LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 IL SALONE DEL LIBRO DI TORINO 2021: VITA SUPERNOVA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/10/14/il-salone-del-libro-di-torino/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/10/14/il-salone-del-libro-di-torino/#comments Thu, 14 Oct 2021 08:00:35 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/05/13/io-e-gli-altri-alla-fieralibro-di-torino-2009/

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logo_salone-libro-torino 14-18 ottobre 2021 | Lingotto Fiere | 33esima edizione

Dedico questo spazio al Salone del libro di Torino, il principale evento nazionale legato al mondo dei libri. Sarà uno spazio che verrà aggiornato annualmente con l’intento di contribuire a divulgare le notizie e i temi di volta in volta affrontati.
Ulteriore obiettivo, però, è anche quello di invitare gli amici di questo blog di raccontare il Salone dal loro punto di vista.
Siete invitati a dire la vostra, dunque (esprimendo opinioni, riportando notizie, ecc).

Grazie a tutti, per l’attenzione.

Massimo Maugeri

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Il programma è disponibile qui.

Tutte le informazioni sull’edizione di quest’anno del Salone Internazionale del Libro di Torino le trovate anche su LetteratitudineNews

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ABDULRAZAK GURNAH vince il PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2020 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/10/07/nobel-per-la-letteratura/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/10/07/nobel-per-la-letteratura/#comments Thu, 07 Oct 2021 11:45:13 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/10/06/toto-nobel-per-la-letteratura-2008/ Il forum permanente di Letteratitudine dedicato ai premi Nobel per la Letteratura.

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ABDULRAZAK GURNAH vince il PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2021

Il premio Nobel per la letteratura per il 2021 viene assegnato al romanziere Abdulrazak Gurnah (nato a Zanzibar nel 1948) “”per la sua intransigente e compassionevole penetrazione degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel divario tra culture e continenti“.

Gurnah è nato nel 1948 ed è cresciuto sull’isola di Zanzibar nell’Oceano Indiano, ma è arrivato in Inghilterra come rifugiato alla fine degli anni ‘60. Ha pubblicato dieci romanzi e alcuni racconti. Il tema del disfacimento del rifugiato percorre tutto il suo lavoro.

Approfondimenti biografici
Abdulrazak Gurnah (Zanzibar, 20 dicembre 1948) è uno scrittore e romanziere tanzaniano naturalizzato britannico, vincitore nel 2021 del Premio Nobel per la letteratura.
Scrive in inglese e vive nel Regno Unito. I suoi romanzi più noti sono Paradiso (Paradise, 1994), che è stato selezionato per il Booker Prize e per il Whitbread Prize, Il disertore (Desertion, 2005), e Sulla riva del mare (By the Sea, 2001), che è stato selezionato per il Booker Prize ed è stato finalista per il Los Angeles Times Book Awards.

Gurnah in May 2009Nato sull’isola di Zanzibar, al largo della costa dell’Africa orientale, Gurnah si trasferì in Gran Bretagna nel 1968. Dal 1980 al 1982, Gurnah ha insegnato alla Bayero University, a Kano in Nigeria. Si è poi trasferito all’Università del Kent, dove ha conseguito il dottorato di ricerca nel 1982. Attualmente è professore e direttore degli studi universitari presso il Dipartimento di inglese. Il suo principale interesse accademico è la scrittura postcoloniale, assieme ai discorsi associati al colonialismo, in particolare per quanto riguarda l’Africa, i Caraibi e l’India.
Ha curato due volumi di Saggi sulla scrittura africana, ha pubblicato articoli su numerosi scrittori postcoloniali contemporanei, tra cui VS Naipaul, Salman Rushdie e Zoë Wicomb. È l’editore di A Companion to Salman Rushdie (Cambridge University Press, 2007). Lavora come redattore alla rivista Wasafiri dal 1987.

Gurnah ha supervisionato progetti di ricerca sulla scrittura di Rushdie, Naipaul, GV Desani, Anthony Burgess, Joseph Conrad, George Lamming e Jamaica Kincaid.

Il 7 ottobre 2021 vince il premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: “per la sua intransigente e compassionevole penetrazione degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel divario tra culture e continenti”.

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LOUISE GLÜCK vince il PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2020

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Louise Glück, poetessa statunitense, ha vinto il premio Nobel per la letteratura 2020 “per la sua inconfondibile voce poetica che, con austera bellezza, rende l’esistenza individuale un’esperienza universale.”

Glück è spesso descritta come poeta autobiografica; il suo lavoro è noto per la sua intensità emotiva e per aver attinto spesso al mito, alla storia o alla natura per meditare sulle esperienze personali e sulla vita moderna.

Nel suo lavoro, Glück si è concentrata sugli aspetti illuminanti del trauma, del desiderio e della natura. Nell’esplorare questi ampi temi, la sua poesia è diventata nota per le sue franche espressioni di tristezza e isolamento. Gli studiosi si sono concentrati anche sulla sua costruzione di personaggi poetici e sul rapporto, nelle sue poesie, tra autobiografia e mito classico.

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Note biobibliografiche

La poetessa americana Louise Glück è nata nel 1943 a New York e vive a Cambridge, nel Massachusetts. Oltre a scrivere, è professoressa di inglese alla Yale University, New Haven, Connecticut. Ha debuttato nel 1968 con “Firstborn”, ed è stata presto acclamata come uno dei poeti più importanti della letteratura contemporanea americana. Ha ricevuto diversi premi prestigiosi, tra cui il Premio Pulitzer (1993) e il National Book Award (2014).
Louise Glück ha pubblicato dodici raccolte di poesie e alcuni volumi di saggi sulla poesia. Tutti sono caratterizzati da una ricerca della chiarezza. L’infanzia e la vita familiare, lo stretto rapporto con genitori e fratelli, è una tematica che è rimasta centrale per lei. Nelle sue poesie, il sé ascolta ciò che resta dei suoi sogni e delle sue delusioni, e nessuno può essere più duro di lei nell’affrontare le illusioni del sé. Sebbene Glück non neghi il significato del retroterra autobiografico, non deve tuttavia essere considerata una poetessa confessionale. Glück cerca l’universale, e in questo si ispira ai miti e ai motivi classici, presenti nella maggior parte delle sue opere. Le voci di Didone, Persefone ed Euridice – gli abbandonati, i puniti, i traditi – sono maschere di un sé in trasformazione, tanto personale quanto universalmente valido.

Con collezioni come “Il trionfo di Achille” (1985) e “Ararat” (1990), Glück ha trovato un pubblico crescente negli Stati Uniti e all’estero. In “Ararat” tre caratteristiche si uniscono per ripresentarsi successivamente nei suoi scritti: il tema della vita familiare; l’intelligenza austera; e un raffinato senso compositivo che contraddistingue il libro nel suo insieme. Glück ha anche sottolineato che in queste poesie si è resa conto di come impiegare la dizione ordinaria nella sua vena poetica. Il tono ingannevolmente naturale è sorprendente. Incontriamo immagini quasi brutalmente dirette di dolorose relazioni familiari. Sono immagini candide e intransigenti, senza traccia di ornamento poetico.
Rivela molto della sua poesia quando nei suoi saggi Glück cita il tono urgente di Eliot, l’arte dell’ascolto interiore in Keats o il silenzio volontario in George Oppen. Ma nella sua stessa severità e riluttanza ad accettare semplici principi di fede assomiglia più di qualsiasi altro poeta, Emily Dickinson.
Louise Glück non è solo coinvolta dalle erranze e dalle mutevoli condizioni di vita, ma è anche una poetessa del cambiamento radicale e della rinascita, dove il balzo in avanti è fatto da un profondo senso di perdita. In una delle sue collezioni più lodate, “The Wild Iris” (1992), per la quale ha ricevuto il Premio Pulitzer, descrive il miracoloso ritorno alla vita dopo l’inverno nella poesia “Snowdrops”:

Non mi aspettavo di sopravvivere
la terra mi sopprime. Non me lo aspettavo
svegliarsi di nuovo, sentire
nella terra umida il mio corpo
in grado di rispondere di nuovo, ricordando
dopo tanto tempo come riaprire
nella luce fredda
della prima primavera -

paura, sì, ma di nuovo tra voi
piangendo si rischia la gioia

nel vento crudo del nuovo mondo.

Va anche aggiunto che il momento decisivo del cambiamento è spesso segnato dall’umorismo e dall’arguzia pungente. La raccolta “Vita Nova” (1999) si conclude con le righe: “Pensavo che la mia vita fosse finita e il mio cuore si fosse spezzato. / Poi mi sono trasferita a Cambridge. ” Il titolo allude al classico di Dante, La Vita Nuova, che celebra la nuova vita sotto le spoglie della sua musa Beatrice. Celebrata in Glück è piuttosto la perdita di un amore che si è disintegrato.

“Averno” (2006) è una raccolta magistrale, un’interpretazione visionaria del mito della discesa di Persefone agli inferi nella prigionia di Ade, il dio della morte. Il titolo deriva dal cratere a ovest di Napoli che era considerato dagli antichi romani come l’ingresso agli inferi. Un altro risultato spettacolare è la sua ultima collezione, Faithful and Virtuous Night (2014), per la quale Glück ha ricevuto il National Book Award. Il lettore è nuovamente colpito dalla presenza della voce e Glück si avvicina al motivo della morte con notevole grazia e leggerezza. Scrive poesie oniriche e narrative che rievocano ricordi e viaggi, solo per esitare e fermarsi per nuove intuizioni. Il mondo viene distrutto, solo per diventare di nuovo magicamente presente.

Anders Olsson
Presidente del Comitato Nobel

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OLGA TOKARCZUK, PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2018 – PETER HANDKE, PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2019

Come è noto, nel 2018 il Premio Nobel per la Letteratura non è stato assegnato a causa dello scandalo per le molestie sessuali che ha coinvolto la stessa Accademia svedese che assegna il premio. Si è deciso, di conseguenza, di assegnare l’ambito riconoscimento letterario per il 2018 insieme a quello per l’anno 2019.
Oggi, giovedì 10 ottobre, a Stoccolma, sono stati dunque annunciati i nomi dei vincitori delle due edizioni: 2018 e 2019.

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Il Premio per l’edizione 2018 va a Olga Tokarczuk; quello per il 2019 a Peter Handke

Olga Tokarczuk (nata a Sulechów il 29 gennaio 1962) è una scrittrice polacca piuttosto nota. Con l’opera I vagabondi (in Italia edita da Bompiani nel 2018) ha vinto il Man Booker International Prize.
Prima di iniziare la sua carriera letteraria, dal 1980 ha studiato psicologia presso l’Università di Varsavia. Durante i suoi studi, ha fatto volontariato in una struttura per adolescenti con problemi comportamentali. Dopo la laurea nel 1985, si è trasferita prima a Breslavia (Wrocław) e successivamente a Wałbrzych, dove ha iniziato a praticare come terapeuta. Tokarczuk si considera una discepola di Carl Jung e cita la sua psicologia come un’ispirazione per il suo lavoro letterario. Dal 1998 Tokarczuk ha vissuto in un piccolo villaggio vicino a Nowa Ruda, da dove gestisce anche la sua casa editrice privata, Ruta.
Il Premio Nobel per la Letteratura 2018 le è stato conferito con la seguente motivazione:per la sua immaginazione narrativa che, con passione enciclopedica, rappresenta l’attraversamento dei confini come forma di vita“.

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Peter Handke (nato a Griffen il 6 dicembre 1942) è uno scrittore e poeta austriaco.
Handke nasce a Griffen, nella Carinzia, il 6 dicembre del 1942 da padre austriaco e da madre facente parte della minoranza slovena della regione, morta suicida nel 1971, evento che segnerà profondamente il giovane Handke (alla prematura morte della madre l’autore dedicherà poi il romanzo semi-autobiografico Infelicità senza desideri). Ha studiato giurisprudenza presso l’Università di Graz, ma senza laurearsi, perché si è dedicato presto alla letteratura.
Dal suo romanzo Prima del calcio di rigore (Die Angst des Tormanns beim Elfmeter, 1970) il regista Wim Wenders, con il quale aveva avuto altre collaborazioni, trae il film omonimo. I due sono tornati a collaborare per il film Il cielo sopra Berlino.
Con La donna mancina (Die linkshändige Frau, 1976) anche Handke ha tratto un film (1978) da un proprio libro.
Alla situazione dell’ex-Jugoslavia ha dedicato tre lunghi reportage, e per solidarietà contro i bombardamenti sui civili in Serbia ha rifiutato il premio Büchner.
Nel 2009 è stato insignito del Premio Franz Kafka
Il Premio Nobel per la letteratura 2019 gli è stato conferito con la seguente motivazione: “per la sua opera influente che, con ingegno linguistico, ha esplorato le periferie e le specificità dell’esperienza umana”.


Approfondimenti su: la Repubblica, Il Corriere della Sera, Il Sole 24Ore, Ansa, Il Fatto Quotidiano.


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KAZUO ISHIGURO: PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2017

La motivazione: “who, in novels of great emotional force, has uncovered the abyss beneath our illusory sense of connection with the world” (in romanzi di grande forza emotiva ha scoperto l’abisso sottostante il nostro illusorio senso di connessione con il mondo)

“Questa notizia è sorprendente e del tutto inaspettata”, ha dichiarato Ishiguro dopo aver appreso la notizia dell’attribuzione del Premio Nobel . “Giunge in un momento in cui il mondo è incerto sui suoi valori, sulla sua leadership e sulla sua sicurezza. Spero solo che il conferimento di questo grande onore, anche in piccolo, potrà in qualche modo incoraggiare a operare per il bene comune e la pace in questo nostro tempo .

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Kazuo Ishiguro nasce l’8 novembre 1954 a Nagasaki, in Giappone. La famiglia si trasferisce in Gran Bretagna quando ha cinque anni. Ishiguro ritorna in visita nel suo Paese natale soltanto da adulto. Alla fine degli anni Settanta Ishiguro si laurea in Inglese e Filosofia all’Università del Kent, e studia Creative Writing all’Università dell’East Anglia.

Ishiguro si dedica a tempo pieno alla scrittura fin dal suo primo libro, Un pallido orizzonte di colline (1982). Sia il primo che il suo secondo romanzo, Un artista del mondo fluttuante (1986) si svolgono a Nagasaki pochi anni dopo la Seconda Guerra Mondiale. I temi ai quali più spesso Ishiguro viene accostato sono qui già presenti: la memoria, il tempo, l’autoinganno. Particolarmente evidenti nel suo più noto romanzo, Quel che resta del giorno (1989), da cui è stato tratto il film omonimo per la regia di James Ivory con Anthony Hopkins nel ruolo del maggiordomo Stevens ossessionato dal dovere.

Seguono il romanzo Quando eravamo orfani (2000), in cui nella Shangai alle porte della grande guerra un detective indaga sulla sorte dei suoi genitori rapiti; e l’opera distopica Non lasciarmi (2005), con cui Ishiguro introduce nella sua scrittura una corrente sotterranea di fantascienza. Dal romanzo è stato tratto il film omonimo di Marck Romanek con Keira Knightley.

Segue la raccolta di racconti dal titolo Notturni. Cinque storie di musica e crepuscolo (2009), in cui la musica gioca un ruolo centrale nel raffigurare le relazioni fra i personaggi.

Nel suo ultimo romanzo, Il gigante sepolto (2015), una coppia di anziani compie un viaggio a piedi attraverso un arcaico paesaggio inglese, nella speranza di riunirsi al figlio ormai adulto, che da anni non vede. Il romanzo esplora, in maniera toccante, come il ricordo sia intimamente legato all’oblio, la storia al presente, e la fantasia alla realtà.

Oltre alle sue otto opere di narrativa, Ishiguro ha scritto anche sceneggiature cinematografiche e televisive.

Tutte le opere di Kazuo Ishiguro sono tradotte in Italia da Einaudi.

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BOB DYLAN: PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2016

A BOB DYLAN, IL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2016: “per aver creato una nuova espressione poetica nell’ambito della tradizione della grande canzone americana”.

Di seguito proponiamo la traduzione in lingua italiana della nota biobibliografica diramata dall’Accademia svedese

Risultati immagini per bob dylanBob Dylan è nato il 24 maggio 1941 a Duluth, Minnesota. È cresciuto in una famiglia ebraica della classe media nella città di Hibbing. Da adolescente ha suonato in varie band e nel tempo ha approfondito il suo interesse per la musica, coltivando una particolare passione per la musica folk americana e il blues. Uno dei suoi idoli è stato il cantante folk Woody Guthrie. È stato anche influenzato dai primi autori della Beat Generation, così come dai poeti modernisti.

Dylan si trasferisce a New York nel 1961 e lì ha iniziato ad esibirsi in club e caffè del Greenwich Village. Ha incontrato il produttore John Hammond con il quale ha firmato un contratto per il suo album di debutto, chiamato Bob Dylan (1962). Negli anni successivi ha registrato un numero di album che hanno avuto un enorme impatto sulla musica popolare: Bringing It All Back Home e Highway 61 Revisited nel 1965, Blonde On Blonde nel 1966 e Blood On The Tracks nel 1975. La sua produttività è proseguita nei decenni successivi, con ulteriori capolavori come Oh Mercy (1989), Time out of Mind (1997) e Modern Times (2006).

I tour di Dylan del 1965 e del 1966 hanno attirato parecchia attenzione. Per un periodo è stato accompagnato dal cineasta D. A. Pennebaker, che ha documentato la vita intorno al palco in quello che sarebbe poi divenuto il film di Dont Look Back (1967). Dylan ha registrato un gran numero di album che ruotano attorno ad argomenti sensibili come le condizioni sociali dell’uomo, la religione, la politica e l’amore. I suoi testi sono stati continuamente pubblicati in nuove edizioni, con il titolo Lyrics (Testi). Come artista, Dylan è sorprendentemente versatile; è stato attivo anche come pittore, attore e sceneggiatore.

Oltre alla sua vasta produzione di album, Dylan ha pubblicato un lavoro sperimentale come Tarantula (1971) e la collezione Writings and Drawings (1973). Ha scritto l’autobiografia Chronicles (2004), incentrata sui ricordi dei primi anni a New York e che fornisce scorci della sua vita al centro della cultura popolare. A partire dalla fine degli anni Ottanta, Bob Dylan è stato constantemente impegnato in tour nell’mabito di un’iniziativa chiamata “Never-Ending Tour”. Dylan ha lo status di icona. La sua influenza sulla musica contemporanea è profonda, e lui è l’oggetto di un flusso costante di letteratura secondaria.

(Traduzione dall’inglese di Massimo Maugeri)

La nota biobibliografica diramata dall’Accademia svedese in lingua inglese è disponibile qui.

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SVETLANA ALEKSIEVIC: PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2015

Literature Laureate

È SVETLANA ALEKSIEVIC, IL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2015: per la sua “opera polifonica, un monumento al coraggio e al dolore della contemporaneità”.

Ragazzi di zincoIncantati dalla mortePreghiera per CernobylSvetlana Aleksievič, nata a Ivano-Frankivs’k, il 31 maggio 1948 è una giornalista bielorussa conosciuta soprattutto per essere stata cronista, per i connazionali, dei principali eventi dell’Unione Sovietica della seconda metà del XX secolo: dalla guerra in Afghanistan, al disastro di Černobyl’, ai suicidi seguiti allo scioglimento dell’URSS.

Su ognuno di questi particolari argomenti ha scritto libri, tradotti anche in varie lingue (pubblicati dalle edizioni E/O, primo editore italiano a pubblicare la Aleksievic, e dalla Bompiani), che le sono valsi la fama internazionale e importanti riconoscimenti: La guerra non ha un volto di donna (sulle donne sovietiche al fronte nella seconda guerra mondiale), Ragazzi di zinco (sui reduci della guerra in Afghanistan – edizioni E/O), Incantati dalla morte (sui suicidi in seguito al crollo dell’URSS – edizioni E/O), Preghiera per Cernobyl (sulle vittime della tragedia nucleare-  edizioni E/O), Tempo di seconda mano (la vita in Russia dopo il crollo del comunismo – Bompiani).

Avversata dal regime del presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko, è stata costretta a lasciare il paese perché su di lei gravava l’accusa di essere un agente della CIA. Attualmente vive a Parigi.

L’8 ottobre 2015 è stata insignita del Premio Nobel per la letteratura, “per la sua scrittura polifonica, un monumento alla sofferenza e al coraggio nel nostro tempo”.

Tempo di seconda manoQuattordicesima donna a vincere il Premio Nobel, è la seconda persona di origini ucraine a vincerlo dopo Shmuel Yosef Agnon che lo vinse nel 1966. “Amo la Russia, ma non quella di Stalin e Putin“, ha dichiarato Svetlana Aleksievič; aggiungendo: “Dedico questo premio al mio piccolo paese, schiacciato nel tritacarne della storia“.

Sandra Ozzola Ferri (editrice delle edizioni E/O, insieme al marito Sandro Ferri) ha dichiarato all’Espresso: “Il primo libro che abbiamo pubblicato, nel 2001, è ‘Preghiera per Černobyl”: abbiamo capito subito che il ‘plus’ di Svetlana era la sua incredibile capacità di ascoltare e restituire le voci di chi aveva vissuto un’esperienza traumatica, fosse la guerra in Afghanistan o l’esplosione della centrale nucleare. Per ogni libro, lei fa centinaia di interviste, di conversazioni. Così la Storia diventa davvero esperienza umana. E tutte queste voci si sentono nel tessuto della sua scrittura“.

(Fonte: wikipedia e varie)

Su LetteratitudineNews:

- Videontervista a SVETLANA ALEKSIEVIC, Premio Nobel per la Letteratura 2015

- Un estratto di “Ragazzi di zinco” (edizioni E/O)

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PATRICK MODIANO: PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2014
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È PATRICK MODIANO, IL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2014: “Per l’arte della memoria attraverso la quale ha evocato destini umani più inafferabili e svelato il mondo dell’occupazione nazista in Francia”.

(Clicca sulle copertine per leggere le schede dei libri)

L'orizzonte Riduzione di penaPatrick Modiano è uno scrittore e sceneggiatore francese. Nasce a Boulogne-Billancourt, una città poco distante da Parigi, il 30 luglio del 1945, figlio di Albert Modiano, un ebreo francese di origini italiane, e di Louisa Colpijn, un’attrice belga di etnia fiamminga. Studia in Alta-Savoia poi a Liceo Henri-IV a Parigi dove ha come insegnante di geometria Raymond Queneau, amico della madre e che diventerà amico suo. Termina gli studi ad Annecy e decide di non proseguirli. Introdotto da Queneau nel mondo letterario, conosce l’editore Gallimard e, nel 1967 scrive il suo primo romanzo La Place de l’Etoile (pubblicato, appunto, da Gallimard). Il romanzo gli vale il Premio Roger Nimier.

Fiori di rovinaÈ documentarista per Carlo Ponti e paroliere per Françoise Hardy. Nei suoi romanzi, per lo più ambientati nella Parigi occupata dai nazisti e costruiti intorno alla figura dello straniero, dell’esule, dell’ebreo, si intrecciano una vena disperata di ascendenza esistenzialista e il gusto della rievocazione. L’autore rievoca molto spesso, nei personaggi dei suoi romanzi, l’ambigua figura del padre, un ebreo sicuramente vittima del Nazismo, che, arrestato nel 1943, si dimostrò pronto a tutto per sopravvivere (infatti sfuggì alla deportazione grazie a potenti amicizie collaborazioniste); una figura dalla duplice e ambigua identità, invischiato molto spesso in rapporti di complicità con i carnefici.

Nel 1978 il romanzo Rue des boutiques obscures (dove lui ha anche abitato), gli vale il Premio Goncourt. Negli anni successivi approfondirà i temi a lui cari e affinerà la propria poetica grazie a una serie di romanzi dedicati a figure femminili che sono vissute durante gli anni bui della guerra, e alle cui vite dimenticate egli cerca di offrire il risarcimento della memoria.
A questo filone appartengono Dora Bruder e Des inconnues, rispettivamente del 1996 e del 1999.

Dora Bruder

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È ALICE MUNRO IL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2013

È ALICE MUNRO IL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2013: “master of the contemporary short story (maestra del racconto contemporaneo).

Il suo nome “circolava” già da diverse edizioni a questa parte

Alice Munro (Wingham, 10 luglio 1931) è una scrittrice canadese. Vincitrice per tre volte del Governor General’s Award, il più importante premio letterario canadese si aggiudica – a coronamento della sua brillante carriera – il Premio Nobel per la Letteratura 2013. In Italia è pubblicata dalla casa editrice Einaudi.
I suoi racconti indagano le relazioni umane analizzate attraverso la lente della vita quotidiana. Sebbene la maggior parte delle sue storie sia ambientata nel Southwestern Ontario, la sua fama come scrittrice di racconti è internazionale, è considerata uno dei maggiori scrittori di racconti vivente.

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La biografia
Alice Munro è nata nella città di Wingham, Ontario in una famiglia di allevatori e agricoltori. Suo padre si chiamava Robert Eric Laidlaw e sua madre, una insegnante di scuola, Anne Clarke Laidlaw (nata Chamney). Cominciò a scrivere da adolescente e pubblicò la sua prima novella, The Dimensions of a Shadow, mentre era studentessa all’University of Western Ontario nel 1950. Durante questo periodo lavorò come cameriera, raccoglitrice di tabacco e impiegata di biblioteca. Nel 1951, abbandonò l’università presso la quale aveva frequentato la facoltà di Inglese dal 1949, per sposare James Munro e trasferirsi a Vancouver, British Columbia. Le sue figlie Sheila, Catherine, and Jenny nacquero rispettivamente nel 1953, 1955 e 1957; Catherine morì quindici ore dopo essere venuta alla luce. Nel 1963 i Munro si trasferirono a Victoria dove aprirono “Munro’s Books”. Nel 1966 nacque un’altra figlia Andrea.
La prima raccolta di racconti di Alice Munro, “La danza delle ombre felici” (Dance of the Happy Shades) (1968) ebbe un gran favore di critica e vinse in quello stesso anno il Governor General’s Award. A questo successo seguì “Lives of Girls and Women” (1971), una raccolta di storie interconnesse tra loro che fu pubblicato come romanzo.
Alice e James Munro divorziarono 1972. Lei ritornò nell’Ontario e diventò “Writer-in-Residence” all’università del Western Ontario. Nel 1976 si sposò con Gerald Fremlin, un geografo. La coppia si trasferì in una fattoria nei pressi di Clinton, Ontario. Successivamente si spostarono dalla fattoria in un casa nella città di Clinton, Ontario.
Nel 1978, con la raccolta di novelle “Chi ti credi di essere?” (Who Do You Think You Are?, negli Stati Uniti The Beggar Maid: Stories of Flo and Rose), Alice Munro vinse il Governor General’s Literary Award per la seconda volta. Dal 1979 al 1982 girò Australia, Cina e Scandinavia. Nel 1980 ottenne il posto di Writer-in-Residence sia alla University of British Columbia sia alla University of Queensland. Lungo gli anni ottanta e novanta Munro ha pubblicato una raccolta di brevi racconti una volta ogni quattro anni ottenendo numerosi premi nazionali e internazionali.
Nel 2002, sua figlia Sheila Munro ha pubblicato un libro di memorie d’infanzia, Lives of Mothers and Daughters: Growing Up With Alice Munro.
I racconti di Alice Munro sono pubblicati abbastanza frequentemente in riviste come The New Yorker, The Atlantic Monthly, Grand Street, Mademoiselle, e The Paris Review.
In una intervista per promuovere la sua raccolta del 2006 La vista da Castle Rock (The View from Castle Rock) Munro ha ipotizzato che non avrebbe più pubblicato ulteriori raccolte.
Il suo racconto “The Bear Came Over the Mountain” presente nel libro “Nemico, amico, amante…” è stato adattato per il grande schermo in un film diretto da Sarah Polley con il titolo di “Away from Her – Lontano da lei” e interpretato da Julie Christie e Gordon Pinsent. Il film è stato presentato nel 2006 al Toronto International Film Festival.
Nel 2005 è stata insignita del titolo di duchessa dell’Ontario dal sovrano del Regno di Redonda.

(Fonte: Wikipedia)

Clicca qui, per avere notizie sui libri di Alice Munro.

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MO YAN, PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2012

Lo scrittore cinese Mo Yan (pubblicato in Italia da Einaudi), riceve il Premio Nobel per la Letteratura 2012. Questa, in sintesi, la motivazione dell’Accademia svedese: “con realismo allucinatorio fonde fiabe popolari, storia e contemporaneità“.

Mo Yan, originario di Gaomi nella provincia dello Shandong, nasce il 17 febbraio 1955 da una famiglia numerosa di contadini poveri e, dopo aver terminato i cinque anni delle scuole elementari, smette di studiare. In principio porta al pascolo mucche e pecore e i suoi rapporti con questi animali sono più frequenti di quelli con le persone; prova cosí il gusto della solitudine, ma acquista una profonda conoscenza della natura. Crescendo, unendosi agli adulti partecipa alle attività lavorative della comunità. A diciotto anni va a lavorare in una manifattura di cotone, e facendo capriole tra le balle si riempie di fili. Nel febbraio del 1976 abbandona il povero e isolato paese natale per arruolarsi nell’esercito. Fa il soldato semplice, il caposquadra, l’istruttore, il segretario e lo scrittore. Nel 1997, congedatosi dall’esercito, inizia a lavorare per un giornale. Nel frattempo si è laureato presso la Facoltà di Letteratura dell’Istituto Artistico dell’Esercito di Liberazione Popolare (1984-1986) e ha ottenuto un Master in Studi letterari e artistici presso l’Università Normale di Pechino (1989-1991). Inizia a pubblicare nel 1981.
Fra le sue numerose opere narrative, Einaudi ha finora pubblicato Sorgo rosso, L’uomo che allevava i gatti (entrambi del 1997), Grande seno, fianchi larghi (2002), Il supplizio del legno di sandalo (2005) e Le sei reincarnazioni di Ximen Nao. Nel 2005 gli è stato assegnato il Premio Nonino. Delle sue undici novelle si ricordano Felicità, Fiocchi di cotone, Esplosioni, Il ravanello trasparente. Tra i racconti, Il cane e l’altalena e Il fiume inaridito, che Einaudi ha pubblicato nella raccolta di racconti L’uomo che allevava i gatti (2008).
Ha anche scritto opere teatrali e sceneggiature cinematografiche come Sorgo rosso, Il sole ha orecchie, Addio mia concubina.
Il film Sorgo rosso è stato premiato con l’Orso d’Oro al Festival del Cinema di Berlino. Il film Il sole ha orecchie è stato premiato con l’Orso d’Argento al Festival del Cinema di Berlino.
Nel 2005 gli è stato assegnato il Premio Nonino per la sua intera opera.
Nel 2012 gli è stato tributato il Premio Nobel per la Letteratura.

@ dal sito Einaudi


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TOMAS TRANSTRÖMER, PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2011

L’edizione 2011 del Premio Nobel per la letteratura è stato assegnato al poeta, psicologo, pianista e traduttore svedese Tomas Tranströmer. Nella motivazione dell’Accademia svedese leggiamo che “attraverso le sue immagini dense e limpide, ci ha offerto un nuovo accesso alla realtà”. E poi: “La gran parte della poesia di Tranströmer è caratterizzata da economia di linguaggio, concretezza e metafore struggenti. Nelle sue ultime raccolte si è spostato verso uno stile ancora più essenziale e un più elevato grado di concentrazione”.
Segue la nota biografica di Tranströmer tratta dalla libera enciclopedia Wikipedia Italia (a cui vanno i migliori in bocca al lupo per il suo futuro!).
Massimo Maugeri
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(da Wikipedia Italia)

Tomas Tranströmer (Stoccolma, 15 aprile 1931) è uno scrittore, poeta e traduttore svedese, molto conosciuto e apprezzato in Patria, vincitore del Nordic Council’s Literature Prize, dello Struga Poetry Evenings (del quale sono stati insigniti poeti del calibro del cileno Pablo Neruda e degli italiani Edoardo Sanguineti e Eugenio Montale) e del Neustadt International Prize for Literature nel 1990. Nel 2011 è stato insignito del Premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: “attraverso le sue immagini dense e nitide, ha dato nuovo accesso alla realtà”.
Nato a Stoccolma, frequenta la Scuola Latina di Södra e si laurea in Psicologia presso l’Università di Stoccolma, la più prestigiosa del Paese, nel 1956. Nel 1954 aveva pubblicato una raccolta poetica intitolata “17 dikter” (17 poesie), nella quale racchiudeva anche alcune opere realizzate all’età di soli tredici anni. Nel 1990 è stato colpito da un ictus, che tuttavia non gli ha impedito di continuare a scrivere: nel 1993, infatti, ha pubblicato “Minnena ser mig” (I ricordi mi stanno guardando), la sua prima autobiografia, e nel 2004 “Den stora gåtan”, la sua più celebre – a livello europeo – raccolta di versi, è pubblicata nel Regno Unito con il titolo “The Great Enigma” (Il Grande Enigma).
È stato più volte accusato da altri poeti, specialmente negli anni settanta, di essere troppo legato alla tradizione letteraria svedese e di tralasciare i grandi mutamenti contemporanei, non parlandone in poesie e romanzi. La sua opera, in effetti, è posta a metà tra il Modernismo, l’Espressionismo e il Surrealismo, tre correnti artistiche e letterarie esauritesi già da un paio di decenni. La sua poetica, comunque, è concentrata nella ricerca dell’uomo nella vita di tutti i giorni, nel bizzarro (espresso nei suoi versi mistici) e negli universali aspetti della mente e del suo immenso potere, al di sopra del bene e del male. Come scrittore, invece, non ha mai avuto un grandioso successo.

Tranströmer è molto amico del poeta statunitense Robert Bly, con il quale si è impegnato per anni in una fitta corrispondenza fuori dal tempo. Questa corrispondenza è stata raccolta nel libro Air Mail, opera che tratta le tematiche più varie non sempre “in modo tradizionale”, come gli è stato invece criticato.

Ha vinto diversi premi letterari, tra i quali ricordiamo in particolare il macedone Struga Poetry Evenings, forse il più prestigioso, che è stato vinto dagli autori più importanti della Letteratura di questi ultimi anni.

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MARIO VARGAS LLOSA, PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2010

Il Premio Nobel per la Letteratura 2010, va allo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa, nato a Arequipa, il 28 marzo 1936.
Questa la motivazione: “for his cartography of structures of power and his trenchant images of the individual’s resistance, revolt, and defeat” (“per la sua cartografia delle strutture del potere e la sua tagliente immagine della rivolta, della resistenza e della sconfitta dell’individuo”).
Famoso per i suoi numerosi libri, inizia con “La ciudad y los perros” (1963, La città e i cani), ambientato in un collegio militare della capitale Lima, “La casa verde” (1966) e “Conversación en la Catedral” (1969, Conversazione nella “catedral”), in tutte le opere si caratterizza per la sua capacità descrittiva.
Successivamente scrive “Pantaleón y las visitadoras” (1973, Pantaleón e le visitatrici) e “La tia Julia y el escribedor” (1977, La zia Julia e lo scribacchino).

Avvia anche una carriera politica, candidandosi senza successo alla presidenza del Perù, come principale antagonista di Alberto Fujimori.

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giovedì, 08 ottobre 2009

IL NOBEL PER LA LETTERATURA ALLA SCRITTRICE TEDESCA HERTA MÜLLER

Herta Müller, scrittrice tedesca di origine romena, è il Premio Nobel per la Letteratura 2009. La motivazione: “who, with the concentration of poetry and the frankness of prose, depicts the landscape of the dispossessed”

Herta Müller, nata nel 1953 in un villaggio tedesco del Banato romeno, emigrata in Germania nel 1987 e oggi inserita a pieno titolo nel canone contemporaneo della letteratura tedesca, ha saputo restituire in un’opera poetica e saggistica molteplice, ma pressoché costante nella qualità degli esiti, la memoria della quotidianità e della persecuzione della minoranza di lingua tedesca in Romania nei decenni della dittatura di Ceauşescu. In Italia, tuttavia, il suo destino editoriale è stato alquanto ingrato: dopo le storie brevi di Bassure (Editori Riuniti 1987) e il romanzo breve In viaggio su una gamba sola (Marsilio 1992), l’attenzione dell’editoria nostrana per l’autrice parve declinare, benché nel 1994 fosse uscito Herztier, alla lettera “bestia del cuore”, il romanzo che più riccamente di ogni altro «riesce a trovare e far scaturire la poesia persino dal degrado materiale e spirituale di un’intera nazione». Sono parole, queste ultime, tratte dal risvolto di copertina dell’edizione italiana, per la quale si è dovuto attendere poco meno di un quindicennio, ma che finalmente offre ai lettori italofoni un’opera bella e importante, che tra l’altro è valsa all’autrice il prestigioso premio Kleist. L’onore al merito va all’editore Keller di Rovereto, il quale, forse per favorirne una più ampia appetibilità, l’ha pubblicata, sulle orme dell’edizione inglese, con il titolo Il paese delle prugne verdi (trad. di Alessandra Henke, pp. 254, € 14,00). Di questa storia, una volta presa confidenza con una lingua intensamente poetica, capace di squarci visionari e sconfinante a tratti in un perturbante surrealismo, colpisce innanzitutto l’aderenza empatica alla realtà descritta, che è la quotidianità oppressa di quattro giovani intellettuali dissidenti, la narratrice e tre amici, dagli anni di studio universitario all’inserimento professionale in una società dannata, pregna di paura e solitudine, estraneità e diffidenza, dove l’uomo istruito è disprezzato e nei mattatoi si beve davvero il sangue caldo delle bestie macellande. Quella a cui il regime, «fautore di cimiteri» e responsabile spietato della miseria collettiva, condanna i quattro è poco meno di una morte in vita, dove le perquisizioni e gli interrogatori sono solo le prime tappe di una persecuzione che, se non porta alla follia, chiama il suicidio o, nel migliore dei casi, incoraggia l’espatrio. La resistenza, in un simile contesto, è opzione assai ardua, e a volte fallisce. A compiere la bellezza esaustiva di questo poema in prosa altamente politico, teso in ogni momento a denunciare la mutilazione sistematica operata dal regime sulle esistenze individuali, sono poi l’alternarsi della vicenda principale con i flashback sull’infanzia della narratrice, che svelano l’abbrutimento doloso della vita privata e familiare fin nei suoi risvolti più intimi, e la presenza di due personaggi femminili, Lola e Teresa, che nella loro vitalità eslege e nel loro tragico destino incarnano al massimo grado la triste fatalità di trovarsi a «camminare, mangiare, dormire e amare qualcuno nella paura».

Fonte: qui
(Questa recensione è apparsa su «Alias» del 2 agosto 2008 con il titolo Herta Müller e il macello di Ceausescu)

Di seguito, una video intervista rilasciata dalla Müller.

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NOBEL PER LA LETTERATURA 2008: vince Jean-Marie Gustave Le Clézio
(post del 9 ottobre 2008)

Jean-Marie Gustave Le Clézio era tra i super favoriti. Me l’aveva confermato un paio di giorni fa per telefono Daniela Marcheschi che, tra le altre cose, è una vera esperta in materia di Premio Nobel per la Letteratura e Accademia di Svezia (ne approfitto per segnalare il suo Alloro di Svezia e questa raccolta di poesie di Birgitta Trotzig, da lei curata, appena edita da Oscar Mondadori: Nel fiume di luce).
Vi invito, inoltre, ad ascoltare l’intervista che la stessa Marcheschi ha rilasciato oggi nel corso della trasmissione Fahrenheit (dovreste trovarla on line domattina: qui… insieme all’intervista a Daria Galateria).

Le Clézio è stato premiato con la seguente motivazione: “Autore di nuove sperimentazioni, avventure poetiche e di sensuale estasi; esploratore di un’umanità dentro e fuori la civiltà imperante”.

Segue il video relativo alla premiazione.

Trovate approfondimenti sui siti di Repubblica, Corriere della Sera, La Stampa e – per chi conosce le lingue straniere – Le Figaro, El Pays, The Times, The New York Times.

In Italia, al momento, sono disponibili sei libri di Le Clézio tradotti in italiano e pubblicati da: Instar libri, :duepunti, Net, Il Saggiatore e Rizzoli.
Il libro di più recente pubblicazione è “Il continente invisibile” (2008, Instar libri)

Qui trovate un inedito di Le Clézio pubblicato nel 2004 su Il Corriere della Sera: si intitola “Nascere in una guerra”.

Segue la nota biografica presente su Wikipedia Italia e il post relativo alle nostre discussioni pre-Premio.

« autore di nuove partenze, avventura poetica e estasi sensuale, esploratore di un’umanità al di là e al di sotto della civiltà regnante » – (Motivazione del Premio Nobel per la letteratura 2008)

Jean-Marie Gustave Le Clézio (Nizza, 13 aprile 1940) è uno scrittore francese.
La famiglia di Le Clézio è originaria della Bretagna emigrata verso le isole Maurizie nel Settecento (suo padre era chirurgo nell’esercito francese in Africa).
Egli inizia a scrivere dall’età di 7/8 anni e, malgrado i molti viaggi trascorsi, non ha mai smesso di farlo.
Effettua gli studi nel collegio universitario letterario di Nizza e dopo essersi laureato in lettere, diventa insegnante negli Stati Uniti d’America.
A soli 23 anni, pubblica con Gallimard la sua prima opera: Le procès verbal (il Verbale) e diventa noto ricevendo il Premio Renaudot e mancando per poco il Premio Goncourt.
Da allora pubblica più di 30 libri: fiabe, romanzi, saggi, novelle, due traduzioni dalla mitologia indiana e anche innumerevoli prefazioni e articoli e alcuni contributi ad opere collettive.
Nella sua opera si possono distinguere abbastanza nettamente due periodi.
Il primo periodo va dal 1963 al 1975, i romanzi e i saggi di Le Clézio esplorano i temi della follia, del linguaggio, della scrittura, con la volontà di esplorare certe possibilità formali e tipografiche, come fecero altri scrittori della sua epoca: Georges Perec e Michel Butor. Le Clézio si conquistò allora l’immagine di scrittore innovatore e ribelle che gli procurò l’ammirazione di Michel Foucault e Gilles Deleuze.
Alla fine degli anni ‘70 (secondo periodo) Le Clézio compie un cambiamento nel suo stile e pubblica libri più lenti. La sua scrittura è più serena e i temi dell’infazia, della minoranza, del viaggio, passano al primo piano. Questo modo letterario seduce il suo grande pubblico. Nel 1980, è il primo a ricevere il Premio Paul Morand conferito dall’Académie française, per la sua opera “Désert”.
Nel 1994 è eletto “più grande scrittore vivente in lingua francese”.
Nel 2008 vince il premio Nobel per la letteratura.

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TOTO NOBEL PER LA LETTERATURA 2008 – lunedì, 6 ottobre 2008

Chi vincerà, quest’anno, il Nobel per la Letteratura?
Lo sapremo giovedì prossimo.
Intanto, se vi fa piacere, e tanto per giocare un po’, potete provare a indovinare.
Avete dei nomi in particolare? Chi meriterebbe di vincere? E perché?
Quale sarà il continente che, attraverso l’autore, sarà premiato?

Su Il Mattino di oggi leggiamo quanto segue:
“La corsa al Nobel letterario sembra particolarmente aperta. Se un candidato statunitense viene considerato scarsamente favorito (tra tutti spicca Philip Roth), maggiori possibilità vengono date agli europei. I bookmaker britannici puntano su un italiano, il saggista Claudio Magris, del quale da poco è stato tradotto in svedese «Alla cieca». Magris, illustre germanista, sarebbe gradito ai giurati del Nobel per le sue riflessioni storiche e filosofiche sul Danubio. Fra gli europei, si fanno anche i nomi dell’olandese Cees Noteboom, dei francesi Yves Bonnefoy e Jean-Marie Le Clezio, dello svedese Tomas Transtromer. Candidati anche l’israeliano Amos Oz, il poeta australiano Les Murray, il nigeriano Chinua Achebe, il poeta siriano Adonis“.
Queste… le indicazioni.

Voi che ne pensate?
Dite la vostra, su!

Massimo Maugeri

P.s. L’anno scorso, come ricorderete, vinse Doris Lessing.

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AGGIORNAMENTO DEL 17 ottobre 2008

In esclusiva per Letteratitudine la Instar libri – che ringrazio – mi ha concesso la possibilità di pubblicare gli incipit dei libri di Le Clézio presenti sul loro catalogo.
Li potete leggere di seguito. Mentre è possibile leggere le prime pagine del romanzo “Il verbale” direttamente dal sito della :duepunti edizioni.
Massimo Maugeri

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da “Il Continente invisibile – (Instar libri, 2008, euro 11, p. 126)

Raga*

Dicono che l’Africa sia il continente dimenticato.
L’Oceania è il continente invisibile.
Invisibile, perché i primi viaggiatori che vi si sono avventurati non ne hanno colto la natura, e perché rimane ancora oggi un luogo senza riconoscimento internazionale, un passaggio, quasi un’assenza.
Quando Balboa scopre il Pacifico, dopo una faticosa traversata dell’Istmo di Panama, cade in ginocchio sulla spiaggia del Darién e prende possesso di quel mare in nome del re di Spagna, senza immaginarne l’estensione. Forse sta già pensando alla via per l’Occidente, che consentirà di raggiungere l’Oriente e il Giappone seguendo il sole.
Nel XVI secolo, convinti della rotondità del nostro pianeta (che molti marinai davano per certa ancor prima che venisse ufficialmente dimostrata), i geografi crearono due miti, entrambi falsi, ed entrambi ispiratori di grandi viaggi d’esplorazione. Il primo era il mito di Anian, il famoso passaggio a Nordovest che doveva permettere alle navi di raggiungere l’Oriente senza arrischiarsi nel difficoltoso viaggio attraverso l’Arabia e l’India.
Il secondo era il mito del continente australe, una massa di terraferma che, secondo i geografi, doveva assicurare l’equilibrio del globo facendo da contrappeso al continente asiatico.
Quirós, Mendaña, quindi Magellano, Bougainville e Cook partirono alla ricerca di questo continente del Sud. Quirós pensò di averlo trovato quando per la prima volta toccò le coste della Nuova Guinea. Per lui, la scoperta di quella terra era tanto un imperativo morale quanto una necessità politica. «Questa parte del mondo costituisce un quarto del globo terrestre, e data la sua estensione potrebbe ospitare il doppio dei regni e delle province di tutte le terre di cui Vostra Maestà è attualmente il Signore; e ciò senza l’inconveniente del vicinato dei Mori e dei Turchi
[…]. Vi si troveranno gli antipodi dell’Africa, dell’Europa e dell’Asia Maggiore. Vi informo che i territori che ho scoperto intorno ai quindici gradi di latitudine sono, come sarà detto più avanti, più ragguardevoli della Spagna e di tutti i regni ai quali si vorrà paragonarli, e nel loro insieme possono essere definiti un vero e proprio paradiso terrestre.»
Successivamente, Bougainville e Cook corressero il suo errore: il navigatore portoghese aveva scoperto soltanto isole, nient’altro che isole. Cook morì alle Hawaii, l’Astrolabe e la Boussole naufragarono in acque che Dumont d’Urville crederà di ritrovare quarant’anni più tardi. Fatto scalo a Espiritu Santo (la prima terra incontrata dopo aver lasciato le coste del Perù nel 1606), Torres tracciò delle carte così imprecise che nessun viaggiatore riuscirà a ritrovare l’isola prima di Bougainville, il quale darà all’arcipelago il dolce nome di Grandi Cicladi, e di Cook, che lo battezzerà con il triste appellativo di Nuove Ebridi, in ricordo del proprio Paese natale. Torres si spinse poi fino in Nuova Guinea (già segnalata da Saavedra nel 1528), passando al largo di una lingua di terra che non riuscì a identificare e che in seguito diventerà la Nuova Caledonia. Il mito del continente sopravviverà sino alla fine del XVIII secolo. Il grande geografo e cartografo Alexander Dalrymple ci crede ancora nel 1770, poco prima che gli esploratori inglesi e francesi vi approdino davvero.
Si potrebbe quasi parlare di scoperte casuali.

* Nome dell’Isola di Pentecoste in lingua apma (in lingua sa: Aorea) – [N.d.A.].

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da “L’africano – (Instar libri, 2007, euro 10, p. 102)

Ogni essere umano è il risultato di un padre e di una madre. Si può non riconoscerli, non amarli, dubitare di loro. Eppure sono lì, con il loro volto, i loro atteggiamenti, i loro modi e le loro manie, le illusioni, le speranze, la forma delle mani e delle dita dei piedi,
il colore degli occhi e dei capelli, il modo di parlare, i pensieri, probabilmente l’ora della morte; ci hanno trasmesso ogni cosa.
Per lungo tempo ho sognato che mia madre fosse nera. Dopo il ritorno dall’Africa mi ero inventato una storia, un passato, per fuggire la realtà in un Paese dove non conoscevo più nessuno, in una città dov’ero diventato uno straniero. In seguito, quando mio padre è andato in pensione ed è venuto a vivere con noi in Francia, ho scoperto che era lui l’africano.
È stato difficile ammetterlo. Ho dovuto tornare indietro, ricominciare da capo, cercare di capire.
In ricordo di ciò ho scritto questo breve libro.

