LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » LETTERATITUDINE CINEMA http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 L’ARMINUTA: il film, il romanzo http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/10/25/larminuta-il-film-il-romanzo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/10/25/larminuta-il-film-il-romanzo/#comments Mon, 25 Oct 2021 15:53:01 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8883 L’ARMINUTA: dal romanzo di Donatella Di Pietrantonio al film di Giuseppe Bonito

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La nuova puntata di Letteratitudine Cinema la dedichiamo al film “L’Arminuta” di Giuseppe Bonito, tratto dall’omonimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio pubblicato da Einaudi e vincitore del Premio Campiello 2017.

Di seguito: le dichiarazioni che Donatella Di Pietrantonio ha rilasciato in esclusiva a Letteratitudine e un articolo a cura della giornalista Alessandra Angelucci (che ha incontrato il cast del film per noi) con le risposte del regista Giuseppe Bonito, della protagonista Sofia Fiore e altri interpreti.

In chiusura riproponiamo “l’Autoracconto d’Autore” firmato dalla stessa Donatella Di Pietrantonio in occasione dell’uscita del romanzo dove l’autrice ci racconta la genesi di questa storia. Ne approfittiamo per ringraziare Patrizia Angelozzi per la collaborazione

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L’Arminuta che diventa film è l’ultima evoluzione di una storia nata nel chiuso di una stanza e condivisa da tanti lettori e ora dagli spettatori nelle sale”, ha detto Donatella Di Pietrantonio a Letteratitudine. “Credo che la sua forza stia nell’aver intercettato quelle parti ferite, danneggiate che ognuno di noi porta con sé, anche senza aver vissuto gli abbandoni ripetuti che toccano alla protagonista”.

“Giuseppe Bonito ha saputo trovare quel difficile equilibrio tra un’originalità solo sua e il rispetto del romanzo, guardando con una sensibilità particolare i personaggi, nelle loro cadute e inadeguatezze, nelle fragilità e nella resilienza. Ce ne restituisce tutta l’umanità”.

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L’Arminuta nel grande schermo per raccontare la maternità imperfetta

di Alessandra Angelucci

SPOLTORE - Ci sono dettagli che il lettore de L’Arminuta, scritto da Donatella Di Pietrantonio (Campiello 2017), non può dimenticare. Come l’incipit, che consegna una bambina davanti all’esperienza dell’abbandono: «A tredici anni non conoscevo più l’altra mia madre. Salivo a fatica le scale di casa sua con una valigia scomoda e una borsa piena di scarpe confuse».
E sono proprio le madri, biologiche e non, come le sorelle, le figure femminili attorno alle quali si apre una storia fatta di silenzi e abbandoni, di mani tese verso l’altro. Un’altalena di addii che fanno male, dentro a un volo che spesso non ha parole per dirsi.
Nell’Abruzzo degli anni Settanta, la piccola Arminuta dovrà fare i conti col suo passato per capire davvero chi è. Un compito troppo grave per una donna così giovane. E se scaviamo in fondo alle parole, forse nella voce della protagonista c’è anche la paura di ciascuno di noi: quella di essere abbandonati. È per questo che Donatella Di Pietrantonio ha commosso i lettori, perché ha consegnato una verità: la sua, la nostra. Una storia cucita intorno all’imperfezione dei rapporti umani, quelli che si dicono sottovoce perché troppo dolorosi. Quelli che, a volte, non si possono proprio dire.

Fedele al romanzo è la trasposizione cinematografica del regista Giuseppe Bonito, tanto attesa nelle sale cinematografiche, dopo il grande successo ottenuto alla 16^ edizione della Festa del Cinema di Roma.
Sabato 23 ottobre 2021 il film è stato presentato al Cinema l’Arca di Spoltore (PE) alla presenza di una parte del Cast, accolto da un pubblico numeroso e felice di vedere nel grande schermo il racconto di tante vite: de l’Arminuta, di Adriana e Vincenzo, delle madri che hanno generato o cresciuto, di Pat che gioca in spiaggia in una dimensione senza tempo.
Bonito ha mostrato sempre grande attenzione al mondo della famiglia e alle relazioni che in essa si intrecciano, sin dal progetto Figli, nato grazie a Mattia Torre, sceneggiatore e regista prematuramente scomparso. La sfida de L’Arminuta ha in sé questa radice e si innesta su un sentimento d’amore che il regista ha da subito provato per l’opera della Di Pietrantonio e per quei volti che sono nomi e radici, e poi luoghi d’infanzia. A volte drammi irreversibili. «Pur essendo una storia ambientata negli anni Settanta, come già era evidente nel libro, il film ha degli elementi di modernità e di stringente attualità proprio in questo: la maternità come valore assoluto, al di là del dato biologico». È proprio Giuseppe Bonito a dichiararlo, mettendo in luce come il tema del suo progetto sia la maternità imperfetta: «La famiglia di origine de l’Arminuta è sì un nucleo familiare numeroso ma in esso è presente la disgregazione dei sentimenti. Sono tutti come punti che non riescono a collegarsi mai. I momenti più forti del film, infatti, sono quelli in cui le persone si toccano o si sfiorano: in quegli istanti si diffonde una energia che le unisce idealmente ma di fatto mai. E l’Arminuta sta in mezzo a tutto ciò». Un progetto che racconta anche l’uso del dialetto, ponendo l’accento sull’importanza del luogo come matrice identitaria: «La lingua abruzzese è importante, sì. Il film non l’abbiamo girato in Abruzzo ma il mio lavoro sul paesaggio è stato molto particolare e laborioso, perché doverlo ricostruire in un luogo altro è sempre difficile. Al di là di questo, nel mio film il paesaggio umano è totalmente abruzzese ed è questa, secondo me, la cosa che conta di più».
A dare prova di questo è anche l’origine delle giovani protagoniste: Sofia Fiore, che interpreta l’Arminuta, è originaria di Vasto, e Carlotta de Leonardis, nei panni di Adriana, è di Spoltore. Potenti nel loro essere sorelle dentro una storia di mancanze. Sofia Fiore narra con maestria lo spaesamento di chi dovrà accettare e perdonare. Alla prima esperienza, esprime con eleganza i silenzi e i moti d’angoscia, in un volto quasi etereo che sa tradurre i non detti: «Ho provato tanta gioia ma anche un po’ di paura quando ho saputo che sarei stata proprio io l’Arminuta. Una bellissima esperienza e auguro a tutti coloro che hanno il sogno di diventare attori o attrici di provare, perché ne vale davvero la pena. Tra le scene più difficili ricordo il bagno al mare, perché faceva molto freddo quando abbiamo girato».

Carlotta De Leonardis è il talento dell’espressività, la voce dell’istinto e della ribellione. Commovente l’abbraccio alla ritrovata sorella nel gelo della notte: in quella stretta immortale ci siamo stati tutti per pochi attimi, perché tutti, forse, abbiamo desiderato almeno una volta essere cercati – e amati – con la stessa forza che Carlotta trasmette nel ruolo di Adriana. Anche lei confessa di essersi divertita a girare il film: «Mi è piaciuto tutto e per me è stato spontaneo anche recitare in dialetto, perché io a casa un po’ lo parlo. La scena che mi è piaciuta interpretare di più è quella finale e sicuramente anche quella dal macellaio».

Presenti al cinema di Spoltore anche l’attore Andrea Fuorto, che sta riscuotendo molto successo per l’interpretazione di Vincenzo, e Aurora Barulli (Pat), che ha svelato tutta l’emozione provata: «È stato un sogno. Di solito una ragazza quattordicenne vede i film nella sua stanza, analizza gli attori e si interessa della loro vita reale. A me questa esperienza ha stravolto la vita perché, seppur per una piccola parte, ho vissuto un momento di vita unico. Mettermi in gioco mi ha aiutata a superare la mia insicurezza e la cosa più bella è stata quando mi hanno comunicato che ero stata scelta per essere Pat. Ho fatto salti di gioia, ho abbracciato mamma e papà e sono stata orgogliosa».

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Come nasce un romanzo? Per gli “Autoracconti d’Autore” di Letteratitudine, DONATELLA DI PIETRANTONIO racconta il suo romanzo L’ARMINUTA (Einaudi)

romanzo vincitore del: Premio Selezione Campiello 2017 e del Premio “Alassio Centolibri 2017

Donatella di Pietrantonio ci parla de “L’Arminuta” offrendo a Letteratitudine un racconto inedito delizioso e toccante

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di Donatella Di Pietrantonio

Ero bambina, abitavo con la mia famiglia in un piccolo borgo del teramano, ai confini con la provincia di Pescara. Sopra di noi il Monte Camicia, così vicino da non poterne vedere la vetta. Era una contrada remota, non arrivava mai nessuno fin lì, il sentiero che portava alle case era battuto solo dai pochi abitanti. I parenti venivano in occasione della trebbiatura in estate e dell’uccisione del maiale in inverno. Erano quelli gli eventi più importanti dell’anno.

La sera, davanti alla fiamma vivace del camino, gli adulti raccontavano storie, ma vere. Nel debole chiarore del lume ad acetilene noi bambini ascoltavamo, seduti su bassi sgabelli di legno. Una volta li sentimmo parlare di una famiglia povera e numerosa che aveva ceduto l’ultimo nato a una coppia di parenti sterili. Dicevano che lu cìtile era fortunato perché quelli che lo avevano preso tenevano la roba. Molti ettari di terreno, numerosi capi di bestiame nelle stalle, il casolare rimesso a nuovo. Abitavano vicino al paese e gli avrebbero inzuccherato la bocca al piccolino, così diceva una mia zia acquisita.

“Stai attenta tu, con quella lingua lunga” ammonì poi voltandosi dalla mia parte.

Cosa intendeva, che potevo essere data pure io? Aveva suggerito più di una volta a mia madre di prendere provvedimenti nei miei confronti, “non sta bene che essa risponde”. Rispondere agli adulti equivaleva a mancargli di rispetto.

In estate conobbi un cugino di mio padre, molto più giovane di lui. Sembrava triste, sotto il cappello la fronte già segnata da una ruga profonda a forma di emme. Era venuto a trovarci insieme ai suoi genitori e non gli somigliava affatto. Loro molto scuri di carnagione e capelli, lui pallido e con la testa bianca, dietro gli occhiali le iridi di un azzurro così chiaro da sembrare trasparenti. Al mio stupore per quel suo aspetto gracile, da vecchietto precoce, mio padre rispose tranquillo:

“Non gli somiglia no agli zii, mica è il figlio. Gliel’hanno dato certi parenti alla lontana, quando teneva una decina d’anni. A essi le creature non gli venivano”.

La rivelazione mi tolse il sonno, trasformò ai miei occhi un evento eccezionale in pratica comune. Prima quel neonato di cui parlavano nelle sere d’inverno, poi il cugino Settimio.

Il suo nome raccontava quanti erano nati prima di lui nella famiglia che poi l’aveva ceduto, ma il suo soprannome era “occhi bianchi”. Mio padre non era legato a lui come agli altri cugini, che trattava quasi da fratelli. Settimio era considerato un diverso, un malato, uno che mai avrebbe potuto dare una mano nei campi. Pochi minuti di esposizione al sole erano sufficienti a ustionarlo. Veniva sempre lasciato a casa, sia nella prima che nella seconda famiglia, “sennò si coce”, dicevano. Era albino, ma non potevo saperlo. Sapevo invece che altri due fratelli erano nati dopo di lui, ma erano stati tenuti in famiglia. I suoi non l’avevano dato in quanto poveri o troppi, ma per la sua bianchezza e inabilità al lavoro. I genitori adottivi l’avevano preso lo stesso, erano già un po’ in là con gli anni e un figlio lo volevano a tutti i costi. Come bastone per la vecchiaia, diceva mia madre, sarebbe andato bene pure “occhi bianchi”.

Lo vedevamo di rado, Settimio, solo a qualche cerimonia che riuniva il parentado. Matrimoni, funerali. All’aperto portava sempre il cappello. Provavo pena per lui, con quella emme di tristezza indelebile sulla fronte. La storia sua e di quel neonato agitava i miei sonni. La condizione di figli non era sicura. Per restare figli occorrevano dei requisiti e io non ero più certa di possederli tutti. Ero troppo magra, per esempio. Un nostro vicino diceva che prima o poi il vento si sarebbe infilato sotto la mia gonna e sarei volata via, così leggera. Ma soprattutto l’eccessiva magrezza dava l’impressione che anch’io fossi troppo debole per aiutare nei lavori domestici.

“Tua figlia è buona solo per la scuola”, mio nonno paterno lo rinfacciava spesso a mia madre.

Sono trascorsi decenni da allora. Il vento non mi ha portata via e i miei genitori mi hanno sostenuta negli studi. Di tanto in tanto ho chiesto notizie di Settimio, che non incontravo quasi mai. Si era sposato e aveva avuto due figli, un maschio e una femmina. Deve averli molto amati, i parenti lo criticavano per questo: “sta sempre appresso a essi”. Solo al mare non poteva accompagnarli, anche con il cappello era troppo rischioso.

Nonostante tutte le attenzioni se n’è andato qualche tempo fa, per un tumore della pelle. La testa bianca era ormai giusta per la sua età e sulla fronte la ruga a emme si era distesa nella falsa serenità della morte. “L’Arminuta” è dedicata anche a lui.

(Riproduzione riservata)

© Donatella Di Pietrantonio

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La scheda del libro

Per raccontare gli strappi della vita occorrono parole scabre, schiette. Di quelle parole Donatella Di Pietrantonio conosce il raro incanto. La sua scrittura ha un timbro unico, una grana spigolosa ma piena di luce, capace di governare con delicatezza una storia incandescente.

«Ero l’Arminuta, la ritornata. Parlavo un’altra lingua e non sapevo piú a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza»

Ci sono romanzi che toccano corde cosí profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con L’Arminuta fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell’altra, suona a una porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia cosí questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all’altro perde tutto – una casa confortevole, le amiche piú care, l’affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l’Arminuta» (la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo.

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RICORDANDO CHIARA PALAZZOLO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/10/23/ricordando-chiara-palazzolo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/10/23/ricordando-chiara-palazzolo/#comments Sat, 23 Oct 2021 06:00:08 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8881 Questa nuova puntata della rubica “Autori/Autrici da non dimenticare“, correlata in questa occasione a “Letteratitudine Cinema“, è dedicata alla figura di Chiara Palazzolo (Catania, 31 ottobre 1961 – Roma, 6 agosto 2012): scrittrice cresciuta a Floridia, nel siracusano.

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In occasione dei sessanta anni della scrittrice Chiara Palazzolo e a nove anni dalla sua scomparsa, le associazioni Urban Center e Cineclub Bergman, in collaborazione con Filmstudio Roma, hanno realizzato  una serata speciale dedicata alla memoria della  scrittrice di origini floridiane che, con la trilogia dei ‘sopramorti’, ha rivisitato sottogeneri quale l’horror, il gotic novel  e il fantasy contaminandoli felicemente  con  la tradizione letteraria ‘alta’.
Oltre ad un convegno dedicato all’opera della scrittrice, grazie al prezioso sostegno di Warner Bros Italia e VivoFilm, sarà proiettato in anteprima il film ‘Non mi uccidere’ (2021), diretto da Andrea De Sica, tratto dal romanzo omonimo della scrittrice che inaugura la trilogia di ‘Mirta-Luna’.
L’omaggio a Chiara Palazzolo si terrà a Floridia domenica 31 ottobre 2021,  alle ore 18.00, presso il Teatro Iris.
Il semiologo e critico letterario Salvo Sequenzia, che parteciperà al convegno e che di Chiara Palazzolo è stato amico, ha tracciato un profilo critico dell’opera della scrittrice.

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[Proponiamo l'ascolto di Chiara Palazzolo in questa breve conversazione con Massimo Maugeri (video su YouTube), dal Salone del Libro di Torino del 2011]

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CHIARA PALAZZOLO: La Sicilia, l’altro e il ‘canone strano’

di Salvo Sequenzia

«La Sicilia è un’isola per modo di dire».
Pensando a Chiara Palazzolo e ai suoi romanzi mi sovviene questa frase che dà il titolo a un fortunatissimo libro di Mario Fillioley (M. Fillioley, La Sicilia è un’isola per modo di dire, minimum fax, 2018).
Chiara Palazzolo sapeva molto bene che la Sicilia, dove la scrittrice era nata nel 1961 e aveva trascorso la sua giovinezza,  è «un’isola per modo di dire».
La Sicilia è ben altro. Questo ‘altro’ Chiara Palazzolo lo ha portato con se a Roma, la città dove ha vissuto e ha lavorato e dove è venuta a mancare nel 2012 interrompendo una felice vicenda letteraria che ha attraversato quella che Gianluigi Simonetti, passando al vaglio una densa e liquida nebulosa di opere, ha definito «la letteratura circostante»: la letteratura italiana ‘ultracontemporanea’ – quella, cioè, pubblicata nei decenni  situati a cavallo tra la fine del Novecento e il Millennio ‘00’ – intesa «come laboratorio di un distacco progressivo e irreversibile dalla tradizione del Novecento» (G. Simonetti, La letteratura circostante, Il Mulino, 2018).
Questo ‘altro’ Chiara Palazzolo lo ha consegnato ai suoi romanzi e ai suoi racconti, alla sua scrittura algida, impietosa, colta e raffinatissima  che si è spinta sino a toccare la waste land dell’anima e ad affondare nel «cuore di tenebra» dell’uomo.
Gruppi di lettura sui social, premi a lei dedicati, approfondimenti sulla sua opera e, recentemente, anche un film ispirato a uno dei suoi romanzi più fortunati (Non mi uccidere, diretto da Andrea De Sica, sceneggiato da Gianni Romoli e dal collettivo Grams e prodotto da Warner Bros Entertainment Italia e Vivo film, 2021) testimoniano l’attenzione e l’affetto che i lettori di ogni generazione, ma, soprattutto, i giovani, continuano a nutrire per la «miglior autrice di letteratura non realistica dei nostri anni» (Loredana Lipperini, “Non mi uccidere”: l’Italia gotica di Chiara Palazzolo, la Repubblica, 6 maggio 2021).
La notorietà di Chiara Palazzolo è legata alla “trilogia di Mirta-Luna” (Non mi uccidere, 2005; Strappami il cuore, 2006;  Ti porterò nel sangue, 2007), un ciclo di romanzi pubblicati dall’editore Piemme (e, recentemente, ripubblicati dal gruppo editoriale SEM) nelle cui pagine l’autrice racconta le vicende dei «sopramorti», creature uscite fuori dal suo immaginario, una sorta di Frankenstein costruito con pezzi di personaggi appartenenti all’enciclopedia horror di ogni tempo:  zombie, vampiri, mutanti e immortali.
I personaggi che popolano i romanzi di Chiara Palazzolo – dai «sopramorti» della ‘trilogia di Mirta-Luna’ alle streghe de Il bosco di Aus (Piemme, 2011), il suo ultimo romanzo ambientato in un bosco abitato da misteriose donne custodi di forze ancestrali, passando per le maschere di una borghesia residuale de La casa della festa (Marsilio, 2000), suo romanzo d’esordio, e i fantasmi della nevrosi de I bambini sono tornati (Piemme, 2003) – li incontriamo, oggi, nel mare magnum dell’immaginario Midcult e nella produzione Masscult contemporanei, disseminati nel cinema, nella letteratura, nel fumetto, nella ‘neofiction’ e nei mondi virtuali del gaming. Chiara Palazzolo, nei suoi romanzi,  ha anticipato i processi di gamification della realtà introdotti dalla cultura dei videogiochi e della tecnologia della ‘realtà aumentata’, una sorta di «reicantamento del mondo» (cfr. Jean Baudrillard, La scomparsa della realtà, Lupetti, 2009) che si dà con l’uccisione del reale, con l’illusione disumana di una eternità ‘ristretta’, soffocata nella prigione della ‘daylity’, la ‘quotidianizzazione’ del mondo secondo una ‘estetica dell’istante’ espressione di una condizione socioculturale ‘FYIN’ -For Your Interest”, nell’interesse della gente ovunque viva nel mondo  -  che rende tutto sincrono e anacronistico al tempo stesso, appiattendo ogni esperienza del vivere in un ‘presente perennis’ che assume i connotati sinistri di un incantesimo malefico (cfr. Carmelo Strano, La riproposta. Ellenismo 3000 e il tempo della  Daytility, in https://www.fyinpaper.com).
Alla luce di una complessa ed originale ‘rimediazione di genere’ i romanzi di Chiara Palazzolo possono essere ascritti a quel «canone strano» (cfr. Carlo Mazza Galanti, Il canone strano, in Not – www.neroeditions.com)  che ha attraversato la nostra letteratura dal  Boccaccio ‘napoletano’ al Baldus di Folengo e al Pentamerone di  Basile, dal Morgante di Pulci alla letteratura ‘nera’ degli Scapigliati, da Capuana e da Pirandello ‘spiritisti’ al visionario poeta Lucio Piccolo; da Buzzati a Landolfi,  da D’Arrigo a Bonaviri, da Calvino a Manganelli.
Chiara Palazzolo, con la sua opera, si inserisce a pieno  titolo  in questo «canone strano» che anticipa le tendenze ‘Weird’ e ‘Eerie’  del New Italian Weird (cfr. M. Fisher, The Weird and the Eerie. Lo strano e l’inquietante nel mondo contemporaneo, minimum fax, 2018) e del  Novo Sconcertante Italico (cfr. M. Malvestio, in ‘Il grido’ di Luciano Funetta e i limiti del New Italian Weird – La Balena Bianca ), emergenti  nelle opere di alcuni autori coevi alla Nostra quali Alessandro Raveggi  (Nella vasca dei terribili piranha, 2012), Laura Pugno (Sirene, 2007),  Alcide Pierantozzi  (Uno indiviso, 2007) e Niccolò Amanniti (Branchie, 1994). Una giovane generazione di scrittori ha raccolto l’eredità letteraria di Chiara Palazzolo orientando ed approfondendo la propria scrittura lungo il crinale del ‘Weird and Eerie’. Si tratta di autori giovanissimi quali, fra gli altri, Luca Raimondi (L’isola delle tenebre, a c. di Raimondi, Maresca, 2020), Gregorio Magini (Cometa, 2018), Orazio Labbate (Spirdu,  2021), Veronica Raimo (Miden, 2018 ), Alberto Prunetti (108 metri, 2018) e Antonella Lattanzi (Questo giorno che incombe, 2021), che dimostrano come in Italia l’interesse per tali tematiche sia oggi vivo e fecondo.
A nutrire la pagina di Chiara Palazzolo non  c’erano soltanto il gotic novel e il fantasy, David Lynch e Cormac McCarthy. C’erano anche, e soprattutto, i classici.
Amati e coltivati, insieme alla musica classica, come un vizio di famiglia – il padre di Chiara era un  filosofo e mistico, la madre e le zie erano musiciste e musicofile di rango – la parola dei classici aleggiava nel salotto ovattato della sua dimora floridiana arroccata nel sud più sud della Sicilia, l’isola che per la scrittrice cessava di essere soltanto un’isola per divenire ‘altro’ nella fraternità del sentire e dello scrivere che marchia a fuoco la vera letteratura.

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Approfondimenti sul RELIGION TODAY FILM FESTIVAL http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/10/06/approfondimenti-sul-religion-today-film-festival/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/10/06/approfondimenti-sul-religion-today-film-festival/#comments Wed, 06 Oct 2021 05:00:59 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8867 Nuova puntata di Letteratitudine Cinema con nuovo intervento di Alessandra Montesanto: critica cinematografica, docente e saggista.

Questa puntata la dedichiamo all’edizione 2021 del Religion Today Film Festival, che si è conclusa di recente.

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Religion Today Film Festival: la XXIVma edizione all’insegna del viaggio e del pellegrinaggio

di Alessandra Montesanto

Religion Today Film Festival è un importante appuntamento culturale che da Trento tocca altre città italiane con l’intento di approfondire il tema del dialogo interreligioso tramite una ricca proposta di opere cinematografiche e di approfondimenti culturali alla presenza di registi, scrittori, teologi, artisti.
L’edizione 2021 è stata intitolata “Nomadi nella fede”, una scelta causata dal fatto che l’umanità negli ultimi due anni, abbia dovuto affrontare una prova durissima: quella della pandemia. Il Covid-19 ha costretto le persone a chiudersi nelle proprie abitazioni, a mantenere relazioni a distanza, a non poter frequentare i luoghi di culto, a non riuscire, quindi, ad esprimere a pieno la propria spiritualità, laica o religiosa. Ecco allora il titolo “Nomadi nella fede” per richiamare tutte e tutti ad uscire, ad abbracciarsi, a pregare anche all’aperto, a fare attivismo per il Bene comune, come afferma il Direttore della manifestazione, Andrea Morghen: “questo è il significato della nostra ricerca: un viaggio volto a esplorare e creare se stessi, non il veloce approdo a risposte preconfezionate. Proponiamo il consueto viaggio tra le differenze dopo un anno di chiusura e apatia. Rimettiamoci in cammino con lo zaino gonfio di speranza e pronti per un confronto doveroso con le altre realtà che compongono il mosaico della società odierna, ferita da un’emerenza sanitaria senza precedenti ma in cui la solidarietà ed eroismo sono stati all’ordine del giorno per sconfiggere il virus dell’egoismo”.
Dal Trentino, grazie ai numerosi film che hanno arricchito il programma del Religion Today Film Festival e alla presenza di alcuni autori e produttori, è stato possibile viaggiare e conoscere da vicino situazioni spesso molto, troppo dure: ad esempio in Mother of Apostles, della regista ucraina Zaza Buadze, si raccontano le storie di madri di figli che hanno combattuto nella guerra del 2014. Una donna, in particolare, cerca il proprio figlio in uno scenario di violenza e dolore che riesce a trasformare in terra fertile e in realzioni salvifiche grazie a un viaggio interire e  ad un resiliente spirito materno. Holy bread di Rahim Zabihi è un documentario – vincitore del premio per il Miglior Documentario -  che racconta dei contrabbandieri di merci, costretti ad affrontare le impervie montagne dell’Iran trasportando sulle proprie spalle grossi sacchi da trenta o più chili, mettendo a rischio la propria vita a causa di una valanga oppure di un proiettile di un soldato. Giovani e meno giovani, gli uomini intervistati spiegano di aver fatto questa scelta, obbligati dalla miseria, dalla mancanza di lavoro e di sostegno da parte del governo, per sfamare la famiglia e dare una vita dignitosa ai propri figli. I loro volti sono segnati dalla fatica, i corpi fiaccati: lo spirito svuotato dalla mancanza di solidarietà e di attenzione da parte delle istituzioni e dalla consapevolezza di essere stati trasformati da persone a bestie.
Conflitti, discriminazioni, povertà e anche diritti violati delle donne: Rudhira narra la vicenda di Ganga che vive in un piccolo villaggio rurale del Karnataka, in India e, ogni volta che ha il ciclo mestruale, viene mandata fuori di casa per tre giorni, senza servizi, perchè considerata impura. Madhu Ranganath racconta, nella forma del cortometraggio e con grande delicatezza, questa storia che appartiene a Ganga, ma anche a tutte le altre donne soggette ad una tradizione ancora arcaica, donne che spesso, a causa di questa pratica, rischiano addirittura di morire.
Occhi aperti, quindi, per il Religion Today Film Festival che invita i frequentatori ad avvicinarsi con grande serenità e apertura verso gli Altri che, lontani o vicini che siano, fanno parte di noi, in quello scambio di mente e cuore che contraddistingue l’Uomo e la sua evoluzione.

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Credo che sia molto importante, oggi, lavorare con le ragazze e i ragazzi e, per questo, propongo, per le scuole, laboratori anche in Dad di Cinematografia, sul linguaggio filmico e sui temi che, di volta in volta, si vorranno affrontare.

Alessandra Montesanto: (lale.monte@gmail.com – peridirittiumani.com)

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VENEZIA 78: speciale sulla 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/09/12/venezia-78-speciale-sulla-78-mostra-internazionale-darte-cinematografica-di-venezia/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/09/12/venezia-78-speciale-sulla-78-mostra-internazionale-darte-cinematografica-di-venezia/#comments Sun, 12 Sep 2021 13:01:40 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8849 La nuova puntata di Letteratitudine Cinema è dedicata alla 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia

(cliccare sull’immagine per visualizzare il video)

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La 78ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica si è svolta al Lido di Venezia dal 1º all’11 settembre 2021, diretta da Alberto Barbera e organizzata dalla Biennale presieduta da Roberto Cicutto. Il film d’apertura è stato Madres paralelas di Pedro Almodóvar, mentre Il bambino nascosto di Roberto Andò è stato quello di chiusura.
La giuria internazionale del concorso, presieduta dal regista sudcoreano Bong Joon-ho, ha assegnato il Leone d’oro al miglior film, con voto unanime, al francese L’Événement di Audrey Diwan.
La madrina dell’edizione è stata Serena Rossi.

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I PREMI
Premi della selezione ufficiale

Leone d’oro al miglior film: L’Événement, regia di Audrey Diwan
Leone d’argento – Gran premio della giuria: È stata la mano di Dio, regia di Paolo Sorrentino
Leone d’argento per la miglior regia: Jane Campion per Il potere del cane (The Power of the Dog)
Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile: Penélope Cruz per Madres paralelas
Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile: John Arcilla per On the Job 2: The Missing 8
Premio Osella per la migliore sceneggiatura: Maggie Gyllenhaal per The Lost Daughter
Premio speciale della giuria: Il buco, regia di Michelangelo Frammartino
Premio Marcello Mastroianni ad un attore o attrice emergente: Filippo Scotti per È stata la mano di Dio

Premi alla carriera
Leone d’oro alla carriera: Roberto Benigni e Jamie Lee Curtis
Premio Jaeger-LeCoultre Glory to the Filmmaker: Ridley Scott

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RICHARD JEWELL di Clint Eastwood http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/07/05/richard-jewell-di-clint-eastwood/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/07/05/richard-jewell-di-clint-eastwood/#comments Mon, 05 Jul 2021 13:13:46 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8819 Nuova puntata di Letteratitudine Cinema con nuovo intervento di Alessandra Montesanto: critica cinematografica, docente e saggista.

In questa puntata ci occupiamo di Richard Jewell: film del 2019 diretto da Clint Eastwood e basato, appunto, sulla storia della guardia Richard Jewell.

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Richard Jewell

di Alessandra Montesanto

E’ un vecchio saggio, Clint Eastwood: lunga vita e lunga carriera come attore, regista e sceneggiatore può permettersi di guardare in faccia la realtà americana – che ha attraversato in tutte le sue sfaccettature, anche dal punto di vista delle opinioni politiche – e di criticarla con la lucida ferocia di chi ha visto e conosciuto tanto.
La sua ultima pellicola si intitola Richard Jewell, dalle generalità del protagonista la cui vicenda reale risale al 1996, anno in cui ad Atlanta si disputano i Giochi Olimpici. Richard è un trentenne sovrappeso, poco smart, fortemente legato alla propria madre – con cui vive – e al suo mestiere di sorvegliante. Durante un raduno per la competizione sportiva al Centennial Park della sua città, l’uomo vede uno zaino sospetto, abbandonato sotto una panchina, e fa partire i protocolli per la messa in sicurezza dell’area, scongiurando una strage. Ma proprio  a causa del suo aspetto bonario, un po’ eccentrico (agli occhi degli omologati), Richard diventa il principale sopettato per l’FBI ed entra, così, in una spirale di sospetti, accuse, minacce e paura.
Vive un momento di forte celebrità, grazie a questo suo atto eroico, lui che fino a poco tempo prima studiava attentamente il codice penale, era appassionato di armi da caccia e videogames, ed era convinto di essere un ottimo tutore dell’ordine per la sua devozioe assoluta al senso del dovere, spinto a questo dal cocente desiderio di diventare poliziotto: insomma, l’emblema dell’Americano medio. Proprio queste sue caratteristiche lo fanno rientrare nel profilo del cittadino ottuso, maniacale e frustrato che farebbe di tutto per quell’attimo di gloria, anche diventare un attentatore solitario.


Ancora una volta Eastwood decide da che parte stare e, ancora una volta, si pone dalla parte del debole: un uomo comune, quasi patetico nel suo essere ingenuo e fiducioso, un “anima candida”, come le definiva Voltaire. Ma un’anima candida cresciuta nell’America profonda, quella della provincia (e non solo), cinica, senza scrupoli, inebetita dalle notizie mainstream, dagli spot pubblicitari e da una comunicazione politica manipolatoria. Il mondo di Richard è composto da una madre in là con l’età, da un amico disoccupato e, a seguire, da un avvocato di poco successo accompagnato da una segretaria-fidanzata di origine russa (e qui sta l’ironia e l’accenno interculturale del plot). Ancora una volta si parla di anti-eroi, quindi.
Trascorrono ben sei anni di persequisizioni, interrogatori estenuanti, ricerca delle prove e vediamo inquadrato un tizio obeso che mangia una ciambella, seduto al tavolo di un diner che crolla psicologicamente ma poco dopo, presso una stazione di Polizia, lo ritroviamo con la divisa tanto agognata: Richard viene a sapere dal suo avvocato che il vero attentatore è stato catturato. Richard è stato prosciolto da ogni accusa (e morirà un paio di anni dopo la notizia a causa di un infarto dovuto al suo pessimo regime alimentare).
Da una parte l’autorità, dall’altra i cittadini, più o meno professionisti e inseriti nel tessuto sociale; Richard applica alla lettera il protocollo di sicurezza, il suo avvocato – senza clienti perchè un altro personaggio anti-sistema – non impronta un’aggressiva strategia di difesa, la madre rimane sconvolta dal fatto che le abbiano perquisito anche i contenitori per il cibo: l’FBI troneggia, invece, in tutta la sua arroganza e superificialità dettata dalla fretta di voler chiudere il caso e dai pregiudizi. Giustizia cieca, quella di uno Stato preopotente, che delle persone mediocri fa carne da macello invece di curarne le fragilità umane ed esistenziali, tema questo ricorrente nella Cinematografia del cineasta: ricordiamo American sniper, Sully, Attacco al treno, Gran Torino, per citare solo alcuni esempi.
La regia ipercontrollata, il montaggio classico (ricordiamo l’alternanza tra le ricerche dell’avvocato  e la corsa da record mondiale di Michael Johnson, lui sì che si riscatta con la partecipazione alla gara dei 200 metri!) fanno di Richard Jewell un film da manuale, che non perde però la capacità di emozionare, anzi di indignare chi è ancora in grado di farlo.
Non da meno, in quanto a supponenza, sono gli esponenti dei mass-media e della Cultura, come il giornalista e il rettore universitario che dovrebbero essere in grado di approfondire i fatti e cercare la verità e invece fanno parte dello stesso girone economico-politico-sociale che appiattisce la coscienza. “Look at you”, “Guardati”, dice Bryant Watson a Richard dopo tanto tempo da quella grave disavventura legale: non lasciare che lo sguardo impietoso cada su di te e ti giudichi, ma osservati per quello che sei diventato e impara ad amarti. Grazie Clint, ancora una volta.

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Il trailer ufficiale di “Richard Jewell”


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Credo che sia molto importante, oggi, lavorare con le ragazze e i ragazzi e, per questo, propongo, per le scuole, laboratori anche in Dad di Cinematografia, sul linguaggio filmico e sui temi che, di volta in volta, si vorranno affrontare.

Alessandra Montesanto: (lale.monte@gmail.comperidirittiumani.com)

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NASTRI D’ARGENTO 2021 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/06/23/nastri-dargento-2021/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/06/23/nastri-dargento-2021/#comments Wed, 23 Jun 2021 05:00:04 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8821 Dedichiamo questa nuova puntata di Letteratitudine Cinema ai Nastri d’Argento 2021 (clicca sull’immagine per accedere allo speciale YouTube)

https://64.media.tumblr.com/0ea287edd5c89e7123b6b546c8ba085b/a3a851097ee6c24e-a6/s2048x3072/f3319a358025a6c020085c32842b4fd7dc446bc7.jpg

La 76ª edizione dei Nastri d’argento si è svolta il 22 giugno 2021 presso il MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma.
Rispetto alle edizioni precedenti il premio al miglior produttore viene associato ai film in competizione come migliore opera e commedia. In conseguenza alle limitazioni imposte dalla Pandemia di COVID-19 in Italia diverse sono le produzioni uscite in piattaforma e televisione.

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Vincitori e candidati

I vincitori sono indicati in grassetto, a seguire gli altri candidati.

Miglior film

Miglior regista

Miglior regista esordiente

Miglior film commedia

Miglior soggetto

Migliore sceneggiatura

Migliore attore protagonista

Migliore attrice protagonista

Migliore attore non protagonista

Migliore attrice non protagonista

Migliore attore in un film commedia

Migliore attrice in un film commedia

Migliore fotografia

Migliore scenografia

Migliori costumi

Migliore montaggio

Migliore sonoro in presa diretta

Migliore colonna sonora

Migliore canzone originale

Premi speciali

Nastro di platino

Nastro speciale 75

Cameo dell’anno

Nastro d’argento europeo

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FARE CINEMA 2021 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/06/10/fare-cinema-2021/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/06/10/fare-cinema-2021/#comments Thu, 10 Jun 2021 12:30:10 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8808 Nella nuova puntata di Letteratitudine Cinema ci occupiamo degli eventi legati all’edizione 2021 di “Fare Cinema”

Fare Cinema 2021

FARE CINEMA 2021: REBOOT – IL CINEMA ITALIANO RIPARTE / 14 – 20 GIUGNO 2021

Un’intera settimana dedicata ai mestieri della Settima Arte e alla promozione dell’industria cinematografica nazionale, con film, documentari, cortometraggi e incontri trasmessi in streaming sul portale della Farnesina italianasu MyMovies e attraverso la rete di Ambasciate, Consolati e Istituti Italiani di Cultura nel mondo.

Logo Italiana – Lingua, cultura, creatività nel mondoDal 14 al 20 giugno si tiene la quarta edizione di Fare Cinema, rassegna dedicata al cinema italiano all’estero promossa dalla Farnesina in collaborazione con Ministero della Cultura, ANICA, Agenzia ICE e Istituto Luce – Cinecittà. Una manifestazione che fin dal titolo (Reboot – Il cinema italiano riparte) punta a sottolineare la straordinaria capacità di reazione dimostrata dall’industria cinematografica italiana di fronte alla crisi legata alla pandemia. E che, come sempre, rivolgerà una particolare attenzione ai mestieri del cinema, con una serie di produzioni originali realizzate con i partner dell’iniziativa, con sottotitoli in inglese o in più lingue.

Anche quest’anno Fare Cinema si svolgerà online: canali privilegiati saranno italiana, il portale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale dedicato alla promozione della lingua, della cultura e della creatività italiana nel mondo, con accesso gratuito e libero, e la piattaforma MyMovies.

Sul Vimeo di italiana troveremo i cinque titoli finalisti nella categoria “Miglior Cortometraggio” dei Premi David di Donatello 2021 (Italian Screens con l’Accademia del cinema italianoANICA), i tre documentari inediti del Salone Internazionale del Libro di Torino che raccontano il passaggio di grandi romanzi dalla carta allo schermo (Book To Screen) e la serie completa dei film realizzati per il progetto MAECI-Anica Corti d’Autore. E ancora videoclip, interviste e incontri che daranno la parola ai protagonisti dell’industria dell’audiovisivo (Reboot/Il nuovo abbraccio del cinema, con Fondazione Cinema per Roma e per la curatela di Mario Sesti).

A partire dal 14 giugno, per una durata di sei settimane, prenderà inoltre il via la rassegna Oltre lo schermo, curata da Audiovisiva (audiovisiva.org): 15 documentari che raccontano i mestieri del cinema italiano, accessibili su piattaforma dedicata attraverso i siti web degli Istituti Italiani di Cultura e il portale italiana.

Inoltre, nei giorni di Fare Cinema, Istituti di Cultura, Ambasciate e Consolati offriranno proiezioni online gratuite tramite la piattaforma MyMovies (www.mymovies.it/ondemand/iic/) con le storie di imprenditoria e di eccellenza di Biopic TV (Rai.com e MoviHeart) e la rassegna Con la macchina da presa, organizzata in collaborazione con True Colours.

Il cinema italiano si conferma così uno straordinario strumento di narrazione del Paese nella sua interezza e nella sua varietà, come appare anche dalle mille meravigliose location di ItalyForMovies (italyformovies.it).

Fare Cinema culminerà sabato 19 giugno con la celebrazione della seconda Giornata Mondiale del Cinema Italiano.

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I contenuti di FARE CINEMA 2021

ITALIAN SCREENS
I cortometraggi dei Premi David di Donatello 2021

Per celebrare la Giornata Mondiale del Cinema ItalianoFare Cinema presenterà sul canale Vimeo del portale italiana i cinque titoli finalisti nella categoria “Miglior Cortometraggio” dei David di Donatello 2021, la cui cerimonia di premiazione si è svolta lo scorso 11 maggio. L’iniziativa è frutto della collaborazione del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale con l’Accademia del Cinema Italiano e con ANICA. I cinque cortometraggi rimarranno disponibili per l’intera durata della rassegna, dal 14 al 20 giugno, su vimeo.com/italianaesteri.

I film:

Gas Station di Olga Torrico
Il gioco di Alessandro Haber
L’oro di famiglia di Emanuele Pisano
Shero di Claudio Casale
Anne di Domenico Croce e Stefano Malchiodi (vincitore del David di Donatello 2021 per il miglior cortometraggio)
(Sottotitoli in inglese, francese, spagnolo)

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REBOOT / IL NUOVO ABBRACCIO DEL CINEMA
Dalla resilienza alla ripartenza: video, interviste, incontri

La parola ai protagonisti dell’industria cinematografica italiana, in una serie di brevi clip e di incontri online. In collaborazione con la Fondazione Cinema per Roma, a cura di Mario Sesti, Reboot presenta una fotografia dello stato dell’arte del cinema e dei suoi mestieri oggi in Italia, attraverso una selezione di video-interviste (sottotitolate in inglese, francese, spagnolo, tedesco, portoghese, arabo, russo e cinese) a Pierfrancesco Favino, Mirko Perri, Daniele Ciprì, Fabio Lovino, Pietro Valsecchi, Massimo Cantini Parrini, Anna Foglietta, Maricetta Lombardo, Daniele Luchetti e Nicola Guaglianone. I due video de Il nuovo abbraccio del cinema ci riportano invece al difficile momento che abbiamo vissuto negli ultimi mesi e alle sfide lanciate al mondo del cinema dalla pandemia, attraverso le testimonianze di autori, produttori e attori come Francesca Cima, Sergio Castellitto, Paola Cortellesi, Liliana Cavani, Cristina Donadio, Claudio Giovannesi, Edoardo Leo, Riccardo Milani, Sara Serraiocco, Pietro Valsecchi e Carlo Verdone. Grazie alla collaborazione con Fondazione Cinema per Roma e di concerto con gli Istituti Italiani di Cultura della Farnesina, saranno trasmessi anche alcuni incontri che si sono svolti online nelle scorse settimane: conversazioni in cui professionisti italiani hanno dialogato con esponenti del mondo del cinema e della cultura locali, individuati dalle Sedi di riferimento. I video Reboot e Il nuovo abbraccio del cinema e gli incontri saranno disponibili su vimeo.com/italianaesteri.

