LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » VISTA DAL TRADUTTORE http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 LE NOSTRE VERITÀ di Kamala Harris (raccontato dal suo traduttore, Giovanni Agnoloni) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/02/02/le-nostre-verita-di-kamala-harris-raccontato-dal-suo-traduttore-giovanni-agnoloni/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/02/02/le-nostre-verita-di-kamala-harris-raccontato-dal-suo-traduttore-giovanni-agnoloni/#comments Tue, 02 Feb 2021 18:08:29 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8702 Le nostre verità” di Kamala Harris (La nave di Teseo, 2021) nel racconto del traduttore del libro, Giovanni Agnoloni

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Il nuovo appuntamento dello spazio di Letteratitudine chiamato Vista dal traduttore (dedicato, per l’appunto, al lavoro delle traduttrici e dei traduttori letterari) è incentrato sull’autobiografia della vicepresidente degli Stati Uniti d’America, Kamala Harris, intitolata Le nostre verità, pubblicato da La nave di Teseo e tradotto da Giovanni Agnoloni.

Ed è appunto lo scrittore, traduttore letterario e blogger Giovanni Agnoloni a farci entrare nell’autobiografia della Harris da lui tradotto, raccontandoci qualcosa del libro e svelandoci qualche piccolo “segreto” di traduzione.

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Tradurre Kamala Harris, Le nostre verità (La nave di Teseo, 2021)

di Giovanni Agnoloni

Una delle scommesse più difficili da gestire e da vincere, per un traduttore, è sfatare l’adagio “presto e bene non stanno insieme”. Si pensa sempre – e, almeno in teoria, a ragione – che per fare un lavoro di cesello servano mesi e infinite riletture. Il fatto è che i tempi dell’attualità spesso impongono di stare “sulla notizia” e di approfondire, in termini di quantità e qualità, la potenza espressiva di un testo in un tempo sia pur ragionevolmente breve. Allora ci si rende conto di quanto sia importante mettere insieme e far collaborare – e direi quasi deflagrare – tutti gli ambiti di conoscenza esplorati nel corso degli anni con lo studio e la pratica.
Proprio questo tipo di esperienza ho avuto nel tradurre The Truths We Hold (Le nostre verità), l’autobiografia della vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris. Un testo che, pur non essendo in senso stretto un romanzo, e nemmeno un saggio, racchiude in sé, direi quasi plasticamente compressi e potenziati, gli aspetti più interessanti tanto della buona narrativa quanto della miglior saggistica, ovvero una grande intensità emotiva espressa in bello stile e una densità e precisione di informazioni storiche, politiche, giuridiche ed economiche, presentate in foggia persuasiva e coinvolgente.
Mi sono così trovato a calarmi, in velocità e profondità, in un mondo complesso quanto una vita ricca e costellata di momenti cruciali, anche perché, a ogni sua “stazione”, è imbevuta di atmosfere di luoghi e di eventi che si estendono dall’India – da cui la madre di Kamala Harris partì per venire a studiare in California – a tutto il territorio statunitense e oltre, man mano che la vita dell’autrice procedeva, attraverso gli studi, le esperienze di interazione con le migliori menti dell’attivismo americano e la carriera forense, fino agli incarichi di procuratore distrettuale di San Francisco, procuratore generale della California e senatore degli Stati Uniti.
Questa autentica – professionalmente e letterariamente – corsa sull’ottovolante di un’esistenza complessa e appassionante mi ha permesso di mollare qualunque freno mentale un traduttore possa avere nel porsi davanti a un testo. Ovvero, mi ha consentito di realizzare quello che il mio maestro di chitarra classica Ganesh Del Vescovo mi dice sempre: «La tecnica va curata molto, ma alla fine devi tirar fuori quello che hai dentro e buttarti». In effetti non avrei potuto tradurre il libro di Kamala Harris se avessi usato solo le pur necessarie competenze maturate grazie ai miei studi giuridici e l’esperienza di anni di traduzioni di libri storici e documenti di rilevanza commerciale ed economica. Verissimo. Ma ancor meno ci sarei riuscito se non fossi stato io stesso uno scrittore portato a scandagliare i meandri dell’animo di personaggi molto diversi e a sentirmi tutt’uno con essi – nella speranza di riuscire a produrre lo stesso effetto nei miei lettori. E, in un certo senso, in questo caso è stato facile. Voglio dire, quando un testo nasce in misura parimenti importante dal cuore e dalla mente, e l’autrice vi rappresenta se stessa senza pudori riguardo ai particolari più sofferti della propria esistenza, l’immedesimazione di chi, per mestiere, deve rendersi interprete della sua voce in un’altra lingua avviene in modo molto più immediato. Di conseguenza, ti accorgi di riuscire a esprimere bene, con le tue parole, quelle di una donna in apparenza così diversa da te.
In effetti, a prescindere dalla mia simpatia per Kamala Harris, è chiaro che i nostri bagagli di esperienze sono ben differenti – al netto di importanti punti di consonanza, per quanto riguarda la formazione giuridica e la sensibilità al tema dei diritti umani. La convergenza, comunque, è stata immediata, di modo che si è verificato qualcosa di simile a quello che, in Blade Runner 2049, avviene quando l’ologramma della ragazza-compagna del protagonista si sovrappone alla donna reale presente nel suo appartamento. In altre parole, una “comoda” sovrapposizione di voci. Il fatto che poi, qui, si trattasse della voce di un uomo sovrapposta a quella di una donna cambia di poco la realtà, visto che spesso, nei miei libri, affido ruoli di prim’ordine a personaggi femminili, e peraltro sono convinto che l’animo umano, indipendentemente dalle specificità dei generi, sia alla base uno – e in ogni caso uno scrittore, o un traduttore in quanto “interprete”, deve sapersi calare anche in punti di vista diversi dal suo. Anzi, è proprio questa la scommessa più interessante.
Quindi, la riflessione di fondo che mi sento di fare partendo dal prezioso pretesto di questo lavoro, è che più ricco è il tuo campionario di esperienze (in termini professionali, artistici e di vita), migliore sarà la tua adesione al mondo interiore degli autori che andrai a tradurre, perché intuirai con chiarezza le vibrazioni intime della loro vita interiore, oltre agli scenari generali in cui si sono mossi (o hanno inserito i loro personaggi), e per ognuna di queste “note” troverai la resa tecnicamente migliore nella tua lingua.
Nel caso de Le nostre verità, tutto questo mi si è rivelato con assoluta evidenza nel capitolo che l’autrice ha dedicato alla struggente vicenda della malattia e della morte di sua madre. In questa non solo ho rivissuto il dolore della perdita di mio padre, ma ho colto precisamente il nervo scoperto dell’umanità di un personaggio di alto profilo istituzionale. Così si è realizzato quel riconoscimento, ovvero la “sovrapposizione” a cui prima facevo riferimento. Tuttavia, nell’arco dell’intera successione dei capitoli, da quelli sulla vita a Oakland negli anni dell’infanzia a quelli sui primi passi nella magistratura e successivamente sulle battaglie per i diritti civili, sugli abusi delle industrie farmaceutiche, sulla speculazione successiva alla crisi dei mutui che avrebbe portato al crollo dell’economia globale del 2008, e ancora sui programmi di istruzione e reinserimento a beneficio dei detenuti o sulla lotta per far ottenere la cittadinanza ai “Dreamers” – i giovanissimi figli di immigrati irregolari –, si percepisce un interessantissimo trait d’union tra la dimensione del lavoro di Kamala Harris come magistrato, e poi come senatore, e il suo retroterra umano e culturale. Quindi, per me che cercavo ogni volta la chiave giusta per trasporre il testo in italiano in modo ricco e convincente, era come spostarmi in continuazione lungo una spoletta lessicale e stilistica, tale da combinare un linguaggio tecnicamente rigoroso con la veracità di parole attinte dalle esperienze forti e profonde della vita dell’autrice.
Ecco che torna ancora la metafora musicale, che si manifesta nell’accordatura della chitarra, dove intonare alla perfezione una corda (in funzione della tonalità in cui bisogna suonare un pezzo) può portare, per sottili risonanze legate ai microtoni, a perdere l’accordatura perfetta su un’altra, e quindi si deve cercare una sorta di compromesso funzionale al mezzo espressivo. Così è stato anche qui: la sfera giuridico-economica non doveva mai prevalere troppo nettamente sul contenuto letterario di questa autobiografia che per me è anche, a suo modo, il romanzo di una vita; e quest’ultimo aspetto, per converso, non doveva stemperare il rigore dell’esposizione attinente ai fatti di immediata rilevanza storico-politica.
Un esempio su tutti, ché non voglio scendere nel dettaglio delle singole scelte traduttive. Il titolo: in inglese è The Truths We Hold, cioè, letteralmente, “Le verità che abbiamo”, o anche “possediamo”, o “deteniamo”. Buono e centrato, dal punto di vista semantico. Riesce a evocare il senso di un retaggio che ancor oggi resta in piedi e vive in noi, ed evoca istintivamente un catalogo di diritti, e anche una successione di capitoli quale, appunto, quella strutturata dall’autrice, che attraverso le sue esperienze mira a evidenziare una serie di temi sensibili su cui esercitare un’azione politica efficace a favore dei cittadini. Eppure non ero convinto: in italiano si perdeva molto, rispetto all’inglese, dove quell’hold fa immediatamente pensare a qualcosa che si è conservato e curato, lottando a lungo e difendendolo da insidie di vario genere. Detenere, possedere e avere sono termini che peccano o di un eccessivo “legalismo”, nei primi due casi, o di genericità, nel terzo. Precisi, sì, in qualche modo, ma fuori bersaglio. Non collimano con l’armonia di un “pezzo musicale” dove la nota dominante è la vita vissuta, con le sue gioie e i suoi drammi. Serviva qualcosa di più profondo e, per così dire, di inzuppato nel magma dell’esistenza; qualcosa di intimo e viscerale, insomma. Ecco allora Le nostre verità. Perché ciò che è nostro lo è tanto sul piano dei diritti costituzionali quanto, e ancor prima, su quello personale, individuale e collettivo: nostre, appunto, nel senso tanto di “verità di ognuno di noi”, quanto di “verità che appartengono a tutti”. E sono precisamente questi il clima e l’atmosfera di cui si nutre e in cui respira questo libro, nato dal cuore di una vicenda personale ma alimentato dal contatto con un’umanità vastissima – proprio quella a cui è destinato.

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Le nostre verità - Kamala Harris - copertinaLa scheda del libro: “Le nostre verità” di Kamala Harris (La nave di Teseo – traduzione di Giovanni Agnoloni)

La storia della vicepresidente americana Kamala Harris, un libro per guardare alle verità che ci uniscono, e imparare a difenderle.