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Elenco dei vincitori

Anno Ritratto Premiati Nazionalità Lingua Motivazione
1901 Sully Prudhomme Francia Francese “in riconoscimento della sua composizione poetica, che dà prova di un alto idealismo, perfezione artistica ed una rara combinazione di qualità tra cuore ed intelletto”
1902 Theodor Mommsen Germania Tedesco “al più grande maestro vivente della scrittura storica, con speciale riferimento al suo maggior lavoro, Storia di Roma
1903 Bjørnstjerne Bjørnson Svezia-Norvegia Norvegese “un tributo alla sua nobile, magnifica e versatile poeticità, con la quale si è sempre distinto per la chiarezza della sua ispirazione e la rara purezza del suo spirito”
1904 Frédéric Mistral Francia Occitano “in riconoscimento della chiara originalità e della vera ispirazione della sua produzione poetica, che splendidamente riflette gli scenari naturali e lo spirito nativo del suo popolo, e, in aggiunta, al suo importante lavoro come filologo provenzale”
José Echegaray y Eizaguirre Spagna Spagnolo “in riconoscimento delle numerose e brillanti composizioni che, in maniera individuale ed originale, hanno fatto rivivere la grande tradizione del dramma spagnolo”
1905 Henryk Sienkiewicz Polonia Polacco “per i suoi notevoli meriti come scrittore epico”
1906 Giosuè Carducci Italia Italiano “non solo in riconoscimento dei suoi profondi insegnamenti e ricerche critiche, ma su tutto un tributo all’energia creativa, alla purezza dello stile ed alla forza lirica che caratterizza il suo capolavoro di poetica”
1907 Rudyard Kipling Regno Unito (Nato in India britannica) Inglese “in considerazione del potere dell’osservazione, dell’originalità dell’immaginazione, la forza delle idee ed il notevole talento per la narrazione che caratterizzano le creazioni di questo autore famoso nel mondo”
1908 Rudolf Christoph Eucken Germania Tedesco “in riconoscimento della sua seria ricerca della verità, il suo potere di penetrare il pensiero, la sua enorme capacità di visione, il calore e la forza delle sue opere con le quali ha trasmesso una filosofia idealistica della vita”
1909 Selma Lagerlöf Svezia Svedese “per l’elevato idealismo, la vivida immaginazione e la percezione spirituale che caratterizzano le sue opere”
1910 Paul Johann Ludwig Heyse Germania Tedesco “un tributo alla consumata capacità artistica, permeata dall’idealismo, che egli ha dimostrato durante la sua lunga carriera produttiva come poeta lirico, drammaturgo, novellista e scrittore di storie brevi famose nel mondo”
1911 Maurice Polidore Marie Bernhard Maeterlinck Belgio Francese “per le sue molte attività letterarie, specialmente per la sua opera drammatica, che si distinguono per la ricchezza d’immaginazione e la poetica fantastica, che rivela, a volte sotto forma di favola, una profonda ispirazione, mentre in un modo misterioso si rivolge ai sentimenti propri del lettore e ne stimola l’immaginazione”
1912 Gerhart Hauptmann Germania Tedesco “in riconoscimento della sua fertile, varia ed eccelsa produzione nella sfera dell’arte drammatica”
1913 Rabindranath Tagore India britannica Bengalese “per la profonda sensibilità, per la freschezza e bellezza dei versi che, con consumata capacità, riesce a rendere nella sua poeticità, espressa attraverso il suo linguaggio inglese, parte della letteratura dell’ovest”
1914 non assegnato
1915 Romain Rolland Francia Francese “un tributo all’elevato idealismo della sua produzione letteraria, alla comprensione ed all’amore per la verità con le quali ha descritto i diversi tipi di esistenza umana”
1916 Carl Gustaf Verner von Heidenstam Svezia Svedese “in riconoscimento della sua importanza come esponente rappresentativo di un nuovo tempo nella nostra letteratura”
1917 Karl Adolph Gjellerup Danimarca Danese “per la sua varia e ricca poeticità, ispirata da elevati ideali”
Henrik Pontoppidan Danimarca Danese “per le sue reali descrizioni della vita moderna in Danimarca”
1918 non assegnato
1919 Carl Spitteler Svizzera Tedesco “in riconoscimento al suo poema epico, Olympischer Frühling
1920 Knut Hamsun Norvegia Norvegese “per il suo monumentale lavoro. Il risveglio della Terra
1921 Anatole France Francia Francese “in riconoscimento della sua brillante realizzazione letteraria, caratterizzata da nobiltà di stile, profonda comprensione umana, grazia, e vero temperamento gallico”
1922 Jacinto Benavente Spagna Spagnolo “per il felice metodo col quale ha proseguito la tradizione illustre del dramma spagnolo”
1923 William Butler Yeats Irlanda Inglese “per la sua poetica sempre ispirata, che con alta forma artistica ha dato espressione allo spirito di un’intera nazione”
1924 Władysław Stanisław Reymont Polonia Polacco “per il suo grande romanzo epico, I contadini
1925 George Bernard Shaw Regno Unito (Nato in Irlanda) Inglese “per il suo lavoro intriso di idealismo ed umanità, la cui satira stimolante è spesso infusa di una poetica di singolare bellezza”
1926 Grazia Deledda Italia Italiano “per la sua ispirazione idealistica, scritta con raffigurazioni di plastica chiarezza della vita della sua isola nativa, con profonda comprensione degli umani problemi”
1927 Henri Bergson Francia Francese “in riconoscimento delle sue ricche e animate idee e della brillante capacità con la quale ha saputo esprimerle”
1928 Sigrid Undset Norvegia (Nata in Danimarca) Norvegese “principalmente per la sua imponente descrizione della vita nordica durante il medioevo”
1929 Thomas Mann Germania Tedesco “principalmente per i suoi grandi romanzi I Buddenbrook e La montagna incantata
1930 Sinclair Lewis Stati Uniti Inglese “per la sua arte descrittiva vigorosa e grafica e per la sua abilità nel creare, con arguzia e spirito, nuove tipologie di personaggi”
1931 Erik Axel Karlfeldt Svezia Svedese “la poesia di Erik Axel Karlfeldt”
1932 John Galsworthy Regno Unito Inglese “per la sua originale arte narrativa, che trova la sua forma più alta ne La saga dei Forsyte
1933 Ivan Alekseevič Bunin Francia (Nato in Russia) Russo “per la precisione artistica con la quale ha trasposto le tradizioni classiche russe in prosa”
1934 Luigi Pirandello Italia Italiano “per il suo ardito e ingegnoso rinnovamento dell’arte drammatica e teatrale”
1935 non assegnato
1936 Eugene O’Neill Stati Uniti Inglese “per la forza, l’onestà e le emozioni profondamente sentite dei suoi lavori drammatici, che incarnano un concetto originale di tragedia”
1937 Roger Martin du Gard Francia Francese “per la forza artistica e la verità con la quale ha dipinto il conflitto umano così come gli aspetti fondamentali della vita contemporanea nel suo ciclo di romanzi Les Thibault
1938 Pearl S. Buck Stati Uniti Inglese “per le sue ricche e veramente epiche descrizioni della vita contadina in Cina e per i suoi capolavori biografici”
1939 Frans Eemil Sillanpää Finlandia Finlandese “per la sua profonda comprensione dei contadini del proprio paese e la squisita arte con la quale ha ritratto il loro modo di vivere e la relazione con la natura”
1940 non assegnato
1941 non assegnato
1942 non assegnato
1943 non assegnato
1944 Johannes Vilhelm Jensen Danimarca Danese “per la sua fervida immaginazione poetica con la quale ha combinato una intellettuale curiosità e uno stile fresco e creativo”
1945 Gabriela Mistral Cile Spagnolo “per la sua lirica, ispirata da forti emozioni, che ha fatto del suo nome un simbolo delle aspirazioni idealistiche dell’intero mondo latino americano”
1946 Hermann Hesse Svizzera (Nato in Germania) Tedesco “per la sua forte ispirazione letteraria coraggiosa e penetrante esempio classico di ideali filantropici ed alta qualità di stile”
1947 André Gide Francia Francese “per la sua opera artisticamente significativa, nella quale i problemi e le condizioni umane sono stati presentati con un coraggioso amore per la verità e con una appassionata penetrazione psicologica”
1948 Thomas Stearns Eliot Regno Unito (Nato negli Stati Uniti) Inglese “per il suo notevole e pionieristico contributo alla poesia contemporanea”
1949 William Faulkner Stati Uniti Inglese “per il suo contributo forte e artisticamente unico al romanzo americano contemporaneo”
1950 Bertrand Russell Regno Unito Inglese “in riconoscimento ai suoi vari e significativi scritti nei quali egli si erge a campione degli ideali umanitari e della libertà di pensiero”
1951 Pär Fabian Lagerkvist Svezia Svedese “per il suo vigore artistico e per l’indipendenza del suo pensiero con cui cercò, nelle sue opere, di trovare risposte alle eterne domande che l’umanità affronta”
1952 François Mauriac Francia Francese “per il profondo spirito e l’intensità artistica con la quale è penetrato, nei suoi romanzi, nel dramma della vita umana”
1953 Winston Churchill Regno Unito Inglese “per la sua padronanza delle descrizioni storiche e biografiche, nonché per la brillante oratoria in difesa ed esaltazione dei valori umani”
1954 Ernest Hemingway Stati Uniti Inglese “per la sua maestria nell’arte narrativa, recentemente dimostrata con Il vecchio e il mare e per l’influenza che ha esercitato sullo stile contemporaneo”
1955 Halldór Laxness Islanda Islandese “per la vivida potenza epica con la quale ha rinnovato la grande arte narrativa dell’Islanda
1956 Juan Ramón Jiménez Porto Rico (Nato in Spagna) Spagnolo “per la sua poesia piena di slancio, che costituisce un esempio di spirito elevato e di purezza artistica nella lingua spagnola”
1957 Albert Camus Francia (Nato nell’Algeria francese) Francese “per la sua importante produzione letteraria, che con perspicace zelo getta luce sui problemi della coscienza umana nel nostro tempo”
1958 Boris Pasternak (rifiutato su pressione del regime sovietico) Unione Sovietica Russo “per i suoi importanti risultati sia nel campo della poesia contemporanea che in quello della grande tradizione epica russa”
1959 Salvatore Quasimodo Italia Italiano “per la sua poetica lirica, che con ardente classicità esprime le tragiche esperienze della vita dei nostri tempi”
1960 Saint-John Perse Francia (Nato in Guadalupa) Francese “per il volo sublime ed il linguaggio evocativo della sua poesia che in modo visionario riflette gli stati del nostro tempo”
1961 Ivo Andrić Jugoslavia (Nato in Austria-Ungheria) Serbo “per la forza epica con la quale ha tracciato temi e descritto destini umani tratti dalla storia del proprio Paese”
1962 John Steinbeck Stati Uniti Inglese “per le sue scritture realistiche ed immaginative, unendo l’umore sensibile e la percezione sociale acuta”
1963 Giorgos Seferis Grecia (Nato nell’ Impero ottomano) Greco “per i suoi scritti eminentemente lirici, ispirati da un profondo legame con il mondo della cultura ellenica”
1964 Jean-Paul Sartre (rifiutato) Francia Francese “per la sua opera che, ricca di idee e pregna di spirito di libertà e ricerca della verità, ha esercitato un’influenza di vasta portata nel nostro tempo”
1965 Michail Aleksandrovič Šolochov Unione Sovietica Russo “per la potenza artistica e l’integrità con le quali, nella sua epica del Don, ha dato espressione a una fase storica nella vita del popolo russo”
1966 Shmuel Yosef Agnon Israele (Nato in Austria-Ungheria) Ebraico “per la sua arte narrativa profondamente caratteristica con i temi della vita della gente ebrea”
Nelly Sachs Svezia (Nata in Germania) Tedesco “per la sua scrittura lirica e drammatica eccezionale, che interpreta il destino d’Israele con resistenza commovente”
1967 Miguel Ángel Asturias Guatemala Spagnolo “per i suoi vigorosi risultati letterari, profondamente radicati nei tratti distintivi e nelle tradizioni degli Indiani dell’America Latina”
1968 Yasunari Kawabata Giappone Giapponese “per la sua abilità narrativa, che esprime con grande sensibilità l’essenza del pensiero giapponese”
1969 Samuel Beckett Irlanda Inglese / Francese “per la sua scrittura, che – nelle nuove forme per il romanzo ed il dramma – nell’abbandono dell’uomo moderno acquista la sua altezza”
1970 Aleksandr Isaevič Solženicyn Unione Sovietica Russo “per la forza etica con la quale ha proseguito l’indispensabile tradizione della letteratura russa”
1971 Pablo Neruda Cile Spagnolo “per una poesia che con l’azione di una forza elementare porta vivo il destino ed i sogni del continente”
1972 Heinrich Böll Germania Ovest Tedesco “per la sua scrittura che con la relativa combinazione di vasta prospettiva sul suo tempo e di un’abilità sensibile nella descrizione ha contribuito ad un rinnovamento della letteratura tedesca”
1973 Patrick White Australia (Nato in Regno Unito) Inglese “per un’arte narrativa epica e psicologica che ha introdotto un nuovo continente nella letteratura”
1974 Eyvind Johnson Svezia Svedese “per un’arte narrativa, lungimirante in terre ed epoche, al servizio della libertà”
Harry Martinson “per una scrittura che cattura le gocce di rugiada e riflette il cosmo”
1975 Eugenio Montale Italia Italiano “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”
1976 Saul Bellow Stati Uniti (Nato in Canada) Inglese “per la sensibilità umana e la sottile analisi della cultura contemporanea che si trovano combinati nella sua opera”
1977 Vicente Aleixandre Spagna Spagnolo “per una scrittura poetica creativa che illumina la condizione dell’uomo nell’universo e nella società attuale, allo stesso tempo rappresentando il grande rinnovamento delle tradizioni della poesia spagnola tra le guerre”
1978 Isaac Bashevis Singer Stati Uniti (Nato in Polonia) Yiddish “per la sua veemente arte narrativa che, radicata nella tradizione culturale ebraico-polacca, fa rivivere la condizione umana universale”
1979 Odysseas Elytīs Grecia Greco “per la sua poesia, che, contro lo sfondo di tradizione greca, dipinge con forza e chiarezza intellettuale la lotta dell’uomo moderno per la libertà e la creatività”
1980 Czesław Miłosz Polonia Polacco “che con voce chiara e lungimirante espone la condizione degli uomini in un mondo di gravi conflitti”
1981 Elias Canetti Regno Unito (Nato in Bulgaria) Tedesco “per i suoi lavori caratterizzati da un’ampia prospettiva, ricchezza di idee e potere artistico”
1982 Gabriel García Márquez Colombia Spagnolo “per i suoi romanzi e racconti, nei quali il fantastico e il realistico sono combinati in un mondo riccamente composto che riflette la vita e i conflitti di un continente”
1983 William Golding Regno Unito Inglese “per i suoi romanzi che, con l’acume di un’arte narrativa realistica e la diversità e universalità del mito, illuminano la condizione umana nel mondo odierno”
1984 Jaroslav Seifert Cecoslovacchia (Nato in Austria-Ungheria) Ceco “per la sua poesia che, dotata di freschezza, sensualità ed inventiva, fornisce un’immagine di liberazione dello spirito e della versatilità indomita dell’uomo”
1985 Claude Simon Francia (Nato in Madagascar) Francese “che nei suoi romanzi fonde la creatività del poeta e del pittore nella profonda conoscenza del tempo e la descrizione della condizione umana”
1986 Wole Soyinka Nigeria Inglese “che in un’ampia prospettiva culturale e con una poetica fuori dagli schemi mostra il dramma dell’esistenza”
1987 Iosif Aleksandrovič Brodskij Stati Uniti (Nato in Unione Sovietica) Russo / Inglese “per una condizione di scrittore esauriente, denso di chiarezza di pensiero e di intensità poetica”
1988 Nagib Mahfuz Egitto Arabo “che, attraverso gli impianti ricchi di sfumatura – ora con limpide vedute realistiche, ora evocativamente ambiguo – ha formato un’arte narrativa araba che si applica a tutta l’umanità”
1989 Camilo José Cela Spagna Spagnolo “per una prosa ricca ed intensa, che con la pietà trattenuta forma una visione mutevole della vulnerabilità dell’uomo”
1990 Octavio Paz Messico Spagnolo “per una scrittura appassionata, dai larghi orizzonti, caratterizzata da intelligenza sensuale e da integrità umanistica”
1991 Nadine Gordimer Sudafrica Inglese “che con la sua scrittura epica magnifica – nelle parole di Alfred Nobel – è stata di notevole beneficio all’umanità”
1992 Derek Walcott Saint Lucia Inglese “per un’apertura poetica di grande luminosità, sostenuto da una visione storica, il risultato di un impegno multiculturale”
1993 Toni Morrison Stati Uniti Inglese “che in racconti caratterizzati da forza visionaria e rilevanza poetica dà vita ad un aspetto essenziale della realtà statunitense”
1994 Kenzaburō Ōe Giappone Giapponese “che con forza poetica crea un mondo immaginario in cui vita e mito si condensano per formare uno sconcertante ritratto dell’attuale condizione umana”
1995 Séamus Heaney Irlanda Inglese “per gli impianti di bellezza lirica e di profondità etica, che esaltano i miracoli giornalieri e la vita passata”
1996 Wisława Szymborska Polonia Polacco “per la poesia che con ironica precisione permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti di realtà umana”
1997 Dario Fo Italia Italiano “seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”
1998 José Saramago Portogallo Portoghese “che con parabole sostenute da immaginazione, compassione e ironia ci permette ancora una volta di afferrare una realtà elusiva”
1999 Günter Grass Germania Tedesco “le cui giocose fiabe ritraggono la faccia dimenticata della storia”
2000 Gao Xingjian Cina (dal 1940 al 1998) Francia (dal 1998) Cinese “per un’opera dal valore universale, intuito pungente e ingegnosità linguistica che hanno aperto nuove strade al romanzo e al teatro cinese”
2001 Vidiadhar Surajprasad Naipaul Regno Unito (Nato in Trinidad e Tobago) Inglese “per aver unito una descrizione percettiva ad un esame accurato incorruttibile costringendoci a vedere la presenza di storie soppresse”
2002 Imre Kertész Ungheria Ungherese “per una scrittura che sostiene l’esperienza fragile dell’individuo contro l’arbitrarietà barbarica della storia”
2003 John Maxwell Coetzee Sudafrica Inglese “che in innumerevoli maschere ritrae il sorprendente coinvolgimento dello straniero”
2004 Elfriede Jelinek Austria Tedesco “per il flusso melodico di voci e controvoci in romanzi e testi teatrali, che con estremo gusto linguistico rivelano l’assurdità dei cliché sociali e il loro potere”
2005 Harold Pinter Regno Unito Inglese “perché nelle sue commedie [egli] scopre il baratro che sta sotto le chiacchiere di tutti i giorni e spinge ad entrare nelle stanze chiuse dell’oppressione”
2006 Orhan Pamuk Turchia Turco “perché nel ricercare l’anima malinconica della sua città natale, ha scoperto nuovi simboli per rappresentare scontri e legami fra diverse culture”
2007 Doris Lessing Regno Unito (Nata in Persia) Inglese “cantrice dell’esperienza femminile, che con scetticismo, fuoco e potere visionario ha messo sotto esame una civiltà divisa”
2008 Jean-Marie Gustave Le Clézio Francia / Mauritius Francese “autore di nuove partenze, avventura poetica ed estasi sensuale, esploratore di un’umanità al di là e al di sotto della civiltà regnante”
2009 Herta Müller Germania (Nata in Romania) Tedesco “con la concentrazione della poesia e la franchezza della prosa ha rappresentato il mondo dei diseredati”
2010 Mario Vargas Llosa Perù / Spagna Spagnolo “per la sua cartografia delle strutture del potere e per la sua immagine della resistenza, della rivolta e della sconfitta dell’individuo”
2011 Tomas Tranströmer Svezia Svedese “attraverso le sue immagini dense e nitide, ha dato nuovo accesso alla realtà”
2012 Mo Yan Cina Cinese “che con un realismo allucinatorio fonde racconti popolari, storia e contemporaneità”
2013 Alice Munro Canada Inglese “maestra del racconto breve contemporaneo”
2014 Patrick Modiano Francia Francese “per l’arte della memoria con la quale ha evocato i destini umani più inafferrabili e scoperto il mondo della vita dell’occupazione”
2015 Svjatlana Aleksievič Bielorussia (Nata in Unione Sovietica) Russo “per la sua opera polifonica, un monumento alla sofferenza e al coraggio nel nostro tempo”
2016 Bob Dylan Stati Uniti Inglese “per aver creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana”
2017 Kazuo Ishiguro Regno Unito (Nato in Giappone) Inglese “che, in romanzi di grande forza emotiva, ha scoperto l’abisso sotto il nostro illusorio senso di connessione con il mondo”
2018 Olga Tokarczuk
Assegnato nel 2019
Polonia Polacco “per un’immaginazione narrativa che con passione enciclopedica rappresenta l’attraversamento dei confini come forma di vita.”
2019 Peter Handke Austria Tedesco “per un lavoro influente che con ingegnosità linguistica ha esplorato la periferia e la specificità dell’esperienza umana”
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UNDICI SETTEMBRE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/09/11/11-settembre/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/09/11/11-settembre/#comments Sat, 11 Sep 2021 08:00:43 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/09/11/sei-anni-dall11-settembre/ [torrigemelle.jpg]

VENT’ANNI DALL’11 SETTEMBRE

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Ritorna l’undici settembre.

Riproponiamo il post (con le stesse domande… per noi ancora attuali). Chi vuole può lasciare le proprie considerazioni (magari ri-leggendo i vecchi commenti). Questo post, del resto, si traduce anche – e soprattutto – in un invito a ricordare…

È strano. A volte l’11 settembre 2001 ci sembra ieri. Altre volte ci sembra di pensare a un avvenimento lontanissimo, accaduto una vita fa.

È così anche per voi?
E quelle immagini…

Quelle immagini terribili degli aerei che trafiggono i grattacieli, pensate che abbiano mantenuta intatta la loro atrocità?

O le trovate un po’ sbiadite (magari perché, alla fine, ci si abitua a tutto)?

E cosa ritenete che, oggi, in riferimento a questa tragedia, sia particolarmente importante ricordare?

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PREMIO CAMPIELLO 2021: vince Giulia Caminito (lo speciale di Letteratitudine) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/09/05/premio-campiello-2021-vince-giulia-caminito-lo-speciale-di-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/09/05/premio-campiello-2021-vince-giulia-caminito-lo-speciale-di-letteratitudine/#comments Sun, 05 Sep 2021 19:49:23 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8843 GIULIA CAMINITO VINCE LA 59^ EDIZIONE DEL PREMIO CAMPIELLO

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Giulia Caminito, con il romanzo L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani), vince la 59^ edizione del Premio Campiello, concorso di narrativa italiana contemporanea organizzato dalla Fondazione Il Campiello – Confindustria Veneto. Il libro vincitore, annunciato questa sera dal palco dell’Arsenale di Venezia, ha ottenuto 99 voti sui 270 inviati dalla Giuria dei Trecento Lettori Anonimi.

Al secondo posto si è classificato Paolo Malaguti Se l’acqua ride (Einaudi) con 80 voti, al terzo Paolo Nori Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor M. Dostoevskij (Mondadori) con 37 voti, al quarto Carmen Pellegrino La felicità degli altri (La nave di Teseo) con 36 voti e al quinto posto Andrea Bajani Il libro delle case (Feltrinelli), con 18 voti.

Su LetteratitudineNews una videosintesi dell’evento e tutte le informazioni sulla serata finale del Premio Campiello 2021, nonché la recensione del libro firmata da Salvo Sequenzia.

Di seguito:

-  la partecipazione di Giulia Caminito – in conversazione con Massimo Maugeri – alla trasmissione radiofonica di Letteratitudine dedicata a L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani)

- Giulia Caminito (nell’ambito di una della puntate degli “Autoracconti d’Autore” di Letteratitudine) ci racconta come è nato il romanzo L’acqua del lago non è mai dolce

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GIULIA CAMINITO con “L’acqua del lago non è mai dolce” (Bompiani), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie).

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia, postproduzione e consulenza musicale: Federico Marin

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PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA QUI

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Ospite della puntata: la scrittrice Giulia Caminito.
Con Giulia Caminito abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato L’acqua del lago non è mai dolce” (Bompiani): finalista al Premio Strega 2021 e vincitore del Premio Selezione Campiello 2021.

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Come nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: GIULIA CAMINITO racconta L’ACQUA DEL LAGO NON È MAI DOLCE (Bompiani)

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di Giulia Caminito

L’acqua del lago non è mai dolce nasce da un racconto, molto breve, che scrissi qualche anno fa, un racconto che ha in comune con il romanzo: il lago, la morte e i limoni.
Quel racconto – piccolo, doloroso – l’ho poi messo da parte, tenuto al caldo, aspettando di essere pronta per rileggerlo, deciderne il futuro.
Come autrice ho sempre prediletto le fughe, i racconti surreali, i romanzi che andavano a pescare nelle pozze delle vicende famigliari. I non detti altrui, le fotografie, i ricordi, le cartine geografiche. Il tempo della scrittura, prima di questo romanzo, era stato per me un confortevole rifugio.
Anche se facevo guerreggiare mentre scrivevo la voglia di trovare uno stile mio – e mio soltanto – con le storie del passato e la grande Storia, ero nascosta, al margine e potevo abbuffarmi di molti libri per delineare e modellare i miei, mi sentivo al sicuro.

Per scrivere un romanzo storico non si può fare a meno dei libri scritti prima di noi: i manuali, le missive, le biografie, le interviste, i saggi, le bibliografie, tutto serve a ingrassare la trama, a nutrirla. Di quel cibo – da strada, da bancarella, da biblioteca – io mi sono saziata con entusiasmo per i primi due romanzi. Facevo liste su liste di libri e vagavo nei reparti “storia”, “società”, “filosofia” delle librerie raccogliendo libri adatti a ingrossare la mia trama: dai manuali su come si fa il pane ai racconti dei soldati caduti sul Piave, dal deserto di Mario Tobino al diario di una suora del Sudan, tutto era succulento, mi riempiva.
Senza spostarmi dalla mia scrivania ho viaggiato tra Assab e Addis Abeba insieme a mia nonna, mentre scopriva che le strade venivano coperte anche con la melassa, vedeva alla distanza i leoni e si vestiva di viola per ballare i boogie-woogie.
Poi sono salita in cima al borgo di Serra de’ Conti nelle Marche e ho vissuto le lotte contadine, la Settimana Rossa come il mio bisnonno, ho proprio guardato Malatesta negli occhi e ho cantato con lui, ci ho creduto, che avremmo cambiato il mondo e che il Re non poteva che finire strozzato.
Per il mio terzo libro ero pronta a un nuovo nascondiglio, volevo trovare un altro pezzo di Storia, altri anni tumultuosi, complessi, in cui gettarmi. Dal mio trampolino guardavo l’acqua del mio futuro romanzo e mi sembrava la piscina di sempre, il luogo dell’infanzia, delle certezze.
Volevo parlare degli anni 70’ e della vita dei miei genitori in una piccola comune alla periferia di Roma. Un gruppo di giovani uomini e donne sopravvissuti alle loro famiglie che non li capivano e al mondo che sembrava capirli troppo. Ho passato da bambina giornate intere nel capannone dove loro da giovani facevano le prove per la compagnia teatrale e anche io volevo quella compagnia, anche io volevo quegli ideali, volevo le loro avventure. Avrei potuto avere la mia comune, i miei amici d’acciaio, i miei anni di piombo dentro a un romanzo.
Ho scritto la trama, ho deciso i personaggi, ho abbozzato il primo capitolo e poi ho lasciato perdere, mi sono fermata. D’improvviso non mi è sembrato più giusto scrivere con la mia solita sicumera, ma provare a tirare fuori invece le storture e le divisioni che mi porto dentro.
Ho pensato di scrivere una storia contemporanea e al presente, una storia in prima persona, quando per anni quella prima persona, che dovevo essere e non essere io, l’avevo guardata con disgusto, perché a chi sarebbe mai importato di me, di una vita di 33 anni in cui non è successo assolutamente nulla di così rilevante.
Mi sono fermata e ho pensato a quel vuoto, il vuoto di una adolescenza ordinaria, di una non militanza, di una non Storia. Da lì ho iniziato a costruire il personaggio di Gaia e così, unendo quel racconto e questa assenza, è nato il romanzo.
Mi sono ripromessa che non avrei consultato neanche un libro, non avrei preso alimento da nulla, ma sarei stata sola, io con la mia “personaggia”, io con quel vuoto degli anni duemila che volevo raccontare, io con la provincia e io con l’acqua del lago.
Perché il mio lago, quello di Bracciano dove sono cresciuta, nasce ed esiste a causa di un vuoto, a causa di qualcosa che si è spento: un vulcano – temibile, inquietante – che ha smesso di esistere. Poi ha piovuto, sono arrivate le tempeste e le ere geologiche sono cambiate, il vuoto si è riempito. Così volevo tentare di fare: riempire un vuoto, e potevo farlo solo con la scrittura, con il mio stile, con il lavoro di lima sul mio linguaggio, perché poi alla fine è l’unica arma che ho, il saper usare a mio modo le parole.
Ho creato allora la voce, la prima persona che parla, e le ho dato il suo tono, la sua cattiveria, il suo acume, la sua disperazione e sono andata avanti. Mi sono resa conto che lei poteva dire tutto, attraversare la mia vita, mangiarsela e digerirla, poteva fare ogni cosa che io non avevo fatto, poteva commentare il mondo, se stessa, gli altri e non dare tregua a nessuno.
Volevo scrivere di individualismo, di egoismo, di frustrazione, di sopravvivenza alle inezie della vita, ai furti piccoli, alle amicizie deluse, ai primi amori non capiti. Volevo rovesciare i romanzi di prima, in cui parlavo di Storia, di eserciti, di politica, di colpe dei potenti. Ora avevo davanti solo una ragazzina dai capelli rossi, le sue gambe secche, i suoi occhi fiammeggianti e la sua maglietta con sopra la Esse di Superman.
Non so fin dove sono riuscita nel mio intento, nel mio tentativo di rivoluzione personale, ma sono grata a me stessa per aver tentato.
Ho capito che ho bisogno di variare con la scrittura, di non essere certa di me stessa, di misurarmi con quello che non capisco, che mi addolora, che mi sfugge e non so gestire.
Ora mi sento pronta a propormi ogni volta nel modo che sentirò più vicino e giusto per me, dopo questo libro, se avrò occasione, nei prossimi anni rimescolerò ancora le mie carte, giocherò, mi distruggerò e continuerò a crescere.
Ho imparato che i luoghi più insicuri, quelli che nascondono i mostri, sono anche quelli più fertili, dove scorrono le acque dei fiumi carsici, il cibo che non ti aspetti, le correnti che dalla superficie non avresti mai notato.

(Riproduzione riservata)

© Giulia Caminito

L’acqua del lago non è mai dolce

* * *

La scheda del libro: “L’acqua del lago non è mai dolce” di Giulia Caminito (Bompiani)

Odore di alghe limacciose e sabbia densa, odore di piume bagnate. È un antico cratere, ora pieno d’acqua: è il lago di Bracciano, dove approda, in fuga dall’indifferenza di Roma, la famiglia di Antonia, donna fiera fino alla testardaggine che da sola si occupa di un marito disabile e di quattro figli. Antonia è onestissima, Antonia non scende a compromessi, Antonia crede nel bene comune eppure vuole insegnare alla sua unica figlia femmina a contare solo sulla propria capacità di tenere alta la testa. E Gaia impara: a non lamentarsi, a salire ogni giorno su un regionale per andare a scuola, a leggere libri, a nascondere il telefonino in una scatola da scarpe, a tuffarsi nel lago anche se le correnti tirano verso il fondo. Sembra che questa ragazzina piena di lentiggini chini il capo: invece quando leva lo sguardo i suoi occhi hanno una luce nerissima. Ogni moto di ragionevolezza precipita dentro di lei come in quelle notti in cui corre a fari spenti nel buio in sella a un motorino. Alla banalità insapore della vita, a un torto subìto Gaia reagisce con violenza imprevedibile, con la determinazione di una divinità muta. Sono gli anni duemila, Gaia e i suoi amici crescono in un mondo dal quale le grandi battaglie politiche e civili sono lontane, vicino c’è solo il piccolo cabotaggio degli oggetti posseduti o negati, dei primi sms, le acque immobili di un’esistenza priva di orizzonti. Giulia Caminito dà vita a un romanzo ancorato nella realtà e insieme percorso da un’inquietudine radicale, che fa di una scrittura essenziale e misurata, spigolosa e poetica l’ultimo baluardo contro i fantasmi che incombono. Il lago è uno specchio magico: sul fondo, insieme al presepe sommerso, vediamo la giovinezza, la sua ostinata sfida all’infelicità.

* * *

Giulia Caminito è nata a Roma nel 1988 e si è laureata in Filosofia politica. Ha esordito con il romanzo La Grande A (Giunti 2016, Premio Bagutta opera prima, Premio Berto e Premio Brancati giovani), seguito nel 2019 da Un giorno verrà (Bompiani, Premio Fiesole Under 40).

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PER PAOLO BORSELLINO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/07/19/per-paolo-borsellino/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/07/19/per-paolo-borsellino/#comments Mon, 19 Jul 2021 05:00:01 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=2320 BorsellinoIN MEMORIA DI PAOLO BORSELLINO

Il 19 luglio del 1992, moriva Paolo Borsellino. Dopo aver pranzato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, si era recato insieme alla sua scorta in via D’Amelio, dove viveva sua madre.

Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell’abitazione, con circa 100 kg di esplosivo a bordo, deflagrò al passaggio del giudice, uccidendo anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu Antonino Vullo, ferito mentre parcheggiava uno dei veicoli della scorta.

In memoria e onore di Paolo Borsellino – eroe italiano e vittima della mafia – dedichiamo questo spazio di Letteratitudine, rimettendo in primo piano questo post pubblicato originariamente nel 2010 e dedicato alla sua figura.

All’interno del post, in cui ragionavamo anche sul senso e sul valore della memoria, c’è un bel racconto della scrittrice e magistrato Simona Lo Iacono.

Massimo Maugeri


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FUOCHI D’ARTIFICIO

di Simona Lo Iacono

I pochi gesti che compio stamattina non hanno niente a che fare col buio. Sono gesti intagliati in un sole che assorbe tutto.
Apro il balcone mentre alle mie spalle lei dorme ancora. Conosco la piega che prende il lenzuolo tra i due seni, l’arsura che le si incolla sulle gambe e le fa spostare il ginocchio in su. Non ha mai saputo che la osservo per ore mentre dorme, e neanche i miei figli lo sanno, perché il sonno è un segreto che può violare solo chi ama, ma di nascosto, senza farsene accorgere. Sarebbe come rubare l’anima mentre si acquatta e impigrisce, e io non ho mai saputo sottrarre niente a nessuno. Non ora, poi, che la notte è un nemico che mi inchioda solo poche ore, e insiste a trasformarsi in una veglia perpetua e piangente, che consumo bevendo caffè, lucidando i ricordi e assestando gli ultimi colpi a queste carte.
Nei primi tempi le impilavo ovunque, in spiaggia, tra le sdraio che lei ha sempre voluto di fronte, a specchio, per guardarmi lavorare. E in bagno, dove lasciavo che la sigaretta mi pencolasse consumandosi da sola, sbriciolando cenere e saliva. Poi, col tempo, ho preso a selezionare. Pochi documenti, scelti col fiuto di un presentimento.
Ma questa mattina non cederò ai presentimenti. Scenderò in mare con la barca. Slitterò piano sulle onde.
Il giornale lo comprerò prima. All’edicola sotto casa, da solo.
Non voglio che i ragazzi mi accompagnino. Fa caldo, ed è una bella domenica. Che stiano a letto ancora un’ora.
Citofoneranno alle nove, come al solito. E come al solito vedrò avvitarsi sulla mia ombra la loro, tesa come un legaccio.
Li osservo cingermi a cerchio, fare scudo sul niente.
La calma ci fa paura più di ogni altra cosa, più del traffico che esplode a mezzogiorno, o più dell’autostrada che cuoce imbrumandosi di un odore greve, di spazzatura.
A volte ne ridiamo. Fingiamo di essere sulla volante solo per gioco, o per una vacanza, dice qualcuno. E se la sirena urge sul cielo, ci cantiamo sopra, azzardiamo una barzelletta.
Siamo bravi a distrarre la morte.
Giovanni ci sapeva fare più di ogni altro. Non faceva scongiuri ma sosteneva con una punta di orgoglio che nessuno, ormai, muore così. Coi fuochi d’artificio che bombardano l’aria. E intanto accarezzava la borsa porta documenti, faceva schioccare la serratura con due dita. Salta in un secondo, diceva. Ma non rideva più.
La barca è pronta. Solo un giro nel porto ho detto, ma seguendo i gabbiani che si inarcano verso gli scogli. Voglio vederli planare.
Intanto a casa le melanzane friggono sull’olio. Lei sa rosolarle perfettamente, lasciando che la crosta che le circonda crocchi tra le labbra. Mi ama silenziosamente questa donna china sulla padella, che non chiede niente se non vedermi tornare.
La cingo da dietro e le bacio la nuca, i resti delle melanzane ancora tra i denti.
Vado a riposare, le dico, e nel sorriso che adesso copre coi capelli, leggo tutti questi anni. Ti sveglio alle quattro, risponde. E io sussulto. E’ come se contasse alla rovescia.
L’ultimo abbraccio glielo do sull’uscio di casa. I ragazzi già mi aspettano con la portiera aperta, le pistole d’ordinanza sotto le camicie estive.
Bacio di fretta anche i miei figli perché ultimamente so che il tempo è spigoloso, tende trappole e salta segnali.
E poi. Mia madre mi aspetta. Avrà messo la vestina nera, come la chiama lei. Le calze, anche se è luglio.
L’agente scelto mi dice: aspetti dottore, lei rimanga qui che citofono io.
Mia madre è pronta già da mezz’ora, e posso quasi vederla rispondere sì scendo, tremare un poco sulle gambe, sovrapporsi al viso di mia moglie, e dei miei figli, i loro occhi che inondano adesso questa macchina, le melanzane che ballano sull’olio, la barca che pedina gabbiani.
Allora è vero, era un conto alla rovescia, anche se non è come immaginavo, non è un boato, piuttosto un respiro lungo a scuoterci, e lapilli che infestano l’aria, e poi i balconi delle case, e l’agente scelto che viene spinto in avanti, mentre di tutto quello che credevo di ricordare non resta che questa stanchezza forse un po’ perplessa e triste, nomi, una data, un luogo, fuochi d’artificio, come diceva Giovanni.

Via D’Amelio, 19 Luglio 1992. Paolo Borsellino.

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EMANUELE TREVI VINCE IL PREMIO STREGA 2021 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/07/09/emanuele-trevi-vince-il-premio-strega-2021/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/07/09/emanuele-trevi-vince-il-premio-strega-2021/#comments Thu, 08 Jul 2021 22:17:49 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8828 Premio Strega 2021EMANUELE TREVI con “Due Vite” (Neri Pozza) vince l’edizione 2021 del Premio Strega. La premiazione si è svolta nella serata di giovedì 8 luglio, con diretta a partire dalle ore 23 su Rai Tre. Approfondimenti su LetteratitudineNews (con il video con i momenti salienti della premiazione)

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Di seguito, proponiamo l’intervista a Emanuele Trevi (in conversazione con Massimo Maugeri) rilasciata nell’ambito del programma radiofonico di Letteratitudine trasmesso su Radio Polis

(articolo in aggiornamento)

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EMANUELE TREVI con “Due vite” (Neri Pozza), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie).

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia, postproduzione e consulenza musicale: Federico Marin

PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA QUI

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La scheda del libro: “Due vite” di Emanuele Trevi (Neri Pozza)

Rocco Carbone nasce a Reggio Calabria nel febbraio del 1962, ma una buona parte della sua infanzia la trascorre in un piccolo paese dell’Aspromonte, Cosoleto: un posto di gente dura, taciturna, incline a una rigorosa amarezza di vedute sulla vita e sulla morte. Emanuele Trevi lo conosce nell’inverno del 1983, quando è arrivato a Roma da poco tempo e si è iscritto a Lettere. Parlare della vita di Rocco, per Trevi, significa necessariamente parlare della sua infelicità, ammettere che faceva parte di quella schiera predestinata dei nati sotto Saturno, tratteggiarne la personalità bipolare e a tratti sadica, il carattere spigoloso, la natura lucida e sintetica dell’opera. Pia Pera cresce a Lucca in una famiglia colta, originale ed eccentrica. Poco più che adolescente lascia la città toscana e studia Filosofia all’università di Torino. Dopo un dottorato in storia russa alla University of London inizia a insegnare letteratura russa all’Università di Trento, ma poi, delusa dall’ambiente, lascia perdere ogni ambizione accademica e decide di occuparsi di un fondo abbandonato a San Lorenzo, dedicandosi alla cura del giardino. Quando Trevi la incontra, Pia è una trentenne spavalda e maldestra, brillante, anticonformista e generosa. Ma già possiede quella leggerezza e quella grazia di chi, mentre la malattia costringe alla resistenza continua, sa correre sempre in avanti, verso l’altrove. Tratteggiando, con affetto, le vite dei due amici, Emanuele Trevi persegue una ricerca narrativa fondata sulla memoria e, al contempo, rende un sentito omaggio a due talentuosi scrittori italiani.

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Emanuele Trevi è nato a Roma nel 1964. Collabora al Corriere della Sera e al manifesto. Tra le sue opere: I cani del nulla (Einaudi, 2003), Senza verso. Un’estate a Roma (Laterza, 2004), Il libro della gioia perpetua (Rizzoli, 2010), Qualcosa di scritto (Ponte alle Grazie, 2012), Il popolo di legno (Einaudi, 2015) e Sogni e favole (Ponte alle Grazie, 2019).

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Queste le tappe dello Strega Tour che ospiteranno Emanuele Trevi, in quanto vincitore della LXXV edizione del Premio: 10 luglio, Il Libro Possibile, Polignano; dal 15 al 18 luglio, Festival Armonia del Salento, Alessano, insieme alla dozzina; 23 luglio, Festival Letterature, Roma; 29 luglio, Una montagna di Libri, Cortina d’Ampezzo; 30 luglio, Marciana Marina, Elba; 26 agosto, Benevento Città Spettacolo, Benevento; 27 agosto, La città dei lettori, Firenze; 28 agosto, Festival delle Emozioni, Terracina.

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PREMIO STREGA 2021: stasera la finale (lo speciale di Letteratitudine) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/07/08/premio-strega-2021-stasera-la-finale-lo-speciale-di-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/07/08/premio-strega-2021-stasera-la-finale-lo-speciale-di-letteratitudine/#comments Thu, 08 Jul 2021 11:20:20 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8826 Premio Strega 2021Stasera, giovedì 8 luglio, ore 23, in diretta su Rai Tre: serata finale e annuncio del vincitore del Premio Strega 2021

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Stasera, dunque, sapremo quale sarà il libro vincitore della LXXV edizione del Premio Strega (e il nome del vincitore o della vincitrice).

immagine per I finalisti del Premio Strega 2021 e il vincitore del Premio Strega Giovani 2021

Lo scorso 10 giugno, nel Teatro Romano di Benevento, sono stati annunciati gli autori finalisti (cliccando sui link si accede alle puntate radiofoniche di Letteratitudine con le interviste ai cinque finalisti):

Andrea Bajani, Il libro delle case (Feltrinelli)

Edith Bruck, Il pane perduto (La Nave di Teseo)

Giulia Caminito, L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani)

Donatella Di Pietrantonio, Borgo Sud (Einaudi)

Emanuele Trevi, Due vite (Neri Pozza)

Il totale dei voti espressi il 10 giugno aveva determinato i finalisti alla LXXV edizione del premio (con i seguenti voti)

  • Emanuele Trevi, Due Vite (Neri Pozza) con 256 voti
  • Edith Bruck, Il pane perduto (La Nave di Teseo) con 221 voti
  • Donatella Di Pietrantonio, Borgo sud (Einaudi) con 220 voti
  • Giulia Caminito, L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani) con 215 voti
  • Andrea Bajani, Il libro delle case (Feltrinelli) con 203 voti

L’annuncio del vincitore o della vincitrice del Premio Strega 2021 avrà dunque luogo stasera giovedì 8 luglio, come di consueto al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma, e sarà trasmesso in diretta televisiva da Rai Tre, per la conduzione di Geppi Cucciari.

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Intanto ieri, al Giardino di Monk, si è svolta la quinta edizione dello Strega OFF. I finalisti sono stati coinvolti in una chiacchierata informale, moderati dalla giornalista Simonetta Sciandivasci. Come da tradizione si è brindato con cocktail speciali al sapore di Strega e le sonorizzazioni dei DJ Popslut e Madame Tutù. Durante la serata, presentata da Carmen Maffione, il pubblico ha votato il proprio favorito tra i libri della cinquina finalista, e le preferenze del pubblico (insieme a quelle di riviste letterarie selezionate) hanno formato il voto di Strega OFF, uno dei voti collettivi ufficiali che contribuiscono a eleggere il vincitore del Premio Strega. Il Premio Strega Off 2021 è andato a Giulia Caminito con L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani).

Queste infine le tappe dello Strega Tour che ospiteranno la vincitrice o il vincitore della LXXV edizione del Premio: 10 luglio, Il Libro Possibile, Polignano; dal 15 al 18 luglio, Festival Armonia del Salento, Alessano, insieme alla dozzina; 23 luglio, Festival Letterature, Roma; 29 luglio, Una montagna di Libri, Cortina d’Ampezzo; 30 luglio, Marciana Marina, Elba; 26 agosto, Benevento Città Spettacolo, Benevento; 27 agosto, La città dei lettori, Firenze; 28 agosto, Festival delle Emozioni, Terracina.

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25 APRILE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/04/25/25-aprile/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/04/25/25-aprile/#comments Sun, 25 Apr 2021 08:00:36 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/04/25/buon-25-aprile-2008/ 25aprile.jpgIl post annuale di Letteratitudine dedicato al 25 aprile

[La bellissima versione di "Bella Ciao" eseguita da Goran Bregovic]

Qui, l’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla Cerimonia in occasione del 76° anniversario della Liberazione

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Cari amici,
ritorna il 25 aprile. Nel commemorarlo, riproponiamo questo post annuale. Un modo per darvi la possibilità di riguardarvi e rileggervi nel tempo.
Siete sempre gli stessi?
Qualcosa, forse, è rimasta uguale; qualcosa, forse, è cambiata.
Il 25 aprile, in fondo, è rimasto sempre lo stesso.
Oppure no…
Che ne dite?

Cosa rappresenta il 25 aprile, oggi, nell’Italia di oggi?

Buon 25 aprile a tutti!


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GIORNATA MONDIALE DEL LIBRO (e del diritto d’autore) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/04/22/la-giornata-mondiale-del-libro/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/04/22/la-giornata-mondiale-del-libro/#comments Thu, 22 Apr 2021 15:05:40 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/04/22/la-giornata-mondiale-del-libro-articolo-di-adriano-petta/ La Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore coincide con il primo giorno de Il Maggio dei libri, la grande campagna nazionale che inizia il 23 aprile e si conclude il 31 maggio.

Letteratitudine, ogni anno, sostiene con molto piacere la Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore e Il Maggio dei libri.

Il libro è in grado di creare contatti tra uomini di epoche e orizzonti differenti e si pone come strumento della libera espressione, contribuendo quindi a costruire e consolidare la comunità umana mondiale e a favorire la causa dei diritti umani. La Giornata Internazionale del Libro e del Diritto d’Autore, celebrata il 23 aprile, vuole essere un invito a valorizzare quell’eterna fertilità delle idee di cui i libri sono rappresentanti e strumento di diffusione.

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Con questo post intendo ricordare l’evento (la Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore), invitandovi a segnalare (se volete) le varie iniziative in corso… e a dire la vostra in merito.

Negli anni precedenti avevamo formulato le due seguenti domande (con l’obiettivo di favorire un eventuale dibattito). Lasciamo gli interventi visibili, come “memoria storica” di questa pagina…

-Ritenete che l’indizione di questa giornata abbia una sua effettiva utilità, oppure è un evento come altri (uno dei tanti)?

-A vostro avviso, l’Italia di oggi è più o meno pronta di altri Paesi ad accogliere iniziative come la giornata mondiale del libro?

Di seguito, riproponiamo un articolo di Adriano Petta.

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Ritorna la “Giornata Mondiale del Libro e dei Diritti d’Autore” Rosa_llibre

Ritorna la “Giornata Mondiale del Libro e dei Diritti d’Autore”. Ogni anno, ogni 23 di aprile, in tutto il mondo è la festa del libro. Questa giornata è stata istituita dall’UNESCO nel 1995, dietro proposta di Jordi Pujol, allora presidente della Catalogna, la regione pilota della Spagna. Tutti gli stati membri accettarono e votarono a favore di questa iniziativa, e da dodici anni moltissimi paesi del mondo intero fanno a gara per promuovere questa giornata. La proposta venne da un catalano perché questa festa nacque proprio a Barcelona nel 1926, dallo scrittore Vicent Clavel Andrés che la propose alla camera Ufficiale del Libro di Barcelona. Il 6 febbraio del 1926 il governo spagnolo presieduto da Miguel Primo de Rivera l’accettò e il re Alfonso XIII firmò il decreto Reale che istituì la “Fiesta del Libro Español”. Nel 1930 la data venne spostata (dall’iniziale 7 ottobre) al 23 aprile, ricorrenza della morte di Cervantes nonché della nascita di Shakespeare. A Barcelona e in tutta la Catalogna divenne la “Festa del Libro e della rosa”. Il 23 aprile è la festa di San Giorgio (S. Jordi), patrono della Catalogna. In tutte le città e i paesi le librerie espongono fuori dai loro locali – su dei banchetti – libri e cesti di rose: chi compera un libro riceve in omaggio una rosa. In questa giornata ci si regala un libro e una rosa, fra amici, parenti, innamorati. Passeggiare per le Ramblas di Barcelona in mezzo a centinaia di banchetti pieni di libri e di rose, è un evento fra i più suggestivi dell’anno. È una festa anche per gli scrittori i quali, nelle loro rispettive città, vengono invitati a fare il giro delle librerie per firmare le copie delle loro opere messe in vendita, e s’improvvisano dei dibattiti. Quest’anno, il 23 aprile avranno inizio gli eventi letterari nella capitale della Colombia, a Bogotà, eletta capitale mondiale del libro. Il mondo sta facendo di tutto per promuovere questa festa… tranne la nostra italietta. Pochi anni fa durante la Fiera del Libro di Francoforte (la più importante del pianeta) ogni nazione creava qualcosa di spettacolare per poter promuovere i suoi libri, per richiamare l’attenzione: concerti, film, dibattiti. La nostra italietta (rappresentata dalla regione Umbria) usò il lezzo di salsicce alla brace, un fumo acre che prese a spirare in mezzo ai libri di tutto il mondo, affinché tutto il mondo potesse riconoscere la nazione che meno ha a cuore i libri, la cultura: l’Italia. In Europa siamo il paese che legge di meno. Io sono nato nella provincia di Isernia, la provincia in cui si legge di meno in Italia, e quindi in Europa. Ma la stessa provincia ha un primato nel mondo: è la provincia con il maggior numero di automobili per abitante: 97 auto per ogni 100 abitanti. Solo Dallas negli Stati Uniti eguaglia il suo primato.

Adriano Petta

Caro Massimo, ti sarò grato se potrai offrire un po’ di spazio a questo 23 aprile, alla Giornata Mondiale del Libro: quando questo oggetto, che contiene il respiro della ragione, inonderà le nostre case… sarà la festa più bella del mondo.

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AUGURI DI BUONA PASQUA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/04/04/auguri-di-buona-pasqua/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/04/04/auguri-di-buona-pasqua/#comments Sun, 04 Apr 2021 00:00:43 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/03/21/auguri-di-buona-pasqua-2008/ AUGURI DI BUONA PASQUA A TUTTI

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Cari amici,
vi auguro di cuore di trascorrere buone e serene festività pasquali.
Lo auguro a voi e ai vostri cari.
Considerate questo post come una pagina aperta, un luogo d’incontro dove è possibile scambiare gli auguri e mettere in comune aneddoti e racconti su questi giorni di feste.
Vi invito, dunque – se potete e se avete voglia di farlo – a lasciare citazioni e pensieri dedicati alle festività pasquali

Buona Pasqua a tutti voi.

Massimo Maugeri

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8 MARZO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/03/08/8-marzo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/03/08/8-marzo/#comments Mon, 08 Mar 2021 06:00:59 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/03/08/8-marzo-2008/ 8-marzoTANTI AUGURI A TUTTE LE DONNE CHE GRADISCONO RICEVERLI… (il post “annuale” di Letteratitudine dedicato all’8 marzo)

Mimosa sì, o mimosa no?

Ritorna l’8 marzo e io, come sempre, non so bene come comportarmi. Conosco donne che gradiscono moltissimo ricevere gli auguri (e se non lo fai ci restano male), altre che sostengono che il tributare una giornata alle donne è prerogativa tipicamente maschilista (e perciò fuori luogo).

Auguri, dunque, a tutte le donne che gradiscono riceverli. Buon 8 marzo!

Massimo Maugeri

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8 marzo 2021

Segnaliamo il messaggio della Ministra della Giustizia Marta Cartabia: “Prevenire i femminicidi estirpando la cultura della violenza contro le donne”

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Segnaliamo questo servizio del magazine Io Donna del Corriere della Sera: 8 marzo 2019, Giornata Internazionale delle donne: che cosa deve ancora cambiare

L’Onu chiede alle donne di essere artefici del cambiamento e mette la questione femminile tra i Goal del 2030. E in Italia? Molti gap da colmare, a cominciare da lavoro e stipendi

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8 marzo 2018

Segnaliamo questo servizio dell’Ansa – 8 marzo: Udi, sciopero globale è ancora un’aspettativa, serve visibilità

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8 marzo 2017
Segnaliamo la notizia dello sciopero generale organizzato per dire no alla violenza di genere. Aderiscono le principali sigle sindacali, problemi nei trasporti pubblici, nella scuola, negli ospedali…

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8 marzo 2016

Segnaliamo quest’altro articolo dell’Ansa.

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In occasione della ricorrenza dell’8 marzo 2015, ne approfitto per segnalarvi questa riflessione di Loredana Lipperini, questo servizio del Corriere della Sera e questo articolo di la Repubblica (dedicato a Anna Magnani). Domattina, inoltre, su LetteratitudineNews i riflettori saranno puntati su due libri che hanno a che fare con la Giornata internazionale della donna.

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L’8 marzo 2014
In occasione della ricorrenza dell’8 marzo 2014, ne approfitto per segnalarvi questo articolo pubblicato dall’Ansa e questo speciale su Repubblica.it

(Massimo Maugeri)

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L’8 marzo 2013

Segnalo questo articolo pubblicato su Repubblica.it: 8 marzo, solo 10 donne su 100 nei consigli delle società quotate
(Massimo Maugeri)

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L’8 marzo 2012

Segnalo questo post di Loredana Lipperini, pubblicato in contemporanea  con Giovanna Cosenza, Femminile plurale, Ingenere, Ipaziaevviva, Marina Terragni, Lorella Zanardo.
E dico, I care!

E, a proposito di “mimose sì, mimose no”… questo articolo di Maria Laura Rodotà su Corriere.it
(Massimo Maugeri)
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L’8 marzo 2011

Vi segnalo questo servizio su WUZ… e, a proposito di 8 marzo, vi consiglio di leggere questo contributo firmato dalla prof.ssa Rawdha Razgallah (italianista e docente di letteratura italiana presso l’Università del «7 Novembre a Carthage» di Tunisi) sugli usi e costumi delle donne tunisine

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L’8 marzo negli anni scorsi…

Sull’8 marzo 2009 vi segnalo un “quaderno” di 167 pagine realizzato dagli amici di Nazione indiana: potete scaricare il pdf cliccando qui

Vi propongo un articolo di Sabina Corsaro dedicato a Françoise Sagan.

Infine, in coda al post, un omaggio da parte mia a tutte le donne di Letteratitudine. Chiamo in causa, ancora una volta, John Lennon. Stavolta il brano è (semplicemente) Woman.

Ed è dedicato a tutte voi.

Non vogliatemene.

Woman I can hardly express,

My mixed emotion at my thoughtlessness,
After all I’m forever in your debt,
And woman I will try express,
My inner feelings and thankfullness,
For showing me the meaning of success,
oooh well, well,
oooh well, well,

Woman I know you understand
The little child inside the man,
Please remember my life is in your hands,
And woman hold me close to your heart,
However, distant don’t keep us apart,
After all it is written in the stars,
oooh well, well,
oooh well, well,

Woman please let me explain,
I never mean(t) to cause you sorrow or pain,
So let me tell you again and again and again,
I love you (yeah, yeah) now and forever,
I love you (yeah, yeah) now and forever,
I love you (yeah, yeah) now and forever,
I love you (yeah, yeah)…

(Massimo Maugeri)

___________

___________

La scrittrice maledetta: Françoise Sagan

di Sabina Corsaro

Non, Sagan, t’es pas toute seule” declamava una petizione di diversi anni fa, richiesta e portata avanti dagli estimatori di Françoise Sagan (personaggi, a loro volta, rappresentativi della cultura francese contemporanea). Una petizione che era stata lanciata per sostenere la scrittrice nei suoi problemi finanziari con le banche e che aveva coinvolto scrittori e lettori.
Personaggio ribelle e non catalogabile quello di Françoise (nella foto), oscillante tra l’immagine della ragazza borghese e la scrittrice scandalosa, discendente fedele di quel filone di poeti maledetti che aveva visto nella dannazione un modello irrinunciabile per l’osmosi di arte e vita.
E burrascosa, violenta e movimentata fu la sua, di vita.Françoise Quoirez (il suo nome anagrafico) nasce il 21 Giugno del 1935 a Cajarc, nel Sud-ovest della Francia. Trasferitasi definitivamente a Parigi dopo la Liberazione studia nei collegi religiosi conseguendo nel ’52 il diploma di scuola media superiore. Qualche anno dopo viene bocciata all’esame di ammissione alla Sorbona. Nel 1954 esce Bonjour tristesse che apporterà una fama indescrivibile ad una ragazza di appena vent’anni che da allora si firmerà col nome di Sagan. Sagan è il nome di uno dei personaggi de La Recherche di Proust: enigmatico, ricco di valenze simboliche non facili da perscrutare; Sagan è la principessa che racchiude in sé dei significati quasi mistici che, tuttavia, si mescolano con la sua corruttibile componente umana. Ben presto la ragazza timida e poco femminile diviene un personaggio noto: con abiti eccentrici Françoise passeggia lungo i boulevards accompagnata da uomini stravaganti e hanno inizio le sue vicissitudini sentimentali che la porteranno al concepimento di un figlio. Sposa l’editore Guy Scholler ma divorzia dopo alcuni anni, per risposarsi subito dopo con un progettista di ceramiche. Ma è la scrittrice che è dentro lei a divenire una voce di denuncia contro l’ipocrisia dei costumi della società a cui appartiene. Il caso letterario suscitato da Bonjour tristesse ha risonanza notevole in quegli anni: la descrizione veritiera e realistica della gelosia della protagonista Cécile nei confronti del padre vedovo e ‘viveur’ diviene l’elemento centrale del libro. Quello che in esso appare percepibile è il sapore del disagio che investe la ragazza ventenne quando apprende l’improvviso e temuto innamoramento del padre, vissuto come minaccia per quel loro rapporto esclusivo, definito e sicuro. Se Sagan richiama il personaggio proustiano, Françoise vive in modo simile a Marcel: frequenta l’ambiente mondano, borghese, artificiale ed è attorniata da Wisky e sostanze stupefacenti, il tutto sullo sfondo di un vago e onnipresente snobismo. I personaggi che vi sono inseriti si guardano vivere lasciandosi trascinare dalle convenzioni, dai comportamenti omologati e hanno coscienza del proprio esistere solo quando prendono coscienza del proprio corpo (ecco allora l’uso dell’alcol, della danza e dell’amore fisico). Françoise prova tutte queste forme di felicità ridimensionata, poiché per lei essa esiste solo nella forma della contentezza o del piacere temporaneo.
Bruciare la vita, bere, stordirmi, ecco quel che mi ha sempre sedotto. E quanto mi piace, questo gioco derisorio e gratuito nella nostra epoca meschina, sordida e crudele ma che, per un caso prodigioso di cui vivamente con essa mi congratulo, mi ha dato il modo di sfuggirle”.
Tra i suoi libri più significativi: Lividi dell’anima (1972), Un profilo perduto (1974), Occhi di seta (1976), Un letto disfatto (1977), La donna truccata (1981), Lo specchio smarrito (1996), Le piace Brahms?

E i libri della sua intera produzione sembrano racchiudere l’impronta di un limite varcato, di uno stato d’animo ambiguo, a metà tra l’infelicità e la perdizione lussuriosa, come quello di chi sa che per sfuggire alla tristezza deve lasciarsi travolgere da un piacere disperato.

Sabina Corsaro

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27 GENNAIO: GIORNO DELLA MEMORIA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/01/26/giorno-della-memoria/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/01/26/giorno-della-memoria/#comments Tue, 26 Jan 2021 13:15:42 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=2950 Il post annuale di Letteratitudine dedicato al “Giorno della Memoria”

GIORNO DELLA MEMORIA 2021 – nuovi libri per non dimenticare. Su LetteratitudineNews promuoviamo la lettura di nuovi libri incentrati sulla tragedia della Shoah

anna-frank-se-questo-e-un-uomo1«La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati
Quello che avete appena letto è il testo dell’articolo 1 della legge n. 211 del 20 luglio 2000 con cui il nostro paese ha aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio come giornata in commemorazione delle vittime del nazionalsocialismo e del fascismo, dell’Olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati (l’art. 1 evidenzia, appunto, le finalità del Giorno della Memoria).

Tra i commenti, lo storico dibattito online dedicato al Giorno della Memoria partendo dall’esame (o dal riesame) di due opere che, da questo punto di vista, possono considerarsi come libri-simbolo: “Il Diario di Anne Frank” e “Se questo è un uomo” di Primo Levi.

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BUON NATALE E FELICE ANNO NUOVO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/12/24/buone-feste/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/12/24/buone-feste/#comments Thu, 24 Dec 2020 10:00:09 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/12/24/i-vostri-natale-2008-e-capodanno-2009/ http://www.carloneworld.org/images/Speciale_Natale/gif_animate/buon_Natale/snowybridgebymindy-blank.gifCare amiche e cari amici,
vi auguro di cuore di trascorrere un sereno Natale e uno splendido capodanno.

Per qualche giorno non pubblicherò nuovi post. E come di consueto rimetto in primo piano questo “spazio” dedicato al Natale e al nuovo anno.

Il 2020 è stato un anno particolarmente difficile e doloroso. Speriamo davvero che il 2021 possa offrire una luce diversa e nuove prospettive.

Ancora auguri! Buon Natale e felice anno nuovo a tutti!

Massimo Maugeri

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FESTIVALETTERATURA di Mantova http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/09/08/festivaletteratura-di-mantova/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/09/08/festivaletteratura-di-mantova/#comments Tue, 08 Sep 2020 05:00:22 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4242 Il post annuale di Letteratitudine dedicato a Festivaletteratura: qui, informazioni sul programma e sulle attività della nuova edizione

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Festivaletteratura

Comincia la nuova edizione di Festivaletteratura (a Mantova dal 9 al 13 settembre 2020).  Per contribuire a promuovere l’evento, abbiamo rimesso in primo piano questo breve post. Ne approfittiamo per augurare i classici “in bocca al lupo” agli organizzatori, ma anche per complimentarci con loro e ringraziarli per il lavoro eccezionale che hanno svolto in questi anni (e che ha permesso a questo evento di ergersi come uno dei più importanti appuntamenti del mondo della letteratura).
Grazie di cuore. Davvero. E tanti complimenti.

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Negli scorsi anni (nel corso della discussione legata a questo post), con l’aiuto degli amici di Letteratitudine, abbiamo tracciato la storia recente del Festival Letteratura di Mantova.

Naturalmente segnaleremo gli appuntamenti principali dell’edizione in corso.  Intanto, è possibile seguire il programma del Festival cliccando qui…

Buon mese di settembre a tutti.


Festivaletteratura

Festivaletteratura è un appuntamento all’insegna del divertimento culturale, una cinque giorni di incontri, laboratori, percorsi tematici, concerti e spettacoli con narratori e poeti di fama internazionale, saggisti, artisti e scienziati provenienti da tutto il mondo, secondo un’accezione ampia e curiosa della letteratura. Si tiene ogni anno a Mantova, dal 1997, sul finire dell’estate. La XXI edizione avrà luogo dal 6 al 10 settembre 2017.

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PENSIERI VACANZIERI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/08/14/pensieri-vacanzieri/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/08/14/pensieri-vacanzieri/#comments Fri, 14 Aug 2020 13:30:32 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=954 BUONA ESTATE da Letteratitudine!

Buona estate da Letteratitudine

…Le attività di LetteratitudineBlog riprenderanno a settembre…

Care amiche e cari amici, faccio riposare Letteratitudine per qualche settimana (come ogni anno, in questo periodo).

Intanto vi ripropongo questo post, dove chi ha voglia potrà raccontare (o rileggere) aneddoti estivi e condividere le impressioni sui libri letti (o che si leggeranno) nel corso dell’estate.

Buoni pensieri vacanzieri a voi e ai vostri cari!

Massimo Maugeri

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SANDRO VERONESI VINCE IL PREMIO STREGA 2020 con “Il colibrì” (La nave di Teseo) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/07/03/sandro-veronesi-vince-il-premio-strega-2020-con-il-colibri-la-nave-di-teseo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/07/03/sandro-veronesi-vince-il-premio-strega-2020-con-il-colibri-la-nave-di-teseo/#comments Thu, 02 Jul 2020 22:50:01 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8530 Image from LETTERATITUDINE (di Massimo Maugeri)

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Premio Strega 2020È SANDRO VERONESI IL VINCITORE DELL’EDIZIONE 2020 DEL PREMIO STREGA

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Nella serata di giovedì 2 luglio al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia e in diretta su Rai 3 a partire dalle 23 circa (con la conduzione di Giorgio Zanchini) si è svolta la finale del Premio Strega 2020. Il premio è stato vinto da Sandro Veronesi, autore de “Il colibrì” (La nave di Teseo) con 200 voti. Veronesi aveva già vinto il Premio Strega nel 2006 con il romanzo “Caos Calmo”.

