LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » SEGNALAZIONI E RECENSIONI http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 SANREMO TRA I LIBRI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/03/03/sanremo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/03/03/sanremo/#comments Wed, 03 Mar 2021 16:00:28 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/02/16/sanremo-e-linfinita-notte-di-alessandro-zaccuri/ Il post “annuale” di Letteratitudine dedicato al Festival di Sanremo

Che piaccia o no, il Festival di Sanremo ha scandito il nostro tempo… a partire dal lontano 1951, anno del suo inizio, fino a oggi.

Vorrei dedicare questa pagina di Letteratitudine al Festival della canzone italiana e a qualcuno dei libri da esso ispirati.
Come ha scritto Giovanni De Luna su Tuttolibri del 5 febbraio 2011, “Sanremo cominciò nel 1951, con una «tre giorni musicale» (29-30-31 gennaio) trasmessa alla radio. L’orchestra la dirigeva il maestro Angelini e i cantanti erano solo due (Nilla Pizzi e Achille Togliani), con il supporto del Duo Fasano. Tutto qui. Pure, un Festival nato in sordina, senza «lanci» e «promozioni», riuscì a far diventare famose in una sola sera (e con un solo «passaggio» radiofonico!) molte canzoni, non solo quella vincitrice. La serata conclusiva fu seguita da circa 25 milioni di ascoltatori. Oggi quella data è diventata storica tanto da dare l’impressione che raccontare le vicende del festival sia un po’ come scrivere pagine importanti del nostro passato, quasi che anno dopo anno le sue canzoni abbiano composto la colonna sonora della nostra quotidianità”.

Il riferimento è al volume pubblicato da Carocci e scritto da Serena Facci e Paolo Soddu, intitolato: “Il festival di Sanremo. Parole e suoni raccontano la nazione”.

Il festival di Sanremo. Parole e suoni raccontano la nazioneEcco la scheda del libro: “Il 30 gennaio 1964 Gigliola Cinquetti, accollata in un abitino acqua e sapone e lanciando occhiate maliziosamente candide, debuttò a Sanremo: “Non ho l’età”, ideata da professionisti di lungo corso come Nisa, Panzeri e Colonnello, non era solo l’efficace confezione melodica di un testo esile con un buon attacco. Era il frammento di un più complessivo discorso sulla nazione e in questo caso una delle risposte alla sfida dell’autodeterminazione femminile e della libertà sessuale. Quella serata non è che un tassello di una foto di famiglia lunga 60 anni nella quale riconosciamo volti e voci diventati monumenti nazionali incontestati (da Nilla Pizzi a Domenico Modugno, da Mina a Vasco Rossi) discussi (da Claudio Villa a Orietta Berti fino a Toto Cutugno), alcuni dimenticati, altri ancora freschissimi. La tradizione era iniziata nel 1951: l’Italia non riusciva a rielaborare le ferite del recente passato e preferiva alludere a sé stessa ricomponendo come poteva, con leggerezza quasi frivola, reminiscenze da melodramma o realismo da chansonnier, pezzi di una nazione che aspirava alla democrazia e alla modernità. Il Festival è arrivato indenne, sorvolando mille traversie, fino a questi giorni: non è solo audience, kermesse, dietrologie e pettegolezzi, noia o passione; è anche uno dei momenti in cui una fibrillante democrazia occidentale si racconta e si interroga”.

Gli amici della redazione di Fahrenheit, che hanno invitato in trasmissione uno dei due autori del libro citato, Paolo Soddu (docente di storia contemporanea alla facoltà di Musicologia dell’Università di Pavia), si domandano…

1. Quali sono le ragioni della lunga durata e dell’eco che ha avuto e continua ad avere la gara che dal 1951 si svolge annualmente a Sanremo?

2. Ragionare su Sanremo può aiutare a decifrare l’evoluzione della cultura nazionale-popolare nell’Italia repubblicana?

3. Esiste un nesso tra l’appuntamento annuale e l’evoluzione storica del paese?

Aggiungo altre domande, per favorire una possibile discussione sull’argomento e sul Festival della canzone italiana in corso quest’anno:

4. Più in generale: cosa ne pensate del Festival di Sanremo?

5. Fino a che punto ha contribuito, nel tempo, alla crescita e alla diffusione della canzone italiana?

6. Ritenete che abbia contribuito anche alla internazionalizzazione della cultura italiana e dell’immagine dell’Italia nel mondo?

7. A vostro avviso, contribuisce di più il Festival di Sanremo allo sviluppo della canzone italiana o i Festival letterari (vedi Mantova) alla crescita della nostra letteratura?

8. E questo Festival? Vi sembra all’altezza dei precedenti? Meglio? Peggio?
Su quale canzone puntereste?

9. Anzi, domanda secca: chi vincerà?

Come sempre, grazie per l’attenzione e la partecipazione.

Massimo Maugeri

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UN ROMANZO SU SANREMO

Un bel romanzo ambientato al Festival di Sanremo lo ha scritto Alessandro Zaccuri: si intitola Infinita notte (Mondadori, pagg. 272, euro 18,50).
Col precedente, Il signor figlio (Mondadori, 2007), a Zaccuri era stato tributato il premio Selezione Campiello.
Infinita notte è un romanzo su Sanremo ambientato a Sanremo, zeppo di svariati personaggi (dirigenti Rai, rapper, fan, cantanti, manager, conduttori, giornalisti) messi in scena attingendo a piene mani dalla realtà. Di seguito potrete leggere la recensione di Ranieri Polese, pubblicata sul Corriere della Sera del 13 gennaio (da cui capirete meglio il plot).

Massimo Maugeri

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ALESSANDRO ZACCURI Infinita notte MONDADORI PP. 280, euro 18

di Ranieri Polese (Corriere della Sera del 13/01/2009)

Un romanzo con il titolo di una canzone inventata (Infinita notte) e 23 capitoli ciascuno intitolato con una canzone, vera, che ha vinto Sanremo (da «Grazie dei fiori» ad «Angelo»): dopo il Leopardi de Il signor figlio, Alessandro Zaccuri (nella foto) fa un bel salto. E dai complessi rapporti del poeta con il padre Monaldo (nel libro del 2007 si immaginava Giacomo scampato al colera di Napoli e rifugiato sotto falso nome a Londra) passa a raccontarci le storie che si intrecciano all’ombra del Festival, le strategie della tv, l’agitato popolo dei giornalisti, i sospetti casi di corruzione, i tipi più o meno curiosi che per disparate ragioni si ritrovano nella settimana fatidica a due passi dall’Ariston. «Ma poi tanta distanza fra Leopardi e Sanremo non c’è» scherza Zaccuri, 45 anni, giornalista di Avvenire, scrittore, e conduttore de «Il grande talk» su Sat2000, dedicato all’analisi dei linguaggi e dei programmi televisivi. «Intanto, sono due icone dell’ italianità. Poi, il Leopardi che tutti conoscono a memoria è un Leopardi sanremizzato, zuccheroso, donzellette e passeri solitari, molto diverso dal pensatore crudele, difficile che in realtà era». Sì, però, Sanremo… «È una realtà importante, con una lunga storia alle spalle, resta ancora lo spettacolo numero uno per cui si mobilitano giornali radio e tv. È il dolce tradizionale italiano che tale rimane anche se gli ingredienti della torta sono mutati». Colto ma non per questo viziato da snobismi, Zaccuri guarda a Sanremo come la nostra Nashville, il tempio della musica country americana. «E per il romanzo mi è servito molto rivedere il film di Robert Altman, con il suo mosaico di microstorie che si compongono intorno alle esibizioni dei cantanti e ai loro refrain». Così, senza perdere di vista il lavoro degli autori dei testi e dei responsabili Rai, con un occhio puntato sul non-luogo per eccellenza, la sala stampa che sta all’ultimo piano del Teatro Ariston, Zaccuri congegna tre storie che si snodano su quello sfondo di fiori e canzonette. C’ è l’autore outsider, Raffaele Maria Ferri, già collaboratore dei programmi di Funari e ora scrittore bestseller di un libro-reportage (Tassì Draiv, 800 mila copie) su quello che i tassisti dicono: da Roma gli arrivano notizie belle e brutte, la moglie gli dice che aspetta un bambino, il padre invece è ricoverato senza più speranza. Vorrebbe scappare ma sa che lì si sta giocando qualcosa di molto importante. Poi c’è il rapper SliverG, che si fa chiamare anche Gabo, è arrivato da Roma all’insaputa di un padre molto importante: una sua canzone («Il punto G») è stata rifiutata, ma lui bombarda le strade intorno all’Ariston con un’altra sua composizione, «Infinita notte» (da qui il titolo), che resta nella mente. Infine, del tutto estraneo alla grande kermesse, c’ è anche Miles De Michele, manager italo-americano che si lascia fregare da un mafioso russo in un giro di danaro sporco al Casinò; a portarlo in questo imbroglio è Jeanne, una bellissima ragazza di Mauritius che lo fa innamorare parlandogli della sua omonima Jeanne d’Arc. Infinita notte (Mondadori) è uscito in libreria il 16 gennaio, un mese prima dell’inizio del Festival numero 59 (17-21 febbraio), che segna il ritorno di Paolo Bonolis. E che già occupa i giornali con polemiche a non finire, per un testo sui gay, per il rifiuto di una canzone firmata Sgarbi ecc. «L’ unico Sanremo che ho seguito interamente, in sala stampa con tutti gli altri, è stato quello del 2005, il primo di Bonolis – ricorda Zaccuri -. Forse nel personaggio del Conduttore c’è qualcosa di lui, ma non solo. Il libro l’avevo già scritto a febbraio del 2008, non volevo fare pronostici. Del resto il Sanremo di cui racconto è il numero 60, quello che ci sarà nel 2010». Sì, però ci sono figure molto bene identificabili, tre giornalisti per esempio: lo Stregatto, la Regina di cuori e il Presidente emerito della Sala stampa: ovvero, Mario Luzzatto Fegiz («Corsera»), Marinella Venegoni («Stampa»), Paolo Zaccagnini («Messaggero»). «Sì, sono loro, ma sono anche i pilastri di quel luogo, e ho voluto render loro un omaggio». Su altre figure si gioca più di fantasia: per esempio, Miriam Cascella, eminenza Rai che conosce e manovra i delicati equilibri del potere. O sulla super-ospitata di Britney Spears, convertita da Madonna alla spiritualità della cabala. Intanto il rapper Gabo tappezza le porte del teatro con scritte che tutti ritengono pericolose minacce eversive; la cosa passa su You Tube, l’atmosfera si riscalda, nel giro entrano Fancy e Vanessa, due ragazzine di Torino calate in Riviera per vedere i cantanti, che subito s’innamorano del cantante di strada. E poi c’è la «nuova proposta» Sarah X, già pornostar, inevitabile scandalo da prima serata. Anche se fiction, questo Sanremo di Alessandro Zaccuri è terribilmente verosimile. Resta da chiedersi, da chiedergli, che cos’è veramente Sanremo. «Negli anni ‘50 – ‘60 è stato veramente il grande romanzo popolare italiano, lo specchio in cui la gente poteva proiettare i propri sogni. Poi, superata la crisi degli anni ‘70 (la Rai per anni si limitò a trasmettere in tv solo la finale), il Festival ha cambiato pelle e sostanza. È diventato un grande evento televisivo, ospiti internazionali di richiamo, comici, intrattenimento, tutto pensato per l’Auditel, con le canzoni che perdevano la loro centralità. Certo, seppure con tutti questi condizionamenti, Sanremo è l’unico momento in cui la tv si occupa di musica italiana. Prima, per lunghissimi anni, era l’unico Festival, “il Festival”. Ora i festival si sono moltiplicati (Mantova, Roma, Modena eccetera, letteratura, cinema, filosofia). E certe regole – il divismo, le passerelle – si sono diffuse anche in altri contesti. Però Sanremo rimane un grande campionario di umanità, sarebbe sbagliato giudicarlo come un format, un clone di qualche reality. Realmente qui succede qualcosa, ci sono persone che ci mettono i loro sogni, le loro capacità. Non ci sono solo i personaggi. Un romanzo questo deve fare: scoprire la persona dietro il personaggio».
Ranieri Polese

da Corriere della Sera del 13 gennaio 2009, pag. 42

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LIBRI PUBBLICATI ALLA VIGILIA DI SANREMO 2020

