiere fa l’osservatore per la União São João, una squadra di terza divisione. In quel momento Adriano capisce che papà aveva ragione… “Volevo solo giocare a calcio” è la vera storia di Adriano Ferreira Pinto, stella brasiliana dell’Atalanta.

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Addio al calcio di Valerio Magrelli (Einaudi)

Addio al calcio Non mi era mai capitato di pensarci, ma qualche anno fa ho smesso per sempre di giocare a pallone. E come se avessi cambiato sistema respiratorio. Di più: ho fatto il percorso inverso a quello della farfalla. Io, che vivevo all’aperto, ebbro d’ossigeno, sono rientrato nel nero bozzolo, rinchiuso nell’astuccio di una stanza a macinare chilometri in cyclette. Composto da novanta “racconti da un minuto” e diviso in due “tempi” da quarantacinque minuti l’uno, Addio al calcio è un rincorrersi di aneddoti, ricordi, storie di vite più o meno illustri. Pagina dopo pagina, Valerio Magrelli si dispone a un’immersione totale nell’universo di una passione vissuta e insieme sognata. Mentre si susseguono le immagini di campioni antichi e moderni, di trepide comunità adolescenziali o di definitive solitudini, prende forma il racconto del gioco più famoso del mondo. Dal calcio-balilla alla PlayStation, dal fantacalcio al Subbuteo, le infinite incarnazioni dell’ossessione calcistica irrompono fra le mura domestiche, fino a “colonizzare la mente del tifoso non solo la domenica, ma tutti i giorni della settimana”. Attraverso lo specchio deformante di un’esistenza passata in attesa dei risultati, queste istantanee tracciano i confini di una mania capace come nessun’altra di unire padri e figli in un alfabeto comune, in una lingua fraterna. Con una specie di autobiografia sbilenca, Valerio Magrelli offre cosi al lettore la sua testimonianza ironica, malinconica, redenta.

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