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L’elenco dei sei finalisti, in ordine di voto

Sandro Veronesi, Il colibrì (La nave di Teseo): 200 voti

Gianrico Carofiglio, La misura del tempo (Einaudi): 132 voti

Valeria Parrella, Almarina (Einaudi): 86 voti

Gian Arturo Ferrari, Ragazzo italiano (Feltrinelli): 70 voti

Daniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza (Mondadori): 67 voti

Jonathan Bazzi, Febbre (Fandango Libri): 50 voti

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Proponiamo l’ascolto della puntata radiofonica di Letteratitudine con intervista a Sandro Veronesi vincitore del Premio Strega 2020, incentrata sul romanzo “Il colibrì” (La nave di Teseo)

PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA SUL PULSANTE “AUDIO MP3″ (in basso), O CLICCA QUI


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Libro Il colibrì Sandro VeronesiSandro Veronesi, Il colibrì (La nave di Teseo)

Un romanzo potentissimo che incanta e commuove sulla forza struggente della vita

Il colibrì è tra gli uccelli più piccoli al mondo; ha la capacità di rimanere quasi immobile, a mezz’aria, grazie a un frenetico e rapidissimo battito alare (dai 12 agli 80 battiti al secondo). La sua apparente immobilità è frutto piuttosto di un lavoro vorticoso, che gli consente anche, oltre alla stasi assoluta, prodezze di volo inimmaginabili per altri uccelli come volare all’indietro… Marco Carrera, il protagonista del nuovo romanzo di Sandro Veronesi, è il colibrì. La sua è una vita di perdite e di dolore; il suo passato sembra trascinarlo sempre più a fondo come un mulinello d’acqua. Eppure Marco Carrera non precipita: il suo è un movimento frenetico per rimanere saldo, fermo e, anzi, risalire, capace di straordinarie acrobazie esistenziali.

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APPROFONDIMENTI

Rispettando le attuali prescrizioni governative in materia di distanziamento fisico, la serata finale non si è potuta svolgere alla presenza del pubblico consueto, composto dall’ampia giuria del premio e dagli altrettanto numerosi appassionati che ogni anno intervengono a Villa Giulia. Questo ha consentito di svolgere lo scrutinio dei voti di nuovo sulla balconata del Ninfeo, come nelle dieci edizioni svolte a partire dal 1953, il primo anno in cui lo Strega è stato assegnato nella cornice del Museo Etrusco. Le interviste televisive agli autori hanno avuto luogo sotto la cosiddetta Loggia dell’Ammannati. La serata è stata trasmessa in diretta su Rai Tre con la conduzione di Giorgio Zanchini, ospite speciale Corrado Augias. Antonio Scurati, vincitore del Premio Strega 2019, ha presieduto il seggio di voto.

Il totale delle preferenze espresse dai giurati, pari a 605 (con una percentuale di voto del 91,6%), ha portato alla vittoria il romanzo di Sandro Veronesi, Il colibrì (La nave di Teseo), con 200 voti. Seguono: Gianrico Carofiglio, La misura del tempo (Einaudi) 132 voti; Valeria Parrella, Almarina (Einaudi), 86 voti; Gian Arturo Ferrari, Ragazzo italiano (Feltrinelli), 70 voti; Daniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza (Mondadori), 67 voti; Jonathan Bazzi, Febbre (Fandango Libri), 50 voti.

Questo risultato comprende i voti dei 400 Amici della domenica, di 200 votanti all’estero selezionati da 20 Istituti italiani di cultura, 40 lettori forti selezionati da 20 librerie indipendenti e 20 voti collettivi di biblioteche, università e circoli di lettura (15 i circoli coordinati dalle Biblioteche di Roma), per un totale di 660 aventi diritto.

Fra i nuovi Amici della domenica entrati quest’anno nella giuria del premio, gli scrittori Benedetta CibrarioAlberto Rollo, finalisti rispettivamente nelle edizioni 2019 e 2017, lo storico e presidente della casa editrice Einaudi Walter Barberis, l’italianista Marco Bazzocchi, il direttore di Rai Uno Stefano Coletta, l’amministratore delegato di Marsilio Editori Luca De Michelis, il giornalista e portavoce del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Gianluca Lioni, la presidente della Fondazione MAXXI Giovanna Melandri, la presidente della Roma Lazio Film Commission Cristina Priarone, la giornalista e conduttrice radiofonica Alessandra Tedesco, lo storico dell’arte Vincenzo Trione.

«La serata finale di questa edizione dello Strega, ma innanzi tutto il lavoro svolto in questi mesi dagli autori – e non mi riferisco solo ai finalisti, ma a tutti i partecipanti allo Strega di quest’anno, che generosamente si sono resi disponibili a tanti incontri online con i votanti e con gli studenti e che stasera desidero ringraziare – hanno dimostrato quanto in questo momento siano importanti gli spunti di riflessione e le emozioni offerte dei libri, per afferrare il significato profondo del passaggio che stiamo attraversando e per recuperare i valori da cui ripartire e su cui costruire una comunità più coesa», ha dichiarato Giovanni Solimine, presidente della Fondazione Maria e Goffredo Bellonci.

«Siamo molto orgogliosi dell’edizione di quest’anno del Premio Strega – sottolinea a questo proposito Giuseppe D’Avino, presidente di Strega Alberti. – Solo fino a qualche settimana fa non speravamo di poter allestire la finale al Museo Etrusco di Villa Giulia, e invece, anche se in forma ridotta e con tutte le precauzioni del caso, siamo riusciti a farlo. In qualche modo la situazione ricorda le primissime edizioni del premio: oggi come allora, dopo un periodo difficilissimo, un segnale di riscatto che viene dalla cultura e dalle imprese».

Nel corso della serata Stefano Rossetti, Vicedirettore generale vicario di BPER Banca, ha consegnato agli autori finalisti un riconoscimento speciale. Si tratta della scultura della giovane artista dell’Accademia di Belle Arti di Roma Sofia Felice, ispirata alla caratteristica “S” del logo Strega, replicata per l’occasione in sei esemplari. L’opera è stata realizzata e selezionata grazie a un concorso di idee indetto dall’istituto di credito rivolto alle venti Accademie statali italiane di Belle Arti per la realizzazione di una scultura ispirata al mestiere di scrivere e all’importanza della promozione della lettura.

Il vincitore farà tappa in diverse località italiane particolarmente attive sul territorio nella promozione della lettura e che collaborano da anni con il Premio. Sarà ospite a: Il libro possibile, Polignano (9 luglio), Festival Armonia del Salento, Alessano (dal 10 al 12 luglio, un weekend dedicato ai dodici candidati del Premio); Come il vento nel mare, Cori (13 luglio); Festival Letteratura, Salerno (18 luglio); Una montagna di libri, Cortina d’Ampezzo (6/7 agosto), Benevento Città Spettacolo, dal 24 al 30 agosto, che martedì 25 ospiterà anche il vincitore del Premio Strega Giovani Daniele Mencarelli; La città dei lettori, Firenze (28 agosto, una giornata dedicata al Premio Strega, Premio Strega Giovani e Premio Strega Ragazze e Ragazzi); UlisseFest, Rimini (29 agosto).

L’immagine che accompagna la LXXIV edizione del Premio Strega quest’anno è stata realizzata da Emiliano Ponzi, tra i più importanti disegnatori contemporanei, che ha immaginato, pur in continuità con l’urna disegnata da Mino Maccari nel 1947, una nuova Strega e un diverso rapporto di equilibrio con la Musa. L’illustrazione s’inserisce nel solco di un progetto inaugurato in occasione della settantesima edizione da Manuele Fior e proseguito da Franco Matticchio, Riccardo Guasco e Alessandro Baronciani.

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SPECIALE PREMIO STREGA 2020: le interviste ai finalisti http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/07/01/speciale-premio-strega-2020-le-interviste-ai-finalisti/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/07/01/speciale-premio-strega-2020-le-interviste-ai-finalisti/#comments Wed, 01 Jul 2020 14:48:26 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8528 Image from LETTERATITUDINE (di Massimo Maugeri)

Premio Strega 2020LE INTERVISTE AI SEI FINALISTI DELL’EDIZIONE 2020 DEL PREMIO STREGA

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Sono i sei libri che si contenderanno la finale di giovedì 2 luglio al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia e in diretta su Rai 3 (di seguito elencati per ordine di cognome dell’autore/autrice):

Jonathan Bazzi, Febbre (Fandango Libri)

Gianrico Carofiglio, La misura del tempo (Einaudi)

Gian Arturo Ferrari, Ragazzo italiano (Feltrinelli)

Daniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza (Mondadori)

Valeria Parrella, Almarina (Einaudi)

Sandro Veronesi, Il colibrì (La nave di Teseo)

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In attesa di conoscere quale sarà il libro vincitore, ecco le interviste radiofoniche di Letteratitudine ai sei finalisti. Le interviste sono state trasmesse su Radio Polis Italia nell’ambito dell’omonimo programma Letteratitudine curato e condotto da Massimo Maugeri (post produzione di Federico Marin)


Libro Febbre Jonathan BazziJonathan Bazzi, Febbre (Fandango Libri)

[per ascoltare l'intervista radiofonica, clicca qui]

Un libro spiazzante, sincero e brutale, che costringerà le nostre emozioni a un coming out

Jonathan ha 31 anni nel 2016, un giorno qualsiasi di gennaio gli viene la febbre e non va più via, una febbretta, costante, spossante, che lo ghiaccia quando esce, lo fa sudare di notte quasi nelle vene avesse acqua invece che sangue. Aspetta un mese, due, cerca di capire, fa analisi, ha pronta grazie alla rete un’infinità di autodiagnosi, pensa di avere una malattia incurabile, mortale, pensa di essere all’ultimo stadio. La sua paranoia continua fino al giorno in cui non arriva il test dell’HIV e la realtà si rivela: Jonathan è sieropositivo, non sta morendo, quasi è sollevato

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Libro La misura del tempo Gianrico CarofiglioGianrico Carofiglio, La misura del tempo (Einaudi)

[per ascoltare l'intervista radiofonica, clicca qui]

Un romanzo magistrale. Una scrittura inesorabile e piena di compassione

Tanti anni prima Lorenza era una ragazza bella e insopportabile, dal fascino abbagliante. La donna che un pomeriggio di fine inverno Guido Guerrieri si trova di fronte nello studio non le assomiglia. Non ha nulla della lucentezza di allora, è diventata una donna opaca. Gli anni hanno infierito su di lei e, come se non bastasse, il figlio Iacopo è in carcere per omicidio volontario. Guido è tutt’altro che convinto, ma accetta lo stesso il caso; forse anche per rendere un malinconico omaggio ai fantasmi, ai privilegi perduti della giovinezza. Comincia cosí, quasi controvoglia, una sfida processuale ricca di colpi di scena, un appassionante viaggio nei meandri della giustizia, insidiosi e a volte letali.

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Libro Ragazzo italiano Gian Arturo FerrariGian Arturo Ferrari, Ragazzo italiano (Feltrinelli)

[per ascoltare l'intervista radiofonica, clicca qui]

Ferrari ricostruisce un’Italia ancora viva nella memoria profonda del Paese

La vita di Ninni, figlio del dopoguerra, attraversa le durezze da prima Rivoluzione industriale della provincia lombarda, il tramonto della civiltà rurale emiliana, l’esplosione di vita della Milano socialdemocratica. E insieme Ninni impara a conoscere le insidie degli affetti, la sofferenza, persino il dolore, che si cela anche nei legami più prossimi. Da ragazzino, grazie alla nonna, scopre di poter fare leva sull’immenso continente di esperienze e di emozioni che i libri gli spalancano di fronte agli occhi. Divenuto consapevole di sé e della sua faticosa autonomia, il ragazzo si scava, all’insegna della curiosità e della volontà di sapere, quello che sarà il proprio posto nel mondo. Nella storia di Ragazzo italiano si riflette la storia dell’intero Paese, l’asprezza, la povertà, l’ansia di futuro, la vicenda di una generazione figlia della guerra ma determinata a proiettare progetti e sogni oltre quella tragedia.

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Libro Tutto chiede salvezza Daniele MencarelliDaniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza (Mondadori) – vincitore del Premio Strega Giovani

[per ascoltare l'intervista radiofonica, clicca qui]

Un’intensa storia di sofferenza e speranza, interrogativi brucianti e luminosa scoperta

Ha vent’anni Daniele quando, in seguito a una violenta esplosione di rabbia, viene sottoposto a un TSO: trattamento sanitario obbligatorio. È il giugno del 1994, un’estate di Mondiali. Al suo fianco, i compagni di stanza del reparto psichiatria che passeranno con lui la settimana di internamento coatto: cinque uomini ai margini del mondo. Personaggi inquietanti e teneri, sconclusionati eppure saggi, travolti dalla vita esattamente come lui. Come lui incapaci di non soffrire, e di non amare a dismisura. Dagli occhi senza pace di Madonnina alla foto in bianco e nero della madre di Giorgio, dalla gioia feroce di Gianluca all’uccellino resuscitato di Mario. Sino al nulla spinto a forza dentro Alessandro.

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Libro Almarina Valeria ParrellaValeria Parrella, Almarina (Einaudi)

[per ascoltare l'intervista radiofonica, clicca qui]

Forse una piccola storia d’amore, forse una grande lezione sulla possibilità di non fermarsi

Può una prigione rendere libero chi vi entra? Elisabetta insegna matematica nel carcere minorile di Nisida. Ogni mattina la sbarra si alza, la borsa finisce in un armadietto chiuso a chiave insieme a tutti i pensieri e inizia un tempo sospeso, un’isola nell’isola dove le colpe possono finalmente sciogliersi e sparire. Almarina è un’allieva nuova, ce la mette tutta ma i conti non le tornano: in quell’aula, se alzi gli occhi vedi l’orizzonte ma dalla porta non ti lasciano uscire. La libertà di due solitudini raccontata da una voce calda, intima, politica, capace di schiudere la testa e il cuore. Esiste un’isola nel Mediterraneo dove i ragazzi non scendono mai a mare. Ormeggiata come un vascello, Nisida è un carcere sull’acqua, ed è lí che Elisabetta Maiorano insegna matematica a un gruppo di giovani detenuti.

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Libro Il colibrì Sandro VeronesiSandro Veronesi, Il colibrì (La nave di Teseo)

[per ascoltare l'intervista radiofonica, clicca qui]

Un romanzo potentissimo che incanta e commuove sulla forza struggente della vita

Il colibrì è tra gli uccelli più piccoli al mondo; ha la capacità di rimanere quasi immobile, a mezz’aria, grazie a un frenetico e rapidissimo battito alare (dai 12 agli 80 battiti al secondo). La sua apparente immobilità è frutto piuttosto di un lavoro vorticoso, che gli consente anche, oltre alla stasi assoluta, prodezze di volo inimmaginabili per altri uccelli come volare all’indietro… Marco Carrera, il protagonista del nuovo romanzo di Sandro Veronesi, è il colibrì. La sua è una vita di perdite e di dolore; il suo passato sembra trascinarlo sempre più a fondo come un mulinello d’acqua. Eppure Marco Carrera non precipita: il suo è un movimento frenetico per rimanere saldo, fermo e, anzi, risalire, capace di straordinarie acrobazie esistenziali.

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PREMIO STREGA 2020: I SEI FINALISTI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/06/09/premio-strega-2020-i-sei-finalisti/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/06/09/premio-strega-2020-i-sei-finalisti/#comments Tue, 09 Jun 2020 18:07:58 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8508 Premio Strega 2020ECCO I SEI FINALISTI DELL’EDIZIONE 2020 DEL PREMIO STREGA:

Sandro Veronesi, Gianrico Carofiglio, Gian Arturo Ferrari, Valeria Parrella, Daniele Mencarelli. Alla classica cinquina (per via dell’applicazione dell’art. 7 del regolamento del Premio) si aggiunge Jonathan Bazzi (in quanto autore del libro pubblicato da un piccolo-medio editore che ha ottenuto più voti).

Il vincitore del “Premio Strega Giovani” è Daniele Mencarelli con il romanzo Tutto chiede salvezza (Mondadori)

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La prima votazione del Premio Strega 2020, promosso dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e da Liquore Strega con il contributo della Camera di Commercio di Roma e in collaborazione con BPER Banca, si è conclusa martedì 9 giugno. Gli autori finalisti alla LXXIV edizione del Premio sono stati annunciati sul sito di Rai Cultura (www.raicultura.it) e su quello del Premio Strega (www.premiostrega.it) a partire dalle ore 18.30 in diretta streaming dalla Camera di Commercio di Roma – Sala del Tempio di Adriano.

Image from LETTERATITUDINE (di Massimo Maugeri)

Secondo le attuali disposizioni governative lo scrutinio non si è potuto svolgere alla presenza del pubblico. Per questa ragione i giurati hanno potuto esprimere il loro voto unicamente per via telematica entro le ore 13 del 9 giugno stesso.

Alla diretta streaming hanno partecipato tutti gli autori candidati (con l’eccezione di Remo Rapino, assente per motivi personali e sostituito dal suo editore Daniele Di Gennaro), intervistati da Loredana Lipperini, scrittrice e giornalista di Radio Tre.

In apertura, il Presidente della Camera dei Deputati Roberto Fico ha annunciato il vincitore del Premio Strega Giovani 2020, proclamato sin dalla prima edizione nel 2014 a Palazzo Montecitorio. Quest’anno il premio è andato a Daniele Mencarelli per il romanzo Tutto chiede salvezza (Mondadori).

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La sestina finalista del Premio Strega 2020

Sono i sei libri che accederanno alla finale di giovedì 2 luglio al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia e in diretta su Rai 3. Alla cinquina, infatti, (per via dell’applicazione dell’art. 7 del regolamento del Premio) si aggiunge Jonathan Bazzi (in quanto autore del libro pubblicato da un piccolo-medio editore che ha ottenuto più voti).

Hanno espresso il proprio voto esclusivamente online 592 tra persone singole e voti collettivi, su 660 aventi diritto (400 Amici della domenica, ai quali si aggiungono 200 voti espressi da studiosi, traduttori e intellettuali italiani e stranieri selezionati da 20 Istituti italiani di cultura all’estero40 lettori forti selezionati da 20 librerie indipendenti distribuite in tutta Italia, 20 voti collettivi espressi da scuole, università e gruppi di lettura, tra cui 15 circoli costituiti presso le Biblioteche di Roma).

Il totale dei voti espressi ha determinato i finalisti alla LXXIV edizione del premio:

Sandro Veronesi, Il colibrì (La nave di Teseo) con 210 voti
Gianrico Carofiglio, La misura del tempo (Einaudi) con 199 voti
Valeria Parrella, Almarina (Einaudi) con 199 voti
Gian Arturo Ferrari, Ragazzo italiano (Feltrinelli) con 181 voti
Daniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza (Mondadori) con 168 voti
Jonathan Bazzi, Febbre (Fandango Libri) con 137 voti

Come accennato, accedono alla seconda votazione sei libri anziché cinque secondo l’art. 7 del regolamento di votazione: Se nella graduatoria dei primi cinque non è compreso almeno un libro pubblicato da un editore medio-piccolo (così definito secondo la classificazione delle associazioni di categoria e le conseguenti valutazioni del comitato direttivo), accede alla seconda votazione il libro (o in caso di ex aequo i libri) con il punteggio maggiore, dando luogo a una finale a sei (o più) candidati.

Giovanni Solimine, presidente della Fondazione Bellonci, ha dichiarato: “In questi ultimi anni il panorama dell’editoria italiana ha subito notevoli trasformazioni e si è arricchito di nuove presenze. Per esempio, La nave di Teseo in meno di cinque anni è riuscita a conquistare una posizione di rilievo nella produzione della narrativa italiana, che trova conferma anche nel fatto che i suoi libri da qualche anno sono presenti regolarmente tra i finalisti del Premio Strega. Di qui la decisione del Comitato direttivo di non considerarlo più un piccolo editore. Un altro fenomeno interessante – ha aggiunto Solimine – è la vivacità della piccola e media editoria, che offre costantemente novità di qualità e propone nuovi autori molto interessanti. In questa LXXIV edizione la dozzina prevedeva alcuni libri con queste caratteristiche e siamo molto contenti che, in un anno certo non facile per il mercato librario e per la piccola editoria indipendente, il libro di Jonathan Bazzi abbia potuto accedere alla seconda fase della competizione”.

Non è la prima volta che giunge in finale una sestina. Era accaduto per un ex aequo al quinto posto della prima votazione nel 1953, 1960, 1961, 1963, 1979, 1986 e 1999.

Questi i voti ottenuti dagli altri libri in gara: Marta Barone, Città sommersa (Bompiani) 142 voti, Giuseppe Lupo, Breve storia del mio silenzio (Marsilio) 126 voti, Silvia Ballestra, La nuova stagione (Bompiani) 122 voti, Remo Rapino, Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio (Minimum Fax) 109 voti, Gian Mario Villalta, L’apprendista (SEM) 93 voti, Alessio Forgione, Giovanissimi (NN Editore) 90 voti.

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VII EDIZIONE DEL PREMIO STREGA GIOVANI

Daniele Mencarelli con il romanzo Tutto chiede salvezza (Mondadori) è il vincitore della settima edizione del Premio Strega Giovani, promosso dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e da Strega Alberti con il contributo della Camera di Commercio di Roma e in collaborazione con BPER Banca. Il vincitore è stato annunciato in apertura della diretta dal Presidente della Camera dei Deputati Roberto Fico, collegato da remoto, rispettando la tradizione che negli anni precedenti ha visto svolgersi la cerimonia di proclamazione sempre a Palazzo Montecitorio.

Quello di Daniele Mecarelli, con 64 preferenze su 344 voti espressi, è stato il libro più votato da una giuria di ragazze e ragazzi tra i sedici e i diciotto anni provenienti da cinquantotto scuole secondarie superiori distribuite in undici regioni italiane e tre città all’estero (Berlino, Bruxelles, Parigi). Hanno concorso per il riconoscimento i dodici libri candidati al Premio Strega. Al secondo e al terzo posto si sono classificati i libri di Gianrico Carofiglio, La misura del tempo (Einaudi), con 56 voti e di Jonathan Bazzi, Febbre (Fandango), con 43 voti. La terzina ottiene un voto valido per l’elezione dei finalisti alla LXXIV edizione del Premio Strega.

In questa settima edizione, svoltasi in condizioni del tutto particolari a causa della chiusura degli istituti scolastici, i giovani giurati hanno potuto incontrare gli autori attraverso una piattaforma online, ospiti dell’associazione di scrittrici e scrittori Piccoli Maestri.

Prima dell’annuncio del vincitore il Vice Direttore Generale di BPER Banca Stefano Rossetti ha assegnato il premio Teen! Un premio alla scrittura a Claudia Teti del Liceo Statale Terenzio Mamiani di Roma, autrice della miglior recensione. Claudia ha ritirato la targa al Tempio di Adriano congratulandosi con l’autore che ha votato, Daniele Mencarelli. Riceverà inoltre una borsa di studio offerta dalla Banca.

BPER Banca rafforza il suo sostegno al Premio assegnando un riconoscimento speciale agli autori finalisti. Anche quest’anno, grazie al coinvolgimento delle venti Accademie di Belle Arti statali nazionali, ha indetto un concorso per la realizzazione di una scultura ispirata al mestiere di scrivere e all’importanza della promozione della lettura. La studentessa vincitrice di questa edizione è Sofia Felice dell’Accademia di Belle Arti di Roma. Riceverà da BPER Banca un premio in denaro, ma soprattutto vedrà realizzata la propria opera che sarà donata agli autori finalisti nel corso della serata finale del premio che anche quest’anno si svolgerà giovedì 2 luglio al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia e in diretta su Rai 3.

L’immagine che accompagna la LXXIV edizione del Premio Strega è stata realizzata da uno dei disegnatori italiani più apprezzati al livello internazionale, Emiliano Ponzi, nel segno di un progetto inaugurato in occasione della settantesima edizione con Manuele Fior, e proseguito con Franco Matticchio, Riccardo Guasco e Alessandro Baronciani.

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PIU’ LIBRI, PIU’ LIBERI 2019 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/12/04/piu-libri-piu-liberi/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/12/04/piu-libri-piu-liberi/#comments Wed, 04 Dec 2019 16:20:25 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/12/04/letteratitudine-il-libro-alla-fiera-romana-piu-libri-piu-liberi/ Torna “Più libri, più liberi“, la Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria: Roma Convention Center / Eur– La Nuvola – dal 4 all’8 dicembre 2019

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Riproponiamo lo spazio di Letteratitudine dedicato a uno dei più importanti eventi “libreschi” dell’anno. Tra i commenti troverete: notizie, avvisi e contributi di vario genere.

Dal sito della fiera leggiamo quanto segue…

Delle circa 60 mila novità editoriali prodotte ogni anno in Italia solo 3 mila sono facilmente reperibili nelle librerie. Per lo più si tratta dei best seller editi da Case editrici che possono giovarsi di politiche commerciali aggressive e di campagne di promozione molto incisive. Da questa considerazione nasce Più libri più liberi che ogni anno dal 2002, all’inizio di dicembre, riunisce in un unico luogo il meglio della produzione editoriale indipendente italiana.

Più libri più liberi nasce per espressa richiesta ed intuizione di un gruppo di imprese (in questo caso le Case editrici romane) che in tal modo intendono reagire per una volta non individualmente, ma “facendo sistema”, ad un impianto commerciale che le penalizza, creando attraverso la loro associazione di categoria un nuovo strumento di comunicazione e di marketing che valorizzi il frutto della loro attività: il libro“.

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OMAGGIO A LEONARDO SCIASCIA (e al crollo del Muro di Berlino) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/11/18/muro-e-sciascia/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/11/18/muro-e-sciascia/#comments Mon, 18 Nov 2019 15:57:11 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=1304 30 ANNI SENZA MURO, 30 ANNI SENZA SCIASCIA

muro-e-sciascia

Nel novembre del 2009 pubblicai il post che potete leggere di seguito, unendo due ricorrenze molto importanti.

La prima (come scrissi nel post in questione) riguardava un evento epocale, uno dei più importanti della storia recente: il crollo del Muro di Berlino, avvenuto il 9 novembre del 1989 (la ricorrenza del trentennale è stata celebrata qualche giorno fa).

La seconda segnava l’anniversario della morte di un grande della nostra letteratura, che si celebrerà tra un paio di giorni: Leonardo Sciascia (scomparso il 20 novembre del 1989).

Vi ripropongo il post in questione.

Massimo Maugeri

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sciascia-muro-berlino1Ci voglio provare. Voglio provare a unire due ricorrenze che si incrociano in questo mese di novembre dell’anno 2009.
La prima riguarda un evento epocale, uno dei più importanti della storia recente: il crollo del Muro di Berlino (avvenuto il 9 novembre di vent’anni fa).
La seconda segna il ventennale della morte di un grande della nostra letteratura: Leonardo Sciascia (scomparso il 20 novembre del 1989).
Due eventi collegati dal decorso di due decadi, ma non solo (in un modo o nell’altro, sia Sciascia, sia la caduta di quel muro, hanno contribuito all’abbattimento di barriere).

Sciascia morì undici giorni dopo la caduta del muro di Berlino. Mi chiedo se ebbe il tempo (e la possibilità) di ragionare con il dovuto grado di analisi sulla portata storica dell’evento. Un evento che riunificava una città (Berlino), una nazione (la Germania), un continente (l’Europa) segnati da una piaga profonda e dolorosa.
Un evento che avrebbe rivoluzionato gli equilibri geopolitici del pianeta.
Vi domando…
Che effetto vi fa, oggi, ripensare alla caduta del Muro di Berlino?
Cosa pensaste – e provaste – quel giorno?
Le speranze che ne conseguirono, fino a che punto si sono tramutate in realtà? Quali, tra queste speranze, sono rimaste disattese?


Di seguito, alcuni video… (vi invito a riportate citazioni e contributi di qualunque tipo su questo evento). Nel corso della discussione ne approfitterò anche per presentarvi un doppio sogno che lega Europa e Letteratura…

E poi vi invito a ricordare Leonardo Sciascia (riportate pure citazioni e contributi a lui dedicati).

Anche in questo caso vi (pro)pongo alcune domande…

Qual è, a vostro avviso, l’eredità principale che ha lasciato Sciascia?

Tra le sue opere, qual è quella che preferite?

E quella che – a prescindere dalle preferenze personali – considerate la più importante?

Quale libro di Sciascia proporreste a un/a ragazzo/a che non lo ha mai letto?

Tra i video disponibili ho scelto questo (sul “rapporto tra democrazia e assolutismi”;  in coda al post ne troverete un altro su “la Sicilia come metafora”).

Di seguito segnalerò alcune pubblicazioni, in tema con questo post… tra cui il volume “Sciascia e la cultura spagnola” (Edizioni La Cantinella) di Estela Gonzàlez de Sande – di seguito recensito da Laura Marullo – e l’audiolibro di “A ciascuno il suo” (Il Narratore audiolibri) di Leonardo Sciascia. Ma è possibile che questa sezione verrà aggiornata nel corso della settimana. Non è esclusa, inoltre, la partecipazione di ospiti speciali.
Massimo Maugeri

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«Leonardo Sciascia e la cultura spagnola» di Estela González De Sande
Hispanidad ovvero sicilitudine

di Laura Marullo

sciascia-e-letteratura-spagnola“Avevo la Spagna nel cuore” scriveva Leonardo Sciascia confessando, con inconsueto slancio emotivo, una bruciante passione per quel luogo dell’anima e “morada de la vida”, in cui “hispanidad” fa rima con “sicilitudine”, considerato non a caso rifrazione speculare della Sicilia, poiché “se la Spagna è, come qualcuno ha detto, più che una nazione un modo di essere, è un modo di essere anche la Sicilia; e il più vicino che si possa immaginare al modo di essere spagnolo”. L’amore di Sciascia per la Spagna è oggetto dell’interessante volume di Estela González De Sande, “Leonardo Sciascia e la cultura spagnola”, edito da la Cantinella con introduzione di Sarah Zappulla Muscarà e fotografie di Giuseppe Leone (pp. 240), che registra puntualmente gli innumerevoli segni di un sentimento che si colora di svariate sfumature, trascorrendo dalla “fraternità” intellettuale alla passione civile alla denuncia del dolore umano, cementato da esperienze storiche e letterarie di cui è traccia nell’affollato citazionismo di un autore che ha fatto del “riscrivere” la sua cifra poetica.
Seppure meno nota rispetto alla discendenza francese, l’influenza della cultura spagnola è parimenti fondamentale nella formazione umana e intellettuale di Sciascia, offrendogli più efficaci strumenti per quella ricerca della “verità” costantemente al centro del suo impegno di uomo e di scrittore. Lo documenta l’analisi comparativa di Estela González De Sande, Docente di Lingua e Letteratura Italiane nell’Università di Oviedo (Spagna) che a Sciascia ha dedicato importanti contributi, avviando una ricognizione capillare dell’opera del racalmutese di cui rubrica il dialogo ininterrotto con una cultura consustanziale a quella siciliana che risuona degli echi di antiche affinità elettive.
Suddiviso in due parti, la prima dedicata alla conoscenza della storia, della lingua, delle tradizioni, dell’arte spagnole e la seconda rivolta all’individuazione della pervasiva presenza della letteratura spagnola nella produzione dello scrittore siciliano, l’itinerario critico della studiosa getta fasci di luce su questioni cruciali dell’esegesi sciasciana, dimostrando come la specola ispanica nutra istanze letterarie, ideologiche, morali che l’autore sottopone a verifica proprio nell’approcciarsi alla Spagna, modello gnoseologico, mitico, interpretativo, cui rivolgerà sempre un culto devoto.
È infatti dall’Inquisizione come dalla guerra di Spagna che scaturisce il suo atto d’accusa nei confronti dell’impostura della storia, mentre la lezione dei grandi classici ne sostanzia il disincantato raziocinare: Cervantes col suo “libro unico” che dà “la gioia delle illusioni”, Ortega y Gasset da cui apprende la “capacità di spiegare tutto, di chiarire”, Castro riconosciuto “tra i pochi e i buoni maestri che ho avuto”, Azaña di cui ammira “ragione e diritto nella lotta”. E ancora, fra i numerosi altri, Unamuno e il suo razionalismo angosciato, la “splendida pleiade della generazione del ‘27″, e infine Borges, “lo scrittore più significativo del nostro tempo, delle nostre vertigini”, e l’amico Montalbán.
Uno “straordinario viaggio di conoscenza”, per usare la felice immagine di Sarah Zappulla Muscarà che sottolinea come la scoperta della Spagna, “corteggiata con lucida passione dall’innamorato Sciascia”, faccia prevalere, “come un primo amore intenso e disperato”, una componente emozionale tenacemente controllata dalla vigile attività censoria della controparte illumista.
Entelechia di una appassionata storia d’amore, le splendide immagini di Giuseppe Leone, l’amico fotografo che ha accompagnato Sciascia nel suo viaggio in terra iberica del 1984, restituiscono, nella duplice identità documentaria e narrativa, la singolare esperienza viatoria del partire per restare, per meglio conoscere, attraverso la Spagna, la Sicilia.
Laura Marullo
Da LA SICILIA del 7 giugno 2009

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Leonardo Sciascia – A ciascuno il suo
Audiolibro
Voce narrante: Massimo Malucelli
Durata: 4h 19’
Prezzo CDMP3: 19.99 €

aciascunoilsuo_cdowIn occasione del ventesimo anniversario della morte del grande scrittore e intellettuale siciliano, il Narratore propone in audiolibro (lettura di Massimo Malucelli) uno dei romanzi più conosciuti e apprezzati di Leonardo Sciascia. Pubblicato nel 1966, A ciascuno il suo traccia, attraverso l’indagine di un tranquillo uomo qualunque su un duplice omicidio apparentemente inspiegabile, il profilo di una mafia che ha ormai intriso l’intero sistema di potere, non soltanto la politica e l’economia siciliane, ma la stessa amministrazione centrale, i partiti politici e la burocrazia romana. Sullo sfondo, l’analisi minuziosa dell’animo siciliano, la contiguità di vita e morte, il mito carnale della donna. (Per dettagli e info, cliccare qui e qui).

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Il muro di Berlino. 13 agosto 1961-9 novembre 1989 (Mondadori)
di Taylor Frederick

Nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1961, nell’inquietante scenario di un mondo sull’orlo della distruzione atomica, Berlino venne tagliata in due da un reticolo di filo spinato che separò, talvolta per sempre, genitori e figli, fratelli, amici e amanti. L’operazione, tanto inattesa quanto fulminea, riuscì grazie alla perfetta efficienza con cui fu compiuta. Lo scopo dichiarato di Walter Ulbricht, il leader tedesco orientale che l’aveva ordinata, era porre fine al continuo esodo di popolazione verso la parte occidentale della città (ancora controllata dalle forze armate di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia), unico ponte per raggiungere la ricca Germania Ovest. La mossa si rivelò vincente: nonostante l’angosciato sgomento di 4 milioni di berlinesi e lo sdegno dell’opinione pubblica mondiale, divenne subito chiaro che ogni reazione era di fatto impossibile, e comunque troppo rischiosa. Intrecciando dati ufficiali, fonti d’archivio e testimonianze personali, Frederick Taylor racconta tre decenni della storia di una capitale e di una grande nazione europea che, in un lungo e tormentatissimo dopoguerra, improvvisamente si trovarono spaccate a metà. Oltre che sulle trame politiche, l’interesse di Taylor si concentra sulla vita quotidiana, sulle paure e sulle speranze dei berlinesi prigionieri che, con sempre più ingegnosi e disperati tentativi di fuga, favorirono paradossalmente la trasformazione dell’originario reticolato nell’alto muro che li avrebbe privati a lungo della libertà.

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AGGIORNAMENTO DEL 23/11/2009

Aggiorno il post per presentare altri due ospiti (nella parte del dibattito dedicato a Sciascia): Marcello Benfante e Daniela Privitera, autori di due libri dedicati a Leonardo Sciascia (seguono schede). Avremo modi di conoscere i due autori nell’ambito della discussione già sviluppatasi in questo post.

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LEONARDO SCIASCIA di Marcello Benfante
Gaffi editore, Prezzo: 13.50 Euro, pagg. 182, 2009

Leonardo Sciascia. Appunti su uno scrittore eretico - Marcello Benfante - copertinaA vent’anni dalla morte (Palermo 20/11/1989), una riflessione appassionata e puntuale sul valore civile della scrittura e sull’enorme apporto di Leonardo Sciascia all’Italia del Secolo Breve. Un bilancio sul segno lasciato da questa scomparsa in venti anni di storia contemporanea passata solo apparentemente senza lasciare traccia. Chi è oggi “l’autore”? Che rapporto ha con la politica, la società, i suoi stessi lettori? Ha ragione chi pensa a Roberto Saviano come all’erede dello scrittore di Racalmuto?
Il dibattito culturale e quello politico, la cronaca e la letteratura, le querelles sulla mafia e la giustizia, confermano continuamente l’acutezza e la lungimiranza del suo sguardo critico e del suo pessimismo analitico, non cessando di causare scandalo e aspri contraddittori.

A metà strada tra critica militante e analisi letteraria, questo profilo esamina le diverse sfaccettature della sua poliedrica opera e della sua scomoda personalità di intellettuale disorganico: la produzione narrativa e quella saggistica, gli interventi giornalistici e le controverse polemiche, la sua tormentata riflessione sui temi del diritto e quella più olimpica sulla tradizione culturale. Ne emerge un appassionante ritratto icastico, chiaroscuro, di uno scrittore complesso e sofferto, diviso tra pessimismo e impegno civile, moralismo e disincanto, distacco ironico parodico e coinvolgimento nella tragedia umana. (Chiara Di Domenico)

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Il giallo siciliano da Sciascia a Camilleri. Tra letteratura e multimedialità, di Daniela Privitera (Kronomedia, 2009,euro 10, pagg. 134)

Il saggio di Daniela Privitera è una breve escursione nei territori del giallo.
Dopo una sintetica ed agile presentazione della storia del poliziesco classico, la diegesi narrativa si concentra sulla peculiarità del giallo siciliano che, secondo l’autrice, si rivela come un genere letterario ad alto livello di entropia, in quanto scardina gli automatismi strutturali del romanzo a circuito chiuso, tipici del poliziesco. Partendo da Sciascia (maestro esemplare del giallo atipico) e passando per Bufalino, Silvana La Spina, Piazzese, Enna e Camilleri, l’autrice ritrova un filo rosso che lega i giallisti siciliani alla sofferta indagine della problematicità del reale. Il noir siculo insomma, secondo l’autrice, diventa per i Siciliani, un “pre-testo” per disquisire e interrogarsi sui perchè della giustizia (umana o soprannaturale). Il giallo pertanto, per i nostri scrittori, diventa il colore di un popolo che tra le pieghe di una scrittura barocca, ironica, raziocinante e terragna grida la sua piccola ed unica verità: l’accettazione del mistero e la rinuncia all’eterno.
La terza parte del saggio propone una rapida visione dei risvolti del poliziesco nelle realizzazioni teatrali e nelle riduzioni televisive e cinematografiche”.

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ANDREA TARABBIA VINCE IL PREMIO CAMPIELLO 2019 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/09/15/andrea-tarabbia-vince-il-premio-campiello-2019/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/09/15/andrea-tarabbia-vince-il-premio-campiello-2019/#comments Sun, 15 Sep 2019 09:00:09 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8263 Andrea Tarabbia ha vinto l’edizione 2019 del Premio Campiello con il volume “Madrigale senza suono” (Bollati Boringhieri)

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Andrea Tarabbia si aggiudica la 57a edizione del Premio Campiello; il suo Madrigale senza suono” (Bollati Boringhieri) ha beneficiato di 73 voti (sui 277 pervenuti) della Giuria Popolare di Trecento Lettori Anonimi. In seconda posizione, Giulio Cavalli, con “Carnaio” (Fandango Libri), che ha beneficiato di 60 voti. Al terzo Paolo Colagrande con “La vita dispari” (Einaudi), 54 voti. In quarta posizione, con 52 voti, Laura Pariani con “Il gioco di Santa Oca” (La nave di Teseo). Al quinto posto, Francesco Pecoraro con ‘Lo stradone’ (Ponte alle Grazie), 38 voti.

La serata della finale del Premio Campiello 2019 è stata condotta da Andrea Delogu ed è stata trasmessa in diretta su Rai Cultura, sabato 14 settembre alle 21.00 su Rai5, dal Teatro La Fenice di Venezia.

Di seguito: lo speciale di Letteratitudine con un ampio intervento in esclusiva di Andrea Tarabbia dedicato al suo “Madrigale senza suono” (Bollati Boringhieri), libro vincitore del Premio Campiello 2019

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ANDREA TARABBIA racconta il suo romanzo MADRIGALE SENZA SUONO (Bollati Boringhieri)

Vincitore del Premio Campiello 2019

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di Andrea Tarabbia

Il 20 agosto del 1613, Carlo Gesualdo, principe di Venosa, ricevette, mentre si trovava nel suo castello arroccato sulla collina della cittadina irpina di Gesualdo, la notizia della morte del figlio primogenito: Emanuele era caduto da cavallo e lasciava il padre, che detestava, senza eredi maschi. Pare che, ricevuta la notizia, Gesualdo desse mandato ai suoi segretari di redigere il suo testamento e si chiudesse, per lasciarsi morire di inedia, nella stanza dove da sempre aveva composto la sua musica sbalorditiva. Morì l’8 settembre del 1613, lasciando un feudo, una seconda moglie, Leonora d’Este, che si liberava del peso di un matrimonio di convenienza, di una solitudine sempre più feroce e della lontananza forzata dalle sue terre, sei libri di madrigali a cinque voci che sono uno dei vertici sonori della sua epoca, dei responsorii, dei mottetti e dei canti sacri, e il dubbio che quel cattivo carattere, quell’oscurità che lo circondava, quell’ipocondria manifesta e paralizzante, ma anche il genio che lo aveva attraversato mentre componeva, fossero figli di una notte, quella tra il 16 e il 17 ottobre 1590 quando, ventiquattrenne, insieme ai suoi creati aveva barbaramente ucciso, nei suoi appartamenti di piazza San Domenico a Napoli, la prima, amatissima e splendida moglie, Maria d’Avalos, e il di lei amante, Fabrizio Carafa. Secondo il diritto dell’epoca, era piena facoltà del marito cornuto uccidere moglie e amante purché i due venissero colti di sorpresa (vale a dire: purché non ci fosse premeditazione), e l’assassinio fosse figlio di un impulso, di una rabbia feroce e improvvisa, figlia della sorpresa e del disincanto.

Da tempo, tutta Napoli sapeva che Maria e Fabrizio erano amanti, e qualcuno perfino mormorava che lei portasse in grembo un figlio di Carafa. Carlo, secondo certe fonti, dovette compiere quell’omicidio per salvare la continuità del casato, e lo fece suo malgrado. Secondo altre fonti, Carlo era un diavolo tenuto al guinzaglio dalla sensualità di Maria e, ora che Maria quella sensualità la donava a qualcun altro, la sua furia doveva trovare uno sfogo nell’omicidio. Nacquero leggende su Carlo che tuttora esistono e si tramandano. Quel che è certo è che, compiuto il delitto, Carlo fuggì verso Gesualdo, vi trasferì la sua corte di musici e, ma questo non è poi così certo, fece disboscare la collina sopra la quale si arrocca il suo castello in modo da tenere sotto controllo le pianure sottostanti: temeva la voglia di vendetta della famiglia Carafa.

Così, chiuso nel suo castello, Carlo comincia a comporre. È un autodidatta, conosce perfettamente la scuola napoletana, suona la spinetta, il liuto, l’arciliuto e ha una profonda voce di basso. Si sposerà in seconde nozze con una ferrarese perché Ferrara, in quegli anni, è una delle capitali musicali d’Europa. La sua musica non è nuova, ed è cupa e complessa perfino per le orecchie più allenate: riprende la tradizione madrigalistica della sua terra e la porta allo spasimo, esagerando in cromatismi, scarti dalla norma, arditezze. Porta la musica del suo tempo in un secolo nuovo: è manierista, ma prende dal tardo rinascimento le strutture e, infestandole di suoni, le fa già quasi barocche. Carlo è qualcuno che, più o meno consapevolmente, traghetta la musica del suo tempo da un’epoca all’altra.

È un omicida ed è, allo stesso tempo, un creatore di bellezza: questo è l’argomento.

E poi ci sono streghe, amanti, lupi, cardinali, Torquato Tasso e Giordano Bruno, un pittore con uno squarcio sul volto, figli che nascono e figli che muoiono, bestie immonde (forse diaboliche, sicuramente disperate), nani che raccontano, uccellini di vetro, autopsie su giovani dissolute, duchi, musici, tappeti su cui si muovono pianeti che sono note musicali, balli sensuali e zoccoli di cavalli, dispense papali, unguenti, balsami e poculi amatori, chiese da edificare, medici chimisti, stampatori veneti e stampatori napoletani, secchie piene di frattaglie, gesuiti, frustini e scatti d’ira, saette e notti di Pasqua, processi e incatenamenti, cantori e cantatrici.

Circa tre secoli e mezzo più tardi, un uomo piccolo, parimenti ipocondriaco ma non schivo, anzi, mondano e vanitoso, e considerato, quasi senza possibilità di contestazione, come il più grande genio musicale del Novecento, scopre la musica di Gesualdo e vi si riconosce. Sono i primi anni Cinquanta, Igor’ Stravinskij ha più di settant’anni, gira il mondo, compone, beve, fuma, conta i denari, non ama gli Stati Uniti, dove vive da quasi vent’anni, ma non sembra rimpiangere la Russia (l’Unione sovietica, poi, figuriamoci) e nemmeno la Francia o la Svizzera. Pensa spesso a Venezia – Venezia è una sua ossessione e una tappa fissa dei suoi settembri. È ricco, è celebrato, eppure trova un padre musicale in un uxoricida vissuto secoli prima: si domanda, pertanto, come sia possibile che un uomo così brutale e così dionisiaco e spontaneo (quanto di più lontano ci sia da lui, che è un calcolatore) gli parli attraverso i secoli tanto da spingerlo a ricomporre le linee del sextus e del basso di tre madrigali che gli sono giunti privi di alcune voci.

A Napoli, un uomo bizzarro e innamorato del fuoco, affetto da alopecia e accompagnato da un piccolo cane nero e zoppo a cui piace la pizza, lo sprona a comprare un libro – una vita di Carlo Gesualdo che si presume sia stata scritta da un suo servitore fedele, Gioachino Ardytti, ma che forse è un apocrifo, un falso e una presa in giro: Stravinskij la acquista, la legge e leggendola la commenta, la reimmagina, scopre di essere figlio di Gesualdo e comincia a pensare di mettere in musica la musica di Gesualdo, vestendola di Novecento, poiché egli la sente istintivamente “sua”, la vede contemporanea nonostante sia stata scritta trecentocinquant’anni prima. L’idea che lo prende lo porterà a eseguire, a Venezia nel settembre del 1960, quel Monumentum pro Gesualdo da Venosa ad CD annum che è la ricomposizione, per strumenti, di tre madrigali gesualdiani.

E questo è l’altro argomento: la composizione come ricomposizione, la scrittura come rapporto con il passato, la creazione come traduzione.

E qui ci sono scimmie, foche, vulcani che eruttano, guerre mondiali, cagnetti zoppi e forse saggi, uomini-uccello, studiosi di musica rinascimentale, Aldous Huxley e Wystan Auden, Robert Craft, Vera Stravinskij, Charles-Ferdinad Ramuz e una certa Catherine, Dostoevskij seduto su un vecchio divano in una casa sul canale Krjukov, a Pietroburgo, la Biennale di Venezia, Londra e New York come impedimenti alla composizione, i colori che hanno le opere, armonie e disarmonie, soprani col singhiozzo, traduttrici italo-americane e infermiere odessite, contralti e mezzosoprani che imparano a cantare facendo «AWWWWWSSSSSH» e «AWWWWWARK».
Questo è, per sommi capi, ciò di cui Madrigale senza suono parla.

Madrigale contiene due lettere (una lunga), una cronaca che è il protocollo di venti giorni e quarantasette anni, e che si specchia in commenti che compongono quasi un diario.
Ci sono parti gotiche e parti buffe, e c’è il mio consueto, piccolo bestiario. C’è la storia, la biografia documentata, ma impastata di leggende e dicerie popolari, e a volte questi due aspetti diventano uno.
Soprattutto, è un romanzo fatto per voci, perché chiude un percorso: quello iniziato nel 2011 con Il demone a Beslan e proseguito quattro anni più tardi con Il giardino delle mosche; là, nel Demone, c’era una voce monologante contraddetta da altre; nel Giardino, la lunga confessione di Čikatilo era nel finale ripresa e ribaltata da un altro io narrante; in Madrigale, le voci sono tante (dopotutto, un madrigale può avere cinque, sei, perfino sette voci): la principale è forse inattendibile e falsa, le altre si intrecciano su di lei, la seguono, la commentano, la confutano – ne fanno insomma il contrappunto.
Porta per sottotitolo Morte di Carlo Gesualdo, principe di Venosa perché il Giardino era una possibile Vita di Andrej Čikatilo. Ci deve essere continuità tra i libri di un autore: benché siano opere indipendenti l’una dall’altra, diverse per voce e ambiente ma non per ambizione, fanno parte di un’opera più grande, di cui sono capitoli. Insomma: i libri sono tanti, l’opera è una.

Finisco dicendo che non so bene dire perché io mi sia innamorato di Carlo Gesualdo: di sicuro, mi sono avvicinato a lui perché attratto, prima che dalla musica, dalla sua vita, ma poi è successo qualcos’altro. Senza dubbio non avrei scritto il libro se non avessi incrociato, studiando il principe, Igor’ Stravinskij: l’80% di Madrigale parla di Gesualdo, ma è Stravinskij la chiave grazie alla quale sono entrato nel romanzo: Stravinskij è il Novecento, secolo di elezione, ma soprattutto è qualcuno che mi ha permesso di non fare un romanzo del tutto storico. Senza di lui, avrei avuto a disposizione semplicemente una grande storia secentesca; con lui, ho potuto creare una relazione a distanza, un gioco di rimandi tra due secoli e due anime, per così dire. È in questa relazione, in questo strambo rapporto padre-figlio che sta il senso di Madrigale senza suono e la ragione per cui è stato scritto.

(Riproduzione riservata)

© Andrea Tarabbia

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La scheda del libro

La musica più pura, il più efferato dei delitti, in un gioco di specchi potente e sottilissimo.

Un uomo solo, tormentato, compie un efferato omicidio perché obbligato dalle convenzioni del suo tempo. Da lì scaturisce, inarginabile, il suo genio artistico. Gesualdo da Venosa, il celebre principe madrigalista vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento, è il centro attorno a cui ruota il congegno ipnotico di questo romanzo gotico e sensuale. Come può, è la domanda scandalosa sottesa, il male dare vita a tale e tanta purezza sopra uno spartito? Per vendicare l’onore e il tradimento, il principe di Venosa uccide Maria D’Avalos, dopo averla sposata con qualche pettegolezzo e al tempo stesso con clamore. Fin qui la Storia. Il resto è la nostalgia che ne deriva, la solitudine del principe: è lì, nel sangue e nel tormento, che Andrea Tarabbia intinge il suo pennino e trascina il lettore in un labirinto. Questa storia − è ciò che il lettore scopre sbalordito − ci parla dritti in faccia, scollina i secoli e arriva fino al nostro oggi, si spinge fino a lambire i confini noti eppure sempre imprendibili tra delitto e genio. Con un gioco colto e irresistibile, tra manoscritti ritrovati e chioe di Igor Stravinskij − che nel Novecento riscoprì e rilanciò il genio di Gesualdo − Andrea Tarabbia, scrittore tra i migliori della sua generazione, costruisce un romanzo importante, destinato a restare. L’edificio che attraverso “Madrigale senza suono” Tarabbia innalza è una cattedrale gotica da cui scaturisce la potenza misteriosa della musica. È impossibile, per il lettore, non spingere il portale. E, una volta entrato, non restarne intrappolato.

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Andrea Tarabbia è nato a Saronno nel 1978. Ha pubblicato, tra gli altri, i romanzi La calligrafia come arte della guerra (2010), Il demone a Beslan (2011), Il giardino delle mosche (2015; Premio Selezione Campiello 2016 e Premio Manzoni Romanzo Storico 2016) e il saggio narrativo Il peso del legno (2018). Nel 2012 ha curato e tradotto Diavoleide di Michail Bulgakov. Madrigale senza suono è il suo primo romanzo per Bollati Boringhieri. Vive a Bologna.

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SCRIVI A CETTI: proposta di un “progetto letterario” per le scuole secondarie di secondo grado http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/09/11/scrivi-a-cetti/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/09/11/scrivi-a-cetti/#comments Wed, 11 Sep 2019 16:34:20 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8260

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LETTERA APERTA AI DIRIGENTI SCOLASTICI E AI DOCENTI DELLE SCUOLE SECONDARIE DI SECONDO GRADO

Gentile Dirigente scolastico, gentile Docente,
la lettura e la scrittura possono essere considerate come un’efficace possibile occasione di riscatto, oltre che di crescita personale? La risposta, dal mio punto di vista, è sì.
Il riscatto attraverso la lettura e la scrittura è uno dei temi principali affrontati nel mio Cetti Curfino”, edito da La nave di Teseo; romanzo che ho avuto modo di presentare in molte scuole e all’interno di alcune strutture carcerarie con il coinvolgimento diretto di, rispettivamente, studenti e detenuti.
Gli innumerevoli inviti ricevuti di partecipazione a incontri/dibattiti con gli studenti presso gli istituti scolastici (che, purtroppo, mi è stato impossibile accogliere in toto) mi hanno indotto a immaginare (e a imbastire) questo progetto a costo zero per le scuole secondarie di secondo grado (organizzato in collaborazione con “Demea: eventi culturali“) che sottopongo alla Vostra cortese attenzione (con l’auspicio di coinvolgere, per l’appunto, gli studenti interessati).
Provo a illustrarvi, in breve, di cosa si tratta.

“Cetti Curfino” è un romanzo che affronta tematiche e problematiche di grande attualità: la ricerca di una forma di riscatto attraverso la scrittura e la lettura (come già accennato), la “condizione femminile” e gli abusi sessuali, la mentalità clientelare, il concetto di giustizia, la vita in carcere, la sicurezza sul lavoro e le cosiddette “morti bianche”, la disoccupazione dilagante, la piaga delle slot machine illegali, i quartieri “a rischio” presenti all’interno di molte delle nostre città.

Chi è “Cetti Curfino”?

Si tratta di un personaggio letterario che potremmo considerare come “doppio”: carnefice e vittima allo stesso tempo. È una donna di quarant’anni che si trova in carcere (dunque ha commesso un reato ed è colpevole) per via di un susseguirsi di situazioni disperate legate alla sua condizione sociale disagiata aggravata dallo stato di vedovanza e, paradossalmente, dalla sua bellezza (dunque è anche vittima).
All’interno del romanzo assume importanza centrale la lettera che Cetti Curfino scrive al commissario di polizia che l’ha arrestata.

Ed è proprio sull’idea della “lettera” che si basa il presente progetto indirizzato ai ragazzi delle scuole secondarie di secondo grado, con l’obiettivo di coinvolgerli, invitandoli a scrivere – a loro volta – una lettera proprio alla protagonista della storia: Cetti Curfino. Ogni studente della scuola aderente potrà dunque scrivere una lettera alla protagonista del romanzo (Cetti Curfino) come se il personaggio letterario in questione potesse davvero leggerle (*). Gli studenti potranno condividere le proprie sensazioni, le proprie impressioni, i propri pensieri, considerazioni e approfondimenti sugli argomenti affrontati nel romanzo.
Il progetto – in un’ottica di costruttiva e divertente competizione (basata, per l’appunto, sulla scrittura delle lettere) – si svolgerà alla stregua di una vera e propria gara letteraria.

I vincitori vedranno pubblicate le proprie lettere all’interno di un apposito sito e parteciperanno a un grande meeting in diretta organizzato su zoom.us o su una piattaforma simile.

Verrà, inoltre, rilasciato alle classi di ogni ordine e grado e ai Presidi dei singoli istituti un “Attestato Demea”, che ne certifica l’adesione.

L’autore/autrice della lettera più votata riceverà un “montepremi” in libri.

Nella speranza che tale progetto letterario/culturale rivolto agli studenti possa suscitare il vostro interesse, vi invito a scaricare il file in pdf del progetto cliccando qui, oppure a scrivere all’indirizzo email ufficiostampa@demeaeventiculturali.it

Ne approfitto per ringraziare le Scuole (dirigenti, docenti e collaboratori) per l’impegno profuso per l’incentivazione della lettura nell’ambito degli innumerevoli progetti e attività che portate avanti. Come ha evidenziato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel corso del suo intervento alla giornata di celebrazione per i 150 anni dell’Associazione Italiana Editori (11 settembre 2019): “Una comunità si sviluppa, crescendo, attraverso la ricerca oltre i confini di quello che già si conosce, attraverso la comprensione dei sentimenti, l’osservazione del mondo; esprimendo idee nuove, pensieri critici, chiavi interpretative nuove. I libri sono stati e sono propulsori di questa crescita del nostro Paese. (…)
Della lettura avremo sempre bisogno. Si affermerà sempre. La forza della cultura è insuperabile, in tutte le sue varie espressioni, con tutti i mezzi che vi sono e vi saranno. (…)
La forza della cultura, che passa anche dalla lettura, è insuperabile.
Si legge ancora troppo poco in Italia. Dobbiamo migliorare: leggere è una ricchezza immateriale della quale non possiamo fare a meno.
La scuola resta un bacino decisivo in cui seminare
”.

Colgo infine l’occasione per porgere i più cordiali saluti e per augurarvi buon lavoro e buon inizio di anno scolastico.

Massimo Maugeri

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[Per chi non conosce il libro...

- Potete visualizzare il booktrailer del libro cliccando qui (durata: 2 minuti).

- Se volete saperne di più in un minuto, potete visualizzare il video della mia partecipazione al programma “Mille e un libro” di Gigi Marzullo su Rai 1.