Gli incontri:

IIC Amburgo: Fabio e Damiano D’Innocenzo (registi) e Carlo Chatrian (Direttore del Festival di Berlino)
IIC Atene: Adele Tulli (regista) e Alessandro Siliotopoulos (regista)
IIC Dakar: Nicoletta Taranta (costumista) e Omou Sy (costumista, stilista)
IIC Lubiana: Paola Mammini (sceneggiatrice) e Branko Završan (attore)
IIC San Paolo: Leonardo Fasoli (sceneggiatore) e Flavia Guerra (giornalista)
IIC Toronto: Saverio Costanzo (regista) e Jerry Ciccoritti (regista)
(Ciascun incontro ha sottotitoli in lingua locale)

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CON LA MACCHINA DA PRESA
Un festival dei mestieri del cinema

Sei film di recente produzione, selezionati allo scopo di mettere in rilievo i diversi mestieri del cinema e messi a disposizione gratuita del pubblico degli Istituti Italiani di Cultura grazie a un accordo con il distributore True Colours. Le opere saranno disponibili su MyMovies per l’intera durata di Fare Cinema, dal 14 al 20 giugno.

I film:

Fortuna di Nicolangelo Gelormini, 2020
Il vizio della speranza di Edoardo De Angelis, 2018
Sembra mio figlio di Costanza Quatriglio, 2018
I moschettieri del re di Giovanni Veronesi, 2018
Il sindaco del rione sanità di Mario Martone, 2019
Puntasacra di Francesca Mazzoleni, 2020 (solo in alcuni paesi)
(Sottotitoli in inglese, francese e spagnolo)

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OLTRE LO SCHERMO
15 documentari raccontano il cinema italiano dietro le quinte

Alida Valli e Lina Wertmüller, Federico Fellini e Luchino Visconti, Dante Ferretti e Nino Rota. Sono alcuni dei protagonisti di Oltre lo schermo, la rassegna realizzata in collaborazione con la piattaforma Audiovisiva (audiovisiva.org), unica realtà italiana presente in Eurovod, che porta in streaming una selezione di quindici documentari sui mestieri del cinema, fruibile gratuitamente dal pubblico internazionale attraverso la rete degli Istituti Italiani di Cultura e il portale italiana. Un viaggio alla scoperta del cinema italiano dietro le quinte, dai set di film leggendari ai registi più famosi, insieme a tanti straordinari professionisti “nascosti”, senza i quali la magia del cinema non sarebbe possibile. I film saranno disponibili dal 14 giugno e – dopo la conclusione di Fare Cinema – fino al 25 luglio.

I film:

Alida di Mimmo Verdesca, 2020
Handmade Cinema di Guido Torlonia, 2012
Gli angeli nascosti di Luchino Visconti di Silvia Giulietti, 2007
Acqua e zucchero. Carlo di Palma, i colori della vita di Fariborz Kamkari, 2016
Dietro gli occhiali bianchi di Valerio Ruiz, 2015
Citizen Rosi di Didi Gnocchi e Carolina Rosi, 2019La morte legale. Giuliano Montaldo racconta la genesi del film Sacco e Vanzetti di Silvia Giulietti e Giotto Barbieri, 2018
I ragazzi della Panaria di Nello Correale, 2004
L’ultimo Gattopardo. Ritratto di Goffredo Lombardo di Giuseppe Tornatore, 2010
Segretarie. Una vita per il cinema di Raffaele Rago e Daniela Masciale, 2019
Flaiano: il meglio è passato di Giancarlo Rolandi e Steve Della Casa, 2010
Un amico magico. Il maestro Nino Rota di Mario Monicelli, 1994
Dante Ferretti. Scenografo italiano di Gianfranco Giagni, 2010
L’abito e il volto. Incontro con Piero Tosi di Francesco Costabile, 2008
As Time Goes by. L’uomo che disegnava sogni di Simone Aleandri, 2018
Sottotitoli in italiano, italiano per non udenti, inglese, francese e spagnolo)

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BOOK TO SCREEN
Dalla carta alla serie: i casi Montalbano, Gomorra e L’amica geniale

In collaborazione con il Salone Internazionale del Libro di Torino, tre documentari che raccontano il processo di realizzazione di serie televisive tratte da altrettanti libri di successo: la saga del “Commissario Montalbano” di Andrea Camilleri, Gomorra di Roberto Saviano e L’amica geniale di Elena Ferrante. Attraverso interviste agli autori, editori, registi, attori, produttori e al direttore del Salone Internazionale del Libro, Nicola Lagioia, Book To Screen racconta le caratteristiche necessarie per trasportare un bestseller sul piccolo e grande schermo. Oltre a essere resi disponibili sul canale Vimeo di italiana (vimeo.com/italianaesteri), i film saranno diffusi sui canali digitali del Salone Internazionale del Libro di Torino. E ogni documentario creerà un ponte con il futuro, anticipando un’altra serie o film di prossima produzione con un’intervista agli autori e alle autrici il cui libro è stato opzionato nei diritti per la trasposizione: Sarah. La ragazza di Avetrana (Fandango) di Flavia Piccinini e Carmine Gazzanni, Nata per te. Storia di Alba raccontata fra noi (Einaudi) di Luca Trapanese e Luca Mercadante e Il treno dei bambini (Einaudi) di Viola Ardone.

I film:

L’amica geniale + Sarah. La ragazza di Avetrana
Gomorra + Nata per te. Storia di Alba raccontata fra noi
Il commissario Montalbano + Il treno dei bambini
(Sottotitoli in inglese)

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CORTI D’AUTORE
Sei sguardi per una nuova narrazione dell’Italia nel mondo

Sviluppato dalla Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese della Farnesina in partenariato con ANICA, il progetto Corti d’Autore ha portato alla realizzazione di sei cortometraggi inediti focalizzati su diverse macro-aree artistiche e creative: dal design alla letteratura (in occasione del 700° anniversario dalla morte di Dante Alighieri), dallo spettacolo dal vivo alla cura del patrimonio culturale. I film sono stati selezionati da una giuria formata da personalità del mondo dell’audiovisivo italiano (Maria Pia Ammirati, Piera Detassis, Monica Maggioni, Ludovica Rampoldi e Gabriele Salvatores) e per la prima volta – in occasione di Fare Cinema – l’intero ciclo sarà reso disponibile sul canale Vimeo del portale italiana (dove i Corti rimarranno disponibili anche dopo la conclusione della rassegna).

I film:

Noi italiani parliamo con le mani di Carlo Poggioli
Dolente Bellezza di Roberto Recchioni (già lanciato in occasione del Dantedì)
Guardami così di Edoardo De Angelis
Rigoletto a Circo Massimo di Enrico Parenti (già pubblicato in occasione della Giornata Mondiale del Teatro)
Azione di Manlio Castagna
l sole e le altre stelle di Caterina Carone
(Sottotitoli in italiano, inglese, francese, spagnolo)

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BIOPIC TV
Storie di imprenditoria e di eccellenza

In collaborazione con RAI Com MoviHeart, arricchiscono il programma di Fare Cinema due fiction che mettono in risalto la capacità creativa e imprenditoriale del nostro paese e che hanno ottenuto ottimi riscontri di pubblico al loro passaggio televisivo: Enrico Piaggio, un sogno italiano (2019) con Alessio Boni e Violante Placido, dedicato alla vita dell’imprenditore toscano, e Luisa Spagnoli (2016) con Luisa Ranieri, miniserie in due puntate sulla biografia della fondatrice della Perugina. Entrambi i titoli saranno disponibili dal 14 al 20 giugno su MyMovies.

I film:

Enrico Piaggio, un sogno italiano di Umberto Marino, 2019
Luisa Spagnoli di Lodovico Gasparini, 2016
(Sottotitoli in inglese)

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NOMADLAND di Chloé Zhao http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/05/04/nomadland-di-chloe-zhao/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/05/04/nomadland-di-chloe-zhao/#comments Tue, 04 May 2021 21:20:30 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8782 Locandina italiana NomadlandNuova puntata di Letteratitudine Cinema con nuovo intervento di Alessandra Montesanto: critica cinematografica, docente e saggista.

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In questa puntata ci occupiamo di “Nomadland”: film del 2020 diretto da Chloé Zhao con protagonista Frances McDormand, vincitore del Leone d’oro alla 77ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, del Golden Globe per il miglior film drammatico e per la miglior regista e di tre Premi Oscar per il miglior film, la miglior regia e la migliore attrice protagonista.

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Nomadland: la libertà autentica al posto del neoliberismo

di Alessandra Montesanto

1988, Nevada. Fern ha da poco perso il marito a causa di una lunga malattia. La fabbrica in cui entrambi lavoravano ha chiuso i battenti e lei si ritrova donna di mezza età, sola e senza occupazione, ma non si dà per vinta, vive di lavori precari presso la grande azienda di distribuzione di prodotti commerciali (che sfrutta i dipendenti) e una catena di magazzini che sembrano una città nella città. Fern è eccentrica, inquieta e brusca come i suoi capelli e le sue rughe e vive in un furgone malandato come la sua esistenza e quella degli altri emarginati come lei.
Basato sull’omonimo romanzo della giornalista di inchiesta Jessica Bruder, Nomadland è il film vincitore del premio Oscar 2021 e di due Golden Globe della regista cinese (americana di adozione) Chloé Zhao, conosciuta dalla critica cinematografica per il film precedente The river-Il sogno di un cowboy e che in questo ultimo lavoro continua il suo percorso antropologico, culturale e geografico nell’America profonda, smarrita e ammaccata dalla politica trumpiana dello status-quo, dell’arrivismo, della disuguaglianza.
Nomadland miglior film per la critica Usa - Cinema - ANSASi sposta con un van, la protagonista, di parcheggio in parcheggio, di paesi in paesi, sulla strada e tra gli spazi ampi che riconducono all’epica western dove, oggi, i nativi sono i diseredati, i nuovi poveri, gli ammalati e gli yenkee sono gli imprenditori anche loro vittime del neoliberismo sfrenato dove esiste solo chi produce e chi produce lo fa grazie alla guerra con il concorrente, guerra estremizzata fino all’ultimo respiro. Ma poi anche le fabbriche e le aziende chiudono e ci si ritrova come ad Empire, nella contea di riferimento, di acciaio, lamiera e prefabbricati, emblema del fallimento dell’Occidente e dei suoi falsi valori.
Fern raccoglie pietre dal parco per rivenderle al mercatino improvvisato; ascolta le confidenze della nomade Swankie condannata dalla malattia e priva di cure adeguate; cerca di ricucire la ruota bucata del suo mezzo come le ferite del suo cuore e del Paese in cui si sente estranea e straniera ormai. Non è la mèta che le interessa, ma il viaggio, quell’andare di attimo in attimo, di giorni fatti di incontri, di piccoli gesti che punteggiano la vastità del paesaggio ancora capace di emozionare, così come la colonna sonora di Ludovico Einaudi che accompagna i pensieri, i non-detti, gli sguardi nella ricerca di una nuova identità, di un nuovo e possibile stare nel mondo, più libero, più naturale, più intenso. Siamo parte della terra e del cielo, soprattutto all’età di Fern, sessant’anni di tenacia tra questo mondo scarnificato di buoni sentimenti come la sua anima indurita, e il cielo che la attende e che ha accolto, per ora, il suo amato Bo. Ma c’è ancora Vita e allora questa donna, strega, figura mitica e ancestrale (la sempre brava Francis McDormand, già protagonista del bellissimo Tre manifesti a Ebbing) si fa accarezzare dal vento e dal fuoco, decide – sì decide consapevolmente – da che parte stare: dalla parte delle minoranze, dei deboli, dei poveri. Dalla parte di chi assapora l’avventura e la scoperta dell’andare, senza legami sociali convenzionali, senza regole imposte, senza l’angoscia del “dover essere”, ma con la forza dell’”Io sono”. Zhao, sceneggiatrice e regista, compone, così, un’elegia all’Umano, anche e soprattutto alle sue fragilità che diventano, se ben orientate, una forza travolgente e germinale.

Che storia ha “Nomadland” - Il Post

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Il trailer ufficiale di “Nomadland”


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Credo che sia molto importante, oggi, lavorare con le ragazze e i ragazzi e, per questo, propongo, per le scuole, laboratori anche in Dad di Cinematografia, sul linguaggio filmico e sui temi che, di volta in volta, si vorranno affrontare.

Alessandra Montesanto: (lale.monte@gmail.comperidirittiumani.com)

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OSCAR 2021: lo speciale http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/04/26/oscar-2021-lo-speciale-2/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/04/26/oscar-2021-lo-speciale-2/#comments Mon, 26 Apr 2021 14:01:38 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8774 OSCAR 2021: I VINCITORI, LA SORPRESA, I COMMENTI

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La 93ª edizione dei premi Oscar si è tenuta a Los Angeles sia al Dolby Theatre che all’Union Station il 25 aprile 2021 (nella notte tra il 25 e il 26 per l’Italia), due mesi dopo rispetto a quanto originariamente previsto, a causa della pandemia di COVID-19.

Grande delusione per i candidati italiani. Si sperava di vincere nella categoria “Migliori costumi” (era candidato Massimo Cantini Parrini per il film “Pinocchio”) e “Migliore canzone originale” (era candidata Laura Pausini con la canzone “Io sì (Seen)”, per il film “La vita davanti a sé”). Niente statuette, purtroppo. Ma è stato certamente un gran riconoscimento aver ricevuto la candidature.

“Torno in Italia felice di aver vissuto un’esperienza irripetibile nata per un messaggio importante che condivido completamente”, commenta Laura Pausini, “e per la grande passione che dopo ventotto anni ho ancora per la musica che non è solo il mio lavoro, ma è la mia vita. Torno in Italia felice di riabbracciare la mia bimba che mi aspetta e con la quale festeggeremo di ritrovarci dopo la prima settimana di lontananza della nostra vita. Ma le racconterò il sogno di una notte… incredibile! Aver fatto parte di un progetto così speciale come The Life Ahead con Edoardo Ponti e Sophia Loren è stato per me uno dei regali più grandi che la vita potesse farmi. Aver cantato IO SI sul palco dell’Academy è un sogno che mai avrei potuto mai sperare si avverasse ancora di più in un’edizione così storica. Grazie @theacademy! Ringrazio Diane Warren, per la nostra canzone e per tutti i traguardi raggiunti, primo fra tutti il Golden Globe, è stata un’esperienza incredibile lavorare insieme! Grazie a Bonnie Greenberg e Niccolò Agliardi! Grazie Palomar, grazie Netflix, mi sono sempre sentita a casa con voi”.

A proposito di candidature: ne aveva fatto incetta il film “Mank”, con dieci nomination. I premi che è riuscito a portare a casa sono stati solo nelle sezioni “Migliore fotografia” e “Migliore scenografia”. Come nelle previsioni, grande successo intorno al film “Nomadland” di Chloé Zhao: “Miglior Film”, “Miglior regista” (Chloé Zhao), “Miglior attrice protagonista” (Frances McDormand, piuttosto a sorpresa).

La grande sorpresa ha riguardato Anthony Hopkins, vincitore nella categoria “Miglior attore protagonista” per la sua interpretazione nel film “The Father – Nulla è come sembra (The Father)”. La sorpresa è stata anche per lo stesso Hopkins (il più anziano vincitore della categoria, a 83 anni), giacché non si era nemmeno collegato in streaming durante la cerimonia. In effetti, sembrava piuttosto probabile che la statuetta di Miglior attore protagonista 2021 andasse al compianto Chadwick Boseman per “Ma Rainey’s Black Bottom”.

Di seguito, l’elenco completo dei candidati e dei vincitori (cliccare sui link per aprire gli approfondimenti su Wikipedia)

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Vincitori e candidati

Miglior film

Miglior regista

Miglior attore protagonista

Miglior attrice protagonista

Miglior attore non protagonista

Miglior attrice non protagonista

Migliore sceneggiatura originale

Migliore sceneggiatura non originale

Miglior film internazionale

Miglior film d’animazione

Migliore fotografia

Miglior montaggio

Migliore scenografia

Migliori costumi

Miglior trucco e acconciatura

Migliori effetti speciali

Migliore colonna sonora

Migliore canzone originale

Miglior sonoro

  • Nicolas Becker, Jaime Baksht, Michelle Couttolenc, Carlos Cortés e Phillip BladhSound of Metal
  • Ren Klyce, Coya Elliott e David Parker – Soul
  • Ren Klyce, Jeremy Molod, David Parker, Nathan Nance e Drew Kunin – Mank
  • Warren Shaw, Michael Minkler, Beau Borders e David Wyman – Greyhound – Il nemico invisibile (Greyhound)
  • Oliver Tarney, Mike Prestwood Smith, William Miller e John Pritchett – Notizie dal mondo (News of the World)

Miglior documentario

Miglior cortometraggio

Miglior cortometraggio documentario

Miglior cortometraggio d’animazione

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http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/04/26/oscar-2021-lo-speciale-2/feed/ 0
MANK di David Fincher http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/03/16/mank-di-david-fincher/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/03/16/mank-di-david-fincher/#comments Tue, 16 Mar 2021 17:00:32 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8737 Nuova puntata di Letteratitudine Cinema con nuovo intervento di Alessandra Montesanto: critica cinematografica, docente e saggista.

In questa puntata ci occupiamo di “Mank”: film del 2020 diretto da David Fincher.

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Mank: genio e consapevolezza

di Alessandra Montesanto

Molti, moltissimi conoscono il film Quarto potere, uscito nel 1941 e vincitore dell’Oscar, diretto, prodotto e interpretato da Orson Wells. L’enorme successo della pellicola è da attribuire anche alla sceneggiatura, scritta a quattro mani dallo stesso Wells e da Herman J. Mankiewicz, detto “Mank”. E proprio il diminutivo è il titolo del film che David Fincher ha dedicato alla figura controversa dello scrittore, interpretato da un ottimo Gary Oldman.
Ogni situazione proposta al pubblico è una rielaborazione di Mankiewitz del periodo in cui scrisse Quarto potere, ma anche della sue accuse contro Hearst, il magnate che ispirò la figura del Cittadino Kane (Citizen Kane è il titolo originale dell’opera di cui stiamo parlando).
Fincher per il suo Mank decide di lavorare su due linee temporali: la prima, ambientata negli anni ‘40, vede il protagonista costretto in un appartamento in seguito ad un incidente in auto, alle prese con la stesura della sceneggiatura e affiancato da due pazienti figure femminili che fanno da contrappeso a quelle maschili: un’infermiera tedesca e una segretaria dattilografa. La seconda linea temporale è quella che risale al 1934, anno che vede l’America della Grande Depressione e la California delle elezioni che oppongono Frank Marriam a Upton Sinclair. La Metro Goldwyn Mayer, collusa con il partito repubblicano grazie all’influenza di Hearst, sabota la campagna elettorale del concorrente democratico con la realizzazione di cortometraggi di propaganda e questo uso del Cinema segna la rivoluzione del mezzo tecnico come strumento per manipolare la massa non istruita. Mank decide di non realizzare quei corti, ma lo farà un suo collega che in seguito – a causa del senso di colpa per aver tradito la missione artistica del Cinema e della sua professione – si toglierà la vita.
Un gioco a tre, quello che si dipana sullo schermo, tra i personaggi di Orson Wells – vanesio, irascibile, dittatoriale – Hearst – arrogante e prepotente – e Mank – talentuoso, volgare, vizioso e molto solo. Ma anche i personaggi comprimari formano un affresco ricco di sfaccettature perchè ognuno di loro ha una sua verità da raccontare e, proprio sulla dicotomia tra verità e finzione, si basa l’analisi concettuale del film di Fincher (come tra l’altro si evince dalle sue opere precedenti: Seven, Fight club, The social network, Millennium, per citarne alcune). Tramite il moltiplicarsi dei punti di vista, il regista statunitense vuole dimostrare che la verità non sia mai univoca; la ricostruzione della nascita di Quarto potere, infatti, è per lo più filtrata dai ricordi e dalle opinioni di Mank: siamo, quindi, di fronte ad una verità del tutto soggettiva che, a tratti, attinge dalla realtà e a tratti no.
Vediamo il Mankiewicz nella realtà: pare che avesse idee politiche conservatrici, che si fosse rifiutato di far parte del sindacato degli sceneggiatori e che, durante la Seconda Guerra mondiale, fosse un’isolazionista. Nel film, invece, si fa promotore di un salvataggio di un gruppo di ebrei, si rifiuta di scrivere i cinegiornali per i Repubblicani e si confronta duramente con il magnate.
Quarto potere è un duro je accuse contro il Potere anche economico, contro la corruzione politica e contro l’industria cinematografica asservita a entrambi e che, nel suo caso, ha sfruttato i cineasti. Siamo, allora, nella dimensione della post-verità: quella di Fincher che narra quella di Mank, in un gioco intellettuale stimolante che comprende anche il nostro vivere Presente nella critica alle condotte politiche – dall’alto – con le loro conseguenze sui cittadini, che reagiscono, dal basso.
Mank è molto interessante anche per le scelte stilistiche: vi sono, infatti, numerosi omaggi al linguaggio filmico di Wells quali, ad esempio: l’uso della profondità di campo per riprendere le tavolate e gli ambienti, il montaggio creativo (vedere la sequenza del ballottaggio elettorale durante la serata di gala); oppure l’idea di scambiare le bottiglie di alcool (il nostro sceneggiatore era un’alcolista e un giocatore d’azzardo) con quelle di sonnifero; le diagonali per trasmettere al pubblico la tensione e, infine, il forte contrasto del bianco e nero che rende drammatica l’atmosfera.
Ma torniamo alla scrittura: il finale vede un confronto tra Mank che parla di Don Chisciotte e Hearst che racconta la storiella di una scimmietta ammaestrata. Il primo, fa dell’eroe spagnolo un giornalista bugiardo che finge falsi ideali per essere amato dalla massa ed essere votato; il secondo, identifica Mank con una scimmia ammaestrata, convinta di poter comandare sul suo padrone, quando invece è lei stessa ad essere manovrata.
Mank è un uomo controverso, contraddittorio come tutti, tragico e incompreso: capirà, con la stesura in soli novanta giorni della sceneggiatura del capolavoro di Orson Welles, quanto sia importante l’Arte (la Settima, in questo caso) per denunciare l’odio e le menzogne che hanno indotto al suicidio un onesto lavoratore e alla sconfitta un avversario politico: per cosa? Per il Potere, simboleggiato dalla fastosa villa di Hearst che, nel film di Fincher, diventerà la “Xanadu”.

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Il trailer ufficiale di “Mank”

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Credo che sia molto importante, oggi, lavorare con le ragazze e i ragazzi e, per questo, propongo, per le scuole, laboratori anche in Dad di Cinematografia, sul linguaggio filmico e sui temi che, di volta in volta, si vorranno affrontare.

Alessandra Montesanto: (lale.monte@gmail.comperidirittiumani.com)

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GOLDEN GLOBE 2021 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/03/01/golden-globe-2021/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/03/01/golden-globe-2021/#comments Mon, 01 Mar 2021 16:28:09 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8725 https://64.media.tumblr.com/776197f780b79c394ee22ede324a3dfc/21e41c2917ad51f4-21/s1280x1920/bbfacec9d8b3236f4b0ea4d36faec7d34c3f6c5d.jpg

In questa nuova puntata di Letteratitudine Cinema diamo spazio ai risultati dell’edizione 2021 dei prestigiosi Golden Globe Awards

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https://64.media.tumblr.com/f7f6e78fc02f81a9f38395d1ec998258/21e41c2917ad51f4-d7/s1280x1920/66eb3b05bf9a86d52993cc771fdb89ce59c32add.jpgCon qualche piccola difficoltà tecnica (suono in ritardo e l’inevitabile confusione dei collegamenti via Zoom), ieri 28 febbraio 2021, è stata trasmessa in diretta dalla rete statunitense NBC la 78ª edizione dei Golden Globe Awards: cerimonia semi-virtuale ancora una volta dominata da star britanniche.

La nostra Laura Pausini ha vinto nella categoria Migliore canzone originale con il brano “Io sì (Seen)” (Diane Warren, Laura Pausini e Niccolò Agliardi), dalla colonna sonora del film “La vita davanti a sé” (The Life Ahead). Golden Globe alla carriera a Jane Fonda.

Tra i vincitori delle più importanti categorie: Miglior film drammatico a “Nomadland”, regia di Chloé Zhao; Miglior film commedia o musicale a “Borat – Seguito di film cinema”, regia di Jason Woliner; Miglior regista, Chloé Zhao per “Nomadland”; Migliore attore in un film drammatico, Chadwick Boseman per “Ma Rainey’s Black Bottom”; Migliore attrice in un film drammatico, Andra Day per “The United States vs. Billie Holiday”; Migliore attore in un film commedia o musicale, Sacha Baron Cohen per “Borat – Seguito di film”; Migliore attrice in un film commedia o musicale, Rosamund Pike per “I Care a Lot”; Migliore attore non protagonista, Daniel Kaluuya per “Judas and the Black Messiah”; Migliore attrice non protagonista, Jodie Foster per “The Mauritanian”; Miglior serie drammatica, “The Crown”.

A causa della pandemia da COVID-19 i candidati si sono collegati dalle proprie abitazioni.
Segue l’elenco completo dei candidati e dei vincitori nelle varie categorie del Premio (e una carrellata di immagini).

[cliccare sui link per aprire le pagine (collegate a Wikipedia Italia)]

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Premi per il cinema

https://64.media.tumblr.com/5f09488e75092464764d3f9d1d0104eb/49b320eb7e3f1e49-07/s1280x1920/ff3d5f37e08094cc3aa1bf7221a900597c346399.jpgMiglior film drammatico

Miglior film commedia o musicale

Miglior regista

Migliore attore in un film drammatico

https://64.media.tumblr.com/2a4f068c82cf1db06393eae4766fe23e/21e41c2917ad51f4-2b/s1280x1920/7f47491d7a28dd0c4b339c68368fbe741afcd3ec.jpgMigliore attrice in un film drammatico

Migliore attore in un film commedia o musicale

Migliore attrice in un film commedia o musicale

Migliore attore non protagonista

https://64.media.tumblr.com/78ffd96928d53c23a71c16c1b8c9f57b/64de3d4e7f3857ba-04/s1280x1920/69f494f6a56da2323a8c6f00f2e4e415ffb90f99.jpgMigliore attrice non protagonista

Miglior film in lingua straniera

Miglior film d’animazione

Migliore sceneggiatura

Migliore colonna sonora originale

https://64.media.tumblr.com/98dd43f73d9704ea267b37d568f29588/21e41c2917ad51f4-a0/s500x750/c953c60d09fb3cd8c858df149cbc6751d2159221.jpgMigliore canzone originale

Premi per la televisione

Miglior serie drammatica

https://64.media.tumblr.com/7d26f233b0634166e77c535790f17c51/64de3d4e7f3857ba-07/s1280x1920/c7240eba27165fcf9ed3d1356ed610a8d04e2aa2.jpgMigliore attore in una serie drammatica

Miglior attrice in una serie drammatica

Miglior serie commedia o musicale

Migliore attore in una serie commedia o musicale

Migliore attrice in una serie commedia o musicale

Miglior miniserie o film televisivo

Image from LETTERATITUDINE (di Massimo Maugeri)Migliore attore in una miniserie o film televisivo

Migliore attrice in una miniserie o film televisivo

Migliore attore non protagonista in una serie, miniserie o film televisivo

Migliore attrice non protagonista in una serie, miniserie o film televisivo

Premi onorari

Image from LETTERATITUDINE (di Massimo Maugeri)Golden Globe alla carriera

Golden Globe alla carriera televisiva

Golden Globe Ambassador

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[In collaborazione con Wikipedia Italia]

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KIM KI DUK: UN CINEMA TRAGICAMENTE POETICO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/02/16/kim-ki-duk-un-cinema-tragicamente-poetico/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/02/16/kim-ki-duk-un-cinema-tragicamente-poetico/#comments Tue, 16 Feb 2021 06:00:58 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8712 Nuova puntata di Letteratitudine Cinema con nuovo intervento di Alessandra Montesanto: critica cinematografica, docente e saggista.

In questa puntata ci occupiamo del ruolo del Cinema del regista sudcoreano Kim Ki Duk

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Il Cinema tragicamente poetico di Kim Ki Duk

di Alessandra Montesanto

Un’esistenza travagliata quella del regista sudcoreano Kim Ki Duk, deceduto a soli cinquantanove anni a causa delle conseguenze del Covid-19, durante un soggiorno in Lettonia. Un triste epilogo dopo lo scandalo #Metoo in cui il cineasta era stato accusato di molestie sessuali a danno di alcune attrici durante la lavorazione di un film.
Vogliamo scindere la persona dall’artista perché Kim Ki Duk entra nella schiera dei registi cult grazie al suo Cinema coinvolgente, passionale, arguto e poetico, di quella poesia che i veri intellettuali (asiatici e non solo) sanno regalare al mondo.
Parleremo, in questo brevissimo excursus, di tre suoi film, forse i più rappresentativi, interessanti per il senso vivo della cultura e dell’indagine dell’animo e della coscienza umani.
Il grande successo arriva nel 2003 con il film intitolato Primavera, estate, autunno inverno e ancora… Primavera che segue L’isola, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, una rappresentazione cruda e iperrealista di una relazione uomo-donna, relazione che si svolge in un isolato villaggio galleggiante e che vede i protagonisti utilizzare gli ami da pesca (conficcati nella vagina di lei, nell’esofago di lui) per simboleggiare il dolore e la follia di un amore esclusivo e simbiotico. Nel film ritroviamo l’inquadratura ricorrente di una chiatta con un tempietto posizionato sopra, sempre immersa in un placido lago; un bambino cresce, diventa adulto, sarà un monaco e, da anziano, si prenderà cura di un altro bambino. Folgorante e intensa messa in scena della filosofia buddista che suggerisce l’idea della circolare eternità della vita (quella che il mistico Raimond Pannikar definisce la “tempiternità”) per cui non bisogna temere la morte se dopo la fine corporea entriamo nella dimensione cosmica a cui apparteniamo, sotto forma di Spirito immanente. Kim Ki Duk si allontana, quindi, dalla crudezza, dal sacrificio della carne, per fare un’elegia del pensiero filosofico, orientale e occidentale. Il bambino protagonista del film, infatti, dopo aver scoperto gli istinti sessuali decide di abbandonare la chiatta per recarsi in città insieme alla ragazza di cui è innamorato; finirà in prigione per un crimine passionale e farà ritorno al tempio in cerca di redenzione. Una deriva moderna, quindi, che increspa la pace interiore a fatica interiorizzata e ancor più difficilmente recuperata nel percorso del bambino-ragazzo-Uomo e puntellata da numerose figure e immagini simboliche: il fardello cristologico da portare sulle spalle, il tirare la corda, l’allontanamento dall’Eden e la legge del contrappasso (propri della cultura cristiana e il rimando al tema della colpa); l’alternarsi delle stagioni e la ciclicità del Tempo, la condizione eremitica e meditativa, gli ideogrammi dipinti a inchiostro e poi intagliati nel pavimento e colorati (propri della cultura buddista). E poi ancora: il silenzio, una porta che si apre all’inizio del film (e che svela un mondo “altro”, per ricordare la stanza in Stalker di Tarkovskij), l’acqua benedicente e rigeneratrice perché, nonostante la corruzione dell’anima – congenita all’Uomo – quella porta si potrà riaprire sulla primavera.
L’anno successivo, nel 2004, esce un nuovo lavoro del regista, opera cinematografica poetica, elegante e, allo stesso tempo, spiazzante. Tae-suk, questo il nome del protagonista, è un giovane che ha l’abitudine di intrufolarsi nelle abitazioni degli altri, di prendersene cura come se fossero sue. Un giorno entra in un appartamento di lusso in cui vive una ragazza, Sun-hwa, vittima di un marito volgare e aggressivo. All’inizio la donna spia quella strana e dolce figura che è venuta ad abitare con lei gli spazi, poi gli si rivela. Tae-Suk affronta il marito della giovane donna, lo colpisce con forza con una mazza da golf – il Ferro 3 che dà il titolo al film – e poi scappa con la ragazza, iniziando una fuga romantica durante la quale si nascondono ancora abusivamente nelle abitazioni di estranei fino a quando il nostro protagonista verrà arrestato. In cella, si allena per sviluppare la tecnica dell’invisibilità. Una volta uscito dalla prigione, Tae-suk torna a casa di Sun-hwa e i due continueranno ad amarsi, alle spalle del marito di lei, ignaro della presenza del giovane nella loro vita coniugale.
Una storia d’amore narrata solo con gli sguardi, i movimenti dei corpi che sembrano fluttuare nello spazio, nel mutismo denso di significati; dialoghi rarefatti che non coinvolgono i giovani amanti perché il vero Amore non ha bisogno di parole. Tae-suk cerca, nelle abitazioni altrui (la casa, in psicologia, è la casa interiore) pace e armonia, forse proprio quella che non trova nel mondo esterno, cacofonico e violento. E’ un continuo passaggio tra vuoti e pieni, tra silenzio e rumori, tra dentro e fuori quello in cui si muove la cinepresa di Kim Ki Duk per descrivere emozioni e sentimenti nella loro essenza; un occhio disegnato sul palmo della mano e una collezione di fotografie, via via decomposte, sono i segni di un codice simbolico che rimanda alla saggezza a cui si giunge grazie alla meditazione e grazie al dissolvimento delle apparenze. Un film sulla solitudine e sulla corruzione del mondo contemporaneo, sulla possibilità di recuperare le relazioni tramite la capacità di lib(e)rarsi (come dalla cella) dalla materialità per farsi aria, come Tae-suk angelo custode, per farsi sentimento e cura.
E, infine, avvicinandoci ai giorni nostri, nel 2016, parliamo di uno dei film più politicizzati dell’autore asiatico: Il prigioniero coreano. Un dramma ambientato durante la guerra fredda tra Corea del Sud e Corea del Nord. Il cineasta abbandona le tinte forti de L’isola di Moebius per girare la storia di un anziano del nord che ogni giorno si reca a pescare al confine tra le due Coree sotto la sorveglianza dei militari, ma in una di queste occasioni, la corrente spinge la sua barca verso le acque dell’area proibita e l’uomo viene fatto prigioniero. Sarà, poi, costretto ad una fedeltà integerrima e a condurre un’esistenza contraria al capitalismo sfrenato e corrotto.
Tramite una metafora, quindi, il cineasta mostra una Corea del Sud in cui il protagonista non trova un mondo ideale, anzi. E suggerisce che l’Uomo si trovi ad essere del tutto insignificante quando viene, suo malgrado, coinvolto nei conflitti e nelle ragioni di Stato.

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Credo che sia molto importante, oggi, lavorare con le ragazze e i ragazzi e, per questo, propongo, per le scuole, laboratori anche in Dad di Cinematografia, sul linguaggio filmico e sui temi che, di volta in volta, si vorranno affrontare.

Alessandra Montesanto: (lale.monte@gmail.comperidirittiumani.com)

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IL CINEMA E IL GIORNO DELLA MEMORIA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/01/18/il-cinema-e-il-giorno-della-memoria/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/01/18/il-cinema-e-il-giorno-della-memoria/#comments Mon, 18 Jan 2021 14:00:23 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8685 Auschwitz I entrance snow.jpgNuova puntata di Letteratitudine Cinema con un intervento di Alessandra Montesanto: critica cinematografica, docente e saggista.

In questa puntata ci occupiamo del ruolo del Cinema nell’ambito del Giorno della Memoria (con la segnalazione di alcuni film)

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L’attualità della Memoria

di Alessandra Montesanto

Quel che ora penso veramente è che il male non è mai ‘radicale’ e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perchè si espande sulla superficie come un fungo. Esso ’sfida’, come ho detto, il pensiero perchè il pensiero cerca la profondità, di andare alle radici e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perchè non trova nulla. Questa è la sua ‘banalità’. Solo il bene è profondo e radicale”: queste sono alcune parole di Anna Harendt tratte dal suo celebre testo intitolato “La banalità del male”. Per costruire un pensiero critico e tracciare il solco tra ciò che giusto e ciò che non lo è, tra ciò che è umano e ciò che più non lo è, risultano fondamentali i linguaggi della Cultura e dell’Arte. Anche il Cinema, spesso, può far riflettere su importanti temi di attualità e sul Passato – più o meno recente – per reimparare quale sia la strada dell’etica e della verità.
Il 27 gennaio si celebra la Giornata internazionale della Memoria, riferita, in particolare, all’Olocausto. Per l’occasione, con questo articolo, si desidera suggerire la visione di alcuni film (alcuni noti, altri meno) utili per un pubblico generico e, soprattutto, per scopi formativo-didattici; la Memoria non è la ripetizione, vuota di senso, di frasi o parole, ma è un ritorno profondo e sentito verso passi che sono stati già compiuti – e che, purtroppo in molti casi hanno portato a situazioni drammatiche – per non rifarli.
Si vuole iniziare questo breve excursus con un film del 2010, La chiave di Sara, di Gilles Paquet-Brenner che recupera un fatto storico dimenticato: il rastrellamento del Vélodrome d’Hiver tramite la storia di una famiglia ebrea deportata, gli Starzinsky, in un continuo alternarsi di flashback e di flasfhforward. La sceneggiatura è interessante in quanto, senza giudicare, il regista dipinge il ritratto di una Francia in mano ai tedeschi e in totale devozione a Hitler, e una popolazione in cerca solo di salvezza, con coloro che sono stati complici del nazifascismo, coloro che sono rimasti indifferenti (la maggior parte) e coloro (mai abbastanza) che hanno cercato di aiutare.
Altrettanto di spessore è la pellicola Il figlio di Saul, opera prima del regista ungherese Làszlo Nemes, che si apre con un lungo piano-sequenza sul volto del protagonista, Saul Ausländer , a cui è stato dato l’infausto compito di accompagnare i nuovi deportati allo sterminio. Saul fa parte di quegli ebrei che, in cambio di condizioni di vita migliori nel campo, si occupano della pulizia dei forni crematori e delle camere a gas. A rischio della propria vita, il protagonista deciderà di dare  una degna sepoltura a un ragazzo che avrebbe potuto essere suo figlio. Questa è un’opera cinematografica importante per il contentuo, ma anche per lo stile e le tecniche di ripresa (adatta agli studenti delle scuole superiori): i corpi delle vittime sono, per i tedeschi, paragonabili ai pezzi di ricambio di vetture, i campi sono organizzati proprio come un’azienda automobilistica, le SS fanno parte di un ingranaggio perfettamente oliato; la camera a mano segue i personaggi che si muovono in uno spazio claustrofobico in cui prevalgono, a corredare alcune immagini, rumori confusi di sottofondo per sottolinerare lo stato di semi-incoscienza dei detenuti e per creare ulteriore angoscia nel pubblico. Superpremiato al festival di Cannes, nel 2015, Il figlio di Saul coinvolge lo spettatore in prima persona (anche per le numerose inquadrature in soggettiva del narratore interno), impedendogli di trovare alibi per “non aver capito”, “non aver saputo”.
Dal 2017 torniamo indietro, al 1939, quando Antonina Zabinski, attraversa il suo esteso zoo situato al centro di Varsavia: è la protagonista de La signora dello zoo di Varsavia, moglie di Jan Zabinski che già dieci anni prima è stato costretto ad accogliere truppe tedesche e a sottostare alle follie pseudoscientifiche dell’allora responsabile dello zoo, Lutz Heck, noto nazista. Toccati da vicino dall’eccidio ebraico e coinvolti nella resistenza armata anni prima, a ridosso dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale i due coniugi decidono di allevare dei maiali per sfamare i soldati tedeschi: si tratta, in realtà, di uno escamotage per nascondere i partigiani. La caratteristica principale di questo film è data dalla suspance continua, che viene affrontata grazie al forte senso di solidarietà dei personaggi, solidarietà che, in molti casi nella Storia, è stata più forte della violenza cieca e brutale.  La scena della ragazzina con gli abiti strappati (perchè ha appena subito uno stupro) non lascia indifferenti e, ancora una volta, non permettere di chiudere gli occhi davanti al male.
Ma si possono affrontare temi così delicati e forti anche tramite l’ironia. Lo ha fatto magistralmente il regista rumeno Radu Mihaileanu con il suo Train de vie, del ‘98. Un film datato, ma che è sempre bene ricordare e rivedere proprio per la sua originalità: racconta, infatti, di un intero villaggio ebreo i cui abitanti vogliono fuggire dal nazismo e lo faranno su un treno che apparirà come un vero e proprio convoglio di deportati, con falsi tedeschi di scorta. Un elemento tipico della commedia – lo scambio di ruoli – diventa un modo intelligente per riflettere sul rapporto tra realtà e finzione, su quanto sia facile indossare maschere sociali (in questo caso per la sopravvivenza), sul coraggio di tentare davvero il “tutto per tutto”. L’humor yiddish, la figura di Shlomo – il matto – e un finale spiazzante, rendono Train de vie un capolavoro.
Per gli alunni delle scuole medie vogliamo consigliare la visione di una pellicola di qualche anno fa, uscita nel 2013, che ha avuto un buon successo grazie anche al fatto di essere la trasposizione di un romanzo dal titolo “La bambina che salvava i libri”, bestseller di Markus Zukas.
La protagonista di entrambe le opere è una ragazzina, Liesel, che con i suoi genitori adottivi, dà rifugio ad un giovane ebreo, nascondendolo nella cantina di casa. Il regista, Brian Percival, asciuga il testo dei tratti fantastici del libro per conferire un maggiore e significativo afflato poetico alla storia (da notare, ad esempio, la scena centrale in cui Liesel  salva un libro da un rogo nazista). Proprio questo è il nucleo del film e del romanzo: l’importanza della lettura, della conoscenza e di un pensiero critico per crescere come esseri umani, per nutrire la coscienza.