«Il mio nome si pronuncia “comma-la”. Significa “fiore di loto”, che è un simbolo importante nella cultura indiana. Il loto cresce sott’acqua, e il suo fiore fuoriesce dalla superficie quando le radici sono ben piantate nel fondale del fiume.»

La vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris, figlia di due attivisti per i diritti civili immigrati in America, è cresciuta a Oakland, California, in una realtà molto attenta alla giustizia sociale. Mentre si affermava come uno dei leader politici più influenti del nostro tempo, la sua storia personale restava la fonte di ispirazione per affrontare problemi complessi prendendosi cura di chi non aveva mai ricevuto attenzione. In Le nostre verità, Kamala Harris affronta le sfide del nostro tempo: attingendo agli insegnamenti e alle intuizioni conquistate durante la sua carriera, grazie all’esempio di coloro che l’hanno maggiormente ispirata, racconta la sua visione, un impegno quotidiano fondato sulla difesa di obiettivi e valori condivisi.

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Kamala D. Harris è la vicepresidente degli Stati Uniti d’America. Ha cominciato la sua carriera nell’ufficio del procuratore distrettuale della contea di Alameda, quindi è stata eletta procuratore distrettuale di San Francisco. Come procuratore generale della California ha perseguito gruppi criminali internazionali, grandi banche, compagnie petrolifere e università private, e si è opposta agli attacchi diretti contro l’Obamacare (la riforma del sistema sanitario del presidente Obama). Si è inoltre battuta per ridurre l’assenteismo nelle scuole elementari, ha aperto la strada alla prima divulgazione a livello nazionale di informazioni sulle disparità razziali nel sistema giudiziario penale, ha introdotto corsi di formazione sui pregiudizi per gli agenti di polizia. È stata la seconda donna di colore a essere eletta nel Senato americano, e la prima donna, la prima persona di colore, la prima indo-americana a essere nominata vicepresidente. Kamala Harris ha lavorato per riformare il sistema di giustizia penale degli Stati Uniti, aumentare i salari minimi, rendere l’istruzione superiore gratuita per la maggior parte degli americani e tutelare i diritti dei rifugiati e degli immigrati.

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Giovanni Agnoloni (Firenze, 1976), è uno scrittore, traduttore letterario e blogger. Autore del romanzo di viaggio Berretti Erasmus. Peregrinazioni di un ex studente nel Nord Europa (Fusta, 2020) e del romanzo psicologico Viale dei silenzi (Arkadia, 2019), ha anche preso parte al romanzo collettivo Il postino di Mozzi, a cura di Fernando Guglielmo Castanar (Arkadia, 2019). È inoltre autore di una quadrilogia di romanzi distopici sul tema del crollo di internet e della società del controllo (Sentieri di notte, Partita di anime, La casa degli anonimi e L’ultimo angolo di mondo finito, editi da Galaad tra il 2012 e il 2017), in parte pubblicata anche in spagnolo e in polacco e in prossima uscita in volume unico sempre per Galaad. Ha scritto, curato e tradotto vari libri sulle opere di J.R.R. Tolkien, e tradotto o co-tradotto saggi su William Shakespeare e Roberto Bolaño, oltre a libri di Jorge Mario Bergoglio, Kamala Harris, Arsène Wenger, Amir Valle e Peter Straub. Ha partecipato a numerose residenze letterarie e reading in Europa e negli Stati Uniti, e traduce da inglese, spagnolo, francese e portoghese, oltre a parlare il polacco e lo svedese. I suoi contributi critici sono disponibili sui blog “La Poesia e lo Spirito”, “Lankenauta”, “Poesia, di Luigia Sorrentino” e “Postpopuli”. Il suo sito è www.giovanniagnoloni.com.

Principali pubblicazioni:

“Berretti Erasmus. Peregrinazioni di un ex studente nel Nord Europa” (romanzo-mémoire di viaggio) (Fusta Editore, 2020)
“Viale dei silenzi” (romanzo) (Arkadia Editore, 2019)
“Il postino di Mozzi” (romanzo collettivo), a cura di Fernando Guglielmo Castanar (Arkadia Editore, 2019) (come co-autore)
“Dom bezimiennych” (edizione polacca de “La casa degli anonimi”) (Wydawnictwo Serenissima, 2018)
“Rozgrywka dusz” (edizione polacca di “Partita di anime”) (Wydawnictwo Serenissima, 2018)
“Las sendas de la noche” (romanzo) (seconda edizione spagnola di “Sentieri di notte”) (Ilíada Ediciones, 2018)
“The Return” (racconto) (“October Hill”, Spring Issue, 2017)
“Il liberto” (racconto) (Kipple Officina Libraria, 2017)
“L’ultimo angolo di mondo finito” (romanzo) (Galaad Edizioni, 2017)
“Ścieżki nocy” (edizione polacca di “Sentieri di notte”) (Wydawnictwo Serenissima, 2016)
“La casa degli anonimi” (romanzo) (Galaad Edizioni, 2014)
“Senderos de noche” (prima edizione spagnola di “Sentieri di notte”) (El Barco Ebrio, 2014)
“Partita di anime” (spin-off di “Sentieri di notte”: romanzo breve + racconto) (Galaad, 2014)
“Sentieri di notte” (romanzo) (Galaad, 2012)
“Tolkien e Bach. Dalla Terra di Mezzo all’energia dei fiori” (saggio) (Galaad, 2011)
“Tolkien. La Luce e l’Ombra” (raccolta di saggi di cui è curatore, traduttore e co-autore) (Senzapatria, 2011; in seguito  – 2019 – pubblicato nella nuova edizione bilingue Kipple Officina Libraria come “Tolkien. Light and Shadow”)
“Nuova letteratura fantasy” (saggio) (Sottovoce, 2010)
“Letteratura del fantastico. I giardini di Lorien” (saggio) (Spazio Tre, 2004)
Una selezione di sue poesie italiane, inglesi e spagnole è stata pubblicata sulla rivista poetica americana SpinDrifter nel 2005 (Vol. 2, N° 1, Primavera 2005).

Traduzioni e co-traduzioni:

- Hermann Simon, Danilo Zatta, “Strategie di pricing” (Hoepli, 2006)
- Masaru Emoto, “Il miracolo dell’acqua” (Il punto d’Incontro, 2007)
- AA.VV., “Tolkien. La Luce e l’Ombra” (a cura di Giovanni Agnoloni) (Senzapatria, 2011; in seguito  – 2019 – pubblicato nella nuova edizione bilingue Kipple Officina Libraria come “Tolkien. Light and Shadow”)
- Jason Berry, “La cassa del vaticano” (Newton Compton, 2012)
- Amir Valle, “Non lasciar mai che ti vedano piangere” (Anordest, 2012, e Verlag Ilion 2108)
- Noble Smith, “La saggezza della Contea” (Sperling & Kupfer, 2012)
- Peter Straub, “Nel cuore segreto del male” (Anordest, 2013)
- Tania Carver, “The Surrogate” (Anordest, 2013)
- Amir Valle, “Le porte della notte” (Anordest, 2013)
- Tare Tereba, “Il gangster. La vera storia di Mickey Cohen, il criminale dei criminali” (Newton Compton, 2013)
- Mike Tyson, “True – La mia storia” (Piemme, 2013)
- Alain Ferdière (con contributi di Armand Desbat, Monique Dondin-Payre e William Van Andringa), “Gallia Lugdunensis”, nell’ambito della serie “Roma e l’Impero” (Mondadori, 2013), uscita in volumi allegati al “Sole 24 Ore”, a “Panorama” e a “TV Sorrisi e Canzoni”
- Jorge Mario Bergoglio, “Siate forti nella tenerezza” (Rizzoli, 2014)
- Rudolf Abraham, “Croazia” (White Star, 2014)
- Caroline Moorehead, “Un treno per Auschwitz” (Newton Compton, 2014)
- Felix Weinberg, “Bambino n° 30529” (Newton Compton, 2014)
- Damien Lewis, “Cacciatori di nazisti” (Newton Compton, 2016)
- Gerald Posner, “I banchieri di Dio” (Newton Compton, 2016)
- Kenneth Krabat, “Rosso.Niente.” (Kipple Officina Libraria, 2017)
- Sefy Hendler, “Un mostro grazioso e bello. Bronzino e l’universo burlesco del Nano Morgante” (Maschietto Editore, 2017)
- Christiane Taubira, “La schiavitù spiegata a mia figlia” (Baldini e Castoldi, 2017)
- Joseph Wresinski, “I poveri. Incontro del vero Dio” (Jaca Book, 2017)
- Francesco Ammannati, “Disponibilità di cibo e modelli di consumo alimentare a Firenze e in Toscana nell’Italia unita” (“Food availability and food consumption patterns in Florence and Tuscany in the late 19th century”), articolo inserito nel volume Florence: Capital of the Kingdom of Italy, 1865-71 (Bloomsbury Publishing, 2017)
-Sylvie e Noémie D’Esclaibes, “Bambini senza paura con il metodo Montessori. Come crescere curiosi, autonomi e intraprendenti” (Sperling & Kupfer, 2018)
- “Il libro di Shakespeare. Grandi idee spiegate in modo semplice” (Gribaudo – Penguin Random House, 2018)
- Daniela Sacerdoti, “Tienimi accanto a te” (Newton Compton, 2018)
- Nora Mc Keon, “Food governance. Dare autorità alle comunità. Regolamentare le imprese” (Jaca Book, 2019)
- Edmundo Paz Soldán, Gustavo Faverón Patriau (a cura di), “Bolaño selvaggio” (Miraggi Edizioni, 2019)
- Arsène Wenger, “La mia vita in bianco e rosso” (Baldini & Castoldi, 2020)
- Kamala Harris, “Le nostre verità” (La Nave di Teseo, 2021)

- Numerose parti di guide turistiche “Lonely Planet” (per la casa editrice EDT), oltre a una Rough Guide sulla Malaysia (per Feltrinelli) e a una guida National Geographic Traveller sulla Croazia (per Gruppo AG Edit).

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I CAPOLAVORI DI GEORGE ORWELL (raccontati dal suo traduttore Enrico Terrinoni) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/01/13/i-capolavori-di-george-orwell-raccontati-dal-suo-traduttore-enrico-terrinoni/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/01/13/i-capolavori-di-george-orwell-raccontati-dal-suo-traduttore-enrico-terrinoni/#comments Wed, 13 Jan 2021 06:00:57 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8683 “I capolavori di George Orwell” (Newton Compton), nel racconto del curatore e traduttore Enrico Terrinoni

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Il nuovo appuntamento dello spazio di Letteratitudine chiamato Vista dal traduttore (dedicato, per l’appunto, al lavoro delle traduttrici e dei traduttori letterari) è incentrato sui romanzi di George Orwell, ripubblicati in nuova edizione da Newton Compton: I capolavori” [che include: La fattoria degli animali • 1984 • Senza un soldo a Parigi e a Londra • Giorni in Birmania • Omaggio alla Catalogna], a cura di Enrico Terrinoni e con le traduzioni di Enrico Terrinoni, Andrea Binelli, Francesco Laurenti e Fabio Morotti.