70 Sanremo. Ediz. illustrata - copertina“70 Sanremo. Ediz. illustrata” di John Vignola (Rai Libri)

Un volume ricco di dichiarazioni di repertorio e testimonianze dei grandi protagonisti delle diverse edizioni dal 1951 a oggi (da Mike Bongiorno a Pippo Baudo e Fabio Fazio, da Gianni Morandi, Romina Power e Al Bano a Giorgia ed Elisa), che ripercorre, decade dopo decade, la lunga vita del Festival della canzone. A ogni decade sarà dedicata una scheda tecnica ricca di momenti epici e apicali, foto degli interpreti e curiosità, restituendone i colori, il folklore e i cambiamenti. Perché Sanremo, da sempre, rappresenta da un lato un grande momento di aggregazione familiare e dall’altro un ritratto della cultura popolare, di cui la Rai è sempre stata il medium catalizzatore e il grande narratore.

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Il festival di Sanremo. 70 anni di storie, canzoni, cantanti e serate - Eddy Anselmi - copertina“Il festival di Sanremo. 70 anni di storie, canzoni, cantanti e serate” di Eddy Anselmi (De Agostini)

Un viaggio nel tempo, nella musica, nella storia, nei ricordi e nelle emozioni di tutti noi: 70 anni di storie, canzoni, cantanti e serate.

Dall’esordio nel 1951 all’edizione 2019. Tutto – ma proprio tutto – quello che c’è da sapere sul festival più amato dagli italiani: le serate, le canzoni, gli autori, gli interpreti, le classifiche, le curiosità, i vincitori e i vinti, la televisione, i presentatori e i dietro le quinte. E quel “Sanremo d’Europa” che è l’Eurovision Song Contest.

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Almanacco del festival di Sanremo. Storia del festival alla vigilia della 70ª edizione - Marino Bartoletti,Lucio Mazzi - copertina“Almanacco del festival di Sanremo. Storia del festival alla vigilia della 70ª edizione” di Marino Bartoletti e Lucio Mazzi (Gianni Marchesini Editore)

Marino Bartoletti, massimo conoscitore della storia del Festival, racconta edizione per edizione la più importante manifestazione canora italiana. Il libro vanta la prefazione di Renzo Arbore, Pippo Baudo e Carlo Conti. Per ogni edizione si trovano i dati essenziali, la cronaca e le serate, le classifiche, le foto, la canzone vincente e quella simbolo, i dischi più venduti in Italia e nel mondo, gli eventi di quell’anno in Italia e nel mondo. E le analisi di Marino Bartoletti.

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REMO RAPINO VINCE IL PREMIO CAMPIELLO 2020 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/09/06/remo-rapino-vince-il-premio-campiello-2020/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/09/06/remo-rapino-vince-il-premio-campiello-2020/#comments Sat, 05 Sep 2020 22:02:35 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8571 * * * Remo Rapino con “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio” (minimum fax) ha vinto la 58/ma edizione del Premio Campiello. Lo scrittore ha beneficiato di 92 voti [...]]]> https://64.media.tumblr.com/349a26e7961d7ea0315e0b3ef000de0c/e28be320ae583eb5-c4/s1280x1920/bd88b615e51ca3cb7a8dbe3030d421d91604776d.jpg

Remo Rapino ha vinto l’edizione 2020 del Premio Campiello con il romanzo “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio” (minimum fax)

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Remo Rapino con “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio” (minimum fax) ha vinto la 58/ma edizione del Premio Campiello.

Image from LETTERATITUDINE (di Massimo Maugeri)Lo scrittore ha beneficiato di 92 voti sui 264 giunti complessivamente dalla Giuria Popolare dei Trecento Lettori Anonimi.

[Clicca qui per visualizzare il video su YouTube]

In seconda posizione si è piazziato Sandro Frizziero con “Sommersione” (Fazi), 58 voti, al terzo posto Ade Zeno con “L’incanto del pesce luna” (Bollati Boringhieri), 44 voti, al quarto posto Francesco Guccini con “Trallumescuro. Ballata per un paese al tramonto” (Giunti), 39 voti, in quinta posizione Patrizia Cavalli con “Con passi giapponesi” (Einaudi), 31 voti.

Remo Rapino ha dichiarato: «Dedico questo Campiello a mio padre che nasce nel 1926 e muore nel 2010 e lo faccio nascere e uscire dal mondo come Liborio. Questa sera mancava solo lui, avrei davvero voluto che ci fosse. Liborio è una voce che, raccontando se stesso, racconta un secolo di storia e lo fa da una periferia esistenziale e dà voce a quelli che non hanno voce, agli ultimi della fila, agli emarginati

La finale, condotta dalla giornalista Cristina Parodi, si è aperta ricordando Philippe Daverio attraverso l’omaggio del presidente de La Fondazione Il Campiello Enrico Carraro e della Giuria dei Letterati: «Senza di lui la Giuria del Premio Campiello non sarà più la stessa. Al dolore della perdita si affianca il vivo ricordo della sua presenza, durante riunioni di giuria che diventavano anche incontri tra amici, in quello che lui definiva scherzosamente “il circolo Pickwick”. L’ironia, l’autoironia, la leggerezza, l’umorismo, il gusto dell’aneddoto, il Witz instancabile, la curiosità intellettuale, la rarità di un personaggio pubblico che coincideva a tutti gli effetti con la persona privata, senza schermi e infingimenti: sono tutti doni che porteremo con noi e che colpivano chiunque avesse la fortuna di conoscerlo.»

La Giuria dei Trecento Lettori Anonimi della 58^ edizione del Premio Campiello era così composta: 51,3% donne e 48,7% maschi, 20 casalinghe, 35 imprenditori, 102 lavoratori dipendenti, 88 liberi professionisti e rappresentanti istituzionali, 30 pensionati, 25 studenti.

Martedì 15 settembre il vincitore sarà al Teatro Olimpico di Vicenza (insieme a Veronica Galletta, vincitrice dell’Opera Prima) per una serata nata dalla sinergia tra Fondazione il Campiello, la Biblioteca Bertoliana, il Comune di Vicenza e Confindustria Vicenza.

Durante la cerimonia sono stati premiati anche i vincitori degli altri riconoscimenti previsti dalla Fondazione Il Campiello: il vincitore della 25^ edizione del Campiello Giovani, Michela Panichi con il racconto “Meduse, l’Opera Prima, assegnata a Veronica Galletta per il romanzo “Le isole di Norman” (Italo Svevo), il Premio Fondazione Il Campiello, il riconoscimento alla carriera attribuito quest’anno ad Alessandro Baricco.

Ha assistito alla serata un parterre di circa 1400 invitati tra ospiti istituzionali, rappresentanti del mondo imprenditoriale, della cultura e delle case editrici.

Tra gli ospiti: Carlo Bonomi (Presidente di Confindustria), Francesco Boccia (Ministro per gli Affari Regionali e Autonomie), Luigi Brugnaro (Sindaco di Venezia) e molti rappresentanti del mondo industriale.

Per il mondo dell’editoria: Elido Fazi (Presidente di Fazi Editore), Alberto Gaffi (Presidente di Italo Svevo), Piergaetano Marchetti (Vice Presidente de La Nave di Teseo), Stefano Mauri (Presidente e Amministratore Delegato del Gruppo GeMS), Luca De Michelis (Amministratore Delegato di Marsilio Editore).

I premi per i finalisti del Premio Campiello e dell’Opera Prima sono stati realizzati da Salviati, che dal 1859 è tra le fornaci di eccellenza che operano nel vetro di Murano. Il premio in vetro per il vincitore del Campiello Giovani è stato realizzato dalla Scuola del Vetro Abate Zanetti. Le calzature indossate dalle hostess sono disegnate dall’azienda Rossimoda. Il materiale di comunicazione è stato realizzato da Grafiche Antiga grazie alla creatività di Studio Lanza. L’omaggio dei cinque libri finalisti è stato reso possibile grazie alla collaborazione di UCIMU e al packaging di Printmateria che ha realizzato tutti gli allestimenti dei diversi appuntamenti.

La Cerimonia di Premiazione del Campiello è stata trasmessa in diretta in diretta streaming sul sito www.raicultura.it e sulla pagina Facebook ufficiale www.facebook.com con il live tweeting sull’account ufficiale @PremioCampiello seguendo l’hashtag #PremioCampiello2020. La finale del Premio Campiello sarà poi trasmessa in differita su Rai5 il prossimo 19 settembre in prima serata.

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La scheda del romanzo vincitore del Premio Campiello 2020: “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio” di Remo Rapino (minimum fax)

[Nella dozzina del Premio Strega 2020.  Finalista Premio Napoli 2020, sezione Narrativa]

Attraverso il miracolo di una lingua imprevedibile, storta e circolare, a metà tra tradizione e funambolismo, Remo Rapino ha scritto un romanzo che diverte e commuove, e pulsa in ogni rigo di una fragile ma ostinata umanità, quella che soltanto un matto come Liborio, vissuto ai margini, tra tanti sogni andati al macero e parole perdute, poteva conservare.

Liborio Bonfiglio è una “cocciamatte”, il pazzo che tutti scherniscono e che si aggira strambo e irregolare sui lastroni di basalto di un paese che non viene mai nominato. Eppure nella sua voce “sgarbugliata” il Novecento torna a sfilare davanti ai nostri occhi con il ritmo travolgente e festoso di una processione con banda musicale al seguito. Perché tutto in Liborio si fa racconto, parola, capriola e ricordo: la scuola, l’apprendistato in una barberia, le case chiuse, la guerra e la Resistenza, il lavoro in fabbrica, il sindacato, il manicomio, la solitudine della vecchiaia. A popolare la sua memoria, una galleria di personaggi indimenticabili: il maestro Romeo Cianfarra, donn’Assunta la maitressa, l’amore di gioventù Teresa Giordani, gli amici operai della Ducati, il dottore Alvise Mattolini, Teté e la Sordicchia… Dal 1926, anno in cui viene al mondo, al 2010, anno in cui si appresta a uscire di scena, Liborio celebrerà, in una cronaca esilarante e malinconica di fallimenti e rivincite, il carnevale di questo secolo, i suoi segni neri, ma anche tutta la sua follia e il suo coraggio.