- Per avere notizie più dettagliate potete accedere alla rassegna stampa del romanzo cliccando qui.

- Lo sviluppo del tema “lettura e scrittura come occasione di riscatto” si può evincere da questo video tratto dalla trasposizione teatrale del romanzo con l’opera dei pupi (regia e cura di Simona Lo Iacono)].

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(*) L’idea della lettera scritta a un personaggio letterario l’ho già sviluppata con successo in passato coinvolgendo scrittrici e scrittori noti (i quali sono stati invitati a scrivere, per l’appunto, lettere a personaggi letterari da loro particolarmente amati). Tali lettere sono poi confluite nel volume “Letteratitudine 3: letture, scritture e metanarrazioni” (LiberAria, 2017)

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http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/09/11/scrivi-a-cetti/feed/ 0
UN CARNEVALE DA RACCONTARE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/03/05/un-carnevale-da-raccontare/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/03/05/un-carnevale-da-raccontare/#comments Tue, 05 Mar 2019 20:30:13 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/02/03/un-carnevale-da-raccontare/ Il Carnevale letteratitudiniano (ri)passa da questo post annuale che si prefigge di provare a… raccontarlo.
Siete tutti invitati a farlo.
In che modo? Ecco alcuni spunti, forniti a titolo di esempio:
- microracconti sul carnevale (pura fiction)
- il carnevale nei vostri ricordi d’infanzia e adolescenza
- il carnevale oggi
- citazioni di opere letterarie che, in un modo o nell’altro, hanno a che fare con il carnevale.

Di seguito, l’ormai storico articolo di Alessandro Defilippi pubblicato su Ttl del 26 gennaio 2008…

Inoltre, se vi va, – fino a martedì notte – potrete “mascherarvi” travestendosi in un personaggio letterario, dei fumetti, del cinema (ma va bene anche indossare una “maschera classica”)… per partecipare a una carnascialesca festa letteratitudiniana che avrà luogo proprio qui, in questo post.
Si tratta di scegliere un personaggio, “impersonarlo” (appunto) e rilasciare commenti in coerenza con il personaggio impersonato.

Grazie a chi potrà e vorrà partecipare!


______________

di ALESSANDRO DEFILIPPI

Festa singolare, il carnevale. Per i vecchi torinesi è un luogo, divenuto sinonimo d’un evento: «Mi porti in Piazza Vittorio?», chiedevano i bambini, e la piazza era il carnevale, affollata di giostre e baracconi, con i morbidi manganelli di plastica verde da inseguirci le ragazzine, le lingue di Menelik, l’inestricabile garbuglio delle stelle filanti. E a sera la piazza diveniva quella che Ungaretti chiamò «una decomposta fiera». Perché questa, più d’ogni altra, è una festa ambigua, che porta con sé un sentore di morte. Festa del corpo pesante (il corpo di Gargantua, di cui parla Bachtin), di quell’addio alla carne (carne, vale!) che annuncia la quaresima e che viene celebrato con l’eccesso e con l’inversione dei ruoli. Festa orgiastica, in cui frenetica scorre l’energia, ma anche festa mortifera, durante la quale, al riparo della maschera, può accadere ogni cosa, si può commettere ogni peccato, consumare ogni passione. Festa in cui i confini – di sesso, di ceto, di morale – si assottigliano, sfumando l’uno nell’altro, e permettono l’erompere del caos nel flusso ordinato del tempo.
Florens Christian Rang, «funzionario statale ma anche pastore, giurista, filosofo e teologo», è un’eccentrica e fondamentale figura di intellettuale tra XIX e XX secolo. Amico dei maggiori, da Hoffmansthal a Buber, da Rosenzweig a Benjamin, di lui in Italia assai poco si conosce, ed è pertanto benvenuto il ritorno della sua Psicologia storica del carnevale (Bollati Boringhieri, pp. 126, e 9). Preceduta e seguita da due densi – talora fin troppo criptici – saggi di Fabrizio Desideri e di Massimo Cacciari, l’opera rivela un’intensità di scrittura e una libertà di pensiero che ci rimandano a Nietzsche e ai grandi della psicologia dinamica.
Carnevale, nell’interpretazione di Rang, è il car navale, il carro che trascina il tempo lungo lo zodiaco e lo scandisce, ma anche la nave dei folli – stultifera navis – dei cortei e delle pitture medievali. Il carnevale è un interludio nel tempo ordinato dell’anno, è il riempimento, fatto di scherno, follia e rovesciamento, dei giorni intercalari, che cadono tra la nascita e la morte del Salvatore, tra il giorno del sole – il solstizio d’inverno, che nel cuore del buio celebra il sol invictus con la sua promessa di ritornare a illuminare il mondo – e il buio psicologico della Passione e Morte del dio. Festa dunque che incide con forza nello spirito la carne, ricordandocene la presenza, l’ottuso legame che abbiamo con la vita e con la terra. Carnevale è dunque «un pezzo di storia della religione», in cui la risata di scherno è «la prima blasfemia».

Rang fa risalire il carnevale alla Caldea favolosa e storica degli astrologi e dei Magi, e poi all’ebbrezza dionisiaca. Dioniso non è però il cordiale Bacco romano, con la coppa in mano e la corona di pampini sul capo: è invece lo Sbeffeggiatore del Mondo. L’associazione è con Arlecchino. Arlecchino è la maschera che serve due padroni, che inverte i ruoli e le regole, il bastonato che diventa bastonatore, ma è anche il discendente di Hellequin, diavolo conduttore dell’Exercitus Mortuorum nei misteri popolari del medioevo, e nel cui nome risuona quello dell’Inferno: l’Hell inglese e l’Hel scandinavo. Del carnevale medievale e rinascimentale Rang non parla: ne tratterà Bachtin, parlando dell’inversione dei ruoli tra uomo e donna, uomo e bestia, servo e padrone, prete e peccatore, nella costruzione di quel «mondo alla rovescia» in cui pare che per una volta tutto sia possibile.
Se tutto, il dritto e il torto, diventa possibile, allo psicologo pare inevitabile associare il carnevale all’Ombra, metafora adoperata da Jung per indicare il socialmente inaccettabile, ma anche l’energia che da quel rimosso prorompe, se riconosciuta. Nel tempo dell’inversione, l’Ombra, al riparo della maschera, può parlare e agire. Come ogni dismisura essa però richiamerà il suo polo opposto: in quanto portatrice di energia e di vitalità corporale non potrà pertanto che richiamarci alla morte, facendo oscillare il tempo del carnevale tra l’euforia e la depressione, la gioia sfrenata e la malinconia. L’eccesso carnale ci ricorda la precarietà del corpo; lo sforzo del piacere ci riporta all’immobilità della tristezza: «Post coitum omne animal triste».

Ma per Rang il carnevale è anche il segno della libertà che l’uomo cerca di prendersi nei confronti di Dio: la libertà dello scherno, della blasfemia. In questo gioco d’inversioni, però, la risata beffarda si rovescia ancora una volta, e il riso, nota Cacciari, «è già anche risus paschalis, riso gioioso di rinascita». Oscillando tra l’Ombra (l’inverno, le vittime dilaniate dalle Baccanti, il pericolo annidato nel buio) e l’alba della rinascita pasquale, il carnevale, festa per eccellenza degli opposti, si muove tra perdizione e redenzione, tra Dio e Diavolo-Arlecchino. Tra quei due, dice Rang, l’uomo scelse, nel tempo del Medio Evo, il primo: così il carnevale si spense, continuando ad aggirarsi «come uno spettro», e «il riso della felicità è andato perduto», sostituito dall’ebbrezza dell’ascesi.
Peggio forse va ai moderni, per i quali, la nuova ascesi è «il dovere del lavoro». Ma in fondo alla nostra psiche, verrebbe da aggiungere, «il carnevale impazza», alimentato dal pathos, da quella passione di vivere che è anche la sofferenza di accettare la vita nella molteplicità e nell’imperfezione, nella luce e nella confusione. Noi, più o meno consapevoli, non possiamo che continuare a percorrere la nostra via, e «la via dell’umanità è la via dello spirito e la via dello spirito quella della passione».

(fonte: Tuttolibri, in edicola sabato 26 gennaio 2008)

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ROSELLA POSTORINO vince il PREMIO CAMPIELLO 2018 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/09/16/rosella-postorino-vince-il-premio-campiello-2018/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/09/16/rosella-postorino-vince-il-premio-campiello-2018/#comments Sun, 16 Sep 2018 07:01:59 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7930 ROSELLA POSTORINO con il romanzo “Le assaggiatrici” (Feltrinelli), è la vincitrice della 56ª edizione del PREMIO CAMPIELLO

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L’edizione 2018 del Premio Campiello è stata vinta con ampio margine da Rosella Postorino, autrice di “Le assaggiatrici” (Feltrinelli): 167 voti sui 278 pervenuti dai 300 componenti della giuria popolare. Il video della premiazione è disponibile cliccando qui.

In seconda posizione, 42 voti, Francesco Targhetta con “Le vite potenziali” (Mondadori). Terza classificata, 29 voti, Helena Janeczek autrice di “La ragazza con la Leica” (Guanda) con cui ha vinto l’edizione 2018 del Premio Strega. In quarta posizione, con 25 voti, Ermanno Cavazzoni autore di “La galassia dei dementi” (La nave di Teseo). Al quinto posto, con 15 voti, Davide Orecchio autore di “Mio padre la rivoluzione” (Minimum Fax).

Di seguito la puntata radiofonica di Letteratitudine dedicata a “Le assaggiatrici” (Feltrinelli), con l’ampio intervento di Rosella Postorino in conversazione con Massimo Maugeri.

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA SUL PULSANTE “AUDIO MP3″ (in basso), O CLICCA QUI

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Con Rosella Postorino abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato “Le assaggiatrici” (Feltrinelli).

Rosella Postorino, ispirandosi alla storia vera di Margot Wölk (assaggiatrice di Hitler nella caserma di Krausendorf), ha raccontato la vicenda eccezionale di una donna in trappola, fragile di fronte alla violenza della Storia, forte dei desideri della giovinezza. Di seguito, la scheda sul libro e la biografia letteraria dell’autrice.

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Rosella Postorino“Le assaggiatrici” (Feltrinelli).

“Il mio corpo aveva assorbito il cibo del Führer, il cibo del Führer mi circolava nel sangue. Hitler era salvo. Io avevo di nuovo fame.” Fino a dove è lecito spingersi per sopravvivere? A cosa affidarsi, a chi, se il boccone che ti nutre potrebbe ucciderti, se colui che ha deciso di sacrificarti ti sta nello stesso tempo salvando?
La prima volta che entra nella stanza in cui consumerà i prossimi pasti, Rosa Sauer è affamata. “Da anni avevamo fame e paura,” dice. Con lei ci sono altre nove donne di Gross-Partsch, un villaggio vicino alla Tana del Lupo, il quartier generale di Hitler nascosto nella foresta. È l’autunno del ’43, Rosa è appena arrivata da Berlino per sfuggire ai bombardamenti ed è ospite dei suoceri mentre Gregor, suo marito, combatte sul fronte russo. Quando le SS ordinano: “Mangiate”, davanti al piatto traboccante è la fame ad avere la meglio; subito dopo, però, prevale la paura: le assaggiatrici devono restare un’ora sotto osservazione, affinché le guardie si accertino che il cibo da servire al Führer non sia avvelenato.
Nell’ambiente chiuso della mensa forzata, fra le giovani donne s’intrecciano alleanze, amicizie e rivalità sotterranee. Per le altre Rosa è la straniera: le è difficile ottenere benevolenza, eppure si sorprende a cercarla. Specialmente con Elfriede, la ragazza che si mostra più ostile, la più carismatica. Poi, nella primavera del ’44, in caserma arriva il tenente Ziegler e instaura un clima di terrore. Mentre su tutti – come una sorta di divinità che non compare mai – incombe il Führer, fra Ziegler e Rosa si crea un legame inaudito.
Rosella Postorino non teme di addentrarsi nell’ambiguità delle pulsioni e delle relazioni umane, per chiedersi che cosa significhi essere, e rimanere, umani. Ispirandosi alla storia vera di Margot Wölk (assaggiatrice di Hitler nella caserma di Krausendorf), racconta la vicenda eccezionale di una donna in trappola, fragile di fronte alla violenza della Storia, forte dei desideri della giovinezza. Come lei, i lettori si trovano in bilico sul crinale della collusione con il Male, della colpa accidentale, protratta per l’istinto – spesso antieroico – di sopravvivere. Di sentirsi, nonostante tutto, ancora vivi.

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Rosella Postorino Rosella Postorino (Reggio Calabria, 1978) è cresciuta in provincia di Imperia, vive e lavora a Roma. Ha esordito con il racconto In una capsula, incluso nell’antologia Ragazze che dovresti conoscere (Einaudi Stile Libero, 2004). Ha pubblicato i romanzi La stanza di sopra (Neri Pozza, 2007; Premio Rapallo Carige Opera Prima), L’estate che perdemmo Dio (Einaudi Stile Libero, 2009; Premio Benedetto Croce e Premio speciale della giuria Cesare De Lollis) e Il corpo docile (Einaudi Stile Libero, 2013; Premio Penne), la pièce teatrale Tu (non) sei il tuo lavoro (in Working for Paradise, Bompiani, 2009), Il mare in salita (Laterza, 2011) e Le assaggiatrici (Feltrinelli, 2018). È fra gli autori di Undici per la Liguria (Einaudi, 2015).

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA SUL PULSANTE “AUDIO MP3″ (in basso), O CLICCA QUI


La colonna sonora della puntata: “Moonlight Serenade” di Glenn Miller; “Lili Marleen” di Marlene Dietrich; Wiener Sängerknaben – Fuchs; “In The Mood” di Glenn Miller.


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PREMIO CAMPIELLO 2018: la finale http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/09/12/premio-campiello-2018-la-finale/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/09/12/premio-campiello-2018-la-finale/#comments Wed, 12 Sep 2018 15:21:09 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7926 Sabato 15 settembre 2018, si svolgerà la finale del PREMIO CAMPIELLO 2018.

Sarà trasmessa in diretta su Rai 5, a partire dalle h. 20:45, dal Teatro La Fenice di Venezia

Conosciamo già il nome del vincitore del Premio Campiello – Opera Prima. Si tratta di Valerio Valentini, autore di “Gli 80 di Camporammaglia(Laterza). Sappiamo anche che il Premio Fondazione Il Campiello 2018 è stato assegnato a Marta Morazzoni.

Il nome del vincitore del cosiddetto Premio SuperCampiello lo conosceremo solo nella serata dedicata alla finale che sarà trasmessa in diretta su Rai 5 (inizio h. 20:45), sabato 15 settembre, dal Teatro La Fenice di Venezia. L’ambìto premio sarà assegnato a uno dei cinque libri finalisti (ovvero dei 5 vincitori del Premio Selezione Campiello 2018):

La ragazza con la Leika di Helena Janeczek – Guanda (9 voti assegnati dalla Giuria)

La galassia dei dementi di Ermanno Cavazzoni – La nave di Teseo (6 voti assegnati dalla Giuria)

Mio padre la rivoluzione di Davide Orecchio – Minimum Fax (6 voti assegnati dalla Giuria)

Le vite potenziali di Francesco Targhetta – Mondadori (6 voti assegnati dalla Giuria)

Le assaggiatrici di Rosella Postorino – Feltrinelli (6 voti assegnati dalla Giuria, dopo il ballottaggio)

Di seguito, gli approfondimenti di Letteratitudine dedicati ad autori e opere protagonisti del Premio Campiello 2018…

“La ragazza con la Leika” di Helena Janeczek – Guanda

Ascolta la puntata radiofonica di Letteratitudine cliccando qui: Helena Janeczek in conversazione con Massimo Maugeri

Vincitore del Premio Strega 2018
Vincitore del Premio Bagutta 2018

Il 1° agosto 1937 una sfilata piena di bandiere rosse attraversa Parigi. È il corteo funebre per Gerda Taro, la prima fotografa caduta su un campo di battaglia. Proprio quel giorno avrebbe compiuto ventisette anni. Robert Capa, in prima fila, è distrutto: erano stati felici insieme, lui le aveva insegnato a usare la Leica e poi erano partiti tutti e due per la Guerra di Spagna. Nella folla seguono altri che sono legati a Gerda da molto prima che diventasse la ragazza di Capa: Ruth Cerf, l’amica di Lipsia, con cui ha vissuto i tempi più duri a Parigi dopo la fuga dalla Germania; Willy Chardack, che si è accontentato del ruolo di cavalier servente da quando l’irresistibile ragazza gli ha preferito Georg Kuritzkes, impegnato a combattere nelle Brigate Internazionali. Per tutti Gerda rimarrà una presenza più forte e viva della celebrata eroina antifascista: Gerda li ha spesso delusi e feriti, ma la sua gioia di vivere, la sua sete di libertà sono scintille capaci di riaccendersi anche a distanza di decenni. Basta una telefonata intercontinentale tra Willy e Georg, che si sentono per tutt’altro motivo, a dare l’avvio a un romanzo caleidoscopico, costruito sulle fonti originali, del quale Gerda è il cuore pulsante. È il suo battito a tenere insieme un flusso che allaccia epoche e luoghi lontani, restituendo vita alle istantanee di questi ragazzi degli anni Trenta alle prese con la crisi economica, l’ascesa del nazismo, l’ostilità verso i rifugiati che in Francia colpiva soprattutto chi era ebreo e di sinistra, come loro. Ma per chi l’ha amata, quella giovinezza resta il tempo in cui, finché Gerda è vissuta, tutto sembrava ancora possibile.

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“La galassia dei dementi” di Ermanno Cavazzoni – La nave di Teseo

Ascolta la puntata radiofonica di Letteratitudine cliccando qui: Ermanno Cavazzoni in conversazione con Massimo Maugeri

In un futuro dai confini incerti, in un paesaggio che assomiglia al Far West ma che è invece la pianura a volte nebbiosa, altre assolata, fra l’Emilia e la Romagna, tutto è cambiato. Siamo attorno all’anno 6.000 quando avviene la Grande Devastazione: un’invasione aliena ha distrutto le città lasciando dietro solo rovine, un’incredibile onda d’urto ha raso al suolo ogni sporgenza, ha fatto ribollire gli oceani, la popolazione umana è decimata ed è rintanata in case cubiche simili a termitai. Sono sopravvissuti però i sistemi industriali costruiti nel sottosuolo che continuano a produrre droidi, robot intelligenti che provvedono a ogni cosa e vivono assieme agli esseri umani. La tecnologia è al potere: governa, gestisce, organizza. Gli uomini sono liberi da ogni occupazione e lasciati al lassismo, all’obesità, alle strane manie che li afferrano, vivendo in aree urbane desolate e deserte. I coniugi Vitosi, fra i superstiti, passano il tempo collezionando grucce, oggetti vecchi e intrattenendosi con due robot da compagnia quasi erotica, una Dafne e un Piteco. Ma quando, a poco a poco, si sparge la voce che i robot immortali che avevano creato e amministrato questo nuovo mondo si sono ritirati, offesi dal carico delle incombenze e dalla mancanza di gratitudine a loro dovuta, il caos si propaga e inizia la vera catastrofe. Nuovi, improvvisi incendi sconvolgono le città, i robot domestici cominciano a delinquere, a darsi al brigantaggio e anche la Dafne e il Piteco decidono di scappare, preoccupati dai pericoli crescenti. Da giorni i notiziari riportano inoltre l’allarmante annuncio della fuga di un robot ritenuto molto pericoloso, uno Xenofon, che la Dafne e il Piteco saranno destinati a incontrare sul loro cammino. Su quello dei coniugi Vitosi e degli altri pochi umani sopravvissuti incombe invece un’altra minaccia, sotto forma di insetti giganti. Riusciranno a sopravvivere a questa nuova invasione aliena?

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“Mio padre la rivoluzione” di Davide Orecchio – minimum fax

Leggi l’Autoracconto d’Autore di Letteratitudine firmato da Davide Orecchio cliccando qui

Finalista alla IV edizione del Premio Letterario Corrado Alvaro e Libero Bigiaretti
Finalista al Premio Napoli 2018, sezione Narrativa.

“Mio padre la rivoluzione” è una raccolta di racconti, ritratti, biografie impossibili e reportage di viaggio attorno alla storia e al mito della Rivoluzione russa, dai protagonisti dell’ottobre 1917 (Lenin, Stalin e Trockij) a personaggi minori ma non per questo meno affascinanti. Davide Orecchio lavora sulla storia con gli strumenti della letteratura, ne racconta versioni altre e ne esplora possibilità non accadute: in questo libro Trockij è ancora vivo nel 1956 e medita sull’invasione sovietica dell’Ungheria e su Chruscév che rinnega Stalin. Qualche anno dopo, il giovane Robert Zimmerman entra in una libreria di Hibbing, Minnesota, e scopre i testi di Trockij, non diventa Bob Dylan ma compone altre bellissime canzoni rivoluzionarie come «The End of Dreams». Qui, proprio come nella realtà e oltre essa, il poeta Gianni Rodari che «ha il problema della fantasia» scrive un reportage dalla Russia per il centenario della nascita di Lenin. In “Mio padre la rivoluzione” la «controstoria» è una chiave offerta al presente per scardinare il passato, per fare i conti coi mostri politici e le speranze tradite del Novecento, ed è anche una guida per immaginare i futuri possibili. Con uno stile originalissimo, Davide Orecchio racconta il sogno e l’incubo della storia, le peripezie e le passioni, i destini aperti degli uomini.

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“Le vite potenziali” di Francesco Targhetta – Mondadori

Leggi l’Autoracconto d’Autore di Letteratitudine firmato da Francesco Targhetta cliccando qui

Al centro di questo romanzo ci sono tre vite, tre visioni del mondo, tre modi diversi e complementari di sopravvivere alla contemporaneità. Il loro spazio è la Albecom, azienda informatica che sorge alla periferia di Marghera; l’ha fondata, ancora giovanissimo, Alberto, “trentaquattro anni, apprezzata abilità nell’assemblare mobili Ikea, una passione per la buona tavola e il culto della chiarezza”. Tra i programmatori che lavorano per lui c’è Luciano, con cui Alberto condivide l’amore per internet fin dai tempi del liceo. Ma, a differenza dell’amico, Luciano si trova a suo agio dietro le quinte: schivo e paralizzato dalla propria scarsa avvenenza, si rifugia nel lavoro e nel rifocillamento dei gatti randagi di Marghera, tormentato solo, di tanto in tanto, dal desiderio di avere qualcuno da rendere felice. A completare il triangolo c’è Giorgio, il pre-sales dell’azienda, procacciatore di nuovi clienti: “percorso da un brivido di elettricità sempre”, tiene nel cruscotto della macchina L’arte della guerra di Sun Tzu, che consulta come un oracolo. E così, mentre Luciano allaccia con Matilde, barista della tavola calda di fronte alla Albecom, un’amicizia presto caricata di nuove speranze e Giorgio riceve una proposta sottobanco da un vecchio collega, le giornate dei tre amici si intrecciano in un groviglio di segreti e tradimenti che si dipana tra la provincia veneta e le città di mezza Europa e che li costringerà, infine, a compiere scelte sofferte e decisive. Francesco Targhetta, già protagonista di un piccolo caso letterario con il romanzo in versi Perciò veniamo bene nelle fotografie, si cimenta ora nell’impresa ambiziosissima di ritrarre il nostro presente in continuo divenire, attraverso lo sguardo di un gruppo di trentacinquenni che – con un piede intrappolato nel mondo del web e uno ben piantato nei sobborghi in cemento di quello reale – cercano timidamente di costruirsi un futuro. Per mezzo di una prosa esatta e al tempo stesso intima, crepuscolare, questo romanzo si interroga su cosa stiano diventando le nostre vite, deviate e attratte ogni giorno da mille potenzialità, e su cosa potremmo diventare noi, chiamati insieme al dovere di essere felici e a quello di accelerare sempre di più la velocità del mondo.

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“Le assaggiatrici” di Rosella Postorino – Feltrinelli

Ascolta la puntata radiofonica di Letteratitudine cliccando qui: Rosella Postorino in conversazione con Massimo Maugeri

Vincitore del Premio Rapallo 2018

La prima volta in cui Rosa Sauer entra nella stanza in cui dovrà consumare i suoi prossimi pasti è affamata. «Da anni avevamo fame e paura», dice. Siamo nell’autunno del 1943, a Gross-Partsch, un villaggio molto vicino alla Tana del Lupo, il nascondiglio di Hitler. Ha ventisei anni, Rosa, ed è arrivata da Berlino una settimana prima, ospite dei genitori di suo marito Gregor, che combatte sul fronte russo. Le SS posano sotto ai suoi occhi un piatto squisito: «mangiate» dicono, e la fame ha la meglio sulla paura, la paura stessa diventa fame. Dopo aver terminato il pasto, però, lei e le altre assaggiatrici devono restare per un’ora sotto osservazione in caserma, cavie di cui le SS studiano le reazioni per accertarsi che il cibo da servire a Hitler non sia avvelenato. Nell’ambiente chiuso di quella mensa forzata, sotto lo sguardo vigile dei loro carcerieri, fra le dieci giovani donne si allacciano, con lo scorrere dei mesi, alleanze, patti segreti e amicizie. Nel gruppo Rosa è subito la straniera, la “berlinese”: è difficile ottenere benevolenza, tuttavia lei si sorprende a cercarla, ad averne bisogno. Soprattutto con Elfriede, la ragazza più misteriosa e ostile, la più carismatica. Poi, nella primavera del ‘44, in caserma arriva un nuovo comandante, Albert Ziegler. Severo e ingiusto, instaura sin dal primo giorno un clima di terrore, eppure – mentre su tutti, come una sorta di divinità che non compare mai, incombe il Führer – fra lui e Rosa si crea un legame speciale, inaudito.

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HELENA JANECZEK vince il PREMIO STREGA 2018 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/07/06/helena-janeczek-vince-il-premio-strega-2018/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/07/06/helena-janeczek-vince-il-premio-strega-2018/#comments Thu, 05 Jul 2018 22:46:35 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7865 HELENA JANECZEK con “La ragazza con la Leica” (Guanda), vince il PREMIO STREGA 2018.

Helena Janeczek vince il Premio Strega 2018

Di seguito lo speciale di Letteratitudine con la lunga conversazione radiofonica con  Helena Janeczek e l’Autoracconto d’Autore dedicato a La ragazza con la Leica” (in chiusura di post, alcune immagini della serata).

Helena Janeczek, autrice di “La ragazza con la Leica” (Guanda), vincitrice del Premio Strega 2018 e del Premio Selezione Campiello 2018, ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, giovedì 5 luglio 2018. Si è appena concluso, lo spoglio della seconda e ultima votazione che ha proclamato Helena Janeczek, con il romanzo La ragazza con la Leica, (Guanda), vincitore della LXXII edizione del Premio Strega, promosso dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e da Liquore Strega .

Come da tradizione gli Amici della domenica si sono riuniti nel giardino del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia dove Paolo Cognetti, vincitore del Premio Strega 2017, ha presieduto il seggio di voto.

La somma dei voti elettronici e delle schede cartacee ha portato alla vittoria il romanzo di Helena Janeczek, La ragazza con la Leica, (Guanda) con 196 voti. Seguono Marco Balzano con Resto qui, (Einaudi), 144 voti; Sandra Petrignani con La corsara. Ritratto di Natalia Ginzburg, (Neri Pozza) con 101 voti; Carlo D’Amicis con Il gioco, (Mondadori) con 57 voti; e Lia Levi con Questa sera è già domani, (Edizioni e/o) con 55 voti; per un totale di 554 voti espressi.

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HELENA JANECZEK racconta il suo romanzo LA RAGAZZA CON LA LEICA (Guanda)

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di Helena Janeczek

Ogni libro ha una storia che può essere facilmente ripercorsa e una storia sotterranea di cui l’autore riesce a vedere alcune tracce. Entrambe cominciano nel 2009, con una visita al Forma di Milano che ospitava la prima retrospettiva di Gerda Taro accanto a una mostra di Robert Capa. In quel periodo lavoravo a Le rondini di Montecassino, dove Capa è menzionato per una foto dei funerali degli studenti del liceo Sannazaro caduti nel 1943 durante le “Quattro giornate di Napoli”. Però tutto il suo lavoro a seguito delle truppe americane mi aveva permesso di toccare con gli occhi la realtà della guerra che stavo raccontando. Erano quelle foto della “Campagna d’Italia” che volevo vedere in uno spazio espositivo. Questo significa che, sul versante della storia sotterranea, Robert Capa era già una presenza interiorizzata quando uscii dal Forma con il desiderio di approfondire la conoscenza di Gerda Taro. Comprai il catalogo a cura di Irme Schaber e poco dopo andai a procurarmi Gerda Taro, Una fotografa rivoluzionaria nella guerra civile spagnola (DeriveApprodi, 2007), la biografia con cui la studiosa di Stoccarda poneva fine al lungo oblio della sua concittadina morta a nemmeno ventisette anni nella Guerra di Spagna.
Ma soltanto sul finire del 2011 si affacciò l’ipotesi che quella lettura potesse fungere da base per un lavoro di scrittura. Non pensavo a un romanzo, bensì a un racconto da affiancare a altri due che componessero un trittico dedicato a tre donne reporter di guerra. Le rondini di Montecassino, uscito nel 2010, aveva suscitato spesso la domanda come mai avessi scelto un tema così maschile come la guerra. In realtà, non mi sentivo molto svantaggiata rispetto a uno scrittore, bastava solo studiare un po’ di più. Però restava vero che narrare qualcosa che travalica le esperienze di noi figli e figlie del dopoguerra comporta un rischio di inadeguatezza sia etica che estetica. Mi colpiva, perciò, che esistessero donne disposte a mettere a rischio la propria vita per testimoniare con le parole o con le immagini la realtà delle guerre ancora in corso. Avevo già scritto un contributo per un’antologia (I persecutori, Transeuropa, 2007) che riconvocava la figura di Anna Politkovskaja nella cornice della fiera del libro di Francoforte agitata dalla notizia del suo assassinio. Durante le ricerche per quel racconto, avevo scoperto che tra i pochissimi giornalisti presenti a Grozny nei giorni della caduta ci fosse un’altra donna. Già inviata a Gaza e Sarajevo e in molti altri conflitti (in italiano è stato tradotto Il giorno che vennero a prenderci; dispacci dalla Siria, La nave di Teseo, 2017), Janine di Giovanni ha scritto anche il memoir Ghosts by Daylight (2011), dove racconta come la scelta di mettere al mondo un figlio avesse attivato i traumi che lei e il suo compagno, un fotoreporter francese, avevano subito.

Abbandonai quel progetto per vari motivi, anche per il desiderio di non addentrarmi subito in un lavoro troppo impegnativo. Quando prese forma quello che sarebbe diventato La ragazza con la Leica, pensavo di aver trovato la materia congeniale per un libro di gestazione meno difficile. Dopo aver cominciato a documentarmi meglio, scovai su internet l’indirizzo mail della biografa di Taro. Finalmente, il 2 marzo 2012, le scrissi per esporle il mio progetto e chiedere se fosse disponibile a darmi una mano con le mie ricerche.

“Gentile signora Schaber,

ho scoperto Gerda Taro, visitando la mostra da lei curata a Milano, città nelle cui vicinanze vivo da quasi trent’anni (…)
Ciò che mi ha subito attratta verso Taro è il fatto che sono nata anch’io in una famiglia ebreo-polacca e sono nata e cresciuta in Germania. (…) Taro per me non è una figura con cui identificarmi, ma penso che abbia una certa facilità a comprendere il suo contesto.
In sintesi, ho in progetto di imbastire un racconto lungo intorno a Gerda Taro. Non un romanzo, tantomeno un melodramma di amore e morte. Pensavo di non mettere direttamente in scena Taro e Capa, ma di procedere per episodi, in maniera non cronologica. Vorrei dare spazio alle fasi della sua vita meno esplorate, come il periodo di permanenza a Lipsia. Per me sarebbe rilevante cogliere lo sfondo politico e sociale che ha trasformato una ragazza mondana con aspirazioni di ascesa sociale in una militante di sinistra, senza che Gerda avesse mai smesso di somigliare a quella che era sempre stata.
Così mi è venuta l’idea di farla rinascere negli occhi di coloro che l’hanno conosciuta meglio e più a lungo, sopravvivendo a lei e a Capa (…) – i suoi amici ed ex fidanzati Willy Chardack e Georg Kuritzkes (…)” [1]

Rileggo questa mail e mi domando come sia possibile che da un lato avessi già le idee così chiare sull’impostazione narrativa e dall’altro non mi fosse balenato che non potesse che venirne fuori un romanzo?
Lo scoprii poco dopo, cominciando l’esperienza di scrittura più complicata con cui mi sia finora cimentata. Presto mi si chiarirono due nuove esigenze. Volevo iniziare e concludere il libro con delle foto, dando la prima e l’ultima parola al mezzo con cui si esprimeva Gerda Taro. Dovevo in più aggiungere un personaggio narrante femminile a cui sarebbe spettata la parte centrale del romanzo. L’amica Ruth Cerf conosceva degli aspetti della vita di Gerda preclusi all’ex-spasimante e all’ex fidanzato (per esempio gli aborti di cui ha parlato a Irme Schaber) e la sua testimonianza era, nel complesso, più aperta di quella reticente di Willy Chardack o quella brillante d’ironia e ammirazione di Georg Kuritzkes.
Volevo infatti che il libro avesse una struttura simmetrica, una composizione a specchi dove ciascun narratore aggiungeva dei tasselli per ricreare la figura sfuggente di Gerda Taro.
Ero consapevole che una narrazione attraverso tre terze persone focalizzate (Willy, Ruth, Georg) comportasse la rinuncia a intervenire in prima persona, come avevo fatto nei libri precedenti, vale a dire poter disporre di un filo metanarrativo per spiegare, descrivere, riflettere, fornire appigli interpretativi. Ma questa volta non volevo indagare cosa Gerda significasse per me, non volevo acchiapparne l’alone mitico e nemmeno decostruirlo. Mi misuravo con il fatto che Capa e Taro si fossero letteralmente inventati per realizzare i loro sogni: i loro pseudonimi, la falsa identità di un americano milionario trapiantato a Parigi, la possibile messa in posa della foto Il miliziano colpito a morte. Suona paradossale, forse, ma pensavo che il modo più adeguato per affrontare due personaggi che hanno mescolato realtà e finzione, stesse nell’allestire un testo dove realtà e finzione non fossero nettamente distinguibili, sebbene le prospettive dei narratori consentissero, al contempo, di mettere in risalto quella problematica. Ma il problema maggiore di La ragazza con la Leica stava nel fatto che tutti i personaggi di qualche consistenza, a cominciare da Willy, Ruth e Georg, sono ricavati dalle biografie di persone realmente esistite. Infatti il lavoro di documentazione più complesso l’ho dedicato a ricostruire le loro tracce biografiche, non quelle di Gerda Taro e Robert Capa. Devo un enorme ringraziamento a Irme Schaber per le lettere e le interviste che mi ha messo a disposizione, materiali che ho completato con quelli scoperti nel corso delle mie ricerche, per esempio le memorie del fratello di Ruth Cerf o la cartella su Georg Kuritzkes e Mario Bernardo trovata negli archivi di Vittorio Somenzi, a Roma.
Mi ha creato parecchie remore appropriarmi delle vite di tre persone che non fossero di dominio pubblico. Ho provato a dare a Willy, Ruth e Georg dei nomi d’invenzione, ma c’era un’incoerenza insolubile nel metterli accanto ai nomi autentici di pressoché tutti gli altri personaggi. Alla fine decisi che dovevo assumermi sino in fondo i miei rischi, di cui il più azzardato, a mio modo di vedere, stava nell’attribuire pensieri ed emozioni a quelle “persone vere” trasformate nei protagonisti di un romanzo.
Eppure avevo bisogno che fossero soggetti “a tutto tondo”, visto che, come avevo scritto a Irme Schaber, Gerda doveva risorgere attraverso la soggettività dei loro ricordi. Volevo raccontarla come una presenza che restava viva, malgrado la sua morte e gli anni terribili a cui i suoi amici sono sopravvissuti, sparpagliandosi tra l’America, la Svizzera e l’Italia. A partire da Lezioni di tenebra la mia scrittura è sempre stata un lavoro sulla memoria che include l’oblio e la rimozione, ma grazie a questo assolve il suo compito vitale. La trama memoriale che affiora alla mente di Willy, Ruth e Georg doveva seguire un criterio di plausibilità psicologica, conducendo dai ricordi più spensierati a quelli che toccassero le zone più dolorose del senso di perdita e di colpa. A questo si aggiungeva il bisogno di reinterpretare una sensibilità estetica vicina all’epoca di Gerda Taro, un approccio modernista che a tratti evocasse le commedie sofisticate che lei prediligeva al cinema, ma si ispirasse anche alla nuova oggettività e nuova visione (“Neues Sehen”) influenti per il suo lavoro di fotografa. L’invenzione, limitata al verosimile, si poneva al servizio della resa narrativa di ciò che nei documenti emergeva come dato d’informazione, mentre tutto ciò che appare decisamente “romanzesco” (non solo nelle biografie di Taro e Capa: p.e. la nascita di Georg a ridosso di una visita della madre a Lenin o la sua scampata fucilazione come “spia fascista”) è sempre supportato dalle fonti.
L’aspetto più difficile era comporre l’andirivieni dei ricordi legati da un filo associativo non cronologico. Dovevo trovare il modo per fornire dei punti d’orientamento nei ricorrenti salti spazio-temporali, appigli che non fossero incoerenti con il punto di vista dei narratori. Lo spaesamento trasmesso dalle prospettive di Willy Ruth e Georg era, al tempo stesso, un effetto necessario: vuoi perché rispecchiava le loro storie di profughi ed esiliati, vuoi perché erano catapultati altrove dalla forza dei ricordi. Gerda era il centro verso cui la diaspora dei suoi amici convergeva, la “Gerusalemme ritrovata” capace di ricomporre la mappa degli affetti e ideali di un mondo distrutto.
Gerda e i suoi amici erano inoltre le figure-guida tramite cui inseguire delle domande che, nei sei anni di gestazione del romanzo, divennero sempre più pressanti. Come nasce e si propaga il fascismo? Cosa significa opporvi resistenza? Come allacciarsi a una tradizione antifascista che non sia un rito retorico? Mentre scrivevo, l’Europa veniva investita dalla peggiore crisi economica dopo quella degli anni ’30 e dalla più grande ondata di profughi dal secondo dopoguerra. L’unica alternativa alla politica tradizionale incapace di raddrizzare la rotta verso un progetto di società libera equa e solidale che aveva ispirato le costituzioni democratiche e la nascita dell’Unione Europea, veniva da una destra che riattivava ultra-nazionalismo, razzismo, persino neofascismo e neonazismo. In quel corpo a corpo tra passato e presente, Gerda Taro mi faceva da antidoto. Era una luce in tempi vieppiù cupi perché aveva molto amato una vita in cui lottare in nome della libertà e della giustizia era altrettanto desiderabile che andare a ballare, fare l’amore, avere successo come fotografa.
Prima di occuparmi di Gerda Taro, la mia conoscenza della fotografia era essenzialmente quella di chi ama guardarla e ha letto alcuni “sacri testi” di riflessione teorica. Possedevo delle reminiscenze di un corso di fotografia frequentato al liceo dove avevo imparato a sviluppare i rullini, però restava il fatto che non avevo mai maneggiato una fotocamera che non fosse una scatoletta con cui fare clic. Così mi feci aiutare da due amici che, per una fortunata coincidenza, lavorano uno con una Leica e l’altra con una Rolleiflex. Inoltre mi sembrava importante che la fotografia si facesse veicolo della narrazione; vuoi perché una foto invita chi la guarda a completare il “racconto” fissato nell’istante dello scatto, vuoi perché le vecchie fotografie sono oggetti dotati di una storia. Ho concepito il prologo come un percorso con cui Gerda e Capa si affacciassero a partire da due foto di cui sono artefici, mentre l’epilogo disarticola l’evidenza di un’istantanea che li ritrae assieme, per ricomporre nel finale una diversa immagine della coppia. Ma anche nel corpo del romanzo ho spesso imperniato il testo su alcune foto che non vi sono riprodotte. Così, dopo aver consegnato l’ultimo giro di bozze, mi sono concessa di realizzare un sito (www.helenajaneczek.com) che ospita quelle immagini mancanti, di modo che chiunque ne abbia voglia, possa “sfogliarle” come un album fotografico da affiancare alla narrazione. In più, ho selezionato dei materiali video e audio significativi per la stesura del romanzo che mi sembravano belli da condividere. Tra questi spicca un cinegiornale sovietico girato a Valencia, il 4 luglio 1937, durante l’inaugurazione del “2° Congresso internazionale degli scrittori per la difesa della cultura”, la prima fonte che mi ha segnalato Irme Schaber. Nella pausa creata da un applauso, Gerda Taro, minuta, agile, molto aggraziata nella sua camicetta e gonna chiara, si alza per scattare. Sarebbe morta ventidue giorni dopo, ma in quei pochi secondi resta viva e inafferrabile.

(Riproduzione riservata)

© Helena Janeczek

[1] la traduzione dal tedesco è mia

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La scheda del libro

Questo libro racconta la vita di questa ragazza ribelle, l’amore con Robert Capa, l’avventura di fotografare e la gioia di vivere nella Parigi degli anni Trenta.

Il 1° agosto 1937 una sfilata piena di bandiere rosse attraversa Parigi. È il corteo funebre per Gerda Taro, la prima fotografa caduta su un campo di battaglia. Proprio quel giorno avrebbe compiuto ventisette anni. Robert Capa, in prima fila, è distrutto: erano stati felici insieme, lui le aveva insegnato a usare la Leica e poi erano partiti tutti e due per la Guerra di Spagna. Nella folla seguono altri che sono legati a Gerda da molto prima che diventasse la ragazza di Capa: Ruth Cerf, l’amica di Lipsia, con cui ha vissuto i tempi più duri a Parigi dopo la fuga dalla Germania; Willy Chardack, che si è accontentato del ruolo di cavalier servente da quando l’irresistibile ragazza gli ha preferito Georg Kuritzkes, impegnato a combattere nelle Brigate Internazionali. Per tutti Gerda rimarrà una presenza più forte e viva della celebrata eroina antifascista: Gerda li ha spesso delusi e feriti, ma la sua gioia di vivere, la sua sete di libertà sono scintille capaci di riaccendersi anche a distanza di decenni. Basta una telefonata intercontinentale tra Willy e Georg, che si sentono per tutt’altro motivo, a dare l’avvio a un romanzo caleidoscopico, costruito sulle fonti originali, del quale Gerda è il cuore pulsante. È il suo battito a tenere insieme un flusso che allaccia epoche e luoghi lontani, restituendo vita alle istantanee di questi ragazzi degli anni Trenta alle prese con la crisi economica, l’ascesa del nazismo, l’ostilità verso i rifugiati che in Francia colpiva soprattutto chi era ebreo e di sinistra, come loro. Ma per chi l’ha amata, quella giovinezza resta il tempo in cui, finché Gerda è vissuta, tutto sembrava ancora possibile.

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Helena Janeczek, nata a Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da oltre trent’anni. È autrice dei romanzi Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), finalista al Premio Comisso e vincitore del Premio Napoli, del Premio Sandro Onofri e del Premio Pisa, e Lezioni di tenebra (Guanda, 2011). Il suo sito internet è: www.helenajaneczek.com

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SPECIALE PREMIO STREGA 2018 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/07/04/speciale-premio-strega-2018/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/07/04/speciale-premio-strega-2018/#comments Wed, 04 Jul 2018 15:23:28 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7862 Anche quest’anno, come da tradizione, la proclamazione del vincitore del Premio Strega avverrà il primo giovedì del mese di luglio. Quindi, giovedì 5 luglio 2018, come di consueto al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, sarà assegnato il Premio Strega a uno dei cinque finalisti dell’edizione in corso (qui di seguito elencati). In diretta su Rai 3 a partire dalle 23:00.

- Helena Janeczek, La ragazza con la Leica, Guanda (256 voti, nella votazione della cinquina)

- Marco Balzano, Resto qui, Einaudi (243 voti, nella votazione della cinquina)

- Sandra Petrignani, La corsara. Ritratto di Natalia Ginzburg, Neri Pozza (200 voti, nella votazione della cinquina)

- Lia Levi, Questa sera è già domani, Edizioni E/O (173 voti, nella votazione della cinquina)

- Carlo D’Amicis, Il gioco, Mondadori (151 voti, nella votazione della cinquina)

L’evento sarà trasmesso in diretta televisiva da Rai Tre, dalle h. 23 (la conduttrice della serata, Eva Giovannini, avrà come ospite di eccezione Giampiero Mughini).

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Di seguito, lo speciale di Letteratitudine, con i cinque finalisti ospiti dell’onomino programma radiofonico curato e condotto da Massimo Maugeri (cliccare sui link per accedere alle pagine)

- Helena Janeczek in conversazione con Massimo Maugeri racconta La ragazza con la Leica (Guanda)

- Marco Balzano in conversazione con Massimo Maugeri racconta Resto qui (Einaudi)

- Sandra Petrignani in conversazione con Massimo Maugeri racconta La corsara. Ritratto di Natalia Ginzburg (Neri Pozza)

- Lia Levi in conversazione con Massimo Maugeri racconta Questa sera è già domani (Edizioni E/O)

- Carlo D’Amicis in conversazione con Massimo Maugeri racconta Il gioco (Mondadori)

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LIA LEVI vince il PREMIO STREGA GIOVANI 2018 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/06/12/lia-levi-vince-il-premio-strega-giovani-2018/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/06/12/lia-levi-vince-il-premio-strega-giovani-2018/#comments Mon, 11 Jun 2018 23:07:16 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7833 LIA LEVI con “Questa sera è già domani” (Edizioni E/O),vince il Premio Strega Giovani 2018

Premio Strega Giovani 2018 a Lia Levi

Di seguito proponiamo, per l’ascolto online, la puntata del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie) dove Lia Levi conversa con Massimo Maugeri sul romanzo Questa sera è già domani” (Edizioni E/O)

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(Roma, 11 giugno 2018) – Lia Levi con il romanzo Questa sera è già domani (Edizioni E/O) è la vincitrice della quinta edizione del Premio Strega Giovani, promosso dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e da Strega Alberti con il contributo della Camera di Commercio di Roma e in collaborazione con BPER Banca. La cerimonia di proclamazione si è svolta oggi pomeriggio a Palazzo Montecitorio (Sala della Regina) alla presenza della Vicepresidente della Camera dei deputati, Maria Edera Spadoni.

Quello di Lia Levi, con 65 preferenze su 385 voti espressi, è stato il libro più votato da una giuria composta da ragazze e ragazzi di età compresa tra i 16 e i 18 anni, in rappresentanza di circa 55 licei e istituti tecnici diffusi su tutto il territorio italiano e all’estero (Addis Abeba, Berlino, Bruxelles, Buenos Aires, Parigi). Hanno inoltre partecipato alla giuria i ragazzi del Carcere minorile di Nisida, con un voto collettivo, e un gruppo di settantacinque ragazzi approdati al voto attraverso Teen! Space, uno spazio virtuale di BPER Banca per i ragazzi tra i 13 e i 18 anni, dedicato alla condivisione della passione per l’arte, la musica e la lettura. Gli studenti hanno letto le undici opere concorrenti al Premio Strega 2018 e inviato il loro voto individualmente. I libri di Marco Balzano, Resto qui (Einaudi), e di Silvia Ferreri, La madre di Eva (Neo Edizioni), risultano con 62 e 45 preferenze il secondo e il terzo più votati dai ragazzi.

Durante la cerimonia alla Camera, coordinata dalla giornalista di Rai Tre Eva Giovannini, sono intervenuti Giovanni Solimine, presidente della Fondazione Bellonci, Eleonora Tranfo Alberti, in rappresentanza dell’azienda Strega Alberti Benevento, Pietro Abate, segretario generale della Camera di commercio di Roma e Ermanno Ruozzi, direttore territoriale Campania di BPER Banca, che ha assegnato, in collegamento skype, il premio “Teen! Un premio alla scrittura” a Kal Awoke Yimam dell’Istituto Italiano Omnicomprensivo Galilei di Addis Abeba, autrice della recensione migliore a uno dei libri concorrenti. La studentessa etiope riceverà una borsa di studio di 1.000 euro offerta dalla Banca.

Ospite dell’incontro, insieme allo scrittore Fabio Genovesi, vincitore del Premio Strega Giovani 2015, il cantautore DENTE, che ha eseguito i brani musicali Baby BuildingBeato meConiugati passeggiare.

Gli autori concorrenti si ritroveranno presso la sede della Fondazione Bellonci mercoledì 13 giugno alle ore 21 per l’annuncio dei finalisti al Premio Strega 2018. Il seggio sarà presieduto da Paolo Cognetti, vincitore del Premio Strega 2017. Sarà possibile seguire lo scrutinio dei voti in diretta streaming su Rai Cultura, a partire dalle ore 20.30 (www.cultura.rai.it/live).

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LIA LEVI IN CONVERSAZIONE RADIOFONICA CON MASSIMO MAUGERI

PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA SUL PULSANTE “AUDIO MP3″ (in basso), O CLICCA QUI

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Con Lia Levi abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato Questa sera è già domani” (Edizioni E/O).

Nel 1938 si riuniscono 32 Paesi per affrontare il problema degli ebrei in fuga da Germania e Austria. Molte belle parole ma in pratica nessuno li vuole. Una sorprendente analogia con il dramma dei rifugiati ai nostri giorni.

Nello stesso anno 1938 vengono promulgate in Italia le infami Leggi Razziali. Come e con quali spinte interiori il singolo uomo reagisce ai colpi nefasti della Storia? Ci sarà qualcuno disposto a ribellarsi di fronte ai tanti spietati sbarramenti? In questo nuovo emozionante romanzo Lia Levi torna ad affrontare con particolare tensione narrativa i temi ancora brucianti di un nostro tragico passato.

Nella seconda parte della puntata Massimo Maugeri legge le prime pagine del libro.

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Lia LeviQuesta sera è già domani” (Edizioni E/O)

Genova. Una famiglia ebraica negli anni delle leggi razziali. Un figlio genio mancato, una madre delusa e rancorosa, un padre saggio ma non abbastanza determinato, un nonno bizzarro, zii incombenti, cugini che scompaiono e riappaiono. Quanto possono incidere i risvolti personali nel momento in cui è la storia a sottoporti i suoi inesorabili dilemmi? È possibile desiderare di restare comunque nella terra dove ci sono le tue radici o è urgente fuggire? Se sì, dove? Esisterà un paese realmente disponibile all’accoglienza?
Alla tragedia che muove dall’alto i fili dei diversi destini si vengono a intrecciare i dubbi, le passioni, le debolezze, gli slanci e i tradimenti dell’eterno dispiegarsi della commedia umana.
Una vicenda di disperazione e coraggio realmente accaduta, ma completamente reinventata, che attraverso il filtro delle misteriose pieghe dell’anima ci riporta a un tragico recente passato.

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Lia Levi, di famiglia piemontese, vive a Roma, dove ha diretto per trent’anni il mensile ebraico Shalom. Per le nostre edizioni ha pubblicato: Una bambina e basta (Premio Elsa Morante Opera Prima), Quasi un’estate, L’albergo della Magnolia (Premio Moravia), Tutti i giorni di tua vita, Il mondo è cominciato da un pezzo, L’amore mio non può, La sposa gentile (Premio Alghero Donna e Premio Via Po) La notte dell’oblio e Il braccialetto (Premio speciale della giuria Rapallo Carige, Premio Adei Wizo). Nel 2012 le è stato conferito il Premio Pardès per la Letteratura Ebraica.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA SUL PULSANTE “AUDIO MP3″ (in basso), O CLICCA QUI


La colonna sonora della puntata: i seguenti brani di Noa: “Beautiful That Way”, “I Don’t Know”, “Eye in the sky”.

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È possibile ascoltare le precedenti puntate radiofoniche di Letteratitudine, cliccando qui.


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FERNANDO ARAMBURU vince il PREMIO STREGA EUROPEO: lo speciale di Letteratitudine http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/05/14/fernando-aramburu-vince-il-premio-strega-europeo-lo-speciale-di-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/05/14/fernando-aramburu-vince-il-premio-strega-europeo-lo-speciale-di-letteratitudine/#comments Mon, 14 May 2018 15:06:47 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7791

Fernando Aramburu, con il suo romanzo Patria (Guanda), tradotto da Bruno Arpaia, si aggiudica la quinta edizione del Premio Strega Europeo, nato nel 2014 in occasione del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea per diffondere la conoscenza delle voci più originali e profonde della narrativa contemporanea.

Il romanzo racconta di due famiglie basche che abitano in un paesino dalle parti di San Sebastián. Due famiglie che hanno sempre vissuto all’insegna dell’amicizia e del reciproco sostegno… fino a quando la loro storia non si incrocia con quella dell’ETA e con un attentato terroristico che costerà la vita a uno dei due capofamiglia (il Txato, titolare di una ditta di trasporti, che non si è voluto piegare a messaggi intimidatori a scopo estorsivo ricevuti dall’organizzazione terroristica). Una morte che non crea solo dolore, ma anche divisioni e allontanamenti (per ulteriori dettagli sulla trama rinviamo alla scheda del libro inserita alla fine del post).

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Risultati immagini per Fernando Aramburu wikipedia esFernando Aramburu ha dichiarato di sentirsi onorato per il prestigioso conferimento del premio e ne ha approfittato per evidenziare il merito del suo traduttore italiano. Ha espresso un pensiero dedicato ai suoi concittadini, che per anni hanno subito dolore. Ha evidenziato il fatto che nel suo romanzo ha narrato – appunto – storie di sofferenza attraverso il racconto dell’esperienza di vita dei suoi personaggi. Si è anche soffermato sul senso della parola “Patria”, una parola forte e dai molteplici significati; riferita, in questo caso, ai Paesi Baschi, e che molti editori hanno deciso di lasciare come titolo del romanzo tradotto.

Di seguito, il video della premiazione:

E a proposito di traduzione, riproponiamo un paio domande (con relative risposte) che abbiamo rivolto a Bruno Arpaia (co-vincitore del Premio Strega Europeo nel suo ruolo di traduttore) su questo fortunato libro da lui brillantemente tradotto…

- Bruno Arpaia, partendo dal presupposto che puoi godere di una “visuale privilegiata” nel tuo molteplice ruolo di lettore, scrittore, giornalista culturale e (ovviamente) traduttore dell’opera in questione… cos’è che più di ogni altra cosa hai apprezzato in “Patria” di Fernando Aramburu?
Risultati immagini per bruno arpaia«Ne ho apprezzate moltissime, dall’architettura del libro, che manipola meravigliosamente il tempo, alla lingua, capace di spaziare su moltissimi registri e di adattarsi come un vestito ai diversi personaggi. Ed è proprio grazie a queste capacità che Aramburu è riuscito nella cosa, secondo me, più difficile: restituire in maniera perfetta l’ambiente, l’atmosfera dell’epoca nei Paesi Baschi, anche a chi, come me, li aveva frequentati in quegli anni; Aramburu ha saputo raccontare l’impatto della grande Storia e delle sue tragedie sulla vita delle persone comuni, la sensazione di respirare di continuo paura, sospetto, delazione, esaltazione ideologica, spirito gregario, ma anche disagio, ribellione individuale, senso di ingiustizia, pietas. E soprattutto l’ha fatto senza cedimenti «buonisti», ma con grande com-passione, schierandosi senza schierarsi, penetrando a fondo anche nella mente e nelle ragioni dei terroristi e del tessuto sociale che li sosteneva, guardando il male negli occhi, come dovrebbe fare qualunque bravo romanziere. Perché il Male è in ciascuno di noi, e spesso basta un contesto, qualche motivazione, di solito pretestuosa (come il nazionalismo), a cui aggrapparsi, per farlo venire a galla.»

- Quanto tempo hai impiegato a tradurlo? Hai avuto modo di confrontarti con l’autore su alcuni passaggi o non è stato necessario?
«Onestamente, non lo ricordo. L’anno scorso ho tradotto moltissimi libri e ho perso il conto. So soltanto che, per mia fortuna, sono un traduttore veloce; altrimenti, con quello che si viene pagati, il gioco non varrebbe la candela. Noi traduttori italiani siamo svantaggiatissimi rispetto ai nostri colleghi francesi, tedeschi, inglesi, spagnoli… Quanto al confronto con l’autore, la mia “filosofia” è quella di cercare di rompere le scatole il meno possibile agli autori che traduco, se non in casi davvero eccezionali, anche quando si tratta di miei cari amici. Succede anche a me quando i miei romanzi vengono tradotti all’estero e i colleghi stranieri mi chiedono lumi. Non dico assolutamente che sia una seccatura, anzi: un libro è sempre come un figlio che vorresti mandare in giro per il mondo nelle migliori condizioni; ma certamente bisogna impiegare molto tempo a spiegare, precisare, limare, appurare se in quella lingua eccetera eccetera… Perciò no, non c’è stato motivo di disturbare Fernando e non l’ho mai interpellato mentre traducevo. Ho, invece, discusso a lungo con il direttore editoriale e le bravissime redattrici della casa editrice sull’uso di alcuni tempi verbali e alla fine abbiamo trovato una soluzione soddisfacente per tutti.»

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Link logo alla HomeIl vincitore è stato annunciato al Salone Internazionale del Libro di Torino alla presenza dei cinque candidati. Sono intervenuti Beatrice Covassi, Capo della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, Maria Ida Gaeta, direttore della Casa delle Letterature di Roma e del Festival Internazionale Letterature, Natale Antonio Rossi, presidente della FUIS (Federazione Unitaria Italiana Scrittori), Giovanni Solimine e Stefano Petrocchi, presidente e direttore della Fondazione Bellonci.

Il riconoscimento, del valore di 3.000 euro è stato consegnato da Beatrice Covassi, madrina della manifestazione.
Un altro riconoscimento di 1.500 euro, offerto dalla FUIS, è stato attribuito al traduttore del libro premiato.