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“I capolavori” di George Orwell (Newotn Compton): La fattoria degli animali • 1984 • Senza un soldo a Parigi e a Londra • Giorni in Birmania • Omaggio alla Catalogna

A cura di Enrico Terrinoni e con le traduzioni di Enrico Terrinoni, Andrea Binelli, Francesco Laurenti e Fabio Morotti.

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TRADURRE ORWELL

di Enrico Terrinoni

Nei dibattiti sulla traduzione ci si è posti per tanti anni un falso quesito riguardante l’impossibilità di tradurre, soprattutto certi tipi di testi, certi generi. Si è detto che tradurre la poesia, ad esempio, è impossibile, oppure che esistono alcuni testi intraducibili.

Io ho sempre creduto necessario rimpiazzare la domanda “tradurre si può?” con l’affermazione “tradurre si deve”. Perché sulla traduzione si basa la civiltà. Sullo scambio, prima di tutto di informazioni, sulla comunicazione, e ogni comunicazione è una forma di traduzione. Non bisogna scomodare i modelli che chiamano in causa la traduzione intra- e interlinguistica per capire che qualunque transfer informativo si basa su dinamiche traduttive, ovvero, su dinamiche di cambiamento. Perché la traduzione è prima di tutto cambiamento: per questo non regge l’idea della sua impossibilità.

Certamente, non si può tradurre lasciando le cose come stanno, o riproducendo un messaggio (o un testo) identico all’originale, perché traducendolo quel messaggio (e quel testo), li avremo cambiati in tutto e per tutto sin nelle minime unità. Linguistiche prima di tutto, ma anche culturali, se è vero che trapiantare un’idea proveniente da una data cultura in una cultura altra, significa per forza di cose adattarla a un nuovo contesto.

Allora, cosa resta, nella traduzione? Cosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure, quando un testo passa dalla sua conformazione d’origine alla sua nuova vita in un’altra lingua e in un’altra cultura? Questo è il vero quesito che dobbiamo porci. Perché è in base alla risposta che si giudicherà buona o cattiva una traduzione, e competente o meno un traduttore.

Anche qui, il giudizio non è facile, perché, al netto di quelli che possono essere gli errori traduttivi, le sviste, le imprecisioni, le deviazioni dovute al passaggio dalla traduzione alla revisione (che comporta inevitabilmente l’ingresso nel testo di altre visioni, di altre interpretazioni, di altre teste), ognuno legge un testo a suo modo, riempiendolo di una gamma di significati secondari che vanno a colorire quello che si pensa intrappolato nel testo di partenza, e che si immagina si sia liberato dalla testa di partenza, ovvero dall’autore.

Tradurre appartiene al genere interpretare, e interpretare significa in primo luogo vivere, esistere, poiché è impossibile vivere senza interpretare. E l’interpretazione dà vita ai fraintendimenti a volte, poiché ci tuffa (e ci truffa) all’interno di una rete di intendimenti vari: ci ritroviamo appunto “fra intendimenti”. E dobbiamo mediare.

Ecco cos’è tradurre: mediare. Mediare tra le teste, tra i testi, tra le possibilità, mai puntando alla fissità di un messaggio, ma comprendendone la sua mutevolezza. Perché in traduzione tutto cambia, tutto scorre. Pánta rheî come dice il peluche che ho sul comodino e che accompagna da sempre le mia traduzioni (per questo l’ho chiamato Panda Ray).

Ora, quel che è vero è che esistono testi e autori tradurre i quali comporta sfide maggiori. Tra loro i classici, e tra questi Orwell. Ma prima di spendere due parole su questo, vorrei dire che per me un classico è un libro che parla al futuro, il cui significato dunque si adatta, si adatterà, non rimane fisso. Altrimenti non ci direbbero più niente i classici.

Se l’Iliade servisse soltanto come documento archeologico per comprendere le condizioni delle guerre nell’antica Grecia, la portata del suo messaggio sarebbe limitata. Prenderlo invece come un testo che rivela la natura dei contesti che portano alle guerre, che descrive le reazioni, le esistenze, di chi è coinvolto nei conflitti, lo rende assai più interessante, utile, e dunque rivelatore.

Così Orwell: bisogna leggerlo con le lenti del futuro. Non per distanziarsi dal suo messaggio e dal suo contesto originario, ma perché dobbiamo comprendere cosa ha da dirci oggi.

E allora, quando ho accettato di tradurre due sue opere chiave (Animal Farm e 1984), e di curare un volume che ne includesse altre tre (Down and Out in Paris and London, Burmese Days, e Homage to Catalonia), coinvolgendo ottimi colleghi e amici traduttori quali Andrea Binelli, Francesco Laurenti e Fabio Morotti, mi sono chiesto in primo luogo cosa potessero quelle opere restituirci, non nei termini statici di un quadro e una fotografia di un passato, ma in quelli dinamici di una profezia sul futuro.

Quando ad esempio, di fronte a 1984 mi sono posto il problema dei problemi, ovvero come risolvere oggi l’impasse creata dal fatto che in passato la locuzione Big Brother, che sta per “fratello maggiore”, sia stata resa con “Grande fratello”, per evitare da un lato l’imprecisione, e dall’altro, sapendo di tradurre principalmente per il futuro, e dunque per le nuove generazioni, l’effetto televisivo (ritengo più probabile che un teenager associ oggi la dicitura al famoso programma, ancor prima che al famoso classico), ho optato per la soluzione inglese. Il mio Big Brother si chiama infatti Big Brother.

Si dirà: ma in questo caso la traduzione non è cambiamento: hai lasciato le cose come stavano! No, perché il nuovo testo, inglese, si incista su un reticolo culturale italiano, e le sue connotazioni cambiano non in quanto cambia il testo, ma in quanto cambia il contesto. Ma lasciando da parte queste considerazioni che trovo noiose, vorrei dire due parole sulla conseguenza di questa scelta.

Infatti, per coerenza anche con il fatto che il libro ha tra i protagonisti una nuova lingua, il Newspeak, che modifica non il linguaggio generale, ma l’Inglese, detto Oldspeak, scegliere di “tradurre” Big Brother ha portato a dover tenere, o ricreare, in Inglese anche le altre parole nuove.

Alcune espressioni ponevano problemi, come quella che era stata tradotta psicopolizia, la thought police. Ora, un italiano anche digiuno di Inglese saprà riconoscere che police è “polizia”, ma non ero certo che potesse individuare altrettanto facilmente che thought sia “pensiero”. E allora, la mia traduzione, dovendo mantenere l’Inglese, ha optato per mental police, più riconoscibile, e anche sottile poiché l’aggettivo mentale in Inglese (e qui mi rivolgo a quanti invece con la lingua hanno familiarità) significa anche “folle” (chi può negare che l’idea di una megapolizia salviniana in grado di entrarci nel pensiero sia qualcosa di folle?).

Stesso ragionamento per Crimestop, ossia la capacità di fermarsi automaticamente prima di commettere un crimine. Qui la parola facile era stop, quella difficile crime. E allora, nella mia “resa” diviene Criminalt: un alt al crimine, ma anche un introiettare questo impulso in una personalità criminale.

Spero che questi esempi servano da raccordo tra la prima e la seconda parte di questo mio breve intervento, inteso a dichiarare urbi et orbi che tradurre è cambiare, perché tradurre è rendere. È una resa, perché ti puoi arrendere, ma quando non ti arrendi (e si spera capiti sempre meno spesso ai traduttori), diviene l’unico modo di veicolare un testo (e un messaggio) cambiandolo per forza di cose, ma consentendo, come dicevo prima, a qualcosa di rimanere, tra le pagine chiare e le pagine scure dei libri che abbiamo letto e leggeremo.

(Riproduzione riservata)

© Enrico Terrinoni

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undefinedLa scheda del testo: “I capolavori” di George Orwell (Newton Compton): La fattoria degli animali • 1984 • Senza un soldo a Parigi e a Londra • Giorni in Birmania • Omaggio alla Catalogna

La fattoria degli animali (1945) è una favola in cui gli animali soppiantano gli umani espropriando la fattoria in cui lavorano sotto continui maltrattamenti. Dopo aver cacciato gli uomini la gestiscono autonomamente, fino a quando lo spirito rivoluzionario non sarà tradito e verranno a imporsi altre forme di sfruttamento: un’allegoria delle rivoluzioni trasformatesi in autoritarismi, o anche un esempio di letteratura per l’infanzia in cui si legge in controluce la lotta eterna tra giustizia e ingiustizia. 1984 (pubblicato nel 1949) è l’ultima opera di Orwell e il suo classico per eccellenza. Romanzo distopico, vede la storia di una società futuristica e disumanizzata, rigidamente divisa in classi e dominata da un’ideologia perversa che sovverte i valori basilari della civilizzazione, come anche i cardini della comunicazione, primo tra tutti il linguaggio. È, paradossalmente, sia una visione apocalittica dell’evoluzione del socialismo agli occhi di un autore anarchico, sia una feroce critica di tutti i capitalismi, colpevoli di proporre propagandisticamente visioni distorte della realtà. Senza un soldo a Parigi e a Londra (1933), l’opera prima di George Orwell, è un prezioso scritto che contamina autobiografia, invenzione e reportage, una perla della letteratura della working-class. Ma il primo, vero romanzo è Giorni in Birmania (1934), in cui Orwell demistifica l’imperialismo inglese, denunciandone il razzismo e svelando la falsa coscienza degli europei. Omaggio alla Catalogna (1938) è un resoconto personale della Guerra Civile Spagnola, a cui Orwell partecipò; la sua è una testimonianza diretta e al contempo un’opera di grande interesse storico. È anche il racconto di un’utopia, di quel sogno interrotto che condusse l’autore alla stagione delle distopie che lo avrebbe reso immortale.

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Libri di George OrwellGeorge Orwell è lo pseudonimo di Eric Arthur Blair, nato in India da una famiglia scozzese nel 1903 e morto a Londra nel 1950. Giornalista culturale, saggista, critico letterario, Orwell è oggi considerato uno dei maggiori autori di lingua inglese del Novecento. Partecipò alla guerra civile spagnola contro Franco; da posizioni socialiste, passò in seguito a una dura critica del regime staliniano. La Newton Compton ha pubblicato 1984, La fattoria degli animali e il volume unico I capolavori (La fattoria degli animali; 1984; Senza un soldo a Parigi e a Londra; Giorni in Birmania; Omaggio alla Catalogna).