Proposto per il Premio Strega 2020 da Maria Ida Gaeta: «È un libro non collocabile facilmente né per generazione né per lingua in un contesto già noto della narrativa italiana. È un libro che sorprende per la scatenata vitalità e autenticità della lingua. È un libro che poggia sapientemente su una grande tradizione ed è popolare. Sta dalla parte dei matti, degli idioti, fuori dai margini, dove spesso sta la letteratura o comunque dove la letteratura sa stare. Un libro in cui un “cocciamatte” di paese, un uomo che non ha mai conosciuto il padre e che ha perso la madre da ragazzino, ormai anziano, solo, racconta in prima persona la sua vita e nel farlo riattraversa buona parte del Novecento. Con un linguaggio gergale e personalissimo, intriso di dialetto abruzzese, scorrono le vicende di una esistenza segnata da una infanzia e una giovinezza povere , il servizio militare in Friuli, il ritorno a casa, di nuovo la ripartenza per cercare lavoro al nord, il lavoro in fabbrica, lo sfruttamento e la scoperta della politica, il legame e la solidarietà con gli altri emarginati, la disillusione e la fine dei sogni di riscatto, il carcere e il manicomio, fino al definitivo ritorno al paese dove viene accolto come “cocciamatte” e da questa condizione si mette a scrivere, a più di ottanta anni e prima di morire. E scrive con grandissima umanità, commuovendo e divertendo i lettori. È un romanzo che ha una voce. Le vicende narrate e lo stile della scrittura sono il personaggio stesso, coincidono. Il matto Liborio con la sua vita sconquassata, con il suo parlato /scritto, con i suoi amici e i suoi nemici, con la solitudine che lo avvolge, si fa ascoltare e ci conquista.»

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Remo Rapino è stato insegnante di filosofia nei licei. Vive a Lanciano. Ha pubblicato i racconti Esercizi di ribellione (Carabba 2012) e alcune raccolte di poesia, tra cui La profezia di Kavafis (Moby-dick 2003) e Le biciclette alle case di ringhiera (Tabula Fati 2017).

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OMAGGIO A SEBASTIANO ADDAMO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/07/15/il-giudizio-della-sera-di-sebastiano-addamo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/07/15/il-giudizio-della-sera-di-sebastiano-addamo/#comments Wed, 15 Jul 2020 16:40:29 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=1099 In occasione del ventennale della morte di Sebastiano Addamo (Catania, 18 febbraio 1925 – Catania, 9 luglio 2000) mettiamo in primo piano questo post (con relativo dibattito online) incentrato sull’opera principale dello scrittore catanese: “Il giudizio della sera”

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IL GIUDIZIO DELLA SERA di Sebastiano Addamo

È arduo pensare di riproporre ai lettori di oggi un romanzo uscito senza alcun clamore 35 anni fa. Arduo se non altro perché le novità editoriali sono tante da creare tempeste sui banconi dei librai. Eppure la qualità letteraria di alcuni vecchi libri è tale da giustificare l’azzardo.
Con queste parole Matteo Collura inizia la recensione del romanzo “Il giudizio della sera”, di Sebastiano Addamo (nella foto), ripubblicato da Bompiani nel 2008 a cura di Sarah Zappulla Muscarà (originariamente pubblicato, nel 1974, da Garzanti).
Poi, lo stesso Collura, nella suddetta recensione (pubblicata sul Corriere della Sera del 14 ottobre 2008) conclude: Non è da credere in un successo postumo di questo narratore, che fu preside di liceo e fine intellettuale, ma in una sua giusta collocazione nell’ambito dei valori letterari del secondo Novecento italiano, sì. E va dato atto alla Bompiani di tentarci (…).

Sebastiano Addamo, mio conterraneo, è nato a Catania, nel 1925 e ivi si è spento nel 2000. Non lo so se – riprendo le parole di Collura – il successo postumo arriderà ad Addamo, ma (nel mio piccolo) avverto l’esigenza di fare quanto possibile per divulgare la conoscenza di questo autore e delle sue opere; proprio a partire da questo romanzo: “Il giudizio della sera”.

Sulla nota in quarta di copertina del libro, leggiamo quanto segue: “Narratore, poeta, saggista, Sebastiano Addamo ha percorso un cammino coerente, sostenuto sempre da rigore stilistico e morale. È l’universo siciliano a nutrire l’immaginario dello scrittore, che già pienamente si esprime in questo romanzo di formazione, toccando corde tematiche di grande intensità emotiva: il viaggio di conoscenza reale e simbolico di cinque adolescenti. La Catania di Addamo non è quella “molle e pastosa” che da l’impressione di “camminare in mezzo al sole” di Vitaliano Brancati, né quella aperta sul mare, “luccicante sotto il sole a picco” di Ercole Patti, ma quella misera, squallida, del quartiere della prostituzione, teatro della guerra e del fascismo. Un quartiere che diviene il simbolo del degrado del nostro tempo.”
Vi invito a leggere questo post, e a discutere di questo libro e della figura Sebastiano Addamo, partendo dai contributi che troverete di seguito: la recensione di Laura Marullo (che mi darà una mano a coordinare e a moderare il post), quella – già citata – di Matteo Collura e la prefazione della curatrice del libro: Sarah Zappulla Muscarà.
Inoltre, come sempre, mi piacerebbe avviare una discussione parallela a quella sul libro. Mi colpisce molto il titolo di questo romanzo di Addamo (Il giudizio della sera). Un titolo che – come meglio evidenziato dai contributi a seguire – ha una forte valenza “nicciana”.
A me il giudizio della sera evoca l’immagine di uno specchio in cui ciascuno di noi – volente o nolente – è costretto a guardarsi… alla fine di un giorno della nostra vita, o di un periodo, o di un’esistenza intera.
Vi chiedo di affondare lo sguardo in quello specchio e vi domando (domanda difficilissima): qual è il giudizio della vostra sera?
(chi avrà il coraggio di rispondere?)
E poi (domanda più generica): il giudizio della sera è più un trampolino di lancio o un ostacolo per il giorno (o il periodo) che verrà?
Attendo i vostri contributi.
Massimo Maugeri

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Sebastiano Addamo, “Il giudizio della sera”, a cura di Sarah Zappulla Muscarà, Milano, Bompiani, 2008, pp. 159.

recensione di Laura Marullo


Una deflagrante ansia di annientamento sottende il vitalistico moto di rivolta di cinque adolescenti lentinesi contro la tanatofila “era dei Padri” di una Catania asservita al fascismo e sconciata dal secondo conflitto mondiale nel romanzo di Sebastiano Addamo “Il giudizio della sera”, apparso da Garzanti nel 1974 ed ora pubblicato per i tipi di Bompiani a cura di Sarah Zappulla Muscarà. Un’opera di rilevante interesse nell’ambito della letteratura siciliana di fine secolo per avere indagato, con impietoso mordente demistificatorio, la crisi dei sistemi di valore di una società e di un’intera epoca, la delusione ideologica del Novecento che apre inaspettatamente alla speranza sia pure attraverso la freudiana esperienza, dolorosa ma necessaria, del “parricidio”. Vi riconduce il nicciano titolo che, per il tramite dell’ambigua immediatezza dell’aforisma, forma prediletta perché assiduamente praticata da Addamo, immette nella dimensione dell’attivismo superomistico che invita a superare l’inquietudine esistenziale provocata dalla guerra ed affermare l’esigenza di un radicale rinnovamento etico.
Romanzo di formazione in cui fa incursione l’autobiografia, “Il giudizio della sera” ripercorre il tortuoso itinerario di conoscenza dei giovani protagonisti, Gino, “alter ego” dello scrittore, Pippo, Carletto, Gianni e Morico, in un’avventura vitale alla scoperta del sesso che si contrappone allo scenario di “morte immanente” di cui è espressione il capillare luridume del quartiere a luci rosse di San Berillo, “regno delle prostitute”, dove aleggia “odor di cesso e di piscio di gatto […], odore di putrefazione e di liquami infetti”, funerea metafora del degrado materiale e morale di un “mondo borghese che ancora non sapeva di contemplare la propria morte”. Come sottolinea la curatrice nel lucido saggio introduttivo, “l’istintualità esuberante, il febbrile desiderio di sperimentazione fortemente collide con la sempre più stagnante, fatiscente, truce atmosfera cittadina soffocata dal giogo del fascismo e della guerra”. Immersa nel torpore e nell’indolenza, la “vecchia siciliana malinconia della morte e del disfacimento”, in quell’oblomovismo che afferma l’esistere astenendosi dall’agire, la Catania di Addamo, materica più che immaginifica, esibisce i sintomi di quella letale “malattia che era la guerra” già impressi sui volti di un’umanità derelitta, di esseri disperati preda di un’ancestrale inedia, in cui la reificazione e la mercificazione sanciscono l’alienazione e l’angoscia del nulla. Ne emerge un’antropologia negativa, ritratta con cruda deformazione espressionistica ma sempre con forte partecipazione emotiva, in cui orde fameliche di prostitute sciamano, lasciando echi lugubri e perverse, lungo le vie del sesso, via delle Finanze, via Coppola, via Di Prima, via di Sangiuliano, imbrattate di quel “vasto putrescente addobbo escrementizio” che è a un tempo simbolo e rifiuto della guerra: “Tutto divenne guerra. […] Sopravvenne l’odore di piscio. Inopinatamente, senza alcun preavviso, dilagò, s’impose, si impossessò della città. […] La guerra dilagò con tale odore”. È una ferale sociologia degli odori quella di cui si serve Addamo per mostrare le ferite suppuranti di una città ammorbata e ribadire il suo atto di accusa nei confronti delle distorsioni del potere e dell’abiezione della guerra. Ma la guerra, osserva acutamente Sarah Zappulla Muscarà, “non è quella di lunghe, inespugnabili trincee, di mirabolanti avanzate, di manovre vittoriose propagandate da mendaci bollettini del regime. […] È quella delle ‘carte da lutto’ affisse alle porte delle vedove ridotte alla prostituzione, dei volti sformati, disperati di creature forsennate”.
Accentuando una disposizione analitica favorita dal fertile humus di Lentini, patria di Gorgia, Sebastiano Addamo, “poeta-pensatore” come non a caso lo definì Leonardo Sciascia cui lo unì una comunione d’intenti letterari ed esistenziali, l’impegno civile, la tensione morale, il pessimismo ontologico, armato degli strumenti della riflessione filosofica, evidenti in un tessuto narrativo intramato da un fitto citazionismo puntualmente decriptato dalla curatrice che ne individua la fonte nell’opera di Kirkegaard, Schopenhauer, Nietzsche, Freud, Heidegger, Husserl, Sartre, fra gli altri, ingaggia una strenua lotta di liberazione da tutte le forme di ipocrisia sulle quali ha allignato la civiltà occidentale e la cultura meridionale. Lo documenta la dissacrazione di archetipi a falsi miti di cui è sconcertante metafora l’insano amplesso del giovane Gino con la degenere, laida figura materna della padrona della squallida pensione e infine lo scenario apocalittico del bombardamento aereo su Catania che traduce l’attesa palingenetica di un mondo migliore da quello consegnato dai Padri.
L’ironia provocatoria, il raziocinare pensoso, il moralismo risentito, innervano un impianto narrativo sdoppiato nei piani paralleli della memoria e della riflessione, destrutturando la tradizionale forma romanzesca mediante l’intervento di “chiose spiegative” che, come un manzoniano “cantuccio dell’autore”, danno voce al grido di protesta di quei “chierici traditi”, quegli intellettuali ai quali, ribadisce lo scrittore, bisogna “guardare per sapere quale è la posizione più utile”.
Sospinto da un sentimento di “laica trascendenza” che miri alla rivelazione dell’“oltre” a partire dall’oscurità in cui vive l’uomo moderno in seguito al crepuscolo degli idoli, come il nicciano viandante con la lanterna in mano, Sebastiano Addamo stana, lumeggiandola con i lampi della sua scrittura, la scotofilia di anonimi piccolo-borghesi, sempre animato dal raggiungimento di un superiore imperativo etico che dà corpo alla cifra stilistica di tutta l’opera sua.
Laura Marullo