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Credo che sia molto importante, oggi, lavorare con le ragazze e i ragazzi e, per questo, propongo, per le scuole, laboratori anche in Dad di Cinematografia, sul linguaggio filmico e sui temi che, di volta in volta, si vorranno affrontare.

Alessandra Montesanto: (lale.monte@gmail.comperidirittiumani.com)

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LA BICICLETTA VERDE e LA CANDIDATA IDEALE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/12/22/la-bicicletta-verde-e-la-candidata-ideale/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/12/22/la-bicicletta-verde-e-la-candidata-ideale/#comments Tue, 22 Dec 2020 15:31:17 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8667 Diamo il benvenuto ad Alessandra Montesanto – critica cinematografica, docente e saggista – la quale, a partire da queste mese, inizia la sua collaborazione con Letteratitudine Cinema. In questa puntata ci occupiamo dei film “La bicicletta verde” e “La candidata ideale”

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I (bi)sogni delle donne saudite

di Alessandra Montesanto

Il film "La bicicletta verde" di Haifaa Al-Mansour sui diritti delle donne  - Famiglia CristianaWadjda è un’adolescente, vive a Riyadh con i genitori, ama giocare con l’amico Abdullah, che possiede una bicicletta che le presta quando si trovano negli spazi aperti di una città costruita nel deserto; alle ragazze non è permesso usarla, così come alle donne, fino a pochi mesi fa non era permesso guidare l’automobile. La cultura araba ultratradizionalista impone alle figure femminili di indossare veli e lunghe tuniche nere, l’abaya quando sono in pubblico; impone loro di non parlare ad alta voce e di non condividere i pasti insieme agli uomini che non siano della famiglia e impone altre norme sociali che soffocano la vita quotidiana e la loro dignità. Wadida, però, sotto la tunica porta un paio di scarpe sportive di marca occidentale, ascolta musica methal e desidera tanto proprio una bicicletta di colore verde, verde come la tinta del Paradiso e altrettanto difficile da conquistare. Per riuscire a comprare l’oggetto (fin troppo semplice da considerare emblema di libertà), la ragazzina deve partecipare ad una gara di Corano, organizzata all’interno della scuola da lei frequentata e vincere il premio in denaro. Con la furbizia propria di una Sharazad contemporanea, la protagonista del film La bicicletta verde, uscito con successo nel 2012, otterrà il risultato sperato, ma la ricompensa sarà destinata ai bambini poveri palestinesi, in una doppia beffa all’estremismo religioso.
Questa pellicola è il lungometraggio che avvia la carriera di Haifaa Al Manosur, prima regista donna dell’Arabia saudita; racconta, con grande ironia, un mondo rigido in cui non sono ammesse sfumature se non per gli uomini e per sotterfugi. L’autrice critica, con il registro della satira, la cultura araba, ma allo stesso tempo, dimostra per questa e le sue tradizioni, un grande amore che condivide con gli spettatori, tramite simboli, colori e il fascino coinvolgente delle drammatiche storie d’amore. Non stacca gli occhi, però, dalla realtà: la madre di Wadjda viene abbandonata dal marito perché costretto a sposare un’altra donna che potrà dargli il desiderato figlio maschio, nel cieco ripetersi di quelle regole antiche che subordinano i sentimenti alla società patriarcale, ma proprio all’interno del microcosmo familiare si accende la miccia di quella che potrà essere una rivolta – che passa di figlia in madre e viceversa – quando, dopo che la figlia avrà provocato la Preside e l’intero sistema scolastico, la mamma regalerà a Wadjda la bicicletta, come benedizione alla disobbedienza e via aperta al libero arbitrio.
Abdullah (il compagno innamorato, disposto ad accettare il carattere e i comportamenti da outsider della giovane protagonista) rappresenta una breccia nella mentalità maschilista e prepotente che ammanta di nero la società saudita e dimostra, anche lui, quanto il Futuro sia in mano alle nuove generazioni.
La candidata ideale - Film (2019) - MYmovies.itHaifaa Al Mansouur ha di nuovo raccontato e indagato la propria cultura di appartenenza nel suo ultimo film, presentato nelle sale cinematografiche nel settembre 2019 e intitolato (in italiano) La candidata ideale. Fino al mese di agosto dello stesso anno, se una donna voleva viaggiare, doveva avere il permesso scritto del padre, di un fratello o del marito; ora questa legge è cambiata, ma non i valori identitari che rendono marginale il femminile, nel privato e nel pubblico: ed è ancora una donna la protagonista del film, Maryam, che decide di candidarsi al Consiglio municipale con poteri su questioni locali come, ad esempio, la bonifica delle strade. Pochissimi voteranno per lei e la sua campagna elettorale sarà piena di ostacoli: viene insultata, deve tenere i comizi tramite l’uso del computer, è costretta a coprirsi gli occhi se parla in pubblico. Ma anche questa sceneggiatura (tratta da fatti realmente accaduti) rovescia il punto di vista, proponendo l’immagine, ancora una volta, di una donna che lotta per i propri diritti, con il coraggio di compiere una scelta spinosa e con lo stesso coraggio nell’avviare un percorso di consapevolezza di Sé.
La sorella di Maryam è differente da Wadjda: nel suo caso è una ragazza vittima della propria età, che desidera una vita tranquilla, perché si sente già vittima della professione dei due genitori. Il padre, infatti, è un musicista e la madre una cantante. Il padre è una figura maschile nobilitata, sempre perché la regista e i suoi collaboratori non vogliono cadere nei cliché: l’uomo, infatti, sarà capace di piangere senza nascondersi.

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I Trailer dei due film

La bicicletta verde e La candidata ideale

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IL CINEMA E LE VISIONI PERIFERICHE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/12/02/il-cinema-e-le-visioni-periferiche/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/12/02/il-cinema-e-le-visioni-periferiche/#comments Wed, 02 Dec 2020 14:00:07 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8648 Nella nuova puntata di Letteratitudine Cinema ci occupiamo di questo volume di Alessandra Montesanto dedicato al mondo del cinema con riferimento ai corti, film e documentari che hanno raccontato in presa diretta le periferie. Si intitola “Visioni periferiche. La narrazione dell’hinterland in Italia e nel mondo” (Ass. Multimage editore). Nicoletta Bortolotti ha intervistato l’autrice…

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Visioni periferiche – La narrazione dell’hinterland in Italia e nel mondo: intervista ad Alessandra Montesanto

di Nicoletta Bortolotti

Varlam Šalamov, nella prefazione ai Racconti di Kolyma, sorta di monumentale documentario scritto sull’atroce quotidianità del Gulag, affermava che nessuna forma artistica può abolire il dolore, ma solo dare voce o, addirittura, restituire bellezza come estremo atto politico. È il medesimo presupposto dello straordinario e sconvolgente turismo cinematografico nelle periferie delle grandi metropoli narrato da Alessandra Montesanto, docente di Cinema e Linguaggio dei Mass-Media e responsabile dell’Associazione Per i Diritti umani. “Visioni periferiche – La narrazione dell’hinterland in Italia e nel mondo” è disanima appassionata e meticolosa di corti, film e documentari che hanno raccontato in presa diretta le periferie. E alla vigilia della controversa decisione di chiudere cinema e teatri a causa di Covid-19, ecco che il cinema stesso, arte di centro, rischia di mutarsi in arte periferica.

- Come valuti la chiusura dei cinema e dei teatri?
Credo sia stato ingiusto chiuderli, perché significa dare un ulteriore colpo al settore della Cultura, fin troppo bistrattato nel nostro Paese. La Cultura – e quindi anche il cinema e il teatro – è fondamentale per crescere come umanità e affossarla significa interrompere un processo di evoluzione individuale e sociale che, di conseguenza, porta alla desertificazione dei valori positivi.

- Le maggiori metropoli mondiali sono cresciute con un centro verticale e un hinterland orizzontale. Come il paesaggio esteriore condiziona quello interiore e come lo racconta il cinema?
Il cinema riflette, spesso, ambienti periferici che Marc Augé definiva “non-luoghi”, ovvero spazi di transito (strade, piazze, mall) in cui non è possibile fermarsi a riflettere; luoghi in cui si trascorre il tempo, senza dare a quest’ultimo una densità di senso. La mancanza di cura e, soprattutto, di servizi porta a far crescere una sorta di nichilismo esistenziale nelle persone che abitano quegli ambienti che, a loro volta, perdono l’interesse per ciò che li circonda e diventano spettatori/attori di un degrado generale.

- E a chi spetta sui territori delle periferie decidere cosa è bellezza?
Il Bene comune, come la Bellezza, andrebbe richiesto dai cittadini stessi, in quanto loro diritto fondamentale; devono essere tutelati sia dalle istituzioni locali, sia da quelle nazionali con la partecipazione, appunto, degli abitanti del luogo. È importante attivare processi di cittadinanza attiva e progetti di riqualificazione urbana, come nel caso di alcune aree a Milano e a Roma, per esempio, di cui si parla nel libro.

- Citi Igiaba Scego: “La memoria non è negare quello che è stato, ma rielaborare quella vita passata…”. Come il cinema può farsi proiezione di memoria?
I film sono, come le altre forme artistiche, uno strumento adatto per mantenere viva la Memoria e, di conseguenza, leggere il presente e il futuro. Grazie al linguaggio tecnico (ambientazione, costumi, regia, fotografia, montaggio) si ricreano sullo schermo storie e situazioni che coinvolgono il pubblico, tramite i meccanismi di proiezione e di identificazione.

- Colpisce nelle vicende filmicamente narrate la presenza di corpi annientati, martoriati, venduti. Che cosa fanno le periferie ai corpi?
Nel libro cito un saggio molto noto di due antropologi e psicanalisti, Benasayag e Schmit (“L’epoca delle passioni tristi”), che sostengono quanto la mancanza di stimoli, di strutture per la formazione e lo svago, di sostegno all’inserimento lavorativo porti a vivere la periferia come una prigione, come un luogo da cui evadere, e i modi per farlo, purtroppo, possono essere numerosi e negativi per la salute psico-fisica delle persone: uso di alcol e di stupefacenti; utilizzo del proprio corpo come compravendita; ricorso alla violenza per micro o macro criminalità. Il corpo, quindi, diventa mappa del disagio sociale.

- In un film rumeno due ragazze costrette all’aborto clandestino concludono che non ne avrebbero più parlato. In che senso il cinema può mutare una vicenda individuale in allegoria del destino di un Paese?
Gabita e Otilia sono le protagoniste del film del regista rumeno Christian Mungiu, dal titolo “4 mesi, 3 settimane, 2 giorni”. Si tratta di una metafora dell’oblio collettivo: gli abitanti di un Paese che ha vissuto a lungo sotto dittatura, spesso, scelgono di non volere più ricordare il passato e di voler guardare solo avanti.

- Lo stile narrativo adottato è per lo più neorealistico… Quali differenze e continuità fra nuovi registi e grandi maestri del passato come Pasolini, Olmi, Scola…?
Oggi molti autori attingono dalla lezione dei Grandi, scegliendo storie minime che diventano universali, mantenendo sullo schermo la verosimiglianza, dando la parola alle persone del luogo. Si può parlare, in alcuni casi, di cinema civile, di denuncia e di questo abbiamo un gran bisogno.

- Nel viaggio affascinante che proponi convergono due centri di interesse, il cinema e i diritti umani… A quali tue esperienze personali si riferiscono?
Sono critico cinematografico e formatrice; amo le narrazioni, non solo letterarie, ma anche poetiche e artistiche.
Inoltre, da sette anni sono responsabile di un’associazione culturale, Associazione Per i Diritti Umani (www.peridirittiumani.com) con cui si vogliono approfondire gli argomenti relativi ai diritti universali sempre tramite la Cultura e il Giornalismo.

- La maggior parte delle sceneggiature sulle periferie ne intagliano ombre e assenze. Esistono anche sacche di luce e di autentica ricchezza?
Fortunatamente esistono: mi piace ricordare un progetto realizzato a Roma, presso la borgata del Trullo, che si intitola “Poeti der trullo”. Il gruppo dei “metroromantici” racconta la capitale degli emarginati con versi sentimentali e motivazionali. Poesie e murales inneggiano alla cura della famiglia, all’amicizia, alla solidarietà, e alla voglia di riscatto. È la voce dei giovani che hanno tutto il diritto di fare istanza di una vita più appagante e colorata.

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Alessandra Montesanto è laureata in Lettere e Filosofia, insegna Cinematografia ed è responsabile dell’Associazione Per i Diritti umani. È caporedattore del giornale online www.peridirittiumani.com, svolge l’attività di formatrice ed è stata Cultore di Materia presso l’Università di Urbino. Scrive per la rivista “Il ragazzo selvaggio”, pressenza.com; Pubblicazioni: “Visioni urbane. Viaggi tra Cinema e Architettura”, “Immigrazione e Mass Media. Per una corretta informazione”, “Mosaikon. Voci e immagini per I dirittti umani”, Arcipekago Edizioni. Di recente uscita: “Visioni periferiche. La narrazione dell’hinterland in Italia e nel mondo”, Multimage Editore. Con Giuseppe Acconcia, “A voce alta. La libertà di espressione nel mondo. La tutela negata”, Kanaga Editore. “Come carta di riso”, edito da Oèdipus, è la sua prima silloge poetica.

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ADDIO A GIGI PROIETTI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/11/02/addio-a-gigi-proietti/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/11/02/addio-a-gigi-proietti/#comments Mon, 02 Nov 2020 06:00:03 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8613 * * * Approfondimenti su: Ansa, la Repubblica, Il Corriere della Sera, La Stampa, Rainews, Il Messaggero, [...]]]>

Gigi Proietti (Roma, 2 novembre 1940 – Roma, 2 novembre 2020). Lo vogliamo ricordare così…

Gigi Proietti “Toto e la sauna”

Gigi Proietti “Nu’ me rompe er ca’”

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Approfondimenti su: Ansa, la Repubblica, Il Corriere della Sera, La Stampa, Rainews, Il Messaggero, Il Giornale, Wikipedia

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LA SERATA CONCLUSIVA DI VENEZIA ‘77: I VINCITORI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/09/12/la-serata-conclusiva-di-venezia-77/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/09/12/la-serata-conclusiva-di-venezia-77/#comments Sat, 12 Sep 2020 20:25:03 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8573 LA SERATA CONCLUSIVA DI VENEZIA ‘77: i premiati della 77ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

Su LetteratitudineNews, il video integrale della cerimonia conclusiva della 77ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e del Red Carpet di chiusura

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Grande emozione alla cerimonia conclusiva della 77ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia che si è svolta nella serata di oggi 12 settembre 2020. La serata è stata magnificamente condotta dall’attrice italiana Anna Foglietta, la quale aveva presentato anche la cerimonia d’apertura.

L’elenco dei film in concorso è disponibile qui.

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La giuria internazionale del concorso, presieduta da una grande stella del cinema internazionale, l’attrice australiana Cate Blanchett, ha assegnato il Leone d’oro al miglior film allo statunitense “Nomadland” di Chloé Zhao. Tra gli altri premi più importanti della sezione ufficiale figurano: il Leone d’argento per la miglior regia a Kiyoshi Kurosawa per “Supai no tsuma”; la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile a Vanessa Kirby per “Pieces of a Woman”; la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile a Pierfrancesco Favino per “Padrenostro”. Segnaliamo anche, nella sezione Orizzonti, il Premio Orizzonti per la miglior sceneggiatura a Pietro Castellitto per “I predatori”.
Di seguito, una carrellata di immagini e tutte le notizie su Venezia ‘77

La 77ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica si è svolta a Venezia dal 2 al 12 settembre 2020, diretta da Alberto Barbera e organizzata dalla Biennale presieduta da Roberto Cicutto. A causa della pandemia di COVID-19 in Italia e nel mondo, la sezione Sconfini non ha avuto luogo, mentre la sezione Venezia Classici si è tenuta a Bologna al festival Il Cinema Ritrovato dal 25 al 31 agosto 2020. Il film d’apertura è stato “Lacci” di Daniele Luchetti, mentre “Lasciami andare” di Stefano Mordini è stato quello di chiusura.

La serata conclusiva, condotta da Anna Foglietta (presso la Sala Grande del Palazzo del Cinema al Lido di Venezia) è stata eccezionalmente aperta da due contributi artistici affidati alla poetessa e drammaturga Mariangela Gualtieri e al cantautore Diodato.

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Premi

Premi della selezione ufficiale

Orizzonti

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VENEZIA 77: i film che parteciperanno alla 77. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/07/28/venezia-77/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/07/28/venezia-77/#comments Tue, 28 Jul 2020 12:30:10 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8550 VENEZIA 77

Ecco l’elenco dei film che partecipano alla 77. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia che si svolgerà dal dal 2 al 12 settembre 2020

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La cerimonia di chiusura della 77. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – sarà trasmessa in diretta sabato 12 settembre a partire dalle ore 19 su Rai Movie, Rai Play, in streaming sul sito ufficiale e sui social della Biennale di Venezia. La serata, condotta da Anna Foglietta (Sala Grande del Palazzo del Cinema al Lido) che assegnerà il Leone d’Oro per il miglior film e gli altri premi ufficiali, sarà eccezionalmente aperta da due contributi artistici affidati alla poetessa e drammaturga Mariangela Gualtieri e al cantautore Diodato.

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I film italiani in concorso sono quattro: “Le sorelle Macaluso” di Emma Dante, “Miss Marx” di Susanna Nicchiarelli, “Padrenostro” di Claudio Noce prodotto e interpretato da Pierfrancesco Favino, “Notturno” di Gianfranco Rosi.

Il film di chiusura sarà “Lasciami andare” di Stefano Mordini: un thriller psicologico con Stefano Accorsi, Valeria Golino, Maya Sansa e Serena Rossi

La giuria dei film in concorso sarà presieduta da Cate Blanchett: faranno parte della giuria Veronika Franz, Joanna Hogg, Nicola Lagioia, Christian Petzold, Cristi Puiu e Ludivine Sagnier.

La 77. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica è organizzata dalla Biennale di Venezia e diretta da Alberto Barbera; si svolgerà al Lido di Venezia dal 2 al 12 settembre 2020.

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TRA I FILM IN CONCORSO…

In Between Dying
Regia  Hilal Baydarov
Interpreti  Orkhan Iskandarli, Rana Asgarova, Maryam Naghiyeva, Murvat Abdulazizov, Kamran Huseynov, Samir Abbasov / Azerbaijan, Usa / 88’

Le sorelle Macaluso
Regia  Emma Dante
Interpreti  Viola Pusateri, Eleonora De Luca, Simona Malato, Susanna Piraino, Serena Barone, Maria Rosaria Alati , Anita Pomario, Donatella Finocchiaro / Italia / 94’

The World To Come
Regia  Mona Fastvold
Interpreti  Katherine Waterston, Vanessa Kirby, Christopher Abbott, Casey Affleck / Usa / 98’

Nuevo orden
Regia  Michel Franco
Interpreti  Naián González Norvind, Diego Boneta, Mónica Del Carmen, Fernando Cuautle, Darío Yazbek, Eligio Meléndez / Messico, Francia / 88’

Amants
Regia  Nicole Garcia
Interpreti  Pierre Niney, Stacy Martin, Benoît Magimel / Francia / 102’

Laila in Haifa
Regia  Amos Gitai
Interpreti  Maria Zreik, Khawla Ibraheem, Bahira Ablassi, Naama Preis, Tsahi Halevi, Makram J. Khoury / Israele, Francia / 99’

Und morgen die ganze Welt
Regia  Julia von Heinz
Interpreti  Mala Emde, Noah Saavedra, Tonio Schneider, Luisa-Céline Gaffron, Andreas Lust / Germania, Francia / 101’

Dorogie Tovarischi (Cari compagni)
Regia  Andrei Konchalovsky
Interpreti  Julia Vysotskaya, Vladislav Komarov, Andrei Gusev, Yulia Burova, Sergei Erlish / Russia / 116’

Spy no Tsuma (La moglie della spia)
Regia  Kiyoshi Kurosawa
Interpreti  Yu Aoi, Issey Takahashi / Giappone / 115’

Khorshid (I figli del sole)
Regia  Majid Majidi
Interpreti  Ali Nasirian, Javad Ezzati, Tannaz Tabatabaie, Rouhollah Zamani, Seyed Mohammad Mehdi Mousavi Fard, Shamila Shirzad / Iran / 99’

Pieces of a Woman
Regia  Kornél Mundruczó
Interpreti  Vanessa Kirby, Shia LaBeouf, Ellen Burstyn, Jimmie Fails, Molly Parker, Sarah Snook, Iliza Shlesinger, Benny Safdie / Canada, Ungheria / 115’

Miss Marx
Regia  Susanna Nicchiarelli
Interpreti  Romola Garai, Patrick Kennedy, John Gordon Sinclair, Felicity Montagu, Karina Fernandez, Oliver Chris, Philip Gröning / Italia, Belgio / 107’

Padrenostro
Regia  Claudio Noce
Interpreti  Pierfrancesco Favino, Mattia Garaci, Barbara Ronchi, Francesco Gheghi, Francesco Colella, Antonio Gerardi / Italia / 120’

Notturno
Regia  Gianfranco Rosi
Italia, Francia, Germania / 100’

Śniegu już nigdy nie będzie (Non cadrà più la neve)
Regia  Małgorzata Szumowska, Michał Englert
Interpreti  Alec Utgoff, Maja Ostaszewska, Agata Kulesza, Weronika Rosati, Katarzyna Figura, Andrzej Chyra / Polonia, Germania / 113’

The Disciple
Regia  Chaitanya Tamhane
Interpreti  Aditya Modak, Arun Dravid, Sumitra Bhave, Kiran Yadnyopavit / India / 127’

Quo vadis, Aida?
Regia  Jasmila Zbanic
Interpreti  Jasna Ðuričić, Izudin Bajrović, Boris Ler, Dino Bajrović, Boris Isaković / Bosnia ed Erzegovina, Austria, Romania, Paesi Bassi, Germania, Polonia, Francia, Norvegia / 101’

Nomadland
Regia  Chloé Zhao
Interpreti  Frances McDormand, David Strathairn, Linda May, Charlene Swankie / Usa / 108’

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OMAGGIO A ENNIO MORRICONE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/07/06/omaggio-a-ennio-morricone/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/07/06/omaggio-a-ennio-morricone/#comments Mon, 06 Jul 2020 10:40:16 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8532 La nuova puntata di Letteratitudine Cinema la dedichiamo alla memoria di Ennio Morricone (Roma, 10 novembre 1928 – Roma, 6 luglio 2020): compositore, musicista, direttore d’orchestra e arrangiatore.

Ennio Morricone ci lascia oggi, all’alba del 6 luglio 2020, all’età di 91 anni, in una clinica romana in cui era stato ricoverato dopo una caduta che gli aveva causato la rottura del femore

“The King is dead. Long live the King!”
(Quentin Tarantino)

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Approfondimenti su: la Repubblica, Il Corriere della Sera, Ansa, La Stampa, Il Messaggero, Il Sole 24Ore, Il Giornale

Stampa e media esteri: The New York Times, The Los Angeles Times, CNN, BBC, Le Figaro, El Paìs

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La biografia (in breve)

Ennio Morricone (Roma, 10 novembre 1928 – Roma, 6 luglio 2020) è stato un compositore, musicista, direttore d’orchestra e arrangiatore italiano.
Ha studiato al Conservatorio di Santa Cecilia, a Roma, dove si è diplomato in tromba; ha scritto le musiche per più di 500 film e serie TV, oltre che opere di musica contemporanea. La sua carriera include un’ampia gamma di generi compositivi, che fanno di lui uno dei più versatili, prolifici e influenti compositori di colonne sonore di tutti i tempi. Le musiche di Morricone sono state usate in più di 60 film vincitori di premi. Come giovane arrangiatore della RCA, ha contribuito anche a formare il sound degli anni sessanta italiani, confezionando brani come Sapore di sale, Il mondo, Se telefonando, e i successi di Edoardo Vianello.

A partire dal 1946 ha composto più di 100 brani classici, ma ciò che ha dato la fama mondiale a Morricone come compositore, sono state le musiche prodotte per il genere del western all’italiana, che lo hanno portato a collaborare con registi come Sergio Leone, Duccio Tessari e Sergio Corbucci, con titoli come la Trilogia del dollaro, Una pistola per Ringo, La resa dei conti, Il grande silenzio, Il mercenario, Il mio nome è Nessuno e la Trilogia del tempo.

Dagli anni settanta Morricone diventa un nome di rilievo anche nel cinema hollywoodiano, componendo musiche per registi americani come John Carpenter, Brian De Palma, Barry Levinson, Mike Nichols, Oliver Stone e Quentin Tarantino. Morricone ha scritto le musiche per numerose pellicole nominate all’Academy Award come I giorni del cielo, Mission e The Untouchables – Gli intoccabili.

Nel 2007 Morricone ha ricevuto il premio Oscar onorario alla carriera “per i suoi contributi magnifici all’arte della musica da film” dopo essere stato nominato per 5 volte tra il 1979 e il 2001 senza aver mai ricevuto il premio. Il 28 febbraio 2016, ottiene il suo secondo Oscar per le partiture del film di Quentin Tarantino, The Hateful Eight, per la quale si è aggiudicato anche il Golden Globe.

Morricone ha vinto anche tre Grammy Awards, quattro Golden Globes, sei BAFTA, dieci David di Donatello, undici Nastri d’argento, due European Film Awards, un Leone d’Oro alla carriera e un Polar Music Prize. Ha venduto inoltre più di 70 milioni di dischi.

Era Accademico Effettivo dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e socio dell’associazione Nuova Consonanza impegnata in Italia nella diffusione e produzione di musica contemporanea. Il 26 febbraio 2016, gli è stata attribuita la stella numero 2574 nella celebre Hollywood Walk of Fame. Il 27 dicembre 2017 ha ricevuto l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana, il secondo grado in ordine d’importanza.

(Fonte: Wikipedia Italia)

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Il necrologio scritto di pugno dallo stesso Ennio Morricone

upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/5/...“Io, Ennio Morricone, sono morto. Lo annuncio così a tutti gli amici che mi sono stati sempre vicino e anche a quelli un pò lontani che saluto con grande affetto. Impossibile nominarli tutti. Ma un ricordo particolare è per Peppuccio e Roberta, amici fraterni molto presenti in questi ultimi anni della nostra vita. C’è una sola ragione che mi spinge a salutare tutti così e ad avere un funerale in forma privata: non voglio disturbare. Saluto con tanto affetto Ines, Laura, Sara, Enzo e Norbert, per aver condiviso con me e la mia famiglia gran parte della mia vita. Voglio ricordare con amore le mie sorelle Adriana, Maria, Franca e i loro cari e far sapere loro quanto gli ho voluto bene. Un saluto pieno, intenso e profondo ai miei figli Marco, Alessandra, Andrea, Giovanni, mia nuora Monica, e ai miei nipoti Francesca , Valentina, Francesco e Luca. Spero che comprendano quanto li ho amati. Per ultima Maria (ma non ultima) . A lei rinnovo l’amore straordinario che ci ha tenuto insieme e che mi dispiace abbandonare. A Lei il più doloroso addio”

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DAVID DI DONATELLO 2020 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/05/09/david-di-donatello-2020/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/05/09/david-di-donatello-2020/#comments Sat, 09 May 2020 09:56:22 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8483 I PREMIO DAVID DI DONATELLO 2020: grande successo per “Il traditore” di Marco Bellocchio

Ieri sera, 8 maggio 2020, si è svolta la cerimonia di premiazione della 65ª edizione dei David di Donatello.

È stata trasmessa in diretta in prima serata su Rai 1, per la conduzione di Carlo Conti mentre i candidati erano collegati in video (per via delle restrizioni relative alla epidemia in corso da Covid-19) e hanno risposto alle domande presentate dallo studio. Ad inizio trasmissione, Conti ha letto un messaggio indirizzato al mondo del cinema da parte del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella.

Grandissimo successo per Il traditore di Marco Bellocchio che si è aggiudicato il maggior numero di premi (6) tra cui film, regia e attore protagonista, seguito da Pinocchio di Matteo Garrone (5), Il primo re di Matteo Rovere (3) e La dea fortuna di Ferzan Özpetek (2).

Le candidature sono state annunciate il 18 febbraio 2020; i film che hanno ottenuto il maggior numero di candidature sono stati Il traditore con 18, Il primo re e Pinocchio con 15.

Tra i premi più attesi: miglior film a “Il traditore” di Marco Bellocchio; miglior regista: Marco Bellocchio per “Il traditore”; migliore attrice protagonista a Jasmine Trinca per “La dea fortuna”; miglior attore protagonista a Pierfrancesco Favino per “Il traditore”; migliore attrice non protagonista a Valeria Golino per “5 è il numero perfetto”; miglior attore non protagonista a Luigi Lo Cascio per “Il traditore”.

Segue l’elenco completo di vincitori e candidati.

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Vincitori e candidati (clicca sui link per aprire le pagine)

I vincitori sono indicati in grassetto, a seguire gli altri candidati.

Miglior film

Miglior regista

Miglior regista esordiente

Migliore sceneggiatura originale

Migliore sceneggiatura adattata

Miglior produttore

Migliore attrice protagonista

Miglior attore protagonista

Migliore attrice non protagonista

Miglior attore non protagonista

Migliore autore della fotografia

Miglior musicista

Migliore canzone originale

Miglior scenografo

Miglior costumista

Miglior truccatore

Miglior acconciatore

Miglior montatore

Miglior suono

Migliori effetti speciali visivi

Miglior documentario

Miglior film straniero

Miglior cortometraggio

  • Inverno, regia di Giulio Mastromauro
  • Baradar, regia di Beppe Tufarulo
  • Il nostro tempo, regia di Veronica Spedicati
  • Mia sorella, regia di Saverio Cappiello
  • Unfolded, regia di Cristina Picchi

David Giovani

David dello spettatore

David speciale

[In collaborazione con Wikipedia Italia]
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http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/05/09/david-di-donatello-2020/feed/ 0
OSCAR 2020: lo speciale http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/02/10/oscar-2020-lo-speciale/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/02/10/oscar-2020-lo-speciale/#comments Mon, 10 Feb 2020 15:50:40 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8404 OSCAR 2020: I VINCITORI, LA SORPRESA, I COMMENTI

La grande sorpresa di “Parasite”: il più premiato nonché il primo lungometraggio in lingua non inglese a vincere l’Oscar come miglior film (insieme ad altre tre statuette, tra cui “miglior regia”). Delusione per “1917″, dato per favorito (che si aggiudica tre Oscar).

Miglior attore protagonista: Joaquin Phoenix per “Joker”; miglior attrice protagonista: Renée Zellweger per “Judy”; miglior attore non protagonista: Brad Pitt per “C’era una volta a… Hollywood”; migliore attrice non protagonista: Laura Dern per “Storia di un matrimonio”.

Nessun premio per “The Irishman” di Martin Scorsese.

Alla “nostra” Lina Wertmüller è stato conferito il Premio Oscar onorario (alla carriera).


* * *

La 92ª edizione dei premi Oscar si è tenuta al Dolby Theatre di Los Angeles il 9 febbraio 2020 (in Italia nella notte tra il 9 e il 10). Così come l’edizione precedente, la cerimonia non ha avuto un presentatore ufficiale ed è stata trasmessa in diretta negli Stati Uniti da ABC. A partire da questa edizione, il premio per il miglior film in lingua straniera viene rinominato Premio Oscar al miglior film internazionale e quello per il miglior trucco e acconciatura passa da tre candidati a cinque.

Le candidature sono state annunciate il 13 gennaio 2020 dagli attori John Cho e Issa Rae al Samuel Goldwyn Theater di Beverly Hills.

Il film con più candidature è stato “Joker”, con undici. Il film più premiato è stato il sudcoreano “Parasite”, con quattro vittorie, tra cui quella per il miglior film: si tratta del primo film in lingua non inglese a vincere il premio.

Questa edizione degli Oscar, dunque, può essere considerata come ’storica’ e ricordata come quella della Grande Sorpresa. Non solo l’Oscar come miglior film. Bong Joon-ho di “Parasite” oltrepassa Sam Mendes di “1917″ e si aggiudica il premio come miglior regista. E “Parasasite” vince anche il premio per la migliore sceneggiatura originale.

Ma di cosa parla “Parasite”?
Il film è una feroce satira costruita attorno a due famiglie di Seoul appartenenti a due diverse classi sociali: una vive in condizioni di povertà in un seminterrato, l’altra risiede in una grande casa in condizioni di grande agiatezza. È il primo film in lingua non inglese che – per la prima volta nella storia di Hollywood e degli Academy Awards – si aggiudica la statuetta come Miglior Film.

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“Mi sento come se dovessi svegliarmi per scoprire che è tutto un sogno. Sembra tutto molto surreale”, ha detto Bong.
“Sono senza parole” ha dichiarato la produttrice Kwak Sin-ae. “Non abbiamo mai immaginato che ciò potesse accadere”.

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Brad Pitt ha vinto il primo Oscar della sua carriera. È sua la statuetta di miglior attore non protagonista nel film “C’era una volta a…Hollywood” di Quentin Tarantino. Salito sul palco Pitt ne ha approfittato per rivolgere al pubblico un discorso ‘politico’ relativamente a come sono state gestite le procedure di impeachment contro il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. “Mi hanno detto che avevo solo 45 secondi qui, 45 secondi in più di quanto il Senato ha dato questa settimana a John Bolton”, ha detto Brad Pitt accusando il Senato a maggioranza repubblicana di aver bloccato la testimonianza di Bolton, ex Consigliere per la sicurezza nazionale, nel corso del processo per l’impeachment del presidente Trump. Poi ha reso omaggio al omaggio al co-protagonista del film Leonardo DiCaprio e ha ringraziato Quentin Tarantino: “Il cinema sarebbe triste senza di te. Sei originale, davvero unico. Quentin, tu cerchi sempre il meglio delle persone. E ora dobbiamo cominciare a dimostrare il nostro affetto per i nostri stuntman”.

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Come da previsione, Joaquin Phoenix ha vinto l’Oscar come miglior attore protagonista per “Joker”. Phoenix ha anche usato il podio per inviare un sentito messaggio sullo stato di salute del mondo, sostenendo che gli attori hanno il potere di dare una “voce ai senza voce”. Dopo aver chiesto al pubblico di smettere di applaudire mentre saliva sul palco ha parlato di diritti degli animali, di ambiente, di razzismo e di sessismo. “Ci sentiamo in diritto di inseminare artificialmente una mucca”, ha detto Phoenix, “e quando partorisce, rubiamo il suo piccolo anche se le sue grida di angoscia sono inconfondibili”. Poi ha aggiunto: “Sono stato un furfante nella mia vita. A volte sono stato crudele e ammetto che deve essere stato difficile lavorare con me, ma tante persone in questa stanza mi hanno dato una seconda possibilità”. Ha poi concluso il suo discorso citando una frase scritta dal suo defunto fratello River: “Soccorri il prossimo e seguiranno amore e pace”.

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Il giorno prima del suo 53° compleanno, Laura Dern si aggiudica l’Oscar (era la favorita) come miglior attrice non protagonista per aver interpretato un avvocato divorzista in “Storia di un matrimonio”.
“E’ un onore essere qui”, ha detto la Dern ringraziando l’Academy. Poi ha ringraziato regista e attori del film, distribuito da Netflix. E ha voluto rendere omaggio ai genitori, definiti i suoi “supereroi”. Laura Dern viene da un’illustre famiglia di attori. Tuttavia né sua madre, Diane Ladd (nominata per tre Oscar), né suo padre Bruce Dern (due nomination al suo attivo) avevano mai vinto una statuetta.
Questo Oscar è “il miglior regalo di compleanno che si possa ricevere”, ha detto la Dern.

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Renée Zellweger ha vinto l’Oscar come miglior attrice protagonista per “Judy”. Salita sul palco ne ha approfittato per omaggiare la Garland: colei che ha interpretato nel film e che fu nominata per due Oscar negli anni ‘50 e ‘60. “Judy Garland non ha ricevuto questo onore ai suoi tempi”, ha detto la Zellweger. “Sono certa che questo momento è un’estensione della celebrazione della sua eredità.”

Degna di nota è la contestazione di Natalie Portman sul red carpet degli Oscar. L’attrice (presente in quanto una dei presentatori dei premi) ha reso omaggio alle donne registe snobbate agli award di quest’anno indossando un mantello che aveva ricamato sui bordi i nomi delle registe non prese in considerazione quest’anno tra cui Greta Gerwig (“Little Women”), Lorene Scafaria (“Hustlers”) e Lulu Wang (“The Farewell”).

I grandi sconfitti? Senza dubbio Martin Scorsese e il suo “The Irishman“. Dato per superfavorito (con ben 10 nomination) il film diretto da Scorsese (benché il regista sia stato citato sul palco con affetto e stima da Bong Joon-ho, regista di Parasite) non si aggiudica nemmeno una statuetta.

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CANDIDATI E VINCITORI (cliccare sui link per aprire le pagine dedicate a film e vincitori)

Miglior film

Migliore regia

Migliore attore protagonista

Migliore attrice protagonista

Migliore attore non protagonista

Migliore attrice non protagonista

Migliore sceneggiatura originale

Migliore sceneggiatura non originale

Miglior film internazionale

Miglior film d’animazione

Migliore fotografia

Migliore scenografia

Miglior montaggio

Migliore colonna sonora

Migliore canzone

Migliori effetti speciali

Miglior sonoro

Miglior montaggio sonoro

Migliori costumi

Miglior trucco e acconciatura

Miglior documentario

Miglior cortometraggio documentario

Miglior cortometraggio

Miglior cortometraggio d’animazione

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Premi speciali

Oscar onorario a…

Premio umanitario Jean Hersholt a…

Film che hanno ricevuto più candidature e premi

Film che hanno ricevuto più candidature
Nomination Film
11 Joker
10 1917
C’era una volta a… Hollywood
The Irishman
6 Jojo Rabbit
Parasite
Piccole donne
Storia di un matrimonio
4 Le Mans ‘66 – La grande sfida
3 Bombshell – La voce dello scandalo
I due papi
Star Wars: L’ascesa di Skywalker
2 Dolor y gloria
Harriet
Judy
Medena zemja
Toy Story 4

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Film che hanno ricevuto più premi

Wins Film
4 Parasite
3 1917
2 C’era una volta a… Hollywood
Joker
Le Mans ‘66 – La grande sfida

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© Letteratitudine – www.letteratitudine.it

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BAFTA 2020: i vincitori (in attesa dei premi Oscar) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/02/03/bafta-2020-i-vincitori-in-attesa-dei-premi-oscar/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/02/03/bafta-2020-i-vincitori-in-attesa-dei-premi-oscar/#comments Mon, 03 Feb 2020 16:10:22 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8400 Home pageBaftas 2020: grande trionfo per il film di Sam Mendes, “1917″

Il film di Mendes ambientato nella Prima Guerra Mondiale e intitolato “1917″ domina la competizione dei Bafta Film Awards aggiudicandosi sette premi


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Locandina italiana 1917La 73ª edizione dei premi BAFTA (considerati gli “Oscar inglesi), conferiti dalla British Academy of Film and Television Arts alle migliori produzioni cinematografiche del 2019, si è tenuta il 2 febbraio 2020 alla Royal Albert Hall di Londra. La cerimonia è stata presentata dal conduttore televisivo e comico irlandese Graham Norton. Le candidature erano state annunciate il 7 gennaio 2020.

Il film più premiato è stato “1917″ di Sam Mendes, con sette statuette, tra cui quelle per il miglior film, il miglior film britannico, il miglior regista e la migliore cinematografia.
“Joker” ha vinto tre premi tra cui il miglior attore per Joaquin Phoenix, mentre Renee Zellweger è stata nominata migliore attrice per la sua interpretazione di Judy Garland.
Il film sudcoreano “Parasite” ha vinto due premi: per la sceneggiatura originale e il film non in lingua inglese.
Brad Pitt ha vinto il premio di miglior attore non protagonista per il suo ruolo in “Once Upon A Time In Hollywood” di Quentin Tarantino
Laura Dern è stata nominata migliore attrice non protagonista per la sua interpretazione come avvocato divorzista in “Marriage Story”.

È la prima volta dal 1977 che tutti e quattro i premi Bafta per la recitazione sono stati vinti da attori americani. Facendo un po’ di conti arriviamo alla conclusione che – con i Bafta – Zellweger, Phoenix, Dern e Pitt hanno vinto nelle rispettive categorie di recitazione i premi di tutte le principali cerimonie della stagione. Oltre ai Baftas, hanno vinto ai Golden Globes, agli Screen Actors Guild Awards e ai Critics ‘Choice Awards. È presumibile che tutti e quattro trionferanno agli Oscar del prossimo fine settimana (La 92ª edizione dei premi Oscar si terrà al Dolby Theatre di Los Angeles, California, il 9 febbraio 2020).
“Joker” ha vinto il premio per la migliore colonna sonora originale realizzata dal compositore Hildur Gudnadottir.
Per quanto riguarda l’animazione ha vinto Netflix con “Klaus”, superando colossi del calibro di “Toy Story 4″ e “Frozen 2″.
“Bombshell”, che racconta la storia dello scandalo delle molestie sessuali del 2016 a Fox News ha primeggiato nelle sezioni dedicate a trucco e parrucco.
Il premio per il miglior cortometraggio è andato a “Granddad Was A Romantic”, mentre quello per il miglior costume è andato a “Little Women”, diretto da Greta Gerwig.
Il premio per la migliore sceneggiatura non originale è stato tributato a “Jojo Rabbit” di Taika Waititi.
Micheal Ward, stella di “Top Boy” e “Blue Story”, è stata nominata stella nascente Bafta.
“Sama”, film sull’esperienza di una giovane madre nella guerra civile siriana, si aggiudica il premio per il miglior documentario.

Un dato che ha fatto discutere: tutti i diciotto candidati alle categorie relative alla recitazione erano bianchi e per il settimo anno consecutivo non è stata nominata nessuna regista femminile.
Ultima considerazione in vista degli Oscar: il fatto che “1917″ abbia trionfato come miglior film ai Bafta, potrebbe non essere di buon auspicio per il più importante dei premi. Negli ultimi cinque anni, infatti, il vincitore del miglior film Bafta non ha vinto la sezione miglior film dei Premi Oscar.