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Enrico Terrinoni, nato a Gorizia nel 1976, è professore ordinario d’Italia di Letteratura Inglese all’Università per Stranieri di Perugia, e in precedenza Research Fellow alla Indiana University, Visiting Research Scholar e poi Visiting Fellow alla Notre Dame University, e Research Fellow allo University College Dublin, e research Scholar alla Marsh’s Library, Dublin. Ha tradotto numerosi romanzi tra cui Ulisse di Joyce (Premio Napoli per la Lingua e la Cultura Italiana, 2012) e con Fabio Pedone Finnegans Wake di Joyce (Premio Annibal Caro 2017), ma anche L’antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters (Premio Von Rezzori Città di Firenze, 2019). Altri autori tradotti includono Nathaniel Hawthorne, Oscar Wilde, Brendan Behan, Bobby Sands, Michael D. Higgins, Alasdair Gray, John Burnside, George Orwell e GB Shaw. Ha scritto numerosi libri tra cui, sulla traduzione, Oltre abita il silenzio. Tradurre l’Ombra (Il saggiatore, 2019). È Presidente della James Joyce Italian Foundation, e scrive su il manifesto, Left, il tascabile.

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WANN-CHLORE, JANE LA PALLIDA di Honoré de Balzac (raccontato da Mariolina Bertini, traduttrice italiana del romanzo) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/04/08/wann-chlore-jane-la-pallida-di-honore-de-balzac/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/04/08/wann-chlore-jane-la-pallida-di-honore-de-balzac/#comments Wed, 08 Apr 2020 05:22:29 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8451 “Wann-Chlore, Jane la pallida” di Honoré de Balzac (raccontato da Mariolina Bertini, traduttrice italiana del romanzo)

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Il nuovo appuntamento dello spazio di Letteratitudine chiamato Vista dal traduttore (dedicato, per l’appunto, al lavoro delle traduttrici e dei traduttori letterari) è incentrato sul romanzo “Wann-Chlore, Jane la pallida” di Honoré de Balzac (Edizioni Clichy – traduzione di Mariolina Bertini ): uno dei romanzi meno noti di Balzac, mai pubblicato in italiano se non in forma edulcorata e introvabile dagli anni Trenta del Novecento, proposto adesso in una nuova traduzione di Mariolina Bertini e con un’introduzione di Alessandra Ginzburg.

Mariolina Bertini ha insegnato all’Università di Parma dal 1988 al 2017, ha studiato Proust e Balzac e ha pubblicato nel 2017 presso Pendragon Torino piccola. Una giovinezza del XX secolo e nel 2019 presso Carocci L’ombra di Vautrin. Proust lettore di Balzac.

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Honoré de Balzac, Wann-Chlore, Jane la pallida, ed. orig. 1825, trad. di Mariolina Bertini, introduzione di Alessandra Ginzburg, Clichy, Firenze, 2020, pp. 479

di Mariolina Bertini

Non è un’impresa che si affronti a cuor leggero, tradurre Balzac. Già i suoi contemporanei restavano spiazzati davanti al suo linguaggio in cui confluivano i gerghi di tutte le professioni, i neologismi alla moda, gli arcaismi mutuati dal suo amatissimo Rabelais. I giornalisti protestavano. La lingua dei suoi romanzi non era il bel francese chiaro, cartesiano dei classici: era “un ‘altra cosa”. I primi a capire che questa “altra cosa” era uno strumento meraviglioso per raccontare la modernità, furono il poeta Théophile Gautier e il critico Hippolyte Taine: oggi è un dato acquisito, che nessuno mette più in discussione. Ma per i traduttori, trasferire quel meraviglioso, sofisticato strumento da una lingua all’altra, è un’ardua prova.
L’ho affrontata volentieri, questa prova, per rimettere in circolazione un’opera misconosciuta di Balzac, il romanzo giovanile Wann-Chlore, la cui ultima versione era arrivata nelle librerie italiane cent’anni fa.  La traduzione è stata un costante esercizio di equilibrismo: evitare gli anacronismi, rendendo al tempo stesso la prosa balzachiana accessibile al lettore italiano d’oggi senza fatica, con naturalezza e piacere.  I lettori – sperando che ci siano – diranno se ci sono riuscita.
Wann-Chlore è, nell’improbabile inglese di Balzac, il nome dell’eroina del romanzo: all’inizio della storia, una quindicenne pallida e quasi fantasmatica, ma dal fascino irresistibile. Al tempo delle guerre napoleoniche, pur essendo inglese, vive con il padre adottivo a Parigi, in quella che è oggi Place des Vosges; con il suono incantato della sua arpa, affascina un giovane aristocratico, Horace Landon. Le melodie irlandesi di Thomas Moore, i suoi versi sugli amori degli angeli accompagnano la nascita di un amore intenso e puro; ma Horace deve partire per la Spagna con l’esercito di Napoleone, e l’idillio dovrà proseguire di lontano.  Horace affida Wann alle cure del suo più caro amico, l’italiano Annibal Salvati. Ma l’amico si invaghisce a sua volta del poetico pallore della giovane inglese e ordisce un perfido intrigo per separare i due innamorati. Tornato in Francia e convinto di essere stato abbandonato da Wann, Horace va a vivere in un villaggio, lontano da Parigi; qui, senza aver dimenticato il suo primo amore, è colpito dalla bellezza e dall’infelicità della dolce Eugénie d’Arneuse, vittima di una madre arrivista, civetta, gelida e autoritaria.  Dopo molte esitazioni, Horace decide di raccontare tutta la sua storia a Eugénie e di chiederla in moglie, mosso più da una fraterna compassione che da autentico amore. Eugénie invece prova per lui la prima, violentissima passione della sua vita, e accetta di sposarlo, pur comprendendo che l’ombra di Wann peserà sempre sulla loro unione.  La vicenda si complicherà con il suicidio di Salvati e la ricomparsa di Wann, che si è ritirata a vivere in un suggestivo ritiro all’ombra della cattedrale di Tours.  Trascinati dalla fatalità, Eugénie, Wann e Horace vivranno fino in fondo, ciascuno a suo modo, l’esperienza dell’amore romantico, in cui si confondono egoismo ed ebbrezza del sacrificio, erotismo e slanci mistici, sogni allucinati e crudeli ritorni alla realtà.
Balzac non incluse Wann-Chlore, scritto tra il 1822 e il 1825, nella Commedia umana, pur ristampandolo nel 1836.  Era troppo prossimo, con le sue eroine angeliche e con le inquietanti apparizioni del traditore Salvati, al mondo fantastico del romanzo gotico, che non poteva trovar posto nella sua fedele raffigurazione della civiltà contemporanea.  Ma proprio l’atmosfera così peculiare di quest’opera giovanile lontana dal realismo la rende oggi per noi particolarmente attraente e suggestiva.

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Un estratto del libro

[Il rifugio di Wann-Chlore a Tours e la cattedrale di Saint-Gatien]

Il luogo che Wann-Chlore aveva scelto per ritirarsi non era privo di fisionomia. I luoghi non hanno forse, come le persone, caratteri diversi? E poi, come l’amicizia si fonda soltanto su certi rapporti tra le anime, l’anima, che ha una sorta d’amicizia per le cose, non instaura sempre, con  istinto meraviglioso,  una segreta armonia tra se stessa e le realtà con le quali deve incessantemente confrontarsi? La nostra anima si tradisce così attraverso piccoli indizi che non sfuggono all’occhio dell’osservatore, e Wann-Chlore lasciava indovinare i suoi segreti pensieri attraverso il solo aspetto della sua dimora.
La cattedrale di Saint-Gatien è uno di quei grandi monumenti con i quali gli architetti del Medio Evo hanno abbellito la Francia.
Questa architettura ha la particolarità di riuscire a  unire l’abbondanza, la minuzia, perfino la bizzaria degli ornamenti alla grandezza, all’audacia dell’insieme: dov’è il vero Dio, sembra che là sia il sublime,  e che ci sia posto per le rappresentazioni più fantastiche delle creature. In effetti, se la vista, dopo esser salita sino al cielo con le piccole cupole delle guglie, si abbassa sulla basilica, allora i numerosi archi di sostegno che sembrano moltiplicarsi, i pilastri che raffigurano diversi alberi riuniti, incoronati dal loro fogliame a guisa di capitello,  e una  moltitudine di animali scolpiti, offrono all’occhio lo spettacolo di una foresta incantata . Ci sono tutte le creature sorte dal pensiero del Dio vivente, la loro folla è animata: alcune si arrampicano, altre strisciano, tutte giocano; questa non è più una pietra messa per respingere le acque del cielo, è un abitante del Nilo; tutte sono allineate con ordine, e par di indovinare che un pensiero bizzarro abbia dominato l’architetto  quando innalzò questo monumento.  Sembra perfino che la natura  si sia preoccupata di dare alla massa imponente di questo edificio un’espressione tutta romantica: nubi di corvi ne abitano continuamente le vette e il loro funebre canto  presta una voce terribile a questa dimora del Dio vendicatore.
Questa cattedrale,  cui il passaggio dei secoli ha lasciato in eredità una patina scura, è circondata da grandi edifici,  neri quanto i numerosi archi che proteggono le sue cappelle laterali . Nel luogo in cui, dietro il santuario, gli archi si riuniscono e abbondano, come a proteggere il santo dei santi, c’è  poi una piazzetta triste e silenziosa; l’erba vi cresce tra i sassi del selciato, è deserta come un luogo d’orrore …
Lì abitava Wann-Chlore, protetta da una duplice barriera di pace e di silenzio. A volte quella spaventosa solitudine era turbata, ma soltanto dalle mille voci del popolo, e i canti di terrore o di gioia, i canti religiosi, attraversando i muri, venivano a morire al suo orecchio come i rumori dei flutti del mondo abitato  giungono a un’anima che prende il volo verso i cieli.