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Addamo, la Sicilia come filosofia

di Matteo Collura

da il Corriere della Sera del 14-8-2008

È arduo pensare di riproporre ai lettori di oggi un romanzo uscito senza alcun clamore 35 anni fa. Arduo se non altro perché le novità editoriali sono tante da creare tempeste sui banconi dei librai. Eppure la qualità letteraria di alcuni vecchi libri è tale da giustificare l’ azzardo. È il caso del breve romanzo di Sebastiano Addamo dal bel titolo Il giudizio della sera, pubblicato da Garzanti nel 1974 e ora ristampato da Bompiani (pp. 159, 8,60), con una nota critica di Sarah Zappulla Muscarà, cui certamente si deve la riproposta. Addamo racconta di una comunità siciliana negli anni della Seconda guerra mondiale vista con gli occhi di alcuni adolescenti. Una sorta di romanzo di formazione, dove prevale l’ abilità narrativa, senza eccessivi ricami e tuttavia complessa, piena, fortemente evocativa e in grado di restituire il senso di un momento storico in quel particolare luogo, Catania. Niente a che vedere – sia ben chiaro – con Brancati o con Ercole Patti o con Vittorini (e facciamo questi nomi perché il luogo di cui Addamo racconta è una città della Sicilia orientale e perché nella scoperta del sesso, evento centrale nel romanzo, si potrebbe pensare al Garofano rosso); niente a che vedere altresì con i narratori siciliani oggi più presenti nell’ attenzione dei lettori e della critica. Con questo romanzo, Sebastiano Addamo riesce a dare – ecco giustificata appieno la scelta della casa editrice Bompiani – un ritratto primigenio dell’ isola e nello stesso tempo attuale: di una attualità chiarificatrice per chi vuol darsi la pena di capire la patria di Gorgia e di Pirandello, oltre che gustarla nel suo sconcertante esotismo. In questo romanzo troverete inserti o pause esplicative non dico indispensabili, ma certamente utili a meglio comprendere la contorta filosofia siciliana, mostrandola nelle sue semplici impalcature primitive. Un esempio: «Al mio paese, ma in molti paesi, e specie del Sud e della Sicilia, come c’ era un fascismo d’ accatto, miserabile, fatuo e minchionesco, così c’ era un’ opposizione pure d’ accatto, molto misteriosa, quasi inutile, risentita, e sia pure onesta. Ma come il marxismo fu la coscienza del proletariato e diventò la coscienza per la stessa borghesia – il neocapitalismo cosiddetto che cosa è, se non appropriazione e uso del marxismo ma nel senso contrario? -, così, all’ inverso, un sistema ridicolo e imbelle produce un’ opposizione se non ridicola certo imbelle». O ancora: «Nella prevalenza della natura c’ è esattamente il limite della storia. Forse per questo la Sicilia sta ancora attendendo la “sua” storia». Ecco, forse Corrado Alvaro può andar bene se proprio si vogliono trovare apparentamenti all’ autore del Giudizio della sera, o Sebastiano Aglianò, cui dobbiamo la sempre utile inchiesta rudemente intitolata Che cos’ è questa Sicilia?. Anche se nella descrizione delle plebi catanesi e delle prostitute sospinte nel baratro dell’ abiezione si coglie una luciferina cifra narrativa che potrebbe far pensare a Curzio Malaparte. Ma Addamo – e si vedrà meglio se altri suoi libri verranno riproposti – ha lasciato una sua personale impronta letteraria. Alcuni suoi titoli vanno ricordati: Un uomo fidato, 1978; I mandarini calvi, 1978; I chierici traditi, 1978; Le abitudini e l’ assenza, 1982, Palinsesti borghesi, 1987. Carlo Bo, esattamente trent’ anni fa, annotava: «Addamo è uno scrittore che aspetta ancora il suo momento, un momento che forse non verrà mai, data la natura del giuoco letterario predominante e dato anche il carattere estremamente riservato dello scrittore». Non è da credere in un successo postumo di questo narratore, che fu preside di liceo e fine intellettuale, ma in una sua giusta collocazione nell’ ambito dei valori letterari del secondo Novecento italiano, sì. E va dato atto alla Bompiani di tentarci, così come sta facendo con altri autori per fortuna tra noi, come Giuseppe Bonaviri di cui sono appena usciti i racconti fantastici raccolti sotto il titolo L’ infinito lunare (p. 288, 9,20).
Matteo Collura

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Come i neofiti dell’oscuro
di Sarah Zappulla Muscarà