Il libro di Fernando Aramburu è stato votato da una giuria composta da scrittori vincitori e finalisti del Premio Strega – Alessandro Barbero, Laura Bosio, Rossana Campo, Antonella Cilento, Maria Rosa Cutrufelli, Antonio Debenedetti, Paolo Di Paolo, Ernesto Ferrero, Mario Fortunato, Paolo Giordano, Nicola Lagioia, Rosetta Loy, Melania G. Mazzucco, Edoardo Nesi, Lorenzo Pavolini, Romana Petri, Antonio Scurati, Elena Stancanelli, Domenico Starnone – e dai responsabili delle istituzioni che collaborano all’organizzazione del premio.

Hanno concorso a ottenere il premio cinque romanzi recentemente tradotti in Italia, provenienti da aree linguistiche e culturali diverse, che hanno vinto nei Paesi europei in cui sono stati pubblicati un importante premio nazionale.

Questi i libri candidati alla quinta edizione:

  • Fernando Aramburu, Patria (Guanda), tradotto da Bruno Arpaia Premio Nacional de Narrativa 2017, Spagna
  • Olivier Guez, La scomparsa di Josef Mengele (Neri Pozza), tradotto da Margherita Botto Prix Renaudot 2017, Francia
  • Lisa McInerney, Peccati gloriosi (Bompiani), tradotto da Marco Drago Baileys Women’s Prize 2016, Irlanda
  • Auður Ava Ólafsdóttir, Hotel Silence (Einaudi), tradotto da Stefano Rosatti Icelandic Literature Prize 2016, Islanda
  • Lize Spit, Si scioglie (E/O), tradotto da David Santoro Nederlandse Boekhandelsprijs 2017, Belgio

I vincitori delle scorse edizioni:

2017 Jenny Erpenbeck, Voci del verbo andare (Sellerio), tradotto da Ada Vigliani
2016 Annie Ernaux, Gli anni (L’orma), tradotto da Lorenzo Flabbi
2015 Katja Petrovskaja, Forse Esther (Adelphi), tradotto da Ada Vigliani
2014 Marcos Giralt Torrente, Il tempo della vita (Elliot), tradotto da Pierpaolo Marchetti

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Di seguito, la presentazione di “Patria” al Salone del Libro: Fernando Aramburu in conversazione con Paolo Di Paolo

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La scheda del libro

Con la forza della letteratura, Fernando Aramburu ha saputo raccontare una comunità lacerata, e allo stesso tempo scrivere una storia di gente comune, di affetti, di amicizie, di sentimenti feriti: un romanzo da accostare ai grandi modelli narrativi che hanno fatto dell’universo famiglia il fulcro morale, il centro vitale della loro trama.

Due famiglie legate a doppio filo, quelle di Joxian e del Txato, cresciuti entrambi nello stesso paesino alle porte di San Sebastián, vicini di casa, inseparabili nelle serate all’osteria e nelle domeniche in bicicletta. E anche le loro mogli, Miren e Bittori, erano legate da una solida amicizia, così come i loro figli, compagni di giochi e di studi tra gli anni Settanta e Ottanta. Ma poi un evento tragico ha scavato un cratere nelle loro vite, spezzate per sempre in un prima e un dopo: il Txato, con la sua impresa di trasporti, è stato preso di mira dall’ETA, e dopo una serie di messaggi intimidatori a cui ha testardamente rifiutato di piegarsi, è caduto vittima di un attentato… Bittori se n’è andata, non riuscendo più a vivere nel posto in cui le hanno ammazzato il marito, il posto in cui la sua presenza non è più gradita, perché le vittime danno fastidio. Anche a quelli che un tempo si proclamavano amici. Anche a quei vicini di casa che sono forse i genitori, il fratello, la sorella di un assassino. Passano gli anni, ma Bittori non rinuncia a pretendere la verità e a farsi chiedere perdono, a cercare la via verso una riconciliazione necessaria non solo per lei, ma per tutte le persone coinvolte.

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Fernando Aramburu, nato a San Sebastián nel 1959, ha studiato Filologia ispanica all’Università di Saragozza e negli anni Novanta si è trasferito in Germania per insegnare spagnolo. Dal 2009 ha abbandonato la docenza per dedicarsi alla scrittura e alle collaborazioni giornalistiche. Ha pubblicato romanzi e raccolte di racconti, che sono stati tradotti in diverse lingue e hanno ottenuto numerosi riconoscimenti. Patria, uscito in Spagna nel settembre 2016, ha avuto un successo eccezionale e un vastissimo consenso, conquistando – fra gli altri – il Premio de la Crítica 2017.

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DONATELLA DI PIETRANTONIO vince il PREMIO CAMPIELLO 2017 (con “L’Arminuta” – Einaudi) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/09/10/donatella-di-pietrantonio-vince-il-premio-campiello-2017/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/09/10/donatella-di-pietrantonio-vince-il-premio-campiello-2017/#comments Sat, 09 Sep 2017 22:40:58 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7606 DONATELLA DI PIETRANTONIO vince il PREMIO CAMPIELLO 2017 (con “L’Arminuta” – Einaudi)


Donatella Di Pietrantonio, con “L’Arminuta” (Einaudi), ha beneficiato di 133 voti sui 282 inviati dalla Giuria dei Trecento Lettori Anonimi. Secondo classificato: Stefano Massini, con  “Qualcosa sui Lehman” (Mondadori), 99 voti. Terzo classificato: Mauro Covacich, con “La città interiore” (La nave di Teseo), 25 voti. In quarta posizione: Alessandra Sarchi, con “La notte ha la mia voce” (Einaudi), 13 voti. Al quinto posto: Laura Pugno con “La ragazza selvaggia” (Marsilio), 12 voti.

In esclusiva per Letteratitudine  Donatella Di Pietrantonio ci ha parlato de L’ARMINUTA (Einaudi) offrendoci questo racconto delizioso e toccante

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di Donatella Di Pietrantonio

Ero bambina, abitavo con la mia famiglia in un piccolo borgo del teramano, ai confini con la provincia di Pescara. Sopra di noi il Monte Camicia, così vicino da non poterne vedere la vetta. Era una contrada remota, non arrivava mai nessuno fin lì, il sentiero che portava alle case era battuto solo dai pochi abitanti. I parenti venivano in occasione della trebbiatura in estate e dell’uccisione del maiale in inverno. Erano quelli gli eventi più importanti dell’anno.

La sera, davanti alla fiamma vivace del camino, gli adulti raccontavano storie, ma vere. Nel debole chiarore del lume ad acetilene noi bambini ascoltavamo, seduti su bassi sgabelli di legno. Una volta li sentimmo parlare di una famiglia povera e numerosa che aveva ceduto l’ultimo nato a una coppia di parenti sterili. Dicevano che lu cìtile era fortunato perché quelli che lo avevano preso tenevano la roba. Molti ettari di terreno, numerosi capi di bestiame nelle stalle, il casolare rimesso a nuovo. Abitavano vicino al paese e gli avrebbero inzuccherato la bocca al piccolino, così diceva una mia zia acquisita.

“Stai attenta tu, con quella lingua lunga” ammonì poi voltandosi dalla mia parte.

Cosa intendeva, che potevo essere data pure io? Aveva suggerito più di una volta a mia madre di prendere provvedimenti nei miei confronti, “non sta bene che essa risponde”. Rispondere agli adulti equivaleva a mancargli di rispetto.

In estate conobbi un cugino di mio padre, molto più giovane di lui. Sembrava triste, sotto il cappello la fronte già segnata da una ruga profonda a forma di emme. Era venuto a trovarci insieme ai suoi genitori e non gli somigliava affatto. Loro molto scuri di carnagione e capelli, lui pallido e con la testa bianca, dietro gli occhiali le iridi di un azzurro così chiaro da sembrare trasparenti. Al mio stupore per quel suo aspetto gracile, da vecchietto precoce, mio padre rispose tranquillo:

“Non gli somiglia no agli zii, mica è il figlio. Gliel’hanno dato certi parenti alla lontana, quando teneva una decina d’anni. A essi le creature non gli venivano”.

La rivelazione mi tolse il sonno, trasformò ai miei occhi un evento eccezionale in pratica comune. Prima quel neonato di cui parlavano nelle sere d’inverno, poi il cugino Settimio.

Il suo nome raccontava quanti erano nati prima di lui nella famiglia che poi l’aveva ceduto, ma il suo soprannome era “occhi bianchi”. Mio padre non era legato a lui come agli altri cugini, che trattava quasi da fratelli. Settimio era considerato un diverso, un malato, uno che mai avrebbe potuto dare una mano nei campi. Pochi minuti di esposizione al sole erano sufficienti a ustionarlo. Veniva sempre lasciato a casa, sia nella prima che nella seconda famiglia, “sennò si coce”, dicevano. Era albino, ma non potevo saperlo. Sapevo invece che altri due fratelli erano nati dopo di lui, ma erano stati tenuti in famiglia. I suoi non l’avevano dato in quanto poveri o troppi, ma per la sua bianchezza e inabilità al lavoro. I genitori adottivi l’avevano preso lo stesso, erano già un po’ in là con gli anni e un figlio lo volevano a tutti i costi. Come bastone per la vecchiaia, diceva mia madre, sarebbe andato bene pure “occhi bianchi”.

Lo vedevamo di rado, Settimio, solo a qualche cerimonia che riuniva il parentado. Matrimoni, funerali. All’aperto portava sempre il cappello. Provavo pena per lui, con quella emme di tristezza indelebile sulla fronte. La storia sua e di quel neonato agitava i miei sonni. La condizione di figli non era sicura. Per restare figli occorrevano dei requisiti e io non ero più certa di possederli tutti. Ero troppo magra, per esempio. Un nostro vicino diceva che prima o poi il vento si sarebbe infilato sotto la mia gonna e sarei volata via, così leggera. Ma soprattutto l’eccessiva magrezza dava l’impressione che anch’io fossi troppo debole per aiutare nei lavori domestici.

“Tua figlia è buona solo per la scuola”, mio nonno paterno lo rinfacciava spesso a mia madre.

Sono trascorsi decenni da allora. Il vento non mi ha portata via e i miei genitori mi hanno sostenuta negli studi. Di tanto in tanto ho chiesto notizie di Settimio, che non incontravo quasi mai. Si era sposato e aveva avuto due figli, un maschio e una femmina. Deve averli molto amati, i parenti lo criticavano per questo: “sta sempre appresso a essi”. Solo al mare non poteva accompagnarli, anche con il cappello era troppo rischioso.

Nonostante tutte le attenzioni se n’è andato qualche tempo fa, per un tumore della pelle. La testa bianca era ormai giusta per la sua età e sulla fronte la ruga a emme si era distesa nella falsa serenità della morte. “L’Arminuta” è dedicata anche a lui.

(Riproduzione riservata)

© Donatella Di Pietrantonio

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“L’arminuta” di Donatella Di Pietrantonio (Einaudi)

Donatella Di Pietrantonio vive a Penne, in Abruzzo, dove esercita la professione di dentista pediatrico. Ha esordito con il romanzo Mia madre è un fiume (Elliot 2011, Premio Tropea). Con Bella mia (Elliot 2014) ha partecipato al Premio Strega. Per Einaudi ha pubblicato L’Arminuta (2017).

Quarta di copertina:

«Ero l’Arminuta, la ritornata. Parlavo un’altra lingua e non sapevo piú a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza».
– Ma la tua mamma qual è? – mi ha domandato scoraggiata. – Ne ho due. Una è tua madre.
Ci sono romanzi che toccano corde cosí profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con L’Arminuta fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell’altra, suona a una porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia cosí questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all’altro perde tutto – una casa confortevole, le amiche piú care, l’affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l’Arminuta» (la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo. Ma c’è Adriana, che condivide il letto con lei. E c’è Vincenzo, che la guarda come fosse già una donna. E in quello sguardo irrequieto, smaliziato, lei può forse perdersi per cominciare a ritrovarsi. L’accettazione di un doppio abbandono è possibile solo tornando alla fonte a se stessi. Donatella Di Pietrantonio conosce le parole per dirlo, e affronta il tema della maternità, della responsabilità e della cura, da una prospettiva originale e con una rara intensità espressiva. Le basta dare ascolto alla sua terra, a quell’Abruzzo poco conosciuto, ruvido e aspro, che improvvisamente si accende col riflesso del mare.

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I 5 LIBRI FINALISTI

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La finale del PREMIO CAMPIELLO 2017 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/09/08/la-finale-del-premio-campiello-2017/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/09/08/la-finale-del-premio-campiello-2017/#comments Fri, 08 Sep 2017 14:00:42 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7604 La finale del PREMIO CAMPIELLO 2017 si svolgerà nella serata di sabato 9 settembre al teatro La Fenice di Venezia

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Ecco i libri e gli autori finalisti del Premio Campiello 2017, scelti tra 78 opere segnalate.

Sabato 9 settembre, dalle ore 20, sarà possibile seguire la finale dalla pagina Facebook del Premio Campiello.

Il docufilm della finale sarà trasmesso da Rai 5 mercoledì 20 settembre a partire dalle 20:45 circa

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“Qualcosa sui Lehman” di Stefano Massini (Mondadori)

“La città interiore” di Mauro Covacich (La Nave di Teseo)

“La notte ha la mia voce” di Alessandra Sarchi (Einaudi)

“L’arminuta” di Donatella Di Pietrantonio (Einaudi)

“La ragazza selvaggia” di Laura Pugno (Marsilio).

Il premio Campiello Opera prima è stato tributato a Francesca Manfredi autrice di “Un buon posto dove stare” (La Nave di Teseo).

Il vincitore assoluto della 55/a edizione del premio Campiello, il cosiddetto SuperCampiello, sarà proclamato il 9 settembre al teatro La Fenice di Venezia dopo il conteggio dei voti della giuria popolare.

Di seguito informazioni sui 5 libri e i video con i 5 scrittori finalisti

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“La città interiore” di Mauro Covacich (La nave di Teseo)

Mauro Covacich è nato a Trieste nel 1965. Ha scritto diversi libri di narrativa, tra cui: Anomalie (Mondadori 1998, Bompiani 2015), L’amore contro (Mondadori 2001, Einaudi 2009), A perdifiato (Mondadori 2003, Einaudi 2005), Fiona (Einaudi 2005 e 2011), Trieste sottosopra (Laterza 2006), Prima di sparire (Einaudi 2008 e 2010), A nome tuo (Einaudi 2011), L’esperimento (Einaudi 2013), La sposa (Bompiani 2014).

Quarta di copertina
“Il bambino è diretto al Borgo Teresiano, vicino alla chiesa con la cupola blu, vicino al Canale, vicino alle bancarelle di Ponterosso. Sa dov’è. A sette anni si muove in città come un migratore lungo le rotte celesti. Non conosce i nomi delle vie, segue riferimenti emotivi, talvolta geometrici, i colori delle insegne, le fughe di luce verso la marina, i volumi dei pieni e dei vuoti tra i palazzi, le chiome degli alberi. Ha una bussola interna, l’infallibile magnetismo di un uccellino cresciuto per strada.”
È il 4 aprile 1945. Quel bambino sta trasportando una sedia tra le macerie della città liberata dai nazifascisti ed è diretto al comando alleato, dove lo attende suo padre – dal cognome vagamente sospetto, Covacich – sottoposto a un interrogatorio. E quella sedia potrebbe scagionarlo.
Sempre Trieste, 5 agosto 1972. I terroristi di Settembre Nero hanno fatto saltare due cisterne di petrolio. Un bambino, Mauro Covacich, tra le gambe di suo padre (il bambino che trascinava la sedia ventisette anni prima nella Trieste liberata), contemplando le colonne di fumo dalle alture carsiche sopra la città, chiede: “Papà, semo in guera?”
Mauro Covacich torna nella sua Trieste, con un libro dal ritmo incalzante, avventuroso romanzo della propria formazione, scritto con la precisione chirurgica di un analista di guerra e animato dalla curiosità di un reporter. La città interiore è la cartografia del cuore di uno scrittore inguaribilmente triestino; è il compiuto labirinto di una città, di un uomo, della Storia, che il lettore percorre con lo stesso senso di inquieta meraviglia che accompagnava quel bambino del 1945 e quello del 1972; un labirinto di deviazioni e ritorni inaspettati, da cui si esce con il desiderio di rientrarci.

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“L’arminuta” di Donatella Di Pietrantonio
(Einaudi)

Donatella Di Pietrantonio vive a Penne, in Abruzzo, dove esercita la professione di dentista pediatrico. Ha esordito con il romanzo Mia madre è un fiume (Elliot 2011, Premio Tropea). Con Bella mia (Elliot 2014) ha partecipato al Premio Strega. Per Einaudi ha pubblicato L’Arminuta (2017).

Quarta di copertina:

«Ero l’Arminuta, la ritornata. Parlavo un’altra lingua e non sapevo piú a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza».
– Ma la tua mamma qual è? – mi ha domandato scoraggiata. – Ne ho due. Una è tua madre.
Ci sono romanzi che toccano corde cosí profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con L’Arminuta fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell’altra, suona a una porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia cosí questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all’altro perde tutto – una casa confortevole, le amiche piú care, l’affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l’Arminuta» (la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo. Ma c’è Adriana, che condivide il letto con lei. E c’è Vincenzo, che la guarda come fosse già una donna. E in quello sguardo irrequieto, smaliziato, lei può forse perdersi per cominciare a ritrovarsi. L’accettazione di un doppio abbandono è possibile solo tornando alla fonte a se stessi. Donatella Di Pietrantonio conosce le parole per dirlo, e affronta il tema della maternità, della responsabilità e della cura, da una prospettiva originale e con una rara intensità espressiva. Le basta dare ascolto alla sua terra, a quell’Abruzzo poco conosciuto, ruvido e aspro, che improvvisamente si accende col riflesso del mare.

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“Qualcosa sui Lehman” di Stefano Massini (Mondadori)

Stefano Massini (1975) è da alcuni anni lo scrittore italiano più rappresentato sui palcoscenici di tutto il mondo. Ha vinto sette premi della critica tra Francia, Italia, Germania e Spagna. Nel 2015 succede in punta di piedi a Giorgio Strehler e Luca Ronconi come responsabile artistico del Piccolo Teatro di Milano, Teatro d’Europa. Lo spettacolo tratto da Qualcosa sui Lehman, il suo “Lehman Trilogy” ‘ in Italia ultima regia di Ronconi ‘, è tradotto in 15 lingue, e verrà diretto dal premio Oscar Sam Mendes per il Royal National di Londra.

Quarta di copertina
Questa incredibile storia inizia sul molo di un porto americano, con un giovane immigrato ebreo tedesco che respira a pieni polmoni l’entusiasmo dello sbarco. E da questo piccolo seme che nascerà il grande albero di una saga familiare ed economica capace davvero di cambiare il mondo. Acuto e razionale, Henry Lehman (non a caso soprannominato “Testa”) si trasferisce nel profondo Sud degli Stati Uniti, dove apre un minuscolo negozio di stoffe. Ma il cotone degli schiavi è solo il primo banco di prova per l’astuzia commerciale targata Lehman Brothers (perché nel frattempo Henry si è fatto raggiungere dai due fratelli minori Emanuel e Mayer, rispettivamente detti “Braccio” e “Patata”). In un incalzare di eventi, i tre fratelli collezionano clamorosi successi e irritanti passi falsi mentre la grande calamita di New York li attira nel suo vortice inebriante. Nel frattempo, al vecchio cotone si sono sostituiti il caffè, lo zucchero, il carbone, e soprattutto la nuova frontiera di un’industria ferroviaria tutta da finanziare. E questa la seconda appassionante tappa del libro, intitolata “Padri e figli”, incentrata sulla rocambolesca scalata al potere del glaciale Philip Lehman, circondato dai cugini Sigmund, Dreidel, Herbert e Arthur. Le loro esistenze parallele compongono un mosaico di umanità diverse, assortite, contraddittorie, in cui l’angoscia dei sogni notturni va di pari passo a una corsa implacabile per stare al ritmo di Wall Street. Sono gli anni dell’ebbrezza, destinata a infrangersi nel crollo fragoroso del 1929, quando le sorti di un sistema al collasso verranno affidate alle fragili mani di Bobbie Lehman, simbolo di un mondo in equilibrio precario, ostaggio delle sue stesse mode e di fatto incapace di darsi un futuro certo. Stefano Massini ha scritto un’opera straordinaria, in grado di attraversare il tempo, intrecciando la storia privata di una famiglia e quella universale degli uomini. Spiazzante e pirotecnico, l’autore crea un edificio narrativo monumentale, in cui non c’è più spazio per le tradizionali differenze fra generi: il romanzo si amalgama al saggio, l’epica al teatro, con continue incursioni nel cinema, nelle canzoni, e perfino nelle formule matematiche e nei fumetti. Tutto questo fa di Qualcosa sui Lehman un libro senza eguali, con una forma assolutamente nuova, che sfidando in un corpo a corpo artistico XIX e XX secolo apre di fatto uno squarcio sul futuro.

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“La ragazza selvaggia” di Laura Pugno (Marsilio)

Laura Pugno, è nata a Roma. Ha pubblicato una raccolta di racconti, Sleepwalking (Sironi 2002), e quattro romanzi: Sirene (Einaudi 2007), Quando verrai (minimum fax 2009), Antartide (minimum fax 2011), La caccia (Ponte alle Grazie 2012). In poesia: Il colore oro (Le Lettere 2007), La mente paesaggio (Perrone 2010) e Bianco (Nottetempo 2016); è inoltre inclusa nell’antologia einaudiana Nuovi poeti italiani 6 (2012). Oggi dirige l’Istituto Italiano di Cultura di Madrid.

Quarta di copertina
«Tessa aprì la porta sul buio del bosco»: così comincia La ragazza selvaggia, e davvero il quinto romanzo di Laura Pugno è tutto uno spalancarsi di porte sul buio: sul buio del bosco; sul buio del dramma della famiglia Held – la madre alienata dopo la sparizione della figlia adottiva Dasha e l’incidente in seguito al quale Nina, la gemella, vive in stato vegetativo; sul buio di Nicola Varriale, il cui padre generoso ed entusiasta – socio di Held in affari con la riserva naturale sperimentale di Stellaria – si è gettato ubriaco dal balcone; sul buio, finalmente, della protagonista Tessa, biologa, che vive in un container ai margini della riserva conducendo osservazioni e studi: una donna che ormai «abita la solitudine come un altro corpo». A lei toccherà la sorte di ritrovare casualmente Dasha, vissuta anni nel bosco e ormai del tutto selvaggia. Ci interroga, questo romanzo che può essere descritto come una storia di revenant, o il racconto d’un groviglio di vite umane osservato con una compassione senza lacrime. Ci interroga su che cosa è – attorno a noi, in noi – ciò che chiamiamo “natura”; sui confini tra l’umano e l’animale; sul senso di legami familiari frutto di scelte, o del caso, e non della carne. Riprendendo in forma nuova e sorprendente alcuni temi del suo primo romanzo, Sirene, Laura Pugno ci guida con passo sicuro e con una scrittura essenziale nell’esplorazione di un immaginario potente, affascinante, e forse profetico

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“La notte ha la mia voce” di Alessandra Sarchi (Einaudi)

Alessandra Sarchi è nata a Reggio Emilia nel 1971, vive a Bologna. Ha pubblicato Segni sottili e clandestini (Diabasis 2008). Per Einaudi Stile Libero è uscito nel 2012 il romanzo Violazione, vincitore del premio Paolo Volponi opera prima, nel 2014 L’amore normale e nel 2017 La notte ha la mia voce.

Quarta di copertina
Una giovane donna ha perso l’uso delle gambe in seguito a un incidente. Abita un corpo che non le appartiene piú e si sente in esilio dal territorio dei sani. Poi incontra la Donnagatto, e il suo modo di guardare se stessa, e gli altri, cambia.
La prima cosa che arriva di Giovanna è la voce: argentina, decisa, sensuale. Fa pensare a qualcuno che avanzi sulle miserie quotidiane come un felino. Ecco perché, fi n da subito, l’io narrante la battezza Donnagatto, sebbene Giovanna sia paralizzata, proprio come lei. Al contrario di lei, però, rivendica il diritto a desiderare ancora, sfi dando l’imperfezione del mondo. La Donnagatto nasconde un segreto, e forse ha trovato una persona cui confessarlo, consegnandole la propria storia. Una storia dove è solo apparente il confi ne tra la condanna e la grazia.
«È di libertà che si dovrebbe parlare, quando si parla di corpi. Ma come si fa, se non ce li scegliamo nemmeno alla nascita? I nostri corpi sono già passato, eredità elargita da chi ci ha generato e preceduto nella tirannia combinatoria dei geni».


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ll vincitore del Premio Campiello – Opera Prima

“Un buon posto dove stare” di Francesca Manfredi (La nave di Teseo)

Francesca Manfredi è nata a Reggio Emilia nel 1988 e vive a Torino. Ha pubblicato racconti su «Linus» e sul «Corriere della Sera». E’ tra gli autori di Bianca, serie teatrale in sei episodi ideata da Stephen Amidon e realizzata dal Teatro Stabile di Torino nel 2015. Tiene corsi di narrazione presso la Scuola Holden. Un buon posto dove stare è il suo primo libro.

Quarta di copertina
Un bosco, una vecchia casa in montagna, la piscina di un condominio. Una bambina che nuota, una ragazza che torna a casa, un padre che scompare, un altro che trova pace nel silenzio umido di una cantina. E poi, nel pulviscolo di istanti che compongono i giorni più normali, affiora la rete dei sentimenti, dei sogni, delle scoperte che illuminano e feriscono, di una memoria in cui si è sempre salvi, ma inguaribilmente soli.

È con grazia e scrittura limpidissima che Francesca Manfredi racconta i protagonisti di queste undici storie, avvolti nella normalità delle loro vite, ma sempre colti sul principio di una soglia da cui poter guardare alle loro fragilità e alle loro inquietudini, come a un posto da cui non è necessario fuggire, un buon posto dove stare.

Questo è il libro di esordio di Francesca Manfredi, una delle voci più belle e già riconosciute all’estero della nuova narrativa italiana.


Motivazione della Giuria dei Letterati

Ad attraversare gli undici racconti di “Un buon posto dove stare”, esordio narrativo di Francesca Manfredi, c’è come un filo rosso riassumibile nei termini “traslochi”, inteso come costante spiazzamento dai propri luoghi dei diversi personaggi, e “case”, che attraggono, si ricordano, o respingono. Case che si aprono soprattutto all’interno, salvo poi svelare stanze misteriosamente intatte o ripostigli abbandonati o proibiti, in cui si celano inquietanti storie segrete, e dalle quali, se appartenenti al tuo passato, forse vorresti anche non essere mai uscito. Case e stanze che qualche protagonista vorrebbe eleggere ad àncora di salvezza rispetto al «fuori».

E si hanno racconti che richiamano immagini, ma soprattutto «odori» che, come sempre trattandosi di memoria, alternano piacere e sgradevolezze, in queste storie di ordinaria quotidianità che propongono personaggi di varie età, da bambini ad anziani, prevalentemente famiglie o coppie che vivono situazioni di disagio o che si sfuggono. Ne vengono personaggi che vivono di comunicazioni trattenute, fatte di silenzi e segreti, di sensazioni interiori che avvertono quasi come colpa il comunicarle agli altri. E ricordi dovuti alla casualità d’un incontro con una figura, un rumore, un suono, uno sguardo, nei quali avvertono qualcosa di proprio e che resta tale perché indescrivibile da riferire con parole. Di qui la coerenza con la scrittura: originale, piana, paratattica, essenziale, sospesa tra detto e non detto. E la nota malinconica che attraversa tutto il libro e che segna personaggi che portano dentro di sé le fragilità e le incertezze dell’oggi, e nei quali solo alla fine affiora la sensazione che «Tutti abbiamo qualcosa che ci salva; solo che, a volte, è una cosa talmente piccola che non è facile da scoprire».

Giuria dei Letterati

Presidente
Ottavia Piccolo, attrice

Federico Bertoni
docente di Critica letteraria e letterature comparate, Università di Bologna

Philippe Daverio
storico dell’arte

Chiara Fenoglio
studiosa di Letteratura Italiana

Paola Italia
docente di letteratura italiana, Università di Bologna

Luigi Matt
docente di Storia della lingua italiana, Università di Sassari

Ermanno Paccagnini
docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea, Università “La Cattolica” di Milano

Patrizia Sandretto Re Rebaudengo
presidente “Fondazione Sandretto Re Rebaudengo” di Torino

Lorenzo Tomasin
docente di Filologia romanza, Università di Losanna

Roberto Vecchioni
cantautore, scrittore, docente Università di Pavia

Emanuele Zinato
docente di Letteratura italiana contemporanea, Università di Padova

Comitato Tecnico

Giorgio Pullini – Presidente
già docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea, Università di Padova

Gilberto Pizzamiglio
già docente di Letteratura italiana, Università “Ca’ Foscari”di Venezia

Ricciarda Ricorda
docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea, Università “Ca’ Foscari” di Venezia

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PAOLO COGNETTI con “Le otto montagne” (Einaudi) vince il PREMIO STREGA 2017 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/07/07/paolo-cognetti-con-le-otto-montagne-einaudi-vince-il-premio-strega-2017/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/07/07/paolo-cognetti-con-le-otto-montagne-einaudi-vince-il-premio-strega-2017/#comments Thu, 06 Jul 2017 22:35:42 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7572 PAOLO COGNETTI con “Le otto montagne” (Einaudi) è il vincitore dell’edizione 2017 del PREMIO STREGA.

(Paolo Cognetti vincitore del LXXI Premio Strega ©Musacchio / Ianniello / Pasqualini)

Nel corso della serata sono stati trasmessi dei video in diretta dalla pagina Facebook di Letteratitudine

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Come da tradizione gli Amici della domenica si sono riuniti nel giardino del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia dove Edoardo Albinati, vincitore del Premio Strega 2016, ha presieduto il seggio di voto.

La somma dei voti elettronici e delle schede cartacee 545 su 660 aventi diritto, ha portato alla vittoria il romanzo di Paolo Cognetti Le otto montagne (Einaudi), con 208 voti. Seguono Teresa Ciabatti con La più amata (Mondadori), 119 voti; Wanda Marasco con La compagnia delle anime finte (Neri Pozza), 87 voti; Matteo Nucci, con È giusto obbedire alla notte (Ponte alle Grazie), 79 voti e Alberto Rollo con Un’educazione milanese (Manni), 52 voti.

Questo risultato comprende i voti dei 400 Amici della domenica, di 40 lettori forti selezionati da librerie indipendenti italiane associate all’ALI e di 20 voti collettivi provenienti da Biblioteche di Roma, scuole e università. Da quest’anno si sono aggiunti 200 voti espressi da studiosi, traduttori e intellettuali italiani e stranieri selezionati da 20 Istituti Italiani di cultura all’estero, per un totale di 660 aventi diritto.

Paolo Cognetti è andato anche il Premio Strega Giovani,  la targa è stata consegnata nel corso della serata.

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Di seguito, riproponiamo la puntata radiofonica di Letteratitudine in Fm, con ospite Paolo Cognetti, dedicata a “Le otto montagne” (Einaudi).

Subito dopo, l’Autoracconto scritto dallo stesso Cognetti

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In Fm e in streaming su Radio Hinterland

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO

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Con Paolo Cognetti abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato “Le otto montagne” (Einaudi) e delle tematiche a esso legate.

Paolo Cognetti, con “Le otto montagne“, ha anche vinto il Premio Strega Giovani 2017

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PAOLO COGNETTI racconta il suo romanzo LE OTTO MONTAGNE (Einaudi)

di Paolo Cognetti

paolo-cognettiHo cominciato a scrivere Le otto montagne un giorno di giugno del 2014, scendendo con il mio amico montanaro per una gola che chiamano Vallone della Forca. È un toponimo comune sulle Alpi: la forca o forcella è un passo particolarmente angusto, che noi avevamo appena superato per buttarci giù dall’altra parte. Ci lasciavamo alle spalle un posto a cui, per motivi diversi, siamo entrambi legati. Un sentiero interrotto da una frana, una conca in cui raramente s’incontra qualcuno, un grande lago dall’aria cupa, gli ultimi boschi, ruderi, pietraie. Il posto che poi è al centro di questo romanzo che ho scritto. Camminando io e il mio amico non parliamo molto, però ci piace ogni tanto indicare le cose e condividere con l’altro i ricordi che alle cose sono legati. Su quel sentiero c’è la baita col tetto di lamiera dove io ho passato una notte, anni fa, senza chiudere occhio sotto il temporale, e poco dopo l’alpeggio in cui la mamma del mio amico saliva da bambina, in groppa a un mulo che ragliava alla luna. C’è il punto in cui lui ha bivaccato in primavera, illudendosi di passare una notte romantica con la sua futura moglie furibonda, e quello in cui io a dodici anni ho piantato la tenda con mio padre, dopo aver fatto il bagno nel lago e cantato davanti al fuoco. Queste storie le conosciamo già, ce le siamo raccontate tante volte, ma camminando per quei posti non è noioso riascoltarle, è come veder riaffiorare nell’altro i ricordi e si è contenti di essere lì mentre succede, onorati di venire accolti in quel luogo così privato. Noi due ci stupiamo sempre di aver condiviso gli stessi sentieri in una vita precedente, ed è probabile che una volta o l’altra ci siamo pure incontrati – io un bambino di città che camminava davanti a suo padre, lui un ragazzo di montagna scontroso e solitario – senza poter immaginare che in un futuro lontano vent’anni saremmo diventati amici. Queste sono le cose che di solito ci diciamo, e ce le saremo ripetute anche quella mattina di giugno.
Poi avevamo superato il colle, la forca. Ecco un’altra sensazione che mi piace tanto in montagna: quegli ultimi metri prima dello spartiacque, il senso improvviso di apertura, il momento in cui puoi guardare di là e di colpo ti si stende davanti un mondo nuovo. Nessuno di noi due si era mai spinto in quel vallone. Non avevamo più racconti di là, niente più ricordi, niente più malinconia: prendevano il loro posto l’allegria della discesa e l’ebbrezza dell’esplorazione. L’altro versante era tutto diverso dal nostro, una gola sassosa che precipitava verso il fondovalle. In inverno aveva nevicato parecchio, così nel tratto più alto, anche se ormai era estate, ci buttammo giù scivolando per i nevai ghiacciati, il mio amico con la sua tecnica della raspa che più tardi gli sarebbe costata una caviglia, io a balzi perché non so sciare. In basso poi la neve finiva e cominciava un bosco secco, di larice e pino silvestre, con un sottobosco di erbe alte in cui il sentiero spesso si perdeva. Ma a noi piace quando in montagna si perde il sentiero, e te ne devi inventare uno. E a me personalmente piace essere quello che lo inventa, ma anche essere quello che segue l’inventore. Quella volta il mio amico andava avanti e io ero contento di seguire i percorsi tracciati da lui, perché dovevo pensare.
https://i2.wp.com/static.lafeltrinelli.it/static/frontside/xxl/5/7327005_2044687.jpgEcco a cosa stavo pensando: da tempo volevo scrivere una storia di montagna, di padri e figli e di amicizia maschile. Credo di avere appena spiegato perché questi temi nella mia testa sono tanto legati tra loro. Sapevo che ci sarebbe stata una montagna intorno alla mia storia, un padre all’inizio di tutto, e due amici al centro; e sapevo che il suo respiro sarebbe stato più ampio del solito, per i modelli che avevo in mente e per la scrittura che volevo ottenere. Ero in cerca del mio Due di due e del mio Narciso e Boccadoro, del mio In mezzo scorre il fiume e del mio Gente del Wyoming. E quel giorno, nel Vallone della Forca, andando dietro al mio amico fuori dal sentiero, mi ricordo di aver pensato: ma ce l’hai già, questa storia, è tutta qui, non la vedi? La devi solo raccontare. Hai i personaggi, i ricordi, i luoghi, non ti resta che mettere insieme i pezzi e trovare le parole. Soprattutto hai la cosa più importante, e cioè il sentire che questa storia è viva dentro di te, è vera, ti accompagna da sempre, e adesso che l’hai vista non puoi più pensare ad altro che a scriverla. Vai a casa e comincia. Di colpo c’ero già dentro fino al collo.
Poi me la sono presa comoda, perché ci ho messo due anni. Fosse stato per me, ne avrei impiegati anche tre o quattro. Io sarei come quei pittori che la mattina si alzano, si stiracchiano, guardano il quadro per un’ora o due, poi danno una pennellata e la giornata di lavoro è finita. Ma per fortuna con il lavoro bisogna anche guadagnarsi da vivere: dico che è una fortuna perché, per quelli come me, il morso della vita alle chiappe della scrittura fa un gran bene, aiuta a non stare troppo comodi e a non perdersi nei propri vizi. Ci ho messo due anni ma avrebbero potuto essere pochi mesi. Ho idea che non sarebbe cambiato nulla: questa storia è uscita così com’è, non ho riscritto quasi niente, non ho fatto prove ed errori, non ho buttato pagine su pagine, non mi sono mai sentito in crisi per non sapere dove andare, e a metà del lavoro ho addirittura abbandonato i miei amati quaderni perché non servivano più, potevo scrivere direttamente in bella. È una sensazione magnifica quando succede così. La scrittura esce dalle mani e non hai che da seguire la storia fino alla fine. Mi ricordo i giorni in cui scrivevo l’ultimo capitolo, di nuovo in giugno, lavorando per ore come non mi era mai successo, sentendo che non potevo permettermi di fermarmi, aspettare, perdere tempo, perdere il ritmo: uscivo a camminare, tornavo a casa e mi rimettevo a scrivere. Sono arrivato all’ultima frase negli stessi giorni dell’anno, dentro la stessa baita, sullo stesso tavolo dove avevo scritto la prima. Così come avevo pensato comincia!, ho pensato: ho finito. E adesso è questo libro. Non so se mi ricapiterà mai, è stata una gran bella avventura.

(Riproduzione riservata)

© Paolo Cognetti

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Il libro
«Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa».
La montagna non è solo neve e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio, tempo e misura.
Lo sa bene Paolo Cognetti, che tra una vetta e una baita ambienta questo potentissimo romanzo.
Una storia di amicizia tra due ragazzi – e poi due uomini – cosí diversi da assomigliarsi, un viaggio avventuroso e spirituale fatto di fughe e tentativi di ritorno, alla continua ricerca di una strada per riconoscersi.
Pietro è un ragazzino di città, solitario e un po’ scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico, un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia. I genitori di Pietro sono uniti da una passione comune, fondativa: in montagna si sono conosciuti, innamorati, si sono addirittura sposati ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. La montagna li ha uniti da sempre, anche nella tragedia, e l’orizzonte lineare di Milano li riempie ora di rimpianto e nostalgia.
Quando scoprono il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, sentono di aver trovato il posto giusto: Pietro trascorrerà tutte le estati in quel luogo «chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe che ne ostacola l’accesso» ma attraversato da un torrente che lo incanta dal primo momento. E lí, ad aspettarlo, c’è Bruno, capelli biondo canapa e collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si occupa del pascolo delle vacche.
Iniziano cosí estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri piú aspri. Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, «la cosa piú simile a un’educazione che abbia ricevuto da lui». Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito piú vero: «Eccola lí, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino». Un’eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà a Bruno.
Paolo Cognetti, uno degli scrittori piú apprezzati dalla critica e amati dai lettori, entra nel catalogo Einaudi con un libro magnetico e adulto, che esplora i rapporti accidentati ma granitici, la possibilità di imparare e la ricerca del nostro posto nel mondo.

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Paolo Cognetti (Milano, 1978) ha realizzato per minimum fax la serie Scrivere / New York, nove puntate su altrettanti scrittori newyorkesi, da cui è tratto il documentario Il lato sbagliato del ponte, viaggio tra gli scrittori di Brooklyn. La sua passione per New York si è concretizzata in due guide: New York è una finestra senza tende (Laterza 2010) e Tutte le mie preghiere guardano verso ovest (edt 2014). Per Einaudi ha curato l’antologia New York Stories (2015) e ha pubblicato il romanzo Le otto montagne (2016).
Il suo blog è paolocognetti.blogspot.it.

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SPECIALE PREMIO STREGA 2017: LA FINALE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/07/05/speciale-premio-strega-2017-la-finale/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/07/05/speciale-premio-strega-2017-la-finale/#comments Wed, 05 Jul 2017 17:19:37 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7571 Link logo alla HomePREMIO STREGA 2017: LA FINALE – Lo speciale di LETTERATITUDINE

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Giovedì 6 luglio, al Ninfeo di Villa Giulia a Roma, si svolgerà la finale dell’edizione 2017 del Premio Strega e verrà proclamato il vincitore.

A partire dalle 23 ci sarà la diretta su Rai Tre.

Prima del collegamento Rai vi proporremo alcuni collegamenti in diretta dal Ninfeo di Villa Giulia attraverso la pagina Facebook di Letteratitudine.

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I CINQUE FINALISTI (nella foto in basso, da sinistra): Paolo Cognetti, Wanda Marasco, Alberto Rollo, Teresa Ciabatti e Matteo Nucci (Foto: © Musacchio / Ianniello / Pasqualini)

I cinque finalisti del Premio Strega 2017


Teresa Ciabatti, La più amata (Mondadori) Presentato da Stefano Bartezzaghi e Edoardo Nesi

Paolo Cognetti, Le otto montagne (Einaudi) Presentato da Cristina Comencini e Benedetta Tobagi

Wanda Marasco, La compagnia delle anime finte (Neri Pozza) Presentato da Paolo Di Stefano e Silvio Perrella

Matteo Nucci, È giusto obbedire alla notte (Ponte alle Grazie) Presentato da Annalena Benini e Walter Pedullà

Alberto Rollo, Un’educazione milanese (Manni) Presentato da Giuseppe Antonelli e Piero Dorfles

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Lo speciale di Letteratitudine: LE VOCI DEI 5 FINALISTI al programma radiofonico “Letteratitudine in Fm”

- La puntata con Teresa Ciabatti, dedicata a “La più amata” (Mondadori) è disponibile cliccando qui

- La puntata con Paolo Cognetti, dedicata a “Le otto montagne” (Einaudi) è disponibile cliccando qui

- La puntata con Wanda Marasco e Matteo Nucci dedicata a “La compagnia delle anime finte” (di Wanda Marasco – Neri Pozza) e a “È giusto obbedire alla notte” (di Matteo Nucci – Ponte alle Grazie) è disponibile cliccando qui

- La puntata con Alberto Rollo, dedicata a “Un’educazione milanese” (Manni) è disponibile cliccando qui

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LA LINGUA DEI FURFANTI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/06/03/la-lingua-dei-furfanti/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/06/03/la-lingua-dei-furfanti/#comments Sat, 03 Jun 2017 08:40:46 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7527 Dedichiamo questa nuova puntata di Letteratitudine Cinema a LA LINGUA DEI FURFANTI. Romanino in Valle Camonica: un film d’arte di Elisabetta Sgarbi presentato al 34° Torino Film Festival (oggi disponibile in cofanetto con Dvd e libro allegato su IBS e Amazon). In coda al post pubblichiamo i video della conferenza stampa e della presentazione del film al 34° Torino Film Festival.

regia di Elisabetta Sgarbi / produzione a cura di Betty Wrong / soggetto di Giovanni Reale, Eugenio Lio / testi: Luca Doninelli / interpretati da: Toni Servillo / musica a cura di Franco Battiato / direzione della fotografia: Andrés Arce Maldonado, Elio Bisignani / montaggio di Andrés Arce Maldonado, Elisabetta Sgarbi / scenografia di Luca Volpatti

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di Massimo Maugeri

Credo che l’amore di Elisabetta Sgarbi per la virtuosa commistione delle Arti emerga con forza da questo suo nuovo film intitolato “La lingua dei furfanti. Romanino in Valle Camonica” (prodotto da Betty Wrong nel 2016). Il film, presentato al 34° Torino Film Festival – dedicato alla pittura di Romanino (Girolamo Romani, nato a Brescia tra il 1484 e il 1487 – morto dopo il 1562) – è impreziosito dagli ottimi testi di Luca Doninelli, interpretati magistralmente dalla voce di Toni Servillo, e dalla musica di impianto classico curata da Franco Battiato. L’opera pittorica del Romanino in Valle Camonica diventa protagonista delle sequenze filmiche della Sgarbi, i testi letterari di Doninelli ne esaltano i particolari, la voce di Servillo ce li offre alle orecchie, al cuore e alla mente, la musica di Battiato conferisce ulteriore spessore al perfetto equilibrio tra immagini e parole.
La regia della Sgarbi si concentra nel ciclo di affreschi che Romanino realizzò, tra il 1532 e il 1541, a Pisogne, a Breno, a Bienno in provincia di Brescia; ma va oltre, si sofferma sui luoghi, sulle facciate delle chiese, sui volti delle persone che quei luoghi li abitano.

La lingua dei furfanti - Romanino in Valle Camonica

C’è questa anziana donna, per esempio, che viene ripresa mentre ricama. Un “personaggio romaniniano” che compare all’inizio del film e poi ritorna, più volte. Quel continuo atto del ricamare, diventa – ai miei occhi di spettatore – metafora dell’arte di unire le arti, della capacità di intrecciarle magistralmente in quell’equilibro narrativo di immagini, parole e suoni a cui facevo riferimento prima. Non si può che essere concordi con il commento di Giorgio Ficara quando sostiene che «Comporre nello sguardo forze diverse, e apparentemente unilaterali è, non da oggi, l’impresa di Elisabetta Sgarbi». E, a proposito di sguardi, più in là – tra le inquadrature – comparirà il volto di un vecchio (gli occhi fissi sull’obiettivo della cinepresa, a bucare lo schermo). Un viso che pare quasi traslato dalle immagini pittoriche di Romanino e dalle espressioni che conferisce ai suoi personaggi.

«Un film ininterrotto, questo, che mi segue da anni», commenta la regista. «Anzi da cui sono inseguita da anni, da prima di conoscere la Valle Camonica, da prima di conoscere Romanino: da quando mio zio Bruno, mia madre Rina, e poi mio fratello Vittorio, si arrampicavano sin lassù, precedendomi. Così che questo film, così personale nei modi, mi sembra una strana biografia familiare, un mio nascosto romanzo di formazione, che ho condiviso con un altro amico e compagno di avventure, Giovanni Reale.»

Giovanni Reale aveva molto a cuore il commento critico di Giovanni Testori. E le parole di Testori, in effetti, sottolineano la “furfanteria” insita nei personaggi che si ergono dagli affreschi del Romanino. Giovanni Testori scriveva come «a Pisogne, a Breno, a Bienno Romanino tiri a far ‘cagnara’, non v’ha dubbio alcuno. Egli sembra costringere i suoi personaggi a venire sulla scena a furia di calci nel sedere; e non è meraviglia che, una volta lì, essi, tra impetuosa incapacità a organizzarsi, in lingua e vergogna, finiscano col gonfiar tutto; a cominciare dalle loro stesse membra per finire alle parole che ruttan fuori quasi nubi di fumetti odoranti d’osteria, e alle piume dei cappellacci, che si rizzano, unte e bisunte, come quelli di tacchini incazzati.»

Ed eccoli, i furfanti partoriti dal pennello “moderno e innovativo” del Romanino. Passano attraverso l’occhio sapiente della macchina da presa di Elisabetta Sgarbi, giungono sullo schermo, ci parlano, ci raccontano storie, ci offrono la possibilità di condividere un’esperienza che travalica i limiti determinati dalle dimensioni anguste del tempo e dello spazio, come sempre l’arte dovrebbe fare.

Risultati immagini per elisabetta sgarbi torino film festival

Ultimata la visione del film, questa esperienza di condivisione continua attraverso la lettura del libro curato da Elisabetta Sgarbi e Eugenio Lio. Un altro gioiellino (104 pagine con immagini a colori: fotografie di Andrea Samaritani) che contiene testi di Giovanni Reale, di Sergio Risaliti, di Vittorio Sgarbi, nonché i testi scritti da Luca Doninelli appositamente per il film.

Il libro apre con una prefazione della stessa Sgarbi intitolata “Una strana biografia familiare” (di cui uno stralcio è già stato riportato nella parte iniziale di questo articolo). Il concetto di “biografia familiare” è confermato anche da Vittorio Sgarbi che – nel suo contributo intitolato “Una pittura che rincorre il pensiero” – scrive: «Il grande Romanino a Pisogne non è per me Romanino a Pisogne, ma è Bruno Cavallini, mio zio, a Iseo. Doveva essere tra il ‘65 e il ‘68, lui professore di greco e latino al liceo Ariosto di Ferrara, io studente dello stesso liceo. L’estate, poi, ci si ritrovava a Ro, reduce, lui, dagli esami di maturità, membro di commissione o presidente. Così in uno di quegli anni, se non forse addirittura prima (ma io il ginnasio lo avevo fatto in collegio, a Este, non a Ferrara), lo zio tornò con l’entusiasmo negli occhi per quegli affreschi di un pittore, allora poco ricordato, nella chiesa dal poetico nove di Santa Maria della Neve a Pisogne, sul lago, poco lontano da Iseo. (…)».

A seguire il volume offre un ulteriore testo di Vittorio Sgarbi (“Uno sguardo sulla pittura bresciana”) con contributi critici su Savoldo, Altobello Melone, Romanino (naturalmente), Moretto da Brescia, Giovanni Battista Moroni.

Il contributo di Giovanni Reale si concentra su “La dimensione religiosa negli affreschi di Santa Maria della Neve”, mentre quello di Sergio Risaliti riguarda “Gli affreschi di Romanino a Breno e Bienno”.

La seconda parte del libro ospita i testi di Luca Doninelli (“Variazioni su Romanino a Bienno, Breno e Pisogne”) scritti per il film e interpretati da Toni Servillo. Colgo l’occasione per offrire uno stralcio della prima “variazione” dedicata a un particolare dell’opera Sposalizio di Maria (ospitata tra gli affreschi della chiesa di Santa Maria Annunciata a Bienno), che apre – per l’appunto – il contributo di Doninelli: «Commuove l’espressione saggia del vecchio sposo, il vedovo Giuseppe. Una dura consapevolezza segna il suo viso. La sua mano si allunga tremante verso quella di Maria, ma non verrà ritirata. Si è fidato di un sogno, di una fragile apparizione notturna. Eppure il suo “Sì” è certo come davanti a una tavola di legno stagionato. Tutta la storia del suo popolo, da Abramo a Mosè, a Elia, sostiene ora quel “Sì”. Dio è fedele alle sue promesse. (…)».

La chiusura del volume è affidata al brillante commento critico sul film firmato da Giorgio Ficara e intitolato “Fiabesco furfante”.

Di seguito, i video della conferenza stampa e della presentazione del film al 34° Torino Film Festival e una “rassegna” di immagini.

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regia di Elisabetta Sgarbi
produzione a cura di Betty Wrong
soggetto di Giovanni Reale, Eugenio Lio
testi: Luca Doninelli
interpretati da: Toni Servillo
musica a cura di Franco Battiato
direzione della fotografia: Andrés Arce Maldonado, Elio Bisignani
montaggio di Andrés Arce Maldonado, Elisabetta Sgarbi
scenografia di Luca Volpatti

Produzione: Betty Wrong, 2017
Distribuzione: Terminal Video
Durata: 33 min
Lingua audio: Italiano
Area 2
Allegati: Libro

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© Letteratitudine

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OMAGGIO A TULLIO DE MAURO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/01/05/omaggio-a-tullio-de-mauro/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/01/05/omaggio-a-tullio-de-mauro/#comments Thu, 05 Jan 2017 14:51:34 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7395 RICORDIAMO TULLIO DE MAURO, scomparso oggi 5 gennaio 2017 all’età di 84 anni

Domani 6 gennaio, dalle ore 10 alle ore 18, sarà allestita la camera ardente nell’Aula 1 della Facoltà di Lettere della Sapienza. La cerimonia di commiato avrà luogo sabato alle 10,30.

Tullio De Mauro (Torre Annunziata, 31 marzo 1932 – Roma, 5 gennaio 2017) è stato linguista e filosofo del linguaggio italiano. Si è occupato soprattutto di linguistica generale, con attenzione al rapporto tra lingua e società.

(Di seguito: un video, una minibiografia e approfondimenti dalle principali pagine culturali italiane)


Nell’immediato dopoguerra Tullio De Mauro frequentò il Liceo classico statale Giulio Cesare di Roma. Nel 1951 si iscrisse al Partito Liberale Italiano per favorirne la sinistra interna legata alla rivista Il Mondo.
Ha insegnato Linguistica generale e ha diretto il Dipartimento di Scienze del Linguaggio nella Facoltà di Lettere e Filosofia e successivamente il Dipartimento di Studi Filologici Linguistici e Letterari nella Facoltà di Scienze Umanistiche dell’Università la Sapienza di Roma, facoltà che ha contribuito a fondare, insieme ad Alberto Asor Rosa.
Allievo di Antonino Pagliaro, ha insegnato a vario titolo in diverse altre università italiane (Napoli “L’Orientale”, Palermo, Chieti, Salerno) dal 1957, come professore di prima fascia dal 1967.
Ha tradotto il Corso di linguistica generale (Cours de linguistique générale) di Ferdinand de Saussure che, insieme ad alcuni autori strutturalisti, ha avuto una certa influenza sul suo pensiero. Ha presieduto la Società di Linguistica Italiana (1969-1973) e la Società di Filosofia del Linguaggio (1995-1997). Nel novembre 2006 ha contribuito alla fondazione dell’associazione Senso Comune per un progetto di dizionario informatico, di cui era presidente. Era socio ordinario dell’Accademia della Crusca.
Dal novembre 2007 ha diretto la Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e presieduto il comitato direttivo del Premio Strega.
Era fratello minore di Mauro De Mauro, giornalista de l’Ora di Palermo rapito e ucciso dalla mafia nel settembre 1970, e padre di Giovanni De Mauro, direttore della rivista Internazionale.
Nel giugno 1971 sottoscrisse la lettera aperta pubblicata sul settimanale L’Espresso sul caso Pinelli. Nell’ottobre dello stesso anno sottoscrisse l’Autodenuncia di solidarietà a Lotta Continua.
Nel 1975 fu eletto al Consiglio Regionale del Lazio nelle liste del PCI. Nel 1976 fu nominato assessore alla cultura, incarico che tenne fino al 1978.
È stato ministro della Pubblica Istruzione nel Governo Amato II (dal 26 aprile 2000 all’11 giugno 2001).
Dal 2001 al 2010 ha presieduto Mondo digitale, fondazione del comune di Roma, da cui è stato rimosso nel giugno 2010 dalla giunta Alemanno, per ragioni anagrafiche secondo la giunta, per ragioni ideologiche secondo De Mauro.
Ha collaborato a giornali e settimanali: dal 1956 al 1964 al settimanale Il Mondo, dal 1966 al 1979 al quotidiano Paese Sera, dal 1981 al 1990 con rubriche fisse sulla scuola (1981-1985) e il linguaggio (dal 1986) al settimanale L’Espresso. Collaborava saltuariamente con L’Unità, La Stampa, La Repubblica, Il manifesto, Il Sole-24 Ore, Il Mattino e regolarmente con Internazionale con le rubriche “La parola”, dal 2006, e “Scuole”,dal 2008.
Tra il 1960 e il 1973 collaborò spesso a trasmissioni radiofoniche e televisive della RAI, con cui riprese a collaborare di nuovo nel 1997-2000. Dal 1978 collaborava a cicli di trasmissioni radio e televisive della RTSI (Radiotelevisione della Svizzera Italiana).

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Opere principali
Storia linguistica dell’Italia unita, Bari, Laterza, 1963; 1970.
Introduzione alla semantica, Bari, Laterza, 1965.
Introduzione, traduzione e commento di Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica generale, Bari, Laterza, 1967; 1968.
Ludwig Wittgenstein. His Place in the Development of Semantics, Dordrecht, D. Reidel, 1967.
Senso e significato. Studi di semantica teorica e storica, Bari, Adriatica, 1971. (raccolta di saggi)
Parlare italiano. Antologia di letture per i bienni della scuola media superiore, Bari, Laterza, 1972.
Scuola e linguaggio. Questioni di educazione linguistica, Roma, Editori riuniti, 1977.
Guida all’uso delle parole, Roma, Editori riuniti, 1980; 1989. ISBN 88-359-3270-X; con floppy disk, 1997. ISBN 88-359-4351-5; 2003. ISBN 88-359-5369-3.
Minisemantica dei linguaggi non verbali e delle lingue, Roma-Bari, Laterza, 1982; 1990. ISBN 88-420-2006-0.
Capire le parole, Roma-Bari, Laterza, 1994. ISBN 88-420-4453-9; 1999. ISBN 88-420-5712-6. (raccolta di saggi)
Ideazione e direzione del Grande Dizionario Italiano dell’Uso, 6 voll., Torino, UTET, 1999.
Prima lezione sul linguaggio, Roma-Bari, Laterza, 2002. ISBN 88-420-6671-0.
La cultura degli italiani a cura di Francesco Erbani, Roma-Bari, Laterza, 2004. ISBN 88-420-7305-9; 2010. ISBN 978-88-420-9222-3.
La fabbrica delle parole. Il lessico e problemi di lessicologia, Torino, UTET, 2005. ISBN 88-7750-925-2.
Introduzione, traduzione e commento di Ferdinand de Saussure, Scritti inediti di linguistica generale, Roma-Bari, Laterza, 2005. ISBN 88-420-6827-6.
Parole di giorni lontani, Bologna, il Mulino, 2006. ISBN 88-15-10889-0.
Lezioni di linguistica teorica, Roma-Bari, Laterza, 2008. ISBN 978-88-420-8518-8.
In principio c’era la parola?, Bologna, il Mulino, 2009. ISBN 978-88-15-13327-4.
Parole di giorni un po’ meno lontani, Bologna, il Mulino, 2012. ISBN 978-88-15-23461-2.
La lingua batte dove il dente duole, con Andrea Camilleri, Roma-Bari, Laterza, 2013. ISBN 978-88-581-0555-9.
Storia linguistica dell’Italia repubblicana. Dal 1946 ai nostri giorni, Roma-Bari, Laterza, 2014. ISBN 978-88-581-1362-2.
In Europa son già 103. Troppe lingue per una democrazia?, Roma-Bari, Laterza, 2014. ISBN 978-88-581-1622-7.