Di seguito, tutte le categorie con l’indicazione delle nomination e dei vincitori finali.

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Vincitori e candidati

(cliccare sui link per visualizzare le pagine Wikipedia Italia dedicate ai film e ai protagonisti)

Miglior film

Miglior film britannico

Miglior debutto di un regista, sceneggiatore o produttore britannico

Miglior film in lingua straniera

Miglior documentario

Miglior film d’animazione

Miglior regista

Miglior attore protagonista

Miglior attrice protagonista

Miglior attore non protagonista

Miglior attrice non protagonista

Miglior sceneggiatura originale

Miglior sceneggiatura non originale

Miglior fotografia

Miglior montaggio

Miglior colonna sonora

Miglior scenografia

Migliori costumi

Miglior trucco e acconciatura

Miglior sonoro

Miglior effetti speciali

Miglior cortometraggio animato

Miglior cortometraggio

Miglior stella emergente

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LOCANDINE E IMMAGINI

(cliccare sui link e sulle immagini per visualizzare le pagine dedicate ai film e ai protagonisti dal sito Bafta.org)

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VENEZIA 76: i premiati della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/09/08/venezia-76-i-premiati/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/09/08/venezia-76-i-premiati/#comments Sat, 07 Sep 2019 23:08:49 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8253

Si è conclusa la 76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica organizzata dalla Biennale di Venezia. Si è svolta al Lido di Venezia dal 28 agosto al 7 settembre 2019. L’attrice Alessandra Mastronardi ha condotto la serata di chiusura. Di seguito: tutte le informazioni, il video integrale della cerimonia di premiazione e i commenti “speciali” di Nicola Lagioia.

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In questi giorni abbiamo seguito i principali eventi legati a Venezia 76 in questa pagina speciale di Letteratitudine Cinema.

imageNel corso della cerimonia di premiazione, che si è svolta nella serata del 7 settembre, sono stati celebrati i vincitori delle varie sezioni.

Il Leone d’oro per il miglior film è andato a “Joker” di Todd Phillips (Usa).

All’italiano Luca Marinelli, protagonista di “Martin Eden” di Pietro Marcello, la Coppa Volpi maschile (premio per il miglior attore).

Coppa Volpi per la miglior attrice a: Ariane Ascaride per la sua interpretazione nel film “Gloria Mundi” di Robert Guédiguian (Francia, Italia).

Gran Premio della Giuria a “J’accuse” di Roman Polanski (Francia, Italia).

Leone d’Argento per la migliore regia a: Roy Andersson per il film “Om det oändliga (About endlessness)” (Svezia, Germania, Norvegia).

Di seguito: il commento di Nicola Lagioia, i video della premiazione e le informazioni su tutti i premiati

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VENEZIA 76: il commento di Nicola Lagioia

Con perfetta scelta di tempo drammaturgico , una pioggia sottile sottile comincia a scendere sul Lido a fine Mostra, l’estate è finita, un altro anno inizia, io domani parto per la Croazia, mentre il 10 sono già a Torino dove (con Jonathan Safran Foer, Bret Easton Ellis, Isabel allende, Salvatore Scibona, Samanta Schweblin, David Grossman e tanti altri) comincia la stagione autunnale – devo dire magnifica – del nostro Salone.

Cosa dire di Venezia76? Sono felice per Luca Marinelli, sono felice per Franco Maresco, felice per Polanski e Seigner, spero che il magnifico “Joker” riceva la lettura (profondamente politica) che merita alla sua uscita.
Ma soprattutto una cosa. Chi ha visto (come ogni anno) i film della Mostra (tutti: Concorso, Orizzonti, Fuori Concorso) può solo onestamente prendere atto di una cosa: in giro per il mondo – in contrasto a tanto orrore – si continuano a fare cose belle, a volte bellissime, chi con produzioni stratosferiche, chi con pochissime risorse. Come del resto si continuano a fare grandi libri, anche qui, chi con tirature da capogiro, chi con poche copie uscite, cosa importa, ma è la forma di resistenza – a mio parere – più nobile che ci sia.
Lo dico soprattutto ai giovani che vogliano consacrarsi al cinema o alla letterautra:  lottate per la vostra opera, solo quella conta, e a meno che la vostra opera non sia “Eros e Priapo”, come impegno politico vale mille volte quello che silenziosamente state cercando di portare a termine (inattuale o meno) che 1.000 tweet ammiccanti e spiritosi sulla situazione politica italiana o internazionale. Da una parte le scorciatoie che portano alla lunga in un intrico di rimpianti (a scavare neanche troppo a fondo nel vostro cuore, lo sapete che è così). Dall’altra il sentiero che vi terrà davvero in vita.

“Martin Eden”, di Pietro Marcello
Avevo visto “La bocca del lupo” e “Bella e perduta”, e speravo che Pietro Marcello provasse a fare prima o poi qualcosa del genere. Passare – per intenderci – dall’astratto al figurativo, dalla libera associazione alla narrazione. Dico una cosa probabilmente discutibile, non è ovviamente valida per tutti ma credo sia valida in tanti casi: e cioè che molti dei nostri migliori autori rischino meno a cimentarsi con Breton che con Jack London, che si stia più comodi sotto l’ombra di Man Ray che sotto quella di Orson Welles.
Giunti a un certo punto, un certo sperimentalismo può diventare un rifugio e non un modo per mettersi in gioco, quindi sono felice che Pietro Marcello l’abbia fatto nel migliore dei modi e al momento giusto.
In “Martin Eden” c’è il melodramma e il romanticismo, la storia sociale e l’esaltazione dell’individuo (cioè puro London), una struttura narrativa solida e tradizionale, ma impiantata (è pur sempre un film di Pietro Marcello) su una linea cronologica totalmente non convenzionale e aliena rispetto a quel modulo narrativo. Gli anni Venti mescolati con agli anni Cinquanta, il XXI secolo piombato all’improvviso negli anni Quaranta del Novecento. C’è il popolare e una potente autorialità, ma ben oltre l’insopportabile “miscuglio di alto e basso” che è ormai una maniera. Luca Marinelli molto a suo agio, tra immersione nel personaggio e straniamento. E poi: un film che scava molto nel corpo (estetico, prima ancora che tematico) dell’Italia.

“Joker” di Todd Philips
Le élites hanno reso il popolo mostruoso. Il popolo renderà ancora più mostruose le élites.
“Joker” di Todd Philips. Uno dei film politici più potenti, disturbanti e violenti che ho visto negli ultimi anni. Ieri sarebbe stato un film distopico, oggi è quasi cronaca.
Esclusione sociale. Ultraviolenza. La malattia mentale consustanziale all’inno tatcheriano secondo cui non esiste la società ma solo gli individui. L’impossibilità di empatizzare con chi sta peggio di noi. Il bisogno ipocritamente condiviso dello psicopatico totale. Il caos che viene. L’ombra di Pumpkin (“Re per una notte” di Scorsese) diventata mostruosa. De Niro a ruolo invertito con quel film. Echi anche da “Taxi driver”, da “Shining”, da Frank Miller, Alan Moore. Joaquin Phoenix gigantesco.
Immagino qualche imbarazzo tra i palati fini. Vedere in lingua originale.

“J’accuse” di Roman Polanski
In pillole:
1) Si tratta chiaramente di un film sull’inizio del XXI secolo ambientato alla fine del XIX.
2) E’ sì un film sul coraggio di lottare per la verità e sui crimini del potere (magistrati, ufficiali, professionisti, membri del governo corrotti o reticenti o omertosi) ma è ancora di più un film sulla stupidità e sul conformismo criminale della folla, di noi, quando accettiamo di ingrossarne le fila, la folla così manipolabile, così amorale, così violenta, così spietata, così divorata dal bisogno di giudicare, così infallibilmente capace di sbagliare sempre il proprio bersaglio. Del resto, basta andare più indietro nel tempo e riesaminare l’affaire Barabba.
3) Picquart, Zola, e naturalmente Dreyfus, non lottano per l’eversione, ma per difendere un’istituzione.
4) Se sei un maestro del cinema, se sei di quelli che hanno scritto la storia del cinema, nessuno potrà strappartelo di dosso, indipendentemente da che tipo di uomo sei. Ma poi: chi, tra chi vuole giudicare, ritiene di poter dire con certezza che tipo di uomo sei?

“La mafia non è più quella di una volta” di Franco Maresco
Franco Maresco non se l’è sentita di venire a Venezia, facendo saltare (è la prima volta che succede per un film in concorso nella storia della mostra) la conferenza stampa de “La mafia non è più quella di una volta”. C’era invece una delle protagoniste del film, la fotografa Letizia Battaglia, alla quale è stata tributata una lunga e meritata ovazione.
Il problema è che Franco Maresco è a suo modo un genio. E il suo film (sempre a suo modo, per come può farlo un film di Maresco) è una vera lezione di educazione civica. Oltre che una lezione di cinema per come lo si può praticare in modo artisticamente sensato tra XX e XXI secolo. Alcuni dei miei ragazzi (i ragazzi a cui qui faccio da tutor per dei saggi che scriveranno sulla Mostra, accompagnandoli in archivio e in biblioteca, e sorvegliando il loro lavoro) non avevano mai visto un film di Franco, è stato gratificante leggere negli sguardi di alcuni di loro l’ammirazione se non la meraviglia per il fatto che oggi, in Italia, ci siano artisti in grado di portare a termine opere del genere.
Chi scrive ritiene che alcuni film realizzati con Ciprì, “Totò che visse due volte” su tutti, non siano meno belli dei migliori film di Pasolini, e che con la sua produzione più recente (a fianco sempre il meritorio Rean Mazzone) Franco stia ora esplorando un altro territorio, gli auguro che il viaggio sia il migliore possibile.
Sul perché poi alla fine Maresco non è venuto a Venezia (non venne, se è per questo, pur dopo mille telefonate in cui si cercava di convincerlo, anche quando vinse un premio a Orizzonti per “Belluscone”). Qui si vocifera molto. Alcuni dicono che non è venuto perché la parte finale su Mattarella ha sollevato un casino, spingendo gli investitori istituzionali a ritirare firma e marchio dal film. Chi dice che non è venuto perché gli sono scoppiati dei casini con Ciccio Mira (co-protagonista insieme a Letizia Battaglia del film). C’è anche il fatto che Maresco si mescola a fatica con il mondo ufficiale del cinema che combatte e sbertuccia da una vita, ricambiato dall’odio di molti (ma non di tutti, per fortuna, ed è grazie anche a questo spiraglio che continua a fare film).
Ora: i professionisti della coerenza altrui potrebbero dire che non si attacca il cinema mainstream e poi si manda il proprio film in concorso a Venezia, che di quel mondo è tra le massime espressioni. A questa obiezione si può rispondere col Pasolini che, nel 1968, proprio qui a Venezia, al giornalista che gli contestava di aver boicottato prima il proprio stesso film (“Teorema”) salvo poi cambiare idea per convenienza, ribatteva: “lei pretende da me la coerenza a tutti i costi per pulirsi la sua di coscienza”. A un artista come Maresco l’incoerenza non è perdonata ma è dovuta, se gli consente di guardare il mondo dalla posizione che gli consente di fare quel che fa. Ah. Dimenticavo: aggiungeteci una dose di autolesionismo e malcelato desiderio di sentirsi ai margini.
Sulle polemiche col Presidente della Repubblica. Ho visto che oggi addirittura è stata diramata una nota ufficiale dal Quirinale. Se serve a sollevare un polverone che faccia bene al film, benissimo. Ma altrimenti: il Presidente non deve sentirsi offeso, davvero. “La mafia non è più quella di una volta”, è un film antiretoricamente civico (cioè nell’unico modo in cui forse oggi è possibile fare professione di civismo su certi temi, in certe forme) così come “Totò che visse due volte” (attaccato per vilipendio alla religione cattolica) era un film antiretoricamente religioso, e quindi, oggi, un film religiosissimo.
Ultima. Non è vero che l’Italia è un deserto. Non lo è affatto. Chi lo rivendica sta solo inaffiando il proprio desertino interiore con la pisciata del nacro-narcisismo nazionale. Continuo a dirlo. Non siamo in un deserto. Pensate a Franco Maresco, a Letizia Battaglia, a quelli come loro. Celebrateli e sosteneteli adesso, non quando sarà tardi!

(Nicola Lagioia)

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Il video integrale della cerimonia di premiazione

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La sintesi della cerimonia di premiazione

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Premi ufficiali della 76. Mostra

Assegnati dalle cinque giurie internazionali nel corso della Cerimonia di premiazione (sabato 7 settembre, ore 19.00)

La Giuria di Venezia 76, presieduta da Lucrecia Martel e composta da Stacy Martin, Mary Harron, Piers Handling, Rodrigo Prieto, Shinya Tsukamoto, Paolo Virzì, dopo aver visionato tutti i 21 film in concorso, ha deciso di assegnare i seguenti premi:

LEONE D’ORO per il miglior film a:
JOKER
di Todd Phillips (USA)

LEONE D’ARGENTO – GRAN PREMIO DELLA GIURIA a:
J’ACCUSE
di Roman Polanski (Francia, Italia)

LEONE D’ARGENTO – PREMIO PER LA MIGLIORE REGIA a:
Roy Andersson
per il film OM DET OÄNDLIGA (ABOUT ENDLESSNESS) (Svezia, Germania, Norvegia)

COPPA VOLPI
per la migliore interpretazione femminile a:
Ariane Ascaride
nel film GLORIA MUNDI di Robert Guédiguian (Francia, Italia)

COPPA VOLPI
per la migliore interpretazione maschile a:
Luca Marinelli
nel film MARTIN EDEN di Pietro Marcello (Italia, Francia)

PREMIO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a:
Yonfan
per il film JI yuan tai qi hao (no.7 cherry lane) di Yonfan (Hong Kong SAR, Cina)

PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA a:
LA MAFIA NON È PIÙ QUELLA DI UNA VOLTA
di Franco Maresco (Italia)

PREMIO MARCELLO MASTROIANNI
a un giovane attore o attrice emergente a:
Toby Wallace
nel film BABYTEETH di Shannon Murphy (Australia)

Orizzonti

La Giuria Orizzonti della 76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, presieduta da Susanna Nicchiarelli e composta da Eva Sangiorgi, Álvaro Brechner, Mark Adams, Rachid Bouchareb, dopo aver visionato i 19 lungometraggi e i 13 cortometraggi in concorso, assegna:

il PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR FILM a:
ATLANTIS
di Valentyn Vasyanovych (Ucraina)

il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE REGIA a:
Théo Court
per il film BLANCO EN BLANCO (Spagna, Cile, Francia, Germania)

il PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA ORIZZONTI a:
VERDICT
di Raymund Ribay Gutierrez (Filippine)

il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE INTERPRETAZIONE FEMMINILE a:
Marta Nieto
nel film Madre di Rodrigo Sorogoyen (Spagna, Francia)

il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIOR INTERPRETAZIONE MASCHILE a:
Sami Bouajila
nel film BIK ENEICH – UN FILS di Mehdi M. Barsaoui (Tunisia, Francia, Libano, Qatar)

il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIOR SCENEGGIATURA a:
Jessica Palud, Philippe Lioret, Diastème
per il film REVENIR di Jessica Palud (Francia)

il PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR CORTOMETRAGGIO a:
DARLING
di Saim Sadiq (Pakistan, USA)

il VENICE SHORT FILM NOMINATION FOR THE EUROPEAN FILM AWARDS 2019 a:
CÃES QUE LADRAM AOS PÁSSAROS (DOGS BARKING AT BIRDS)
di Leonor Teles (Portogallo)

Venezia Classici

La Giuria presieduta da Costanza Quatriglio e composta da 22 studenti – indicati dai docenti – dei corsi di cinema delle università italiane, dei DAMS e della veneziana Ca’ Foscari, ha deciso di assegnare i seguenti premi:

il PREMIO VENEZIA CLASSICI PER IL MIGLIOR DOCUMENTARIO SUL CINEMA a:
BABENCO – ALGUÉM TEM QUE OUVIR O CORAÇÃO E DIZER: PAROU (BABENCO – TELL ME WHEN I DIE)
di Bárbara Paz (Brasile)

il PREMIO VENEZIA CLASSICI PER IL MIGLIOR FILM RESTAURATO a:
EXTASE (ECTASY)
di Gustav Machatý (Cecoslovacchia, 1932)

Premio Venezia Opera Prima

La Giuria Leone del Futuro – Premio Venezia Opera Prima “Luigi De Laurentiis” della 76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, presieduta da Emir Kusturica e composta da Antonietta De Lillo, Hend Sabry, Terence Nance e Michael Werner, assegna il:

LEONE DEL FUTURO
PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA “LUIGI DE LAURENTIIS” a:
YOU WILL DIE AT 20
di Amjad Abu Alala (Sudan, Francia, Egitto, Germania, Norvegia, Qatar)
GIORNATE DEGLI AUTORI

nonché un premio di 100.000 USD, messi a disposizione da Filmauro, che sarà suddiviso in parti uguali tra il regista e il produttore.

Venice Virtual Reality

La Giuria internazionale della sezione Venice Virtual Reality, presieduta da Laurie Anderson e composta da Alysha Naples e Francesco Carrozzini, dopo aver visionato i 27 progetti in concorso, assegna:

il GRAN PREMIO DELLA GIURIA PER LA MIGLIORE OPERA VR IMMERSIVA a:
THE KEY
di Céline Tricart (USA)

il PREMIO MIGLIORE ESPERIENZA VR IMMERSIVA PER CONTENUTO INTERATTIVO a:
A LINHA
di Ricardo Laganaro (Brasile)

il PREMIO MIGLIORE STORIA VR IMMERSIVA PER CONTENUTO LINEARE a:
DAUGHTERS OF CHIBOK
di Joel Kachi Benson (Nigeria)

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Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2019 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/08/28/mostra-internazionale-darte-cinematografica-di-venezia-2019/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/08/28/mostra-internazionale-darte-cinematografica-di-venezia-2019/#comments Wed, 28 Aug 2019 14:00:29 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8245 * [...]]]> È partita la 76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica organizzata dalla Biennale di Venezia. Si svolgerà al Lido di Venezia dal 28 agosto al 7 settembre 2019. L’attrice Alessandra Mastronardi condurrà le serate di apertura e di chiusura.

Letteratitudine seguirà l’intera rassegna, aggiornando questa pagina giorno per giorno…

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La Mostra vuole favorire la conoscenza e la diffusione del cinema internazionale in tutte le sue forme di arte, di spettacolo e di industria, in uno spirito di libertà e di dialogo. Ecco come sono organizzati gli eventi.

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FILM

La selezione ufficiale comprende le sezioni Venezia 76, Fuori Concorso, Orizzonti, Venezia Classici, Sconfini, Biennale College – Cinema, Venice Virtual Reality e un Evento Speciale.

Le sezioni autonome e parallele, organizzate autonomamente secondo un proprio regolamento, comprendono la Settimana Internazionale della Critica e le Giornate degli Autori.

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PROGRAMMA

È previsto un doppio programma: per il pubblico e per gli accreditati.

Il pubblico ha un proprio percorso di accesso alle proiezioni segnalato nella programmazione giornaliera.

Gli accreditati hanno un proprio percorso di accesso alle proiezioni segnalato nella programmazione giornaliera ad essi destanata. I badge di accredito sono strettamente personali e non cedibili. L’accesso in sala è consentito fino a esaurimento dei posti disponibili.

I film vengono proiettati in lingua originale con sottotitoli in italiano e in inglese.

Biglietti e abbonamenti sono in prevendita online su Boxol.it
Le prevendite sono inoltre disponibili dal giorno prima della proiezione presso le biglietterie del Lido e di Venezia.

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GIURIE E PREMI

Sono 5 le giurie della 76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica: Venezia 76, Orizzonti, Premio Venezia Opera Prima “Luigi De Laurentiis”, Venice Virtual Reality, Venezia Classici.

I premi ufficiali saranno assegnati sabato 7 settembre 2019 nel corso della Cerimonia di premiazione.

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Le serate di apertura e chiusura di Venezia 76

Alessandra Mastronardi conduce le serate di apertura e chiusuraL’attrice Alessandra Mastronardi condurrà le serate di apertura e di chiusura della 76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2019, diretta da Alberto Barbera e organizzata dalla Biennale di Venezia presieduta da Paolo Baratta.

Alessandra Mastronardi aprirà la 76. Mostra di Venezia nella serata di mercoledì 28 agosto 2019, sul palco della Sala Grande (Palazzo del Cinema al Lido) in occasione della cerimonia di inaugurazione, e guiderà la cerimonia di chiusura il 7 settembre, in occasione della quale saranno annunciati i Leoni e gli altri premi ufficiali della 76. Mostra.

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La vérité di Kore-eda Hirokazu film di apertura della 76. Mostra

La vérité di Kore-eda Hirokazu film di apertura della 76. MostraLa vérité (The Truth), diretto da Kore-eda Hirokazu (Un affare di famiglia; The Third Murder; Like Father, Like Son) e interpretato da Catherine Deneuve, Juliette Binoche, Ethan Hawke, è il film di apertura, in Concorso, della 76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica diretta da Alberto Barbera e organizzata dalla Biennale di Venezia presieduta da Paolo Baratta.

“Apprendo con gioia immensa  – ha dichiarato il regista Kore-eda Hirokazu – che il mio nuovo film La vérité è stato selezionato in apertura del concorso della Mostra di Venezia. Sono estremamente onorato. Desidero esprimere la mia sincera gratitudine a tutto lo staff della Mostra. Le riprese si sono svolte lo scorso autunno a Parigi in dieci settimane. Come già è stato ufficialmente annunciato, il cast è prestigioso, e il film racconta una piccola storia di famiglia che si sviluppa principalmente in una casa. È all’interno di questo piccolo universo che ho provato a far vivere i miei personaggi con le loro menzogne, orgogli, rimpianti, tristezze, gioie e riconciliazioni. Spero sinceramente che il film vi piaccia”.

“Per il primo film realizzato al di fuori del suo Paese – ha dichiarato il direttore Alberto Barbera – Kore-eda ha avuto il privilegio di poter lavorare con due grandi star del cinema francese. L’incontro fra l’universo personale dell’autore giapponese più significativo del momento, e due attrici tanto amate come Catherine Deneuve e Juliette Binoche, ha dato vita a una  poetica riflessione sul rapporto madre-figlia e il complesso mestiere d’attrice, che sarà un piacere presentare in apertura alla prossima edizione della Mostra del Cinema di Venezia”.

La vérité sarà proiettato in prima mondiale mercoledì 28 agosto nella Sala Grande del Palazzo del Cinema al Lido di Venezia.

Questa è la sinossi del film – Fabienne (Catherine Deneuve) è una star del cinema francese circondata da uomini che la adorano e la ammirano. Quando pubblica la sua autobiografia, la figlia Lumir (Juliette Binoche) torna a Parigi da New York con marito (Ethan Hawke) e figlia. L’incontro tra madre e figlia si trasformerà velocemente in un confronto: le verità verranno a galla, i conti saranno sistemati, gli amori e i risentimenti confessati.

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Pedro Almodóvar Leone d’Oro alla carriera

Il riconoscimento al grande regista sarà consegnato giovedì 29 agosto alle ore 14 in Sala Grande.

Pedro Almodóvar Leone d’Oro alla carrieraÈ stato attribuito a Pedro Almodóvar il Leone d’Oro alla carriera per un regista della 76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica.
La decisione è stata presa dal Cda della Biennale di Venezia presieduto da Paolo Baratta, che ha fatto propria la proposta del Direttore della Mostra Alberto Barbera.

Pedro Almodóvar nell’accettare la proposta ha dichiarato: “Sono molto emozionato e onorato per il regalo di questo Leone d’Oro. Ho bellissimi ricordi della Mostra di Venezia. Il mio debutto internazionale ha avuto luogo lì nel 1983 con L’indiscreto fascino del peccato. Era la prima volta che uno dei miei film viaggiava fuori dalla Spagna. È stato il mio battesimo internazionale ed è stata una meravigliosa esperienza, come lo è stata il mio ritorno con Donne sull’orlo di una crisi di nervi nel 1988. Questo Leone diventerà la mia mascotte, insieme ai due gatti con cui vivo. Grazie dal profondo del cuore per questo premio”.
A proposito di questo riconoscimento, Alberto Barbera ha dichiarato: “Almodóvar non è solo il più grande e influente regista spagnolo dopo Buñuel, ma l’autore che è stato capace di offrire della Spagna post-franchista il ritratto più articolato, controverso e provocatorio. I temi della trasgressione, del desiderio e dell’identità sono il terreno d’elezione dei suoi lavori, intrisi di corrosivo umorismo e ammantati di uno splendore visivo che conferisce inediti bagliori all’estetica camp e della pop-art a cui si rifà esplicitamente. Il mal d’amore, lo struggimento dell’abbandono, l’incoerenza del desiderio e le lacerazioni della depressione, confluiscono in film a cavallo fra il melodramma e la sua parodia, attingendo a vertici di autenticità emotiva che ne riscattano gli eventuali eccessi formali. Senza dimenticare che Almodóvar eccelle soprattutto nel dipingere ritratti femminili incredibilmente originali, in virtù della rara empatia che gli consente di rappresentarne la forza, la ricchezza emotiva e le inevitabili debolezze con un’autenticità rara e toccante”.

Masterclass di Pedro Almodóvar, Leone d’Oro alla carrieraPedro Almodóvar (qui il video della cerimonia di premiazione) è nato a Calzada de Calatrava, nel cuore de La Mancha, negli anni ‘50. A diciassette anni se n’è andato di casa e si è trasferito a Madrid senza soldi e senza lavoro, ma con un progetto molto chiaro in testa: studiare cinema e dirigere film. Era impossibile iscriversi alla Scuola di Cinema, perché Franco l’aveva appena chiusa. Ma nonostante la dittatura che soffocava il Paese, per un adolescente di provincia Madrid rappresentava comunque la cultura, l’indipendenza e la libertà.

Ha svolto molti lavori precari, ma ha potuto comprarsi la sua prima cinepresa Super-8mm soltanto quando ha ottenuto un lavoro “serio” alla Compagnia nazionale dei telefoni di Spagna nel 1971, dove ha lavorato per dodici anni come assistente amministrativo. Di mattina, il suo lavoro gli ha permesso una profonda conoscenza della classe media spagnola all’inizio dell’età dei consumi, con i suoi drammi e le sue sfortune, una vera miniera d’oro per un futuro narratore. Di sera e di notte, invece, ha scritto, amato, recitato con il mitico gruppo teatrale indipendente Los Goliardos, e ha girato film in Super-8.

Ha collaborato con varie riviste underground e ha scritto racconti, alcuni dei quali sono stati pubblicati. È stato membro di un gruppo parodistico punk-rock, Almodóvar & McNamara. Ha avuto la fortuna che la sua crescita personale ha coinciso con il fenomeno della Madrid democratica dei tardi anni ’70 e dei primi ’80. Era il periodo che il mondo ha conosciuto come la Movida.

Dopo un anno e mezzo ricco di lavori in 16mm, nel 1980 ha debuttato nel lungometraggio con Pepi, Luci, Bom, un film no-budget realizzato in cooperativa con il resto della troupe e del cast, tutti debuttanti a eccezione di Carmen Maura.

Nel 1986 ha fondato la casa di produzione El Deseo con suo fratello Agustín. Il loro primo progetto è stato La legge del desiderio. Da allora, insieme hanno prodotto tutti i film che Pedro ha scritto e diretto, e hanno anche prodotto film di altri giovani registi.

Nel 1988, Donne sull’orlo di una crisi di nervi, in concorso alla Mostra di Venezia dove ha vinto il Premio per la sceneggiatura, gli ha dato notorietà internazionale. Da allora, i suoi film sono circolati in tutto il mondo.

Con Tutto su mia madre (1999) ha vinto il suo primo Oscar, per il Miglior film straniero, ed è stato anche premiato come Miglior regista al Festival di Cannes. Tre anni più tardi, Parla con lei gli ha fatto ottenere un altro Oscar per la Migliore sceneggiatura.

Nel 2004, La mala educación è stato scelto per aprire il Festival di Cannes. Nel 2006 ha presentato Volver a Cannes, dove il film ha ottenuto il Premio per la migliore sceneggiatura e il Premio per la migliore interpretazione per le sei attrici del film, guidate da Penélope Cruz, che per questo ruolo è diventata la prima attrice nominata all’Oscar per un film in lingua spagnola.

Pedro Almodóvar è stato insignito del Premio per le Arti Principe delle Asturie, e ha ricevuto speciali onorificenze dalle Università di Harvard e Oxford.
Alcuni suoi film sono stati adattati per spettacoli teatrali (Tutto su mia madre) e anche per musical (Donne sull’orlo di una crisi di nervi).

Filmografia

1980               Pepi, Luci, Bom
1982               Labirinto di passioni
1983               L’indiscreto fascino del peccato
1984-85         Che ho fatto io per meritare questo?
1985-86         Matador
1986               La legge del desiderio
1988               Donne sull’orlo di una crisi di nervi
1989               Legami!
1991               Tacchi a spillo
1993               Kika
1995               Il fiore del mio segreto
1997               Carne trémula
1999               Tutto su mia madre
2001               Parla con lei
2003               La mala educación
2006               Volver
2009               Gli abbracci spezzati
2011               La pelle che abito
2013               Gli amanti passeggeri
2016               Julieta
2019 Dolor y gloria

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Brad Pitt, protagonista di “Ad Astra” James Gray

Tra gli ospiti prestigiosi della 76. Mostra del Cinema di Venezia c’è Brad Pitt, astronauta protagonista del film “Ad Astra di James Gray”. “Si tratta probabilmente del lavoro più difficile della mia vita”, ha dichiarato Brad Pitt. “Un film delicato, una vera e propria sfida. Non è facile raccontare una storia tra padre e figlio cercando di mantenere il giusto equilibrio”.

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Scarlett Johansson, protagonista con Adam Driver di “Marriage Story” di Noah Baumbach


Il racconto doloroso di un’esperienza che trova riscontro nella vita personale di Scarlett Johansson che interpreta, al fianco di Adam Driver,  il ruolo di protagonista nel film “Marriage Story” di Noah Baumbach (una produzione Netflix). La storia è incentrata sulla separazione tra un regista off di Broadway e un’attrice californiana di serie tv, con un figlio di otto anni.”  Il caso ha infatti voluto che proprio nel periodo in cui è stato girato il film la Johansson si stava separando dal secondo marito, Romain Dauriac. “Ho accettato il ruolo di Nicole e ho messo tutta me stessa ben più che nei film precedenti”, ha dichiarato l’attrice. “La mia Nicole (il personaggio del film) si sforza di essere riconosciuta come persona ed è alla ricerca di una propria identità al di là del matrimonio fallito. Trovo che sia molto bello continuare a provare sentimenti positivi e umanità proprio quando invece stai rompendo tutto”.

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THE PERFECT CANDIDATE di Haifaa Al-Mansour

La conferenza stampa di presentazione del film The Perfect Candidate della regista saudita Haifaa Al-Mansour: al suo secondo film, dopo Una Bicicletta Verde. Il film racconta  la storia delle difficoltà di una donna di candidarsi a sindaco della sua città e, contestualmente, punta il dito sulla condizione femminile in quella parte del mondo, “per incoraggiare le donne saudite a liberarsi dal sistema che ci ha deliberatamente ostacolato”.

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IL SINDACO DEL RIONE SANITÀ di Mario Martone

La conferenza stampa sul nuovo film di Mario Martone. Il regista è stato accompagnato dalla moglie, Ippolita Di Majo, e dagli interpreti Francesco Di Leva, Massimiliano Gallo, Daniela Ioia, Roberto de Francesco, Adriano Pantaleo

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WASP NETWORK di Olivier Assayas

Penelope Cruz in un film tra spie e doppi giochi. Attori: Penélope Cruz, Edgar Ramirez, Gael Garcia Bernal, Wagner Moura, Ana de Armas, Leonardo Sbaraglia

Wasp Network, film diretto da Olivier Assayas, è la storia di cinque prigionieri politici cubani, imprigionati dagli Stati Uniti dalla fine degli anni ‘90 con l’accusa di spionaggio e omicidio. Il gruppo è composto da spie che, mentre la guerra fredda volgeva al termine, vengono inviate dai servizi di controspionaggio di Cuba per monitorare un gruppo anti-Castro con sede in Florida, che avrebbe progettato una serie di attacchi militari…

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THE LAUNDROMAT (Panama Papers) di Steven Soderbergh

La leggenda vivente del cinema, Meryl Streep, nel film di Steven Soderbergh. Nel cast anche: Gary Oldman e Antonio Banderas.

Sotto la superficie del mondo della finanza globale scorre un sistema segreto che trasporta trilioni di dollari dal traffico di droga, dall’evasione fiscale, dalla corruzione e da altre attività illegali. Dietro tale sistema si celano individui che beneficiano degli aiuti di banchieri, avvocati e revisori di conti che vengono pagati per girarsi dall’altra parte. Ciò è quello che porta involontariamente alla luce Ellen Martin, una pensionata della classe media alla ricerca di risarcimento per la morte del marito.

““Credo che il dolore sia una grande una grande motivazione, che il lutto sia un motore per fare molte cose. I genitori i cui figli sono stati uccisi nelle varie sparatorie in Connecticut o in Ohio non si fermano nel tentativo di cambiare il mondo. Contiamo sulle persone a cui veramente importa, quando qualcosa è personale non ci si ferma”, ha dichiarato Meryl Streep.

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JOKER di Todd Phillips


Joker è un film di genere thriller, drammatico, giallo diretto da Todd Phillips, con Joaquin Phoenix e Robert De Niro.

Attori (cast completo): Joaquin Phoenix, Robert De Niro, Bill Camp, Zazie Beetz, Brett Cullen, Frances Conroy, Glenn Fleshler, Marc Maron, Douglas Hodge, Josh Pais, Shea Whigham

Joker, il film, sulla figura dello storico nemico di Batman. Il Joker diretto da Arthur Fleck, e interpretato magistralmente da Joaquin Phoenix, è un uomo che lotta per trovare la sua strada in una società difficile e contraddittoria come quella di Gotham City.
Durante il giorno lavora come pagliaccio, di notte si sforza di essere un comico di cabaret… poi qualcosa cambia. Arthur non ne può più di essere lo zimbello del mondo o, peggio, del tutto ignorato dalla società. E comincia a cambiare…

Si parla di Premio Oscar per Joaquin Phoenix

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J’ACCUSE (AN OFFICER AND A SPY) di Roman Polanski


J’accuse – L’ufficiale e la spia, il film di Roman Polanski dedicato al caso Dreyfus

Attori: Jean Dujardin, Louis Garrel, Emmanuelle Seigner, Mathieu Amalric, Melvil Poupaud, Damien Bonnard, Denis Podalydès, Vincent Grass, Grégory Gadebois, Wladimir Yordanoff, Didier Sandre, Hervé Pierre.

L’Ufficiale e la Spia, il film diretto da Roman Polanski, riporta sul grande schermo la vicenda del Capitano Alfred Dreyfus (Louis Garrel), un giovane soldato francese di origine ebrea accusato ingiustamente di essere una spia al servizio dei tedeschi.

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CONVERSAZIONE CON JULIE ANDREWS, Leone d’Oro alla carriera


Conversazione con Julie Andrews, Leone d’Oro alla carrieraIl Leone d’Oro alla carriera della 76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica è stato attribuito alla grande attrice inglese Julie Andrews, protagonista – tra i suoi numerosi successi internazionali – di classici amati in tutto il mondo quali Mary Poppins (1964), Tutti insieme appassionatamente (1965) e Victor Victoria (1982).
La decisione è stata presa dal Cda della Biennale di Venezia presieduto da Paolo Baratta, che ha fatto propria la proposta del Direttore della Mostra Alberto Barbera.

Julie Andrews, nell’accettare la proposta, ha dichiarato: “Sono molto onorata di essere stata scelta per il Leone d’Oro alla carriera. La Mostra del Cinema di Venezia è da lungo tempo considerata uno dei più stimati festival internazionali. Ringrazio La Biennale per questo riconoscimento del mio lavoro, e sono impaziente di arrivare in quella meravigliosa città a settembre per un’occasione così speciale”.
A proposito di questo premio, Alberto Barbera ha dichiarato: “Affermatasi sin da giovanissima sulle scene del music hall londinese e, in seguito, a Broadway grazie alle sue doti canore e interpretative fuori del comune, Julie Andrews deve allo straordinario successo del suo primo film hollywoodiano, Mary Poppins, il conferimento dello statuto di star di prima grandezza, immediatamente bissato da un altro memorabile film, Tutti insieme appassionatamente, per lungo tempo ai primi posti dei film più visti della storia del cinema. I due ruoli la proiettano nell’empireo delle dive internazionali, facendone il personaggio iconico adorato da intere generazioni di spettatori, senza tuttavia esaurire l’ampiezza e la portata della sua carriera artistica.  Al di là del fatto che sia possibile una diversa lettura dell’immagine generata dai suoi due film più famosi – sottolineando la valenza trasgressiva dei personaggi della governante  piuttosto che il loro apparente conservatorismo – va ricordato come la stessa Andrews abbia significativamente contribuito ad evitare il rischio di rimanere imprigionata nel ruolo di icona del cinema famigliare, scegliendo di cimentarsi in ruoli di volta in volta drammatici, apertamente provocatori o intrisi di graffiante ironia. È il caso, per esempio, di Tempo di guerra, tempo d’amore, di Arthur Hiller, e dei numerosi film diretti dal marito Blake Edwards, con il quale diede vita a un sodalizio artistico tra i più profondi e duraturi, che ricordiamo come uno stupendo esempio di fedeltà umana e professionale a un affascinate progetto estetico capace di prevalere sull’esito commerciale dei singoli film. Il Leone d’Oro è il riconoscimento doveroso di una carriera straordinaria che ha saputo ammirevolmente  conciliare il successo popolare e le ambizioni artistiche senza mai scendere a facili compromessi”.

Biografia di Julie Andrews
Julie Andrews è da oltre mezzo secolo un’amatissima stella del teatro, del cinema e della televisione. Era già una leggenda a Broadway quando ha debuttato al cinema con Mary Poppins nel 1964. La sua iconica interpretazione nel ruolo della magica governante le è valsa un Oscar®, un Golden Globe e un premio BAFTA. L’anno successivo ha ricevuto una seconda candidatura all’Oscar® e un altro Golden Globe per l’indimenticabile interpretazione di Maria Von Trapp in Tutti insieme appassionatamente. Ha poi ricevuto la sua terza candidatura all’Oscar® e ha vinto un altro Golden Globe per il suo doppio ruolo in Victor Victoria (1982).
Oggi, il pubblico giovane conosce meglio Julie Andrews nel ruolo della regina che insegna alla nipote adolescente a diventare una principessa nei film di successo Pretty Princess e nel suo seguito Principe azzurro cercasi.
Ha prestato recentemente la sua voce alla creatura marina Kharaten nel campione d’incassi Aquaman (2018). È stata anche la voce della Regina Lillian nella serie di film Shrek 2, Shrek Terzo e Shrek e vissero felici e contenti, e la voce della madre di Gru nella serie di film Cattivissimo Me e dei MinionsJulie Andrews è nata e cresciuta in Inghilterra, dove conosce i primi successi all’età di dodici anni come giovane cantante dalla voce eccezionale, esibendosi a teatro e alla radio. Ancora adolescente attraversa l’Atlantico per approdare a Broadway, dove nel 1953 debutta nel musical The Boy Friend.
Nel 1956 interpreta il ruolo di Eliza Doolittle a Broadway per il musical My Fair Lady di Alan Jay Lerner e Frederick Loewe, che diventa subito un classico. Nel 1961, Julie è la Regina Ginevra nel musical Camelot di Lerner e Loewe.
Nel 1964 è chiamata a Hollywood per interpretare la parte della magica governante in Mary Poppins, film per il quale vince l’Oscar come migliore attrice.
Lo stesso anno, come protagonista insieme a James Garner, interpreta Tempo di guerra, tempo d’amore, per il quale viene nominata al Premio BAFTA come migliore attrice protagonista. Questa affilata commedia romantico/pacifista, ambientata a Londra durante la seconda guerra mondiale, è considerata dalla Andrews il suo film favorito, un giudizio condiviso dal coprotagonista James Garner.
L’anno successivo interpreta Maria von Trapp nel celebre Tutti insieme appassionatamente.
Nel 1966, Julie Andrews è protagonista di Hawaii, il secondo più alto incasso statunitense dell’anno. Sempre nel 1966, è protagonista insieme a Paul Newman ne Il sipario strappato di Alfred Hitchcock. L’anno successivo interpreta il personaggio del titolo in Millie, per il quale riceve una nomination ai Golden Globe. All’epoca, Millie e Il sipario strappato sono stati rispettivamente il più grande e il secondo più grande successo nella storia dell’Universal Pictures.
Successivamente appare in Un giorno… di prima mattina (1968), film biografico su Gertrude Lawrence, e al fianco di Rock Hudson in Operazione crepes suzette (1970), diretta da Blake Edwards. Julie Andrews e Blake Edwards si sposano poco dopo, e per i successivi 25 anni realizzano insieme una lunga serie di film, tra cui Il seme del tamarindo (1974), 10 (1979), S.O.B. (1981), Così è la vita (1986) e nel 1982 Victor Victoria.
Julie Andrews ha inoltre ricevuto molti riconoscimenti per la sua attività in televisione, a partire dall’interpretazione nel 1957 come protagonista del musical Cinderella di Rodgers ed Hammerstein, e diversi anni più tardi del varietà musicale The Julie Andrews Hour. Inoltre, ha partecipato a diversi programmi speciali, tre dei quali realizzati con l’amica Carol Burnett, e un altro con John Denver e Placido Domingo, intitolato The Sounds of Christmas. Fra i film per la televisione, One Special Night con James Garner, Eloise at the Plaza ed Eloise at Christmastime.
Affermata autrice di best-seller (Mandy, The Last of the Really Great Whangdoodles), Julie Andrews unisce il suo talento a quello della figlia Emma Walton Hamilton nel 2003 per creare la collana The Julie Andrews Collection. A oggi hanno pubblicato più di trenta volumi. La loro attuale serie di libri dal titolo The Very Fairy Princess, è diventata la n. 1 nella lista dei best seller per ragazzi del “New York Times”, come altre serie successive.
La biografia di Julie Andrews, Home – A Memoir of My Early Years, è stata pubblicata nell’aprile del 2008 ed è pure approdata subito in testa alle classifiche di bestseller del “New York Times”. La seconda puntata della sua biografia, Home Work, è prevista per ottobre e copre la vita di Julie dal 1963 fino alla fine degli anni ’80.
Altri progetti creati e/o scritti da Julie Andrews e da sua figlia sono stati o sono in corso di produzione per la televisione, il cinema e il teatro. Fra questi, una nuova serie televisiva recentemente lanciata in tutto il mondo da Netflix dal titolo Julie’s Greenroom, co-creata, scritta e prodotta dall’accoppiata madre/figlia con la Jim Henson Company.
Julie Andrews chiude il cerchio completando suo versatile lavoro come regista di musical. Ha diretto uno straordinario revival di My Fair Lady (il musical nel quale Julie è stata la protagonista Eliza Doolittle nella produzione originale a Broadway del 1956) al Sydney Opera House, con successo di critica e un incasso da record. Il musical è stato successivamente in tournée in Australia con un grande successo di pubblico.
In anni recenti, Julie ha diretto un adattamento musicale del suo libro per bambini (scritto insieme a Emma) dal titolo The Great American Musical, oltre a due produzioni per il teatro di The Boy Friend (del quale Julie è stata protagonista nella produzione a Broadway nel 1953).
Julie si dedica ad alcune cause benefiche fra le quali Operation USA, che ha aiutato a fondare insieme allo scomparso marito con il quale è stata sposata per 41 anni, il celebre regista e sceneggiatore Blake Edwards. Julie fa parte del Consiglio di Amministrazione della Foundation for Hereditary Disease, sostenitrice di Americans for the Arts, ed entusiasta componente del Consiglio di Amministrazione della Los Angeles Philharmonic.
Dal 1992 al 2006 Julie Andrews è stata Ambasciatrice per le Nazione Unite del Fondo di Sviluppo per le Donne (UNIFEM).
Nel 2000, Sua Maestà la Regina Elisabetta II l’ha insignita del titolo di Dame Commander of the British Empire. Oltre all’Oscar, Julie Andrews ha vinto, fra i molti riconoscimenti, diversi premi Emmy e Golden Globe, un BAFTA e un Grammy,. Nel 2001 è diventata Kennedy Center Honoree e nel 2011 è stata celebrata con il premio SAG alla Carriera.
Insieme a Blake ha cresciuto cinque figli e, per sua grande gioia, dieci nipoti e tre pronipoti.