(Riproduzione riservata)

© Edizioni Clichy

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Wann-Chlore. Jane la pallida - Honoré de Balzac - copertinaLa scheda del libro

Nel 1825 Honoré de Balzac, a 26 anni, pubblica anonimamente il più ambizioso dei suoi romanzi giovanili, “Wann-Chlore”. Si ispira nell’intreccio a un dramma giovanile di Goethe, “Stella”, che affronta il tema di un uomo diviso tra l’amore di due donne. È questa anche la situazione del protagonista di “Wann-Chlore”, un giovane ufficiale di nobile e ricca famiglia, Horace Landon. Durante le guerre napoleoniche, Horace vive un’intensa e romantica storia d’amore con una fanciulla inglese, Wann-Chlore. Credendosi però tradito da lei, in seguito a un complesso inganno ordito da un falso amico, sposa nel 1814 Eugénie, dolce e devota creatura martirizzata da una madre ambiziosa e durissima. Quando, troppo tardi, Horace scopre che Wann-Chlore non l’aveva mai tradito, abbandona Eugénie e torna da lei. Eugénie però non si rassegna: si fa assumere sotto falso nome al servizio della rivale e sviluppa verso di lei una sorta di complesso e tormentato odio-amore. La situazione precipiterà verso uno scioglimento tragico, che riunirà gli amanti in una «morte d’amore» simile a quella di Tristano e botta. Lungamente elaborato da Balzac tra il 1822 e il 1825, “Wann-Chlore” alterna episodi più realistici (come i rapporti di Eugénie con la madre) a parti dall’atmosfera fantastica e onirica, ispirate al romanzo gotico. Balzac lo ripubblicherà nel 1836, insieme ad altre opere giovanili, in un’edizione censurata e ridotta, con il titolo “Jane la Pale”.

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LA RAGAZZA NELL’ACQUA di Robert Bryndza (raccontato dalla traduttrice italiana del romanzo) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/02/08/la-ragazza-nellacqua-di-robert-bryndza/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/02/08/la-ragazza-nellacqua-di-robert-bryndza/#comments Fri, 08 Feb 2019 14:00:49 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8074 LA RAGAZZA NELL’ACQUA di Robert Bryndza: il nuovo romanzo del bestsellerita inglese residente in Slovacchia, tradotto da Beatrice Messineo

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Il nuovo appuntamento dello spazio di Letteratitudine chiamato “Vista dal traduttore” (dedicato, per l’appunto, al lavoro delle traduttrici e dei traduttori letterari) è incentrato sul romanzo “La ragazza nell’acqua” di Robert Bryndza (Newton Compton Editori – traduzione di Beatrice Messineo).

Beatrice Messineo ci introduce nel suo “laboratorio di traduzione” e di parla di questo nuovo romanzo del bestsellerita inglese, che vive in Slovacchia, autore di “La donna di ghiaccio”, il libro più letto in Italia in versione digitale nel 2017, 2 milioni e mezzo di copie nel mondo, tradotto in 28 Paesi.
La ragazza nell’acqua” è il terzo thriller della serie che ha come protagonista la detective Erika Foster, la poliziotta slovacca immigrata in Inghilterra dal carattere forte e risoluto, ispirata alla Clarice Starling di Thomas Harris.

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di Beatrice Messineo

Quando ho iniziato a tradurre La ragazza nell’acqua, ho salutato la protagonista Erika Foster come una vecchia amica. Avevo seguito da vicino anche gli altri due volumi della serie – La donna di ghiaccio e La vittima perfetta – dunque non si può dire che fossi completamente estranea alle dinamiche e ai personaggi. Quello che ha dotato Erika e gli altri co-protagonisti di una consistenza tale da renderli reali è una sottile costruzione dei personaggi, che Bryndza ci presenta con una precisione quasi maniacale. Dalla scelta dei vestiti al modo in cui arredano la casa, da un particolare tic ai vari toni di voce, dai silenzi esitanti alle esplosioni di rabbia o impazienza, l’autore non lascia nulla al caso e attraverso gesti, reazioni, parole e riflessioni guida alla scoperta della psiche e dell’emotività dei diversi personaggi. Proprio per la complessità di queste sfaccettature risulta difficile dividere nettamente i vari protagonisti del romanzo in buoni e cattivi. Il confine fra male e bene è fluido e non delineato, e spinge a interrogarsi sui propri giudizi, a volte senza riuscire a stabilire una linea netta fra innocenza e colpevolezza. Va da sé che di vitale importanza è stato, nel corso della traduzione, dare il giusto rilievo a tutti questi dettagli e restituire una fedele immagine degli intricati processi della mente umana. Individuare le sfumature dei verbi, interrogarmi sulla scelta delle parole da parte dell’autore, trovare il termine più adatto, cercare la voce unica dei personaggi e renderla correttamente per ognuno di loro: è così che ho provato a tradurre la complessità del mondo rappresentato da Robert Bryndza.
A volte, però, questo forte descrittivismo si presentava come un’arma a doppio taglio, soprattutto per il rigore e la minuziosità con cui venivano caratterizzate le ambientazioni o le autopsie eseguite dal medico legale (a scuola non andavo forte in scienze!). Ricordo di aver consultato anche qualche amico medico, chiedendo riscontro su quanto scritto e, soprattutto, su come era stato scritto: volevo accertarmi che il linguaggio medico fosse corretto e che non suonasse forzato, proprio perché tutto il romanzo è improntato a un forte realismo. L’obiettivo è stato riprodurre fedelmente l’accurata ricerca svolta dall’autore: dalla prassi delle indagini, ai gradi dei poliziotti coinvolti, dagli esami sulla scena del crimine a quelli sul cadavere. Ma non si tratta solo di toni e atmosfere: la precisione della narrazione riguarda anche e, soprattutto, il dispiegarsi delle indagini, che poi sono il punto focale di un giallo.
La narrazione è in terza persona, ma segue i punti di vista di diversi personaggi le cui storie finiscono per intrecciarsi, che ne siano consapevoli o no. Questa sorta di onniscienza contribuisce fortemente alla suspense e confesso che più di una volta mi sono ritrovata a scorrere velocemente le pagine per scoprire cosa fosse successo. Ma non solo. Contribuisce a scavare a fondo nell’ipocrisia che, come nella realtà, rischia di avvolgere i sistemi chiusi. E il romanzo gioca molto sull’idea che non tutto è come sembra, tanto che le reazioni che uno stesso personaggio suscita nel lettore sono di volta in volta molto contrastanti e lo coinvolgono emotivamente nella storia: e il traduttore, in fondo, è una sorta di lettore privilegiato.
Per la mia breve esperienza, i libri che, mentre traduco, riescono a farmi ridere, piangere o urlare davanti allo schermo del PC sono sempre i migliori.
Con l’autore ho avuto qualche semplice scambio via social, soprattutto tramite Instagram su cui lui è molto attivo. Ammetto che osservarlo nella vita reale, o virtuale che sia, è stato utile per conoscerlo e comprenderlo quel tanto in più da permettermi di ritrovarlo in qualche aspetto dei suoi personaggi.
Le traduzioni necessitano di un approccio olistico, un po’ come la musica: non sono solo le parole a essere importanti ma la melodia, il contributo di ogni singolo strumento e accordo che, anche se non lo si nota subito, c’è. E devo dire che, quando inizio a tradurre, mi accompagno con una vera orchestra che va dai dizionari ai siti che possono essermi utili, dalle persone con competenze specifiche a cui chiedere conferme, ai meravigliosi revisori con cui ho avuto modo di collaborare.

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La scheda del libro

Il detective Erika Foster ha appena ricevuto una soffiata che le indica il luogo in cui è nascosta la prova per sventare un grosso traffico di droga. Seppure sospettosa, ordina la perquisizione di una cava in disuso alla periferia di Londra. Quello che non si aspetta è che, scavando nel fango, oltre alla droga venga ritrovato un piccolo scheletro, subito identificato. Si tratta di Jessica Collins, scomparsa ventisei anni prima all’età di soli sette anni. Il caso fece un grandissimo scalpore e il mistero dietro la scomparsa di Jessica non venne mai risolto. Cominciando a indagare grazie alle nuove prove, Erika si addentra in un caso difficilissimo, in un costante alternarsi di passato e presente. Dovrà fare i conti con i segreti della famiglia Collins, i rimorsi del detective divorato dal senso di colpa per non aver mai ritrovato Jessica, e un altro omicidio avvenuto vicino alla cava. Chi conosce la verità? E perché qualcuno non vuole che il caso venga finalmente chiuso?

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ROBERT BRYNDZA, dopo anni dedicati alla scrittura, si è conquistato una fama incredibile con il suo thriller d’esordio, La donna di ghiaccio, che in pochi mesi ha scalato le classifiche ed è in corso di traduzione in 28 Paesi. I romanzi incentrati su Erika Foster sono bestseller internazionali che contano oltre 2,5 milioni di copie vendute. Dopo La donna di ghiaccio e La vittima perfetta, La ragazza nell’acqua è il terzo romanzo della serie. Robert è inglese e vive in Slovacchia con suo marito Ján. Per saperne di più: robertbryndza.com

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Beatrice Messineo è una traduttrice di origine marchigiana che vive a Formia, in provincia di Latina. Da sempre appassionata di lingue e letteratura, nel 2017 traduce il primo libro per la Newton Compton Editori, I 3000 di Auschwitz, e nell’ottobre dello stesso anno si laurea alla facoltà di Mediazione Linguistica di Macerata con un elaborato finale in lingua inglese sulle “Strategie di traduzione dei titoli nelle opere letterarie fiction”.
Rincorrendo la passione per la traduzione letteraria, frequenta diversi corsi di formazione fra cui quello tenuto nel 2018 dalla casa editrice Minimum Fax, durante il quale ha modo di confrontarsi con traduttori del calibro di Tiziana Mennella, Adelaide Cioni e Luca Briasco.
Quando non traduce – e spesso anche mentre lo fa – Beatrice legge, viaggia, balla e inventa nuovi liquori.

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PATRIA di Fernando Aramburu: traduzione di Bruno Arpaia http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/02/23/patria-di-fernando-aramburu-traduzione-di-bruno-arpaia/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/02/23/patria-di-fernando-aramburu-traduzione-di-bruno-arpaia/#comments Fri, 23 Feb 2018 16:23:08 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7705 PATRIA di Fernando Aramburu (Guanda): un libro di grande successo ottimamente tradotto da Bruno Arpaia

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di Massimo Maugeri

Il nuovo appuntamento dello spazio di Letteratitudine chiamato “Vista dal traduttore” (dedicato, per l’appunto, al lavoro delle traduttrici e dei traduttori letterari) è incentrato sul romanzo Patriadi Fernando Aramburu e sulla traduzione in italiano di Bruno Arpaia.