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Onorificenze
Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana – nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana
— 11 giugno 2001: Grande ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana – nastrino per uniforme ordinaria Grande ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana
— 2 maggio 1996: Medaglia ai benemeriti della scienza e della cultura – nastrino per uniforme ordinaria Medaglia ai benemeriti della scienza e della cultura
— 1º giugno 2007: Ha ricevuto diverse lauree honoris causa: nel 1999 dall’Università Cattolica di Lovanio, che l’ha nominato doctor philosophiae et litterarum; nel 2005 dall’ENS (École Normale Supérieure) di Lione; il 1 aprile 2008 dalla Waseda University di Tokyo; il 27 febbraio 2009 dall’Università di Bucarest. L’ultima gli è stata conferita il 10 novembre 2010 dall’università Sorbonne Nouvelle.

(Fonte: Wikipedia Italia – la biografia di De Mauro sulla enciclopedia online Treccani è disponibile qui)

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Il messaggio diramato dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci

Link logo alla HomeQuesta mattina, come ormai sapete tutti, ci ha lasciati Tullio De Mauro, presidente della Fondazione Bellonci e del Comitato direttivo del Premio Strega. È stato uno studioso di livello internazionale, autore di saggi fondamentali sulle strutture del linguaggio e sulla storia linguistica degli italiani, oltre che un maestro appassionato per generazioni di studenti universitari. Nelle diverse funzioni assunte lungo una vita straordinariamente operosa – è stato Assessore alla cultura della Regione Lazio, Presidente dell’Istituzione delle Biblioteche di Roma, infine Ministro dell’Istruzione, per ricordare solo i suoi incarichi pubblici – non ha mai fatto mancare il suo impegno per la diffusione della cultura come strumento di partecipazione alla vita civile. In questi ultimi anni dedicati alla Fondazione Bellonci – di cui è stato direttore dal 2007 e presidente dal 2013 – ha curato la realizzazione del “Primo tesoro della lingua letteraria italiana nel Novecento”, leggendo nelle pagine degli autori concorrenti allo Strega i cambiamenti linguistici, sociali e culturali del Paese, e ha promosso l’istituzione del Premio Strega Giovani e del Premio Strega Ragazze e Ragazzi, portando la narrativa contemporanea verso i lettori di ogni età. Non dimenticheremo mai la sua ferma mitezza, la non comune capacità di ascolto e la sua ironia.

Domani 6 gennaio, dalle ore 10 alle ore 18, sarà allestita la camera ardente nell’Aula 1 della Facoltà di Lettere della Sapienza. La cerimonia di commiato avrà luogo sabato alle 10,30.

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Approfondimenti: la Repubblica, Il Corriere della Sera, La Stampa, Il Sole 24-Ore, Il Messaggero, Ansa, Il Mattino, Il Fatto Quotidiano, Il Giornale.

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MUCCAPAZZA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/11/21/muccapazza/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/11/21/muccapazza/#comments Mon, 21 Nov 2016 17:10:25 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7363 MUCCAPAZZA (cortometraggio tratto dall’omonimo racconto di Massimo Maugeri)

Cari amici,
sono molto lieto di invitarvi alla visione di un cortometraggio selezionato per le semifinali del concorso “Fluvione Corto Festival” e tratto da un mio racconto intitolato “Muccapazza” (originariamente pubblicato nel 2004 sulla rivista letteraria Lunarionuovo e poi confluito nella raccolta di racconti “Viaggio all’alba del millennio“, edita da Perdisa).

Ringrazio tutti coloro che hanno lavorato per la realizzazione del cortometraggio. Un ringraziamento speciale va a Pier Paolo Piccioni, che ha amato il racconto “Muccapazza” sin dalla sua prima pubblicazione (Pier Paolo ha curato la sceneggiatura e ha interpretato il ruolo principale nel corto).

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Cortometraggio realizzato dai partecipanti al corso “Amore ai tempi di Social e Smartphone” all’interno del progetto “Comun.i.care: la famiglia al centro della Media Education” promosso da Radio Incredibile e Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno e in collaborazione con Associazione culturale Blow Up e Musicandia.

Selezionato come video semifinalista nel concorso Fluvione Corto Festival 2016.

Storia liberamente tratta da un racconto dello scrittore Massimo Maugeri.

Musica, sonorizzazione e sceneggiatura a cura di Pier Paolo Piccioni.

Si ringraziano:
Sandro Bocci responsabile regia,
Alice Zazzetta responsabile montaggio,
Simone Olivieri voce narrante,
il comune di Grottammare per l’utilizzo del Dep Art e dell’informagiovani set per una scena,
Musicandia e Pio Istituto Sacro Cuore di Gesù,
l’Associazione Blow Up.

Si ringraziano anche i partecipanti al corso, per il loro impegno nella realizzazione dell’opera.
Valerio Campanelli, Chiara Chiappani, Silvia Costanzi, Maria Rita De Angelis, Lirim Gela, Giorgio Laureti, Maria Rita Mori, Marco Piccioni, Francesca Picciotti, Ennio Rutigliano, Giulia Volponi, Sergio Consorti, Martina Sciarroni.

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OMAGGIO A DARIO FO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/10/13/omaggio-a-dario-fo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/10/13/omaggio-a-dario-fo/#comments Thu, 13 Oct 2016 15:45:27 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7305 Ci lascia Dario Fo. Aveva festeggiato il suo novantesimo compleanno il 24 marzo scorso. Artista poliedrico: drammaturgo, attore, regista, scrittore, autore, illustratore, pittore, scenografo, attivista e altro ancora. L’apice del suo successo è stato raggiunto con l’assegnazione del Premio Nobel per la letteratura nel 1997 (con la seguente motivazione: “seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”). Il connubio artistico con l’amata moglie Franca Rame ha avuto un ruolo molto importante nel mondo artistico italiano (e non solo italiano).

Su LetteratitudineNews, a gennaio, avevamo pubblicato le prime pagine del suo recente romanzo RAZZA DI ZINGARO (Chiarelettere, 2016).

Dedico questo “spazio” alla memoria di Dario Fo con l’intento di celebrarlo, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere le opere di questo nostro artista.

Massimo Maugeri

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Dario FoDario Fo (Sangiano, 24 marzo 1926 – Milano, 13 ottobre 2016) ha innovato il teatro comico italiano attraverso spettacoli, realizzati spesso insieme alla moglie Franca Rame. Sintesi dei motivi ispiratori del suo teatro è Mistero buffo (1969), rielaborazione di antichi testi popolari padani con continue allusioni al presente. Nel 1997 gli è stato conferito il premio Nobel per la letteratura.

Fin dagli esordi negli anni Cinquanta, come attore e autore di riviste e atti unici farseschi, ha rivelato spiccate doti mimiche e intelligenza scenica, mettendole al servizio di un progetto di rinnovamento integrale del teatro comico italiano. Tale progetto, cui ha dato un notevole contributo, come coautrice e prima attrice, la moglie Franca Rame, si è espresso in una ricca produzione di spettacoli, che, dalle brillanti commedie della prima fase (Gli arcangeli non giocano a flipper, 1959; Aveva due pistole dagli occhi bianchi e neri, 1960; Chi ruba un piede è fortunato in amore, 1961), passando attraverso l’esperimento brechtiano di Isabella, tre caravelle e un cacciaballe (1963), la satira politica di Settimo, ruba un po’ meno (1964) e La signora è da buttare (1967), e la scoperta del ricco patrimonio di canti popolari tradizionali (Ci ragiono e canto, 1966), è giunto alle farse degli anni Settanta, di ispirazione apertamente protestataria e militante, anche nella scelta di un pubblico popolare e nella ricerca di luoghi e circuiti di rappresentazione alternativi a quelli ufficiali (Morte accidentale di un anarchico, 1970; Tutti uniti, tutti insieme, ma scusa quello non è il padrone?, 1971; Guerra di popolo in Cile, 1973; Il Fanfani rapito, 1975; La marijuana della mamma è sempre più bella, 1976; ecc.), e, nella fase successiva, alla satira più divertita di Clacson, trombette e pernacchi (1980), Coppia aperta (1983), Il papa e la strega (1990), Zitti, stiamo precipitando (1990), Johan Padan a la descoverta de le Americhe (1991). Coerente testimonianza della sua opzione estetica per la creatività giullaresca dei ceti più bassi, può essere considerato Mistero buffo, più volte ripreso e modificato dopo la prima rappresentazione (1969). Nel 1997 è stato insignito del premio Nobel per la letteratura. Dopo il riconoscimento, si è impegnato soprattutto in campagne politiche e democratiche. Con lo spettacolo Marino libero! Marino è innocente! (1998), sorta di monologo con mimi e pupazzi in forma di arringa, ha proposto una lettura polemica del processo ad Adriano Sofri e ad altri esponenti di Lotta Continua per l’omicidio del commissario Calabresi. Nel 1999 ha creato Lu santo jullare Francesco, monologo sulla figura del santo di Assisi. Del 2003 è l’opera satirica L’anomalo bicefalo, e del 2007 Sotto paga, non si paga, rielaborazione di un testo degli anni Settanta. La sua decennale inventività figurativa, oltre a pupazzi e bozzetti di costumi per i suoi spettacoli, ha prodotto disegni, caricature, acquerelli, ritratti, tavole e fumetti, dal segno personalissimo e di beffarda e sgargiante incisività. Da ricordare è anche la presenza di Fo in spettacoli televisivi come per esempio Canzonissima nel 1962. Oltre a Le commedie (6 voll., 1974-84), ha pubblicato anche il Manuale minimo dell’attore (1987). Gli è stata assegnata la laurea honoris causa dall’università della Sorbona di Parigi (2005) e dall’università La Sapienza di Roma (2006). Fo ha inoltre continuato a essere molto attivo in campo politico e sociale: nel 2006 alle elezioni comunali di Milano ha presentato una propria lista (Uniti con Dario Fo), venendo eletto consigliere comunale; tuttavia dopo pochi mesi ha rinunciato al mandato. Negli ultimi anni Fo ha portato in scena diversi spettacoli, come l’inedito Sant’Ambrogio e l’Invenzione di Milano (2009) e Monologhi di Franca Rame e Dario Fo (2011); nel 2011 ha curato la regia de Il barbiere di Siviglia (Teatro Massimo Bellini di Catania). Cospicua anche la produzione letteraria; tra le pubblicazioni più recenti si ricordano: Il mondo secondo Fo. Conversazione con Giuseppina Manin (2007), Giotto o non Giotto (2009), L’osceno è sacro (2010), Arlecchino (2011), Dio è nero! Il fantastico racconto dell’evoluzione (2011), Il paese dei misteri buffi (con G. Manin, 2012); i suoi primi romanzi, entrambi del 2014, La figlia del papa, sulla vita di Lucrezia Borgia, e Ciulla, il grande malfattore (con P. Sciotto), storia di Paolo Ciulla, il pittore anarchico siciliano che produsse le sue banconote da 500 lire, beffando la Banca d’Italia. Nel 2012 è stata allestita al Palazzo Reale di Milano la mostra Dario Fo a Milano. Lazzi, sberleffi, dipinti, in cui l’artista fa della pittura un veicolo alternativo di satira politica, mentre è del 2014 la riscrittura in una nuova versione dal titolo Lu santo jullàre Françesco del lavoro del 1999, portata sulla scena teatrale ed edita nel volume omonimo nello stesso anno, e dell’anno successivo il romanzo storico su Cristiano VII C’è un re pazzo in Danimarca. Nel 2015 ha pubblicato il Nuovo manuale minimo dell’attore e Storia proibita dell’America, e sono dell’anno successivo il romanzo Razza di zingaro, tratto dalla vera storia del pugile sinti Trollmann, e Dario e Dio (con G. Manin), in cui affronta i temi della fede e della religiosità. Per i suoi 90 anni l’Archivio di Stato di Verona ha aperto un museo-laboratorio, il Musalab, dedicato al premio Nobel e a Franca Rame

[Fonte: Enciclopedia Treccani]

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Dedichiamo, dunque, questo “spazio” alla memoria di Dario Fo con l’intento di celebrarlo, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere le opere di questo nostro artista.

Ecco le solite domande (volte a favorire la discussione):

1. Che rapporti avete con le opere di Dario Fo?

2. Qual è quella che avete amato di più?

3. E l’opera di Fo che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Tra le varie “citazione” di Fo di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

5. Qual è la principale eredità che Dario Fo ha lasciato nella letteratura italiana?


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A SIMONA VINCI IL PREMIO CAMPIELLO 2016 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/09/11/simona-vinci-premio-campiello-2016/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/09/11/simona-vinci-premio-campiello-2016/#comments Sun, 11 Sep 2016 08:42:21 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7271 SIMONA VINCI autrice di “La prima verità” (Einaudi Stile Libero) ha vinto il PREMIO CAMPIELLO 2016. Di seguito, la puntata radiofonica di Letteratitudine in Fm dedicata a “La prima verità” dove Simona Vinci dialoga con Massimo Maugeri.

LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO


Simona Vinci con ‘La prima verità’ (Einaudi) ha vinto la 54/a edizione del Premio Campiello beneficiando di 79 voti, sui 280 voti validi della giuria. Seconda classificata: Elisabetta Rasy con ‘Le regole del fuoco’ (Rizzoli) con 64 voti. Seguono: Andrea Tarabbia con ‘Il giardino delle mosche’ (Ponte Alle Grazie), 62 voti; Luca Doninelli con ‘Le cose semplici’ (Bompiani), 41 voti; Alessandro Bertante con ‘Gli ultimi ragazzi del secolo’ (Giunti), 34 voti.

SIMONA VINCI autrice di “La prima verità” (Einaudi Stile Libero) in radio a Letteratitudine in Fm


In Fm e in streaming su Radio Hinterland

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO

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Con Simona Vinci abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “La prima verità” (Einaudi Stile Libero) – vincitore del Premio Campiello 2016.

Nella seconda parte della puntata, una lettura del libro.

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Il libro
La prima veritàTra gli abbandonati, i reclusi, i dimenticati Simona Vinci tesse il filo d’oro di una storia che arriva dal passato e viene fino a te, proprio a te che stai leggendo, qui e ora. È una storia scandalosa, perché non si può narrare senza rivelare anche i fantasmi di chi la sta scrivendo.
Ciò che Angela non può sospettare, quando decide di raggiungere l’isola maledetta, l’isola lager, è che il segreto sepolto tra quei bianchi enormi edifici sia piú sconvolgente di ogni immaginazione. E che spetti proprio a lei disseppellire quel segreto e affrontarlo a viso aperto. Costi quel che costi, per il bene di tutti. Ciò che Angela non ha assolutamente messo in conto, è che si apra per lei a Leros l’avventura della vita.
«Poi la serratura, improvvisamente docile, si sbloccò nella sua mano con un gemito e la porta si aprí».

Nel 1992 Angela, giovane ricercatrice italiana, sbarca sull’isola di Leros. È pronta a prendersi cura, come i suoi colleghi di ogni parte d’Europa, e come i medici e gli infermieri dell’isola, del perdurante orrore, da pochi anni rivelato al mondo dalla stampa britannica, del «colpevole segreto d’Europa»: un’isolamanicomio dove a suo tempo un regime dittatoriale aveva deportato gli oppositori politici di tutta la Grecia, facendoli convivere con i malati di mente. Quelli di loro che non sono nel frattempo morti sono ancora tutti lí, trasformati in relitti umani. Inquietanti, incomprensibili sono i segni che accolgono la ragazza. Chi è Basil, il Monaco, e perché è convinto di avere sepolto molto in alto «ciò che rimane di dio?» E tra i compagni di lavoro, chi è davvero la misteriosa, tenace Lina, che sembra avere un rapporto innato con l’isola?
Ogni mistero avrà risposta nel tesoro delle storie dei dimenticati e degli sconfitti, degli esclusi dalla Storia, nell’«archivio delle anime» che il libro farà rivivere per il lettore: storie di tragica spietata bellezza, come quella del poeta Stefanos, della ragazza Teresa e del bambino con il sasso in bocca.
Con
La prima verità che, fin dal titolo, da un verso di Ghiannis Ritsos, allude a una verità di valore assoluto oltre e attraverso le vicende del libro, che si svolgono in luoghi e tempi diversi, e delle vite dei personaggi che via via si presentano al lettore, Simona Vinci torna al romanzo dopo molti anni, e vi torna con una felicità e una libertà mai raggiunte prima

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Simona Vinci è nata a Milano nel 1970 e vive a Bologna. Il suo primo romanzo, Dei bambini non si sa niente (ultima edizione Einaudi Stile libero, 2009) ha riscosso un grande successo. Caso letterario dell’anno, è stato tradotto in numerosi altri paesi, tra i quali gli Stati Uniti. Sempre per Einaudi sono usciti la raccolta di racconti In tutti i sensi come l’amore («Stile libero», 1999) e i romanzi Come prima delle madri («Supercoralli», 2003 ed «Einaudi Tascabili», 2004), Brother and Sister («Stile libero», 2004), Stanza 411 («Stile libero Big», 2006), Strada Provinciale Tre («Stile libero Big», 2007) e La prima verità («Stile libero Big», 2016). Per i lettori più giovani ha pubblicato Corri, Matilda (E.Elle, 1998) e Matildacity (Adnkronos Libri, 1998). Ha scritto il racconto La più piccola cosa pubblicato nell’antologia Le ragazze che dovresti conoscere («Stile libero Big», 2004). Inoltre nel 2010 ha collaborato alla raccolta Sei fuori posto (Einaudi, Stile libero Big). Con “La prima verità” (Einaudi Stile libero) ha vinto il Premio Campiello 2016.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: Comfortably Numb (versione live di David Gilmour); La danza di Zorba (Dalila); Alfonsina y el mar (Avishai Cohen)

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa), con una serie di repliche nei giorni successivi. Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

È possibile ascoltare le puntate precedenti, cliccando qui.


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PREMIO CAMPIELLO 2016 (il SuperCampiello) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/09/09/premio-campiello-2016/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/09/09/premio-campiello-2016/#comments Fri, 09 Sep 2016 15:08:28 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7266 PREMIO CAMPIELLO 2016: domani sera, sabato 10 settembre, sarà assegnato il Premio SuperCampiello 2016

Il 10 settembre, a partire dalle 20:40, Rai 5 seguirà in diretta dal Teatro La Fenice di Venezia la finale del Premio Campiello 2016

I finalisti della 54^ edizione del premio letterario promosso da Confindustria Veneto sono stati scelti nel corso di una cerimonia nell’Aula Magna G. Galilei di Palazzo Bo il 27 maggio. Il vincitore assoluto della 54^ edizione del Premio Campiello verrà proclamato sabato 10 settembre a Venezia sul palco del Teatro La Fenice.

La Giuria dei Letterati, composta da autorevoli personalità del mondo letterario ed accademico, presieduta quest’anno dallo storico e docente universitario Ernesto Galli della Loggia, ha scelto cinque romanzi di narrativa italiana tra quelli pubblicati per la prima volta in volume tra il 1° maggio 2015 e il 30 aprile 2016, a cui è stato assegnato il Premio Campiello – Selezione Giuria dei Letterati.

Ecco i vincitori:


Simona Vinci “La prima verità” (Einaudi)

Elisabetta Rasy “Le regole del fuoco” (Rizzoli)

Alessandro Bertante “Gli ultimi ragazzi del secolo” (Giunti)

Luca Doninelli “Le cose semplici” (Bompiani)

Andrea Tarabbia “Il giardino delle mosche (Ponte alle Grazie)

Il Premio Campiello Opera Prima è stato tributato a Gesuino Nemus (è uno pseudonimo), autore di “La teologia del cinghiale” (Elliot).

Il vincitore assoluto della 54^ edizione del Premio Campiello verrà proclamato sabato 10 settembre a Venezia sul palco del Teatro La Fenice. Come prevede la formula del Premio, l’opera vincitrice risulterà dalla votazione della Giuria dei Trecento Lettori anonimi. I Giurati vengono selezionati su tutto il territorio nazionale in base alle categorie sociali e professionali, cambiano ogni anno e i loro nomi rimangono segreti fino alla serata finale.

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Gli ultimi ragazzi del secolo di Alessandro Bertante (Giunti)

Alessandro Bertante è nato ad Alessandria nel 1969 e vive a Milano. Ha pubblicato i romanzi: Al Diavul (Marsilio, 2008; premio Chianti), Nina dei lupi (Marsilio, 2011; premio Rieti), La magnifica orda (Il Saggiatore, 2012) e Estate crudele (Rizzoli, 2013; premio Margherita Hack).

Quarta di copertina:
“Dicono che nei Balcani i secoli non si succedono uno dietro l’altro ma coesistono in un flusso senza interruzione. Fra queste montagne resistono maledizioni eterne, conflitti mai risolti, rancori ancestrali.
Luglio 1996. Un viaggio estivo in Croazia porta il protagonista, insieme a un amico, fino a Mostar e a Sarajevo, per toccare con mano i segni di una guerra non ancora finita. Attraversando con una Panda le montagne bosniache, Bertante racconta con pagine toccanti e di grande impatto narrativo le devastazioni e le paure del conflitto balcanico, una storia che ci riguarda più di quanto siamo stati ancora in grado di capire. Durante questo avventuroso percorso di formazione, il narratore si mette a nudo con coraggio, raccontando la sua generazione cresciuta negli anni Ottanta, un serpente che vediamo snodarsi attraverso le canzoni, i film, l’abbigliamento, l’esplosione della tv commerciale, Drive In e i paninari, la new wave e i centri sociali, fino alla mattanza delle droghe pesanti e alla tragedia dell’AIDS. Anni Ottanta che paiono trovare nella guerra in Iraq e in Mani pulite la loro conclusione per spegnersi nella prima metà del decennio successivo tra l’ascesa di Berlusconi e la fine della guerra nella ex Jugoslavia. Gli ultimi ragazzi del secolo è un romanzo crudo e potente dove la memoria di un adolescente randagio e ribelle si fonde con l’incauta, dolorosa presa di coscienza di un giovane uomo di fronte al dramma della Storia, al suo incedere feroce, struggente, radicalmente insensato.

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Le cose semplici di Luca Doninelli (Bompiani)

Luca Doninelli nasce a Leno (BS) nel 1956. Nel 1978 conosce Giovanni Testori, che gli fa scrivere il primo libro, Intorno a una lettera di Santa Caterina (1981). Tra le sue opere narrative ricordiamo I due fratelli (1990), La revoca (1992), Le decorose memorie (1995), Talk show (1996), La nuova era (1999), Tornavamo dal mare (2004), La polvere di Allah (2006). Per Bompiani ha pubblicato Salviamo Firenze (2012) e Fa’ che questa strada non finista mai (2014). Insegna etnografia narrativa all’Università Cattolica di Milano; da questa esperienza nasce il volume Cattedrali (2011) e il progetto collettivo Le nuove meraviglie di Milano – di cui sono stati pubblicati i primi tre volumi. Ha vinto, tra gli altri, un Premio Selezione Campiello, un Grinzane Cavour, un Super Grinzane Cavour. È stato finalista al Premio Strega nel 2000.

Quarta di copertina:
Un giovane incontra a Parigi una ragazzina enfant prodige della matematica e i due s’innamorano, si fidanzano, si sposano. Lei, poco più che ventenne, va in America. Ma il mondo s’inceppa e in un batter d’occhio tutto finisce: niente più petrolio, niente più energia elettrica, commercio né moneta, niente più regole sociali. Ovunque solo guerre e carneficine. Il mondo si imbarbarisce e la sua caduta coglie i due innamorati ai due lati dell’oceano, senza possibilità di comunicare. Per vent’anni i due vivranno lontani, lei ha una vita durissima, lui comincia a scrivere per non dimenticarla. Finché, dopo tanti anni, i due si ritroveranno, accesi dal fuoco della passione e dal bisogno di verità. Le cose semplici è il tentativo di raccontare il cammino dei nostri desideri più comuni ed elementari – e di tutto quello che ci tocca il cuore, fino a straziarci con la sua bellezza o con il ricordo pungente di essa – attraverso la labirintica distruttività del mondo. Il nostro bisogno di vivere una vita che si possa dire umana, di gioia ma anche di un dolore dotato di senso, è destinato a infrangersi contro il muro del potere, della superficialità, del pensiero indotto e dei luoghi comuni? O può trovare soddisfazione?

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Le regole del fuoco di Elisabetta Rasy (Rizzoli)

Elisabetta Rasy vive e lavora a Roma. Ha esordito nel 1985 con il romanzo La prima estasi. Tra i suoi libri ricordiamo Posillipo, L’ombra della luna, Tra noi due, La scienza degli addii, Memorie di una lettrice notturna e Le regole del fuoco. Ha scritto per diverse testate giornalistiche tra cui “L’Espresso”, “La Stampa” e il “Corriere della Sera”. Attualmente collabora con “Il Sole 24 Ore”.

Quarta di copertina
È la primavera di un anno terribile, il 1917, quando Maria Rosa Radice a poco più di vent’anni lascia gli agi della sua casa a Napoli. Scappa da sua madre, dal salotto aristocratico che fino ad allora è stato il suo unico, soffocante orizzonte. La destinazione è la sola possibile per una donna non sposata e in fuga: il fronte. L’impatto della guerra è brutale. In un piccolo ospedale sul Carso cura centinaia di feriti, li vede soffrire e morire. Ma c’è una luce nelle sue giornate, una scintilla di cui si accorge poco a poco. È la sua silenziosa compagna di stanza Eugenia Alferro, una provinciale del Nord che sogna di diventare medico. Giorno dopo giorno, le insegna a sopravvivere in corsia e a superare la paura. La guerra regala alle due ragazze una libertà altrimenti impossibile. Così, nel tempo, avvertono una passione inattesa crescere tra loro e a mezza voce, la notte, si dichiarano l’amore. Non sanno se il futuro permetterà loro di rimanere vicine, entrambe però sentono di essere cambiate. Ora sono pronte a lottare per restare se stesse. In un romanzo vibrante, che appassiona e scuote, Elisabetta Rasy racconta la guerra dalla prospettiva misconosciuta delle donne al fronte. Ritraendo un’intimità limpida ma circondata dalle tenebre, ci mostra come l’amore non abbia mai avuto confini, perché i sentimenti esplodono sempre senza chiederci il permesso.

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Il giardino delle mosche di Andrea Tarabbia (Ponte alle Grazie)

Andrea Tarabbia è nato a Saronno nel 1978. Ha pubblicato, tra gli altri, i romanzi La calligrafia come arte della guerra (Transeuropa, 2010), Marialuce (Zona, 2011), Il demone a Beslan (Mondadori, 2011), il racconto La ventinovesima ora (Mondadori, 2013) e il reportage La buona morte. Viaggio nell’eutanasia in Italia (Manni, 2014). Nel 2012 ha curato e tradotto Diavoleide di Michail Bulgakov per Voland. Vive a Bologna con la moglie e il figlio.

Quarta di copertina
Tra il 1978 e il 1990, mentre in Unione Sovietica il potere si scopriva fragile e una certa visione del mondo si avviava al tramonto, Andrej Čikatilo, marito e padre di famiglia, comunista convinto e lavoratore, mutilava e uccideva nei modi più orrendi almeno cinquantasei persone. Le sue vittime – bambini e ragazzi di entrambi i sessi, ma anche donne – avevano tutte una caratteristica comune: vivevano ai margini della società o non si sapevano adattare alle sue regole. Erano insomma simboli del fallimento dell’Idea comunista, sintomi dell’imminente crollo del Socialismo reale. Questo libro, sospeso tra romanzo e biografia, narra la storia di uno dei più feroci assassini del Novecento attraverso la visionaria, a tratti metafisica ricostruzione della confessione che egli rese in seguito all’arresto. E fa di più. Osa raccontare l’orrore e il fallimento in prima persona: Čikatilo, infatti, in questo libro dice «io». È lui stesso a farci entrare nella propria vita e nella propria testa, a raccontarci le sue pulsioni più segrete, le sue umiliazioni e ossessioni. Il giardino delle mosche è un libro lirico e crudele allo stesso tempo: la storia di un’anima sbagliata, una meditazione sul potere e la sconfitta e, soprattutto, una discesa impietosa fino alle radici del Male.

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La prima verità di Simona Vinci (Einaudi)

Simona Vinci è nata a Milano nel 1970 e vive a Bologna. Il suo primo romanzo, Dei bambini non si sa niente (ultima edizione Einaudi Stile libero, 2009) ha riscosso un grande successo. Caso letterario dell’anno, è stato tradotto in numerosi altri paesi, tra i quali gli Stati Uniti. Sempre per Einaudi sono usciti la raccolta di racconti In tutti i sensi come l’amore («Stile libero», 1999) e i romanzi Come prima delle madri («Supercoralli», 2003 ed «Einaudi Tascabili», 2004), Brother and Sister («Stile libero», 2004), Stanza 411 («Stile libero Big», 2006), Strada Provinciale Tre («Stile libero Big», 2007) e La prima verità («Stile libero Big», 2016). Per i lettori più giovani ha pubblicato Corri, Matilda (E.Elle, 1998) e Matildacity (Adnkronos Libri, 1998). Ha scritto il racconto La più piccola cosa pubblicato nell’antologia Le ragazze che dovresti conoscere («Stile libero Big», 2004). Inoltre nel 2010 ha collaborato alla raccolta Sei fuori posto (Einaudi, Stile libero Big).

Quarta di copertina
Nel 1992 Angela, giovane ricercatrice italiana, sbarca sull’isola di Leros. È pronta a prendersi cura, come i suoi colleghi di ogni parte d’Europa, e come i medici e gli infermieri dell’isola, del perdurante orrore, da pochi anni rivelato al mondo dalla stampa britannica, del «colpevole segreto d’Europa»: un’isolamanicomio dove a suo tempo un regime dittatoriale aveva deportato gli oppositori politici di tutta la Grecia, facendoli convivere con i malati di mente. Quelli di loro che non sono nel frattempo morti sono ancora tutti lí, trasformati in relitti umani. Inquietanti, incomprensibili sono i segni che accolgono la ragazza. Chi è Basil, il Monaco, e perché è convinto di avere sepolto molto in alto «ciò che rimane di dio?» E tra i compagni di lavoro, chi è davvero la misteriosa, tenace Lina, che sembra avere un rapporto innato con l’isola?
Ogni mistero avrà risposta nel tesoro delle storie dei dimenticati e degli sconfitti, degli esclusi dalla Storia, nell’«archivio delle anime» che il libro farà rivivere per il lettore: storie di tragica spietata bellezza, come quella del poeta Stefanos, della ragazza Teresa e del bambino con il sasso in bocca.
Con La prima verità che, fin dal titolo, da un verso di Ghiannis Ritsos, allude a una verità di valore assoluto oltre e attraverso le vicende del libro, che si svolgono in luoghi e tempi diversi, e delle vite dei personaggi che via via si presentano al lettore, Simona Vinci torna al romanzo dopo molti anni, e vi torna con una felicità e una libertà mai raggiunte prima.


ll vincitore del Premio Campiello – Opera Prima

La teologia del cinghiale di Gesuino Némus (Elliot)

Gesuino Némus. Nato in Sardegna in un piccolo paese dell’Ogliastra, ha lavorato duramente fin dall’infanzia per sopravvivere e pagarsi gli studi. LAa teologia del cinghiale è il suo primo romanzo.

Quarta di copertina
Luglio 1969. Durante i giorni dello sbarco sulla luna, a Telévras, piccolo paese dell’entroterra sardo, due ragazzini vengono coinvolti in una serie di eventi misteriosi. Il primo è Matteo Trudìnu, talentuoso figlio di un sequestratore latitante; l’altro è Gesuino Némus, un bambino silenzioso e problematico, da tutti considerato poco più che un minus habens. Amici per la pelle, i due godono della protezione di don Cossu, il prete gesuita del paese, che si prende cura di loro come fossero figli suoi. Un giorno il padre di Matteo, scomparso da settimane, viene trovato morto a pochi chilometri di distanza da casa. Il maresciallo dei carabinieri De Stefani, un piemontese che fatica a comprendere le logiche del luogo, inizia a indagare con l’aiuto dell’appuntato Piras e dello stesso don Cossu ma, con l’avanzare dei giorni, le cose si complicano e spunta fuori un altro cadavere… Misteri, colpe antiche, segreti e rivelazioni vengono scanditi a ritmo battente in un romanzo dalle tinte gialle sapientemente orchestrato, imprevedibile e originalissimo per trama, stile, umorismo e inventiva.
Un’opera pirotecnica, geniale e ricca di suspense che ci avvolge con le voci, i sapori e la magia della terra sarda, raccontando gli ultimi cinquant’anni di un’Italia sospesa fra modernità e tradizione.

Motivazione della Giuria dei Letterati

Gioca di sovrapposizione onomastica col suo personaggio l’autore della Teologia del cinghiale. Gesuino Nemus (ossia Nessuno) è infatti lo stesso della voce narrante del romanzo, che ci offre un sorprendente esordio, ambientato a Telèvas, “una enclave a se stante” in Sardegna e che ha quale centralità temporale il 21 luglio 1969 del ritrovamento del corpo di Bachisio Tudìnu e, il 22 luglio, di sua moglie Elvira Bòttaru, impiccata in casa.
Sarebbe però sbagliato leggere un simile romanzo come un giallo, pur poggiando su misteri, silenzi, ancestralità, segreti.
Una voce ricca di affabulazione, quella di Nemus: umori, sapori, parlate, sguardi, silenzi, canzoni, tradizioni che fanno della Teologia del cinghiale un romanzo saporosamente antropologico, in una ambientazione subito presentata come “poco normale”, come del resto sono un po’ tutti i personaggi che vi si muovono.
Un romanzo che si fa apprezzare anche per una lingua ricca di venature, con ricchi inserti di lingua sarda (quasi sempre resa comunque dialogicamente comprensibile). In una orchestrazione davvero sapiente, che sa tenere la tensione. E che approda a un finale insospettato e inatteso.

GIURIA DEI LETTERATI Ernesto Galli della Loggia, Presidente
Federico Bertoni
Riccardo Calimani
Philippe Daverio
Chiara Fenoglio
Luigi Matt
Ermanno Paccagnini
Patrizia Sandretto Re Rebaudengo
Roberto Vecchioni
Emanuele Zinato
Stefano Zecchi

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EDOARDO ALBINATI con “La scuola cattolica” (Rizzoli) vince il PREMIO STREGA 2016 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/07/09/edoardo-albinati-vince-il-premio-strega-2016/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/07/09/edoardo-albinati-vince-il-premio-strega-2016/#comments Fri, 08 Jul 2016 22:33:10 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7210 Link logo alla HomeEDOARDO ALBINATI con “La scuola cattolica” (Rizzoli) è il vincitore dell’edizione 2016 del PREMIO STREGA.

Tutte le informazioni sulla serata della premiazione sono disponibili qui.


Di seguito, riproponiamo la puntata radiofonica di Letteratitudine in Fm, con ospite Edoardo Albinati, dedicata a “La scuola cattolica“.


In Fm e in streaming su Radio Hinterland

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO

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Con Edoardo Albinati abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato “La scuola cattolica” (Rizzoli) -libro vincitore del Premio Strega 2016.

Nella seconda parte della puntata potrete ascoltare una lettura delle prime pagine del romanzo.

Di seguito, la scheda del libro.

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La scuola  cattolica“La scuola cattolica” di Edoardo Albinati (Rizzoli)
Roma, anni Settanta: un quartiere residenziale, una scuola privata. Sembra che nulla di significativo possa accadere, eppure, per ragioni misteriose, in poco tempo quel rifugio di persone rispettabili viene attraversato da una ventata di follia senza precedenti; appena lasciato il liceo, alcuni ex alunni si scoprono autori di uno dei più clamorosi crimini dell’epoca, il Delitto del Circeo. Edoardo Albinati era un loro compagno di scuola e per quarant’anni ha custodito i segreti di quella “mala educación”. Ora li racconta guardandoli come si guarda in fondo a un pozzo dove oscilla, misteriosa e deforme, la propria immagine. Da questo spunto prende vita un romanzo poderoso, che sbalordisce per l’ampiezza dei temi e la varietà di avventure grandi o minuscole: dalle canzoncine goliardiche ai pensieri più vertiginosi, dalla ricostruzione puntuale di pezzi della storia e della società italiana, alle confessioni che ognuno di noi potrebbe fare qualora gli si chiedesse: “Cosa desideravi davvero, quando eri ragazzo?”. Adolescenza, sesso, religione e violenza; il denaro, l’amicizia, la vendetta; professori mitici, preti, teppisti, piccoli geni e psicopatici, fanciulle enigmatiche e terroristi. Mescolando personaggi veri con figure romanzesche, Albinati costruisce una narrazione potente e inarrestabile che ha il coraggio di affrontare a viso aperto i grandi quesiti della vita e del tempo, e di mostrare il rovescio delle cose. La scuola cattolica è forse il libro che mancava nella nostra cultura.

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Edoardo Albinati (Roma, 1956) da oltre vent’anni lavora come insegnante nel penitenziario di Rebibbia, esperienza narrata nel diario Maggio selvaggio. Suoi reportage dall’Afghanistan e dal Ciad sono usciti sul “Corriere della Sera”, “la Repubblica”, “The Washington Post”. Ha scritto film per il cinema di Matteo Garrone e Marco Bellocchio. Tra gli ultimi libri pubblicati, ricordiamo Tuttalpiù muoio con Filippo Timi e Vita e morte di un ingegnere.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata è composta dai seguenti brani musicali: “Shine on you crazy diamond” (Pink Floyd); “The Carpet Crawlers” (Genesis).

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa), con una serie di repliche nei giorni successivi. Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

È possibile ascoltare le puntate precedenti, cliccando qui.


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SPECIALE PREMIO STREGA 2016 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/07/07/speciale-premio-strega-2016/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/07/07/speciale-premio-strega-2016/#comments Thu, 07 Jul 2016 17:47:41 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7208 Link logo alla Home

Nella serata di venerdì 8 luglio, presso la sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, conosceremo il titolo del libro vincitore dell’edizione 2016 del Premio Strega.

Tutte le informazioni sulla serata finale sono disponibili qui.

Di seguito, i contenuti “speciali” di Letteratitudine dedicati ai cinque libri finalisti:

L’uomo del futuro (Mondadori) di Eraldo Affinati
Presentato da Giorgio Ficara e Igiaba Scego

[Clicca qui e LEGGI L'AUTORACCONTO DI ERALDO AFFINATI]

A quasi cinquant’anni dalla sua scomparsa don Lorenzo Milani, prete degli ultimi e straordinario italiano, tante volte rievocato ma spesso frainteso, non smette di interrogarci. Eraldo Affinati ne ha raccolto la sfida esistenziale, ancora aperta e drammaticamente incompiuta, ripercorrendo le strade della sua avventura breve e fulminante: Firenze, dove nacque da una ricca e colta famiglia con madre di origine ebraica, frequentò il seminario e morì fra le braccia dei suoi scolari; Milano, luogo della formazione e della fallita vocazione pittorica; Montespertoli, sullo sfondo della Gigliola, la prestigiosa villa padronale; Castiglioncello, sede delle mitiche vacanze estive; San Donato di Calenzano, che vide il giovane viceparroco in azione nella prima scuola popolare da lui fondata; Barbiana, “penitenziario ecclesiastico”, in uno sperduto borgo dell’Appennino toscano, incredibile teatro della sua rivoluzione. Ma in questo libro, frutto di indagini e perlustrazioni appassionate, tese a legittimare la scrittura che ne consegue, non troveremo soltanto la storia dell’uomo con le testimonianze di chi lo frequentò. Affinati ha cercato l’eredità spirituale di don Lorenzo nelle contrade del pianeta dove alcuni educatori isolati, insieme ai loro alunni, senza sapere chi egli fosse, lo trasfigurano ogni giorno: dai maestri di villaggio, che pongono argini allo sfacelo dell’istruzione africana, ai teppisti berlinesi, frantumi della storia europea.

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La scuola cattolicaLa scuola cattolica (Rizzoli) di Edoardo Albinati
Presentato da Raffaele La Capria e Sandro Veronesi

[Clicca qui e ASCOLTA LA PUNTATA RADIO CON EDOARDO ALBINATI]

Roma, anni Settanta: un quartiere residenziale, una scuola privata. Sembra che nulla di significativo possa accadere, eppure, per ragioni misteriose, in poco tempo quel rifugio di persone rispettabili viene attraversato da una ventata di follia senza precedenti; appena lasciato il liceo, alcuni ex alunni si scoprono autori di uno dei più clamorosi crimini dell’epoca, il Delitto del Circeo. Edoardo Albinati era un loro compagno di scuola e per quarant’anni ha custodito i segreti di quella “mala educacion”. Ora li racconta guardandoli come si guarda in fondo a un pozzo dove oscilla, misteriosa e deforme, la propria immagine. Da questo spunto prende vita un romanzo, che sbalordisce per l’ampiezza dei temi e la varietà di avventure grandi o minuscole: dalle canzoncine goliardiche ai pensieri più vertiginosi, dalla ricostruzione puntuale di pezzi della storia e della società italiana, alle confessioni che ognuno di noi potrebbe fare qualora gli si chiedesse: “Cosa desideravi davvero, quando eri ragazzo?”. Adolescenza, sesso, religione e violenza; il denaro, l’amicizia, la vendetta; professori mitici, preti, teppisti, piccoli geni e psicopatici, fanciulle enigmatiche e terroristi. Mescolando personaggi veri con figure romanzesche, Albinati costruisce una narrazione che ha il coraggio di affrontare a viso aperto i grandi quesiti della vita e del tempo, e di mostrare il rovescio delle cose.

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Il cinghiale che uccise Liberty ValanceIl cinghiale che uccise Liberty Valance (minimum fax) di Giordano Meacci
Presentato da Giuseppe Antonelli e Diego De Silva

[Clicca qui e LEGGI L'AUTORACCONTO DI GIORDANO MEACCI]

Nell’immaginario paesino di Corsignano -tra Toscana e Umbria – la vita procede come sempre. C’è gente che lavora, donne che tradiscono i propri uomini e uomini che perdono una fortuna a carte. C’è una vecchia che ricorda il giorno in cui fu abbandonata sull’altare, un avvocato canaglia, due bellissime sorelle che eccellono nell’arte della prostituzione e una bambina che rischia la morte. E c’è una piccola comunità di cinghiali che scorrazza nei boschi circostanti. Se non fosse che uno di questi cinghiali acquista misteriosamente facoltà che trascendono la sua natura. Non solo diventa capace di elaborare pensieri degni di un essere umano, ma, esattamente come noi, diventa consapevole anche della morte. Troppo umano per essere del tutto compreso dai suoi simili e troppo bestia per non essere temuto dagli umani: “il Cinghiale che uccise Liberty Valance” si ritrova all’improvviso in una terra di nessuno che da una parte lo getta nella solitudine ma dall’altra gli dà la capacità di accedere ai segreti di Corsignano, leggendo nel cuore dei suoi abitanti.

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Se avesseroSe avessero (Garzanti) di Vittorio Sermonti
Presentato da Franco Marcoaldi e Serena Vitale

[Clicca qui e ASCOLTA LA PUNTATA RADIO CON VITTORIO SERMONTI]

Una mattina di maggio del 1945 tre (o quattro) partigiani si presentano col mitra sullo stomaco in un villino zona Fiera di Milano alla caccia d’un ufficiale della Repubblica Sociale (o forse di tre), lo scovano, segue un ampio scambio di vedute, e se ne vanno. Da questo aneddoto domestico, sincronizzato bene o male ai grandi eventi della Storia, si dipanano settant’anni di ricordi di un fratello quindicenne, confusi ma puntigliosi, affidati come sono agli “intermittenti soprusi della memoria”: il nero-sangue e il gelo della guerra, la triste farsa di sognarsi eroe, poi il “passaggio dalla parte del nemico” (iscrizione al PCI), e poi ancora un titubante far parte per se stesso; e il rapporto di reciproca protezione con il padre fascista; e la famiglia “feudale” della strana mamma; ma anche una collana di amori malriposti, le letture, il teatro, la musica, il calcio, gli amici. Testa e cuore però non fanno che tornare a quella mattina di maggio, a quell’ipotesi sospesa, a quell’eccidio mancato. Così, nel tentativo di fare i conti con i propri fantasmi, Vittorio Sermonti ci regala un libro sconcertante, tracciato nella forma di una lunga canzone d’amore per un tu che ha smascherato molti di quei fantasmi del “narrator narrato”, e gli dà ancora la voglia di vivere: un libro che è anche la cronaca minuziosa di un Paese e di un interminabile dopoguerra…

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La femmina nudaLa femmina nuda (La nave di Teseo) di Elena Stancanelli
Presentato da Francesco Piccolo e Silvia Ronchey

[Clicca qui e ASCOLTA LA PUNTATA RADIO CON ELENA STANCANELLI]

Anna e Davide stanno insieme da cinque anni. Si sono amati e traditi, come tutti. Ma un giorno qualcosa cambia. Davide diventa violento, aggressivo e Anna scopre che si è innamorato di un’altra donna. Trova foto hot e alcuni messaggi in cui lui le scrive che la ama. Davide nega, attacca, non vuole che la loro storia finisca. Anna lo manda via di casa e precipita nell’ossessione. Smette di mangiare, controlla continuamente i social network dell’ex compagno e della rivale e, in un crescendo morboso, comincia a pedinarla, arriva a conoscerla e a frequentarla, fino a quando il gioco diventa troppo difficile da continuare. Il nuovo, atteso romanzo di Elena Stancanelli è la storia di una donna che, nella forma di una confessione spudorata alla propria migliore amica, racconta il lato oscuro di ogni donna.

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OMAGGIO A UMBERTO ECO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/02/20/omaggio-a-umberto-eco/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/02/20/omaggio-a-umberto-eco/#comments Sat, 20 Feb 2016 11:28:42 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7058 La notizia della morte di Umberto Eco ci coglie di sorpresa e ci lascia sgomenti. Abbiamo ancora nelle nostre orecchie il suono delle parole del celebre scrittore da dove emerge il disappunto per la nascita della cosiddetta “Mondazzoli” e il conseguente avvio del progetto editoriale “La Nave di Teseo” (ne approfittiamo, peraltro, per segnalare che secondo il settimanale “L’Espresso“, l’Antitrust sembrerebbe orientata a impedire al gruppo Mondadori, dopo l’acquisto di Rcs Libri, di mantenere il controllo di due importanti case editrici tra quelle incluse nel pacchetto: la Bompiani e la Marsilio).
Gianni Coscia – avvocato e noto fisarmonicista, nonché l’amico più caro di Eco sin dai tempi del ginnasio – commenta così la notizia della scomparsa dello scrittore sul sito de “La Stampa“: «Sapevo che Umberto era malato da due anni di tumore, ma nessuno pensava che la sua fine sarebbe stata così imminente». E aggiunge: «Era uscito di casa per l’ultima volta a metà gennaio per festeggiare in un ristorante gli 80 anni di mia moglie Laura. La dote più grande era il profondo senso dell’amicizia ed era molto legato ad Alessandria, per venire cercava solo l’occasione intelligente». E infine: «Era molto disponibile, anche se all’apparenza non sembrava, era umile ma quel suo atteggiamento spavaldo era solo una difesa. Era un uomo timido, anche se nessuno lo direbbe».

Umberto Eco era nato ad Alessandria, il 5 gennaio 1932. È morto a Milano ieri sera, il 19 febbraio 2016, a causa di un tumore. Aveva 84 anni.
Semiologo, filosofo e scrittore divenne celebre in tutto il mondo dopo la pubblicazione del romanzo “Il nome della rosa“, avvenuta nel 1980 (in Italia per i tipi di “Bompiani”). Fu un successo travolgente e inatteso, con grandissimo riscontro sia dal punto di vista della critica sia da quello del gradimento dei lettori. Best-seller internazionale tradotto in oltre 40 lingue e venduto in cinquanta milioni di copie, “Il nome della rosa” si aggiudicò il Premio Strega nel 1981, fu tra i finalisti del prestigioso Edgar Award nel 1984 ed è stato inserito nella lista de “I 100 libri del secolo di Le Monde”.
Dal romanzo fu tratto, nel 1986, il film omonimo per la regia di Jean-Jacques Annaud, con Sean Connery nei panni di Guglielmo e Christian Slater nel ruolo di Adso.

La produzione “libresca” di Umberto Eco è cospicua. Ricordiamo, tra gli altri: “Diario minimo” (1963), “Apocalittici e integrati” (1964 – con nuova edizione nel 1977).
Tra i romanzi, oltre al citato “Il nome della rosa“, ricordiamo: “Il pendolo di Foucault” (1988), “L’isola del giorno prima” (1994), “Baudolino” (2000), “La misteriosa fiamma della regina Loana” (2004), “Il cimitero di Praga” (2010) e “Numero Zero” (2015), tutti editi in italiano da Bompiani.

Nell’ambito della saggistica ricordiamo: “Il superuomo di massa” (1976), “Lector in fabula” (1979), “Sei passeggiate nei boschi narrativi” (1994), “Sulla letteratura” (2002), “Dire quasi la stessa cosa” (2003).

Intanto, venerdì 26 febbraio uscirà il nuovo libro di Eco per i tipi de “La nave di Teseo“. Si intitola “Pape Satàn aleppe(476 pag. – 20€).

Quella che segue è la scheda del libro…

Crisi delle ideologie, crisi dei partiti, individualismo sfrenato… Questo è l’ambiente – ben noto – in cui ci muoviamo: una società liquida, dove non sempre è facile trovare una stella polare (anche se è facile trovare tante stelle e stellette). Di questa società troviamo qui i volti più familiari: le maschere della politica, le ossessioni mediatiche di visibilità che tutti (o quasi) sembriamo condividere, la vita simbiotica coi nostri telefonini, la mala educazione. E naturalmente molto altro, che Umberto Eco ha raccontato regolarmente nelle sue Bustine di Minerva.
È una società, la società liquida, in cui il non senso sembra talora prendere il sopravvento sulla razionalità, con irripetibili effetti comici certo, ma con conseguenze non propriamente rassicuranti. Confusione, sconnessione, profluvi di parole, spesso troppo tangenti ai luoghi comuni. “Pape Satàn, pape Satàn aleppe”, diceva Dante nell’Inferno (VII, 1), tra meraviglia, dolore, ira, minaccia, e forse ironia.

Dedico, dunque, questo “spazio” alla memoria di Umberto Eco con l’intento di celebrarlo, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere le opere di questo nostro grande scrittore a chi non avesse ancora avuto modo di leggerle.

Pongo le solite domande (volte a favorire la discussione):

1. Che rapporti avete con le opere di Umberto Eco?

2. Qual è quella che avete amato di più?

3. E l’opera di Eco che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Tra le varie “citazione” di Eco di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

5. Qual è la principale eredità che Umberto Eco ha lasciato nella letteratura italiana?

Sono graditi (e ringrazio anticipatamente i partecipanti) interventi, contributi vari e la segnalazione di link attinenti ai contenuti di questo post.

Di seguito, due video dedicati a Umberto Eco relativi alla “Consegna a Umberto Eco del Sigillum magnum d’oro – Cerimonia Dottori di Ricerca 2015″ e alla “Lectio Magistralis – Comunicazione Soft e Hard – 2014″.

Massimo Maugeri

http://i.huffpost.com/gen/4022660/thumbs/o-ECO-MORTE-570.jpg

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OMAGGIO A ELSA MORANTE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/11/26/omaggio-a-elsa-morante/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/11/26/omaggio-a-elsa-morante/#comments Thu, 26 Nov 2015 18:30:27 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=2728 Ieri, 25 novembre 2015, ho ricordato la ricorrenza del trentesimo anniversario della morte di ELSA MORANTE riproponendo la puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” andata in onda venerdì 8 marzo 2013 dedicata, per l’appunto, alla vita e alle opere di questa nostra grande scrittrice. Ospite: Graziella Bernabò, autrice del volume “La fiaba estrema. Elsa Morante tra vita e scrittura” (Carocci).

Nei prossimi giorni pubblicherò un’intervista a Sandra Petrignani incentrata sul volume “Elsina e il grande segreto” (edito da Rrose Sélavy).

Qui di seguito, invece, ri-propongo il post (e il dibattito che ne è seguito) pubblicato in occasione del venticinquesimo anniversario della morte della Morante (con un contributo di Paolo Di Paolo).

Il post è aperto per altri eventuali nuovi contributi.

Grazie di cuore in anticipo per l’attenzione.

Massimo Maugeri

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VENTICINQUE ANNI DALLA MORTE DI ELSA MORANTE
(post del 30 novembre 2010)

Periodo di “ricorrenze letterarie”, questo. Nelle scorse settimane abbiamo avuto modo di ricordare Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini.
Con questo post vorrei che ci occupassimo di Elsa Morante, scomparsa venticinque anni fa (per l’esattezza il 25 novembre del 1985).

La Morante – nata a Roma il 18 agosto 1912 – è senz’altro una delle più importanti autrici italiane dal dopoguerra a oggi. Basti pensare a opere come il suo romanzo d’esordio, “Menzogna e sortilegio” (pubblicato nel 1948 e vincitore del Premio Viareggio); “L’isola di Arturo” (pubblicato nel 1957 e vincitore del Premio Strega); “Il mondo salvato dai ragazzini” (opera mista di poesia, canzoni e una commedia, pubblicato nel 1968); e poi “La Storia” (pubblicato nel 1974: grande successo internazionale, anche se non mancarono critiche dure da parte di alcuni critici). Il suo ultimo romanzo, “Aracoeli”, fu pubblicato nel 1982.

Vi invito a discutere sulle opere e sulla figura di questa grande autrice (e pongo le solite domande volte a favorire la discussione)…

1. Che rapporti avete con le opere di Elsa Morante?

2. Qual è quella che avete amato di più?

3. E l’opera della Morante che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Tra le varie “citazione” della Morante di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

5. A venticinque anni dalla morte, qual è l’eredità che Elsa Morante ha lasciato nella letteratura italiana?

Qualunque tipo di contributo sulla vita e sulle opere di Elsa Morante (citazioni, stralci di brani, considerazioni, recensioni, link a video e quant’altro) è gradito.
Siete tutti invitati a intervenire, dunque.
Vi ringrazio anticipatamente per la partecipazione.

Di seguito, un video dedicato alla Morante.

Massimo Maugeri


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Aggiornamento del 3 dicembre 2010
Ringrazio Paolo Di Paolo, per avermi invato il pezzo che segue (dedicato alla memoria di Elsa Morante).
Massimo Maugeri

IL CONTRIBUTO DI PAOLO DI PAOLO SU ELSA MORANTE

Com’è strano, inatteso, questo silenzio. Sì, d’accordo, gli anniversari sono tanti e questo non è tondo. Ma dietro alla scarsa attenzione che ha destato il venticinquennale della morte di Elsa Morante, qualche ragione deve pur esserci. All’indomani di quel 25 novembre 1985, il critico Luigi Baldacci prendeva congedo dalla scrittrice ricordando come la malattia, nell’ultimo periodo, l’avesse tenuta a lungo «fuori dalla militanza letteraria; ma non era una dimenticata. Tutt’altro. Anzi, un mito resistente». Lo è ancora. Una storia della letteratura novecentesca non solo italiana non può fare a meno di lei. I suoi romanzi vengono letti; il suo nome e le sue storie non sono del tutto assenti dalle aule scolastiche. No, non è una dimenticata. E tuttavia il suo mito appare lontano, inattuale, quasi inservibile alle celebrazioni occasionali. Sembra, la sua assenza, molto più lunga. Come per i veri classici, la sua opera poco si presta alle attualizzazioni giornalistiche. Vi è in essa qualcosa di indocile, di solido, al punto da non piegarsi al richiamo del presente.
Rispondendo a un’inchiesta sul romanzo, nel 1959 criticava duramente i romanzieri («mediocri e falsi») impegnati ad apparire nuovi e moderni ai propri contemporanei, «mentre che il poeta vero sente (anche se non lo sa) che molti dei suoi lettori devono ancora nascere, e che la sua realtà è vera per sempre». Il «per sempre» di Elsa Morante non somiglia all’ambizione comune a molti che scrivono: non è, o non è solo, la volontà e la speranza di restare. È qualcosa di diverso e di raro. Come Elisa nelle prime pagine di Menzogna e sortilegio, Elsa pure avrebbe potuto scrivere di sé: «Il mio tempo e il mio spazio, e la sola realtà che m’apparteneva, eran confinati nella mia piccola camera». La camera della mente, certo, e della scrittura; la straordinaria camera della fantasia e delle visioni che rendono la fisionomia anche solo culturale di Morante imprendibile, quasi aliena al paesaggio letterario a lei coevo. La qualità della sua immaginazione – così potente, vorticosa, sovraccarica, stravolta come il vento che si alza su Almeria nel romanzo Aracoeli – non pare sensibile al «qui e ora»; sta altrove, remota e chiusa in sé, come una prigione e come un’isola.
Se un «frutto fuori stagione» poteva apparire, ai lettori del 1948, un romanzo-romanzo (o «l’ultimo romanzo possibile, l’ultimo romanzo della terra», come pretendeva l’autrice) Menzogna e sortilegio, cos’è – dell’opera di Morante – che non appare altrettanto fuori stagione, controtempo? Più ancora che il tempo della Storia, è quello della biologia, il tempo dei suoi romanzi: un sovra-tempo o non-tempo dove tutti i tempi si mescolano e si cancellano.
Non rispondono ad alcun calendario preciso Menzogna e sortilegio, o L’isola di Arturo, Aracoeli. E perfino La Storia, pure così carico di date, si apre con un «…19**» e si chiude con una valanga di puntini di sospensione: «…e la Storia continua…». Il tempo del corpo, del dolore, il tempo dei sentimenti in genere, e più di ogni altro il tempo dell’innocenza oltraggiata – la realtà «vera per sempre» – incrociano le strettoie degli anni e delle epoche, ma non appartengono ad esse. La felicità è impossibile, nel mondo: per gli uomini come per gli altri animali, per Iduzza come per il coniglio dei Marrocco. Tutti destinati a sparire, a finire in niente. Lo scandalo è crescere, è invecchiare. Lo scandalo è diventare adulti, è corrompersi. Confessa Manuel in Aracoeli: «La pubertà, ossia l’ingresso nell’età virile (la sagra onorifica dei Greci e dei Romani) per me fu un evento avverso: giacché in verità io non volevo crescere e mi pareva scandaloso farmi uomo. Le trasformazioni corporee della virilità mi sgomentarono al modo di un’usurpazione oltraggiosa». Prima di conoscere la realtà vera per sempre, prima di sapere che «fuori del limbo non v’è eliso», prima che Arturo lasci la sua isola, lì, nella «piccola età felice» delle canzoncine, dei «beati bacetti», la felicità è un’invenzione possibile: «SONO FELICE! (…) Come una prepotenza, la mia gioia invadeva la luce, lo spazio, ogni angolo della casa, anche il più polveroso ripostiglio».
Prima di Aracoeli, ogni pagina di Elsa Morante vibrava del conflitto tra la felicità dell’isola, delle isole, e ciò che tenta di corromperla e la corromperà. Tra gli occhi del bambino Useppe e le ombre che già vi si riflettono. «Che cos’altro può essere la Storia, per la Morante, se non tutto ciò che si trova fuori dall’Isola di Arturo?» si è chiesto Cesare Garboli.
In Aracoeli, l’ultimo romanzo, l’innocenza stupida dell’infanzia è invasa da quella ancora più stupida degli adulti. Inventare la felicità, la felicità guagliona e intrigante con cui per un attimo si era creduto perfino di poter salvare il mondo, è diventato impossibile. Manuel assume voce leopardiana. Rimprovera a sua madre di averlo dato alla luce. «Tu rimàngiami» la implora. Le lacrime non sanno più di cannella, come una volta. Adesso mamma Aracoeli è morta, si è «dileguata come una ladra», e Manuelito vive questa morte come un tradimento: «mi ritrovo qua, solo e nudo, davanti a questo ropero de luz – espejo de cuerpo entero, il quale mi butta in faccia, senza cerimonie, la mia forma reale». «Ma tu, mamita, aiutami». Nella solitudine dell’età adulta e corrotta ha saputo tutto, vuole tornare indietro, tornare nell’utero. Ha conosciuto l’oltraggio. La condanna al bisogno di carezze, che non salvano: «Orfani e mai svezzati, tutti i viventi si propongono, come gente di marciapiede, a un segno altrui d’amore» – le dive, i potenti, perfino i kamikaze. Forse solo i giovani belli e i taumaturghi possono riscattarsi. E i poeti, dice Manuelito. Nella corruttibilità del mondo e di tutto, si spendono per dare forma a qualcosa di incorruttibile come un’opera – con la sua realtà indocile, dolorosa, inattuale e perciò eterna, «vera per sempre».