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MARTIN EDEN di Pietro Marcello (con Luca Marinelli)

#MartinEden un film di Pietro Marcello con Luca Marinelli, Jessica Cressy, Vincenzo Nemolato, Marco Leonardi, Denise Sardisco e Carmen Pommella. Dal 4 settembre al cinema. Dopo aver salvato da un pestaggio Arturo, giovane rampollo della borghesia industriale, il marinaio Martin Eden viene ricevuto in casa della famiglia del ragazzo e qui conosce Elena, la bella sorella di Arturo, e se ne innamora al primo sguardo. La giovane donna, colta e raffinata, diventa non solo un’ossessione amorosa ma il simbolo dello status sociale cui Martin aspira a elevarsi. A costo di enormi fatiche e affrontando gli ostacoli della propria umile origine, Martin insegue il sogno di diventare scrittore e – influenzato dal vecchio intellettuale Russ Brissenden – si avvicina ai circoli socialisti, entrando per questo in conflitto con Elena e con il suo mondo borghese…

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OMAGGIO A FRANCO ZEFFIRELLI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/06/16/omaggio-a-franco-zeffirelli/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/06/16/omaggio-a-franco-zeffirelli/#comments Sun, 16 Jun 2019 17:26:10 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8187 Zeffirelli (cropped).jpgLa nuova puntata di Letteratitudine Cinema la dedichiamo alla memoria di Franco Zeffirelli (Firenze, 12 febbraio 1923 – Roma, 15 giugno 2019): regista, sceneggiatore e scenografo italiano.

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L’addio a Franco Zeffirelli. Approfondimenti su: la Repubblica, Il Corriere della Sera, Ansa, La Stampa, Avvenire, Il Sole24Ore, Il Giornale, Il Fatto Quotidiano

I funerali si svolgeranno martedì prossimo, 18 giugno, in Duomo a Firenze. A officiare il rito funebre sarà l’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori.

Il salone dei 500, in Palazzo Vecchio, ospiterà il 17 giugno la camera ardente, dalle 11 alle 23.

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Nato fuori dal matrimonio da Ottorino Corsi, un commerciante di stoffe originario di Vinci, e dalla fiorentina Alaide Garosi Cipriani, ebbe un’infanzia tribolata dovuta al mancato riconoscimento paterno, che avvenne solo a 19 anni, e alla prematura scomparsa della madre. Fino al riconoscimento paterno, il suo nome fu Gian Franco Zeffirelli, a causa di un errore di trascrizione all’anagrafe del cognome scelto dalla madre, Zeffiretti. Giorgio La Pira fu suo istitutore ai tempi del collegio nel convento di San Marco a Firenze, e dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti a Firenze, esordì come scenografo nel secondo dopoguerra, curando una messa in scena di Troilo e Cressida diretta da Luchino Visconti.

Compì, insieme con Francesco Rosi, le prime esperienze nel cinema come aiuto regista dello stesso Visconti in La terra trema e in Senso, nonché di Antonio Pietrangeli ne Il sole negli occhi (1953). Nel 1953 curò bozzetti e figurini per l’Italiana in Algeri per la regia di Corrado Pavolini al Teatro alla Scala di Milano. Negli anni cinquanta esordì come regista sia in teatro sia al cinema.

Al Teatro alla Scala nel 1954 curò la regia di La Cenerentola e di L’elisir d’amore, nel 1955 Il Turco in Italia portata anche in trasferta nel 1957 al King’s Theatre di Edimburgo, nel 1957 La Cecchina, ossia La buona figliuola, nel 1958 Mignon e nel 1959 Don Pasquale, al Teatro Verdi di Trieste nel 1958 Manon Lescaut e al Royal Opera House, Covent Garden di Londra nel 1959 Lucia di Lammermoor portata anche in trasferta al King’s Theatre di Edimburgo nel 1961, Cavalleria rusticana e Pagliacci. Sul grande schermo esordì con Camping (1957), una commedia di ambiente giovanile. Ancora al Covent Garden nel 1960 disegnò i costumi di Joan Sutherland per La traviata.

Ancora al Teatro alla Scala nel 1960 curò la regia de Le astuzie femminili e di Lo frate ‘nnamorato, nel 1963 La bohème e Aida, nel 1964 La traviata, al Teatro La Fenice di Venezia nel 1960 Alcina e nel 1961 Lucia di Lammermoor, a Trieste nel 1961 Rigoletto e nel 1967 Falstaff, al Glyndebourne Festival Opera nel 1961 L’elisir d’amore, a Londra nel 1961 Falstaff, nel 1962 Don Giovanni e Alcina e nel 1964 Tosca, Rigoletto e I puritani, al Wiener Staatsoper nel 1963 La bohème (che fino al 2014 va in scena 410 volte) e al Metropolitan Opera House di New York nel 1964 Falstaff e nel 1966 la prima assoluta di Antony and Cleopatra di Samuel Barber di cui è anche il librettista.

Verso la fine degli anni sessanta si impose all’attenzione internazionale in campo cinematografico grazie a due trasposizioni shakespeariane: La bisbetica domata (1967) e Romeo e Giulietta (1968). Nel 1966 realizzò un documentario sull’alluvione di Firenze intitolato Per Firenze. Negli anni sessanta Zeffirelli diresse alcuni spettacoli memorabili nella storia del teatro italiano, come l’Amleto con Giorgio Albertazzi, recitato anche a Londra in occasione delle celebrazioni shakespeariane nel quattrocentesimo anniversario della nascita del grande drammaturgo (1964), Chi ha paura di Virginia Woolf? con Enrico Maria Salerno e Sarah Ferrati, La lupa di Giovanni Verga con Anna Magnani.

Ancora al Metropolitan nel 1970 curò la regia di Cavalleria rusticana e nel 1972 Otello, alla Scala nel 1972 Un ballo in maschera e nel 1976 Otello, a Vienna nel 1972 Don Giovanni e nel 1978 Carmen e al Grand Théâtre di Ginevra nel 1978 La Fille du Regiment. Nel 1971 diresse Fratello sole, sorella luna, una poetica rievocazione della vita di Francesco d’Assisi. Scenografo e allievo di Luchino Visconti, le sue opere furono sempre accurate nelle ricostruzioni di ambiente, e scelse sempre soggetti di forte impatto emotivo sul pubblico.

Nel dicembre del 1974 curò la regia televisiva in mondovisione della cerimonia di apertura dell’Anno Santo. Nel gennaio del 1976 tornò a collaborare col Teatro alla Scala di Milano, allestendo ancora una volta la sua celebre Aida, diretta da Thomas Schippers e con Montserrat Caballé e Carlo Bergonzi come protagonisti. Il 7 dicembre 1976 firmò regia e scene di una storica edizione di Otello di Giuseppe Verdi che inaugurò la stagione lirica del Teatro alla Scala di Milano, con la direzione di Carlos Kleiber e protagonisti Plácido Domingo, Mirella Freni e Piero Cappuccilli. L’opera venne, per la prima volta, trasmessa in diretta dalla RAI.

Dopo il successo del film televisivo Gesù di Nazareth (1976), una coproduzione internazionale sulla vita di Gesù; realizzò, tra gli altri, Il campione (1979), Amore senza fine (1981), Il giovane Toscanini (1988). Nel 1990 tornò a Shakespeare con un nuovo adattamento cinematografico di Amleto. Nel 1981 curò la regia di Cavalleria rusticana e di Pagliacci alla Scala, 1983 mise in scena Turandot di Giacomo Puccini al Teatro alla Scala, e Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello e nel 1985 Il lago dei cigni alla Scala, al Metropolitan nel 1981 La bohème, nel 1985 Tosca, nel 1987 Turandot e nel 1989 La traviata, all’Opéra National de Paris nel 1986 La traviata e a Trieste nel 1987 La figlia del reggimento.

Ancora al Met nel 1990 curò la regia di Don Giovanni e nel 1996 Carmen e alla Scala nel 1992 Don Carlo e nel 1996 La Fille du Regiment. Nel 1993 tornò al cinema con Storia di una capinera, da Giovanni Verga. Nel 1994 fu eletto senatore della repubblica nelle Liste di Forza Italia della circoscrizione Catania ottenendo un numero record di voti che riconferma con la sua rielezione a senatore del 1996.

Successivamente allestì all’Arena di Verona, nel 1995 Carmen di Georges Bizet ripresa poi nel 1996 e 1997, 1999, 2002 e 2003, 2006, dal 2008 al 2010, 2012, 2014 e nel 2016; nel 2001 Il trovatore opera andata in scena anche nel 2002, 2004, 2010, 2013 e 2016, nel 2002 Aida di Giuseppe Verdi riproposta dal 2003 al 2006, 2010 e 2015; nel 2004 Madama Butterfly andata in scena anche nel 2006, 2010, 2014 e 2017, nel 2010 Turandot di Giacomo Puccini, ripresa nel 2012, 2014 e 2016, e nel 2012 Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart realizzata anche nel 2015.

Tra il 1996 e il 1999 diresse i film Jane Eyre e Un tè con Mussolini, quest’ultimo parzialmente autobiografico. Nel dicembre 1999, tornò a dirigere le riprese televisive della cerimonia di apertura dell’Anno Santo. Nel 2002 sempre per il grande schermo, realizzò Callas Forever, liberamente ispirato alla vita di Maria Callas. Ancora per il Metropolitan nel 2002 cura la regia de Il barbiere di Siviglia al Cunningham Park. Fino al 2014 sono oltre 800 gli spettacoli con la sua regia andati in scena al Met.

Il 24 novembre 2004 la regina Elisabetta II lo nominò Cavaliere Commendatore dell’Ordine dell’Impero Britannico (KBE). Nel 2006 curò il suo quinto allestimento dell’Aida interpretata da Violeta Urmana per l’inaugurazione del Teatro alla Scala. Dal 21 aprile a 3 maggio 2007 andò in scena il suo nuovo allestimento de La traviata di Giuseppe Verdi per il Teatro dell’Opera di Roma, con direzione d’orchestra Gianluigi Gelmetti, soprano Angela Gheorghiu, baritono Renato Bruson, tenore Vittorio Grigolo. La prima dello spettacolo del 21 aprile è stata trasmessa in diretta in ventidue sale cinematografiche. Al Teatro Filarmonico di Verona esordisce nel 2012 con Pagliacci.

Muore la mattina del 15 giugno 2019 nella sua casa di Roma, all’età di 96 anni.

(Fonte: Wikipedia Italia)

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OSCAR 2019 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/02/25/oscar-2019/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/02/25/oscar-2019/#comments Mon, 25 Feb 2019 14:15:36 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8087 La nuova puntata di Letteratitudine Cinema la dedichiamo ai Premi Oscar 2019

Vince “Green Book” come miglior film. Malek e Colman migliori attori protagonisti 2019. Migliori non protagonisti: Ali e King. A Cuaron il premio miglior regia per “Roma”

La 91ª edizione della cerimonia degli Oscar si è tenuta al Dolby Theatre di Los Angeles, ieri, 24 febbraio 2019. Per la prima volta dopo 30 anni, la cerimonia non ha avuto alcun presentatore ufficiale (dopo la rinuncia di Kevin Hart in seguito alle polemiche generatesi per via di alcune frasi omofobe che l’attore aveva pubblicato su Twitter nove anni prima).

Le candidature sono state annunciate il 22 gennaio 2019. I film che hanno totalizzato più candidature sono a pari merito Roma di Alfonso Cuarón e La favorita di Yorgos Lanthimos con 10 candidature a testa, seguiti da A Star Is Born e Vice – L’uomo nell’ombra con 8 candidature cadauno.

Il film che si è aggiudicato il maggior numero di statuette è stato Bohemian Rhapsody, con un totale di 4 premi ricevuti, seguito da Roma, Green Book (che ha vinto il premio per il miglior film) e Black Panther, con 3 statuette ciascuno.

Candidati e vincitori

Miglior film

Migliore regia

Migliore attore protagonista

Migliore attrice protagonista

Migliore attore non protagonista

Migliore attrice non protagonista

Migliore sceneggiatura originale

Migliore sceneggiatura non originale

Miglior film straniero

Miglior film d’animazione

Migliore fotografia

Migliore scenografia

Miglior montaggio

Migliore colonna sonora

Migliore canzone

Migliori effetti speciali

Miglior sonoro

Miglior montaggio sonoro

Migliori costumi

Miglior trucco e acconciatura

Miglior documentario

Miglior cortometraggio documentario

Miglior cortometraggio

Miglior cortometraggio d’animazione

Premi speciali

Oscar onorario

Premio alla memoria Irving G. Thalberg

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GALLERIA FOTOGRAFICA

[Fonte: Wikipedia e varie]
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BOHEMIAN RHAPSODY e i GOLDEN GLOBE 2019 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/01/07/bohemian-rhapsody-e-i-golden-globe-2019/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/01/07/bohemian-rhapsody-e-i-golden-globe-2019/#comments Mon, 07 Jan 2019 16:39:47 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8048 imageLa nuova puntata di Letteratitudine Cinema la dedichiamo al film “Bohemian Rhapsody” e ai Golden Globe 2019

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Doppio premio ai Golden Globe 2019 per il film “Bohemian Rhapsody” diretto da Bryan Singer: miglior film drammatico e migliore attore in un film drammatico (a Rami Malek).
Di seguito: tutte le categorie e tutti i vincitori.

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di Erika Di Giorgio

imageStiamo parlando del “biopic” musicale di maggior successo nella storia del cinema. In Italia, il film ha ottenuto il maggiore incasso cinematografico del 2018 incassando oltre 23 milioni di euro. Eppure il doppio premio ricevuto ai Golden Globe 2019 ha suscitato qualche sorpresa. Il film in questione è “Bohemian Rhapsody” diretto da Bryan Singer, che si aggiudica il premio come miglior film drammatico e quello per il miglior attore in un film drammatico (conferito a Rami Malek). Il film, come è noto, è incentrato sulla band musicale dei Queen e sulla figura del suo leader, Freddie Mercury (interpretato magistralmente da Rami Malek).

imagePartiamo dall’inizio: il titolo del film (Bohemian Rhapsody) coincide con il titolo di uno dei singoli di maggior successo dei Queen, pubblicato il 31 ottobre 1975 come primo estratto dal quarto album in studio A “Night at the Opera”. Si tratta, in effetti, di uno dei brani musicali più rappresentativi della band e di maggior successo commerciale… nonostante le caratteristiche peculiari (sia per la sua lunghezza, sia per i riferimenti alla “musica operistica”).
Il film ripercorre la storia di Queen dal loro primo incontro fino alla memorabile esibizione al concerto Live Aid del 1985: unanimamente considerata come la migliore performance dell’evento. Nel suo film Bryan Singer riesce a trascinare lo spettatore su quel mitico palco e lo “trasforma” in protagonista dell’evento insieme alla band e al suo istrionico leader. La sola ricostruzione scenica di quello storico concerto vale il prezzo del biglietto del film. La narrazione è incentrata soprattutto sulla vita di Freddie, interessandosi anche alle sue vicende personali (il rapporto con Mary, la donna amata, e la scoperta della sua bisessualità). Il cast è eccezionale: non solo Rami Malek è un perfetto Freddie Mercury… anche gli altri attori riproducono fedelmente sembianze e attitudini degli altri tre Queen (Roger Taylor, batterista del gruppo, è interpretato da Ben Hardy; John Deacon, il bassista, è interpretato da Joseph Mazzello; Brian May, il chitarrista, è interpretato da Gwilym Lee).
Nel momento in cui è stato comunicato il conferimento del premio al miglior attore di film drammatico, Rami Malek, l’eccezionale interprete di Freddie Mercury, ha abbracciato Brian May (il “vero” chitarrista dei Queen) ed è salito sul palco senza nascondere la grande emozione dichiarando di essersi sentito parte di una famiglia e ringraziando i Queen e i componenti della band. Malek era accompagnato nella notte dei Golden Globe dalla fidanzata Lucy Boynton, che nel film ha interpretato in maniera convincente Mary Austin (la donna che fu sentimentalmente legata a Freddy Mercury).
Un film davvero ottimo. Da vedere (lo consigliamo a chi non ha ancora avuto modo di gustarselo al cinema) e da rivedere.
In attesa, naturalmente, dei premi Oscar.

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Vincitori e candidati dei Golden Globe 2019


Miglior film drammatico

Miglior film commedia o musicale

Miglior regista

Migliore attrice in un film drammatico

Migliore attore in un film drammatico

Migliore attrice in un film commedia o musicale

Migliore attore in un film commedia o musicale

Migliore attrice non protagonista

Migliore attore non protagonista

Miglior film straniero

Miglior film d’animazione

Migliore sceneggiatura

Migliore colonna sonora originale

Migliore canzone originale

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Premi per la televisione

Miglior serie drammatica

Miglior attrice in una serie drammatica

Miglior attore in una serie drammatica

Miglior serie commedia o musicale

Miglior attrice in una serie commedia o musicale

Miglior attore in una serie commedia o musicale

Miglior miniserie o film per la televisione

Miglior attrice in una mini-serie o film per la televisione

Miglior attore in una mini-serie o film per la televisione

Migliore attrice non protagonista in una serie, mini-serie o film per la televisione

Miglior attore non protagonista in una serie, mini-serie o film per la televisione

Golden Globe alla carriera

Carol Burnett Award

Golden Globe Ambassador

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OMAGGIO A BERNARDO BERTOLUCCI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/11/26/omaggio-a-bernardo-bertolucci/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/11/26/omaggio-a-bernardo-bertolucci/#comments Mon, 26 Nov 2018 14:00:40 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8024 Ricordiamo il grande regista, sceneggiatore e produttore cinematografico italiano Bernardo Bertolucci scomparso oggi, 26 novembre 2018, all’età di 77 anni.

Nel 1988 ricevette l’Oscar al miglior regista per il film “L’ultimo imperatore”.


Proponiamo di seguito due video (la premiazione all’Oscar nel 1988 e un’intervista nell’ambito della Mostra del Cinema di Venezia del 1994), vari approfondimenti e una nota biografica

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Bernardo Bertolucci (Parma, 16 marzo 1941 – Roma, 26 novembre 2018) è stato un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico italiano.

Tra i registi italiani più rappresentativi e conosciuti a livello internazionale, ha diretto film di successo come Il conformista, Ultimo tango a Parigi, Il tè nel deserto, Novecento e L’ultimo imperatore, che gli valse l’Oscar al miglior regista e alla migliore sceneggiatura non originale.

Nel 2007 gli fu conferito il Leone d’oro alla carriera alla 64ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e nel 2011 la Palma d’oro onoraria al 64º festival di Cannes.

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Approfondimenti su: la Repubblica, Il Corriere della Sera, La Stampa, Il Messaggero, Il Giornale, Il Fatto Quotidiano, Il Mattino, Il Sole24Ore, Ansa

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Primogenito del poeta Attilio Bertolucci, è cugino del produttore cinematografico Giovanni (Parma, 24 giugno 1940) e fratello del defunto regista cinematografico Giuseppe (1947 – 2012). Inizialmente sembra seguire la strada paterna, interessandosi di poesia e iscrivendosi al corso di laurea in Lettere presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, ma ben presto abbandona gli studi per il cinema facendo da assistente a Pier Paolo Pasolini, suo vicino di casa, ai primi passi come sceneggiatore nel mondo della settima arte. Con una camera a passo ridotto Bertolucci gira due cortometraggi amatoriali nel biennio 1956-1957, La teleferica e La morte del maiale.

Proprio grazie a Pasolini e all’interessamento del produttore Cino Del Duca, Bertolucci lavora come assistente nel primo film diretto dal letterato friulano, Accattone (1961). Su quel set incontra l’attrice Adriana Asti, che sarà poi sua compagna per diversi anni. L’anno seguente, con Tonino Cervi come produttore, realizza il suo primo lungometraggio, La commare secca, su soggetto e sceneggiatura di Pier Paolo Pasolini. Ma Bertolucci si stacca ben presto dal mondo e dalla poetica pasoliniani per inseguire un’idea personale di cinema basata sostanzialmente sull’individualità di persone che si trovano di fronte a bruschi cambiamenti del loro mondo e di quello circostante, a livello esistenziale e politico, senza che essi possano o vogliano cercare una risposta concisa.

Tale tematica sarà presente praticamente in tutte le opere di Bertolucci, a partire dal secondo film, Prima della rivoluzione (1964), dove è esemplificata molto chiaramente nella storia di un giovane della borghesia agricola medio-alta di Parma (Francesco Barilli), il quale, incapace di reagire al suicidio del suo amico più caro e incerto su una direzione da prendere, si getta a capofitto in una relazione con una matura e piacente zia (Adriana Asti) giunta da Milano. Entrambi, però, si rendono conto che quella storia non può durare – lei è anche in cura da uno psicologo – e alla partenza della donna, al giovane non resta che sposare la sua precedente fidanzata, che lui non ama, facente parte dell’alta borghesia, matrimonio ben visto dalla sua famiglia.

Anche nei film che seguono, Bertolucci continua il suo personale discorso intorno all’ambiguità esistenziale e politica, soprattutto in Partner (1968), interpretato da Pierre Clémenti, in Strategia del ragno e con Il conformista (1970) con Jean-Louis Trintignant, opere presentate in diversi festival ma dallo scarso successo di pubblico.

La grande notorietà per Bertolucci arriva nel 1972, con un film “scandaloso” che ha di fatto segnato un’epoca: Ultimo tango a Parigi, con Marlon Brando e Maria Schneider, Jean-Pierre Léaud e Massimo Girotti, dove il sesso è visto come unica risposta possibile, ma non definitiva, al conformismo del mondo circostante; i protagonisti di questo film, come quelli che seguiranno, sono esseri alla deriva, quasi sbandati, la cui unica via d’uscita è la trasgressione.
Il film, dopo la sua prima proiezione a New York, subì notevoli traversie censorie in Italia (che comunque non impedirono al film di piazzarsi secondo nella classifica degli incassi della stagione cinematografica 1972-1973); ben presto sequestrata, la pellicola venne ritirata dalla Cassazione il 29 gennaio 1976, e il regista fu condannato per offesa al comune senso del pudore, colpa per la quale venne privato dei diritti civili per cinque anni, fra cui il diritto di voto. Dopo svariati processi d’appello, la pellicola venne dissequestrata nel 1987. Le copie rimaste dopo il macero vennero depositate alla Cineteca Nazionale di Roma e quelle integrali, conservate in cineteche estere, sono servite come base per editare il film in DVD.
A 46 anni dalla sua realizzazione, il film è tornato nelle sale cinematografiche nel maggio 2018 nella versione in lingua originale restaurata in 4K a cura della Cineteca Nazionale e della Cineteca di Bologna, con la supervisione di Vittorio Storaro per l’immagine e di Federico Savina per il suono. La prima mondiale ha avuto luogo a Bari nel corso del Bari International Film Festival (Bif&st) alla presenza del regista.

Bertolucci incrementa la sua notorietà con le opere successive, da Novecento (1976), epico affresco delle lotte contadine emiliane dai primi anni del secolo alla Seconda guerra mondiale che si avvale di un prestigioso cast internazionale (da Robert De Niro a Gérard Depardieu, Donald Sutherland, Sterling Hayden, Burt Lancaster, Dominique Sanda a un cast di noti attori italiani come Stefania Sandrelli, Alida Valli, Laura Betti, Romolo Valli e Francesca Bertini), a La luna, ambientato a Roma e in Emilia-Romagna, in cui affronta lo scabroso tema della droga e dell’incesto, fino a La tragedia di un uomo ridicolo (1981), con Ugo Tognazzi.

Negli anni ottanta Bertolucci gira soprattutto all’estero kolossal di straordinaria potenza visiva. Nel 1987 dirige in Cina L’ultimo imperatore, un grande successo internazionale che si aggiudica ben nove premi Oscar, tra cui quelli per il miglior film e la migliore regia; diventa così l’unico regista italiano insieme a Frank Capra a vincere il premio di categoria.
L’ultimo imperatore (The Last Emperor) è un film epico e biografico del 1987 il cui soggetto trae spunto da Sono stato imperatore, l’autobiografia di Pu Yi. Colossal di successo mondiale, segnò una svolta decisiva nella carriera del regista e ricevette un vasto numero di riconoscimenti, tra cui nove Oscar e nove David di Donatello.

Nel 1990 gira in Marocco il film Il tè nel deserto (1990), tratto da un romanzo di Paul Bowles, mentre nel 1993 è la volta del Piccolo Buddha con Keanu Reeves, ambientato in Nepal e negli Stati Uniti. In seguito il regista torna a girare in Italia riprendendo le sue predilette tematiche intimiste con risultati alterni di critica e pubblico, a partire da Io ballo da sola (1996), per proseguire con L’assedio (1998) e The Dreamers – I sognatori (2003), che ripercorre una vicenda di passioni politiche e rivoluzioni sessuali di una coppia di fratelli, nella Parigi del 1968. Nel 2007 riceve il Leone d’oro alla carriera al Festival di Venezia, mentre nel 2011 riceve la Palma d’oro alla carriera al Festival di Cannes. Nel 2012 gira  Io e te tratto dall’omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti, intitolata appunto Io e te.

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Premi cinematografici

1971: National Society of Film Critics Award al miglior regista
1972: nomination all’Oscar alla migliore sceneggiatura non originale per Il conformista.
1973: Nastro d’argento al regista del miglior film
1974: nomination all’Oscar al miglior regista per Ultimo tango a Parigi
1988: Oscar al miglior regista per L’ultimo imperatore.
1988: Oscar alla migliore sceneggiatura non originale per L’ultimo imperatore.
1988: Golden Globe per il miglior regista per L’ultimo imperatore.
1988: Golden Globe per la migliore sceneggiatura
1988: David di Donatello per il miglior film
1988: David di Donatello per il miglior regista
1988: David di Donatello per la migliore sceneggiatura
1988: Nastro d’argento al regista del miglior film
1988: Directors Guild of America Award al miglior regista cinematografico
1997: Pardo d’onore al Festival del film Locarno
1997: Premio per la speciale sensibilità visiva nella regia al Camerimage
1997: Premio per la collaborazione regista – direttore della fotografia (Vittorio Storaro) al Camerimage
1998: Riconoscimento per la libertà di espressione dal National Board of Review
2007: Leone d’oro alla carriera alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica
2011: Palma d’oro onoraria al Festival di Cannes
2018: Fellini Platinum Award for Artistic Excellence al Bari International Film Festival

(Fonte: wikipedia italia e varie)

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IMAGINE (2018) di John Lennon e Yoko Ono http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/10/08/imagine-2018-di-john-lennon-e-yoko-ono/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/10/08/imagine-2018-di-john-lennon-e-yoko-ono/#comments Mon, 08 Oct 2018 15:52:27 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7961 La nuova puntata di Letteratitudine Cinema è dedicata al film Imagine” di John Lennon e Yoko Ono: al cinema solo nei giorni 8-9-10 OTTOBRE 2018

Un film di Steve Gebhardt, John Lennon, Yoko Ono. Con John Lennon, Yoko Ono, Daniel Richter, Fred Astaire, Dick Cavett, George Harrison, Jack Palance, Andy Warhol. Per la prima volta sul grande schermo, il film uscito originariamente nel 1972 per la televisione, è oggi restaurato in 4K e interamente rimasterizzato in Dolby Atmos agli Abbey Road Studios, con 15 minuti inediti inseriti appositamente per la versione cinematografica.

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Nel 1972 John Lennon e Yoko Ono diressero e produssero, con la collaborazione di Steve Gebhardt, il film “Imagine”: un visionario lungometraggio musicale pensato per la televisione e girato principalmente durante il 1971 nella loro residenza britannica dell’epoca (la magione in stile Tudor Tittenhurst Park ad Ascot). Il film conteneva tutti i brani musicali dell’album Imagine e le canzoni Mrs. Lennon e Don’t Count the Waves, presenti nell’album della Fly di Yoko Ono.

Tra un video musicale e l’altro sono inframezzati spezzoni documentaristici sulla vita di John e Yoko e varie “gag” di fantasia. In una di queste, una successione di uomini (che vanno dagli assistenti di Lennon e Ono, a celebrità come Fred Astaire, Jack Palance, Dick Cavett, ed anche George Harrison) scortano Yoko Ono attraverso una porta più e più volte; in un’altra scena, per esempio, John e Yoko si perdono nel giardino della villa di Tittenhurst, e si cercano nella nebbia. Altra scena famosa è quella nella quale Lennon ed Harrison, seduti a tavola nella cucina di Ascot, ironizzano sulla carriera solista del loro ex-compagno nei Beatles Paul McCartney (qui chiamato “Beatle Ed”), che fa da introduzione all’esecuzione di How Do You Sleep?

In occasione delle celebrazioni mondiali dell’anniversario della nascita di John Lennon (nato il 9 ottobre 1940) il film “Imagine” raggiunge il grande schermo in una versione completamente restaurata in 4k e rimasterizzata in Dolby Atmos agli Abbey Road Studios. Alla fine del film gli spettaori potranno inoltre godere di quindici minuti di immagini inedite che mostrano prima John in studio con la sua band mentre registra ‘How do you sleep?’ e ‘Oh my love’ e poi John e Yoko sul divano, lui con la chitarra in mano, che cantano insieme ‘Oh Yoko!’.

In italia, Nexo Digital porterà il film in sala per tre giorni, l’8, il 9 e 10 ottobre



Un appuntamento imperdibile per tutti i fan di Lennon e dei Beatles per riscoprire Imagine come non si era mai visto o ascoltato prima, in un collage cinematografico di colori, suoni, sogni e realtà. E per chi non l’avesse mai visto, un’occasione unica che conoscere meglio uno degli artisti internazionali più influenti del Novecento.

Restaurato frame-by-frame dai rulli originali e con il remix audio di Paul Hicks, pluripremiato ai GRAMMY®, il film evento è accompagnato da 15 minuti di contenuti inediti, tra cui filmati in studio di John e della sua band (inclusi anche George Harrison dei Beatles, Nicky Hopkins dei Rolling Stones, Alan White degli Yes e il bassista Klaus Voormann, amico e fan dei Beatles dai tempi di Amburgo) che eseguono “How Do You Sleep?” e “Oh My Love” in un mix appositamente creato per il Dolby Atmos sound surround “raw studio”, che pone lo spettatore al centro dello studio di registrazione, mentre la band suona dal vivo.

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0Negli stessi giorni anche Universal Music celebra l’apice della carriera solista di Lennon con “Imagine – The Ultimate Collection”, il suo album più famoso in box set di sei dischi. In uscita il 5 ottobre, questa collezione di 140 storiche tracce, remixate e rimasterizzate, è stata autorizzata da Yoko Ono Lennon, che ne ha supervisionato la produzione e la direzione creativa. Attraverso quattro CD e due Blu-ray, questa edizione ampliata offre una varietà di esperienze di ascolto stimolanti e profonde. Dai nuovi Ultimate Mixes dell’iconico album, che svelano nuovi livelli di profondità sonora, definizione e chiarezza di queste canzoni senza tempo, fino ad arrivare ai Raw Studio Mixes che consentono all’ascoltatore di sentire le prime registrazioni di Lennon e della Plastic Ono Band, passando per il 5.1 Surround Sound mix ed un Quadrasonic Album Mix, con i quattro originali canali audio rimasterizzati in quadrifonia per la prima volta in quasi cinquant’anni.

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0In uscita mondiale il 9 ottobre 2018, edito in Italia da Edizioni L’ippocampo, anche il libro “Imagine John Yoko” (320 pagine e oltre 1000 illustrazioni) curato dalla stessa Yoko Ono, che racconta la genesi, l’evoluzione e i retroscena del leggendario album attraverso i dialoghi di John, Yoko e i ricordi di chi c’era. L’80% del materiale è inedito: immagini, artwork, approfondimenti e testimonianze immergono il lettore nell’atmosfera dei luoghi che hanno visto nascere il disco e scopre l’intimità della coppia John-Yoko e il loro legame emotivo e professionale in quel periodo di vulcanica creatività. Con il suo messaggio di pace così attuale, “Imagine John Yoko” è un tributo monumentale a un duo artistico che ha lasciato il segno nella storia della musica.

Imagine è distribuito in Italia da Nexo Digital con i media partner Radio Deejay, Rockol, MYmovies e ONstage e in collaborazione con i Beatlesiani d’Italia Associati, Universal Music e Edizioni L’ippocampo.

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UNA STORIA SENZA NOME di Roberto Andò http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/09/24/una-storia-senza-nome-di-roberto-ando/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/09/24/una-storia-senza-nome-di-roberto-ando/#comments Mon, 24 Sep 2018 14:51:47 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7943 imageLa nuova puntata di Letteratitudine Cinema è dedicata al film “Una storia senza nome” di Roberto Andò.

Interpreti: Micaela Ramazzotti, Renato Carpentieri, Laura Morante, Alessandro Gassmann, Jerzy Skolimowski, Gaetano Bruno, Antonio Catania, Marco Foschi, Renato Scarpa, Silvia Calderoni, Emanuele Salce, Paolo Graziosi, Filippo Luna, Michele Di Mauro, Giovanni Martorana

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“Una storia senza nome” di Roberto Andò e la scommessa di perdersi dentro un film

di Daniela Sessa

Quando Alessadro Pes (Alessandro Gassman) entra nella stanza di Vitelli (Antonio Catania), produttore cinematografico, la macchina da presa riprende sullo sfondo una parola: invenzione. E quando l’inquadratura allargata illumina la frase di Louis Lumiere “Il cinema è un’invenzione senza avvenire” si precipita dentro una storia sinusoidale, paradossale e sfrenata. E’ “Una storia senza nome”, l’ultimo film di Roberto Andò ed è una delle più riuscite dichiarazioni d’amore al cinema. Da Buster Keaton di “La palla n°13” a Roberto Andò la storia del cinema è anche la storia della tentazione dei grandi registi di togliersi lo sfizio di giocare con la loro stessa arte. Mostrare gli ingranaggi del set, togliere le maschere agli attori, svelare gli interessi dei produttori e le stravaganze degli autori. Ad Andò interessa questo, ma vuole di più. Vuole il film. Lo vuole nel momento in cui è idea, è storia senza immagine e senza suono. Un copione dall’identità incompiuta, una storia innominata e innominabile. La storia è quella del furto della “Natività” di Caravaggio. Una leggenda che dal 1969 attraversa dall’Oratorio di San Lorenzo (o dell’Immacolatella) di Palermo la storia d’Italia, quella tragica e imbarazzante della mafia e della politica, della famosa Trattativa e del 41bis, di superpoliziotti e di pentiti, di Commissioni Antimafia e di indagini FBI che portano ai confini di un mondo che è forse il porcile in cui i brandelli della meravigliosa tela furono dati in pasto ai maiali  (Andò riprende quest’ipotesi insieme ad altre tutte legate all’epica mafiosa) o forse il Giappone o forse qualche caveau di una banca svizzera o di un collezionista. Roberto Andò tratta quel furto per quello che è: il luogo dell’ambiguità, del mistero, della cialtroneria. Non lo sottrae alla riflessione civile. Andò non potrebbe: tradirebbe se stesso se non dicesse che la delinquenza mafiosa e le sue complicità istituzionali hanno sottratto legalità al nostro Paese e ne hanno sporcato la bellezza. Ma questo ennesimo mistero italiano è nel film solo un pretesto, anzi per dirla con le parole di Andò “quasi il dispositivo dell’indagine”. Un’espressione che Leonardo Sciascia avrebbe approvato, anche perché il film a Sciascia di “Una storia semplice” deve qualcosa: quel celebre furto e la levità nello scrivere d’imposture.
imageIl film di Andò, scovata la storia, prende respiro e diventa uno stravagante puzzle di situazioni, personaggi, citazioni fagocitati da una macchina da presa che riduce in celluloide realtà e fantasia, verità e menzogna. “Un atto fantastico”, lo ha definito Andò. Ed è così. Voler chiudere il film in una definizione di genere è cadere nella trappola giocosa del regista che, sempre colto e raffinato, in quel nastro di celluloide ha impresso un noir, un thriller a tratti anche erotico, una sofisticated comedy, una farsa per spiazzare attori e spettatori, accompagnandoli dinanzi all’altare della finzione fino a pronunciare tutti insieme una battuta del film “La verità è sempre necessaria?”. Esiste ciò che viene raccontato e non sempre chi racconta è ciò che è. Identità metamorfiche gemellari. Il doppio che Andò ha celebrato in “Viva la libertà” qui si moltiplica e ogni personaggio ha il suo doppio: la carrellata sulle gemelle suggerisce il sovrasenso. Il doppio di “Una storia senza nome” va slegato da letture che non siano comiche: rovesciare è il verbo del cinema, è l’atto della fotografia, è la resa dell’immagine. Valeria Tramonti (Micaela Ramazzotti) fa la ghost writer di Alessandro Pes, sceneggiatore di successo ma in crisi creativa. Per tutti è però la scialba segretaria di uno studio di produzione -persino per la madre Amalia Roberti (Laura Morante)- che riceve in dono da un ambiguo investigatore in pensione Alberto Rak (Renato Carpentieri) la storia senza nome del furto senza fine. Valeria, però, non esiterà a trasformarsi in femme fatale in una sequenza quasi di celia dove la sottrazione degli indumenti, il gel nei capelli e il rossetto sulle labbra diventano l’epifania di una donna che non lascia a metà le storie, nemmeno se per terminarle deve scimmiottare la Nikita di Luc Besson o acconciare movenze, caschetto e sigaretta alla Monica Vitti. La citazione è la strategia metacinematografica di Andò.
imageNon è solo Gassman figlio che cita Gassman padre con una voluta forzatura del personaggio mascalzone al limite dell’arcitaliano ma è l’inquadratura dall’alto del motoscafo che cita 007 e la spy story , è il bianco e nero che cita la novelle vague e il cinema in bianco e nero, è citare se stesso infilandosi in una inquadratura o farsi doppio nel regista Jerzy Kunze (interpretato dal regista Jerzy Skolimowski), è il numero di battute (mitragliate da Gassman nella scena del pestaggio) e titoli di film messi dentro il film (“Viale del tramonto” di Billy Wilder, il regista che insieme a Peter Bogdanovich, ha ispirato Andò in questo suo lavoro), è mostrare tutto il processo creativo del film. Se tutto complica la trama, se fa giocare a rimpiattino con la scena madre e fa temere di perdere il filo della storia, si ricordi che su questa scommessa ha puntato Andò. Perdersi dietro e dentro una storia è la magia del cinema, la ragione per cui si fa cinema, la passione con cui si guida la macchina dei sogni. Andò si è permesso, nel pieno della maturità artistica e intellettuale, di scrivere (con Angelo Pasquini e Giacomo Bendotti) e di girare un film colto e personale. Poteva essere un limite, ma l’intimità tra Andò e il cinema è il pregio dl film. Andò alza l’asticella della cinefilia: amare il cinema vuol dire conoscerlo e riconoscerlo, maneggiarlo, crearlo anche solo con l’atto di guardarlo dentro una sala, applaudirlo e piangere di commozione, come nelle migliori commedie americane quando le lacrime bagnano i baci. Andò si permette ancora di più: chiede di divertirsi insieme a lui. Il film ha punte di comicità affidate al fulmine sonoro di Lucio Dalla, all’ironia di Amleto di Shakespeare messo a far da didascalia al gioco erotico, al grottesco con la balbuzie di Diego Spadafora (Gaetano Bruno) e il travestimento del latitante Agate (Silvia Calderoni), alla beffa con la battuta “Detesto Lars Von Trier!”. Colpiscono nel film di Andò il cortocircuito felice tra impegno e arte (la Natività può finire la sua storia solo immaginandola) e la felicità di sbizzarrirsi con la varietà delle inquadrature (il montaggio è di Esmeralda Calabria, la fotografia di Maurizio Calvesi): i primi piani che rincorrono le carrellate indietro e queste che inseguono angolazioni verticali che a volte fissano un particolare.  Un movimento da thriller che la musica, bellissima, di Marco Betta è attenta a sottolineare. Un film intenso e straniante con un cast sempre all’altezza, capace anche (specialmente) nei ruoli di contorno (tra tutti Gaetano Bruno) di interpretare quel labile confine tra commedia e dramma che la sceneggiatura imponeva. Che la visione di Andò imponeva.  Scorrono i titoli di coda sui putti di Serpotta e lo spettatore resta immerso nella sontuosa e sorridente malinconia della Bellezza. Forse a un film, al cinema non deve chiedersi altro.