Il giudizio della sera. Chi ripensa all’opera della sua giornata e della sua vita, quando è arrivato stanco alla fine, giunge di solito ad una malinconica considerazione: tuttavia la colpa di ciò non sta nel giorno e nella vita, bensì nella stanchezza. Immersi nell’attività, non abbiamo di solito il tempo per esprimere giudizi sulla vita e sull’esistenza, e neppure quando siamo nel pieno del godimento: ma se una volta arriviamo a far ciò, non diamo più ragione a colui che ha aspettato il settimo giorno e il riposo per trovare molto bello tutto ciò che esiste, – egli ha perduto il momento migliore”. Così Friedrich Nietzsche con la frantumazione, l’ambiguità, l’immediatezza dell’intuizione dell’aforisma che è, osserva Sebastiano Addamo, “come il lampo nella notte: la illumina vivissimamente, ma subito dopo rende il buio più denso e compatto”.
Dettato da acre riflessione critica sulla condizione della società italiana sconvolta dalla drammaticità degli eventi bellici del secondo conflitto mondiale, dall’esigenza di fornire una risposta all’angoscia nichilista e all’inquietudine esistenziale scaturite dal disfacimento etico, ideologico e religioso dell’Occidente, metafora della negazione della cultura dei padri, dell’alienazione e della reificazione, Il giudizio della sera (apparso per la prima volta nel 1974, per i tipi di Garzanti) è dolente allegoria della variegata fenomenologia umana contemporanea sospesa in perpetuo travaglio tra bene e male, luce e buio, slancio vitale e meditazione sul nulla. Una dialettica di antinomie tesa a superare il pessimismo, il male di vivere, la crisi del potere con i suoi frutti avvelenati, per affermare l’esigenza di un radicale rinnovamento, di un energico ribaltamento di valori, contrapporre con Albert Camus al mito di Sisifo l’uomo in rivolta, addomesticare l’“assurdo”, sancire la fine di un’epoca e il palesarsi di un’altra. Per non perdere “il momento migliore”. Fosse pure quello del “parricidio”.
Sorretto da salda cultura filosofica e letteraria, lucida, cartesiana razionalità, sfiduciata visione del mondo, Sebastiano Addamo, d’impervia e contratta malinconia, ripercorre, con occhi invasi di smagato, irredimibile risentimento, il viaggio di conoscenza reale e simbolico di cinque adolescenti siciliani, braccati dai demoni di una città e di un presente di illusori miraggi, che si traduce in una vera e propria discesa agli inferi.
Al Bildungsroman, romanzo di formazione e generazionale, in Il giudizio della sera si affianca, in termini manifesti, la prospettiva dell’autobiografia. Gino, alter ego dello scrittore, Pippo, Carletto, Gianni, e Morico, abbandonata Lentini per seguire gli studi liceali a Catania, avviano un tortuoso processo di crescita attraverso l’impatto con le due traumatiche esperienze della sessualità e della guerra.
Stagliata sullo sfondo delle tiepide atmosfere serotine di un “ridolente autunno”, immota nel pantano di un’atavica, secolare ignavia, sonnecchiante in “quel tempo friabile”, in quella vita “eterna”, ingannata dalle menzogne del fascismo, oltraggiata dalla crescente miseria, violata dalle bombe, Catania, dapprima “tenera e profonda”, poi “tetra e raggomitolata”, è teatro del rituale di morte e risurrezione di una cultura e di una società, scenario apocalittico di una “laica Pasqua” (Vincenzo Consolo), di un canto del cigno di quel “mondo borghese che ancora non sapeva di contemplare la propria morte”. Quel “mondo borghese” che s’accampa con insistenza opaco nella narrativa successiva dello scrittore, da Un uomo fidato a I mandarini calvi a Palinsesti borghesi.
L’istintualità esuberante, l’ebbrezza dionisiaca, il febbrile desiderio di sperimentazione dei giovani protagonisti fortemente collide con la sempre più stagnante, fatiscente, truce atmosfera cittadina soffocata dal giogo del fascismo e della guerra, segnata dal degrado materiale e morale. Ma è un mesto picarismo la brama di conoscenza filtrata dalla spasmodica ricerca del sesso. Alle scorribande notturne, alle ricognizioni fugaci, ai primi acerbi approcci si alternano malinconiche riflessioni, enigmatici dubbi, dilanianti interrogativi da cui erompe l’aspirazione al cambiamento che si fa rabbia, l’energia distruttrice che si fa ribellione, l’apertura alla speranza che si fa attesa palingenetica. La storia “è solo un’occasione, che si tratta di rendere feconda con una rivolta vigile”, ancora con Camus. È il cruento trapasso generazionale dall’“era dei Padri” all’“età del parricidio”. L’acquisizione della maturità – “imparare il mondo” – di Gino si consuma infatti tra le macerie di una umanità corrotta e corruttrice, sotto un bombardamento che si traduce in atto di accusa di ogni totalitarismo familiare, politico, etico, dando corpo all’angoscia di annientamento sottesa al tragico sentimento della “morte immanente”.
Scaturita dall’incandescente rovello filosofico sul disagio della civiltà conseguente alla crisi dei sistemi di valore, l’analitica esistenziale di Addamo, nel solco del pensiero di autori a lui cari, Kierkegaard, Schopenhauer, Nietzsche, Freud, Heidegger, Husserl, Sartre, fra i principali, ma pure intrisa della linfa della consuetudine mediterranea alla riflessione, si dispiega in termini demistificanti. Una demistificazione di pregiudizievoli, vetusti retaggi culturali finalizzata alla conquista del senso autentico dell’individualità al di là di ogni pastoia. È la “lacerazione del velo di Maya” di cui parla Schopenhauer, la necessità di sollevare la spessa coltre di inibizioni, districare l’intricata tramatura di falsi miti che bloccano, mortificandone lo spirito dionisiaco, le pulsioni vitali e la tensione conoscitiva verso l’essenza più profonda dell’uomo.
Si dipana nei meandri della geografia dell’“oscuro” l’itinerario gnoseologico tracciato dall’autore secondo cui l’uomo è “origine e nulla” e la contemporaneità “il luogo per ogni anacronismo”. In un’epoca lacerata dal nicciano grido “Dio è morto”, compito dello scrittore non è “tranquillizzare”, bensì “inquietare”, scuotere dal torpore di metafisiche certezze, ma soprattutto, “contaminandosi con la laidezza quotidiana, fraternamente coinvolta nella rissa giornaliera degli uomini”, rivelare “l’oscurità che è nell’uomo, nei suoi gesti, nel suo tessuto emozionale” e restituire infine “la vigile inquietudine per una realtà altra”. In precario equilibrio sull’incerto discrimine fra narrazione realista e saggio filosofico, percorso da un sentimento di “laica trascendenza”, Il giudizio della sera è animato da quella spinta verso l’“oltre” che è a un tempo deiezione del principio heideggeriano dell’“essere” e dolorosa coscienza del nulla, dell’“essere-per-la-morte”.
Acuita da vigile percezione sensoriale, l’attività euristica dei giovani adolescenti approda alla sinistra consapevolezza del potere “nientificante” della morte. È soprattutto l’odorato ad incidere più profondamente nella sfera psichica penetrando fino alle radici della vita. “Il naso, che è veicolo o tramite” presiede infatti alla scoperta dell’orrore per la condizione stessa dell’esistere. Agente di un processo di trasferimento di senso che rinvia a precisi significati metaforici, l’odore acquista un’importanza primaria nel modello di scepsi delineato da Addamo, che scoperchia il maleodorante quartiere di San Berillo, dove aleggia “odor di cesso e di piscio di gatto”, “odore di putrefazione e di liquami infetti”. L’odore tristo, fetido, turpe, individua “l’evento”, eccita gli impulsi sessuali, palesa la guerra. Ne guizzano funebri lampi di “cedimento, corruzione, abominio, disordine e talvolta anche rivolta” (Oltre le figure). Il puzzo, che già con Dante “’l profondo abisso gitta”, è sublimazione di “terrori senza speranza”. Evoca “l’oscuro, l’infero”. Certifica il decesso. È l’“olor de la muerte” di Ernest Hemingway. Ha valenza teologica, testimoniando il “giudizio di Dio”, secondo Fedor Dostoevskij.
Un nauseabondo, funereo lezzo di decomposizione soffia nel quartiere di San Berillo, “regno delle prostitute”, “vecchie, giovani, scarmigliate e feroci”, “melma oscena, tenebrosa e virulenta di un torrente che però […] nasceva certo dall’Es singhiozzante e spasmodico, ma certo pure dal mondo stesso dove la merce governa più che esservi governata”. Labirinto che si accende nell’oscurità diramandosi in vicoli bui, sordidi, disfatti, via delle Finanze, via Coppola, via Maddem, via Di Prima, via Rapisarda, via di Sangiuliano, pullulanti di protettori, ruffiani, deboli, perdenti, deturpati da immedicabili ferite, ammorbati dalla miseria, dal fetore, dal disordine. “Prima forma di baratto” la prostituzione, secondo l’annotazione di Carl Marx, posta in epigrafe al romanzo. E Walter Benjamin: “L’ambiente oggettivo degli uomini assume sempre più scopertamente la fisionomia della merce”. Fedele all’istanza lukacsiana dell’arte come “rispecchiamento”, Addamo denuncia, con l’incedere serpeggiante della corruzione, la mercificazione, l’alienazione, le distorsioni della logica capitalistica che, come avverte Alain Robbe-Grillet, conducono alla progressiva reificazione ed eclisse della persona di fronte al predominio acquisito, per contro, dalle cose. E così se le “puttane” divengono “oggetti, merce, e mezzi di merce”, gli aranceti, immagine della conquista della verghiana “roba” da parte dei contadini proletari, ma pure “ruolo”, “status”, “filosofia e visione della vita”, perdono l’attributo di prodotti trasfigurandosi in “esseri vivi e volitivi”, in venerati “feticci”, l’odore del loro succo in odore di “sangue, odore di fatiche e di miseria”.
All’universo derelitto, emarginato delle prostitute l’autore guarda con scettico disincanto e implicazione empatica, sempre tuttavia con tormentato sentimento della tragicità della vita e della morte. Quello stesso sotteso alla descrizione, permeata di plastica sensibilità pittorica, della Visita di Henri de Toulouse-Lautrec nel racconto Lo zio Isidoro, confluito nella silloge Palinsesti borghesi: “Le solite puttane che il mostriciattolo sapeva raccogliere. Le puttane stavano con la veste rialzata in attesa della visita periodica: i volti guardai, ma soprattutto le pance delle due donne, dove niente dava adito alla pietà […] e nemmeno all’orrore, ma c’era la giovinezza e la vecchiaia, la ferocia di quel volto di ragazza che non guardava verso nessuna parte sicura soltanto di sé, la sua pancia tesa e tonda come un cocomero che a passarci l’unghia si spacca; e la fine di tutto segnata sull’altro volto, la fine di tutto segnata da quella pancia che sbandava da tutti i lati, la stanchezza d’una memoria che non ha più orizzonti”. Una bruciante pietas, una teologia negativa, in cui l’autore si carica del dramma dell’uomo orfano di Dio, promana dalla pagina di Addamo: “una pietà anche eccessiva vale sempre più della crudeltà assoluta”. Scrive Fedor Dostoevskij: “Uomo, uomo, non si può vivere del tutto senza pietà”. E Georges Rouault, a proposito della potente bellezza che trasuda dalla feroce crudezza del polittico dell’Altare di Isenheim: “Per rifare il terribile crocifisso di Matthias Grünewald, che con le sue mani contratte, i piedi torti, rattrappiti, fa piegare la croce, per rinnovare il dramma in una parola, bisognerebbe avere ancora in cuore una fede simile alla sua”.
Persuaso con Leonardo Sciascia che la letteratura è “luogo di svelamento della realtà anche morale”, in linea con il principio dell’“ethos della scrittura”, cifra di tutta l’opera sua, Sebastiano Addamo, dinnanzi alla decadenza della carne e all’abbrutimento morale, si fa veemente difensore del valore supremo della dignità: “Soltanto avanti negli anni avrei imparato che anche una puttana fa parte della razza umana, ed è questa a secernere se stessa e il proprio contrario, secerne bile e amore e sventura; il terrore e i sogni; la spada e l’ostensorio; il male e il bene; secerne anche dignità, e perciò essa – la dignità – si può trovare dappertutto, innocente sempre e sempre colpevole in ogni luogo”. Con tassativa asciuttezza, ne La metafora dietro a noi: “È il vuoto. L’assenza dell’assenza” la condizione del suo esistere. Anche Pierre-Joseph Proudhon addita nella prostituzione “il sacrificio della dignità umana all’egoismo, alla cupidigia, all’orgoglio, al piacere, a tutte le seduzioni inferiori”. Oggetto di divagazioni oniriche, di “voglie oscure e trepidanti”, di malsana sessualità, le prostitute assurgono ad emblema del “tragico dilemma esistenziale” del catanese: il sesso “dispotico e aspro”, freudiano principio del piacere in cui sembra consistere l’essenza della vita, perseguito con accanimento, voracità, avidità e al contempo velato di malinconie repentine, ansie funeste, “sensi di colpa”, “ancestrale memoria di madri e alvei”, come pure di deterrenti icone di santi. Con la secca perentorietà di quello stile aforistico prediletto da Addamo, Nietzsche annota: “Il cristianesimo, col suo disprezzo del mondo, ha fatto dell’ignoranza una virtù, l’innocenza cristiana, forse perché il più frequente risultato di questa innocenza è […] il senso della colpa”. “Il sesso e l’utilizzo dei suoi strumenti non sono che il compenso del vuoto dell’inedia, della solitudine”, chiosa lo scrittore. Desiderio di morte dietro cui si cela il perenne bisogno di un appagamento che la realtà non può offrire. Irrisione di falsi pudori, stanco filisteismo, l’insano, dissacratore amplesso del giovane Gino con la laida figura materna della padrona infrange archetipi e tabù nel furore iconoclasta che investe istituti familiari e religiosi.
L’atmosfera del romanzo alterna all’iniziale vago senso d’allegrezza, esplicitato attraverso la descrizione dei luoghi “asettici” di via Etnea, con le scintillanti cupole dei Minoriti, della Collegiata, del Duomo, da cui promana il “rumore pulsante della vita”, viale XX Settembre, avvolto da un “silenzio pulito ed elegante”, da una “calma lunga e sicura che si diradava all’intorno come zagara”, il presagio minaccioso, lugubre, ferale della “fine”. Sono, ancora una volta, empiristiche sensazioni, primordiali rielaborazioni dell’esperienza sensibile, di cui l’autore si serve per liberare la ragione da ogni passiva acquiescenza alla tradizione e ad ogni autorità, a veicolare i segni della diffusione, sempre più invasiva, nella vita quotidiana di quella letale “malattia che era la guerra”. Catania come Orano de La Peste di Camus è infettata da un morbo funesto di cui è sintomatico l’afrore del capillare luridume che assedia la città: “Tutto divenne guerra. […] Sopravvenne l’odore di piscio. Inopinatamente, senza alcun preavviso, dilagò, s’impose, si impossessò della città. […] La guerra dilagò con tale odore”. Con Aristotele: “Nihil in intellectu quod prius non fuit in sensu”. E in rapida escalation “dopo l’urina venne la merda”. Ma “l’analità” costituisce a un tempo simbolo e rifiuto della guerra: “lasciti immondi e impuri […] densi quasi di una ideologia […], incaricati – nella loro degradante inerzia di degradazione – d’una speranza che a nessuno era chiara”.
La guerra non è quella di lunghe, inespugnabili trincee, di mirabolanti avanzate, di manovre vittoriose propagandate dai mendaci bollettini del regime. È quella dei marciapiedi imbrattati di un “vasto putrescente addobbo escrementizio”, delle “carte da lutto” affisse alle porte delle vedove ridotte alla prostituzione, dei volti sformati, disperati di creature forsennate. È monito contro l’asservimento al potere, contro la falsificazione della realtà. Per Leone Tolstoj: “la storia sarebbe una gran bella cosa, se solo fosse vera”. Ha radici lontane nel tempo la guerra, è la lotta verghiana per la sopravvivenza, ricerca affannosa di cibo, pugnace desiderio di primitività. Il vero nemico da sconfiggere “la vecchia sorella fame”.
L’amaro disincanto dell’autore nei confronti della storia, “luogo dell’inesistente”, è ferma condanna dell’immobilismo, del trasformismo della politica siciliana. Il ritardo e la diversità s’intitola significativamente la lettera che Sebastiano Addamo indirizza a Pier Paolo Pasolini, dalle pagine della rivista “Nuovi Argomenti” (poi ne I chierici traditi), sottolineando tuttavia in tale binomio una rivendicazione di alterità, il segno peculiare del vivere in Sicilia. La “Sicilia afosa, calda, luminosa, ma dove la troppa luce – abbacina, stordisce, macera […] – diventa spesso densa e oscura nube di scirocco”, generando “una specie di alterazione ottica” secondo cui “le polemiche arrivano già quasi scontate, i clamori attutiti, quasi spenti, chiusi in una soffice nebbia, rarefatti, remoti e quasi incredibili”, dove perciò “il ritardo non sempre implica negatività, ma quasi sempre implica ‘diversità’”. L’isola, dove “l’unica cosa che veramente si muove è la terra quando distrugge il Belice o sono gli emigranti”, ribadisce con forza lo scrittore nel romanzo, “sta ancora attendendo la ‘sua’ storia”.
Con lento ma affilato bisturi, Addamo scava solitudini, piaghe, attossicamenti, intramando all’asprezza del giudizio morale i toni di una smorzata ironia. Alla scrittura il compito di ‘sublimare’ il bottino di sofferenze lasciato dalla guerra. Ma la scrittura, avverte, “può valere non tanto ad accreditare fede nella parola, bensì a tener conto della sua disperata impotenza” (Vittorini e la narrativa siciliana contemporanea). Di fronte alla sofferenza e alla morte la parola si assottiglia, si radicalizza, diviene lamento. O urlo d’inesprimibile dolore. Come quello di Edvard Munch. E infine silenzio: “Il silenzio comincia a essere l’unico modo di parlare, lo spazio del soggetto si restringe, la parola come espressione di reagire e modo di solidarietà, si spezza. Le ragioni dell’individuo collimano con l’afasia” (Oltre le figure).
Moderno aruspice dello scacco storico del nostro tempo, con prosa scettica, a tratti barocca, d’indignata razionalità nelle zone parenetiche, l’autore de Il giudizio della sera, innestandosi in una illustre tradizione siciliana di realismo, se ne discosta in virtù di un’aggressiva dilatazione espressionista che forza il dato reale caricandolo di significati che sfiorano il simbolo. Una galleria di squallidi ritratti di una società in putrefazione accoglie maschere raccapriccianti, dalle sconciature fisiognomiche, dai profili slabbrati, dalle devastazioni crudeli. E sono seni che divengono “otri spenti”, o “molli globi dove le vene azzurre si frastagliavano, quasi la carne si fosse assottigliata sotto quei vermi lunghi che la ingoiavano”, corpi trasfigurati in sacchi pieni di “ossa ammassate e lacerate” o in “carne malata”.
Di forte valenza evocativa la scala cromatica della tavolozza di Addamo. Come la pittura di Renato Guttuso in cui taluni giardini del pittore di Bagheria, intrisi di “serena mestizia”, “celano e svelano nel loro tripudio la vecchia siciliana malinconia della morte e del disfacimento”. L’armonia coloristica di stampo mediterraneo, con le “accese policromie del carretto”, con il “rosso e il giallo dell’arancia, il verde lucente delle sue foglie, oltre al turchino del cielo e del mare”, si spegne nella fredda monocromia dei toni del grigio che appannano la vista come il grigio del fumo derivante dalla deflagrazione delle bombe. Un fumo grigio era, non a caso, l’originario titolo del romanzo.
È la Sicilia a nutrire l’immaginario di Sebastiano Addamo. La sua Catania non è tuttavia quella “città sdraiata a terra, peggio: coricata a terra!”, la cui aria “molle e pastosa” dà l’impressione di “camminare in mezzo al miele”, di Vitaliano Brancati, né quella aperta sul mare, “luccicante sotto il sole a picco”, su cui volano “gabbiani roteanti”, “calma e accogliente” di Ercole Patti. Ma non appare, d’altra parte, la luce della Sicilia ai suoi scrittori soltanto in apparenza dispiegata solarità, costantemente insidiata com’è dalla tenebra? Essa stessa lutto? La luce e il lutto intitola Gesualdo Bufalino una raccolta di articoli che ci restituiscono le due facce contrastanti, ossimoriche dell’isola. Come i “neofiti dell’oscuro” fra bagliori di luce nelle tenebre della notte (Il giro della vite).