Bruno Arpaia è anche giornalista culturale e scrittore. Ne approfitto per segnalare questo post (con il suo Autoracconto d’autore) dedicato al suo più recente romanzo intitolato “Qualcosa, là fuori” (Guanda)

“Patria” di Fernando Aramburu è stato – anche nel nostro Paese – uno dei casi letterari (e uno dei romanzi più venduti) del 2017, rientrando nell’ambìta “categoria” di libri che unisce il successo commerciale al grande riscontro di pubblico. D’altra parte non è trascurabile il sostegno che il Premio Nobel per la Letteratura 2010 Mario Vargas Llosa gli ha voluto offrire con la seguente dichiarazione (che leggiamo sulla copertina del libro): «Da molto tempo non leggevo un romanzo così persuasivo, commuovente, e così brillantemente concepito.»

Il romanzo racconta di due famiglie basche che abitano in un paesino dalle parti di San Sebastián. Due famiglie che hanno sempre vissuto all’insegna dell’amicizia e del reciproco sostegno… fino a quando la loro storia non si incrocia con quella dell’ETA e con un attentato terroristico che costerà la vita a uno dei due capofamiglia (il Txato, titolare di una ditta di trasporti, che non si è voluto piegare a messaggi intimidatori a scopo estorsivo ricevuti dall’organizzazione terroristica). Una morte che non crea solo dolore, ma anche divisioni e allontanamenti (per ulteriori dettagli sulla trama rinvio alla scheda del libro inserita alla fine del post).

Rivolgo a Bruno Arpaia un paio di domande su questo fortunato libro da lui brillantemente tradotto…

- Caro Bruno, partendo dal presupposto che puoi godere di una “visuale privilegiata” nel tuo molteplice ruolo di lettore, scrittore, giornalista culturale e (ovviamente) traduttore dell’opera in questione… cos’è che più di ogni altra cosa hai apprezzato in “Patria” di Fernando Aramburu?
«Ne ho apprezzate moltissime, dall’architettura del libro, che manipola meravigliosamente il tempo, alla lingua, capace di spaziare su moltissimi registri e di adattarsi come un vestito ai diversi personaggi. Ed è proprio grazie a queste capacità che Aramburu è riuscito nella cosa, secondo me, più difficile: restituire in maniera perfetta l’ambiente, l’atmosfera dell’epoca nei Paesi Baschi, anche a chi, come me, li aveva frequentati in quegli anni; Aramburu ha saputo raccontare l’impatto della grande Storia e delle sue tragedie sulla vita delle persone comuni, la sensazione di respirare di continuo paura, sospetto, delazione, esaltazione ideologica, spirito gregario, ma anche disagio, ribellione individuale, senso di ingiustizia, pietas. E soprattutto l’ha fatto senza cedimenti «buonisti», ma con grande com-passione, schierandosi senza schierarsi, penetrando a fondo anche nella mente e nelle ragioni dei terroristi e del tessuto sociale che li sosteneva, guardando il male negli occhi, come dovrebbe fare qualunque bravo romanziere. Perché il Male è in ciascuno di noi, e spesso basta un contesto, qualche motivazione, di solito pretestuosa (come il nazionalismo), a cui aggrapparsi, per farlo venire a galla.»

- Quanto tempo hai impiegato a tradurlo? Hai avuto modo di confrontarti con l’autore su alcuni passaggi o non è stato necessario?
«Onestamente, non lo ricordo. L’anno scorso ho tradotto moltissimi libri e ho perso il conto. So soltanto che, per mia fortuna, sono un traduttore veloce; altrimenti, con quello che si viene pagati, il gioco non varrebbe la candela. Noi traduttori italiani siamo svantaggiatissimi rispetto ai nostri colleghi francesi, tedeschi, inglesi, spagnoli… Quanto al confronto con l’autore, la mia “filosofia” è quella di cercare di rompere le scatole il meno possibile agli autori che traduco, se non in casi davvero eccezionali, anche quando si tratta di miei cari amici. Succede anche a me quando i miei romanzi vengono tradotti all’estero e i colleghi stranieri mi chiedono lumi. Non dico assolutamente che sia una seccatura, anzi: un libro è sempre come un figlio che vorresti mandare in giro per il mondo nelle migliori condizioni; ma certamente bisogna impiegare molto tempo a spiegare, precisare, limare, appurare se in quella lingua eccetera eccetera… Perciò no, non c’è stato motivo di disturbare Fernando e non l’ho mai interpellato mentre traducevo. Ho, invece, discusso a lungo con il direttore editoriale e le bravissime redattrici della casa editrice sull’uso di alcuni tempi verbali e alla fine abbiamo trovato una soluzione soddisfacente per tutti.»

Grande successo qui da noi in Italia, ma – ovviamente – grande successo anche (e soprattutto) in Spagna per Fernando Aramburu. Oltre ad aver vinto il National Criticism, il Francisco Umbral e il Premio Letteratura Euskadi il Ministero della Cultura spagnolo gli ha assegnato il Premio Narrativo Nazionale, del valore di 20.000 euro. Secondo la giuria del premio, l’opera si distingue per “la profondità psicologica dei personaggi, la tensione narrativa e l’integrazione dei punti di vista, nonché per la volontà di scrivere un romanzo globale sugli anni convulsi nei Paesi Baschi “. Un libro che, in Spagna, ha cavalcato l’onda di ben ventidue edizioni e più di 500.000 copie vendute.

[Di seguito: un estratto del libro che pubblichiamo per gentile concessione dell'editore].

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Le prime pagine di PATRIA di Fernando Aramburu (Guanda – traduzione di Bruno Arpaia)

[Dalla lingua basca: Ama = madre, mamma (si pronuncia amà) - Aita = padre, papà (si pronuncia aità)]

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Eccola lì, la poverina. Va a infrangersi su di lui. Come s’infrange un’onda sugli scogli. Un po’ di schiuma e ciao. Non vede che non si prende nemmeno la briga di aprirle la portiera? Sottomessa, più che sottomessa.
E quelle scarpe con i tacchi e quelle labbra rosse a quarantacinque anni? Con la tua classe, figlia mia, con la tua posizione e i tuoi studi, cos’è che ti fa comportare come un’adolescente? Se l’aita fosse vivo…
Al momento di salire in macchina, Nerea rivolse lo sguardo alla finestra; immaginò che, dietro la tenda, sua madre la stesse come al solito osservando. E sì, anche se lei dalla strada non poteva vederla, Bittori la stava guardando con tristezza e con le sopracciglia aggrottate,
e parlava da sola e sussurrò eccola ll, la poverina, solo un ornamento di quel vanitoso a cui non è mai passato per la testa di far felice qualcuno. Non si rende conto che una donna dev’essere proprio disperata per cercare di sedurre il marito dopo dodici anni di matrimonio? In fondo è meglio che non abbiano avuto figli.
Nerea agitò brevemente la mano per salutare prima di infilarsi nel taxi. Sua madre, al terzo piano, nascosta dietro la tenda, distolse lo sguardo. Al di sopra dei tetti si vedevano un’ampia striscia di mare, il faro dell’isola di Santa Clara, nubi tenui in lontananza. La signorina delle previsioni del tempo aveva annunciato sole. E lei, ah, come mi sto facendo vecchia, guardò di nuovo la strada e il taxi era già scomparso.
Subito dopo, oltre i tetti, oltre l’isola e la linea blu dell’orizzonte, e oltre le nuvole remote e ancora più in là, nel passato perduto per sempre, cercò scene del matrimonio della figlia. E la vide di nuovo nella cattedrale del Buon Pastore, vestita di bianco, con il suo mazzo di fiori
e la sua eccessiva felicità, e all’epoca, guardandola all’uscita, così slanciata, cosi sorridente, così bella, l’aveva colta un brutto presentimento. La sera, quando era tornata da sola a casa, era stata lì lì per sedersi davanti alla foto del Txato e confessargli i suoi timori; ma aveva mal di testa e poi il Txato, nelle questioni di famiglia, tanto più trattandosi della figlia, aveva l’abitudine di diventare sentimentale. Aveva la lacrima facile, quell’uomo, e anche se le foto non piangono, insomma, ci siamo capiti.
I tacchi erano per risvegliare l’appetito a Quique. Non esattamente quello che si sazia mangiando. Toc, toc, toc, li aveva sentiti un po’ prima ticchettare sul parquet. Adesso me lo deride di buchi. Per quieto
vivere, non l’aveva rimproverata. Sarebbero rimasti per poco tempo. Erano venuti soltanto a salutare. E a lui, alle nove del mattino, la bocca sapeva già di whisky o di qualche liquore di quelli con cui traffica.
«Ama, sicuro che te la caverai da sola?»
«Perché non andate in autobus all’aeroporto? Il taxi da qui a Bilbao vi costerà un sacco.»
Lui:
«Non preoccuparti di questo».
Le valigie, la scomodità, la lentezza, spiegò.
«Sl, ma avete tempo, no?»
«Ama, non insistere. È deciso che andremo in taxi. È la cosa più comoda.»
Quique iniziava a spazientirsi.
«È l’unica cosa comoda.»
Aggiunse che andava a fumarsi una sigaretta in strada mentre parlavano. Si era messo un litro di profumo addosso, quell’uomo. Però la bocca gli sa di alcol e sono soltanto le nove del mattino. Salutò guardandosi allo specchio dell’ingresso. Presuntuoso. E poi, autoritario?, cordiale ma secco?, a Nerea:
«Sbrigati».
Cinque minuti, gli promise. Alla fine furono quindici. Da sole, a sua madre: che quel viaggio a Londra significava molto per lei.
«Faccio fatica a immaginare te che partecipi alle conversazioni di tuo marito con i clienti. Oppure, senza dirmi niente, ti sei messa a lavorare nella sua azienda?»
«A Londra farò un serio tentativo di salvare il nostro matrimonio.» «Un altro tentativo?»
«L’ultimo.»
«E stavolta quale sarà la tattica? Gli rimarrai attaccata così non te le mette con la prima che incrocia?»
«Ama, per favore. Non rendermi le cose più difficili.»
«Stai benissimo. Hai cambiato parrucchiera?»
«È sempre la stessa.»
Nerea abbassò di colpo il tono di voce. Ai primi bisbigli, la madre si voltò a guardare verso la porta di casa, come se temesse che qualche estraneo le stesse spiando. No, niente, è che avevano scartato l’idea di adottare un bambino. Da tanto che ne parlavano. Un cinese, un russo, un africano. Un maschietto o una femminuccia. Nerea non aveva perso la speranza, ma Quique si era tirato indietro. Lui vuole un figlio suo, carne della sua carne. Bittori:
«Adesso si è messo a parlare come la Bibbia?»
«Si crede moderno, ma è più tradizionale dell’ arroz con foche.»
Nerea si era informata per suo conto sulle pratiche per richiedere l’adozione e, sì, avevano tutti i requisiti. I soldi non erano un impedimento. Era disposta a viaggiare fino in capo al mondo e a essere
finalmente madre anche se non aveva dato alla luce la creatura. Però Quique aveva interrotto bruscamente la conversazione. No e poi no. «Un po’ insensibile, il ragazzo, non credi?»
«Desidera un maschietto tutto suo, che gli assomigli, che un giorno giochi nella Real Sociedad. È ossessionato, ama. E lo avrà. Uff, quando si fissa su qualcosa! Non so con chi. Con qualcuna che si presti. Non me lo chiedere. Non ne ho la minima idea. Prenderà un utero in affitto pagando quello che c’è da pagare. Per quanto mi riguarda, lo aiuterei a trovare una donna sana che gli faccia passare lo sfizio.»
«Sei fuori di testa.»
«Non gliel’ho ancora detto. Immagino che in questi giorni, a Londra, ce ne sarà occasione. Ci ho pensato bene. Non ho nessun diritto di pretendere che sia infelice.»
Si sfiorarono le guance accanto alla porta di casa. Bittori: si, se la sarebbe cavata da sola, buon viaggio. Nerea, dal pianerottolo, mentre aspettava l’ascensore, disse qualcosa sulla sfortuna, ma che non dobbiamo rinunciare all’allegria. Poi suggerì alla madre di cambiare lo zerbino.