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La scheda del film

Regia:   Roberto Andò

Produzione: BiBi film (Angelo Barbagallo), Rai Cinema (Paolo Del Brocco), Agat Film e Cie-Parigi (Patrick Sobelman)

Durata: 110’

Interpreti: Micaela Ramazzotti, Renato Carpentieri, Laura Morante, Alessandro Gassmann, Jerzy Skolimowski, Gaetano Bruno, Antonio Catania, Marco Foschi, Renato Scarpa, Silvia Calderoni, Emanuele Salce, Paolo Graziosi, Filippo Luna, Michele Di Mauro, Giovanni Martorana

Sceneggiatura: Roberto Andò, Angelo Pasquini, Giacomo Bendotti

Fotografia: Maurizio Calvesi

Montaggio: Esmeralda Calabria

Scenografia: Giovanni Carluccio

Costumi: Lina Nerli Taviani

Musica: Marco Betta

Suono: Fulgenzio Ceccon

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MARCO TULLIO GIORDANA. UNA POETICA CIVILE IN FORMA DI CINEMA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/07/12/marco-tullio-giordana-una-poetica-civile-in-forma-di-cinema/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/07/12/marco-tullio-giordana-una-poetica-civile-in-forma-di-cinema/#comments Thu, 12 Jul 2018 17:14:03 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7871 Nella nuova puntata di Letteratitudine Cinema ci occupiamo del volume “Marco Tullio Giordana. Una poetica civile in forma di cinema” di Marco Olivieri e Anna Paparcone (Rubettino). Di seguito, un’intervista all’autore

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L’intervista. Fare cinema, fare letteratura. Intervista a Marco Olivieri sul libro Marco Tullio Giordana. Una poetica civile in forma di cinema

di Daniela Sessa

Marco Olivieri scrive di cinema, quello cosiddetto d’impegno civile e, se è concesso, anche estetico. Di Roberto Andò il cui cinema incarna il mistero di esistenze e di memorie risolte da una macchina da presa raffinata e suggestiva. Di Marco Tullio Giordana che ritrae “Pezzi di storia densi di ambiguità e dal fascino perverso, spesso rimossi da una realtà nazionale che tende a rifiutare ciò che appare sgradevole o non pacificato”. Un giudizio, questo, su “Sangue pazzo” da estendere a tutta la concezione della scrittura e della regia di Giordana. Marco Olivieri ha pubblicato un saggio sul cinema di Roberto Andò, “La memoria degli altri. Il cinema di Roberto Andò” ora in ristampa per Kaplan, ed è in libreria con “Marco Tullio Giordana. Una poetica civile in forma di cinema” (Rubbettino), scritto con Anna Paparcone della Bucknell University negli Stati Uniti (ha scritto saggi anche su Pasolini, Garrone, Pif e Quatriglio) e con i suggerimenti di Christian Uva, direttore della Collana Cinema di Rubbettino. Il libro di Olivieri ripercorre la cinematografia di Giordana dagli esordi nel 1980 con “Maledetti vi amerò” fino a “Lea” -film per la televisione-, passando attraverso i capolavori del cinema d’impegno: “I cento passi”, “Romanzo di una strage”, “La meglio gioventù”, “Sanguepazzo”, “Quando sei nato non puoi più nasconderti”, solo per citarne alcuni. Dal lavoro di Olivieri e Paparcone emerge tutta la cifra del cinema di Giordana teso tra memoria e letteratura, volto a indagare i misteri della storia italiana, a filmare la storia di una nazione molto spesso racchiusa dentro conformismo e ideologie asfittiche, un Paese (come si legge nella premessa) “condannato all’incompiutezza”. Al centro Pasolini, un personaggio che portava in sé il dramma: di uomo, di poeta, di regista, di intellettuale. Interessante nel libro è il rapporto tra il regista e Pasolini, un rapporto ambivalente fatto anche di tensioni e prese di distanza. Non è solo l’analisi su “Pasolini, un delitto italiano”, il film del 1995 che ricostruisce le indagini sul delitto e la risonanza mediatica dello stesso come “scatenamento dell’interpretazione”. Pasolini è il coprotagonista del libro: recuperarne la memoria è per Giordana, e forse per gli stessi autori, “una forma di resistenza…rispetto a un clima di anestesia politica e morale”, è riflettere sulla morte come “montaggio della vita”. Il libro di Olivieri e Paparcone ha il pregio di una scrittura lucida, talvolta didascalica come si addice a un lavoro saggistico, rigorosamente analitica e precisa nell’idea di fondo che il cinema di Giordana -come quello di Andò- sia letteratura per immagine, storia per immagine. Due citazioni letterarie per tutte: la bambina pascoliana del film di esordio e la citazione di “Supplica a mia madre” di Pasolini. Le immagini della storia sono quelle dalla Resistenza di “Notti e nebbie” (da un romanzo di Carlo Castellaneta) alle mafie e ai  testimoni di giustizia. E’ qui che il cinema di Giordana rivela il significato del suo impegno “dar voce non tanto alla Storia, ma alle storie, quelle dei vincitori ma anche dei vinti, perché è solo in questo modo che si può rimettere in moto la possibilità della convivenza”. Abbiamo posto a Marco Olivieri alcune domande sul libro.

-Il libro su Giordana è scritto a quattro mani. Racconta la genesi del libro?
Ho conosciuto Marco Tullio Giordana in occasione della presentazione del mio volume dedicato alla filmografia di Roberto Andò. Subito maturò in me l’idea di avviare un nuovo progetto che esplorasse i capitoli più noti e quelli meno conosciuti realizzati. È stato proprio lui a segnalarmi una studiosa che stimava, Anna Paparcone, che insegna alla Bucknell University negli Stati Uniti, era in procinto di dedicarsi a un’analisi approfondita delle sue opere. Ci siamo trovati d’accordo di scrivere un libro sul cinema di Giordana che ne esplorasse gli aspetti tecnici, estetici e tematici e capace di diventare punto di riferimento sia in Italia sia negli Stati Uniti. Il lavoro insieme, grazie ai continui confronti via Skype, è stato proficuo e ci siamo avvalsi dei suggerimenti di Christian Uva, direttore della Collana Cinema di Rubbettino.

-Tra le tante definizioni e riflessioni sul cinema di Marco Tullio Giordana vi è quella di Giovanni Grazzini che sul modo di esporre la storia da parte di Giordana afferma “Giordana non vuole scordarsi di essere un cinefilo”. Concorda con quest’affermazione? Chi è il cinefilo Giordana?
Giordana è un regista che s’inserisce in una tradizione significativa, non a caso abbiamo dedicato il libro alla memoria di Francesco Rosi. Possiamo definire la sua una vera cinefilia, con passioni che si estendono da Rossellini e De Sica a Loach e i Dardenne, senza dimenticare Bellocchio e Amelio. Da qui la nostra analisi serrata delle componenti tecniche e filmiche che caratterizzano il suo mondo per immagini: dall’amore iniziale per la pittura all’apporto di elementi melodrammatici e a una ricerca creativa sull’essenza di ogni inquadratura.

-Cinema e Letteratura, Giordana e Pier Paolo Pasolini. Cosa è stato questo connubio o cosa sarà?
Sin dal titolo, evochiamo Pasolini e, nel libro, s’indaga in profondità sulla dialettica che investe il cinema di Giordana e la letteratura e sul suo rapporto costante con i vari aspetti della personalità di Pasolini, anche del regista Pasolini, con il quale Marco Tullio si confronta a volte direttamente e a tratti in maniera implicita. Scriviamo «la sua poetica civile in forma di cinema contempla le dimensioni familiari e affettive, consce e inconsce, fondendole in una relazione vitale con la collettività, la storia, la politica, la letteratura, la poesia e la musica».  Così ci siamo sforzati di analizzare le relazioni fra immagine e scrittura e il continuo richiamo alla figura pasoliniana, vista non in modo agiografico ma funzionale a sollecitare pensieri e interrogativi sull’Italia e le sue irresolutezze.

-Il cinema di Giordana, e quello di Andò, è oggetto del suo studio. Quanto sono diversi i due registi nell’uso della macchina da presa? Sebbene nel modo di illuminare i primi piani appaiono simili…
Sì, sono due autori profondamente differenti e, di conseguenza, il loro uso della macchina da presa, come del montaggio e delle musiche o della sceneggiatura, corrisponde a suggestioni e ispirazioni, se non antitetiche, comunque davvero diverse. Nei primi e primissimi piani, potremmo cogliere, pur nelle differenze già evidenziate, vicinanze con l’idea di Bergman sui volti come rivelazione dell’anima, oltre alle affinità nel rapporto tra scrittura e cinema che possono vantare, sul piano delle radici, punti in comune con autori quali Truffaut, ad esempio. In relazione al cinema di Andò, ho approfondito gli elementi romanzeschi delle sue storie per immagini: romanzesco come «opzione dell’immaginazione che insegue l’aspetto congetturale della vita, quella zona che si colloca tra i fantasmi del passato e il non detto», come ricorda il regista palermitano. Nel libro sul cinema di Giordana, invece, io e Anna Paparcone abbiamo analizzato altre sfaccettature, come il rapporto dialettico che mette in gioco realtà e ricostruzione filmica. Crediamo che il cinema di Giordana adotti un approccio di tipo “realista” ma che allo stesso tempo non si astenga dal proporre momenti in cui emerge un certo cinema di genere, di intrattenimento o di metanarrazione sul cinema stesso. Non mancano, nei suoi film, scene di pura invenzione e di finzione che non trovano riscontri nella realtà storica analizzata. In questo senso, come si legge nel libro, si accolgono con favore le riflessioni di studiosi come Millicent Marcus e Pierpaolo Antonello che, in recenti dibattiti, hanno sostenuto la possibilità di coesistenza nello stesso prodotto artistico di categorie antitetiche come quella del realismo e del postmodernismo.”

-Il cinema di Giordana è d’impegno civile, dove l’impegno, come affermate nel saggio, coincide con la capacità di porre domande e non di dare soluzioni, un cinema non timido né reticente. Si pensa soprattutto a “I cento passi” e “Lea”, e anche il lavoro per la televisione che è mezzo generalista per eccellenza. Questo investe in un certo senso il ruolo dell’intellettuale?
Questo elemento investe decisamente il ruolo dell’intellettuale e la sua capacità, questa sì pasoliniana, di porre domande scomode e analisi non convenzionali e di alimentare un dubbio utile per interrogare la realtà. Non a caso citiamo Gustavo Zagrebelsky quando osserva che «al di là delle apparenze, il dubbio non è affatto il contrario della verità. In certo senso ne è la riaffermazione, è un omaggio alla verità». Il dubbio contiene un elogio della verità, ma di una verità che ha sempre di nuovo da essere esaminata e riscoperta. Così l’etica del dubbio non è contro la verità, ma contro la verità dogmatica, che è quella che vuole fissare le cose una volta per tutte e impedire o squalificare quella cruciale domanda: di questo si occupa pure il cinema di Giordana, compresa l’assenza di un atteggiamento snobistico nei confronti del mezzo televisivo, fondamentale per incidere sulla realtà.

-Scrivere di cinema. Si nota, anche nel suo saggio su Roberto Andò, come la scrittura riesca a far vedere il film…
Prima di tutto credo che la mia scrittura risenta della passione per letteratura e cinema e sono felice se sono riuscito a far percepire sensazioni legate alla visione e alla mia interpretazione di questi film. I due saggi, su Andò e su Giordana, manifestano l’intenzione di coniugare passione e competenza scientifica con una scrittura che possa coinvolgere anche i non addetti ai lavori. Se l’esperimento è riuscito, sono soddisfatto.

-Gli elementi cinematografici di Giordana: la fotografia e le musiche
Considerando la fotografia, si può sostenere che Giordana valorizzi il ruolo del cinema stesso come strumento di potenziale accesso all’anima dei suoi spettatori, coinvolti da una storia che investe l’interiorità e i destini umani e sentimentali di personaggi ai quali in molti si sono affezionati. Questo riguarda La meglio gioventù ma, in generale, la sua filmografia. Ogni scelta cromatica, pensiamo alla fotografia di Roberto Forza, è frutto di intuizioni e ispirazioni artistiche e non manca un confronto intenso che coinvolge immagini e motivi musicali. L’elemento sonoro rappresenta una lente deformante e a volte ingrandente, che mette in contatto con una dimensione altra, lirica o astratta, nei suoi film, musiche non originali e composizioni originali, dal melodramma alle canzoni.

-Una provocazione: Andò e Giordana, quale cinema preferisce e quale dei due racconta meglio la contemporaneità?
In forma esplicita o implicita, ogni autore si confronta con la contemporaneità. Da parte mia, sono grato a entrambi per lo scambio intellettuale che si è creato e penso che, esplorando il loro cinema, possano emergere dettagli e chiavi di lettura preziosi per esaminare questo presente inquieto, in un ponte che lega Storia, passato, memoria (spesso non elaborata o rimossa), presente, individui e massa, interiorità e inconscio collettivo. In generale apprezzo come Andò e Giordana si pongano nel solco della tradizione di Luchino Visconti.

-“Nome di donna” è l’ultimo film di Giordana, uscito nelle sale a marzo e non compreso nel vostro saggio, è stato un insuccesso di critica e botteghino. Quando l’impegno civile diventa retorica?
In una futura edizione aggiornata, analizzeremo Nome di donna e l’inedito Due soldati, girato per la Rai. Nella storia di ogni regista, ci sono film accolti meglio e altri meno bene. Noi, nel volume, ci siamo confrontati ad esempio con il mondo accademico anglosassone e statunitense, che ha sempre riservato attenzioni al suo cinema, e a volte ci siamo discostati da certe letture e interpretazioni. Nel complesso, direi che un antidoto alla retorica sia l’intenzione da parte di Giordana di tenersi lontano dall’agiografia e dalla narrazione didascalica. Il desiderio artistico è quello d’interrogare lo spettatore senza imporre presunte verità elargite dall’alto.

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L’autore. Giornalista professionista e dottore di ricerca, Marco Olivieri è autore della monografia “La memoria degli altri. Il cinema di Roberto Andò” (Edizioni Kaplan 2013 e 2017), curatore del volume “Le confessioni” (Skira 2016) e, con Anna Paparcone, autore del libro “Marco Tullio Giordana. Una poetica civile in forma di cinema” (Rubbettino 2017). Critico cinematografico e teatrale, collabora con «la Repubblica» – edizione di Palermo e con il sito www.outsidernews.net, è componente del comitato scientifico di “Carteggi letterari le edizioni”, direttore responsabile del sito www.carteggiletterari.it e ha scritto saggi per la casa editrice Leo S. Olschki e articoli per «Cinema e Storia» di Rubbettino, «il venerdì di Repubblica», «Ciak» e «Doppiozero».

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LADRI DI BICICLETTE di Vittorio De Sica http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/05/15/ladri-di-biciclette-di-vittorio-de-sica/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/05/15/ladri-di-biciclette-di-vittorio-de-sica/#comments Tue, 15 May 2018 17:00:41 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7790 Dedichiamo questa nuova puntata di Letteratitudine Cinema al film “Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica: un grande classico del cinema italiano restaurato per la presentazione nella sezione Classici del festival di Cannes (71° edizione dall’8 al 19 maggio)

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LADRI DI BICICLETTE di Vittorio De Sica: se il restauro è memoria  del presente

di Daniela Sessa

Pedinamento: con questa parola il grande Cesare Zavattini sintetizzò il senso dei movimenti della macchina da presa del cinema del Neorealismo e così anche di “Ladri di Biciclette” (1948), il film di Vittorio De Sica, vincitore di un Oscar e restaurato per la presentazione nella sezione Classici del festival di Cannes  (71° edizione dall’8 al 19 maggio).
Risultati immagini per festival cannes 2018 ladri di bicicletteIn “Ladri di biciclette” avviene un pedinamento cioè il rincorrere a piedi, seguire i passi di un altro, cercare di catturarlo.  Nel film chi rincorre sono un padre e un figlioletto che cercano di recuperare la loro bicicletta. Il film è esile nella trama ma complesso nelle suggestioni, di temi e di soluzioni di regia. Quel pedinare quando si parla di cinema del Neorealismo (ancora considerato dai cinefili l’espressione massima e irraggiungibile del cinema italiano: a torto o a ragione?) è metaletteratura o metacinema. È stare alle calcagna dell’oggetto di rappresentazione, è farlo muovere in uno spazio proprio e ristretto (dalla miseria, dall’infelicità, dall’inadeguatezza all’etica del boom economico che il prestito americano pareva garantire oltre che promettere), è preferire la panoramica dal basso nelle scene d’insieme o indietreggiare col carrello fino a cogliere lo scoramento e la disperazione nel piano americano dell’imbianchino Antonio Ricci e del piccolo Bruno, cui De Sica concede più di un primissimo piano, e dettagli sugli occhi, sulle sue lacrime di vergogna asciugate con la manica della giacchetta da finto uomo o dettagli sulle mani che rabbiosamente spolverano il berretto da vero monello, fino a quel taglio sulla mano che stringe d’avvilita alleanza proletaria quella del padre.
Maestro indiscusso del Neorealismo, Vittorio De Sica, che aveva fatto il cinema dei telefoni bianchi, scende per strada e trova Lamberto Maggiorani (Antonio) e Enzo Stajola (Bruno), affida loro il ruolo di coppia drammatica, ammiccando a quell’altra coppia malinconicamente comica che furono Charlie Chaplin e Jackie Coogan in “Il monello”. Non è il furto (lì di un’automobile, qui di una bicicletta), non il girovagare per la città, non l’irrigidimento dei sentimenti tra pietà e affetto né la rappresentazione della povertà, tantomeno l’approccio al tema – un sogno quello di Charlot, la cronaca quella di De Sica –  ma è quel bambino, quei suoi occhi bagnati, spalancati, pudichi, adulti, mortificati su cui i due registi hanno stretto il patto con il pubblico e con la cinepresa.  Appartiene all’aneddotica la cura del montaggio di Chaplin che ridusse 120mila metri di pellicola in poco più di 2mila per incollare la drammaticità del film nella velocità del comico: solo la faccia birbante del suo giovanissimo attore poté permettergli di farlo.  La realtà cinematografica, diremmo. Il cinema che non abbellisce la realtà che anzi è il famoso “spaccato di vita quotidiana” spesso con un sole dell’avvenire rivelatosi nel tempo latitante. Lo stesso realismo letterario che già la narrativa verista, verghiana soprattutto, aveva consegnato alla staticità di una Sicilia irredimibile, arcaica o di più atemporale.  De Sica sostiene che quella realtà bassa, minima, troppo comune anche nei sentimenti abbia “nella macchina da presa il mezzo più adatto per captarla. La sua sensibilità è di questa natura, e io stesso intendo così il tanto dibattuto realismo“. Per questo senso del reale De Sica crea un film in cui il ritmo è alternato tra la velocità di corse e rincorse e di scene di massa alla lentezza dei primi piani sui personaggi.
Risultati immagini per ladri di biciclette locandinaNon solo dei protagonisti, fotografie in bianco e nero di un’umanità disgraziata: il malore del ladro con quella faccia che sarà dei borgatari pasoliniani, la piena figura della santona (una Sibilla rovesciata, esempio di quella cultura ancestrale cui il cinema del neorealismo non fu assolutamente scevro), le dame di carità (le beghine crepuscolari) sono impressioni di pellicola e brandelli di letteratura.  “Ladri di biciclette” è un film di oggetti.  I manifesti cinematografici di Antonio, le gavette dei poveri alla mensa di carità, le lenzuola impegnate al Monte di Pietà, la mozzarella in carrozza che fa il filo, i ricambi ammassati nelle bancarelle di Piazza Vittorio (il film è ambientato a Roma) sembrano feticci. Come la bicicletta, feticcio di un riscatto impossibile. In bicicletta sono andati tanti personaggi in celluloide da Audrey Hepburn in “Vacanze romane” (prima di salire per l’indimenticabile gita in vespa con Gregory Peck) a E.T. del film di Spielberg, da Silvana Pampanini di “Bellezze in bicicletta” alla piccola saudita Wadjda di “La bicicletta verde” di Haifaa Al-Mansour, dal commediografo Molière in un film del 2013 fino all’emozionante “Le biciclette di Pechino” diretto da Wang Xiaoshuai che è un tributo al film di De Sica: schietto realismo per fare il ritratto alla gioventù cinese e alle contraddizioni della Cina. La bicicletta come oggetto magico che si deve riscattare e trovare, come simbolo di una condizione sociale. Così, il film di De Sica ritorna nelle sale e il restauro acquista una valenza maggiore della contingenza artistica. Il restauro è a cura della Cineteca (che si è avvalsa della collaborazione tra gli altri dell’Istituto Luce- Cinecittà  e di Compass Film) ed è stato realizzato dal laboratorio bolognese “L’Immagine Ritrovata”. Un’operazione costosa (intorno ai 100mila euro) e necessaria per salvare uno dei film cult del nostro cinema (in agosto è già stato presentato a Venezia). Ma cult non è una parola granché significativa per dire cosa sia “Ladri di biciclette”, che è l’elegia in chiaroscuro del popolo. Per questa ragione riportare “Ladri di biciclette” alla sua origine (il restauro è in digitale e recupera il bianco e nero) sembra avere il valore di un’operazione culturale di grande attualità. Realistica se per realismo s’intende un meccanismo di verosimiglianza in cui l’oggetto d’arte riflette l’oggetto del mondo. Il mondo di “Ladri di biciclette” è il popolo, lo sguardo di Zavattini e De Sica è disincantato, non ha artificio (la scelta degli attori non professionisti è una scelta di pensiero e di poetica), muove anzi una denuncia. Come fu per il verismo, come è nel suo figlio meticcio, il Neorealismo. Le accuse di paternalismo mosse al cinema di Visconti, Rossellini, De Sica giungono oggi come l’eco falsata e roca del populismo. La bicicletta da materia di straniamento diventa il cane di Pavlov. La bicicletta è il sogno di una stabilità nel lavoro che è stata rubata o ha preso una via di fuga, il sogno del benessere che fu della classe operaia e piccolo borghese degli anni del secondo dopoguerra si è infranto anche adesso. Oggi riguarda tutta la classe media mentre la povertà aumenta, malcelata dietro un astruso entusiasmo verso il futuro dell’economia globale.  Commentando il suo film De Sica chiedeva “Che cos’è infatti il furto di una bicicletta, tutt’altro che nuova e fiammante per giunta? A Roma ne rubano ogni giorno un bel numero e nessuno se ne occupa”.  Se nessuno se ne occupa, ci si arrangia, come nell’amaro finale di questo film e la battuta “nun voglio ‘mpicci, lascialo sta’. Bongiorno a tutti e grazie” con cui si chiude la parentesi da delinquente di Antonio Ricci più che compatimento sembra la consapevolezza della perdita d’innocenza, che è la cifra di “Ladri di biciclette” come fu di “Sciuscià ”la necessità dell’arte di arrangiarsi. L’arte e l’innocenza della povera gente cui manca oggi un cinema che ne sappia davvero raccontare la vita. Ora che anche Ermanno Olmi, l’erede di quel cinema, ci ha lasciato.

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OSCAR 2018 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/03/05/oscar-2018/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/03/05/oscar-2018/#comments Mon, 05 Mar 2018 15:42:11 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7734

I VINCITORI DEI PREMI OSCAR 2018

Elenchiamo, qui di seguito, i candidati e i vincitori della 90ª edizione della cerimonia degli Oscar tenutasi al Dolby Theatre di Los Angeles il 4 marzo 2018. Il film che ha ricevuto il maggior numero di candidature è stato La forma dell’acqua – The Shape of Water, con tredici totali

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Candidati e vincitori

Miglior film

Migliore regia

Migliore attore protagonista

Migliore attrice protagonista

Migliore attore non protagonista

Migliore attrice non protagonista

Migliore sceneggiatura originale

Migliore sceneggiatura non originale

Miglior film straniero

Miglior film d’animazione

Migliore fotografia

Miglior montaggio

Migliore scenografia

Migliore colonna sonora

Migliore canzone

Migliori effetti speciali

Miglior sonoro

Miglior montaggio sonoro

Migliori costumi

Miglior trucco e acconciatura

Miglior documentario

Miglior cortometraggio documentario

  • Heaven is a Traffic Jam on the 405, regia di Frank Stiefel
  • Edith+Eddie, regia di Laura Checkoway e Thomas Lee Wright
  • Heroin(e), regia di Elaine McMillion Sheldon e Kerrin Sheldon
  • Knife Skills, regia di Thomas Lennon
  • Traffic Stop, regia di Kate Davis e David Heilbroner

Miglior cortometraggio

  • The Silent Child, regia di Chris Overton e Rachel Shenton
  • DeKalb Elementary, regia di Reed Van Dyk
  • The Eleven o’Clock, regia di Derin Seale e Josh Lawson
  • My Nephew Emmett, regia di Kevin Wilson, Jr.
  • Watu Wote/All of Us, regia di Katja Benrath e Tobias Rosen

Miglior cortometraggio d’animazione

  • Dear Basketball, regia di Glen Keane e Kobe Bryant
  • Garden Party, regia di Victor Caire e Gabriel Grapperon
  • Lou, regia di Dave Mullins e Dana Murray
  • Negative Space, regia di Max Portner e Ru Kuwahata
  • Revolting Rhymes, regia di Jakob Schuh e Jan Lachauer

Premi speciali

La 9ª cerimonia dei Governors Awards, comunemente noti come Oscar onorari, si è tenuta all’Hollywood and Highland Center di Los Angeles l’11 novembre 2017.

Oscar onorario

Oscar Special Achievement Award

(Fonte: Oscar.go.com, Wikipedia Italia e varie)

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ISTANBUL E IL MUSEO DELL’INNOCENZA DI PAMUK http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/11/22/istanbul-e-il-museo-dell%e2%80%99innocenza-di-pamuk/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/11/22/istanbul-e-il-museo-dell%e2%80%99innocenza-di-pamuk/#comments Wed, 22 Nov 2017 13:30:08 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7633

ISTANBUL E IL MUSEO DELL’INNOCENZA DI PAMUK – Le Ferite tra amore e memoria

Regia e cast: Grant Gee – Genere: Documentario d’arte – Etichetta: Koch Media – Distribuzione: Koch Media – Formato: DVD, Blu-Ray

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di Massimo Maugeri

Chi ha amato “Il museo dell’innocenza“, uno dei migliori romanzi del Premio Nobel per la Letteratura Orhan Pamuk (edito in Italia da Einaudi), non può non amare il film/documentario d’arte intitolato “Istanbul e il Museo dell’innocenza” diretto da Grant Gee (distribuito al cinema nei mesi scorsi e oggi disponibile in versione DVD e Blu-Ray).

Partiamo dal seguente presupposto. In diverse circostanze abbiamo evidenziato come i personaggi e le storie dei romanzi destinati a rimanere nella storia della letteratura (e questo è il caso de “Il museo dell’innocenza“) assumono una valenza così potente da entrare nell’immaginario collettivo e diventare – in un certo senso – reali. Nel caso di questo libro si va oltre. Il museo immaginato da Pamuk all’interno del romanzo è diventato davvero un museo reale, noto in tutto il mondo e meta turistico/culturale di Istanbul.

Il museo dell’innocenza” fu pubblicato un paio d’anni dopo il conferimento del Premio Nobel a Pamuk (avvenuto nel 2006). Subito dopo la pubblicazione dell’opera, Pamuk lavorò al progetto/museo (investendo, peraltro, nel progetto il premio in denaro ricevuto con il Nobel).

«Ho passato l’estate a Istanbul, a casa, a lavorare alla costruzione del Museo dell’innocenza», afferma Pamuk in quel periodo. «Una casa-museo che porta il titolo del mio nuovo romanzo e che raccoglie tutti gli oggetti descritti nel libro. Gli oggetti di un amore innocente, come quello sbocciato fra i due protagonisti». E a proposito dell’intreccio tra stesura del romanzo e allestimento del museo, Pamuk spiega: «Quando la storia era pronta, allora ho cercato le cose. Ma ad esempio non ho mai scritto dei vestiti di Füsun, fino a quando non ho trovato abiti di quegli anni che davvero corrispondessero alla donna amata da Kemal. Quindi vedevo gli oggetti, e poi inventavo il capitolo. C’è stata una fase in cui mi sono comportato come un normale narratore che scrive la sua storia. E poi altri momenti in cui pensavo agli oggetti, e li cercavo ovunque per metterli nel libro. E nel museo. È stato un obiettivo doppio che mi sono autoimposto, piuttosto sfibrante». (cfr. articolo/intervista di Marco Ansaldo pubblicato su la Repubblica del 3 ottobre 2009).

I due protagonisti si chiamano Kemal e Füsun, e la storia del romanzo ripercorre l’ossessione amorosa che lega l’uomo alla giovane donna. Questa è la trama (tratta dalla scheda del libro):

Entrato in un negozio per comprare una borsa alla fidanzata, Kemal Basmaci, trentenne rampollo di una famiglia altolocata di Istanbul, si imbatte in una commessa di straordinaria bellezza: la diciottenne Füsun, sua lontana cugina. Fra i due ha ben presto inizio un rapporto anche eroticamente molto intenso, che travalica le leggi morali della Turchia degli anni Settanta. Kemal tuttavia non si decide a lasciare Sibel, la fidanzata: per quanto di mentalità aperta e moderna, in lui sono comunque molto radicati i valori tradizionali (e anche un certo opportunismo); vuole la moglie ricca e la bella amante povera, il matrimonio e l’amour fou, i party a base di champagne (importato clandestinamente) della Istanbul bene e la seducente atmosfera di una stanza in un appartamento disabitato. Così si fidanza, con un sontuoso ricevimento all’Hilton. E perde tutto: sconvolta dal suo comportamento, Füsun scompare, mentre Kemal, preda di una passione che non gli dà tregua e mosso da una struggente nostalgia, trascura gli affari, si ritrae sempre più dal suo ambiente e alla fine scioglie il fidanzamento.
Quando, dopo atroci patimenti, i due amanti si ritrovano, nella vita di Füsun tutto è cambiato. Kemal però non si dà per vinto. In assoluta castità, continua a frequentarla per otto lunghi anni, durante i quali via via raccoglie un’infinità di oggetti che la riguardano: cagnolini di porcellana, apriscatole, righelli, orecchini, mozziconi di sigarette, ditali, saliere, mutandine, grattugie per mele cotogne… Poterli guardare, assaggiare, toccare, annusare, è spesso la sua unica fonte di conforto.
E quando la sua esistenza subisce una nuova dolorosa svolta, quegli stessi oggetti confluiranno nel Museo dell’innocenza, destinato a rendere testimonianza del suo amore per Füsun nei secoli futuri.

Aggiungo che nel corso degli anni Kemal assembla, oggetto dopo oggetto, questa incredibile collezione che confluisce – appunto – nel museo. In seguito, giunto al termine della vita, chiede all’amico scrittore Orhan Pamuk di narrare questa storia. Dunque, potremmo dire che lo stesso Orhan Pamuk è un personaggio del romanzo (il giovanissimo Pamuk, peraltro, è presente durante il ricevimento del fidanzamento tra Kemal e Sibel).

All’interno del romanzo – come ben sanno i numerosissimi estimatori di questo libro – c’è una pagina che dà diritto all’ingresso del museo. Un appuntamento, a mio avviso, imperdibile per tutti coloro che avranno la possibilità di recarsi a Istanbul. In attesa di quel momento (e per tutti coloro che non avranno modo di calcare il suolo della bella città turca) c’è comunque questa opportunità: “visitare” il museo attraverso le ottime sequenze del film diretto da Grant Gee.

La voce narrante del film è quella di Ayla, che – nel romanzo di Pamuk – è una cara amica di Fusün. Poi c’è la voce dello stesso scrittore che parla in video-interviste che si intravedono qua e là, all’interno di stanze, di negozi e di altri luoghi in cui si infila la telecamera di Gee.

Visiteremo il Museo dell’innocenza, stanza per stanza, angolo per angolo, con i nostri occhi che scorreranno sugli innumerevoli oggetti esposti (impressionante la collezione delle cicche di sigarette di Füsun raccolte da Kemal). Conosceremo la Instanbul notturna, grande protagonista del film insieme alle atmosfere in chiaroscuro del museo. Passeggeremo per le strade e per i vicoli della città. Ci ritroveremo a bordo di un taxi, su un traghetto lungo il Bosforo, accanto a uno straccivendolo. Ascolteremo le loro rapide e fugaci considerazioni sulla città e sulle loro condizioni di vita. E poi passeggeremo con lo stesso autore, che ama girare di notte (oggi scortato da una guardia del corpo). Entreremo nel suo studio, lo vedremo all’opera sulle sue carte, sui suoi manoscritti, con il suo inchiostro a caccia di parole sulle pagine bianche. Migliaia, milioni di parole.

Un’ultima considerazione che vale come ulteriore garanzia di qualità: i testi del film sono stati scritti dallo stesso Pamuk.

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Di seguito, due video relativi al film


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La scheda del film

In genere i musei più belli del mondo sono quelli cui si ispirano i registi e i romanzieri per le loro opere: basti citare Belfagor – Il fantasma del Louvre o la Mary Beton descritta da Virginia Woolf, che aggirandosi tra gli scaffali del British Museum dà il via a Una stanza tutta per sé. A volte, però, accade anche il contrario. Prendete uno degli scrittori contemporanei più amati al mondo, premio Nobel per la letteratura nel 2006, tradotto in più di 60 lingue e con oltre dodici milioni di copie vendute in tutto il pianeta. Sia che siate suoi lettori da sempre, sia che vi avviciniate per la prima volta alle sue opere, permettete a Pamuk, il romanziere più famoso di Istanbul, e al film di Grant Gee di guidarvi per le vie della città e lasciatevi ammaliare da una storia di collezionismo misteriosa e intensa che racconta come un luogo reale possa nascere, in occasioni particolari come questa, dalla forza dell’immaginazione e della scrittura.

Il Museo dell’innocenza di Pamuk ci conduce infatti attraverso i sentieri di un’ossessione amorosa, quella di Kemal per la giovane Füsun. Per placare il suo desiderio verso la ragazza che non può avere, Kemal inizia a raccogliere ogni oggetto che gliela ricordi, a cominciare ovviamente dall’orecchino che lei perse la prima volta che fecero l’amore insieme, “il momento più felice della mia vita”. Così, proprio per riconquistare quell’attimo perduto nel tempo, Kemal assembla, oggetto dopo oggetto, una collezione che, agli occhi del mondo, non può che apparire follia. Giunto al termine della vita, Kemal chiede all’amico scrittore Orhan Pamuk di costruire un museo che raccolga queste memorie: il Museo dell’innocenza. E lo scrittore lo accontenta, scrivendo un libro che conquista i lettori di tutto il mondo. Da quel libro, pubblicato in Italia da Einaudi, è nato però qualcosa di più: il progetto di un museo reale a Istanbul – nel vecchio palazzo dove “abitava” Füsun- un museo nato dalla forza dell’immaginazione e ormai visitatissimo dai viaggiatori che arrivano nell’unica città del mondo che si divide tra due continenti e che ha avuto tre nomi illustri nel corso dei secoli: Costantinopoli, Bisanzio, Istanbul.

Per raccontare questo museo e questa storia d’amore, il 7 e 8 giugno (proprio nei giorni in cui Pamuk festegga il suo compleanno) è arrivato al cinema ISTANBUL E IL MUSEO DELL’INNOCENZA DI PAMUK. Quando l’immaginazione diventa realtà diretto da Grant Gee, una produzione Hot Property Films in coproduzione con Illuminations Films, Venom, In Between Art Film e Vivo film e in associazione con Finite Films e con ARTE France-La Lucarne, distribuito Nexo Digital come appuntamento conclusivo del ciclo della Grande Arte al Cinema.

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Orhan Pamuk è nato nel 1952 a Istanbul, dove tutt’ora vive e lavora. Tradotte in tutte le principali lingue, le sue opere sono edite in Italia da Einaudi: Il castello bianco, La nuova vita, Il mio nome è rosso, Neve, La casa del silenzio, Istanbul, Il libro nero, La valigia di mio padre, Il Museo dell’innocenza, Altri colori, Il Signor Cevdet e i suoi figli, Romanzieri ingenui e sentimentali e L’innocenza degli oggetti. Nel 2006 è stato insignito del premio Nobel per la letteratura. Nella primavera del 2012 Pamuk ha finalmente realizzato il sogno di un progetto decennale, aprendo a Istanbul il Museo dell’Innocenza. Il museo incarna l’omonimo romanzo pubblicato nel 2008. Nel 2014 il Museo dell’Innocenza ha vinto il premio di Museo Europeo dell’Anno. I suoi romanzi più recenti (anche questi editi da Einaudi) sono: La stranezza che ho nella testa e La donna dai capelli rossi.

Grant Gee vive e lavora a Brighton, in Inghilterra. Ha realizzato film su anarchici, gruppi rock, scalatori e scrittori. Il suo film sui Radiohead, Meeting People is Easy (1997) ha ottenuto una nomination per i Grammy Awards. Ha anche diretto l’iconico video musicale di No Surprises, uno dei celebri brani del gruppo. Con il film Joy Division ha vinto il Grierson Award per il miglior documentario (2008). The Western Lands è stato premiato come miglior cortometraggio al Banff Film Festival (2008). Il suo film Patience (After Sebald) del 2012, sul capolavoro inclassificabile di WG Sebald Gli anelli di Saturno, è stato presentato in anteprima mondiale al New York Film Festival ed è stato distribuito in sala sia Regno Unito che negli Stati Uniti. Attualmente sta sviluppando il suo primo lungometraggio di finzione, un adattamento da The Lighthouse di Alison Moore.

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FERRANTE FEVER http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/10/02/ferrante-fever/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/10/02/ferrante-fever/#comments Mon, 02 Oct 2017 15:37:16 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7620 La musica del silenzoNell’ambito della nuova puntata di Letteratitudine Cinema segnaliamo il film “Ferrante Fever” dedicato a uno dei casi editoriali e letterari più imponenti e dibattuti degli ultimi anni.

“Il viaggio di uno straordinario successo che parte dai vicoli di Napoli e arriva in America. L’opera di Elena Ferrante, i luoghi, i protagonisti dei suoi romanzi attraverso lo sguardo di grandi personaggi e testimoni d’eccezione”.

Il film, durata 74’, sarà in sala nei giorni 2-3-4 ottobre 2017: regia di Giacomo Durzi; Ideato e scritto da Laura Buffoni e Giacomo Durzi

Andrà in onda prossimamente in esclusiva TV su SKY ARTE HD.

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Riportiamo quanto indicato nel “pressbook” dell’evento

IL CONTESTO
Passeggiando per le strade di New York, puo capitare di imbattersi in una libreria dove spiccano, in bella mostra all’interno di una teca speciale, i romanzi di una misteriosa narratrice italiana. Una scritta al neon “molto anni 80”, coloratissima come quelle dei fast food, li illumina di luci cangianti, strillando “Ferrante fever”.
Febbre Ferrante, proprio così .
Perche a partire dal 2013, quando il severo critico letterario James Wood recensisce in termini entusiastici per il The New Yorker il primo romanzo del ciclo “L’amica geniale”, il caso Elena Ferrante – una scrittrice napoletana sconosciuta, autrice di romanzi di successo ma che non ha mai voluto rivelare la sua vera identita – travalica i confini nazionali e diventa un fenomeno globale.
Alla fine del 2014, nello stilare la sua classifica annuale, la rivista americana Foreign Policy inserisce Ferrante tra le cento personalita e pensatori piu influenti del mondo. Gli estimatori sono molti, dalla scrittrice premio Pulitzer Elisabeth Strout a Jonathan Franzen, passando per i critici piu esigenti di New York Times, The New Yorker, Boston Globe ed Economist.
Il fenomeno sembra inarrestabile: persino Hillary Clinton durante la campagna presidenziale parla dei romanzi della Ferrante: ipnotici, dice agli ascoltatori del suo podcast, non riesco a smettere di leggerli…
Insomma, gli americani vanno pazzi per la Ferrante. Ma non solo: nel frattempo i romanzi del ciclo “L’amica geniale” conquistano la critica e scalano le classifiche di tutta Europa, dal primo posto in Norvegia alle prime posizioni In Inghilterra, Francia, Germania…
E in Italia?
La musica del silenzoElena Ferrante si legge in metropolitana, in treno e sotto l’ombrellone, come la vera e la migliore letteratura popolare, che sa coniugare qualita stilistica, contenutistica e universalita tematica, all’intrattenimento per un pubblico vasto ed eterogeneo. Un tipo di narrativa che sembrava essere sparita dalle case degli italiani e dalle classifiche.
Elena Ferrante è ormai diventata un mito.
I lettori la premiano, ma tra gli addetti ai lavori infuria la polemica.
Per molti anni la scrittrice è rimasta nell’ombra nonostante il successo di romanzi come “L’amore molesto” e “I giorni dell’abbandono” e dei film da essi tratti, e ha gia partecipato al premio Strega senza clamori né proteste proprio con il suo primo romanzo nel 1992.
Di lei non si sa praticamente nulla, al di fuori della sua dichiarata origine napoletana e dei pochissimi elementi biografici che ha rivelato in La frantumaglia (Edizioni E/O, 2003), una specie di Zibaldone che raccoglie tutti i pezzi, le lettere, i pensieri che hanno accompagnato il lavoro della scrittrice a partire dal 1992.
Ma oggi – in un mondo dove l’apparire e tutto – questo negarsi e diventato uno scandalo.
Il successo internazionale ha alimentato un’ondata di polemiche, proteste e illazioni sulla sua identita o sulla candidatura al Premio Strega nel 2015 con “Storia della bambina perduta”, ultimo romanzo del ciclo “L’amica geniale”, che ha visti contrapposti Roberto Saviano e Nicola Lagioia, poi vincitore.
Chi e Elena Ferrante? Solo un nome dietro il quale si celerebbe un altro scrittore?
Che siano Salinger o Pynchon, i Daft Punk, Banksy o Ferrante, come dimostra anche uno dei piu divertenti dialoghi di “The Young Pope” (la serie di Paolo Sorrentino) chi sottrae il proprio volto alla ribalta mediatica attira ancora di piu la bramosia dei cultori.
Ma e nei suoi libri che la Ferrante va cercata. Dove altro sennò ?
«I libri non hanno alcun bisogno degli autori, una volta che sono stati scritti», sostiene, idea esplicitata dalle copertine dei suoi romanzi che raffigurano donne senza volto (senza testa) o di spalle. Libri in cui – in apparente contraddizione – l’autrice sembra voler raccontare molto della propria vita privata.
“Ferrante Fever” si confronta con l’opera di Elena Ferrante, ricercandone l’identita tra le sue righe.