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(post pubblicato originariamente il 22 settembre 2009)

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Premio Strega 2020LE INTERVISTE AI SEI FINALISTI DELL’EDIZIONE 2020 DEL PREMIO STREGA

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Sono i sei libri che si contenderanno la finale di giovedì 2 luglio al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia e in diretta su Rai 3 (di seguito elencati per ordine di cognome dell’autore/autrice):

Jonathan Bazzi, Febbre (Fandango Libri)

Gianrico Carofiglio, La misura del tempo (Einaudi)

Gian Arturo Ferrari, Ragazzo italiano (Feltrinelli)

Daniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza (Mondadori)

Valeria Parrella, Almarina (Einaudi)

Sandro Veronesi, Il colibrì (La nave di Teseo)

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In attesa di conoscere quale sarà il libro vincitore, ecco le interviste radiofoniche di Letteratitudine ai sei finalisti. Le interviste sono state trasmesse su Radio Polis Italia nell’ambito dell’omonimo programma Letteratitudine curato e condotto da Massimo Maugeri (post produzione di Federico Marin)


Libro Febbre Jonathan BazziJonathan Bazzi, Febbre (Fandango Libri)

[per ascoltare l'intervista radiofonica, clicca qui]

Un libro spiazzante, sincero e brutale, che costringerà le nostre emozioni a un coming out

Jonathan ha 31 anni nel 2016, un giorno qualsiasi di gennaio gli viene la febbre e non va più via, una febbretta, costante, spossante, che lo ghiaccia quando esce, lo fa sudare di notte quasi nelle vene avesse acqua invece che sangue. Aspetta un mese, due, cerca di capire, fa analisi, ha pronta grazie alla rete un’infinità di autodiagnosi, pensa di avere una malattia incurabile, mortale, pensa di essere all’ultimo stadio. La sua paranoia continua fino al giorno in cui non arriva il test dell’HIV e la realtà si rivela: Jonathan è sieropositivo, non sta morendo, quasi è sollevato

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Libro La misura del tempo Gianrico CarofiglioGianrico Carofiglio, La misura del tempo (Einaudi)

[per ascoltare l'intervista radiofonica, clicca qui]

Un romanzo magistrale. Una scrittura inesorabile e piena di compassione

Tanti anni prima Lorenza era una ragazza bella e insopportabile, dal fascino abbagliante. La donna che un pomeriggio di fine inverno Guido Guerrieri si trova di fronte nello studio non le assomiglia. Non ha nulla della lucentezza di allora, è diventata una donna opaca. Gli anni hanno infierito su di lei e, come se non bastasse, il figlio Iacopo è in carcere per omicidio volontario. Guido è tutt’altro che convinto, ma accetta lo stesso il caso; forse anche per rendere un malinconico omaggio ai fantasmi, ai privilegi perduti della giovinezza. Comincia cosí, quasi controvoglia, una sfida processuale ricca di colpi di scena, un appassionante viaggio nei meandri della giustizia, insidiosi e a volte letali.

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Libro Ragazzo italiano Gian Arturo FerrariGian Arturo Ferrari, Ragazzo italiano (Feltrinelli)

[per ascoltare l'intervista radiofonica, clicca qui]

Ferrari ricostruisce un’Italia ancora viva nella memoria profonda del Paese

La vita di Ninni, figlio del dopoguerra, attraversa le durezze da prima Rivoluzione industriale della provincia lombarda, il tramonto della civiltà rurale emiliana, l’esplosione di vita della Milano socialdemocratica. E insieme Ninni impara a conoscere le insidie degli affetti, la sofferenza, persino il dolore, che si cela anche nei legami più prossimi. Da ragazzino, grazie alla nonna, scopre di poter fare leva sull’immenso continente di esperienze e di emozioni che i libri gli spalancano di fronte agli occhi. Divenuto consapevole di sé e della sua faticosa autonomia, il ragazzo si scava, all’insegna della curiosità e della volontà di sapere, quello che sarà il proprio posto nel mondo. Nella storia di Ragazzo italiano si riflette la storia dell’intero Paese, l’asprezza, la povertà, l’ansia di futuro, la vicenda di una generazione figlia della guerra ma determinata a proiettare progetti e sogni oltre quella tragedia.

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Libro Tutto chiede salvezza Daniele MencarelliDaniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza (Mondadori) – vincitore del Premio Strega Giovani

[per ascoltare l'intervista radiofonica, clicca qui]

Un’intensa storia di sofferenza e speranza, interrogativi brucianti e luminosa scoperta

Ha vent’anni Daniele quando, in seguito a una violenta esplosione di rabbia, viene sottoposto a un TSO: trattamento sanitario obbligatorio. È il giugno del 1994, un’estate di Mondiali. Al suo fianco, i compagni di stanza del reparto psichiatria che passeranno con lui la settimana di internamento coatto: cinque uomini ai margini del mondo. Personaggi inquietanti e teneri, sconclusionati eppure saggi, travolti dalla vita esattamente come lui. Come lui incapaci di non soffrire, e di non amare a dismisura. Dagli occhi senza pace di Madonnina alla foto in bianco e nero della madre di Giorgio, dalla gioia feroce di Gianluca all’uccellino resuscitato di Mario. Sino al nulla spinto a forza dentro Alessandro.

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Libro Almarina Valeria ParrellaValeria Parrella, Almarina (Einaudi)

[per ascoltare l'intervista radiofonica, clicca qui]

Forse una piccola storia d’amore, forse una grande lezione sulla possibilità di non fermarsi

Può una prigione rendere libero chi vi entra? Elisabetta insegna matematica nel carcere minorile di Nisida. Ogni mattina la sbarra si alza, la borsa finisce in un armadietto chiuso a chiave insieme a tutti i pensieri e inizia un tempo sospeso, un’isola nell’isola dove le colpe possono finalmente sciogliersi e sparire. Almarina è un’allieva nuova, ce la mette tutta ma i conti non le tornano: in quell’aula, se alzi gli occhi vedi l’orizzonte ma dalla porta non ti lasciano uscire. La libertà di due solitudini raccontata da una voce calda, intima, politica, capace di schiudere la testa e il cuore. Esiste un’isola nel Mediterraneo dove i ragazzi non scendono mai a mare. Ormeggiata come un vascello, Nisida è un carcere sull’acqua, ed è lí che Elisabetta Maiorano insegna matematica a un gruppo di giovani detenuti.

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Libro Il colibrì Sandro VeronesiSandro Veronesi, Il colibrì (La nave di Teseo)

[per ascoltare l'intervista radiofonica, clicca qui]

Un romanzo potentissimo che incanta e commuove sulla forza struggente della vita

Il colibrì è tra gli uccelli più piccoli al mondo; ha la capacità di rimanere quasi immobile, a mezz’aria, grazie a un frenetico e rapidissimo battito alare (dai 12 agli 80 battiti al secondo). La sua apparente immobilità è frutto piuttosto di un lavoro vorticoso, che gli consente anche, oltre alla stasi assoluta, prodezze di volo inimmaginabili per altri uccelli come volare all’indietro… Marco Carrera, il protagonista del nuovo romanzo di Sandro Veronesi, è il colibrì. La sua è una vita di perdite e di dolore; il suo passato sembra trascinarlo sempre più a fondo come un mulinello d’acqua. Eppure Marco Carrera non precipita: il suo è un movimento frenetico per rimanere saldo, fermo e, anzi, risalire, capace di straordinarie acrobazie esistenziali.

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PREMIO STREGA 2020: I SEI FINALISTI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/06/09/premio-strega-2020-i-sei-finalisti/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/06/09/premio-strega-2020-i-sei-finalisti/#comments Tue, 09 Jun 2020 18:07:58 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8508 Premio Strega 2020ECCO I SEI FINALISTI DELL’EDIZIONE 2020 DEL PREMIO STREGA:

Sandro Veronesi, Gianrico Carofiglio, Gian Arturo Ferrari, Valeria Parrella, Daniele Mencarelli. Alla classica cinquina (per via dell’applicazione dell’art. 7 del regolamento del Premio) si aggiunge Jonathan Bazzi (in quanto autore del libro pubblicato da un piccolo-medio editore che ha ottenuto più voti).