(Riproduzione riservata)

© Guanda

© 2017 Ugo Guanda Editore S.r.l

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La scheda del libro

Con la forza della letteratura, Fernando Aramburu ha saputo raccontare una comunità lacerata, e allo stesso tempo scrivere una storia di gente comune, di affetti, di amicizie, di sentimenti feriti: un romanzo da accostare ai grandi modelli narrativi che hanno fatto dell’universo famiglia il fulcro morale, il centro vitale della loro trama.

Due famiglie legate a doppio filo, quelle di Joxian e del Txato, cresciuti entrambi nello stesso paesino alle porte di San Sebastián, vicini di casa, inseparabili nelle serate all’osteria e nelle domeniche in bicicletta. E anche le loro mogli, Miren e Bittori, erano legate da una solida amicizia, così come i loro figli, compagni di giochi e di studi tra gli anni Settanta e Ottanta. Ma poi un evento tragico ha scavato un cratere nelle loro vite, spezzate per sempre in un prima e un dopo: il Txato, con la sua impresa di trasporti, è stato preso di mira dall’ETA, e dopo una serie di messaggi intimidatori a cui ha testardamente rifiutato di piegarsi, è caduto vittima di un attentato… Bittori se n’è andata, non riuscendo più a vivere nel posto in cui le hanno ammazzato il marito, il posto in cui la sua presenza non è più gradita, perché le vittime danno fastidio. Anche a quelli che un tempo si proclamavano amici. Anche a quei vicini di casa che sono forse i genitori, il fratello, la sorella di un assassino. Passano gli anni, ma Bittori non rinuncia a pretendere la verità e a farsi chiedere perdono, a cercare la via verso una riconciliazione necessaria non solo per lei, ma per tutte le persone coinvolte.

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Fernando Aramburu, nato a San Sebastián nel 1959, ha studiato Filologia ispanica all’Università di Saragozza e negli anni Novanta si è trasferito in Germania per insegnare spagnolo. Dal 2009 ha abbandonato la docenza per dedicarsi alla scrittura e alle collaborazioni giornalistiche. Ha pubblicato romanzi e raccolte di racconti, che sono stati tradotti in diverse lingue e hanno ottenuto numerosi riconoscimenti. Patria, uscito in Spagna nel settembre 2016, ha avuto un successo eccezionale e un vastissimo consenso, conquistando – fra gli altri – il Premio de la Crítica 2017.

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Tutte le puntate di “Vista dal traduttore” sono disponibili qui.

L’introduzione della rubrica è disponibile qui

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http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/02/23/patria-di-fernando-aramburu-traduzione-di-bruno-arpaia/feed/ 0
BARBARA MERENDONI traduttrice del romanzo SAVAGE LANE di Jason Starr http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/05/17/barbara-merendoni-traduttrice-di-jason-starr/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/05/17/barbara-merendoni-traduttrice-di-jason-starr/#comments Tue, 17 May 2016 18:05:29 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7140 La prima ospite dello spazio di Letteratitudine chiamato “Vista dal traduttore” (dedicato, per l’appunto, al lavoro delle traduttrici e dei traduttori letterari) è Barbara Merendoni, traduttrice del romanzo Savage Lane di Jason Starr (Parallelo45 Edizioni1rosso). Barbara Merendoni ha raccontato la sua esperienza legata alla traduzione di questo libro e ha intervistato l’autore. Un estratto del libro è disponibile qui. In coda al post troverete l’intervista in lingua originale.

Un saluto e un ringraziamento a Barbara Merendoni e buona lettura a voi, amiche lettrici e amici lettori!

Massimo Maugeri

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IL TRADUTTORE INTERVISTA L’AUTORE #1

di Barbara Merendoni

Intervista a Jason Starr, autore di Savage Lane (Parallelo45 Edizioni)

Ho incontrato Jason Starr per la prima volta il 4 novembre 2015, in occasione della tappa italiana del suo tour europeo di presentazione di Savage Lane, il suo ultimo romanzo, uscito in contemporanea in Italia, Austria, Germania e Gran Bretagna. Ma sentivo di conoscerlo da molto prima, da quando, nell’aprile 2015 ho iniziato a tradurre il suo romanzo per i tipi della Unorosso. Quando lavori per mesi sul testo di un autore, lo leggi e tenti di interpretarlo a fondo, è come se tu entrassi nella sua mente; significa riuscire a carpirgli anche i pensieri più intimi, inconsci. Può essere imbarazzante ma è come entrare in casa sua e portarsi via i suoi oggetti più preziosi.
Per me, quello della traduzione era un mondo completamente nuovo, a cui non avrei mai pensato di avvicinarmi fino a quel momento: sapevo che volevo lavorare tra e con i libri, ma avevo sempre creduto di volerli scrivere o, più realisticamente, di volerli editare, correggere, limare. Quando mi è stato proposto di prendere in mano il testo inglese di Savage Lane ho accolto la sfida ma dentro ero piena di dubbi: saprò rendere lo stile narrativo dell’autore? Sarò in grado di tradurre le sfumature di senso, di mantenere intatta la carica emotiva e l’energia ironica che il testo contiene?
Savage Lane è la storia di un delitto, ma è anche e soprattutto una delle rappresentazioni più vere di come la realtà abbia un significato diverso per chiunque la guardi: tutti i personaggi di Savage Lane sono convinti che la loro opinione sulle cose sia l’unica giusta e l’unica possibile.
Mark è un marito distratto, convinto che la sua attrazione erotica per la vicina di casa Karen sia ricambiata. Deb è la moglie di Mark; dedita all’alcol e ormai priva di entusiasmo nei confronti della sua vita coniugale, s’illude di poter recuperare la felicità con il marito, pur coltivando una relazione extraconiugale con un giovane amante un pizzico ossessivo. Karen, la vicina di casa della coppia, è l’attrazione degli uomini e l’oggetto principale dei pettegolezzi delle donne di Westchester, perché è bella, disinibita e, soprattutto, divorziata.
Quello che coinvolge in Savage Lane è la tecnica narrativa: in ogni capitolo il lettore assume il punto di vista di uno dei personaggi, mantenendo però la visione distaccata della terza persona; in questo modo, sebbene il fulcro narrativo è un omicidio, chi legge non può fare a meno di sorridere delle piccole e grandi vanità e illusioni dei protagonisti.
Con il tempo, ho capito che la traduzione editoriale è qualcosa di molto affascinante: è più di un editing, è molto più della semplice correzione, del perfezionamento.
È puro dialogo, intimo, contraddittorio a volte, costellato spesso da interrogativi, tra il traduttore e l’autore. È mettere in discussione sé stessi: come lettori, in primis, perché il testo devi leggerlo e lasciarti coinvolgere da esso; come scrittori, secondariamente, perché nel viaggio dalla lingua originale all’italiano non puoi lasciare inalterato il testo: devi avere il coraggio di modificarlo, rimanendo sempre in uno spazio ristretto, i cui limiti sono il significato letterale e l’interpretazione soggettiva.
È in questo spazio ristretto che si muove il traduttore, tentando di non sfiorare mai né l’uno né l’altro dei suoi scivolosi confini. Ed è in questo spazio ristretto che ho scoperto di sentirmi a mio agio e di voler vivere.
Ho provato a ricostruire un dialogo intimo tra me e l’autore di Savage Lane, Jason Starr, sperando di restituire a chi leggerà queste righe la carica stimolante e avvincente di un romanzo che non si può non conoscere:

- Come è nato Savage Lane? Hai preso ispirazione dalla realtà, da altri romanzi, dai film?
Savage Lane è nato come nascono tutti i miei libri – con una situazione, o una scena, che colpisce la mia attenzione, mi entusiasma. In questo caso, il nucleo narrativo era rappresentato da una donna recentemente divorziata, che vive all’interno di una isolata comunità di periferia, e finisce al centro dell’attenzione di tutti coloro che vivono intorno a lei. La gente spettegola su di lei, gli uomini hanno fantasie erotiche di cui è la protagonista, le donne sono sospettose nei suoi confronti e, all’improvviso, finisce al centro di un’indagine per omicidio.

- Quali sono le tematiche più importanti in Savage Lane?
Probabilmente, il tema più importante al centro di Savage Lane è l’illusione. Tutti, all’interno del romanzo, s’illudono in qualche modo. Il libro è scritto in “terza persona soggettiva”. In questo modo il lettore entra nei pensieri più intimi di ogni personaggio. Questa tecnica mi permette anche di arricchire il testo con quello che si può definire dark humour.

- Quali sono le principali difficoltà che hai incontrato scrivendo Savage Lane?
Non ho incontrato particolari difficoltà. In genere quando incontro delle difficoltà rinuncio a scrivere il libro del tutto. In questo caso, sapevo dove volevo arrivare fin dall’inizio.

- Nei tuoi libri, usi sempre un linguaggio molto semplice e diretto. Stephen King in “On Writing”, rivolge un avvertimento agli scrittori: l’avverbio non è vostro amico. Come spiegheresti la tua scelta di usare un linguaggio così immediato, semplice e diretto? Serve a coinvolgere il lettore? O c’è un’altra ragione?
Sì, è vero, quando scrivo evito gli avverbi (tranne nel caso in cui vengo pagato sulla base del numero di parole, in quel caso uso più avverbi possibile!). Quando usi un avverbio, c’è sempre un verbo dal significato più forte e appropriato che dice quello che tu vuoi dire – due parole possono essere ridotta a una sola. Per esempio: “entrò velocemente nella stanza” può essere sostituito da “si precipitò nella stanza”. Cerco sempre il modo più semplice per dire quello che intendo dire. Sono dell’opinione che la scrittura non debba essere troppo complicata; le parole non dovrebbero mai essere un intralcio alla storia. Voglio che i miei libri siano una sorta di film che si proietta nella testa del lettore.