* * *

APPUNTI DI REGIA (di Giacomo Durzi)
“Ferrante Fever” nasce da una passione a lungo coltivata in questi anni di lettura vorace e compulsiva dei suoi romanzi. Realizzare un film su questa autrice senza volto, ha portato il racconto a collezionare una serie di riflessioni sul mondo contemporaneo che ci circonda e sul nostro Paese in particolare. L’interesse non nasce dall’intenzione di fare un documentario “pettegolo”, una frivola rubrica di gossip. Come per i miei precedenti lavori di documentario, cerco sempre di mantenere un approccio laico e non manicheo alle storie. Storie di persone che mi intrigano per gli aspetti psicologici complicati di cui sono fatte. Biografie in cui emergono personalità potentissime, su cui tento di posare lo sguardo con mente lucida, il giusto distacco e la necessaria empatia. Quello che mi affascina della Ferrante è il suo particolarissimo, unico, mondo narrativo. Che ho cercato di esplorare attraverso parole e immagini, indagando i motivi e le ragioni del suo incredibile successo nel mondo e non solo in Italia dove, come diceva Enzo Ferrari, “ti perdonano tutto, tranne il successo”. “Ferrante Fever” e un tentativo di dar voce e rappresentazione visiva alla produzione letteraria di Elena Ferrante, leggendola e interpretandola. Nonostante il successo internazionale, la scrittrice non e mai stata oggetto di un lavoro di questo tipo. Con l’aiuto di scrittori, critici letterari, registi che hanno tratto film dalle sue opere, librai ed editori, abbiamo analizzato la scrittura fortemente intima della Ferrante, per dipingerne una ideale identità, lontani dalle polemiche e dalle illazioni sulla sua presunta non esistenza. Elena Ferrante esiste e vive attraverso le sue opere, qui unico soggetto pulsante da cui partire per un viaggio alla scoperta dei luoghi e dentro le sue tematiche, portati a braccetto dai suoi personaggi. Una matrice narrativa che ha dato vita a un “dizionario ferrantiano”, un insieme di parole, immagini e suoni che, come nei suoi libri ri-creano una percezione di coinvolgimento tattile e sensuale. Riuscire a rendere “la letteratura” protagonista di un documentario è stata una sfida coinvolgente. Tramutare la parola scritta in corpi, facce e immagini, per raccontare la ricerca di questa scrittrice misteriosa. E parallelamente la mia ricerca, e quella di tutti noi. Perche se è vero quello che diceva Proust, cioe che lo scrittore non è un inventore ma un traduttore, forse non è poi così importante sapere chi sia davvero. Il libro essenziale, il solo libro vero, uno scrittore che si rispetti non deve inventarlo ma tradurlo: esiste gia in ciascuno di noi.

* * *

Regia di
Giacomo Durzi
Ideato e scritto da
Laura Buffoni Giacomo Durzi
Una produzione
MALìA con RAI CINEMA
in collaborazione con
SKY ARTE HD, QMI
in associazione con INOXFUCINE Group Srl
ai sensi delle norme sul TAX CREDIT
Film riconosciuto di interesse culturale con contributo economico
del Ministero per i beni e le attivita culturali e del turismo – Direzione generale cinema
e con il sostegno di
Film Commission Regione Campania
Prodotto da
Alessandra Acciai, Giorgio Magliulo, Roberto Lombardi
Testi da “La Frantumaglia” di Elena Ferrante
pubblicati in italiano da Edizioni E/O
letti da Anna Bonaiuto
Distribuzione
QMI Stardust
EVENTO AL CINEMA
2-3-4 OTTOBRE 2017

Cast tecnico
Regia Giacomo Durzi
Soggetto e sceneggiatura Laura Buffoni, Giacomo Durzi
Animazioni Mara Cerri e Magda Guidi
Montaggio Paola Freddi, Mirko Platania
Direttore della fotografia Beppe Gallo
Musiche originali Andrea Bergesio, Valentina Gaia
Musiche Giorgio Ferrero, Rodolfo Mongitore (Minus&Plus)
Fonico in presa diretta Luca Ranieri
Montaggio del suono Marco Saitta
Collaborazione editoriale Giulia Zagrebelski
Effetti digitali Inlusion Visual Studios
Fotografi di scena Margherita Mirabella (New York)
Lorenzo Ambrosino (Napoli)
Andrea Pirello (Roma)
Locandina Simona Angioni, Tino Finocchiaro
Trailer Karen Film
Promozione e Media Partner Agata De Laurentiis, Paola Tribisonna
Coordinatrice di produzione Valentina Gaia
Delegato di produzione Maria Teresa Favia per QMI
Una produzione Malìa con Rai Cinema
Prodotto da Alessandra Acciai, Giorgio Magliulo, Roberto Lombardi
in collaborazione con SKY ARTE HD QMI
in associazione con INOXFUCINE Group Srl
ai sensi delle norme sul TAX CREDIT
con il contributo di MiBACT – Direzione Generale Cinema
con il supporto di Film Commission Ragione Campania

Uscita in Italia 2-3-4 ottobre 2017
Durata 74’
Anno 2017

Parlano di Elena Ferrante
(in ordine di apparizione)

Michael Reynolds
Francesca Marciano
Lisa Lucas
Ann Goldstein
Sarah McNally
Roberto Saviano
Nicola Lagioia
Elizabeth Strout
Jonathan Franzen
Giulia Zagrebelsky
Mario Martone
Roberto Faenza
Leggono Elena Ferrante
Anna Bonaiuto legge i testi da “La Frantumaglia”
Elizabeth Strout legge il capitolo 51 da “Storia di chi fugge e di chi resta”

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ELENA FERRANTE – Bibliografia
Tutti i libri di Elena Ferrante sono pubblicati in italiano da Edizioni E/O
1992 L’amore molesto
2002 I giorni dell’abbandono
2006 La figlia oscura
2011 L’amica geniale
2012 Storia del nuovo cognome. L’amica geniale volume secondo
2012 Cronache del mal d’amore,
(Raccolta in unico volume di L’amore molesto, I giorni dell’abbandono e La figlia oscura)
2013 Storia di chi fugge e di chi resta. L’amica geniale volume terzo
2014 Storia della bambina perduta. L’amica geniale volume quarto
Racconti per bambini
2007 La spiaggia di notte
Saggi
2003 La frantumaglia
Audiolibri
Tutti gli audiolibri sono letti da Anna Bonaiuto e pubblicati da Emos Audiolibri
2014 L’amica geniale
2015 Storia del nuovo cognome. L’amica geniale volume secondo
2015 Storia di chi fugge e di chi resta. L’amica geniale volume terzo
2016 Storia della bambina perduta. L’amica geniale volume

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LA LINGUA DEI FURFANTI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/06/03/la-lingua-dei-furfanti/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/06/03/la-lingua-dei-furfanti/#comments Sat, 03 Jun 2017 08:40:46 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7527 Dedichiamo questa nuova puntata di Letteratitudine Cinema a LA LINGUA DEI FURFANTI. Romanino in Valle Camonica: un film d’arte di Elisabetta Sgarbi presentato al 34° Torino Film Festival (oggi disponibile in cofanetto con Dvd e libro allegato su IBS e Amazon). In coda al post pubblichiamo i video della conferenza stampa e della presentazione del film al 34° Torino Film Festival.

regia di Elisabetta Sgarbi / produzione a cura di Betty Wrong / soggetto di Giovanni Reale, Eugenio Lio / testi: Luca Doninelli / interpretati da: Toni Servillo / musica a cura di Franco Battiato / direzione della fotografia: Andrés Arce Maldonado, Elio Bisignani / montaggio di Andrés Arce Maldonado, Elisabetta Sgarbi / scenografia di Luca Volpatti

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di Massimo Maugeri

Credo che l’amore di Elisabetta Sgarbi per la virtuosa commistione delle Arti emerga con forza da questo suo nuovo film intitolato “La lingua dei furfanti. Romanino in Valle Camonica” (prodotto da Betty Wrong nel 2016). Il film, presentato al 34° Torino Film Festival – dedicato alla pittura di Romanino (Girolamo Romani, nato a Brescia tra il 1484 e il 1487 – morto dopo il 1562) – è impreziosito dagli ottimi testi di Luca Doninelli, interpretati magistralmente dalla voce di Toni Servillo, e dalla musica di impianto classico curata da Franco Battiato. L’opera pittorica del Romanino in Valle Camonica diventa protagonista delle sequenze filmiche della Sgarbi, i testi letterari di Doninelli ne esaltano i particolari, la voce di Servillo ce li offre alle orecchie, al cuore e alla mente, la musica di Battiato conferisce ulteriore spessore al perfetto equilibrio tra immagini e parole.
La regia della Sgarbi si concentra nel ciclo di affreschi che Romanino realizzò, tra il 1532 e il 1541, a Pisogne, a Breno, a Bienno in provincia di Brescia; ma va oltre, si sofferma sui luoghi, sulle facciate delle chiese, sui volti delle persone che quei luoghi li abitano.

La lingua dei furfanti - Romanino in Valle Camonica

C’è questa anziana donna, per esempio, che viene ripresa mentre ricama. Un “personaggio romaniniano” che compare all’inizio del film e poi ritorna, più volte. Quel continuo atto del ricamare, diventa – ai miei occhi di spettatore – metafora dell’arte di unire le arti, della capacità di intrecciarle magistralmente in quell’equilibro narrativo di immagini, parole e suoni a cui facevo riferimento prima. Non si può che essere concordi con il commento di Giorgio Ficara quando sostiene che «Comporre nello sguardo forze diverse, e apparentemente unilaterali è, non da oggi, l’impresa di Elisabetta Sgarbi». E, a proposito di sguardi, più in là – tra le inquadrature – comparirà il volto di un vecchio (gli occhi fissi sull’obiettivo della cinepresa, a bucare lo schermo). Un viso che pare quasi traslato dalle immagini pittoriche di Romanino e dalle espressioni che conferisce ai suoi personaggi.

«Un film ininterrotto, questo, che mi segue da anni», commenta la regista. «Anzi da cui sono inseguita da anni, da prima di conoscere la Valle Camonica, da prima di conoscere Romanino: da quando mio zio Bruno, mia madre Rina, e poi mio fratello Vittorio, si arrampicavano sin lassù, precedendomi. Così che questo film, così personale nei modi, mi sembra una strana biografia familiare, un mio nascosto romanzo di formazione, che ho condiviso con un altro amico e compagno di avventure, Giovanni Reale.»

Giovanni Reale aveva molto a cuore il commento critico di Giovanni Testori. E le parole di Testori, in effetti, sottolineano la “furfanteria” insita nei personaggi che si ergono dagli affreschi del Romanino. Giovanni Testori scriveva come «a Pisogne, a Breno, a Bienno Romanino tiri a far ‘cagnara’, non v’ha dubbio alcuno. Egli sembra costringere i suoi personaggi a venire sulla scena a furia di calci nel sedere; e non è meraviglia che, una volta lì, essi, tra impetuosa incapacità a organizzarsi, in lingua e vergogna, finiscano col gonfiar tutto; a cominciare dalle loro stesse membra per finire alle parole che ruttan fuori quasi nubi di fumetti odoranti d’osteria, e alle piume dei cappellacci, che si rizzano, unte e bisunte, come quelli di tacchini incazzati.»

Ed eccoli, i furfanti partoriti dal pennello “moderno e innovativo” del Romanino. Passano attraverso l’occhio sapiente della macchina da presa di Elisabetta Sgarbi, giungono sullo schermo, ci parlano, ci raccontano storie, ci offrono la possibilità di condividere un’esperienza che travalica i limiti determinati dalle dimensioni anguste del tempo e dello spazio, come sempre l’arte dovrebbe fare.

Risultati immagini per elisabetta sgarbi torino film festival

Ultimata la visione del film, questa esperienza di condivisione continua attraverso la lettura del libro curato da Elisabetta Sgarbi e Eugenio Lio. Un altro gioiellino (104 pagine con immagini a colori: fotografie di Andrea Samaritani) che contiene testi di Giovanni Reale, di Sergio Risaliti, di Vittorio Sgarbi, nonché i testi scritti da Luca Doninelli appositamente per il film.

Il libro apre con una prefazione della stessa Sgarbi intitolata “Una strana biografia familiare” (di cui uno stralcio è già stato riportato nella parte iniziale di questo articolo). Il concetto di “biografia familiare” è confermato anche da Vittorio Sgarbi che – nel suo contributo intitolato “Una pittura che rincorre il pensiero” – scrive: «Il grande Romanino a Pisogne non è per me Romanino a Pisogne, ma è Bruno Cavallini, mio zio, a Iseo. Doveva essere tra il ‘65 e il ‘68, lui professore di greco e latino al liceo Ariosto di Ferrara, io studente dello stesso liceo. L’estate, poi, ci si ritrovava a Ro, reduce, lui, dagli esami di maturità, membro di commissione o presidente. Così in uno di quegli anni, se non forse addirittura prima (ma io il ginnasio lo avevo fatto in collegio, a Este, non a Ferrara), lo zio tornò con l’entusiasmo negli occhi per quegli affreschi di un pittore, allora poco ricordato, nella chiesa dal poetico nove di Santa Maria della Neve a Pisogne, sul lago, poco lontano da Iseo. (…)».

A seguire il volume offre un ulteriore testo di Vittorio Sgarbi (“Uno sguardo sulla pittura bresciana”) con contributi critici su Savoldo, Altobello Melone, Romanino (naturalmente), Moretto da Brescia, Giovanni Battista Moroni.

Il contributo di Giovanni Reale si concentra su “La dimensione religiosa negli affreschi di Santa Maria della Neve”, mentre quello di Sergio Risaliti riguarda “Gli affreschi di Romanino a Breno e Bienno”.

La seconda parte del libro ospita i testi di Luca Doninelli (“Variazioni su Romanino a Bienno, Breno e Pisogne”) scritti per il film e interpretati da Toni Servillo. Colgo l’occasione per offrire uno stralcio della prima “variazione” dedicata a un particolare dell’opera Sposalizio di Maria (ospitata tra gli affreschi della chiesa di Santa Maria Annunciata a Bienno), che apre – per l’appunto – il contributo di Doninelli: «Commuove l’espressione saggia del vecchio sposo, il vedovo Giuseppe. Una dura consapevolezza segna il suo viso. La sua mano si allunga tremante verso quella di Maria, ma non verrà ritirata. Si è fidato di un sogno, di una fragile apparizione notturna. Eppure il suo “Sì” è certo come davanti a una tavola di legno stagionato. Tutta la storia del suo popolo, da Abramo a Mosè, a Elia, sostiene ora quel “Sì”. Dio è fedele alle sue promesse. (…)».

La chiusura del volume è affidata al brillante commento critico sul film firmato da Giorgio Ficara e intitolato “Fiabesco furfante”.

Di seguito, i video della conferenza stampa e della presentazione del film al 34° Torino Film Festival e una “rassegna” di immagini.

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regia di Elisabetta Sgarbi
produzione a cura di Betty Wrong
soggetto di Giovanni Reale, Eugenio Lio
testi: Luca Doninelli
interpretati da: Toni Servillo
musica a cura di Franco Battiato
direzione della fotografia: Andrés Arce Maldonado, Elio Bisignani
montaggio di Andrés Arce Maldonado, Elisabetta Sgarbi
scenografia di Luca Volpatti

Produzione: Betty Wrong, 2017
Distribuzione: Terminal Video
Durata: 33 min
Lingua audio: Italiano
Area 2
Allegati: Libro

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L’ORA LEGALE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/01/18/lora-legale/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/01/18/lora-legale/#comments Wed, 18 Jan 2017 17:49:56 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7403 La nuova puntata di Letteratitudine Cinema è dedicata al film “L’ora legale” di Ficarra e Picone (dal 19 gennaio al cinema).

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lora-legale-trama-e-poster-2.jpg

L’ora legale
di Salvo Ficarra e Valentino Picone

con Salvo Ficarra, Valentino Picone, Leo Gullotta, Tony Sperandeo, Vincenzo Amato, Eleonora De Luca, Ersilia Lombardo, Alessia D’Anna, Antonio Catania, Sergio Friscia, Alessandro Roja, Angelo Tosto.

Recensione di Ornella Sgroi

La verità è che non abbiamo più scuse. Perché se l’Italia va a rotoli è colpa di tutti. Nessuno escluso, se almeno una volta abbiamo posteggiato l’auto in seconda fila o scavalcato una coda facendo i furbi.
Ma come fare capire agli italiani che è troppo facile puntare il dito sempre e solo contro chi governa e che invece è arrivata l’ora di fare i conti anche con il nostro senso civico e la nostra integrità?
“L’ora legale”, verrebbe da dire. Portando avanti le lancette dell’orologio e proiettandoci in un futuro prossimo venturo in cui un nuovo sindaco, portatore sano di onestà, cercherà finalmente di fare rispettare le regole del vivere comune e del buon senso, inimicandosi però l’intero paese che lo ha votato in nome del cambiamento.
Un sogno ad occhi aperti, forse. Di sicuro, un’intuizione geniale per la nuova commedia, acuta e tagliente, diretta e interpretata da Salvo Ficarra e Valentino Picone che, insieme ad Edoardo De Angelis, Nicola Guaglianone e Fabrizio Testini, hanno scritto un film corale in cui si ritrovano – dopo varie peripezie, tra minacce e sabotaggi – a guidare la rivolta dei concittadini, prete compreso, incapaci di adattarsi all’inusuale ondata di legalità.
Eccolo, dunque, il grande paradosso della contemporaneità: un mondo che va alla rovescia, in senso opposto e contrario a quello in cui sarebbe giusto e logico che andasse. Un mondo in cui è l’onestà ad essere il cancro da estirpare, mentre la furbetteria e il tornacontismo regnano sovrani, radici e nutrimento di corruzione e criminalità. Tra imboscati, lavativi, raccomandati, che saccheggiano il presente e il futuro di chi vuole vivere invece da persona perbene.
lora-legale-trama-e-poster-2.jpgDi tutto questo materiale umano e sociale offerto dalla vita vera, di ogni giorno, Salvo Ficarra e Valentino Picone fanno sapiente uso, mettendo a segno una commedia fulminante, divertentissima ma anche molto amara, come la realtà che ci circonda.
Con “L’ora legale” i due registi dimostrano, infatti, di avere coltivato nel tempo una passione ed un talento non comuni, maturando uno sguardo curioso, autentico e raffinato sulla realtà e sul cinema. Senza mai smettere di guardare con affetto l’essere umano, anche nelle sue piccolezze, tanto da spingersi a metterlo alla prova e, se necessario, in difficoltà. Anche con una certa dose di cattiveria, quando serve.
Fanno così con i loro personaggi e fanno così con gli spettatori, travolti dal ritmo serrato della commedia (complice l’ottimo montaggio di Claudio Di Mauro) e al contempo spiazzati dal senso del racconto, che invita all’autocritica e alla riflessione in mezzo ad una raffica di battute talmente brillanti da non poterle immaginare diversamente.
La verità, dicevamo, è che non ci sono più scuse. Dunque, non si può più votare un politico senza chiedersi perché. E non si può più accettare che un Paese in crisi come l’Italia non possa permettersi l’onestà. Che va pretesa dai cittadini, ancora prima che dai politici.
Insomma, guardano lontano Salvo Ficarra e Valentino Picone. Indietro, alla grande tradizione della commedia italiana che, tra Monicelli e Totò, non temeva di mischiare riso e amaro. Di fianco, ai grandi film omaggiati con citazioni e rimandi. In avanti, al futuro di un cinema sociale che può tornare a divertire parlando di cose serie ed importanti. Curandosi anche della bellezza del mezzo cinematografico. Perché “L’ora legale” non è solo divertente e sagace, ma è anche curato nei dettagli, a partire dalla fotografia di Ferran Paredes che cala nella realtà la storia del sindaco reo di troppa integrità in una comunità di svitati capeggiati da Salvo e Valentino, per finire al cast corale (100 ruoli parlanti e più di 400 comparse) composto da attori di prima scelta che i due registi sono andati ancora una volta a precettare tra le file del migliore teatro siciliano. Anche per i ruoli minori, che in verità non esistono all’interno di questo film, in cui Ficarra e Picone – da sempre attenti e rispettosi del lavoro degli altri comici – dimostrano di essere bravi anche a dirigere gli attori, riservando per sé uno spazio quasi ridotto, in cui bucano lo schermo ogni volta che appaiono, con presenza esplosiva e tempi comici perfetti.
Lavorando molto con gli attori sul set, i due registi riescono così a dare colore e calore ad ogni singolo personaggio, schierato in campo da una sceneggiatura che si prende cura di ognuno di loro. Accompagnandoli tutti verso un finale solido che ammutolisce, amaramente pungente come già in “Andiamo a quel paese” in quel colloquio con «la vera politica che non muore mai» (neanche quando è dentro una bara) evidente scintilla di un nuovo bisogno artistico che i due autori hanno avuto il coraggio di assecondare ed esplorare con “L’ora legale”. Raggiungendo un risultato eccellente, creativo e sottile, senza mai tradire la verve comica di cui sono maestri indiscussi. Con il loro garbo sferzante, che in questo sesto film (uno da sceneggiatori e altri quattro anche da registi) regala momenti esilaranti e altri stranianti. Un tocco che ha da sempre vestito un sottotesto fortemente politico in (quasi) tutti i loro film, con intuizione comica e civile. Dalle collusioni tra mafia e istituzioni (la raccomandazione al concorso in “Nati stanchi”) alle differenti chance che la vita può offrire (come ne “Il 7 e l’8”). Fino ai matrimoni di convenienza, per questioni di cittadinanza (“La matassa”) o per motivi economico/pensionistici (“Andiamo a quel paese”). Per non parlare poi dell’irriverenza spietata nei confronti dei boss.
Ad essere oggetto di analisi in questa nuova commedia amara è la democrazia, cantata anche nell’omonima canzone di Arisa che segna il battito de “L’ora legale” tra le musiche di Carlo Crivelli. Quella democrazia che prescinde da ogni colore politico – inutile cercare ad ogni costo di attaccare un’etichetta al film, che sfoggia invece tutta la sua libertà – e su cui sarebbe bene non dovere arrivare mai a portare indietro le lancette dell’orologio. Giusto per onorare l’efficace metafora che regge l’architettura del film, in cui le convenzioni temporali diventano emblema dei danni che l’uomo può fare. Prima di tutto a se stesso.

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JACKIE di Pablo Larrain (dal Festival Cinema Venezia 2016) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/09/10/jackie/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/09/10/jackie/#comments Sat, 10 Sep 2016 10:31:06 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7269 Dalla 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia pubblichiamo un nuovo articolo di Ornella Sgroi (curatrice della rubrica Letteratitudine Cinema).

Venezia73 – Concorso

“Jackie” di Pablo Larrain

Con Natalie Portman, Peter Sarsgaard, Greta Gerwig, John Hurt

di Ornella Sgroi

(Venezia, 10 settembre 2016)

Jackie: oggi in concorso al Festival di Venezia il film con Natalie Portman - Guarda la clip

Pablo e Natalie. Multipli e molteplici. Con classe, maestria e immaginazione. Rispettivamente, regista e attrice protagonista di un ritratto di donna che fugge tutti i rischi del biopic e mette a segno un Larrain “doc”, senza mai ripetersi. Sempre nuovo, sempre diverso, sempre lui. Maneggiando una materia incandescente come incandescente può essere la ricostruzione di ciò che accadde nel cuore, nella mente e nella vita di Jacqueline Kennedy nei tre giorni immediatamente successivi l’assassinio di suo marito, l’amato e compianto presidente degli Stati Uniti JFK, ucciso a Dallas il 22 novembre 1963.
Primo progetto cinematografico americano per il giovane regista cileno, con la produzione esecutiva di Darren Aronofsky che ha diretto Natalie Portman dritto verso l’Oscar per “Il cigno nero”, “Jackie” in concorso alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia è un continuo alternarsi di primi piani, stretti, strettissimi, sul volto della First Lady, per catturarne ogni più intima e sottile sfumatura, ogni emozione, ogni sobbalzo dell’anima. E tutto – dalla musica stridente di Mica Levi alla regia di Larrain, dalla fotografia di Stéphane Fontaine all’interpretazione della Portman – sembra restituire il forte senso di straniamento in cui precipitò Jackie dopo avere tenuto sulle proprie gambe quel che restava del volto dilaniato del marito John.
Dubbi, paure, sensi di colpa. Rabbia, confusione, disorientamento. E tanto dolore. Inerte, immobile, impotente. Con tutti gli occhi puntati addosso ed un protocollo da rispettare, mentre chiusa nelle sue stanze private alla Casa Bianca Jackie ripercorre in una notte ciò che aveva preceduto quel fatidico momento in cui tutto cambiò. Spazzando via il mito di Camelot, tanto caro a JFK e preservato fino all’ultimo dalla sua Jackie. Affinché “nessuno dimentichi che ad un certo punto ci fu un barlume di gioia”.
È così che Larrain ci regala un gioco di contrasti cromatici ed emozionali rari e preziosi. Lavorando con scrupolo certosino alle contrapposizioni tra la Jacqueline pubblica, restituita in bianco e nero attraverso la famosa intervista televisiva in cui la First Lady accompagnò l’America dentro la Casa Bianca “in una visita guidata” in prima persona, e la Jackie privata, a colori, scavata a fondo da un reporter accolto con diffidenza e rigore nella dimora in cui Jacqueline si rifugiò dopo avere lasciato la dimora presidenziale. Un contrasto messo a nudo con una somiglianza sorprendente da Natalie Portman, data come favorita per la Coppa Volpi che verrà consegnata questa sera, grazie alla sua interpretazione raffinata e potente che incarna con la stessa forza la vanità effimera dei balli di corte di questa “regina senza trono” – come l’ha definita lo stesso Pablo Larrain in conferenza stampa a Venezia – e la determinazione dolente che l’ha accompagnata nel lutto. Con la paura che tutto, prima o poi, sarebbe passato e che il suo John sarebbe diventato solo un ennesimo ritratto appeso alle pareti della Casa Bianca.
Che non fu così lo ha testimoniato la Storia e a ricordarcelo, oggi, è questo film rigoroso e solenne, con uno sguardo dinamico e originale che passa attraverso il punto di vista di una donna diventata icona contro ogni sua aspettativa. «Non ho mai voluto la celebrità. Sono solo diventata una Kennedy» dice Natalie/Jackie ad un certo punto al suo prete confessore. E già in queste poche parole è racchiuso tutto il suo mondo. Insieme al senso del film di Larrain.

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PIUMA (dal Festival Cinema Venezia 2016) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/09/06/piuma/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/09/06/piuma/#comments Tue, 06 Sep 2016 17:30:13 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7260 Dalla 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia pubblichiamo un nuovo articolo di Ornella Sgroi (curatrice della rubrica Letteratitudine Cinema).

Venezia73 – Concorso

“Piuma” di Roan Johnson

con Luigi Fedele, Blu Yoshimi, Sergio Pierattini, Michela Cescon e Francesco Colella

di Ornella Sgroi

(Venezia, 6 settembre 2016)

Leggero come una Piuma. Senza gravità come in Acqua. E se non si sente mai una volta dire la parola Amore, l’Amore si respira ovunque, nella voglia di esserci. Ad ogni costo, con incoscienza e responsabilità.
«La cosa più dolce che possa esserci è la volontà di prendersi cura di chi abbiamo accanto, questo vale molto più delle parole. Non ci credo mai, quando nei film sento dire ti amo. Nella vita non c’è lo diciamo mai, o almeno non così spesso come fanno nei film».
Scherza il regista italiano Roan Johnson, nome inglese e accento toscano. E nel suo modo di dire cose serie con il sorriso sulle labbra, senza filtri e con immediata sincerità, c’è molto del suo modo di fare cinema. Quel cinema che porta alta la bandiera della leggerezza, entrando nelle cose in profondità. Per raccontarle così come sono. Senza filtri e senza troppi cliché.
Lo aveva fatto già nel suo precedente “Fino a qui tutto bene”, storia di un gruppo di coinquilini giunti al fatidico capolinea della convivenza studentesca per fare il tuffo nella vita da adulti. E lo ha confermato con questa nuova commedia, “Piuma”, in concorso alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e in uscita il prossimo 20 ottobre.
Risate a cuore aperto, idee che inondano, tenerezza che prende il largo, poesia che tocca terra per riprendere subito a volare. Come solo due diciottenni saprebbero fare. Messi di fronte ad una gravidanza inattesa arrivata troppo presto. O forse no. Trovando impreparati gli adulti, più che i futuri genitori. Giovanissimi, alle prese con le rispettive famiglie, sgangherate e più caotiche del caos che regnerà sovrano per nove mesi in questo nucleo allargato che schiera in campo un cast indovinatissimo. Dai due protagonisti, Ferro e Cate, interpretati da Luigi Fedele e Blu Yoshimi, ai due padri, Franco e Alfredo, che offrono due ruoli esilaranti a due ottimi attori, Sergio Pierattini e Francesco Colella.
Sono loro a strappare applausi a scena aperta, qui a Venezia, soprattutto Pierattini alle prese con le confessioni del figlio in una scena che vale da sola tutto il film. Girato con lunghi piani sequenza e molti piani di ascolto, per non farci perdere neanche un attimo delle reazioni dei personaggi a ciò che accade loro intorno.
Tutto questo, Roan Johnson lo fa – complice il suo direttore della fotografia Davide Manca – con incanto e fantasia. Riuscendo persino a trasformare Roma in una distesa d’acqua da attraversare a nuoto, lasciando sulla terra ferma la zavorra della razionalità. Che deve comunque fare i conti con il dramma della sopravvivenza e della quotidianità.
Perché essere leggeri, non vuol dire essere irresponsabili. Così come essere giovani oggi non vuol dire necessariamente essere fannulloni e inconsistenti. «L’incontro con i due giovani attori protagonisti è stata la conferma che la scelta fatta nel copione era quella giusta» sottolinea il regista, diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia, allievo di Paolo Virzì e Francesco Bruni, a loro volta figli cinematografici di Age e Scarpelli. Nella tradizione della migliore commedia (all’)italiana.
E se la polemica alla Mostra non è mancata, ad opera di chi non ha ritenuto “Piuma” all’altezza del concorso principale, viene da pensare che sì, a volte, la nazionalità conta. http://www.teknemedia.net/magazine/esposizioni/2016/TKmag57ce75c813efe.jpgNon sempre a vantaggio dell’opera. Che in questo caso non è di certo meno riuscita dell’altra bella – e invece apprezzatissima – commedia in concorso battente bandiera argentina, “Il cittadino onorario” di Gastón Duprat e Mariano Cohn, con altre due prove d’attore sublimi, quelle di Oscar Martinez e Dady Brieva. Protagonisti di una intelligente divagazione sul tema della notorietà e della provincia, in cui lo humor è il risultato di situazioni scomode che invitano lo spettatore a pendere posizione uscendo dalla propria passività. Un’acuta riflessione critica sul mondo della cultura, della letteratura e dei premi, che peraltro celebra l’importanza della semplicità dell’Arte. Semplicità che, nel campo della scrittura, viene definita “un gesto di generosità creativa”.
E a proposito di premi, chissà se mai qualcuno avrà il coraggio di fare a Venezia un discorso spiazzante e geniale come quello pronunciato dallo scrittore argentino (immaginario) Daniel Mantovani alla consegna del Nobel per la letteratura. Potrebbe essere un’idea per un eventuale remake, di cui si fantastica già, qui in Laguna.

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THE YOUNG POPE (dal Festival Cinema Venezia 2016) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/09/04/the-young-pope/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/09/04/the-young-pope/#comments Sun, 04 Sep 2016 16:50:24 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7254 Dalla 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia pubblichiamo un nuovo articolo di Ornella Sgroi (curatrice della rubrica Letteratitudine Cinema).

Venezia73 – Fuori Concorso

The Young Pope – episodi 1 e 2

di Paolo Sorrentino

con Jude Law, Diane Keaton, Silvio Orlando, Javier Cámara, Cecile De France, Gianluca Guidi

di Ornella Sgroi

(Venezia, 4 settembre 2016)

Paolo Sorrentino non si è posto il problema di quale potrebbe essere la reazione del Vaticano alla sua nuova impresa artistica, “The Young Pope”, serie in dieci puntate prodotta da Sky, HBO e Canal+ presentata in anteprima con i primi due episodi Fuori Concorso alla 73ª Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.
Lo ha dichiarato il regista napoletano, con grande disinvoltura, in conferenza stampa. E dopo avere visto le prime due puntate non c’è dubbio che sia così. Perché se ci avesse pensato anche solo per un attimo, probabilmente, molta dell’originalità vivace e sfrontata della sceneggiatura e della messa in scena ne avrebbe risentito. Laddove invece l’inizio di “The Young Pope” risulta irriverente e critico, brillante e grottesco, divertente e pieno di spunti di riflessione. Come non erano riusciti ad essere nella loro immobile solennità “La Grande Bellezza” e “Youth”. Per quanto l’equilibrio funambolico di questa nuova avventura non permetta, in soli due episodi, di capire dove e come Sorrentino affonderà il colpo. «Con un lavoro che affronta con curiosità e onestà, senza pregiudizi, le contraddizioni, le difficoltà e gli aspetti più affascinanti del clero».
Parola del regista. Che si imbatte in questa nuova esplorazione raccontando le gesta del primo Papa americano della storia, Pio XIII, un papa che fuma, mangia pochissimo, inneggia all’anonimato mediatico e beve solo coca cola alla ciliegia. Eccentrico, arrogante e ironico, capriccioso e un po’ folle. Ma anche ingenuo, dubbioso, dolente e vacillante. Con un piglio tutto da capire, incarnato abilmente da un Jude Law istrionico che si presta a giocare a sua volta con l’ossessione di Sorrentino per i dettagli e le sfumature e che, ammirato dal «linguaggio meraviglioso di Paolo», ha definito «un onore essere stato un colore sulla sua tavolozza».
Già dalle prime sequenze, oniriche e spiazzanti, risulta subito chiaro che non c’è niente di ordinario né di già visto nel giovane Papa di Sorrentino, che in una scena si definisce intransigente e vendicativo e che nasconde invece molte fragilità. Un Papa che sullo schermo diventa presto personaggio e che a sua volta inizia ad emergere come ruolo pubblico interpretato a sua volta da un orfano dal carattere incontrollabile che di nome fa Lanny Belardo. «In fondo anche lui non è altro che un attore» a sentire Jude Law e sembrerebbe proprio così. Una mina vagante, eletto in calcio d’angolo da un conclave che ben presto capirà di avere forse commesso uno sbaglio.
In che direzione non è dato saperlo, almeno non prima di avere visto la serie completa. Tenendo bene a mente però quanto dichiarato da Sorrentino al Lido per fugare possibili riferimenti a Papa Francesco: «Nulla esclude che dopo il Papa attuale non ne venga eletto un altro diametralmente opposto. È illusorio credere che la Chiesa abbia avviato un vero percorso duraturo di liberalità».
In un prodotto seriale concepito per la televisione ma scritto e girato con i canoni del grande cinema, ad incarnare gli aspetti manipolatori e politici della Chiesa ci pensa il nostro Silvio Orlando, nelle vesti porporate del Cardinale Voiello, che rincorre la fede calcistica più che quella in Dio. Accanto a lui, un cast di comprimari d’eccellenza, da Diane Keaton a Javier Cámara, da Scott Shepherd a Cécile de France, passando per un superlativo Gianluca Guidi, che si distingue per ironia e sberleffo anche solo nel movimento di un sopracciglio. Mentre osserva di sottecchi la spregiudicatezza con cui il nuovo papa potrebbe usare il proprio potere. Se poi lo farà davvero, chissà. Bisognerà aspettare il resto della storia per saperlo, quindi il 21 ottobre con la messa in onda della serie completa su Sky Atlantic in Italia e in contemporanea in Germania, Regno Unito, Irlanda, Austria e Francia.

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FRANTZ di François Ozon (dal Festival Cinema Venezia 2016) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/09/03/frantz-di-francois-ozon/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/09/03/frantz-di-francois-ozon/#comments Sat, 03 Sep 2016 18:15:17 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7250 Pubblichiamo il primo degli articoli dalla 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia a cura di Ornella Sgroi (curatrice della rubrica Letteratitudine Cinema).

Venezia73 – Concorso

“Frantz” di François Ozon

di Ornella Sgroi

(Venezia, 3 settembre 2016)

Ci sono registi che riconosci senza difficoltà per uniformità di stile e linguaggio, a volte persino guardando anche un solo fotogramma. E poi ci sono registi come François Ozon che riconosci subito nonostante ogni suo film sia sempre diverso dal precedente e sebbene sia praticamente impossibile classificare il suo cinema dentro una sola precisa categoria.
Mai uguale a se stesso e sempre pronto ad esplorare nuovi generi, il regista francese torna alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia per la terza volta in concorso con “Frantz”, dopo avere debuttato proprio al Lido nel 1999 con “Amanti criminali” e avere realizzato con questa nuova pellicola il suo sedicesimo film.
Forte dei suoi ultimi successi, da “Potiche” a “Giovane e bella”, da “Nella casa” a “Una nuova amica”, passando dalla commedia colorata e brillante all’indagine più intima e psicologica, oggi Ozon porta in competizione una storia che gioca ancora con il tema dell’identità, questa volta viaggiando indietro nel tempo e portandoci nel bianco e nero della Germania e della Francia del 1918. Con quella che sembra una semplice storia d’amore spezzata dalla guerra e pronta a rinascere in un nuovo potenziale innamoramento capace di andare oltre l’odio per il nemico e che invece si trasforma, poco alla volta, nella ricerca di una nuova dimensione individuale e affettiva che trova nella splendida protagonista, la Anna di Paula Beer, romanticismo e forza, grazia e furore, passione e senso di protezione per chi le ha fatto da genitore. Tutto questo Ozon lo racconta con un bianco e nero elegante, sfumato di passaggi a colore sbiadito dal tempo, facendosi perdonare un inizio apparentemente banale che invece si trasforma in un nuovo punto di vista, conquistando con discrezione e garbo l’attenzione – e perché no, anche il cuore – dello spettatore. Complice la nota cinefilia del regista francese, che anche in “Frantz” rievoca tanto bel cinema del passato. Da cercare negli sguardi, come in quello dell’attrice Marie Gruber che sussurra la poesia di Giulietta Masina. Nelle inquadrature, come quella che incornicia la giovane Anna sulla panca del Louvre davanti al quadro di Manet, rimandando la memoria a Vertigo di Hitchcock. E nella fotografia, che evoca il cinema di Charlie Chaplin ed Ernst Lubitsch, autore di “Broken Lullaby”, adattamento per il grande schermo dello spettacolo teatrale di Maurice Rostand cui anche il film di Ozon si ispira.
È così che “Frantz” si propone come un film da esplorare con pazienza e da assaporare con lentezza, facendo decantare le suggestioni che suscita oltre la più scontata delle apparenze. Prendendosi il tempo – e la libertà – di ritrovarvi un disperato bisogno di rinascere, protetto e custodito dentro una bugia bianca. Coraggiosa e folle, come solo l’amore sa essere. In tutte le sue declinazioni.

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LETTERATITUDINE alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2016 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/09/01/festival-cinema-di-venezia-2016/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/09/01/festival-cinema-di-venezia-2016/#comments Thu, 01 Sep 2016 16:27:30 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7244

Letteratitudine sarà ufficialmente presente alla 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – come “testata” indipendente – con la partecipazione agli eventi della critica cinematografica Ornella Sgroi (curatrice della rubrica Letteratitudine Cinema).
Potrete seguire i servizi da Venezia di Ornella Sgroi, a partire dal 3 settembre…

La 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica è organizzata dalla Biennale di Venezia e si terrà al Lido di Venezia dal 31 agosto al 10 settembre 2016, diretta da Alberto Barbera.

La Mostra vuole favorire la conoscenza e la diffusione del cinema internazionale in tutte le sue forme di arte, di spettacolo e di industria, in uno spirito di libertà e di dialogo. La Mostra organizza retrospettive e omaggi a personalità di rilievo, come contributo a una migliore conoscenza della storia del cinema.

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LA PAZZA GIOIA (e altro ancora) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/05/24/la-pazza-gioia-e-altro-ancora/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/05/24/la-pazza-gioia-e-altro-ancora/#comments Tue, 24 May 2016 18:30:29 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7152 La nuova puntata di Letteratitudine Cinema con un pezzo “multiplo” sulle novità cinematografiche della settimana: La pazza gioia di Paolo Virzì; Money Monster di Jodie Foster; Microbo e Gasolina di Michel Gondry.

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La settimana al Cinema

recensioni di Ornella Sgroi

La pazza gioia di Paolo Virzì. Con Valeria Bruni Tedeschi, Micaela Ramazzotti e Valentina Carnelutti

La vitalità della disperazione e la disperazione della vitalità. In un faccia a faccia che toglie il respiro, spezzato dalla bellezza e dalla forza dirompente della compassione e dell’umanità. Il regista Paolo Virzì dipinge così due ritratti femminili straordinari, di cui traccia i segni sulla carne e sul cuore di due attrici altrettanto straordinarie. Micaela Ramazzotti, mai stata così convincente in una pellicola come in questo ultimo film diretto dal marito Virzì, e Valeria Bruni Tedeschi, incantevole e travolgente nella sua femminilità mortificata dalla follia e appassionante nella sua interpretazione piena di pathos, sfumata di mille colori e tonalità affettive. Eccentrica, adorabile e irrefrenabile. Portatrice sana, nella sua insana verità, di un sentimento capace di rimettere in circolazione la vita nelle vene affrante e dolenti di una ragazza schiacciata dal senso di colpa. Questa delicata e al contempo potente storia di donne Paolo Virzì la racconta con garbo e discrezione, avvicinandosi quasi in punta di piedi ai volti delle sue due protagoniste, per coglierne l’anima attraverso sguardi e lacrime. E lo fa talmente bene che alla fine del film si sente quasi il bisogno di custodire dentro di sé, in silenzio, in segreto, tutte le emozioni provate insieme alle due protagoniste, mentre piano risale dal profondo il desiderio di correre fuori dalla sala per condividerle, quelle suggestioni emotive, con chi può farsi partecipe di tanti stati d’animo. Che passano, sullo schermo come in sala, dal sorriso e persino dalla risata esorcizzante alla commozione più intima e sincera.
Tutto parla di vita, nel film di Paolo Virzì. Persino i paesaggi e i colori. Senza fine, come ci ricordano le note delicate e malinconiche della canzone di Gino Paoli, che ci accompagna verso un finale pieno di speranza. Adagiando il seme di un nuovo inizio dentro un dolcissimo sorriso.