Il vincitore del “Premio Strega Giovani” è Daniele Mencarelli con il romanzo Tutto chiede salvezza (Mondadori)

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La prima votazione del Premio Strega 2020, promosso dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e da Liquore Strega con il contributo della Camera di Commercio di Roma e in collaborazione con BPER Banca, si è conclusa martedì 9 giugno. Gli autori finalisti alla LXXIV edizione del Premio sono stati annunciati sul sito di Rai Cultura (www.raicultura.it) e su quello del Premio Strega (www.premiostrega.it) a partire dalle ore 18.30 in diretta streaming dalla Camera di Commercio di Roma – Sala del Tempio di Adriano.

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Secondo le attuali disposizioni governative lo scrutinio non si è potuto svolgere alla presenza del pubblico. Per questa ragione i giurati hanno potuto esprimere il loro voto unicamente per via telematica entro le ore 13 del 9 giugno stesso.

Alla diretta streaming hanno partecipato tutti gli autori candidati (con l’eccezione di Remo Rapino, assente per motivi personali e sostituito dal suo editore Daniele Di Gennaro), intervistati da Loredana Lipperini, scrittrice e giornalista di Radio Tre.

In apertura, il Presidente della Camera dei Deputati Roberto Fico ha annunciato il vincitore del Premio Strega Giovani 2020, proclamato sin dalla prima edizione nel 2014 a Palazzo Montecitorio. Quest’anno il premio è andato a Daniele Mencarelli per il romanzo Tutto chiede salvezza (Mondadori).

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La sestina finalista del Premio Strega 2020

Sono i sei libri che accederanno alla finale di giovedì 2 luglio al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia e in diretta su Rai 3. Alla cinquina, infatti, (per via dell’applicazione dell’art. 7 del regolamento del Premio) si aggiunge Jonathan Bazzi (in quanto autore del libro pubblicato da un piccolo-medio editore che ha ottenuto più voti).

Hanno espresso il proprio voto esclusivamente online 592 tra persone singole e voti collettivi, su 660 aventi diritto (400 Amici della domenica, ai quali si aggiungono 200 voti espressi da studiosi, traduttori e intellettuali italiani e stranieri selezionati da 20 Istituti italiani di cultura all’estero40 lettori forti selezionati da 20 librerie indipendenti distribuite in tutta Italia, 20 voti collettivi espressi da scuole, università e gruppi di lettura, tra cui 15 circoli costituiti presso le Biblioteche di Roma).

Il totale dei voti espressi ha determinato i finalisti alla LXXIV edizione del premio:

Sandro Veronesi, Il colibrì (La nave di Teseo) con 210 voti
Gianrico Carofiglio, La misura del tempo (Einaudi) con 199 voti
Valeria Parrella, Almarina (Einaudi) con 199 voti
Gian Arturo Ferrari, Ragazzo italiano (Feltrinelli) con 181 voti
Daniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza (Mondadori) con 168 voti
Jonathan Bazzi, Febbre (Fandango Libri) con 137 voti

Come accennato, accedono alla seconda votazione sei libri anziché cinque secondo l’art. 7 del regolamento di votazione: Se nella graduatoria dei primi cinque non è compreso almeno un libro pubblicato da un editore medio-piccolo (così definito secondo la classificazione delle associazioni di categoria e le conseguenti valutazioni del comitato direttivo), accede alla seconda votazione il libro (o in caso di ex aequo i libri) con il punteggio maggiore, dando luogo a una finale a sei (o più) candidati.

Giovanni Solimine, presidente della Fondazione Bellonci, ha dichiarato: “In questi ultimi anni il panorama dell’editoria italiana ha subito notevoli trasformazioni e si è arricchito di nuove presenze. Per esempio, La nave di Teseo in meno di cinque anni è riuscita a conquistare una posizione di rilievo nella produzione della narrativa italiana, che trova conferma anche nel fatto che i suoi libri da qualche anno sono presenti regolarmente tra i finalisti del Premio Strega. Di qui la decisione del Comitato direttivo di non considerarlo più un piccolo editore. Un altro fenomeno interessante – ha aggiunto Solimine – è la vivacità della piccola e media editoria, che offre costantemente novità di qualità e propone nuovi autori molto interessanti. In questa LXXIV edizione la dozzina prevedeva alcuni libri con queste caratteristiche e siamo molto contenti che, in un anno certo non facile per il mercato librario e per la piccola editoria indipendente, il libro di Jonathan Bazzi abbia potuto accedere alla seconda fase della competizione”.

Non è la prima volta che giunge in finale una sestina. Era accaduto per un ex aequo al quinto posto della prima votazione nel 1953, 1960, 1961, 1963, 1979, 1986 e 1999.

Questi i voti ottenuti dagli altri libri in gara: Marta Barone, Città sommersa (Bompiani) 142 voti, Giuseppe Lupo, Breve storia del mio silenzio (Marsilio) 126 voti, Silvia Ballestra, La nuova stagione (Bompiani) 122 voti, Remo Rapino, Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio (Minimum Fax) 109 voti, Gian Mario Villalta, L’apprendista (SEM) 93 voti, Alessio Forgione, Giovanissimi (NN Editore) 90 voti.

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VII EDIZIONE DEL PREMIO STREGA GIOVANI

Daniele Mencarelli con il romanzo Tutto chiede salvezza (Mondadori) è il vincitore della settima edizione del Premio Strega Giovani, promosso dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e da Strega Alberti con il contributo della Camera di Commercio di Roma e in collaborazione con BPER Banca. Il vincitore è stato annunciato in apertura della diretta dal Presidente della Camera dei Deputati Roberto Fico, collegato da remoto, rispettando la tradizione che negli anni precedenti ha visto svolgersi la cerimonia di proclamazione sempre a Palazzo Montecitorio.

Quello di Daniele Mecarelli, con 64 preferenze su 344 voti espressi, è stato il libro più votato da una giuria di ragazze e ragazzi tra i sedici e i diciotto anni provenienti da cinquantotto scuole secondarie superiori distribuite in undici regioni italiane e tre città all’estero (Berlino, Bruxelles, Parigi). Hanno concorso per il riconoscimento i dodici libri candidati al Premio Strega. Al secondo e al terzo posto si sono classificati i libri di Gianrico Carofiglio, La misura del tempo (Einaudi), con 56 voti e di Jonathan Bazzi, Febbre (Fandango), con 43 voti. La terzina ottiene un voto valido per l’elezione dei finalisti alla LXXIV edizione del Premio Strega.

In questa settima edizione, svoltasi in condizioni del tutto particolari a causa della chiusura degli istituti scolastici, i giovani giurati hanno potuto incontrare gli autori attraverso una piattaforma online, ospiti dell’associazione di scrittrici e scrittori Piccoli Maestri.

Prima dell’annuncio del vincitore il Vice Direttore Generale di BPER Banca Stefano Rossetti ha assegnato il premio Teen! Un premio alla scrittura a Claudia Teti del Liceo Statale Terenzio Mamiani di Roma, autrice della miglior recensione. Claudia ha ritirato la targa al Tempio di Adriano congratulandosi con l’autore che ha votato, Daniele Mencarelli. Riceverà inoltre una borsa di studio offerta dalla Banca.

BPER Banca rafforza il suo sostegno al Premio assegnando un riconoscimento speciale agli autori finalisti. Anche quest’anno, grazie al coinvolgimento delle venti Accademie di Belle Arti statali nazionali, ha indetto un concorso per la realizzazione di una scultura ispirata al mestiere di scrivere e all’importanza della promozione della lettura. La studentessa vincitrice di questa edizione è Sofia Felice dell’Accademia di Belle Arti di Roma. Riceverà da BPER Banca un premio in denaro, ma soprattutto vedrà realizzata la propria opera che sarà donata agli autori finalisti nel corso della serata finale del premio che anche quest’anno si svolgerà giovedì 2 luglio al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia e in diretta su Rai 3.

L’immagine che accompagna la LXXIV edizione del Premio Strega è stata realizzata da uno dei disegnatori italiani più apprezzati al livello internazionale, Emiliano Ponzi, nel segno di un progetto inaugurato in occasione della settantesima edizione con Manuele Fior, e proseguito con Franco Matticchio, Riccardo Guasco e Alessandro Baronciani.

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OMAGGIO A LEONARDO SCIASCIA (e al crollo del Muro di Berlino) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/11/18/muro-e-sciascia/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/11/18/muro-e-sciascia/#comments Mon, 18 Nov 2019 15:57:11 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=1304 30 ANNI SENZA MURO, 30 ANNI SENZA SCIASCIA

muro-e-sciascia

Nel novembre del 2009 pubblicai il post che potete leggere di seguito, unendo due ricorrenze molto importanti.

La prima (come scrissi nel post in questione) riguardava un evento epocale, uno dei più importanti della storia recente: il crollo del Muro di Berlino, avvenuto il 9 novembre del 1989 (la ricorrenza del trentennale è stata celebrata qualche giorno fa).

La seconda segnava l’anniversario della morte di un grande della nostra letteratura, che si celebrerà tra un paio di giorni: Leonardo Sciascia (scomparso il 20 novembre del 1989).

Vi ripropongo il post in questione.

Massimo Maugeri

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sciascia-muro-berlino1Ci voglio provare. Voglio provare a unire due ricorrenze che si incrociano in questo mese di novembre dell’anno 2009.
La prima riguarda un evento epocale, uno dei più importanti della storia recente: il crollo del Muro di Berlino (avvenuto il 9 novembre di vent’anni fa).
La seconda segna il ventennale della morte di un grande della nostra letteratura: Leonardo Sciascia (scomparso il 20 novembre del 1989).
Due eventi collegati dal decorso di due decadi, ma non solo (in un modo o nell’altro, sia Sciascia, sia la caduta di quel muro, hanno contribuito all’abbattimento di barriere).

Sciascia morì undici giorni dopo la caduta del muro di Berlino. Mi chiedo se ebbe il tempo (e la possibilità) di ragionare con il dovuto grado di analisi sulla portata storica dell’evento. Un evento che riunificava una città (Berlino), una nazione (la Germania), un continente (l’Europa) segnati da una piaga profonda e dolorosa.
Un evento che avrebbe rivoluzionato gli equilibri geopolitici del pianeta.
Vi domando…
Che effetto vi fa, oggi, ripensare alla caduta del Muro di Berlino?
Cosa pensaste – e provaste – quel giorno?
Le speranze che ne conseguirono, fino a che punto si sono tramutate in realtà? Quali, tra queste speranze, sono rimaste disattese?


Di seguito, alcuni video… (vi invito a riportate citazioni e contributi di qualunque tipo su questo evento). Nel corso della discussione ne approfitterò anche per presentarvi un doppio sogno che lega Europa e Letteratura…

E poi vi invito a ricordare Leonardo Sciascia (riportate pure citazioni e contributi a lui dedicati).

Anche in questo caso vi (pro)pongo alcune domande…

Qual è, a vostro avviso, l’eredità principale che ha lasciato Sciascia?