Paolo Di Paolo

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OMAGGIO A PIER PAOLO PASOLINI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/11/02/omaggio-a-pier-paolo-pasolini/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/11/02/omaggio-a-pier-paolo-pasolini/#comments Mon, 02 Nov 2015 17:50:12 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=2630 QUARANT’ANNI DALLA MORTE DI PIER PAOLO PASOLINI

Il 1° novembre del 2010 pubblicai un post dedicato a Pier Paolo Pasolini in occasione del trentacinquesimo anniversario della sua morte (avvenuta a Roma, nella notte tra il 1 e il 2 novembre del 1975). Adesso, a distanza di cinque anni, in occasione della ricorrenza del quarantesimo, ripropongo quel vecchio post del 2010 anticipando che nel corso della settimana – su LetteratitudineNews – saranno pubblicati vari post sull’argomento (che poi verranno linkati qui di seguito a mano a mano che saranno online).
Ne approfitto, intanto, per segnalarvi questo bel docufilm visibile online su Repubblica Tv (e stasera disponibile anche su Sky Arte Hd alle 21.10 – canali 120 e 400 di Sky).
Nei giorni scorsi ho riproposto la puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” del 3 dicembre 2010 dove ho avuto il piacere di incontrare Marco Belpoliti per discutere del saggio “Pasolini in salsa piccante”, pubblicato dallo stesso Belpoliti per Guanda nel 2010 (in occasione, appunto, del 35° anniversario della morte di Pasolini).

Dedico, dunque, questo “spazio” alla memoria di Pier Paolo Pasolini con l’intento di celebrarlo, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere questo nostro grande scrittore a chi non avesse ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.

Sono graditi (e ringrazio anticipatamente i partecipanti) interventi, contributi vari e la segnalazione di link attinenti ai contenuti di questo post.

Di seguito, il post pubblicato nel novembre del 2010.

Massimo Maugeri

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TRENTACINQUE ANNI DALLA MORTE DI PASOLINI
(post del 1° novembre 2010)

Trentacinque anni fa, nella notte tra il 1 e il 2 novembre del 1975, Pier Paolo Pasolini veniva brutalmente ucciso (battuto a colpi di bastone e travolto con la sua auto) sulla spiaggia dell’idroscalo di Ostia, località del Comune di Roma.
In questi giorni, in occasione del 35°, si sta dando ampio risalto alla tragica notizia di allora, anche per via delle recenti riaperture delle indagini giudiziarie.
Vi segnalo questo servizio pubblicato su WUZ (a cura di Sandra Bardotti), che apre con questo cappello: “Trentacinque anni dopo, le indagini giudiziarie sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini all’Idroscalo di Ostia non sono ancora giunte a una verità accettabile e condivisibile da tutti. Indagini che si aprono e chiudono regolarmente a distanza di anni, da cui si ricava l’impressione che l’unica verità di cui siamo in possesso è che il caso Pasolini rimarrà irrisolto e che l’immagine che la società ha di lui sarà eternamente compromessa.
Nostro dovere in quanto cittadini è forse continuare a pretenderla, questa verità che da qualche parte deve pur trovarsi, senza rifugiarsi dietro inutili dietrologie e teorie di complotti, e contemporaneamente riappacificarci definitivamente con la figura e l’opera di Pier Paolo Pasolini, per capire quanto ancora i suoi scritti possono parlare al presente e alle generazioni future
”.

Ma la ricorrenza offre anche l’occasione per ricordare il Pasolini scrittore, poeta, regista e giornalista.
Ed è quello che vorrei fare (e invitarvi a fare) con questo post. Seguono le solite domande, volte a avviare la discussione…

1. Che rapporti avete con le opere di Pier Paolo Pasolini?

2. Qual è quella che avete amato di più?

3. E l’opera di Pasolini che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Preferite il Pasolini scrittore, poeta o regista?

5. Tra le varie “citazione” di Pasolini di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

6. A trentacinque anni dalla morte, qual è l’eredità che Pasolini ha lasciato nella letteratura italiana?

Nel corso del dibattito vi segnalerò alcuni articoli – in tema con questo post – pubblicati su quotidiani e magazine.
Di seguito, i riferimenti ad alcuni libri pubblicati di recente sulla figura di Pasolini e un video contenente l’ultima videointervista che ha rilasciato prima della morte.

Aspetto i vostri contributi…

Massimo Maugeri

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UN ELENCO DI ALCUNI DEI LIBRI DEDICATI A PIER PAOLO PASOLINI (di recente pubblicazione)

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PPP. Pasolini, un segreto italianoPPP. Pasolini, un segreto italiano” di Carlo Lucarelli
(Rizzoli)

Un romanzo-inchiesta sugli ultimi giorni di Pasolini e sugli anni più violenti della nostra storia recente. «Le bombe, le fucilate e le sprangate, e tutto quello che ci sta dietro, sono fatti concreti, azioni umane. Ciò che non sappiamo sta nella mente di qualcuno che non parla. Insomma, non sono Misteri, quelli. Sono Segreti. Segreti Italiani.»

Primi anni Settanta. A pancia in giù e sollevato sui gomiti, un ragazzino legge su una rivista frasi impenetrabili, rabbiose, attraenti. Sono tutte di Pier Paolo Pasolini. Il tempo passa e, quasi inavvertitamente, dentro quel bambino che oggi è uno scrittore sedimenta qualcosa di profondo: non è solo la passione per la parola, è l’istinto di un mestiere. «Seguire quello che succede, immaginare quello che non si sa o che si tace, rimettere insieme i pezzi disorganizzati e frammentari, ristabilire la logica dove regnano l’arbitrarietà, la follia e il mistero». Perché il Pasolini che ci parla dalle pagine di questo libro non è il poeta né il letterato, è quello della narrazione civile, lo stesso che confessò di sapere e che è stato assassinato. È proprio lì che torna Carlo Lucarelli, agli anni più violenti della nostra storia recente, ai pestaggi, ai morti ammazzati e alle stragi. Torna al Pasolini intellettuale e all’odio che lo circondava. Attraverso un tessuto di impressioni intime, analisi politiche e ricostruzioni storiche, torna a quella notte di novembre del 1975 in cui si è consumato un delitto comunque politico. Ciò che resta, una volta disintegrata la versione ufficiale e rimessi in ordine i fatti, è la certezza di trovarci di fronte a un Segreto Italiano.

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Pasolini, un uomo scomodoPasolini, un uomo scomodo” di Oriana Fallaci
(Rizzoli)

Per prima mise in dubbio la versione ufficiale dell’omicidio di Pasolini, nel reportage che dal 14 novembre 1975 pubblicò sulle pagine de L’Europeo e che Rizzoli ripubblica oggi in questo libro.

«Diventammo subito amici, noi amici impossibili. Cioè io donna normale e tu uomo anormale, almeno secondo i canoni ipocriti della cosiddetta civiltà, io innamorata della vita e tu innamorato della morte. Io così dura e tu così dolce.» – Oriana Fallaci

Quella tra Oriana e Pier Paolo è una delle più affascinanti e intense storie di amore-odio della letteratura e del costume italiani del Novecento. Scrittori di primissimo livello, polemisti spietati, personaggi venerati e infangati dall’opinione pubblica del tempo, le loro personalità contrapposte non potevano far altro che incrociarsi. Forse anche perché, a differenza dei loro colleghi italiani, Oriana e Pier Paolo si muovono con agio sullo scenario internazionale: lei grazie ai suoi reportage dalle zone di guerra e a una serie di indimenticabili interviste ai potenti della terra, lui soprattutto per merito del suo cinema che spiazza, divide e scandalizza i censori di tutto il mondo. Tra gli anni Sessanta e i primi Settanta, questi due protagonisti del panorama intellettuale si incontrano e si scontrano, si cercano e si negano: lei ammira e detesta il suo essere sempre bastian contrario, lui adora e disprezza la sua intensa visceralità. Ma la morte di Pasolini, il brutale omicidio che lo strappa alla vita il 2 novembre del 1975, spinge Oriana a rinsaldare il legame con questo amico-nemico andato via troppo presto. E lo fa con i mezzi a sua disposizione, quelli del giornalismo e della scrittura. Sotto la sua spinta, “L’Europeo” – il settimanale per cui lavora – si lancia in una controinchiesta che smentisce e ribalta la versione offerta dalle autorità e mette alle strette l’unico indiziato: Pino Pelosi, un minorenne che – pur di coprire gli effettivi responsabili – si è maldestramente autoaccusato dell’omicidio. Questo libro raccoglie tutti i contributi di Oriana al caso Pasolini apparsi sull’“L’Europeo” e rende finalmente giustizia al suo ruolo nella risoluzione di uno dei delitti più misteriosi e controversi della storia d’Italia.

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La macchinazione. Pasolini. La verità sulla morteLa macchinazione. Pasolini. La verità sulla morte” di David Grieco (Rizzoli)

Chi c’era quella notte all’idroscalo di Ostia? Che cosa aveva scoperto Pasolini? Chi ha firmato la sua condanna a morte?

“Beati voi che siete tutti contenti quando potete mettere su un delitto la sua bella etichetta.” Con queste parole cariche di profetico sarcasmo, Pasolini liquidava i suoi colleghi giornalisti e intellettuali. E lo faceva poche ore prima di essere ucciso e diventare lui stesso uno di quei delitti etichettabili, carne da prima pagina e niente più. Infatti, all’indomani della sua morte, quasi tutti i giornali trovarono il modo più remunerativo per presentare il caso: Pasolini era stato ammazzato dal povero ragazzo che aveva tentato di violentare. L’opinione pubblica abboccò e così, quella notte del 1975, Pasolini fu ucciso due volte: prima dalle mani di chi lo aveva aggredito, poi da quelle di chi ne ha per sempre cancellato il ricordo. In “La Macchinazione” David Grieco, che di Pasolini è stato amico e collaboratore, racconta una storia che comincia proprio nel punto in cui finisce il suo omonimo film. Se la pellicola ricostruisce la spaventosa rete di complicità che si nasconde dietro al delitto, nel libro Grieco presenta le prove, le testimonianze e i documenti di un caso giudiziario complesso, abilmente ripercorso nei suoi chiaroscuri dalla postfazione di Stefano Maccioni, l’avvocato che dal 2009 lotta per fare luce sull’intera vicenda. Nel tempo, l’ombra di quel sordido delitto ha oscurato l’opera di Pasolini. Generazioni di studenti sono cresciute senza conoscere i suoi libri, le sue poesie, i suoi articoli, i suoi film.

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Pasolini, massacro di un poetaPasolini, massacro di un poeta” di Simona Zecchi (Ponte alle Grazie)

Il 2 novembre 1975, all’Idroscalo di Ostia, si consuma il “massacro tribale” di uno dei maggiori intellettuali del ventesimo secolo: Pier Paolo Pasolini. L’inchiesta di Simona Zecchi riparte proprio da quella sciagurata notte e, con l’ausilio di prove fotografiche mai emerse sinora, documenti inediti, interviste e testimonianze esclusive, fa tabula rasa dei moventi ufficiali e delle piste finora accreditati, dall’”omicidio a sfondo sessuale” al “misterioso” Appunto 21 di Petrolio. Come nella Lettera rubata di Edgar Allan Poe, lo “schema perfetto” che condusse il poeta friulano fra le braccia dei suoi carnefici è sempre stato sotto gli occhi degli inquirenti e, in parte, dell’opinione pubblica: un oscuro attentato a pochi passi dall’abitazione di Pasolini la cui funzione viene finalmente svelata, un furto di bobine come espediente dai tratti inediti, la presenza di più macchine all’Idroscalo e la prova del doppio sormontamento del corpo ormai agonizzante, i testimoni che nessuno ha mai voluto veramente ascoltare, la matrice fascista dell’agguato, la direzione dell’intelligence nostrana, i tentativi di alcuni giornali di trasformare Pasolini in imputato nello stesso processo che avrebbe dovuto stabilire l’identità dei suoi assassini. Tra le numerose inchieste che hanno cercato di decostruire la gigantesca opera di depistaggio messa in atto già all’indomani dell’omicidio, Pasolini, massacro di un poeta si incarica di dire la verità, tutta la verità.

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Pasolini. Ragazzo a vitaPasolini. Ragazzo a vita” di Renzo Paris
(Elliot)

A quarant’anni dall’omicidio di Pasolini, Renzo Paris torna sui luoghi degli incontri romani con l’autore di “Petrolio”, raccontando un’amicizia durata dal 1966 al 1975. Nel suo vagabondaggio a ritroso nella memoria, Paris si spinge fino a Nuova Delhi e a Nairobi, per le celebrazioni pasoliniane, commentando parallelamente la versione non censurata del dramma “Affabulazione”, che Pasolini gli donò in dattiloscritto, conservato come una reliquia. Un post-romanzo nel quale sfila al completo la “famiglia” romana dello scrittore bolognese: da Moravia a Laura Betti, da Ninetto Davoli a Elsa Morante, con i loro viaggi, le estati a Sabaudia, i dibattiti televisivi sul ‘68. Un testo intenso e malinconico, alla ricerca di un senso che colmi il vuoto lasciato da quella morte così atroce avvenuta nel novembre del 1975.

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Pier Paolo Pasolini. Vivere e sopravviverePier Paolo Pasolini. Vivere e sopravvivere” di Italo Moscati (Lindau)

La vita e l’opera di Pasolini, la sua passione, il suo coraggio, la sua costante disponibilità a mettersi in gioco, esercitano un richiamo che sembra crescere con il tempo. Il panorama politico e culturale di questi anni frammentato, confuso, percorso da tensioni dagli esiti imprevedibili – ha bisogno di voci capaci di incidere, se non di convincere. E Pasolini era e resta una di quelle. Questo libro prosegue la ricerca di Moscati dopo gli anni in cui ha conosciuto, frequentato e si è sforzato di capire il poeta, romanziere, regista, scrittore corsaro: protagonista di percorsi, mestieri, esperienze che provano una vitalità sfrenata, drammatica, gioiosa nei giorni migliori (quelli del primo cinema, degli interventi, delle amicizie, dei viaggi), ma anche disperata; e non per vicende personali che pure esistono – e il libro le racconta andando in profondità; bensì per l’isolamento da cui questo artista, ricco di idee per tutti, si sforzava di uscire. Il suo è un “romanzo esistenziale” sacro per dignità e pensiero; e inviolabile patrimonio di chi non lo commemora, ma ne avverte acutamente la mancanza.

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PasoliniPasolini” di Davide Toffolo (Rizzoli Lizard)

“Con Pasolini Toffolo realizza questa missione quasi impossibile: dare un senso, un’intensità, un’attualità a uno dei più importanti artisti europei moderni.”
– Stéphane Piatszek e Olivier Séguret, Libération

Mi parve bellissimo, con la sua faccia dove i tratti slavi, romagnoli, ebrei, avevano composto linee uniche, una maschera irripetibile. Il corpo fin troppo espressivo, da Mantegna e anche da povero, medioevale così forte che se ti afferravano i polsi così forte per comunicare affetto, ti stringeva tra due tenaglie. Dal suo atteggiamento timido, di riserbo e sobrietà, settentrionali, così diversi dalla mia traboccante estroversione di ragazza del centro sud, uscivano discorsi lenti, esitanti, con l’accento acerbo, spoglio, rugiadoso, acre, dei veneti del Friuli.” - Silvana Mauri, Su Pasolini.

Un colloquio immaginario tra due artisti che parte da un assunto fantastico: Pasolini è vivo, e ha delle cose da dire. Molte. Essenziali. Ma è davvero lui? O un fantasma, un attore, un mitomane? Quel che è certo è che la sua conversazione con Davide Toffolo vibra di quel senso, di quell’acutezza che ne hanno reso immortale lo spirito. Toffolo cerca Pasolini tra le pagine dei suoi libri, nei ritagli di stampa, nelle interviste e ne cattura l’essenza: la rabbia, l’inalienabile solitudine, la feroce irriducibilità del poeta sono tutte tra queste pagine, in quest’intenso ritratto della grazia pasoliniana a opera di uno degli artisti più anticonformisti del panorama italiano.

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Per indegnità moralePer indegnità morale” di Anna Tonelli (Laterza)

Nel 1949 Pier Paolo Pasolini fu espulso dal Partito comunista italiano per ‘indegnità morale’. Il punto di partenza della vicenda sono i ‘fatti di Ramuscello’, che innescano l’accusa di corruzione di minorenni e atti osceni in luogo pubblico. Pasolini diventa così immediatamente un bersaglio politico: per i democristiani l’avversario da colpire, per i comunisti il pericolo da allontanare. Fondamentale nella biografia e nel percorso artistico di uno dei protagonisti della vita intellettuale del Novecento, questo caso è cruciale per capire il clima culturale e politico del dopoguerra. Due ‘chiese’, Democrazia cristiana e Partito comunista, impongono due pedagogie collettive distinte ma finalizzate entrambe a codificare vere e proprie regole di moralità. Il partito deve orientare le masse nella vita quotidiana, correggere i comportamenti anomali e, di fronte a gravi errori, espellere. La scelta compiuta con Pasolini è, dunque, esemplare della modalità punitiva adottata nei confronti dei ‘compagni’ che trasgrediscono. L’indagine di Anna Tonelli getta finalmente luce su particolari centrali sinora inediti della vicenda, compreso il lungo silenzio del Pci.

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Improvviso il Novecento. Pasolini professoreImprovviso il Novecento. Pasolini professore” di Giordano Meacci (Minimum Fax)

“Mi alzo alle sette, vado a Ciampino (dove ho finalmente un posto di insegnante, a 20.000 lire al mese), lavoro come un cane (ho la mania della pedagogia), torno alle 15, mangio, e poi…” È il 1952, e Pier Paolo Pasolini può dedicarsi alla letteratura solo “poi”, nel tempo libero dall’insegnamento. Attorno agli anni ciampinesi di Pasolini e ai ricordi dei suoi alunni e dei suoi amici (Bertolucci, Cerami, Pivano) – quei primi anni Cinquanta in cui nasceva “Ragazzi di vita” – Meacci costruisce un libro che è al contempo saggio, reportage, diario di viaggio e racconto, e in cui trova posto un’intera teoria di figure del nostro Novecento (e non solo): Totò, Fellini, Hemingway, gli sfollati del dopoguerra, Mizoguchi, il Vangelo, Mantegna, le tradizioni contadine, Simone Martini, il comunismo, Anna Magnani, Goldrake e Happy Days, l’America, Roma, il terremoto del Friuli, la grande poesia, la “scomparsa delle lucciole”. Da quel 2 novembre del 1975; da Ostia a noi, oggi, quarant’anni dopo quella morte che pesa sui cittadini di questo triste, meraviglioso, sfortunato, bellissimo paese: forse è stato già detto tutto, o troppo. O troppo poco, chissà.

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Breve vita di Pasolini” di Nico Naldini (Guanda)

Un protagonista della cultura del Novecento, una figura complessa e luminosa, un artista versatile e geniale, un eretico… Questo è stato Pier Paolo Pasolini, ma non solo: per la vita che ha condotto e per la morte che ha incontrato, Pasolini è stato anche un simbolo della società italiana e dei suoi cambiamenti. Ecco perché la biografia scritta da Nico Naldini, che ne fu il cugino, è tanto preziosa. Perché mescola, con lucida sobrietà, ricordi personali e ricostruzione documentata, spirito analitico e commozione; e ne disegna un ritratto volutamente essenziale. Riemergono così, da un passato ancora tanto vivo, le estati friulane dell’infanzia, il rapporto con la madre e l’indomabile vocazione pedagogica, l’amore per la semplicità dei contadini e la «competenza in umiltà». E poi, subito dopo, le prime tensioni politiche, la scelta militante del comunismo e la sofferenza per la morte del fratello Guido, nella strage di Porzus. E quindi, nella piena maturità artistica, la scoperta di Roma e delle sue periferie, la capacità tutta pasoliniana di entrare in contatto con il mondo dei «miseri» e delle borgate. Fino a quella terribile morte violenta, che in troppi hanno voluto circondare di mistero e che Naldini interpreta invece nella sua lineare essenzialità, senza alcuna concessione ai complottismi. Questa è dunque la vita «breve» di Pasolini. Un poeta corsaro, un artista capace di visioni altissime, un diverso, sempre e comunque, nell’affettività come nelle tensioni intellettuali, un uomo alla ricerca di una verità «altra».

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Un paese di temporali e primule” di Pier Paolo Pasolini – a cura di Nico Naldini (Guanda)

Per la formazione umana, intellettuale e letteraria di Pasolini, gli anni trascorsi a Casarsa, paese natale della madre, furono decisivi. Il mondo friulano, intensamente vissuto e amato, resterà per lui un punto di riferimento esistenziale e mitologico: il simbolo di un’umanità arcaica e innocente, capace di un senso lirico, magico della vita, il punto d’avvio di una vocazione artistica assoluta. Un paese di temporali e di primule racchiude ed esprime l’esperienza friulana di Pasolini attraverso scritti che vanno dal 1945 al 1951. Il libro si articola in quattro sezioni. La prima e più cospicua comprende racconti e prose che, nelle loro vibrazioni espressive, anticipano l’evoluzione futura dello scrittore. La seconda sezione è dedicata alla lingua friulana come portato di un lungo percorso storico, manifestazione di una cultura e mezzo letterario, e documenta il precoce interesse dello scrittore per le questioni linguistiche, che in seguito sfocerà nelle pagine di Passione e ideologia. Pasolini tocca poi, con lucidità e intuizione straordinarie, i temi dell’autonomia regionale, collegandoli a una necessità soprattutto culturale e linguistica. Vi sono infine i ricordi dell’intenso periodo di insegnamento svolto nella piccola scuola di Valvasone, cui si aggiungono i testi dell’Appendice, che illuminano un periodo tanto cruciale quanto poco conosciuto della vita di Pasolini (particolarmente le poesie composte per i suoi scolari). Nico Naldini ha scritto per questo libro un’introduzione che ci regala la testimonianza diretta e la lettura approfondita di ciò che è stato Pasolini giovane, il Pasolini di Casarsa: la miglior guida per chi oggi accosti questi scritti di sorprendente bellezza e suggestione.

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Poesie scelte” di di Pier Paolo Pasolini - a cura di Nico Naldini e Francesco Zambon (Guanda)

«Nello sviluppo del mio individuo, della diversità, sono stato precocissimo; e non mi è successo, come a Gide, di gridare d’un tratto ’Sono diverso dagli altri’ con angoscia inaspettata; io l’ho sempre saputo» scriveva Pasolini nei giovanili «quaderni rossi». E questo sentimento di diversità che domina tutta la sua opera – coscienza della propria omosessualità, certo, ma anche un senso più vasto di spaesamento e di inattualità – troverà subito un nome: quello di poesia. È stato en poète che egli ha sempre svolto la sua molteplice e anche dispersiva attività di scrittore, di regista, di critico o di polemista: si pensi soltanto alla sua esemplare teorizzazione del «cinema di poesia». Narciso, dolceardente usignolo, eretico, martire, barbaro, animale senza nome o bestia da stile – a seconda delle maschere sublimi o infami assunte sulle diverse scene della vita – egli rimase sempre fedele, con eroica ostinazione, al ruolo di poeta, inteso in un senso che si potrebbe dire «romantico» e perfino «sacrale»: quello di testimone solitario di una dimensione altra, di verità che agli uomini non possono apparire se non come scandalo e bestemmia.
(Dall’introduzione di Francesco Zambon)

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“Ròmans” di Pier Paolo Pasolini – a cura di Nico Naldini (Guanda)

La vicenda di Romàns si svolge negli anni del secondo do¬poguerra e ha per sfondo la pianura friulana tra le rive del Tagliamento e i bastioni delle Prealpi. La scena è costituita da un borgo contadino che nei giorni di festa formicola di grida, canti, risa, ma nei giorni feriali ritrova la piena dimensione della povertà e del lavoro umile, nella quale affiorano ormai impeti di rivolta, confusi ideali politici. Romàns è la storia di un giovane prete, del suo arrivo in uno sperduto paesino del Friuli, del suo duro servizio pastorale e del rapido, drammatico processo interiore che lo porterà alla consapevolezza di una realtà sociale che il suo apostolato non riesce ad assorbire del tutto, e anche dell’insanabile contrasto tra la visione del proprio ruolo e gli impulsi più naturali, che lo spingono all’amore per un ragazzo. A Romàns, che si configura quasi come un breve romanzo autonomo, si accosta Un articolo per il «Progresso», un racconto «che vede una volta ancora in azione la ‘meglio gioventù’» (così Nico Naldini nell’introduzione). A questi due testi si aggiunge, a formare un armonico trittico, Operetta marina, narrazione emersa «da una raccolta di carte, frutto di un complesso e mutevole disegno narrativo che ha come oggetto il mare» e che è compresa sotto il titolo Per un romanzo del mare. Nella sua dimensione di «leggenda personale» essa viene a completare e a chiudere il libro esemplare di una felicissima stagione.

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ALCUNI LIBRI USCITI NEL 2010

Morire per le idee. Vita letteraria di Pier Paolo Pasolini” di Roberto Carnero
Bompiani, 2010
Morire per le idee. Vita letteraria di Pier Paolo PasoliniL’opera pasoliniana va letta come un tutt’uno, in cui le diverse fasi di un lavoro artistico complesso e articolato (dalla poesia alla narrativa, dal teatro al cinema, dal giornalismo alla critica letteraria) tendono a intersecarsi continuamente all’interno di un discorso creativo ‘aperto’ e mobile’. Tn altre parole quella di Pasolini è una grande opera ‘totale’, all’interno della quale è difficile scindere i diversi ‘generi’. A partire da questa premessa il libro di Roberto Carnero indaga l’opera pasoliniana senza scindere i diversi aspetti della sua produzione, ma anzi riportando le diverse esperienze e i diversi momenti del lavoro pasoliniano alla coerenza di un percorso artistico unico. Un’opera, quella di Pasolini, strettamente legata alla vicenda biografica del suo autore. Per questo “una vita letteraria’, che Carnero ci aiuta a riscoprire e a percorrere in capitoli a metà tra il ‘tematico’ e il ‘biografico’. Il volume si presenta come un profilo di Pasolini, agile e aggiornato: una monografia critica adatta sia per gli studenti (delle università e delle scuole secondarie) sia, più in generale, per tutti i lettori interessati ad avvicinarsi a Pasolini in maniera informata. In un’apposita appendice (contenente, tra l’altro, un’intervista inedita a Walter Veltroni) si dà conto della controversa questione della morte di Pasolini, a partire dalle clamorose novità emerse negli ultimi mesi.

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Pasolini in salsa piccante” di Marco Belpoliti
Guanda, 2010
Sono trascorsi trentacinque anni dalla morte di Pasolini e forse è venuto il momento di fare con lui quello che il Corvo consigliava a Totò e Ninetto in Uccellacci e uccellini: i maestri si mangiano in salsa piccante. Per digerirli meglio, ingerendo il loro sapere e la loro forza. Andare oltre Pasolini con Pasolini: è quello che si propone Marco Belpoliti nel suo saggio.
Partendo dal primo processo, nel 1949, in Friuli, per atti osceni in luogo pubblico e corruzione di minore, passando attraverso la rilettura degli Scritti corsari e delle Lettere luterane, e attraverso l’analisi dei nudi del poeta scattati nel 1975 da Dino Pedriali e le foto inedite di Ugo Mulas sul set di Teorema, sino ad arrivare alla pubblicazione postuma di Petrolio, Belpoliti mostra come la cultura italiana abbia sempre rifiutato l’omosessualità di Pasolini, come non abbia compreso che questa è la radice della sua critica alla «mutazione antropologica», e come oggi si cerchi di fare di lui un martire delle trame occulte degli anni Settanta, quasi per alleggerirsi del senso di colpa nei suoi confronti. Un pamphlet che è un atto d’amore: mangiare Pasolini per onorarlo, per liberarlo dal limbo dei cattivi pensieri e dei falsi perdoni, delle solerti ammirazioni e degli impotenti moralismi che l’hanno tenuto sospeso nei nostri pensieri per tre decenni. Mangiarlo in salsa piccante perché è un maestro. Un grande maestro.

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I burattini filosofi. Pasolini dalla letteratura al cinema” di Marco Bazzocchi
Bruno Mondadori, 2010
I burattini filosofi. Pasolini dalla letteratura al cinemaQuello di Marco Antonio Bazzocchi è un viaggio alla ricerca dei molteplici e non sempre ovvi legami fra la produzione cinematografica e quella letteraria di Pier Paolo Pasolini.

Ripercorrendo le origini eminentemente narrative dei suoi lungometraggi (i miti greci, il “Decamerone” di Boccaccio, le “Mille e una notte”, ma anche il romanzo erotico e, sempre onnipresente, la Commedia dantesca), il saggio si concentra sul passaggio pasoliniano dalla letteratura al cinema e sulle reciproche influenze di questo momento, leggendolo attraverso il filtro di temi quali la rappresentazione della morte e della sessualità, il costante dialogo con Dante e con Michel Foucault, il significato antropologico dell’atto del mangiare, la ripresa di citazioni dalla pittura di Velázquez e la riflessione sulla questione delle origini.

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Pier Paolo Pasolini. Una morte violenta” di Lucia Visca
Castelvecchi, 2010
Pier Paolo Pasolini. Una morte violenta. In diretta dalla scena del delitto, le verità nascoste su uno degli episodi più oscuri nella storia d'ItaliaLa mattina del 2 novembre del 1975, quando all’Idroscalo di Ostia fu scoperto il cadavere di Pier Paolo Pasolini, Lucia Visca fu la prima cronista ad accorrere sulla scena del delitto.

Lì, su quella spiaggia sporca di sangue e povertà, insieme al cadavere del poeta giacevano alcuni indizi importantissimi: dettagli trascurati dai primi investigatori ma che, a distanza di trentacinque anni dall’assassinio dell’autore di Ragazzi di vita, tornano alla ribalta grazie alla riapertura delle indagini voluta dal Tribunale di Roma nella primavera del 2010.

Scrupolosa inchiesta sulla morte di Pier Paolo Pasolini, il libro di Lucia Visca accende i riflettori su ciò che accade nelle prime tre ore dopo il ritrovamento del corpo martoriato del poeta, nella convinzione che è proprio a quei momenti che occorre tornare per elaborare ipotesi realistiche sulle modalità dell’omicidio e sui suoi possibili moventi e mandanti di ciò che resta uno dei delitti più dolorosi mai sopportati dalla storia e dall’opinione pubblica italiana.

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RICORDANDO ALBERTO MORAVIA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/10/02/ricordando-alberto-moravia/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/10/02/ricordando-alberto-moravia/#comments Fri, 02 Oct 2015 15:15:33 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/11/25/ricordando-alberto-moravia/ Paolo Monti - Servizio fotografico - BEIC 6361580.jpg

25 ANNI DALLA MORTE DI ALBERTO MORAVIA

Nel novembre del 2007 pubblicai un post dedicato a Alberto Moravia in occasione del centenario della sua nascita (avvenuta a Roma, il 28 novembre 1907). Nei giorni scorsi è stata celebrata un’altra ricorrenza: il venticinquesimo anno dalla morte (avvenuta a Roma, il 26 settembre 1990). Per l’occasione vorrei riproporre quel vecchio post del 2007 (contenente anche un contributo di Massimo Onofri tratto dal volume “Tre scrittori borghesi. Soldati, Moravia, Piovene” – Gaffi, 2007).

Ne approfitto altresì per proporvi questo video che contiene:
- uno “scherzoso” scambio tra Indro Montanelli e Alberto Moravia (1959)
-un’intervista di Pasolini a Moravia sul tema dello “scandalo amoroso” (1965)
- una trasmissione dedicata a Moravia, condotta da Mirella Serri con il contributo critico di Antonio De Benedetti (incentrata sui “gusti letterari”)
- una trasmissione dedicata interamente al profilo dello scrittore (con una serie di interviste molto interessanti)

Dedico, dunque, questo “spazio” alla memoria di Alberto Moravia con l’intento di celebrarlo, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere questo nostro grande scrittore a chi non avesse ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.

Sono graditi (e ringrazio anticipatamente i partecipanti) interventi, contributi vari e la segnalazione di link attinenti ai contenuti di questo post.

Di seguito, il post pubblicato nel novembre del 2007.

Massimo Maugeri

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CENTO ANNI DALLA NASCITA DI ALBERTO MORAVIA
(post del 25 novembre 2007)

Alberto MoraviaCent’anni fa nasceva Alberto Pincherle, in arte Alberto Moravia. Per l’esattezza il 28 novembre 1907.

Mi piacerebbe che ne parlassimo qui a Letteratitudine, ricordando la sua figura di grande scrittore e i suoi libri.

Vi fornisco uno spunto avvalendomi di un testo di Massimo Onofri, estratto dall’ottimo saggio “Tre scrittori borghesi. Soldati, Moravia, Piovene” appena edito da Gaffi editore.

Si tratta della raccolta di alcuni scritti nati in circostanze differenti per “celebrare tre scrittori – tre uomini – sorprendentemente affini ed in concorrenza, nella diversa declinazione d’una borghesia che fu anche il loro modo di vivere ed interpretare una vicenda fin troppo italiana. Borghesia come condizione storica e proposta metafisica: a definire il rapporto che intrattennerò con se stessi e il mondo”.

Aspetto i vostri contributi.

Massimo Maugeri

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Un borghese contro se stesso: Moravia 1927-1951

di Massimo Onofri

Non mi fa fatica affermare che la pubblicazione dei Racconti (1927-1951), nel 1952, felicissima antologia d’autore, rappresenta un evento capitale, tanto nella già molto folta vicenda editoriale di Moravia, quanto nella storia della cultura letteraria italiana di quegli anni. Ma molto folta, vorrei aggiungere, è dire in fondo poco: se è vero che, come scrivono Simone Casini e Francesca Serra nell’Introduzione al notevole Racconti dispersi (1928-1951), stampato da Bompiani nel 2000, Moravia, a quell’altezza cronologica, ha già pubblicato otto romanzi, da Gli indifferenti (1929) al Conformista (1951), e scritto «ben duecentotrenta racconti più o meno lunghi». Lascio ancora, e volentieri, la parola ai due giovani filologi: «Certo, non tutti i racconti esclusi nel 1952 vanno considerati tra i dispersi, abbandonati cioè dallo scrittore dopo la loro prima comparsa su questo o quel periodico. Una cinquantina, per esempio, di carattere allegorico o fantastico, confluirà nei Racconti surrealisti e satirici del 1956; qualcun altro verrà recuperato in raccolte posteriori come L’automa; e ben trentaquattro, comparsi sul “Corriere della Sera” dall’inizio del 1949, inauguravano la lunghissima e fortunata serie dei Racconti romani (1954). Dopo aver fatto tutti i conti del caso e verificato di non incorrere in errori per via delle ingannevoli metamorfosi di titolo o di forma, rimane tuttavia un dato sorprendente di cui prendere atto: i racconti scritti da Moravia tra il 1927 e il 1951 che rimasero sepolti nelle pagine dei quotidiani o delle riviste sono più di cento».

Da queste non molte ma assai precise parole si possono ricavare almeno due notizie fondamentali. Che i due volumi antologici del 1952 hanno un valore davvero quintessenziale – ventiquattro antologizzati (alcuni molto lunghi) su duecentotrenta scritti – nella produzione moraviana. Che, nella loro quintessenzialità, essi vanno a toccare solo il versante borghese, certamente e di gran lunga il più importante, di un’opera sterminata:distinguendosi, appunto, non solo dai racconti di tematica popolare o romana (nati dentro la specialissima esperienza che lo scrittore fece del Neorealismo), ma anche da quelli di disposizione fantastica o allegorica. Ho detto borghese: che è un aggettivo, oggi, disusato, se non screditato, e carico di troppe implicazioni, ma che s’impiega qui in un’accezione storica e di minima sociologia: quando è vero che, di questi ventiquattro racconti, borghese è esattamente l’ambientazione delle vicende e l’anagrafe dei personaggi: d’una riconoscibilissima borghesia italiana, sostanzialmente, neghittosamente, impolitica, silenziosamente fascista prima, perbenista poi. Non è un mistero per nessuno: negli Indifferenti Moravia non usa mai la parola fascismo, ma noi non ci dimentichiamo nemmeno per un solo istante, durante la lettura, che gli anni sono quelli delle domenicali adunate in orbace, del fascio littorio e del fez. Ma, dire borghesi questi racconti, significa nominare anche la provenienza sociale di chi li ha scritti: e che, pur nella spietatezza d’una narrazione oggettiva, non riesce a non trasferire, sulla pagina, le componenti di un’inquieta, insoddisfatta, se non guasta autobiografia. Come avviene nel caso di uno dei più bei racconti del Novecento italiano: Inverno di malato. Ma andiamo con ordine.

Articolo, novella, racconto, saggio, racconto lungo, romanzo breve, romanzo, romanzo-saggio, teatro, in perenne osmosi l’uno con l’altro genere: non v’è pratica della scrittura che Moravia, nella sua lunga vita, non abbia frequentato. E che testimonia d’una necessità biologica e d’un impegno quotidianamente imprescindibile che hanno però dello straordinario: a testimonianza d’una fede, non dico d’una religione, che è stata l’unica, forse, a non abbandonarlo mai, ed esercitata con puntualità inesorabile nelle prime ore della mattina. Ogni giorno un segno inciso nel legno storto della propria umanità: perché, per Moravia, l’uomo è innanzi tutto – vichianamente, crocianamente – ciò che fa. Un’operosità straordinaria ed in polemica implicita, direi naturale, con ogni idea di vita eccezionale, eroica.Contro D’Annunzio, insomma, letterato e vate sempre sopra le righe: il quale ancora rappresentava molto, e non soltanto per la patria letteraria, in quegli anni Trenta e Quaranta, quando Moravia scriveva la più parte dei racconti inclusi nel 1952: spunti d’un dannunzianesimo d’interni e sentimenti non mancano, del resto, nelle pagine più antiche della raccolta, per esempio quelle di Cortigiana stanca (1927). Un’operosità straordinaria, ripeto: come virtù, appunto, eminentemente borghese, di quella borghesia, però, subito disprezzata e deprecata. In effetti, come il borghesissimo Croce, rimasto sepolto per molteore nel 1883, giovanissimo, sotto le macerie di Casamicciola, nell’isola d’Ischia, accanto ai propri famigliari morti, anche Moravia ebbe, negli anni decisivi dell’adolescenza, il suo privato terremoto, e nemmeno troppo simbolico. E come Croce ne ricavò, precocemente, imperativi inderogabili per la sua implacabile etica del lavoro.Ecco: il 1916 volge alla fine quando, a soli nove anni, mentre il padre lo accompagna a scuola, cade a terra per un fortissimo dolore alle gambe. La diagnosi è spietata: una tubercolosi ossea all’anca, la malattia che segnerà tutta la sua giovinezza sino ai diciott’anni. Cominciano così i lunghi periodi d’immobilità a letto, gli studi irregolari affidati perlopiù ad insegnanti privati, se non a governanti, le letture disordinate, ma matte e disperatissime (da Dante e Ariosto a Goldoni e Manzoni, da Shakespeare e Molière a Rimbaud e D’Annunzio, al fondamentale Dostoevskij): sino al ricovero nel sanatorio di Cortina d’Ampezzo, tra il marzo 1924 e il settembre 1925, ed alla convalescenza a Bressanone, in un Kurhaus, un albergo con assistenza medica. Moravia lo definirà più volte come il fatto più importante della sua vita: bisognerà prenderlo alla lettera. Non per niente, il già citato Inverno di malato, che trasporrà sulla pagina proprio questa esperienza in sanatorio, può essere letto come un racconto aurorale e fondativo, di larga parte della sua opera e di tutto un atteggiamento: quello conflittuale e risentito con la propria classe d’appartenenza, e magari letto anche col valore di un’autogiustificazione a posteriori, quanto alla luce feroce che illumina i personaggi e gli eventi che s’accampano negli Indifferenti, autogiustificazione che Edoardo Sanguineti, nel 1962, in chiave rigorosamente (e limitativamente) marxista, ha preferito tradurre coi termini di «coscienza» e «ideologia».

Scritto presumibilmente nell’estate del 1929 a Divonne-les-Bains, come confidò ad Alain Elkann nel 1990 (altrove, però, parlerà anche dell’autunno del 1925, collocandolo dunque a ridosso della stesura del romanzo d’esordio), Inverno di malato, terzo testo antologizzato nei Racconti, fu pubblicato da Pietro Pancrazi su «Pegaso» nel 1930, quindi incluso nella prima raccolta del 1935, La bella vita, poi ristampato nell’Amante infelice (1943). Ilperno attorno a cui ruota tutto il racconto è il rapporto tra il giovane protagonista (che ha più o meno l’età di Moravia quando entra in sanatorio), «di famiglia una volta ricca e ora impoverita», e il suo compagno di stanza, il Brambilla, «viaggiatore di commercio e figlio di un capomastro», personaggio che nasce dalla condensazione di due ospiti dell’Istituto Coldivilla di Cortina d’Ampezzo conosciuti da Moravia: il primo e momentaneo compagno di stanza, appunto un volgare rappresentante di commercio, e il più che ventenne e triestino Faloria, figlio d’un sarto, giovine leggero e non problematico, don Giovanni al naturale, per il quale lo scrittore in erba prova una vera e propria infatuazione.

C’è da domandarselo, inseguendo indebitamente la biografia fin dentro la letteratura, braccando quell’io che vive sotto le mentite spoglie dell’io che scrive: che cosa sarebbe stato il rapporto di Moravia con la sua classe se non fosse passato al vaglio feroce d’uno sguardo “altro”, non borghese, epperò classista e risentito, come quello che ci restituisce qui il Brambilla, il quale non avrebbe forse ragioni da accampare – e il giovanissimo Girolamo lo sa bene nei rari momenti di lucidità -, se non quelle dell’azione, meglio: dell’attivismo e del vitalismo, e d’una certa braveria, d’una facilità di vivere, che a Girolamo, dal fondo della malattia e della sua paralisi, delle sue velleità, possono parere addirittura le ragioni stesse della salute e della virtù. Lo veniamo a sapere sin dalle prime righe: il Brambilla «l’aveva a poco a poco convinto, in otto mesi di convivenza forzata, che un’origine borghese o, comunque, non popolare fosse poco meno che un disonore ». Sia detto per inciso: proprio il primevo e positivo sentimento del popolo può dirsi alla base, dunque antica e dissimulata, di quelle cautissime illusioni populiste che Moravia vivrà tra i Racconti romani e i Nuovi racconti romani (1959).

Intendiamoci: se abbiamo scavato nel racconto in direzione della vita, se abbiamo finto un’identità tra le verità del testo e quelle dell’autore, non è per il fatto che vogliamo sottovalutarne la letterarietà.Quella che già nel 1938, molto tempestivamente, e come a rimproverargliela, Eurialo De Michelis sottolineava vigorosamente: magari segnalando calchi di Dostoevskij e Manzoni.

Epperò il fatto d’una sintassi dello sguardo che trapassa dalla vita all’opera – se inteso, diciamo, in senso trascendentale, come a fornirci una delle condizioni di possibilità del mondo moraviano, una sua chiave d’accesso – ci pare sia da privilegiare: a motivare meglio anche la qualità eccezionale dei racconti più lontani: non solo di Inverno di malato, ma anche di Cortigiana stanca, Delitto al circolo di tennis (1927), Fine di una relazione (1933). Insomma: il giovanissimo Moravia presta molto di sé al Girolamo di Inverno di malato, che è poi, in versione adolescente (o poco più), il Michele degli Indifferenti, o, per pescare a caso anche in questi Racconti (1927-1951), il Gianmaria dell’Imbroglio (1937), il Giacomo di Luna di miele, sole di fiele (1951), inserito però a partire dalla ristampa del libro del 1953, col suo amore «fatto più della volontà di amare che di sentimento vero»: inetto, velleitario, dilemmatico e inadeguato alla vita. Il giovanissimo Moravia, ripeto, presta molto di sé a Girolamo: ma sospingendolo subito dentro una luce che è già, insieme, di pietà e di condanna. Ecco: ricerca morale della verità o pregiudizio immoralistico? Distacco moralistico dalla propria materia autobiografica e di classe o adesione senza riserve? Furono proprio queste le domande che impegnarono e divisero i primi recensori degli Indifferenti, che oggi ci appaiono, quasi tutti, con le armi spuntate di fronte a quell’aggressività implacata ma fredda di Moravia, a quel fuoco sempre bagnato, però, dalle ragioni d’una strana pietà.Pietà e rifiuto, insomma: laddove, in Inverno di malato, nel serrato confronto tra Girolamo e Brambilla, tra un borghese inconsapevole di sé (e delle sue radici di classe) e un giovane del popolo, finisce per esplicitarsi, e per chiarirsi a se stessa, quella dialettica che, invece, negli Indifferenti resta muta, nel cerchio conchiuso e strozzato d’un interno pariolino dove, come notava Pancrazi recensendo il romanzo, manca davvero l’aria, sicché verrebbe la voglia d’aprire subito una finestra o scambiare due parole con la serva di casa. In Inverno di malato Moravia si serve d’un Brambilla insolente, sadico e persecutorio, anche un po’ mascalzone – quel Brambilla che giganteggia dentro la coscienza larvale di Girolamo -, per fare subito i conti con la sua classe sociale d’origine. Ma, dentro quel conto, saranno proprio le ragioni della pietà a impedirgli di riconoscersi positivamente in Brambilla, nel suo vitalismo, insomma in tutte le mitologie piccolo-borghesi con cui la malata borghesia italiana s’illuse di rivitalizzare se stessa e che culminarono nella barbarie del fascismo.

Ho parlato dello sguardo, della sua peculiare disposizione, che, da questo racconto aurorale, trasmigra, fondandola, dentro larga parte dell’opera moraviana, fino al suo punto terminale, passando, ovviamente, per tutte le metamorfosi che la borghesia italiana, con la sua realtà di riferimento e d’espressione, conoscerà nei decenni del secolo scorso, arrestandosi al principio degli anni Novanta, con la morte dello scrittore. Dovrei parlare ora – e sempre in termini trascendentali – del sesso e delle donne.

Perché, affrontare la questione del sesso in Moravia, significa, inevitabilmente, entrare nel merito di quell’aggressione in cui consiste il movimento del personaggio uomo, quando si rapporta, eroticamente, al personaggio donna. Un’aggressione che sta sempre nella lente ferocemente millimetrica d’un uomo che guarda: e che, non di rado, si traduce anche in violenza reale ed omicidio, come accade in Delitto al circolo di tennis. Partiamo, ancora una volta, da Inverno di malato: Girolamo, per ottenere da Brambilla una patente di virilità, studia di sedurre Polly, la paziente inglese quattordicenne con cui, per volontà dei genitori di lei, è solito conversare. Quella di Polly è, sin da subito un’«intorpidita» e «ritardata infantilità», che la fa terrorizzata e atona alle goffe avances del ragazzo, il quale, in quei rapporti voluti con tutto se stesso, e contro la sua stessa inadeguatezza, non s’impedisce di avvertire subito un che di «illecito, triste, torbido», fino alla convinzione «di essere guasto, senza rimedio».Ecco: il sesso è in Moravia, e sin da subito, qualcosa di agognato e ineludibile, ma anche di irreparabile, e che ha a che fare con la mortificazione e la perdita di sé.Il personaggio di Polly, poco più che una bambina, induce meno lo scrittore a quel moto aggressivo di cui s’è detto, rivolto più a se stesso, in questo caso, al suo io vicario. Tutto risulta più chiaro quando, sulla scena, campeggiano donne mature.Prendete Cortigiana stanca: «Per strada, la sua fantasia si era accanita con una specie di rabbiosa volontà a immaginare una Maria Teresa carica di autunni, dai seni pesanti, dal ventre grasso tremolante sulle giunture allentate dell’inguine, dai fianchi impastati e disfatti». Laddove, però, la logica stessa del desiderio nei suoi momenti più accesi, se non addirittura quella stessa dell’amore, si alimenta proprio di quanto c’è di più penoso nel commercio della carne: «Non se lo confessava, ma l’avrebbe amata di più, mille volte di più, […] se avesse sentito sotto le sue mani irrequiete una carne ancora più stanca di quella, una pelle ancora più vizza e sfiorita. Tutto il suo amore avrebbe dato ad una povera donna matura che non senza disgusto avrebbe tenuto sopra le sue ginocchia e stretta contro il proprio petto». Anche alla donna di Fine di una relazione – che non si trova nell’incipiente autunno della vita come Maria Teresa, ma nella pienezza della sua fresca maturità – il suo infastidito amante non riserva premure migliori. E nello sguardo feroce e disturbato di lui, i suoi sono «occhi neri e inespressivi», per «una serenità indolente e un po’ bovina», di «animale inabile».

Il culmine di questa aggressività maschile, però, s’era già toccato dall’inizio, in Delitto al circolo di tennis, dove la «principessa», una donna invecchiata male, ma di ancor vive ambizioni, viene invitata al ballo di gala al Circolo, corteggiata e illusa, sbeffeggiata e umiliata, denudata e stuprata collettivamente, sino all’omicidio. Ecco: «lo scolorimento della carne ingiallita e grinzosa rivelava il disfacimento dell’età». E ancora, nei modi d’un dileggio che arriva al linciaggio: «La trascinarono daccapo alla tavola, quella resistenza li aveva imbestialiti, provavano un desiderio crudele di batterla, di punzecchiarla, di tormentarla». Si tratta di una modalità di rappresentazione che resisterà negli anni: ed I racconti ne danno continua e prolungata testimonianza.

Prendete L’imbroglio (1937), là dove compare in scena Santina, la fanciulla tutt’altro che sprovveduta da cui il protagonista maschile sarà prima irretito e poi ingannato: «Attonito e tuttavia incuriosito, Gianmaria notò soprattutto il singolare contrasto tra la gracilità infantile di questo corpo e le due macchie rotonde dei capezzoli che trasparivano sotto il velo verdognolo della sottoveste, anormalmente larghe, quasi mostruose, grandi e scure come due soldoni; e i peli lunghi, folti e molli che nereggiavano sotto le ascelle di quelle magre braccia alzate».

All’avvenente Gemma della Provinciale (1937) non tocca migliore destino: «Aveva il naso aquilino, la bocca grande e sdegnosa e, sotto capelli crespi, la carnagione delicata e malsana, ora diafana ora chiazzata di macchie di rossore. Certa peluria, che le adombravale braccia e la nuca, faceva pensare ad un corpo villoso ed infuocato pur nella sua sgraziata magrezza». Ma anche in Luna di miele, sole di fiele (che chiude la raccolta del 1952), il protagonista in questi termini s’esprime sulla moglie, all’indomani delle nozze: «Ella non era alta, ma aveva le gambe lunghe, di fanciulla, e magre, soprattutto nelle cosce che, nei calzoncini corti, mostravano sotto l’inguine quasi una fessura. Erano bianche, queste gambe, di una bianchezza fredda, casta, lucida. Ella aveva i fianchi stretti, la vita snella e poi, solo tratto muliebre, se si girava a parlargli, si profilava sotto la maglia il petto gonfio e basso, simile, sul busto esile, ad un peso aggiunto ed estraneo, penoso a portarsi».

Penoso a portarsi quel seno gonfio e basso: come sempre, in questi racconti, penoso è fare all’amore. Già, fare all’amore: tutto ciò che abbiamo per incontrarci e conoscerci in quanto essere umani, ma anche tutto quello che dobbiamo sopportare e soffrire.Aveva ragione Enzo Siciliano nel 1998: «In Moravia la sessualità diventa il segno tangibile della crisi del personaggio uomo – e lo stile, il lessico lo documentano». E ancora: «C’è in Moravia il torbido languore che segue al coito, una felicità offuscata da un rimorso senza nome, o la consapevolezza che si è vittime di noi stessi – la nostra persona è soltanto il risultato di un conflitto mal domato». Parlando di Agostino (1944), Umberto Saba disse che Moravia «sporcava l’amore». E Siciliano, molto giustamente commentò: «Voleva dire che Moravia piegava il sesso sul versante della tenebra piuttosto che su quello della luce». Il sesso e la sua natura di tenebra: parrebbe, il fare all’amore, l’unica declinazione dell’esistenza che abbia a che fare con una qualche idea di felicità, mentre invece si nutre, «oltre che di torbidi desideri, di sentimenti così poco amorosi come il disgusto, la crudeltà e il disprezzo», per usare le parole con cui Paolo, nella Provinciale, giustifica la sua «passione grossa e furtiva» per Gemma. Il giovane Moravia ha già capito tutto quello che c’era da capire, e continuerà a ribadirlo per tutta la sua vita di scrittore: la natura dell’uomoè ignota a se stessa, nonostante tutta la scienza che su tale natura è stata costruita, psicanalisi compresa. Il sesso è esattamente la dimensione in cui l’inconoscibilità della nostra natura arriva a palesarsi fulmineamente in quanto tale: disperatamente inattingibile.

Quale atto sostanzialmente aggressivo, il sesso è, così, anche un’aggressione alla stessa verità: per come ci appare, identica a se stessa, integra eppure incomprensibile. Fateci caso: che cosa rimane, a tutti i personaggi maschili, al termine dell’inappagata espugnazione che finisce per essere, ogni volta, il rapporto sessuale con una donna? Nient’altro che la proclamazione spazientita e insoddisfatta d’un mistero. Prendete Cortigiana stanca. Dopo l’amore, appena il suo amante s’è liberato dal viluppo delle coperte per andarsene via, Maria Teresa comincia a piangere «senza rumore, senza scosse, silenziosamente, come scorre il sangue da un corpo ferito a morte». L’amante ne ascolta le disperate parole – «è duro essere costretti per la prima volta a mendicare la vita» – quindi assiste a quella sorta di riflusso per cui Maria Teresa si richiude nell’impenetrabilità del sonno: «Gli pareva, di fronte a questa immobilità, che ella non avesse mai parlato; dubitava dei suoi occhi e delle sue orecchie; avrebbe voluto rivedere la smorfia lacrimosa, riudire la voce piangevole. La guardava e gli pareva di vedere la faccia stessa dell’esistenza, un momento rivelata e parlante, ora di nuovo muta e immobile». Già, la faccia stessa dell’esistenza che si rivela alla luce, per ritornare nella tenebra muta della sua immobilità. Siamo agli esordi: ma questa epifania del mistero della vita attraverso la donna è già un patrimonio morale ed esistenziale conquistato dal giovane scrittore. Inesorabile il suo giuoco di diastole e sistole, nella sua intera opera, attraverso personaggi femminili sempre più enigmatici: da Cortigiana stanca, appunto, a L’amore coniugale (1949), al postumo La donna leopardo (1991), per attenerci a tre diverse altezze cronologiche, per sottolinearne la prodigiosa continuità, anche di tenuta letteraria. Epifania del mistero della vita attraverso la donna che, guarda il caso, si realizzaanche nelle ultime righe dell’ultimo racconto della raccolta, così come Moravia ha perentoriamente voluto a partire dall’edizione del 1953, Luna di miele, sole di fiele: «Giacomo la strinse a sé e quasi subito, mentre lei cercava, sempre piangendo, il suo abbraccio, penetrò dentro di lei, facilmente e agevolmente. Ebbe la sensazione come di un fiore segreto, formato di due soli petali, che si schiudesse, pur rimanendo sepolto e invisibile, a qualche cosa che era il sole per la buia notte carnale. Nulla era risolto, pensò più tardi, ma per ora, gli bastava sapere che ella si sarebbe uccisa per lui».