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Money Monster di Jodie Foster. Con George Clooney, Julia Roberts e Jack O’Connell

Subdola, pericolosa, corrotta e ingannevole. Eccola l’altra faccia del denaro, raccontata da Jodie Foster con grinta, ritmo e adrenalina. Dentro uno studio televisivo pronto a saltare in aria in diretta, teatro di un gioco a tre che mette al centro della scena un George Clooney ciarlone “emotivamente ritardato”, una Julia Roberts controllata e risolutiva ed un giovane Jack O’Connell sotto pressione in cerca di verità. Mettendo insieme il linguaggio della finanza e della televisione, senza mettere mai in difficoltà lo spettatore, Jodie Foster articola un film acuto e veloce, che tiene alta la tensione senza sacrificare la spettacolarità del mezzo cinematografico, messo al servizio di una storia che è anche denuncia sociale. Di una contemporaneità in cui tutto è affrontato come un gioco, tra show e clic su Youtube, e non è più ben chiaro quanto possa valere una vita umana. Soprattutto se sul piatto della bilancia la concorrenza è rappresentata da una finanza sempre più rapida, liquida e inutile. Vere antagoniste di un mondo declinato soprattutto al maschile, stavolta, sono le donne, lucide, concrete e determinate. Ancora di più sotto l’occhio vigile e vivace della Foster, regista attenta alle sfumature tanto nei personaggi che racconta quanto negli attori che dirige.

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Microbo e Gasolina di Michel Gondry. Con Ange Dargent, Theophile Baquet e Audrey Tautou

“I bulli di oggi sono le vittime di domani”. Una magra consolazione, ma se aiuta a tenere la schiena dritta quando i compagni di classe ti usano come bersaglio di angherie e soprusi, è sempre meglio di niente. E per il giovane Microbo (Ange Dargent) i consigli del nuovo amico Gasolina (Theophile Baquet) sono preziosi, anche per imparare a farcela da solo e a non farsi influenzare. Sono loro i due adorabili protagonisti del nuovo film di Michel Gondry, che con tenera simpatia e intelligenza affettiva apre una finestra magica e colorata sull’adolescenza, usando tutte le sfumature possibili. Da quelle più sbiadite a quelle più vivaci, come meglio si addice ad una commedia che ha dentro di sé tutta la vitalità di una stagione della vita che mischia sogni e paure, gioie e incertezze. Incarnate in maniera irresistibile dai due giovani attori, perfetti nel raccontare la bellezza di scoprirsi in grado di maturare uno sguardo diverso sul mondo e sulle cose, fuori dalla ordinarietà del “branco” da cui difendersi in nome della propria personalità. Travolti da disavventure e incontri stralunati, a bordo di una casa mobile costruita a quattro mani, su cui tutti vorremmo salire per lanciarci in nuove avventure. In nome dell’amicizia e con un pizzico di (in)sana incoscienza.

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THE DRESSMAKER (e altro ancora) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/05/03/the-dressmaker-e-altro-ancora/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/05/03/the-dressmaker-e-altro-ancora/#comments Tue, 03 May 2016 17:35:44 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7132 La nuova puntata di Letteratitudine Cinema contiene un pezzo “multiplo” sulle novità cinematografiche della settimana: The Dressmaker di  Jocelyn Moorhouse; Benvenuti…ma non troppo di Alexandra Leclère; La foresta dei sogni di Gus Van Sant; Appena apro gi occhi di Leila Bouzid

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La settimana al Cinema

recensioni di Ornella Sgroi

The Dressmaker di  Jocelyn Moorhouse. Con Kate Winslet, Judy Davis, Liam Hemsworth

“Il diavolo è tornato”, recita il sotto titolo italiano di questa commedia insolita e molto divertente. E se il diavolo, invece, non se ne fosse mai andato e fosse rimasto nascosto sotto abiti angelici? Il nuovo film della regista Jocelyn Moorhouse di abiti se ne intende, portando l’alta moda francese a sconvolgere equilibri di facciata in un piccolo paesino dell’Australia desertica del 1951, che sembra il Far West. Al centro di questo western giocato a colpi di cuciture, piume e paillette invece che a colpi di proiettile, una Kate Winslet esplosiva e vendicativa, armata di macchina da cucire invece che di pistola. Un’attrice che dimostra ancora una volta tutta la sua abilità e il suo trasformismo, dominando una commedia coloratissima al fianco di un’altra attrice magnifica, Judy Davis, qui nei panni della madre svitata della protagonista. Insieme fanno scintille, Kate e Judy. Elegantissima e femminile nelle sue forme morbide, l’una. Stracciona e irriverente, l’altra. Protagoniste assolute, insieme, in mezzo ad un cast indovinatissimo che le incorona regine di questa commedia eccentrica e sopra le righe, che mischia cinismo e mistero con l’amarezza della solitudine e dell’esclusione, senza rinunciare ad un pizzico di romanticismo sopraffatto dalla sciagura della maledizione. Laddove la vera maledizione non è altro che il provincialismo più bigotto, “spazzatura” da bruciare per dissolvere una inutile e fasulla parvenza di normalità.

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Benvenuti…ma non troppo di Alexandra Leclère. Con Karin Viard, Didier Bourdon, Valérie Bonneton

Immaginate una Parigi avvolta da una coltre di freddo tanto glaciale da spingere il governo ad imporre ai ricchi borghesi di aprire le porte delle loro belle case ai meno fortunati. Le conseguenze di questa improvvisa “grande condivisione” non tarderà a fare saltare equilibri già precari, creando situazioni (non troppo ) paradossali in cui gli intellettuali di sinistra si scopriranno più conformisti dei conformisti di destra. Il risultato è una commedia francese che fa sorridere ma anche riflettere. Soprattutto su un quesito preciso: come reagirebbero i politici italiani se fossero costretti ad accogliere in casa la povera gente che fa a botte con la sopravvivenza? In quel caso sì che ci sarebbe da ridere.

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La foresta dei sogni di Gus Van Sant. Con Matthew McConaughey, Naomi Watts, Ken Watanabe

Un viaggio di sola andata per Tokyo. Destinazione ultima, un mare fatto di alberi che si perde fino a toccare le soglie dell’aldilà. È la foresta dei suicidi, luogo “perfetto” scelto dal protagonista Matthew McConaughey per mettere volontariamente fine alla propria esistenza. Almeno fino a quando l’incontro con un altro uomo, ferito e disorientato che cerca invece la strada verso casa, non lo farà tornare sui propri passi. Immergendo personaggio e  spettatore in un passato in cui affondano le radici di tanto dolore. Il nuovo film di Gus Van Sant, già regista di film come “Elephant”, “Will Hunting”, “Paranoid Park” e “Milk”, rievoca certa letteratura giapponese, in particolare quella partorita dalla penna immaginifica di Murakami, anche se la commistione di soprannaturale e reale che aleggia nelle pagine dei suoi romanzi non sembra affiorare altrettanto bene nel film di Van Sant, più orientato verso la dimensione del melodramma coniugale. E anche il bravissimo McConaughey finisce per essere troppo concentrato su se stesso e sulle proprie doti introspettive, fino all’eccesso. Anche nel susseguirsi di eventi tragici che travolgono il suo personaggio, nel presente come nel passato. Eppure, per quanto il film non sia di certo impeccabile, lungo il suo scorrere fioriscono delle orchidee. Che rievocano le anime di chi abbiamo amato e non c’è più, sfiorando il cuore dello spettatore con una carezza vitale e struggente.

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Appena apro gi occhi di Leila Bouzid. Con  Baya Medhaffer, Ghalia Benali, Montassar Ayari

Un’opera prima e una regista donna di appena trent’anni, attraverso la musica e la ribellione familiare e sociale di una diciottenne, raccontano la Tunisi del 2010 che si prepara alla rivoluzione. Una città, una cultura in cui tutto è proibito, in cui tutto è fonte di disonore. In cui i giovani, con i loro sogni e le loro speranze di potere cambiare il mondo, sono visti come dei “folli” che si oppongono alla tradizione.  Di tutto questo fermento si fanno carico la giovane protagonista e la sua band, pronti ad intonare più di un canto per la libertà pur di fare sentire la propria voce. Senza paura. Una voce che trova espressione nell’incantevole attrice protagonista e nella solitudine sempre più crescente che travolge il suo personaggio.  Lasciato solo anche dalla sua stessa madre. Donna contro donna. In un rapporto complicato ma rigenerante, capace di fare diventare lo scontro incontro, in nome dello stesso (bi)sogno di libertà.

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LE CONFESSIONI, TRUMAN (e altro ancora) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/04/26/le-confessioni-truman-e-altro-ancora/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/04/26/le-confessioni-truman-e-altro-ancora/#comments Tue, 26 Apr 2016 16:35:07 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7123 La nuova puntata di Letteratitudine Cinema contiene un pezzo “multiplo” sulle novità cinematografiche della settimana: “Le confessioni” di Roberto Andò; “Truman. Un vero amico è per sempre” di Cesc Gay; “I ricordi del fiume” di Gianluca e Massimiliano De Serio; “Abbraccialo per me” di Vittorio Sindoni

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La settimana al Cinema

recensioni di Ornella Sgroi

“Le confessioni” di Roberto Andò. Con Toni Servillo, Daniel Auteuil, Connie Nielsen, Pierfrancesco Favino.

Non è facile riuscire a imprigionare nelle immagini di un film il senso di immanenza che invece pervade e attraversa la nuova pellicola diretta da Roberto Andò, “Le confessioni”. Oltre la filosofia e la religione (intesa più come spiritualità), che si intrecciano fino a diventare l’una imprescindibile dall’altra. Tanto da farsi antagoniste ideali, per Andò, dell’economia e della “astratta nozione di austerità” che ne è diventata ormai il principio fondante senza valutarne davvero le conseguenze, su una vita che diventa sempre più ingiusta e discriminante nei confronti dell’essere umano in quanto tale.

Dopo il magnifico “Viva la libertà”, in cui la politica veniva osservata con un guizzo di magistrale follia eccentrica, come se solo la follia potesse riuscire a sbloccarne la meccanica inceppata dalla menzogna tornando a gridare senza paura la verità delle cose, il regista Roberto Andò con “Le confessioni” sposta il suo sguardo sul mondo della macroeconomia che finisce per schiacciare quanto di umano è rimasto intorno a noi, in questa triste e asettica e calcolata contemporaneità. E questa volta lo fa affidandosi alle nuance del genere giallo, citando espressamente Hitchcock e creando un mistero intorno all’improvvisa morte del direttore del Fondo Monetario internazionale (Daniel Auteuil) nel corso di un summit che riunisce i pochi veri potenti della Terra, nelle cui mani si tiene il destino del mondo e delle nazioni. Immerso in equilibri artefatti e fragili, incrinati dall’intrusione di un monaco certosino (Toni Servillo) che potrebbe essere rimasto unico custode di un segreto che non può essere svelato.

Tra citazioni del Vangelo, di Sant’Agostino e di Pascal, in uno scenario algido come sa essere algida la più fredda delle manovre economiche e politiche, sotto il peso incombente e incalzante di un potere inquieto e inutile, tutto nel film di Andò viene chiuso dentro lo schema asfittico della forma. Quella estetica e quella istituzionale, che si avvinghiano intorno alla solennità vacua della situazione e dei personaggi che il film racconta. Uomini e donne che normalmente giocano con la vita degli altri e che si ritrovano inerti e perduti di fronte all’imprevisto. Incapaci di muoversi autonomamente senza il loro burattinaio. E soprattutto incapaci di provare quel prezioso senso di pietà invocato dal monaco – Salus, appunto, è il suo nome – come unico vero valore per cui valga la pena combattere.

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“Truman. Un vero amico è per sempre” di Cesc Gay. Con Ricardo Darin e Javier Cámara.

Ovvero due uomini e un cane. Protagonisti di una bella storia di amicizia e malattia, che sin dalle primissime inquadrature promette un’atmosfera tersa e poetica, sospesa in un tempo che sarebbe meglio non passasse mai. Con una regia luminosa, onesta e sincera, Cesc Gay mantiene questa promessa grazie anche a due interpreti (l’argentino Ricardo Darin e lo spagnolo Javier Cámara) così pieni di talento e di umanità da entrare dritto nel cuore dello spettatore. Con una storia fatta di gesti e di silenzi, ma anche di attimi inattesi di profonda tenerezza, tanto rara quando ad essere raccontata è l’amicizia tra due uomini che dura oltre la distanza temporale e geografica. Su uno sfondo fatto anche di malinconia e attesa, ma sempre in punta di sorriso, accompagnato dalle note di una musica che culla le emozioni dei protagonisti e dello spettatore, fino a renderli testimoni insieme di un’avventura di cui si riesce a condividere ogni singolo abbraccio, ogni più piccola emozione. Che si vestono di un nuovo senso, profondo e vero, che se da una parte strazia dall’altra conforta e rasserena.

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“I ricordi del fiume” di Gianluca e Massimiliano De Serio.

Un documentario, che si fa custode della memoria di un luogo che non esiste più. Il Platz, una delle più grandi baraccopoli d’Europa sorta lungo gli argini del fiume Stura  di Torino, dedalo di culture, lingue, religioni e storie che si uniscono e si dividono per generazioni e destini. Con grande partecipazione affettiva, ma sempre con un certo pudore che non vuole invadere ma condividere, i due giovani registi, già acclamati per il precedente film “Sette opere di misericordia”, accompagnano lo spettatore lungo un viaggio che cattura sguardi e anime, oltre il luogo fotografato e i luoghi evocati nella provenienza delle genti che un tempo li hanno abitati. Ad introdurci alla scoperta di questo mondo, un bambino che la macchina da presa segue di spalle fino ad arrivare al cuore del Platz. Ed è sempre un bambino a farsi portatore involontario di uno dei momenti più amari del film, con i suoi dieci anni già così cresciuto da invitare gli adulti a vivere liberamente perché tanto, prima o poi, dobbiamo tutti morire. Un film, “I ricordi del fiume”, che narra la realtà facendo della realtà stessa la più sincera e spiazzante forma di narrazione.

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“Abbraccialo per me” di Vittorio Sindoni. Con Moise Curia, Stefania Rocca, Vincenzo Amato.

Il dramma della disabilità mentale, visto con gli occhi di chi lo vive in prima persona e con quelli dei genitori che se ne prendono cura. Un argomento difficile da trattare fuori da ogni retorica, delicato e complesso, per questo determinante nel rendere lodevole l’intento del regista e del gruppo di lavoro che si è creato intorno a questo piccolo film. Un film che, purtroppo, nonostante l’impegno partecipe e sentito degli attori, non riesce a superare lo sguardo televisivo con cui viene raccontato. Tanto sotto l’aspetto propriamente narrativo, quanto sotto quello visivo. E anche sotto il profilo psicologico dei personaggi, che rimangono sempre troppo in superficie per potere davvero travolgere lo spettatore, come invece queste storie meriterebbero.

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IL CINEMA CHE CELEBRA LE DONNE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/04/18/il-cinema-che-celebra-le-donne/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/04/18/il-cinema-che-celebra-le-donne/#comments Mon, 18 Apr 2016 13:52:37 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7110 La nuova puntata di Letteratitudine Cinema contiene un pezzo “multiplo” sulle novità cinematografiche: questa settimana, il cinema… celebra le donne

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a cura di Ornella Sgroi

Il cinema, questa settimana, celebra le donne. Con due commedie brillanti che hanno per protagoniste due coppie femminili dinamiche e sopra le righe, interpretate con grande ritmo e carisma da attrici in gran forma.

Da una parte Margherita Buy e Claudia Gerini, nella commedia italiana “Nemiche per la pelle” di Luca Lucini. Due donne che hanno avuto in comune lo stesso uomo, dal quale ereditano all’improvviso un bambino cinese di sette anni. Un espediente narrativo che mette in moto una serie di situazioni e di duetti irresistibili, sotto la guida di un regista che si mette completamente al servizio delle sue attrici, dotate di tempi comici perfetti come fossero una coppia comica più che collaudata. La Gerini, cattiva e tornacontista, scorrettissima nel suo approccio inatteso con la maternità “testamentaria”. La Buy, adorabile nel suo essere goffamente femminile e materna. Al loro fianco, Paolo Calabrese e Giampaolo Morelli, ruoli a margine di una commedia che finalmente rende protagoniste assolute le donne anche nella comicità. Cosa piuttosto insolita nel panorama italiano.

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Dall’altra parte dell’Oceano arrivano invece Greta Gerwig e la più giovane Lola Kirke, protagoniste della commedia americana “Mistress America” di Noah Baumbach. Future sorelle, i cui genitori stanno per sposarsi in seconde nozze, le due protagoniste si incontrano e si scoprono in una New York movimentata e veloce, che fa da sfondo ad una serie di avventure rocambolesche orchestrate ad arte da Baumbach per raccontare, come lui e Greta Gerwig sanno fare con le loro sceneggiature, le piccole nevrosi e le paure della generazione dei quarantenni. Dopo l’irresistibile storia in bianco e nero di “Frances Ha”, una nuova commedia frizzante e amabilmente verbosa che ritrae con intelligenza comica e umorismo raffinato e acuto il confronto tra due generazioni e il complicato mondo delle relazioni affettive. Tra sogni infranti, senso di inadeguatezza e scoperta del proprio essere.

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Di generazioni a confronto, parla anche la commedia francese “Les souvenirs” di Jean Paul Rouve, che con un tocco delicato e attento, attraversa le diverse età della vita.

La giovinezza, l’età adulta e la vecchiaia, colte nella loro diversa profondità, con sguardo affettuoso e anche un pizzico di ironia. Tra le speranze di un giovane studente universitario che fa il portiere di notte e le malinconie della sua amata nonna in viaggio sulla strada dei ricordi più cari.

Una carezza al cuore, tra amori sognati che forse si realizzeranno, amori che durano nonostante il passare degli anni, sogni instabili e solitudini coltivate dal trascorrere del tempo.

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Mentre il tempo non sembra essere mai passato per un classico intramontabile come “Il libro della giungla” di Kipling, che dopo il film di animazione del 1967 la Walt Disney riporta sul grande schermo, questa volta in live action. Tornano così il cucciolo d’uomo Mowgli e i suoi amici della giungla, la pantera nera Bagheera e l’orso goloso Baloo, tra tigri feroci, elefanti maestosi e scimmie dispettose. Nel rispetto massimo della versione animata, omaggiata anche nella musica, il film di Jon Favreau riprende tutti i temi cari a Kipling con una profondità di campo che immerge lo spettatore negli scenari maestosi e incantati della giungla, rievocando tutta la magia del libro, quello vero, anche nei titoli di coda disegnati come un bellissimo libro pop up che tutti, ma proprio tutti, vorremmo avere. “E se dovrà essere, vedrai che sarà”. Parola di Raksha.

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DUE VENTATE DI ARIA FRESCA E VITALE SUL CINEMA ITALIANO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/04/12/aria-fresca-sul-cinema-italiano/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/04/12/aria-fresca-sul-cinema-italiano/#comments Tue, 12 Apr 2016 18:02:03 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7108 La nuova puntata di Letteratitudine Cinema contiene un pezzo “multiplo” con le recensioni a due belle novità del cinema italiano

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Recensione di Ornella Sgroi

Il mese di aprile ha portato con sé due belle sorprese tutte italiane. Che fanno soffiare aria fresca e vitale sul panorama del cinema nazionale.

La prima è “Veloce come il vento” di Matteo Rovere. Storia di famiglia e di motori, di passione, adrenalina e affetti mancati, persi e ritrovati. Disperatamente. Dietro al volante di una porche, a correre e rischiare in pista, c’è Giulia (Matilde De Angelis), diciassette anni e un grande talento da scoprire e dimostrare, anche per salvare la casa di famiglia ed evitare che il fratellino più piccolo vada in affidamento. Disperata e determinata, al punto da mettere tutto nelle mani del fratello maggiore, Loris (Stefano Accorsi), ex promessa delle corse distrutto dalla tossicodipendenza.
Tratto da una storia vera, il film di Matteo Rovere vola davvero sulla scia del vento. Con un inizio folgorante nel nome di “nostro Signore del sangue che corre nel buio delle vene”. Un’attrice protagonista, la giovane esordiente Matilde De Angelis, che cattura e ipnotizza anche con la voce oltre che con lo sguardo. Una regia e un montaggio “gas e freno” e una colonna sonora che scaraventa lo spettatore in pista. E anche Stefano Accorsi, brutto, sporco e tossico, è convincente con le sue ciabatte che gli scappano dai piedi, mentre insegue fantasmi e incita la sorella minore a non pensare alla curva che ha davanti, ma a quella che ancora non vede.

L’altra bella sorpresa è, in realtà, un atteso ritorno. Quello dell’altrettanto folgorante “Lo chiamavano Jeeg Robot”, primo lungometraggio di Gabriele Mainetti. Dopo 16 candidature ai David di Donatello, in consegna il 18 aprile, torna in sala un film che è già cult e che con originalità ha molto da dire, in fatto di cinema (anche sotto l’aspetto produttivo), in fatto di generi e di emozioni. Il regista Gabriele Mainetti, segnatevi questo cognome, fa esplodere il genere dei supereroi made in Italy – già sperimentato da Gabriele Salvatores con “Il ragazzo invisibile” – mettendo insieme il fumetto classico con la periferia italiana e i suoi tormenti, l’amore per Jeeg Robot con le impronte digitali Marvel e la passione per il cinema con la competenza registica. Costruendosi un’identità tutta sua, forte e coerente. Il risultato è imprevedibile e imperdibile, anche grazie a due attori che fanno a botte da veri fuoriclasse. Claudio Santamaria e un Luca Marinelli eccentrico ed esilarante, assolutamente magnifico. Che ha fatto tesoro di questa sua interpretazione per il ruolo, altrettanto riuscito, in “Non essere cattivo” di Claudio Caligari. Il risultato? È quello che Mainetti chiama “sospensione dell’incredulità”. Anche perché – come dice l’eroina fragile del film, interpretata dall’esordiente Ilenia Pastorelli – «un supereroe con le scarpe di camoscio non s’è mai visto!»

Dal resto del mondo arrivano anche “Mister Chocolat” interpretato dall’amato Omar Sy di “Quasi amici” e “Il cacciatore e la Regina di Ghiaccio” con Chris Hemsworth, Jessica Chastain, Emily Blunt e la golden woman Charlize Theron.
Mister Chocolat” di Roschdy Zem, nel raccontare la storia vera del primo artista nero nella Francia di fine ottocento al fianco del clown bianco Fotit, non riesce purtroppo ad andare affondo nella storia e meno ancora nel personaggio, mostrando una superficie patinata che manca di empatia. Il film merita, però, per la bella interpretazione malinconica dell’artista James Thierree, omaggio innegabile al nonno Charlie Chaplin.
Anche “Il cacciatore e la regina di ghiaccio” di Cedric Nicolas Troyan non è certo un capolavoro. Ma se si supera la perplessità iniziale sul bisogno di tirare in ballo ancora una volta la povera Biancaneve, che qui peraltro non compare neanche soppiantata dallo Specchio delle mie brame, alla fine dei conti il film funziona, distrae e diverte.
E a proposito di regine e storie (quasi) vere, una visione la merita invece la commedia inglese d’altri tempi “Una notte con la Regina” di Julian Jarrold, ispirato ad un episodio della giovinezza della futura regina Elisabetta, alle prese con l’irrequietezza goffa e adorabile della sorella Margaret. Un tocco di magia romantica alla maniera di “Vacanze romane” in salsa british fa di questa pellicola un film che brilla per eleganza, garbo, ironia. E un pizzico di sarcasmo regale che non guasta mai.

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NESSUNO È COME SEMBRA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/02/19/nessuno-e-come-sembra/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/02/19/nessuno-e-come-sembra/#comments Fri, 19 Feb 2016 17:57:23 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7056 La nuova puntata di Letteratitudine Cinema contiene un pezzo “multiplo” con le recensioni di quattro film attualmente in sala che hanno tutti uno stesso comune denominatore: l’identità e l’apparenza.

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Recensione di Ornella Sgroi

Nessuno è come sembra. Nessuno è chi dice (o crede) di essere. Un tema intrigante, quello dell’identità, nella dissonanza tra realtà e apparenza. E sono ben quattro i film attualmente in sala che lo affrontano, ognuno a proprio modo. Quattro diverse divagazioni sul tema, firmate da registi altrettanto diversi. Per linguaggio, stile, narrazione, sentimento e atmosfera. Oltre che per nazionalità. Ognuno al comando di attori che lasciano il segno e che contribuiscono in modo impeccabile alla riuscita di ciascun film. Da non perdere, nessuno dei quattro, perché nessuna buona ragione sarebbe davvero una buona ragione.

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The Hateful Eight di Quantin Tarantino, con Samuel L. Jackson, Kurt Russel, Jennifer Jason Leigh, Walton Goggins, Tim Roth, Michael Madsen, Bruce Dern, Demiàn Bichir, Channing Tatum

Un Tarantino insolito.  Per la neve che fiocca sull’ispirazione dichiaratamente western del regista, dopo l’esperienza di “Django Unchained”. E per l’evoluzione in classico del giallo alla maniera di Agatha Christie e del suo “…E poi non rimase nessuno”. Anche se invece dei dieci piccoli indiani, Tarantino schiera otto assassini “odiosi” e irresistibili. Visivamente potentissimo, il nuovo film di Tarantino è scritto e girato con le parole ancora più che con l’azione cui il regista ci ha abituato, ma anche con la musica del Maestro Ennio Morricone, che escogita partiture da horror tra Dario Argento e John Carpenter, complici anche i suoni d’ambiente. Il vento, soprattutto e fuori di tutto, mentre dentro il rifugio i fiocchi di neve filtrano dalle fessure imbiancando la bellissima fotografia firmata da Robert Richardson. Dialoghi scoppiettanti e brutali, attori tutti in stato di grazia. Contagiati dal divertimento duro e puro che è tutto del regista statunitense e della sua banda di fuorilegge sempre in cerca di documenti che attestino una qualche verità. Un divertimento, quello di Tarantino, che fa scacco matto anche allo spettatore, costretto a fatica a mandare giù il coniglio uscito dal cilindro o, meglio, dalla botola che Tarantino avrebbe fatto bene a non aprire. Perché se giallo deve essere, allora bisogna giocarlo ad armi pari.  Anche se i suoi “hateful eight”, probabilmente, non sarebbero d’accordo.

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Remember di Atom Egoyan, con Christopher Plummer, Marin Landau, Bruno Ganz, Jürgen Prochnow, Dean Norris

Si intitola “Remember” ed è un film che non si dimentica. Nel suo gioco sottile e affilato tra memoria storica, quella della Shoah e dell’orrore di Awschwitz, e memoria personale, quella che ci fa ricordare cosa siamo stati e chi siamo. O chi crediamo di essere. Affidandosi ad un attore immenso e monumentale, Christopher Plummer, il regista canadese Atom Egoyan dirige 95 minuti di perfezione narrativa e cinematografica, mantenendo la tensione altissima e catturando lo spettatore fino a farlo precipitare con il protagonista in un intreccio forte dipanato con il contagocce in modo estremamente abile. Sì, “Remember” è un film che non si dimentica. Decisamente. Per la storia, potentissima. Per gli attori, magnifici. Per la regia, sapiente, impeccabile e misurata. E per la sceneggiatura, architettata con grande maestria. Fino all’ultimo colpo di scena che riavvolge la bobina e arriva dritto allo stomaco dello spettatore, come un pugno che sconquassa e stordisce. Impossibile da dimenticare.

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1981: indagine a New York di J. C. Chandor, con Oscar Isaac, Jessica Chastain, David Oyelowo

“A most violent year”. Il titolo originale ha più forza ed efficacia rispetto alla traduzione scelta per l’uscita italiana. Ma resta il fatto che il nuovo film di J. C. Chandor, già regista di “Margin call” e “All is lost”, sia girato con grande consapevolezza. Immerso in un’atmosfera metropolitana retrò, con un gusto classico e di genere, sta alle costole di un giovane imprenditore messo alle strette dalla piccola criminalità. E forse anche dai suoi concorrenti. In equilibrio liquido tra un Oscar Isaac contratto e sotto pressione e una Jessica Chastain manipolatrice insospettabile e magnifica, la regia dell’americano Chandor – tra Sydney Pollack e Sidney Lumet – è profonda, essenziale ma corposa, psicologica e tesa. Sul filo dell’etica, cercando a ritroso le radici americane della contaminazione tra potere economico, politica e legge.

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Perfetti Sconosciuti di Paolo Genovese, con Marco Giallini, Kasia Smutniak, Valerio Mastandrea, Anna Foglietta, Giuseppe Battiston, Alba Rohrwacher, Edoardo Leo

Addio agli scheletri nell’armadio, è tempo di fare un bel selfie-sorriso. E di immortalare una foto di gruppo tra amici di una vita e amori immuni da vacillamenti. Senza segreti, senza ombre, se non quelle capricciose di un’eclissi di Luna. Quella che manderà in frantumi (forse) le esistenze di sette “Perfetti sconosciuti”, maschere di oggi che Paolo Genovese assegna ai suoi attori per raccontare mondi familiari e personali “frangibili”, tutti veri oltre la mera credibilità. Il regista dell’adorabile  “Tutta colpa di Freud” torna con un film brillante e acuto, dinamico dentro la sua unità di tempo e di spazio, capace di adottare e restituire profondità di sguardo e di sentimento. Stavolta senza pietà. Puntando dritto ad un finale – la cosa più brillante del film – che lascia il vero amaro in bocca, molto più dell’apertura di tanti “cellulari di Pandora”. Scatole nere delle nostre vite. E delle nostre infelicità.

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Leggi l’introduzione di Massimo Maugeri

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PREMIO OSCAR 2016: le nomination http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/01/15/premio-oscar-2016-le-nomination/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/01/15/premio-oscar-2016-le-nomination/#comments Fri, 15 Jan 2016 16:35:27 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7025 Nell’ambito della rubrica Letteratitudine Cinema, pubblichiamo l’elenco delle nomination del PREMIO OSCAR 2016

con i link alle schede dei film (e dei relativi attori) selezionati nelle principali sezioni

Ieri, 14 gennaio 2016, sono state annunciate le candidature relative alla edizione 2016 del Premio Oscar. Segnaliamo, in particolare, per quanto riguarda la “partecipazione” italiana agli Oscar di quest’anno che Ennio Morricone è candidato nella categoria migliore colonna sonora, per “Hateful Eight” di Quentin Tarantino. Il compositore italiano ha già vinto il Golden Globes per lo stesso titolo. Inoltre “Simple Song Number 3” (composta da David Lang), canzone della colonna sonora di “Youth” di Paolo Sorrentino, è fra i candidati agli Oscar alla migliore canzone.

La 88ª edizione della cerimonia degli Oscar si terrà al Dolby Theatre di Los Angeles il 28 febbraio 2016. Conduttore della serata sarà Chris Rock, già presentatore della 77ª edizione nel 2005. La cerimonia, trasmessa in diretta in oltre 225 Paesi, sarà visibile anche in Italia (sul canale Sky Cinema Oscar e in chiaro su Cielo).

Segue l’elenco delle candidature: cliccare sui titoli e sui nomi per aprire le schede (fonte wikipedia)

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Miglior film

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Miglior regia

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Miglior attore protagonista

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Miglior attrice protagonista

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Miglior attore non protagonista

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Miglior attrice non protagonista

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Migliore sceneggiatura originale

Matt Charman, Joel ed Ethan Coen – Il ponte delle spie (Bridge of Spies)
Alex Garland – Ex Machina
Pete Docter, Meg LeFauve e Josh Cooley – Inside Out
Tom McCarthy e Josh Singer – Il caso Spotlight (Spotlight)
Jonathan Herman e Andrea Berlof – Straight Outta Compton

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Migliore sceneggiatura non originale

Nick Hornby – Brooklyn
Phyllis Nagy – Carol
Emma Donoghue – Room
Charles Randolph e Adam McKay – La grande scommessa (The Big Short)
Drew Goddard – Sopravvissuto – The Martian (The Martian)

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Miglior film straniero

A War, regia di Tobias Lindholm (Danimarca)
El abrazo de la serpiente, regia di Ciro Guerra (Colombia)
Mustang, regia di Deniz Gamze Ergüven (Francia)
Il figlio di Saul (Saul fia), regia di László Nemes (Ungheria)
Theeb, regia di Naji Abu Nowar (Giordania)

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Miglior film d’animazione

Anomalisa, regia di Charlie Kaufman, Duke Johnson e Rosa Tran
Il bambino che scoprì il mondo (Boy & The World), regia di Alê Abreu
Inside Out, regia di Pete Docter e Jonas Rivera
Shaun, vita da pecora – Il film (Shaun the Sheep Movie), regia di Richard Starzak e Mark Burton
Quando c’era Marnie (思い出のマーニー), regia di Hiromasa Yonebayashi e Yoshiaki Nishimura

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Miglior fotografia

Ed Iachman – Carol
Robert Richardson – The Hateful Eight
John Seale – Mad Max: Fury Road
Emmanuel Lubezki – Revenant – Redivivo (The Revenant)
Roger Deakins – Sicario

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Miglior scenografia

Adam Stockhausen – Il ponte delle spie (Bridge of spies)
Colin Gibson – Mad Max: Fury Road
Eve Stewart – The Danish Girl
Arthur Max – Sopravvissuto – The Martian (The Martian)
Jack Fisk – Revenant – Redivivo (The Revenant)

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Miglior montaggio

Hank Corwin – La grande scommessa (The Big Short)
Margaret Sixel – Mad Max: Fury Road
Stephen Mirrione – Revenant – Redivivo (The Revenant)
Tom McArdle – Il caso Spotlight (Spotlight)
Maryann Brandon e Mary Jo Markey – Star Wars: Il risveglio della Forza (Star Wars: The Force Awakens)

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Miglior colonna sonora

Thomas Newman – Il ponte delle spie (Bridge Of Spies)
Carter Burwell – Carol
Ennio Morricone – The Hateful Eight
Johann Johannsson – Sicario
John Williams – Star Wars: Il risveglio della Forza (Star Wars: The Force Awakens)

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Miglior canzone

Earned It (Abel Tesfaye, Ahmad Balshe, Jason Daheala Quenneville, Stephan Moccio) – Cinquanta sfumature di grigio (Fifty Shades of Grey)
Manta Ray (Antony Hegarty) – Racing Extinction
Simple Song #3 (David Lang) – Youth – La giovinezza (Youth)
Til It Happens to You (Diane Warren, Lady Gaga) – The Hunting Ground
Writing’s on the Wall (Jimmy Napes, Sam Smith) – Spectre

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Migliori effetti speciali

Ex Machina, Mad Max: Fury Road, The Martian, The Revenant, Star Wars: Il risveglio della Forza

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Miglior sonoro

Il ponte delle spie, Mad Max: Fury Road, The Martian, The Revenant, Star Wars: Il risveglio della Forza

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Miglior montaggio sonoro

Mad Max: Fury Road, The Martian, The Revenant, Sicario, Star Wars: Il risveglio della Forza

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Migliori costumi

Sandy Powell – Carol
Sandy Powell – Cenerentola (Cinderella)
Paco Delgado – The Danish Girl
Jenny Beavan – Mad Max: Fury Road
Jacqueline West – Revenant – Redivivo (The Revenant)

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Miglior trucco e acconciatura

Mad Max: Fury Road, Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve, The Revenant

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Miglior documentario

Amy, Cartel land, The Lookf of Silence, What Happened, Miss Simone; Winter on Fire: Ukraine’s Fight for Freedom

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Miglior cortometraggio documentario

Body Team 12 – regia di David Darg e Bryn Mooser
Chau, Beyond The Lines – regia di Courtney Marsh e Jerry France
Claude Lenzmann: Spectres Of The Shoah – regia di Adam Benzine
A Girl In The River: The Price Of Foregiveness – regia di Sharmeen Obaid-Chinoy
Last Dat Of Freedom – regia di Dee Hibert e Jones Nomi Talisman

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Miglior cortometraggio

Ave Maria, Day One, Everything Will Be Okay (Alles Wird Gut), Shok, Stutterer

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Miglior cortometraggio d’animazione

Bear Story, Prologue, Sanjay’s Super Team, We Can’t Live without Cosmos, World of Tomorrow

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PREMI SPECIALI

Oscar onorario

Premio umanitario Jean Hersholt

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QUO VADO? http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/01/11/quo-vado/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/01/11/quo-vado/#comments Mon, 11 Jan 2016 16:48:26 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7020 Locandina Quo Vado?

La nuova puntata di Letteratitudine Cinema è dedicata al nuovo film di Checco Zalone

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QUO VADO?

di Gennaro Nunziante
con Luca Medici, Eleonora Giovanardi, Sonia Bergamasco, Lino Banfi, Maurizio Micheli

Recensione di Ornella Sgroi

Quo vado? Siamo in tanti a chiedercelo. Di ogni età, cultura ed estrazione sociale. Ma di una sola nazione, l’Italia. E siamo tutti italiani, i destinatari del film che in questi giorni sta letteralmente facendo esplodere sale cinematografiche e botteghino, scatenando la fantasia analitica di giornalisti, sociologi, produttori, intellettuali e spettatori. Tutti a chiedersi perché.
Perché? Forse perché se c’è qualcuno che viene preso di mira da Luca Medici e Gennaro Nunziante in “Quo vado?”, attraverso la maschera di Checco Zalone, quello è proprio l’italiano. Né medio, né alto, né basso. Semplicemente italiano. Spettatore e soprattutto cittadino, senza fare sconti a nessuno.
Del resto, se di questi tempi non facciamo altro che chiederci “dove stiamo andando?” la colpa è anche nostra. Come dice Checco, non si tratta di corruzione né di concussione, ma di educazione. Salvo poi decidere da che punto di vista affrontare la questione, considerato che nei suoi film non ce n’è mai uno soltanto e tutto può essere guardato da prospettive speculari ed inverse.
Corruzione e concussione in Italia sono all’ordine del giorno, purtroppo. Ma la principale fonte di nutrimento per certe derive è senz’altro la mancanza di educazione e di senso civico nella maggior parte degli italiani, pronti a puntare il dito – a ragione – contro politici e amministratori, ma mai disposti a fare un po’ di sana autocritica.
Ciò che più colpiva dei film di Luca Medici, che è persona ben diversa dal Checco che impersona, per quanto cerchi di farci credere il contrario, era quel paradosso scatenato in sala dalle risate convulse di quella parte di pubblico che solo Zalone riusciva a trascinare al cinema e che sembrava non rendersi conto di essere il destinatario mirato della satira stessa che lo faceva tanto ridere.
Adesso in “Quo vado?”, dietro luoghi comuni e stereotipi, che un fondo di verità ce l’hanno sempre, Luca Medici e Gennaro Nunziante fotografano l’Italia intera e tutti gli italiani con il ritratto di un Checco Zalone che non è più l’eccezione, alieno dal quale difendersi, ma la regola in cui si specchia un’intera nazione. La nostra.
Il risultato è una fotografia lucida, divertentissima e profondamente amara, ben oltre il mito del posto fisso che è stato un tarlo per diverse generazioni alimentando quel circolo vizioso di favori e clientele che hanno mandato a picco il sistema Paese. Non è solo questo, infatti, il nodo narrativo della questione “Quo vado?”, ma anche l’immobilismo nel quale è precipitata l’Italia, ancora oggi impantanata in una palude di finte riforme che rottamano tutto, per poi riproporre gli stessi articoli con nomi nuovi e nuove etichette, comprese le province prima abolite e poi ripescate come aree metropolitane. Per la felicità di Zalone e dei tanti come lui.
Così, mentre il mondo va avanti – quel mondo che in “Quo vado?” è rappresentato dal miraggio dei Paesi del nord, la Norvegia così civile ed evoluta meta ambita per migranti europei – l’Italia resta ferma ad Albano e Romina riciclati in tv come super ospiti dell’ultima edizione del Festival di Sanremo. Uno dei momenti più veri, acuti e deprimenti di tutto il film, se non fosse per quella “faccia da Checcho” che fa morire dal ridere. E che vorresti prendere a schiaffi momento per momento tanto è familiare, come tutti quei luoghi comuni nei quali si specchia, così onestamente reali. Compresa l’immagine dell’italiano che all’estero riscopre un senso civico che non perde occasione di ostentare, denigrando i connazionali con superiorità, per poi cedere alla nostalgia canaglia che fa dipingere di tricolore persino l’Aurora boreale e lascia incantati e sognanti davanti ad un Suv posteggiato in doppia fila.
Nel nuovo film di Luca Medici e Gennaro Nunziante, infatti, non c’è alcuna evoluzione buonista né un finale consolatorio. Come in “Che bella giornata” i terroristi rinunciavano all’attentato contro il patrimonio artistico nazionale confidando nel potere distruttivo di una mina vagante ignorante come Checco Zalone, anche in “Quo vado?” l’apparentemente involontaria critica di costume – che c’è, eccome – non è meno tagliente. Tanto che fino all’ultimo in Checco non c’è alcuna presa di coscienza e di distanza da tutti i privilegi acquisiti per mero favore politico e non certo per possesso dei giusti requisiti. Figlio impunito della prima Repubblica, che – come canta il genio dissacrante, sottile e provocatorio di Luca Medici – purtroppo non si scorda mai.
“Quo vado?” non è un capolavoro. E dal punto di vista della sceneggiatura e della storia, è forse persino un passo indietro rispetto a “Cado dalle nubi” e a “Che bella giornata”. Ma nel nuovo film targato Zalone c’è un livello di scrittura che va oltre il dato tecnico, con una indiscutibile abilità di costruzione di linguaggio, situazioni, doppi sensi e capovolgimenti che fanno ancora della nostra commedia una radiografia sociale, strumento diagnostico efficace da leggere in controluce.

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Leggi l’introduzione di Massimo Maugeri

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