- I tuoi romanzi sono quasi sempre ambientati a Manhattan, New York. La storia di Savage Lane, invece, si svolge interamente a Westchester (periferia lussuosa dello stato di New York, ndt). Perché questa scelta?
L’ambientazione in periferia, in una sorta di acquario, è un elemento fondamentale per questa storia. Doveva essere una comunità in cui tutti si fanno gli affari degli altri… A Manhattan, a nessuno importa qualcosa della vita altrui.

- I tuoi libri sono stati tradotti in molte lingue (italiano, spagnolo, tedesco…). Secondo te, qual è (o quali sono) la/e sfida/e più significativa/e che affronta un traduttore lavorando a Savage Lane?
Beh, penso che il fatto di usare un linguaggio semplice renda la mia scrittura compatibile con altre lingue. Quello che è, forse, difficile è tradurre la sottile ironia, la satira di sottofondo di cui sono pieni i miei libri. Anche captare il tono del romanzo, essere sulla stessa lunghezza d’onda è importante.

- Savage Lane è un biglietto per un viaggio dentro la testa dell’essere umano, dove la verità non è qualcosa di statico e “universale”, non è oggettiva, ma è composta da tanti frammenti di specchi deformanti. Sei d’accordo con questa interpretazione? Dal tuo punto di vista, qual è il messaggio più importante di questo romanzo?
Sì, il romanzo ruota attorno all’idea che le persone possano avere idee profondamente diverse e distorte della stessa situazione, e di come questo possa avere tragiche conseguenze. Il mio obiettivo principale quando scrivo un romanzo è intrattenere, divertire. Volevo scrivere una storia appassionante, piena di satira e dark humour. Ma all’interno di Savage Lane c’è anche un messaggio più universale, che riguarda il comportamento umano.

* * *

L’INTERVISTA IN LINGUA ORIGINALE

-Hi Jason, can you tell me about the inspiration for Savage Lane, your new novel published in Italy by Unorosso?
Savage Lane started the way all my books start—with a situation, or a scene that interests me/excites me. In this case it was a situation of a recently divorced woman, who lives in an insular suburban community, and who becomes the focus of attention for everyone around her. People have opinions about her, men fantasize about her, women are suspicious of her, and ultimately she becomes the focus of a murder investigation.

-What are the biggest themes in Savage Lane?
Delusion is probably the biggest theme. Everyone is deluded in some way in this book. The book is written in what I like to think of as a “close third-person” style. So the reader knows the most intimate thoughts of each characters. This provides a lot of opportunity for dark humor.

hat were the most significant difficulties you encountered writing Savage Lane?
I didn’t really have any difficulties. When I have difficulties, I usually don’t write the book at all. In this case, I knew where I wanted to go from the get-go.

-In your novels, you use a very simple and direct language. Stephen King, in “On Writing”, says that the writer must beware of overusing adverbs. How did you explain your choice of using a language such immediate, simple and direct? Is this to engage the reader? Or something else?
Ha, yes, I avoid adverbs (except in cases where I am paid to write by the word, and then I use as many adverbs as I can!). When you use an adverb there is always a stronger verb to say what you want to say—two words can be reduced to one. For example, “he walked quickly into the room” can be reduced to “he rushed into the room.” I always look for the simplest way to say what I want to say. I don’t believe writing should be over-complicated, the words should never get in he way of the story. I want my books to seem like movies unspooling in readers’ heads.

-Your novels are often set in New York. Savage Lane, instead, is set in Westchester. Why this choice?
The suburban, fish bowl setting was important for this story. It had to be community where everybody is in each other’s business…In Manhattan, nobody would give a shit.

-Your novels has been translated into many languages (Italian, Spanish, German, etc…). In your opinion, what is (or what are) the most significant challenges for the translator of your “Savage Lane”?
Well, I think because I try to keep language simple, this hopefully makes my books compatible with other languages. I do think there is a lot of subtle irony in books, undercurrents of satire, and I think this can be tricky for translators to replicate. Also, picking up on the tone of my books, getting on the same wavelength is important.

-Savage Lane is a travel inside human beings’ mind, where the truth is not an objective thing but it is a set of pieces of distorting mirrors. Don’t you agree? In your opinion, what is the most important message of this novel?
Yes, it’s about how people can have very skewed opinions of the same situation, and how this can have tragic consequences. My main goal when I write a novel is to entertaining. So I just wanted to write a thrilling story, with dark humor and satire. But there is a message in the book about human behavior as well, and I think it’s very universal.

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Il libro

Savage Lane solleva il sipario che protegge Westchester, NY, una delle città più ricche e agiate del Paese, mostrando come dietro un’apparenza scintillante si nascondano in realtà oscuri segreti che potrebbero distruggere per sempre le esistenze dei protagonisti. Savage Lane vi farà guardare ai vostri vicini di casa in modo completamente diverso, continuando a tenervi compagnia a lungo, anche dopo che avrete girato l’ultima pagina.

* * *

Jason Starr è nato a Brooklyn, New York, nel 1966. Sportivo, tennis e baseball, e il sogno di giocare per gli Yankees. Al college, Binghamton University, ha iniziato ad avere interesse per la letteratura. Ha lavorato come lavapiatti, telemarketer, giornalista finanziario, assistente editoriale (è stato licenziato da un lavoro editoriale a St. Martin Press perchè leggeva e scriveva alla sua scrivania), e il venditore in rete, prima di pubblicare il suo primo romanzo nel 1997.

Starr è autore di nove romanzi bestseller internazionali di genere crimine/fiction, stanziati principalmente nella zona di New York City. Alcuni di questi:
Cold Caller (Chiamate A Freddo, Meridiano Zero)
Fake I.D. (Piccoli delitti del cazzo, Meridiano Zero)
Nothing Personal (Niente di Personale, Meridiano Zero)
Hard Feelings (Cattivi pensieri a Manhattan, Meridiano Zero)
Bust (Doppio Complotto, Fanucci)
I suoi ultimi romanzi, The Pack e The Craving, di genere modern fantasy, sono stati pubblicati da Berkley / Ace.

Il lavoro di Starr è stato pubblicato in più di una dozzina di lingue ed è stato nominato per numerosi premi di romanzi polizieschi. Nel 2004 ha vinto il Premio Barry per Tough Luck, e nel 2005 ha vinto il Premio Anthony per Twisted City (titolo che sarà pubblicato in italiano con noi, Unorosso). In Germania, Cold Caller è stato adattato come radio-dramma da Deutschland Radio, ed è stato scelto come uno dei 50 migliori romanzi polizieschi degli ultimi 60 anni da parte della prestigiosa rivista Süddeutsche Zeitung. In Germania e in Austria, il The Follower and Panic Attack sono stati grandi best sellers.

Starr scrive anche fumetti e graphic novel per la Marvel Comics, DC Comics, Vertigo Comics, e Studios Boom. The Chill (2010) è stato Top Ten Bestseller ed inserito in Entertainment Weekly. Il suo lavoro nel fumetto ha visto protagonisti alcuni dei più famosi personaggi, come Doc Savage, The Avenger, The Sandman, The Punisher, e Batman. Il suo ultimo lavoro è il fumetto più venduto della serie Wolverine Max per la Marvel Comics.

Molti dei romanzi di Starr sono stati opzionati per il cinema e la TV, tra cui The Follower, che è in fase di sviluppo come una serie TV originale per Lionsgate, adattato da Bret Easton Ellis. Un cortometraggio tratto da un racconto di Starr, “The Bully” ha vinto il 2009 EnhanceTV ATOM Award per il miglior cortometraggio di fantascienza, ed è stato nella selezione ufficiale al Palm Springs International Film Festival del 2010. Starr scrive anche sceneggiature, come October Squall, prodotto da Halle Berry e Fox Searchlight, nonché un adattamento di Cold Caller, che è in fase di sviluppo come lungometraggio da Smoking Gun Productions / Gil Adler con Clayton Jacobson alla regia. Starr ha anche recentemente completato la sceneggiatura di Tough Luck, basato sul suo romanzo, che sarà diretto da Michael Rapaport.

Starr attualmente vive a Manhattan.

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VISTA DAL TRADUTTORE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/05/16/vista-dal-traduttore/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/05/16/vista-dal-traduttore/#comments Mon, 16 May 2016 14:57:11 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7138 Nel 2008, su Letteratitudine, organizzai un dibattito online intitolato “Il difficile ruolo dei traduttori” (fu una discussione molto partecipata, con quasi mille commenti).
Riporto di seguito l’incipit del post citato…

Tradurre non è un mestiere facile. Tutt’altro.
Ed è anche un mestiere che si svolge nell’ombra. A volte in pieno buio. Eppure la traduzione di un libro è fondamentale.
Lo sappiamo bene: una buona traduzione è capace di valorizzare un romanzo (e di restituirlo “integro” al lettore che lo legge in una lingua differente rispetto a quella originale), una cattiva traduzione può ucciderlo (il romanzo, ma a volte anche il lettore… nel senso che può uccidere la sua voglia di leggere).
Nonostante ciò il traduttore è spesso visto come un addetto ai lavori “secondario”, che non deve mai superare la soglia del “dietro le quinte”.

Di recente, riflettendo – per l’appunto – sul ruolo dei traduttori, mi è venuta in mente un’idea finalizzata a valorizzare ulteriormente queste figure professionali di assoluto rilievo, partendo dal presupposto che (ovviamente) il traduttore conosce meglio di chiunque altro il libro che ha tradotto… ma, nella maggior parte di casi, conosce anche la poetica e l’approccio narrativo dell’autore dell’opera.

Da qui l’idea di creare una nuova rubrica di Letteratitudine che avrà, dunque, un duplice obiettivo: mettere in risalto l’esperienza del tradurre (fornendo visibilità al traduttore) ed evidenziare il rapporto tra traduttore e autore dell’opera tradotta. Il titolo di questa nuova rubrica è molto semplice e indicativo: VISTA DAL TRADUTTORE.

Protagonisti assoluti saranno, dunque, i traduttori e (di riflesso) le opere tradotte.

Lunga vita ai traduttori! Grazie, cari traduttori, per il compito delicato e fondamentale che svolgete a beneficio di noi lettori.
E grazie, naturalmente, a tutte le amiche e gli amici di Letteratitudine che vorranno seguire questo nuovo spazio online.

Massimo Maugeri

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