Massimo Onofri

(Copyright Alberto Gaffi Editore)

TRE SCRITTORI BORGHESI di Massimo Onofri

Alberto Gaffi Editore in Roma, 2007

pagg. 112, euro 10

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OMAGGIO A ITALO CALVINO (a trent’anni dalla sua morte) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/09/18/omaggio-a-italo-calvino/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/09/18/omaggio-a-italo-calvino/#comments Fri, 18 Sep 2015 15:20:41 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=2441 Italo CalvinoCinque anni fa, nel settembre 2010, proposi un post in occasione del venticinquesimo anniversario della morte di Italo Calvino.

A distanza di cinque anni, in occasione del trentesimo (che ricorrerà domani 19 settembre 2015), vorrei riproporvi lo stesso post di allora, con le stesse domande, gli stessi spunti, gli stessi contributi, chiedendovi di contribuire a (r)innovarlo e a integrarlo, in omaggio a questo grandissimo scrittore del Novecento letterario (non solo italiano) che è stato Calvino.

Dedico, dunque, questo “spazio” alla memoria di Italo Calvino con l’intento di celebrarlo, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere questo nostro grande  scrittore a chi non ha ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.

Di seguito, il post pubblicato nel settembre del 2010.

Massimo Maugeri

* * *

VENTICINQUE ANNI DALLA MORTE DI CALVINO
(settembre 2010)

Il 19 settembre 1985 Italo Calvino moriva all’ospedale di Siena, a causa di un ictus che lo aveva colpito qualche giorno prima nella sua villa di Roccamare.

Non sembra passato molto tempo, ma sono già trascorsi venticinque anni. Un quarto di secolo ad alta velocità, però; a cavallo tra due millenni. Un quarto di secolo che, forse, in termini di intensità e di velocità di cambiamento, non ha eguali rispetto al passato.

Su La Stampa del 12 settembre Marco Belpoliti scrive che “all’inizio degli anni Ottanta Calvino era un intellettuale-scrittore in panne, il cui motore, perfetto e oliato, girava a vuoto. Era sospeso nel vuoto della fine del XX secolo. (…) La solitudine è l’esperienza fondamentale della contemporaneità su cui s’innestano, pur nella loro diversità, sia il fascismo novecentesco sia il Grande Fratello. Calvino sta al di qua di questa soglia, indica il problema, ma non fornisce soluzioni. Un grande scrittore, senza dubbio, un grande moralista, e insieme un agilissimo saggista. Ma per andare avanti non basta più, bisogna cercare altrove. Dopo Calvino”.
Sempre sulle pagine de La Stampa, nell’inserto Tuttolibri di sabato 18 settembre, Ernesto Ferrero scrive: “L’enfasi celebrativa con cui di solito ci occupiamo di ricorrenze e anniversari sta a significare il suo contrario: celebriamo rumorosamente i grandi scomparsi per meglio auto-esentarci dal dovere di rileggerli. Con Italo Calvino questi rischi non si corrono. I venticinque anni che sono passati dalla sua prematura scomparsa (aveva da poco passato i sessanta) servono a capire ancor meglio quanto ci sia (sempre più) necessario, addirittura indispensabile. (…) Perfettamente consapevole dell’inevitabile scacco finale, ha continuato a disegnare mappe sempre più esatte del labirinto che ci tiene prigionieri. Per questo continueremo ad avere bisogno di lui. Per questo continuano a leggerlo in tutto il mondo”.

Vi propongo di ricordare Italo Calvino partendo dalle sue opere. Credo che (come abbiamo fatto in altre circostanze) sia un buon modo per “tributare” un grande autore scomparso. Seguono alcune domande volte a favorire la discussione.

1. Che rapporti avete con le opere di Calvino?

2. Qual è quella che avete amato di più?

3. E l’opera di Calvino che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Tra le varie “citazione” di Calvino di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

5. A venticinque anni dalla morte, qual è l’eredità che Calvino ha lasciato nella letteratura italiana?

Di seguito, l’intero articolo di Ernesto Ferrero citato prima.

Massimo Maugeri

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da LA STAMPATuttolibri del 18.9.2010

Nel labirinto ci serve ancora la sua bussola

di Ernesto Ferrero

L’enfasi celebrativa con cui di solito ci occupiamo di ricorrenze e anniversari sta a significare il suo contrario: celebriamo rumorosamente i grandi scomparsi per meglio auto-esentarci dal dovere di rileggerli. Con Italo Calvino questi rischi non si corrono. I venticinque anni che sono passati dalla sua prematura scomparsa (aveva da poco passato i sessanta) servono a capire ancor meglio quanto ci sia (sempre più) necessario, addirittura indispensabile.
E cade opportuna la dedica di «Portici di Carta» anche perché il sardo-ligure Calvino qui aveva trovato il suo habitat naturale. Di Torino, scrisse, gli piaceva «l’assenza di schiume romantiche, il far affidamento soprattutto sul proprio lavoro, una schiva diffidenza nativa, e in più il senso sicuro di partecipare al vasto mondo che si muove e non alla chiusa provincia, il piacere di vivere temperato di ironia, l’intelligenza chiarificatrice e razionale». Lo aveva attratto «un’immagine sociale e civile» più che «letteraria».
Qui ha messo a punto la sua strategia cognitiva. Figlio di scienziati, e scienziato per abito mentale egli stesso, Calvino elabora nientemeno che un nuovo modo di vedere il mondo al di là delle vecchie convenzioni neo-impressioniste o neoespressioniste.
Gli interessa definire le complicate reti di relazioni che si danno tra le persone, le cose, gli eventi: simile in questo a Gadda, ma con tutt’altri registri di scrittura. È un cartografo, un costruttore di sestanti e astrolabi, un maestro del calcolo combinatorio, un architetto-urbanista di palazzi e città letterarie, un inventore di apparecchi radiografici e tomografie assiali computerizzate.
Nulla lo appassiona quanto fare continuamente il punto, fissare la posizione propria e degli altri, cercare nessi, indagare il rovescio, la trama segreta di quell’arazzo di inganni e di apparenze che è la vita.
Tutto questo, si badi, partendo più o meno dall’Ariosto, cioè da un’apparenza di leggerezza fantastica, quasi d’evasione fiabesca. Che invece è un modo di giocare di sponda, di sottrarsi alle servitù della cronaca e del realismo, ai gonfiori e alle complicazioni dell’Io e dello psicologismo, alle pretese dello storicismo, ai lenocini dell’intrattenimento.
Scegliendo la posizione defilata e lievemente rialzata del “Barone Rampante”, Calvino è quello che ha visto meglio di tutti. Ci voleva una grande intelligenza e un grande coraggio per esordire raccontando la guerra partigiana nei modi del “Sentiero dei nidi di ragno” e proseguire in piena età
dell’impegno con la trilogia degli antenati (ma già i raccontini giovanili hanno un’impronta di apologo filosofico incredibile per quei tempi). E poi andare avanti a sperimentare, senza mai ripetersi, senza mai campare di rendita, fino alla fine, sempre contando su una qualità di scrittura che rende ogni pagina, anche la più estemporanea, semplicemente perfetta.
Per via della stessa lucidità del suo talento d’indagatore, Calvino ha conosciuto il disincanto sin dalla metà degli Anni 50, ma non si è lasciato travolgere dallo sgomento e dall’angoscia, non ha alterato la sua fisionomia illuministica con sogghigni nichilisti alla Cioran o voluttà apocalittiche.
Fedele al diritto-dovere della laconicità, ha tenuto la postazione senza arretrare, ha continuato a esercitare il pragmatismo stoico definito in una celebre pagina delle “Città invisibili”: l’inferno esiste, è il qui e ora che abbiamo costruito insieme, ma se non vogliamo lasciarcene inghiottire o diventare parte integrante di esso, dobbiamo «cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».
In questi anni di basso impero è un invito che costituisce una bussola sicura. Leggendo alla radio il poema ariostesco, Calvino aveva osservato a proposito del destino già scritto a cui Ruggiero è condannato: «Tra il punto in cui egli si trova ora e l’adempiersi del destino possono succedere tante mai vicende, tanti ostacoli frapporsi, tante volontà entrare in campo a contrastare il volere degli astri: la strada che il predestinato deve percorrere può essere non una linea retta ma un interminabile labirinto. Sappiamo bene che tutti gli ostacoli saranno vani, che tutte le volontà estranee saranno sconfitte, ma ci resta il dubbio se ciò che veramente conta sia il lontano punto d’arrivo, il traguardo finale fissato dalle stelle, oppure siano il labirinto interminabile, gli ostacoli, gli errori, le peripezie che dànno forma all’esistenza».
Antieroe della «perplessità sistematica», anti-presenzialista che cercava di far perdere le proprie tracce tra le moltitudini delle metropoli, Calvino non si è mai sottratto alla sfida, fino a schiattare letteralmente di fatica, come un contadino dei poderi paterni, durante la stesura delle “Lezioni americane”, un libro che da solo può dare la misura di una civiltà letteraria. Perfettamente consapevole dell’inevitabile scacco finale, ha continuato a disegnare mappe sempre più esatte del labirinto che ci tiene prigionieri.
Per questo continueremo ad avere bisogno di lui. Per questo continuano a leggerlo in tutto il mondo.

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AGGIORNAMENTO DEL 22 settembre 2010

L’uomo grasso che è in me
(Intervista a Italo Calvino – del 1985 – di Sandra Petrignani uscita sul Messaggero, poi in volume)

Italo Calvino ricorda un verso bellissimo del Purgatorio: «Poi piovve dentro a l’alta fantasia… » La fantasia, dunque, è un posto in cui piove dentro, piovono immagini dal cielo. Per Dante l’ispirazione artistica viene da Dio come nella concezione classica veniva dalle Muse.
«Le Muse come custodi della memoria, figlie della Memoria, la memoria collettiva» dice Calvino. «Le Muse rappresentano il deposito di tutto il raccontabile, di tutto il dicibile. Saper attingere a questo repertorio potenziale è la dote del poeta».
« E nella sua fantasia come piove, quanto, cosa?»
«Piovono immagini e parole insieme. Mi baso su un processo misto. Spesso è un’immagine visiva prima che verbale a venirmi in mente. Però il momento decisivo è quello in cui mi metto a scrivere. Allora l’intenzione originale cambia, può anche trasformarsi del tutto, venire completamente dimenticata. Altre volte resiste. Per esempio: l’immagine iniziale era un uomo tagliato in due? Era un ragazzo che si arrampica su un albero e non scende più? Era un’armatura vuota capace di muoversi per la forza di volontà, sorretta da nessun corpo? Su queste immagini figurali lavoro. Faccio tutti i casi possibili, mi chiedo cosa succederà…»
Ora l’uomo tagliato in due, il ragazzo scontroso che va a vivere sugli alberi, l’armatura senza corpo se ne stanno guardinghi sul divano. Parlare con Calvino è sempre un avvenimento, è stato detto. Infatti lo è, non tanto per le snervanti resistenze dello scrittore a farsi intervistare, quanto per la sua prerogativa, davvero unica, di circondarsi di un’invisibile eppure tangibile barriera. Come intorno a un’inespugnabile fortezza, corre intorno a Calvino un minaccioso fossato. Forse dentro ci sono coccodrilli, o forse soltanto pesci rossi, chissà. Intimiditi, si resta dall’altra parte a guardare. Calvino si offre di profilo. Fissa un punto indefinito di fronte a sé; le dita sono intrecciate sul petto, le gambe tese in avanti e incrociate. Di tanto in tanto si volta fugacemente, lancia uno sguardo marrone e curioso. Qualche volta, in mezzo a un’immensa serietà, ride. Brevemente, ma ride.
«In un’intervista di qualche anno fa ha dichiarato: “Credo all’esistenza del mondo”. Dunque lei non mette in dubbio ciò che si definisce “realtà”. La fantasia fa parte della realtà o vi si contrappone?»
«Non ricordo mai quello che ho detto in precedenti interviste e di solito sono tentato di affermare il contrario; se una cosa era vera nel momento in cui l’ho detta, probabilmente non è più vera in un altro momento. Penso però che quella dichiarazione fosse in polemica con chi sostiene che esiste solo il linguaggio o, comunque, che soltanto il linguaggio possiamo conoscere. Mentre io credo che esista anche il non linguistico, il non dicibile, il non scrivibile e che lo scrivere sia appunto un rincorrere sempre questo mondo non scritto e forse non scrivibile. In tal senso il mondo è fatto anche di immagini, di pensieri: è il mondo moltiplicato le proprie immagini, le proprie trasfigurazioni. Quindi sul mondo aleggia sempre una specie di nuvola, una fantasfera, che è un’atmosfera creata dalle nostre immagini del mondo. Di queste immagini abbiamo bisogno per agire, per crescere, per operare, per giudicare. Ecco, in questo senso credo alla realtà e alla fantasia insieme, se la fantasia è l’insieme delle immagini».
«La saggezza cos’è?»
«Non vale. Lei prima mi dice che mi vuole intervistare sulla fantasia e poi mi chiede della saggezza… Mi prende in contropiede… Vediamo,.. La saggezza è una capacità di decidere, di giudicare nelle cose della vita sulla base di ciò che si è acquisito nell’esperienza. È la capacità di applicare in casi singoli quello che si è imparato in altri casi singoli completamente diversi. È qualcosa di quasi impossibile o richiede una particolare dote di astrazione e di adesione al particolare contemporaneamente ».
«La fantasia non ha niente a che vedere con la saggezza?»
«Sì, è vero, la fantasia c’entra qualcosa. Perché la fantasia è velocità nell’immaginare il possibile o l’impossibile. E’ avere in testa una specie di macchina elettronica che fa tutte le combinazioni possibili e sceglie quelle che rispondono a un fine o che, semplicemente, sono le più interessanti, piacevoli, divertenti. È dunque anch’essa basata su astrazione e adesione ai particolari allo stesso tempo».
«Fra fantasia e ragione vede contrapposizione?»
«No. La fantasia salta dei passaggi. La ragione senza fantasia comporta una grande perdita di tempo. Perché bisogna percorrere tutti i passaggi e anche tutti i casi che poi vanno scartati».
«Quando ha scritto la prima fiaba?»
«Da bambino leggevo molto il “Corriere dei Piccoli” e prima ancora di leggere lo sfogliavo e attraverso le figure mi raccontavo da me stesso delle storie. Facevo variazioni di storie possibili. Credo che quella sia stata una scuola di immaginazione e di logica delle immagini. Perché pur sempre di logica si tratta, soprattutto nella fiaba, che è un tipo di narrazione molto semplice e in cui tutto ha una funzione».
«Com’era il bambino Italo?»
«Non troppo sveglio, non molto precoce, non molto dotato, non molto agile».
«La fantasia la portava all’isolamento o alla comunicazione?»
«Ah, all’isolamento totale, sì. Sì. Un isolamento che è durato fino a questo momento. Tanto è vero che è forse la prima volta che ne parlo a qualcuno».
«Allora una spiccata fantasia rende più soli i bambini? »
«Naturalmente i bambini non vogliono essere diversi dagli altri. Se ero diverso, rifiutavo di ammetterlo e in fondo tutti i bambini sono fantasiosi e quindi una maggior fantasia avrebbe dovuto accomunarmi agli altri… Ma è difficile parlare della propria infanzia da adulti, soprattutto passati i sessant’anni. Penso che non si possano che raccontare fantasie sulla propria infanzia. No, credo che la mia memoria non sia affidabile…»
«Sua madre com’era?»
«Era una donna molto severa. Era anche dolce. Ma era una donna molto severa… Cosa c’entra?»
E’ qui che Calvino lancia una delle sue rare occhiate frontali. Un’altra arriva quando chiedo quale dei tre tavoli disposti in fondo alla sala sia il suo.
«Tutti e tre. Lavoro un po’ qua, un po’ là».
Il colore prevalente della casa, arredata in stile moderno, è il bianco. Vi spiccano piante verdi. Siccome il salotto, oltre che studio, è anche ingresso, la moglie dello scrittore e la figlia, una ragazza sui vent’anni, vanno avanti e indietro, rispondono al telefono, aprono la porta. Ma lui non fa caso a loro, loro non fanno caso a lui. Intorno alla fortezza il borgo è agitato e vivace, rumoroso e vitale.
«Crede in fate, streghe, elfi, gnomi?»
«Oh, che bella domanda! Fate, elfi, gnomi sono quelli che nella fisica rinascimentale si chiamavano “spiriti elementali”, proprio così, con la elle. Credo in una società di tutti gli esseri viventi, e delle piante, e degli oggetti, e delle pietre. Penso che se ho un’anima io, ce l’hanno anche i cosiddetti oggetti inanimati ».
«Lei ama giocare?»
«No, non gioco a niente».
«Vuol farlo adesso?»
«Giocare adesso? A cosa?»
«Le suggerisco delle immagini che, a giudicare dai suoi scritti, dovrebbero esserle care. Lei mi dice che fantasie le fanno venire in mente. Cominciamo con lo scheletro ».
«Lo scheletro mi pare assolutamente essenziale. È qualcosa che portiamo in noi ed è un simbolo universale. Soprattutto è dotato di una sua allegria. E di una sua funzionalità e pulizia. È un’immagine allegra. Ha uno stile, ha sempre un grande stile».
«Preferisce i magri ai grassi?»
«Ah! Alle volte penso che io interiormente sono un uomo grasso. I grassi non esistono quasi più, nel senso che non si vedono quasi più. Ma certamente ci sono ancora. Ci sono dei grassi nascosti nei magri. Amo molto la snellezza come agilità. Io sono magro, ma non sono agile. Quindi tanto varrebbe che fossi grasso».
«Torniamo al nostro gioco. Ora tocca al labirinto ».
«È un altro simbolo universale. In qualsiasi spazio possiamo trovare un labirinto. Non dimentichiamo che il labirinto è una macchina per uscire, diciamo che è una porta un po’ più complicata, è qualcosa che bisogna attraversare».
«Ma è una porta verso cosa?»
«Una porta è sempre verso il dentro e verso il fuori. I veri labirinti ci mettono nella condizione di scegliere che cosa è il dentro e che cosa è il fuori. Ogni fuori può essere trasformato in un dentro, così come possiamo considerare fuori ogni dentro e decidere che la nostra cella è l’unica libertà possibile».
«Adesso c’è l’uovo».
«Uovo. È una grande riuscita di design, è il container universale, è qualcosa che dovrebbe essere librata nello spazio, perché non può stare in piedi. Ed è, a differenza del labirinto e della porta, qualcosa per cui il dentro e il fuori sono decisamente opposti e non può esserci alcuno scambio possibile. Quello che è dentro è dentro e quello che è fuori è fuori. Quindi si pone sempre il problema del fuori. Se l’Universo è un uovo, è circondato da un non-universo. E si pone il problema di quale sia l’alto e quale il basso. A meno che non ci sia un portauovo o portauniverso ».
«E la gallina non ha alcun merito?»
«Ecco, ho detto design e lei ha subito pensato a un architetto milanese. Invece io pensavo anche alla gallina e a tutte le specie ovipare, ivi compresa la coppia uomo-donna. Perché anche l’uomo nel far diventare l’uovo un uovo ha una sua parte».
«Se una zingara le indovina passato e futuro resta incredulo o si affida alla profezia?»
«No, non rimango incredulo. Penso sia un caso di velocità mentale: il potersi rappresentare nello stesso tempo tutto il possibile ed escludere via via tutto l’improbabile. Però è solo in questa velocità che simili fatti possono avere a che fare con la fantasia. In genere gli esempi del cosiddetto paranormale appartengono a un repertorio molto noto e prevedibile e che non trovo più stimolante di tanti aspetti dell’infinità del possibile che ci si presentano anche nelle esperienze cosiddette normali».
«Pensa che l’esperienza dello scrittore sia in qualche modo medianica?»
«No, non credo, non so. Sì, è un’esperienza che ha pur sempre a che fare con la molteplicità. Cercare l’espressione adatta ogni volta è cimentarsi con un vocabolario immenso, con un repertorio di usi. Ma come sempre si tratta di circoscrivere le proprie scelte. In questo senso io non sono molto medianico, perché scrivo molto lentamente. Un tipo di ultrasensibilità dovrebbe portare a scrivere con il minor sforzo possibile. Io no, fatico come una bestia. È il caso di dire che mi guadagno il pane con il sudore della fronte».
«Si sente nei suoi romanzi e nei suoi scritti teorici una costante posizione di bilico fra fantasia e ragione, come se il tentativo di dare confini, di costringere nel cerchio della scrittura l’esistente fosse costantemente minacciato dallo sconfinamento fantastico. E così? »
«Sì, mi pare una bellissima metafora del lavoro dello scrittore. Mi ci riconosco anch’io. Lo stimolo a immaginare viene dalle restrizioni che ci si pone. Si stabiliscono le regole del gioco e in quelle si attua una quantità enorme di combinazioni, si realizza la propria libertà e si può a un certo punto anche rompere le regole. Ma se regola non c’è, non è possibile infrangerla. Le norme in letteratura sono sempre state un grande stimolo per l’immaginazione. La metrica in poesia è stimolo a costruire un verso. Nessuno può sostenere che la poesia sia diventata più immaginativa da quando è invalso l’uso del verso libero. E del resto anche il verso libero ha una metrica implicita, sottintesa».
«C’è una parte della vita che ha un legame privilegiato con la fantasia: l’amore… »
«In amore ha una parte enorme quello che gli psicoanalisti chiamano il fantasma: fra gli amanti si frappone sempre un’immagine o più immagini incorporee. Mi pare sia stato Freud a dire che ogni incontro amoroso è l’incontro fra almeno quattro persone: i due partner e i loro fantasmi. Questi fantasmi possono essere poco o tanto simili al vero; se sono totalmente separati dalla realtà non credo sia una buona cosa. Diciamo che l’incontro amoroso avviene nella realtà, accompagnato da centomila variazioni possibili nella fantasia».
«Ma gli amori sono sempre “difficili” come dice un suo titolo?»
«Bah! Tutto è difficile e molto è possibile. Ma guardi un po’ che razza di frase mi fa dire… »
Ora Calvino guarda l’orologio. È passata più di un’ora dall’inizio della conversazione.
«Avevamo detto un’ora al massimo» commenta. E la sua voce è diventata improvvisamente fredda e burocratica. Impenetrabile.

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AGGIORNAMENTO DEL 29 settembre 2010
Nella puntata di “Letteratitudine in Fm” del 24 settembre (trasmissione di radiofonica libri e letteratura che curo e conduco su Radio Hinterland) ho avuto come ospite “virtuale” Italo Calvino nell’ambito di una sorta di intervista radiofonica “impossibile”. L’intento è stato quello di omaggiare il grande scrittore facendo sentire la sua voce in radio in occasione del 25° anniversario dalla sua morte.
Potete ascoltare la registrazione di quella porzione di puntata cliccando qui

Dura poco più di dieci minuti.
Vi invito (se potete e se vi va) ad ascoltarla e a commentarla.

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© Letteratitudine

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MARCO BALZANO vincitore del PREMIO CAMPIELLO 2015 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/09/14/marco-balzano-vincitore-del-premio-campiello-2015/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/09/14/marco-balzano-vincitore-del-premio-campiello-2015/#comments Mon, 14 Sep 2015 15:00:03 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6889

È stato MARCO BALZANO, con il romanzo “L’ultimo arrivato” (Sellerio), a vincere la 53^ edizione del Premio Campiello, ottenendo le maggiori preferenze dalla Giuria dei Trecento Lettori anonimi e superando gli altri quattro concorrenti: Paolo Colagrande con “Senti le rane” (Nottetempo), Vittorio Giacopini con “La Mappa” (Il Saggiatore), Carmen Pellegrino con “Cade la terra” (Giunti) e Antonio Scurati con “Il tempo migliore della nostra vita” (Bompiani).
Di seguito proponiamo:
- un video tratto dalla serata della premiazione, svoltasi il 12 settembre 2015 al Teatro “La Fenice” di Venezia e condotta da Geppi Cucciari e Neri Marcorè
- il contributo che Marco Balzano ha scritto appositamente per Letteratitudine, dove “racconta” il suo romanzo (vincitore, appunto, del Premio Campiello 2015).

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MARCO BALZANO racconta il suo romanzo L’ULTIMO ARRIVATO (Sellerio) – vincitore del PREMIO CAMPIELLO 2015. Le prime pagine del libro sono disponibili qui

La storia di un bambino e di un viaggio, le avventure e le disavventure di un piccolo emigrante con la testa piena di parole. «Balzano mostra come la letteratura sappia, e possa, parlare del mondo che ci circonda» (Marco Belpoliti, l’Espresso).

di Marco Balzano

C’è un paese che confina con quello dove abito io e questo paese si chiama Baranzate. È una piccola città alle porte di Milano. Una volta, dopo i tagli della riforma Gelmini, ci sono pure finito a fare qualche giorno di supplenza. In classe c’erano due italiani e una ventina di stranieri. Un odore denso aleggiava tra i banchi, come se fossimo a un mercato indiano. Non che io sia stato mai da quelle parti, ma il mio olfatto lo immagina così, con l’aroma troppo umano di quella prima media di Baranzate. E poi ci sono passato per nove mesi, per i controlli di routine che Anna doveva fare in gravidanza. Nei reparti dell’ospedale Sacco i cartelli hanno sempre la scritta in arabo, cinese e spagnolo. Altro che l’internazionalità dell’inglese. Poi, poco più avanti, c’è il campo nomadi, da cui venivano tre o quattro dei ragazzetti che avevo in classe.
Da alcuni studi risulta che Baranzate sia il terzo comune d’Europa per immigrazione. Un’immigrazione che, per altro, si addensa in una sola parte della città, e principalmente nella famosa via Gorizia. In quella via ci ha vissuto anche mia madre, emigrata a 14 anni con zio Nicola, suo fratello maggiore. Due terroni, che in quella via avranno ritrovato compaesani o almeno corregionali. Gente che si piazzava lì, giusto il tempo di avviarsi una vita dall’altra parte dello stivale. Poi, una volta che la vita si era avviata, se ne andava e non ci tornava più. Anche chi ci abita oggi fa così. Anche loro riconoscono chiaramente un posto arrangiato e non hanno intenzione di farselo andare bene per troppo tempo. Via Gorizia è da sempre la via degli ultimi arrivati. Con i palazzoni affacciati sulla strada e le fabbriche intorno che da qualche anno, se non hanno già chiuso, faticano molto più di ieri o hanno lasciato il posto ad altro. Adesso lì dentro non ci trovi più i terroni ma cinesi, arabi, peruviani, nordafricani. Ecco, se dovessi dire da dove nasce l’idea primordiale del romanzo, risponderei che comincia dalla contemplazione di via Gorizia. Dalla metaforicità di questo luogo, che trova molti analoghi alle porte delle città del triangolo industriale.
Poi qualcuno, non mi ricordo chi, mi ha raccontato che negli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta ci arrivavano anche bambini, che scappavano dalla fame e da un futuro che non poteva riservare nessuna sorpresa o speranza di miglioramento. Dunque mia madre lì dentro non si sarà potuta sentire nemmeno la più piccola. La notizia mi ha colpito e in fretta mi sono messo a studiare l’argomento. Ho letto saggi sociologici, anche molto datati ma che mi restituivano la percezione di allora: alcuni aneddotici, altri statistici, altri ancora di interviste. La conclusione era chiara, dell’emigrazione infantile non se n’è parlato molto. E se n’è raccontato ancora meno. Poi ho intervistato questi bambini emigranti, oggi più o meno settantenni. Un signore mi rimandava a un altro. Un ex compagno di fabbrica, di partito, un vicino di casa, un parente… Mentre facevo le interviste la storia non mi era ancora chiara, ma avevo capito che volevo scrivere sia del bambino che dell’adulto, uno solo non mi bastava. Sarebbe stato celebrativo il bambino, riduttivo l’anziano. E così nella storia si sente prima la voce del “picciriddu”, un Ninetto pelleossa di dieci anni che fa fagotto e se ne va da San Cono col cuore stretto, e un Ninetto pelleossa sessantenne che scorrazza per Milano in bicicletta cercando di rifarsi una vita. Lasciare la palla al bambino è stato divertente: la sua voce ha spazzato via tutte le paure di scivolare nella retorica. I bambini trovano il tutto nel nulla, gli adulti il nulla nel tutto, dice Leopardi. Ed è verissimo. Potevo farlo parlare come volevo, farlo saltellare di qua e di là come un passero. I suoi occhi potevano descrivere in presa diretta l’esplorazione, la sua mente doveva essere impegnata a vivere e non a pensare di vivere. Così lo spettro di finire nel sociologico e nel resoconto si è allontanato. Altrimenti avrei buttato tutto. Sì perché io volevo raccontare una storia, una vita: certo, realistica, ma il realismo deve complicare il reale, non riferirlo. E infatti Ninetto è prima di tutto un uomo, con la sua unicità: ha un gusto tutto suo per la parola, ha sogni ricorrenti strampalati, una concezione di Dio che glielo fa immaginare come una mano grande e invisibile che lo sostiene e non lo fa cadere. Anche se poi cadrà. Lo vediamo sul treno del sole – così si chiamava il convoglio che portava al Nord gli emigranti in quegli anni – che cerca di fare amicizia, poi a Milano dove lavora come galoppino di una lavanderia e matura giorno dopo giorno una progressiva insofferenza per il paesano Giuvà, il contadino con cui emigra perché la sua famiglia non può partire insieme a lui. Gliene combina di tutti i colori, a Giuvà (sì, certo, il nome è un omaggio a Fontamara di Silone, il romanzo dei poveri cristi): gli mozzica il pollicione del piede mentre dorme, gli ride dietro, lo sfotte davanti a tutti e poi lo abbandona scappando su un tram. Finalmente libero. E finalmente solo. Dopo arriva la vita in locanda con una squadra di muratori abruzzesi e poi la vita in una baracca di legno con altri muratori, calabresi questa volta. Qui conoscerà Maddalena, che sposerà con la fuitina. Insomma è tutta un’avventura: fino a quando compie quindici anni. Allora, come praticamente tutti gli emigranti con quella storia, entra in fabbrica. A scandire il tempo, da quel giorno, ci pensa la catena di montaggio, che espelle la varietà del mondo in nome della stabilità economica e della fine della fame. Nemmeno sposarsi con Maddalena – allegra, gioviale, capace di metterlo in riga – scaccia una malinconia che si infiltra sempre più dentro. La vivacità della vita in strada è un ricordo che rotola indietro e anche se Maddalena è un’ottima cuoca e vorrebbe aprire una trattoria sul mare la routine della fabbrica soffoca tutto, anche i sogni. Restano le paure più profonde e un’esistenza che sembra scorrere a prescindere.
L'ultimo arrivatoTutto questo ricorda Ninetto quando se ne sta con le mani dietro la nuca, sdraiato sulla branda del carcere di Opera. Non sa dire invece perché ha usato il coltello che l’ha portato in cella per dieci anni. Ora non è più il 1960, siamo nel 2007, e tra poco sarà libero. Potrà ritornare da Maddalena, che l’ha odiato ma l’ha aspettato. A casa lui e lei vorrebbero dirsi tante cose ma dopo dieci anni non è facile: così lui fuma alla finestra e lei cucina o guarda la televisione. La complicità tra marito e moglie fa capolino solo qualche giorno, quando ci si sfiora per sbaglio una mano o un lembo di vestito. Niente è più uguale, nemmeno Milano, che pure Ninetto gira in bicicletta col naso in aria, fermandosi a fumare sulle panchine del parco Sempione. La crisi si vede: sono spuntati i grattacieli dell’Expo, il bar sotto casa se lo sono comprati i cinesi, gente che non sa nemmeno preparare un caffè decente. Lui ai nuovi immigrati non riconosce quasi niente, non la fatica, non i traumi che sono stati suoi. Ci gira alla larga. Eppure a furia di pedalare finisce col parlarci, addirittura due marocchini gli offrono il lavoro di consegna-pizze mentre tutti gli altri gli chiedono di compilare su internet il curriculum europeo. E rieccolo ancora galoppino, ancora in giro per Milano. Come se il tempo fosse un eterno ritorno.
In tutto questo vuoto si fa strada un desiderio che già in carcere, nello squallore della cella, Ninetto avvertiva: raccontare la sua storia a chi può custodirla. Questo scrigno innocente è la nipotina mai vista. Si chiama Lisa, figlia della sua unica figlia, che ha deciso di non fargliela conoscere per dimostrargli il disprezzo per ciò che ha fatto. Ninetto da quando è nata la immagina: fantastica di portarla in giro, prenderle la mano, proteggerla dal mondo, che è sempre prudente affrontare con un coltello in tasca. La sua storia è l’unica cosa che gli è rimasta, tutto il resto si è perso per strada. Ad essere capace di scrivere l’avrebbe lasciata sul diario che gli aveva regalato il suo idolo, il maestro Vincenzo della scuola di via dei Ginepri, a San Cono, che gli faceva imparare i versi di Pascoli a memoria e gli aveva messo voglia di diventare poeta o maestro elementare anche lui. Però quella pagina è rimasta sempre bianca, la mano si irrigidiva ogni volta che impugnava la penna. Invece, quando vedrà la bambina che gioca con nonna Maddalena, e quando la strapperà da lei per qualche ora portandola in via Gorizia, in una sorta di viaggio agli inferi in cui lui veste i panni di un poco saggio Virgilio, Ninetto sentirà di non meritare perdono, ma di aver riscattato almeno parzialmente la paura di vivere senza lasciare traccia.

(Riproduzione riservata)

© Marco Balzano

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Marco Balzano è nato a Milano nel 1978, dove vive e lavora come insegnante di liceo. Ha esordito nel 2007 con la raccolta di poesie Particolari in controsenso (Lieto Colle, Premio Gozzano). Nel 2008 è uscito il saggio I confini del sole. Leopardi e il Nuovo Mondo (Marsilio, Premio Centro Nazionale di Studi Leopardiani). Il suo primo romanzo è Il figlio del figlio (Avagliano 2010, finalista Premio Dessì 2010, menzione speciale della giuria Premio Brancati-Zafferana 2011, Premio Corrado Alvaro Opera prima 2012), tradotto in Germania presso l’editore Kunstmann. Con Sellerio ha pubblicato Pronti a tutte le partenze (2013) e L’ultimo arrivato (2014, Premio Campiello 2015).

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© Letteratitudine

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SPECIALE PREMIO CAMPIELLO 2015 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/09/11/speciale-premio-campiello-2015/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/09/11/speciale-premio-campiello-2015/#comments Fri, 11 Sep 2015 14:44:42 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6879 SPECIALE PREMIO CAMPIELLO 2015

Sabato 12 settembre verrà decretato il vincitore della 53^ edizione del prestigioso premio letterario tra i seguenti cinque finalisti: Marco Balzano, Paolo Colagrande, Vittorio Giacopini, Carmen Pellegrino, Antonio Scurati. Sul post, i contributi speciali di Letteratitudine

Concorrono per la vittoria finale della 53^ edizione del Premio Campiello Marco Balzano con L’ultimo arrivato (Sellerio), Paolo Colagrande con Senti le rane (Nottetempo), Vittorio Giacopini con La Mappa (Il Saggiatore), Carmen Pellegrino con Cade la terra (Giunti) e Antonio Scurati con Il tempo migliore della nostra vita (Bompiani).

I CONTENUTI SPECIALI DI LETTERATITUDINE

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L'ultimo arrivato

Marco Balzano - L’ultimo arrivato (Sellerio)

Negli anni Cinquanta a spostarsi dal Meridione al Nord in cerca di lavoro non erano solo uomini e donne pronti all’esperienza e alla vita, ma anche bambini a volte più piccoli di dieci anni che mai si erano allontanati da casa. Il fenomeno dell’emigrazione infantile coinvolge migliaia di ragazzini che dicevano addio ai genitori, ai fratelli, e si trasferivano spesso per sempre nelle lontane metropoli. Questo romanzo è la storia di uno di loro, di un piccolo emigrante, Ninetto detto pelleossa, che abbandona la Sicilia e si reca a Milano. Come racconta lui stesso, “non è che un picciriddu piglia e parte in quattro e quattr’otto. Prima mi hanno fatto venire a schifo tutte cose, ho collezionato litigate, digiuni, giornate di nervi impizzati, e solo dopo me ne sono andato via. Era la fine del ‘59, avevo nove anni e uno a quell’età preferirebbe sempre il suo paese, anche se è un cesso di paese e niente affatto quello dei balocchi”. Ninetto parte e fugge, lascia dietro di sé una madre ridotta al silenzio e un padre che preferisce saperlo lontano ma con almeno un cenno di futuro. Quando arriva a destinazione, davanti agli occhi di un bambino che non capisce più se è “picciriddu” o adulto si spalanca il nuovo mondo, la scoperta della vita e di sé. Ad aiutarlo c’è poco o nulla, forse solo la memoria di lezioni scolastiche di qualche anno di Elementari. Ninetto si getta in quella città sconosciuta con foga, cammina senza fermarsi, cerca, chiede, ottiene un lavoro. E tutto gli accade come per la prima volta…

LEGGI su LetteratitudineNews l’autoracconto di MARCO BALZANO (dedicato a “L’ultimo arrivato” – Sellerio)

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Senti le ranePaolo Colagrande - Senti le rane (Nottetempo)

Al tavolino di un bar, Gerasim racconta a Sogliani la storia di un terzo amico seduto poco più in là, ed è una storia molto avventurosa. Ebreo convertito al cattolicesimo per chiamata divina, Zuckermann prende i voti e diventa “il prete bello” di Zobolo Santaurelio Riviera, località balneare di “fascia bassa”: agli occhi dei fedeli passa per un santo, illuminato, alacre e innocente. Ma un pomeriggio di fine estate, mentre intorno al suo nome diventano sempre più insistenti le voci di miracoli, a Zuckermann si offre la visione della Romana, la figlia diciassettenne di due devoti parrocchiani. Da lì in poi, fra pallidi tentativi di espiazione, passioni e gelosie, cui fanno da contrappunto le vaneggianti digressioni di Gerasim e Sogliani, dall’Uomo vitruviano agli etologi fiamminghi, dagli asceti di Costantinopoli all’Ikea, da Rossella O’Hara all’olio di nespolo babilonese, lentamente si consuma una tragedia sentimentale che travolge l’intera comunità e trova il suo epilogo in riva a un fosso…

LEGGI su LetteratitudineNews l’autoracconto di PAOLO COLAGRANDE (dedicato a “Senti le rane” – Nottetempo)

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La mappaVittorio Giacopini - La mappa (Il Saggiatore)

Monti, laghi, colline, forre, fortilizi e contrafforti, borghi, strade, slarghi: vedere tutto, come se si fosse per aria, e tutto rappresentare in una mappa, con dettagli minuti, badando a distanze, rilievi, proporzioni: squadrare il mondo, illuminarlo, dargli ordine. E questo l’obiettivo di Serge Victor, ingegnere-cartografo al seguito di Napoleone durante la Campagna d’Italia. Figlio esemplare dei Lumi, nemico di fole balzane e superstizioni, adepto dell’”Encyciopédie” di Diderot e d’Alembert – alle cui parole si aggrappa con una devozione non lontana dal fideismo che la Rivoluzione si era incaricata di smantellare -, Serge Victor riceve l’ordine dal Generale in persona di riprodurre i corsi e i ricorsi della Campagna, di fermare su carta e nel tempo i nuovi confini d’Italia, che il demiurgo Napoleone, N., l’Imperatore, va ridisegnando e riplasmando, sempre più a suo piacimento. Così, mentre il còrso conquista la penisola e, non pago, invade l’Egitto, Serge lavora alla sua magnum opus, in compagnia di uno scalcinato poeta tutto sdegno e fervore e dell’ammaliatrice Zoraide, la sua Maga, che della ragione rappresenta il doppio, il sonno, e prefigura l’assedio portato ai Lumi dalle sotterranee pulsioni che, nella Storia come nell’animo dell’uomo, non conoscono sopore.

LEGGI su LetteratitudineNews l’autoracconto di VITTORIO GIACOPINI (dedicato a “La mappa” – Il Saggiatore)

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Cade la terraCarmen Pellegrino - Cade la terra (Giunti)

Alento è un borgo abbandonato che sembra rincorrere l’oblio, e che non vede l’ora di scomparire. Il paesaggio d’intorno frana ma, soprattutto, franano le anime dei fantasmi che Estella, la protagonista di questo intenso e struggente romanzo, cerca di tenere in vita con disperato accudimento. Voci, dialoghi, storie di un mondo chiuso dove la ricchezza e la miseria sono impastate con la stessa terra nera. Capricci, ferocie, crudeltà, memorie e colpe di un paese condannato a ritornare alla terra. Come tra le quinte di un teatro ecco aggirarsi un anarchico, un venditore di vasi da notte, una donna che non vuole sposarsi, un banditore cieco, una figlia che immagina favole, un padre abile nel distruggerle. Con Carmen Pellegrino l’abbandonologia diviene scienza poetica. E questo modo particolare di guardare le rovine, di cui molto si è parlato sui giornali e su internet, ha finalmente il suo romanzo.

ASCOLTA, cliccando sul pulsante “audio”, la puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” con CARMEN PELLEGRINO (dedicata a “Cade la terra” – Giunti)

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Il tempo migliore della nostra vitaAntonio Scurati - Il tempo migliore della nostra vita (Bompiani)

Leone Ginzburg rifiuta di giurare fedeltà al fascismo l’8 gennaio 1934. Pronunciando apertamente il suo “no”, imbocca la strada difficile che lo condurrà a diventare un eroe della Resistenza. Un combattente mite, integerrimo e irriducibile che non imbraccerà mai le armi. Mentre l’Europa è travolta dalla marcia trionfale dei fascismi, questo giovane intellettuale formidabile prende posizione contro il mondo servile che lo circonda e la follia del secolo. Fonderà la casa editrice Einaudi, organizzerà la dissidenza e creerà la sua amata famiglia a dispetto di ogni persecuzione. Questa è la sua storia vera dal giorno della sua cacciata dall’università fino a quello in cui è ucciso in carcere. Nel racconto rigoroso e appassionato con il quale Scurati le rievoca, accanto a quella di Leone e Natalia Ginzburg, scorrono però anche le vite di Antonio e Peppino, Ida e Angela, i nonni dell’autore, persone comuni nate negli stessi anni e vissute sotto la dittatura e le bombe della Seconda guerra mondiale. Dai sobborghi rurali di Milano convertiti all’industria ai vicoli miserabili del “corpo di Napoli”, di fronte ai fucili spianati, le esistenze umili di operai e contadini, artisti mancati e madri coraggiose entrano in risonanza con le vite degli uomini illustri. Accostando i singoli ai grandi eventi, attraverso documenti, fotografie e lettere, ricordi famigliari e memoria collettiva, Antonio Scurati resuscita il nostro passato.

ASCOLTA, cliccando sul pulsante “audio”, la puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” con ANTONIO SCURATI (dedicata aIl tempo migliore della nostra vita” – Bompiani)

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Altre informazioni sulla 53^ edizione del PREMIO CAMPIELLO

Per la prima volta la finale del Premio Campiello verrà trasmessa in diretta sul satellite. La cerimonia conclusiva della 53^ edizione del concorso letterario promosso da Confindustria Veneto andrà in onda sabato 12 settembre a partire dalle ore 20.05 sul canale 832 di Sky e Tivùsat.

La serata verrà inoltre trasmessa in diretta sul digitale terrestre dalle tv del Consorzio Reti Nord Est, che comprende Telenuovo, Telechiara, TVA Vicenza ed Antennatre, a copertura di tutte le province del Veneto, del Trentino Alto Adige, del Friuli Venezia Giulia e delle province di Mantova e Brescia per la Lombardia, Ferrara per l’Emilia Romagna. La cerimonia sarà visibile anche in streaming sul sito delle televisioni del Consorzio Reti Nord Est.

Per il terzo anno consecutivo lo spettacolo sarà condotto da Geppi Cucciari e Neri Marcorè, che torneranno sul palco della Fenice a proporre un connubio tra momenti d’intrattenimento, approfondimento culturale e dialogo con gli autori finalisti. La serata finale sarà organizzata dalla casa di produzione ITV MOVIE, che tra le principali produzioni televisive ha realizzato Italialand con Maurizio Crozza, G’Day con Geppi Cucciari, Glob spread con Enrico Bertolino e Volo in diretta con Fabio Volo.

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La vita prodigiosa di Isidoro SifflotinIl vincitore del Premio Campiello Opera Prima è Enrico Ianniello La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin (Feltrinelli).

Sulla caviglia dello stivale Italia, là dove sta l’osso pezzillo, nasce il nostro eroe, Isidoro Sifflotin. Nella casetta di Mattinella, che sta su da trecento anni e “non crollerà mai”, il prodigioso guagliunciello Isidoro affina una dote miracolosa, ricevuta non si sa come da Quirino, il padre strabico, poetico e comunista, e da Stella, la mamma pastaia. Qual è questa dote? La più semplice: Isidoro sa fischiare, e fischia in modo prodigioso. Con il suo inseparabile merlo indiano Alì dagli sbaffi gialli, e l’aiuto di una combriccola stralunata, crea una lingua nuova, con tanto di Fischiabolario, e un messaggio rivoluzionario comincia magicamente a diffondersi. Proprio quando il progetto di un’umanità felice e libera dal bisogno sta per prendere forma, succede qualcosa che mette sottosopra l’esistenza di Isidoro. “Tutto quello che cresce si separa”: con addosso questo insegnamento di mamma Stella, Isidoro, ormai ragazzo, scopre Napoli e si imbatte, senza neanche rendersene davvero conto, in un altro linguaggio prodigioso e muto: quello dell’amore.

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Il Premio Fondazione il Campiello è stato invece assegnato a Sebastiano Vassalli per la sua opera narrativa di grande spessore etico e storico; purtroppo la recentissima scomparsa dello scrittore costringerà gli organizzatori a una consegna per interposta persona di tale premio, che Vassalli aveva accettato con grande soddisfazione rilasciando una dichiarazione che verrà riprodotta nel libretto di sala della cerimonia finale.

Su LetteratitudineNews abbiamo dedicato uno speciale in OMAGGIO A SEBASTIANO VASSALLI.

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Il vincitore verrà scelto dalla Giurati dei Trecento Lettori anonimi. I Giurati vengono selezionati su tutto il territorio nazionale in base alle categorie sociali e professionali, cambiano ogni anno e i loro nomi rimangono segreti fino alla serata finale.

Il Premio Campiello, istituito nel 1962 dagli Industriali del Veneto, è promosso e gestito dalla Fondazione Il Campiello, composta dalle sette Associazioni Industriali del Veneto e dalla loro Confindustria regionale. E’ la più importante iniziativa in campo culturale promossa da Confindustria Veneto e rappresenta uno dei pochi casi di successo in Italia di connessione concreta e strategica tra mondo dell’impresa e della cultura. Nel corso degli anni il Premio ha raggiunto il vertice delle competizioni letterarie italiane.

La 53^ edizione del Premio Campiello è realizzata sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali; riceve il patrocinio e il sostegno della Regione del Veneto ed è resa possibile grazie al concorso di: Banca Popolare di Vicenza, Eni, Manpower Group, Assicurazioni Generali, Gruppo Save, Fiera di Vicenza, Anthea, Permasteelisa Group, Adacta Studio Associato, Fiamm, SUM; in collaborazione con MUVE – Fondazione Musei Civici Venezia e Grafiche Antiga.

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CAMILLERI e MONTALBÁN: per il 90° compleanno di Andrea Camilleri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/09/06/camilleri-e-montalban/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/09/06/camilleri-e-montalban/#comments Sun, 06 Sep 2015 09:53:33 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6876 In occasione del 90° compleanno di Andrea Camilleri (nato il 6 settembre 1925) pubblichiamo questo video (datato 6 febbraio 2014) dove il noto scrittore siciliano riceve (nell’ambito del Festival del Noir BCNegra di Barcellona) il prestigioso Premio Pepe Carvalho 2014 in [...]]]> CAMILLERI e MONTALBÁN: per il 90° compleanno di Andrea Camilleri

In occasione del 90° compleanno di Andrea Camilleri (nato il 6 settembre 1925) pubblichiamo questo video (datato 6 febbraio 2014) dove il noto scrittore siciliano riceve (nell’ambito del Festival del Noir BCNegra di Barcellona) il prestigioso Premio Pepe Carvalho 2014 in ricordo del personaggio creato dallo scomparso scrittore catalano Manuel Vázquez Montalbán.
Nel video, Camilleri, racconta il suo rapporto con Manuel Vázquez Montalbán, accenna alla nascita del suo personaggio Montalbano e parla della sua opera “Il birraio di Preston”.

Buon compleanno, Andrea Camilleri!

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NICOLA LAGIOIA VINCE IL PREMIO STREGA 2015 (speciale) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/07/03/nicola-lagioia-vince-il-premio-strega-2015/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/07/03/nicola-lagioia-vince-il-premio-strega-2015/#comments Fri, 03 Jul 2015 11:02:56 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6841 Premio Strega Nicola LagioiaNICOLA LAGIOIA VINCE IL PREMIO STREGA 2015

Nicola Lagioia, con il romanzo La ferocia (Einaudi), è il vincitore dell’edizione 2015 del Premio Strega.

Dettagli su LetteratitudineNews.

Di seguito proponiamo: un breve video sulla serata della premiazione, la conversazione radiofonica con Nicola Lagioia a Letteratitudine in Fm, incentrata su “La ferocia”, e “l’autoracconto d’autore” in cui lo stesso Nicola Lagioia racconta, appunto, il suo libro. Inoltre segnaliamo la recensione di Marco Ostoni pubblicata su LetteratitudineNews.

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Nicola Lagioia – “La ferocia” (Einaudi)

nicola-lagioia

LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO

In una calda notte di primavera, una giovane donna cammina nel centro esatto della strada statale. È nuda e coperta di sangue. A stagliarla nel buio, i fari di un camion sparati dritti su di lei. Quando, poche ore dopo, la ritroveranno ai piedi di un autosilo, la sua identità verrà finalmente alla luce: è Clara Salvemini, prima figlia della piú influente famiglia di costruttori locali. Per tutti è un suicidio. Ma le cose sono davvero andate cosí? Cosa legava Clara agli affari di suo padre? E il rapporto che la unisce ai tre fratelli – in particolare quello con Michele, l’ombroso, l’instabile, il ribelle – può aver giocato un ruolo determinante nella sua morte? Le ville della ricca periferia barese, i declivi di ogni rapida ascesa sociale, le tensioni di una famiglia in bilico tra splendore e disastro: utilizzando le forme del noir, del gotico, del racconto familiare, scandite da un ritmo serrato e da una galleria di personaggi e di sguardi che spostano continuamente il cuore dell’azione, Nicola Lagioia mette in scena il grande dramma degli anni che stiamo vivendo. L’intensità della scrittura – mai cosí limpida e potente – ci avviluppa in un labirinto di emozioni, segreti e scoperte, che interseca le persone e il loro mondo, e tiene il lettore inchiodato alla pagina.

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NICOLA LAGIOIA ci racconta il suo romanzo LA FEROCIA (edito da Einaudi). Le prime pagine del libro sono disponibili qui…

di Nicola Lagioia

«Anni fa noialtri del Sud facemmo delle nostre donne altrettante dame. Poi venne la guerra e fece delle dame altrettanti spettri. E così che altro possiamo fare noi, da gentiluomini che siamo, se non ascoltare loro, da spettri che sono?»
La citazione è di William Faulkner, ed è presa da quel capolavoro della letteratura mondiale che è Assalonne, Assalonne! Sostituite alla Guerra di secessione vista dal Mississippi un qualunque cataclisma originario, all’Esercito confederato un’altra causa persa, eliminate la connotazione politica dall’assolato grumo di spine che se ne ricava, e avrete il dramma di un qualunque Sud del mondo. García Márquez del resto dichiarò più volte che l’epifania della sua gioventù – la folgorazione che lo portò a comprendere cosa aveva da sempre voluto scrivere – fu proprio l’incontro con i libri di Faulkner. E come mai un analogo sentimento di sconfitta e perdita remota (in quel caso un amore irrecuperabile e un’antica accusa di infamia da cui non ci si riesce ad affrancare) è alla base del racconto di un Sud ancora più profondo, il Messico di Sotto il vulcano di Malcolm Lowry?
Spostandosi da un meridione all’altro, dall’America Latina a quel non meno misterioso continente che è la Puglia – una faglia verticale e al tempo stesso un pensiero che si sfalda verso oriente – l’impossibilità di poter essere ancora eroi e l’ossessione per una tragedia immedicata di addirittura cinque secoli prima (l’eccidio di Otranto) muove il Carmelo Bene di Nostra Signora dei Turchi.
Se un vecchio oltraggio di portata quasi cosmica è un buon motore per la letteratura di ogni latitudine, per il racconto del Sud rischia di essere un destino.
Non chiamo in correità i pesi massimi per illudermi di avere le spalle coperte nei giorni dell’uscita del mio nuovo romanzo. Piuttosto, cerco sponde solide per chiarire un equivoco. Agli scrittori italiani – specie quelli nati al Sud – negli ultimi anni si è voluta affidare una missione al tempo stesso troppo grande e troppo piccola rispetto a ciò che dovrebbe essere il mandato della letteratura di invenzione. Ci hanno chiesto di raccontare la nostra terra (la Puglia, la Sicilia, la Campania per il tutto) partendo dalla presunzione che il supposto passo lungo dello scrittore giungesse a completare il lavoro del giornalista, dell’etnologo, o addirittura del pubblico ministero. Denunciare e guarire. Tracciare una diagnosi e favorire la redenzione. Farlo, però (è questo il cuore dell’equivoco) dalle stesse posizioni di chi lotta statutariamente per le buone cause. Gettare il proprio obolo nel calderone del progresso democratico per contribuire a sconfiggere il malaffare, l’arretratezza, il degrado, e ovviamente per aiutare a combattere la mafia, la camorra, la ndrangheta. Oppure per favorire la crescita economica.Sarebbe utile ricordare che la letteratura, e l’espressione artistica in generale, intrattiene col proprio tempo un gioco più complesso. Thomas Mann e Ftitz Lang non impedirono l’ascesa del Terzo Reich, e tuttavia è anche grazie a opere come La montagna incantata, o M(per non parlare delle poesie di Paul Celan, o dell’opera di Primo Levi) se siamo in grado di riconoscerci ancora come esseri umani – e l’un l’altro come fratelli – nonostante i disastri della specie di cui disseminiamo la nostra storia. Spesso ce ne dimentichiamo nell’assurda pretesa di utilizzare un’opera letteraria per rovesciare il governo o spalancare gli occhi al popolo sovrano.
Lo speculare di questo fraintendimento – apparentemente opposto, in realtà legato a doppio filo – è ritenere che si debba raccontare la propria terra per darle lustro o esportarne la cartolina. La necessità di denunciare ciò che ancora non funziona nella nostra amata Puglia, opposta all’opportunità di non recarle troppi danni d’immagine. Espressione artistica sì, sorvegliata però dal morso dell’impegno o dell’oleografia.
Mi rendo conto che La ferocia ha tutti i presupposti per cadere nel doppio equivoco. In questo romanzo racconto il crollo di una grande famiglia di costruttori baresi, i cui membri intrattengono rapporti tutt’altro che puerili col potere. Una famiglia in cui splendore e disastro (e marciume e tenerezza) vanno di pari passo. Raccontare la rovina dei Salvemini, significava per me anche addentrarsi nel mondo dei politici locali, del giornalismo, della sanità, dell’università, della criminalità organizzata, il mondo dei notai e dei geometri, dei paladini e dei professionisti della legalità, e di tutto ciò che si rivela quando un polo di potere va in crisi. Mi interessava raccontare anche la storia di due fratellastri, Clara e Michele Salvemini, i figli venuti male, le pecore nere di questa famiglia.
Qualcuno potrebbe voler cercare nella mia storia tracce di recenti scandali locali, ma non ne troverà oltre ciò che offre il verosimile: in Italia la corruzione è talmente diffusa, e in modo tanto ricorsivo, che le analogie tra un caso e l’altro lambiscono la statistica delle malattie esantematiche. Qualcun altro potrà ritenere ingeneroso un ritratto della Puglia così a tinte fosche tenendo conto di cosa sono stati questi anni di cosiddetta Primavera, e inopportuno proprio ora che la Primavera (salvo clamorose Estati di san Martino) rischia di piombare nella stagione del riflusso.
Soprattutto, potrebbe destare perplessità un certa mia ostinazione (o morbosità) nell’immergermi fino al collo in quelle morte paludi invernali che sono le vite dei cosiddetti cattivi, rischiando di dargli troppa dignità. Ma a me interessa chi indaga il cuore dei coniugi Macbeth, non chi vuole sbatterli in galera. Mi interessa l’attualità estrema del Sud proprio nelle pieghe in cui ci trovo dei vecchi fantasmi senza pace. Gli spettri di cui parlavo all’inizio. Un sentimento insepolto che ci aspetta sempre al varco per reclamare su di sé il nostro pugno di terra. Voglio contribuire a migliorare la Puglia con tutto ciò che resta fuori dai miei libri. Perlomeno nell’atto di scriverli. I miei romanzi sono dalla parte di Polinice, contro la legge della Città.

(Riproduzione riservata)

© Nicola Lagioia

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Nicola LagioiaNicola Lagioia è nato a Bari nel 1973. Con minimum fax ha pubblicato Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj (2001), e con EinaudiOccidente per principianti (Supercoralli 2004), Riportando tutto a casa(Supercoralli 2009, Super ET 2011; Premio Viareggio-Rèpaci, Premio Vittorini, Premio Volponi) e La ferocia (Supercoralli 2014).http://www.minimaetmoralia.it

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