Tra le sue opere, qual è quella che preferite?

E quella che – a prescindere dalle preferenze personali – considerate la più importante?

Quale libro di Sciascia proporreste a un/a ragazzo/a che non lo ha mai letto?

Tra i video disponibili ho scelto questo (sul “rapporto tra democrazia e assolutismi”;  in coda al post ne troverete un altro su “la Sicilia come metafora”).

Di seguito segnalerò alcune pubblicazioni, in tema con questo post… tra cui il volume “Sciascia e la cultura spagnola” (Edizioni La Cantinella) di Estela Gonzàlez de Sande – di seguito recensito da Laura Marullo – e l’audiolibro di “A ciascuno il suo” (Il Narratore audiolibri) di Leonardo Sciascia. Ma è possibile che questa sezione verrà aggiornata nel corso della settimana. Non è esclusa, inoltre, la partecipazione di ospiti speciali.
Massimo Maugeri

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«Leonardo Sciascia e la cultura spagnola» di Estela González De Sande
Hispanidad ovvero sicilitudine

di Laura Marullo

sciascia-e-letteratura-spagnola“Avevo la Spagna nel cuore” scriveva Leonardo Sciascia confessando, con inconsueto slancio emotivo, una bruciante passione per quel luogo dell’anima e “morada de la vida”, in cui “hispanidad” fa rima con “sicilitudine”, considerato non a caso rifrazione speculare della Sicilia, poiché “se la Spagna è, come qualcuno ha detto, più che una nazione un modo di essere, è un modo di essere anche la Sicilia; e il più vicino che si possa immaginare al modo di essere spagnolo”. L’amore di Sciascia per la Spagna è oggetto dell’interessante volume di Estela González De Sande, “Leonardo Sciascia e la cultura spagnola”, edito da la Cantinella con introduzione di Sarah Zappulla Muscarà e fotografie di Giuseppe Leone (pp. 240), che registra puntualmente gli innumerevoli segni di un sentimento che si colora di svariate sfumature, trascorrendo dalla “fraternità” intellettuale alla passione civile alla denuncia del dolore umano, cementato da esperienze storiche e letterarie di cui è traccia nell’affollato citazionismo di un autore che ha fatto del “riscrivere” la sua cifra poetica.
Seppure meno nota rispetto alla discendenza francese, l’influenza della cultura spagnola è parimenti fondamentale nella formazione umana e intellettuale di Sciascia, offrendogli più efficaci strumenti per quella ricerca della “verità” costantemente al centro del suo impegno di uomo e di scrittore. Lo documenta l’analisi comparativa di Estela González De Sande, Docente di Lingua e Letteratura Italiane nell’Università di Oviedo (Spagna) che a Sciascia ha dedicato importanti contributi, avviando una ricognizione capillare dell’opera del racalmutese di cui rubrica il dialogo ininterrotto con una cultura consustanziale a quella siciliana che risuona degli echi di antiche affinità elettive.
Suddiviso in due parti, la prima dedicata alla conoscenza della storia, della lingua, delle tradizioni, dell’arte spagnole e la seconda rivolta all’individuazione della pervasiva presenza della letteratura spagnola nella produzione dello scrittore siciliano, l’itinerario critico della studiosa getta fasci di luce su questioni cruciali dell’esegesi sciasciana, dimostrando come la specola ispanica nutra istanze letterarie, ideologiche, morali che l’autore sottopone a verifica proprio nell’approcciarsi alla Spagna, modello gnoseologico, mitico, interpretativo, cui rivolgerà sempre un culto devoto.
È infatti dall’Inquisizione come dalla guerra di Spagna che scaturisce il suo atto d’accusa nei confronti dell’impostura della storia, mentre la lezione dei grandi classici ne sostanzia il disincantato raziocinare: Cervantes col suo “libro unico” che dà “la gioia delle illusioni”, Ortega y Gasset da cui apprende la “capacità di spiegare tutto, di chiarire”, Castro riconosciuto “tra i pochi e i buoni maestri che ho avuto”, Azaña di cui ammira “ragione e diritto nella lotta”. E ancora, fra i numerosi altri, Unamuno e il suo razionalismo angosciato, la “splendida pleiade della generazione del ‘27″, e infine Borges, “lo scrittore più significativo del nostro tempo, delle nostre vertigini”, e l’amico Montalbán.
Uno “straordinario viaggio di conoscenza”, per usare la felice immagine di Sarah Zappulla Muscarà che sottolinea come la scoperta della Spagna, “corteggiata con lucida passione dall’innamorato Sciascia”, faccia prevalere, “come un primo amore intenso e disperato”, una componente emozionale tenacemente controllata dalla vigile attività censoria della controparte illumista.
Entelechia di una appassionata storia d’amore, le splendide immagini di Giuseppe Leone, l’amico fotografo che ha accompagnato Sciascia nel suo viaggio in terra iberica del 1984, restituiscono, nella duplice identità documentaria e narrativa, la singolare esperienza viatoria del partire per restare, per meglio conoscere, attraverso la Spagna, la Sicilia.
Laura Marullo
Da LA SICILIA del 7 giugno 2009

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Leonardo Sciascia – A ciascuno il suo
Audiolibro
Voce narrante: Massimo Malucelli
Durata: 4h 19’
Prezzo CDMP3: 19.99 €

aciascunoilsuo_cdowIn occasione del ventesimo anniversario della morte del grande scrittore e intellettuale siciliano, il Narratore propone in audiolibro (lettura di Massimo Malucelli) uno dei romanzi più conosciuti e apprezzati di Leonardo Sciascia. Pubblicato nel 1966, A ciascuno il suo traccia, attraverso l’indagine di un tranquillo uomo qualunque su un duplice omicidio apparentemente inspiegabile, il profilo di una mafia che ha ormai intriso l’intero sistema di potere, non soltanto la politica e l’economia siciliane, ma la stessa amministrazione centrale, i partiti politici e la burocrazia romana. Sullo sfondo, l’analisi minuziosa dell’animo siciliano, la contiguità di vita e morte, il mito carnale della donna. (Per dettagli e info, cliccare qui e qui).

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Il muro di Berlino. 13 agosto 1961-9 novembre 1989 (Mondadori)
di Taylor Frederick

Nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1961, nell’inquietante scenario di un mondo sull’orlo della distruzione atomica, Berlino venne tagliata in due da un reticolo di filo spinato che separò, talvolta per sempre, genitori e figli, fratelli, amici e amanti. L’operazione, tanto inattesa quanto fulminea, riuscì grazie alla perfetta efficienza con cui fu compiuta. Lo scopo dichiarato di Walter Ulbricht, il leader tedesco orientale che l’aveva ordinata, era porre fine al continuo esodo di popolazione verso la parte occidentale della città (ancora controllata dalle forze armate di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia), unico ponte per raggiungere la ricca Germania Ovest. La mossa si rivelò vincente: nonostante l’angosciato sgomento di 4 milioni di berlinesi e lo sdegno dell’opinione pubblica mondiale, divenne subito chiaro che ogni reazione era di fatto impossibile, e comunque troppo rischiosa. Intrecciando dati ufficiali, fonti d’archivio e testimonianze personali, Frederick Taylor racconta tre decenni della storia di una capitale e di una grande nazione europea che, in un lungo e tormentatissimo dopoguerra, improvvisamente si trovarono spaccate a metà. Oltre che sulle trame politiche, l’interesse di Taylor si concentra sulla vita quotidiana, sulle paure e sulle speranze dei berlinesi prigionieri che, con sempre più ingegnosi e disperati tentativi di fuga, favorirono paradossalmente la trasformazione dell’originario reticolato nell’alto muro che li avrebbe privati a lungo della libertà.

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AGGIORNAMENTO DEL 23/11/2009

Aggiorno il post per presentare altri due ospiti (nella parte del dibattito dedicato a Sciascia): Marcello Benfante e Daniela Privitera, autori di due libri dedicati a Leonardo Sciascia (seguono schede). Avremo modi di conoscere i due autori nell’ambito della discussione già sviluppatasi in questo post.

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LEONARDO SCIASCIA di Marcello Benfante
Gaffi editore, Prezzo: 13.50 Euro, pagg. 182, 2009

Leonardo Sciascia. Appunti su uno scrittore eretico - Marcello Benfante - copertinaA vent’anni dalla morte (Palermo 20/11/1989), una riflessione appassionata e puntuale sul valore civile della scrittura e sull’enorme apporto di Leonardo Sciascia all’Italia del Secolo Breve. Un bilancio sul segno lasciato da questa scomparsa in venti anni di storia contemporanea passata solo apparentemente senza lasciare traccia. Chi è oggi “l’autore”? Che rapporto ha con la politica, la società, i suoi stessi lettori? Ha ragione chi pensa a Roberto Saviano come all’erede dello scrittore di Racalmuto?
Il dibattito culturale e quello politico, la cronaca e la letteratura, le querelles sulla mafia e la giustizia, confermano continuamente l’acutezza e la lungimiranza del suo sguardo critico e del suo pessimismo analitico, non cessando di causare scandalo e aspri contraddittori.

A metà strada tra critica militante e analisi letteraria, questo profilo esamina le diverse sfaccettature della sua poliedrica opera e della sua scomoda personalità di intellettuale disorganico: la produzione narrativa e quella saggistica, gli interventi giornalistici e le controverse polemiche, la sua tormentata riflessione sui temi del diritto e quella più olimpica sulla tradizione culturale. Ne emerge un appassionante ritratto icastico, chiaroscuro, di uno scrittore complesso e sofferto, diviso tra pessimismo e impegno civile, moralismo e disincanto, distacco ironico parodico e coinvolgimento nella tragedia umana. (Chiara Di Domenico)

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Il giallo siciliano da Sciascia a Camilleri. Tra letteratura e multimedialità, di Daniela Privitera (Kronomedia, 2009,euro 10, pagg. 134)

Il saggio di Daniela Privitera è una breve escursione nei territori del giallo.
Dopo una sintetica ed agile presentazione della storia del poliziesco classico, la diegesi narrativa si concentra sulla peculiarità del giallo siciliano che, secondo l’autrice, si rivela come un genere letterario ad alto livello di entropia, in quanto scardina gli automatismi strutturali del romanzo a circuito chiuso, tipici del poliziesco. Partendo da Sciascia (maestro esemplare del giallo atipico) e passando per Bufalino, Silvana La Spina, Piazzese, Enna e Camilleri, l’autrice ritrova un filo rosso che lega i giallisti siciliani alla sofferta indagine della problematicità del reale. Il noir siculo insomma, secondo l’autrice, diventa per i Siciliani, un “pre-testo” per disquisire e interrogarsi sui perchè della giustizia (umana o soprannaturale). Il giallo pertanto, per i nostri scrittori, diventa il colore di un popolo che tra le pieghe di una scrittura barocca, ironica, raziocinante e terragna grida la sua piccola ed unica verità: l’accettazione del mistero e la rinuncia all’eterno.
La terza parte del saggio propone una rapida visione dei risvolti del poliziesco nelle realizzazioni teatrali e nelle riduzioni televisive e cinematografiche”.

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ANTONIO SCURATI VINCE IL PREMIO STREGA 2019 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/07/05/antonio-scurati-vince-il-premio-strega-2019/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/07/05/antonio-scurati-vince-il-premio-strega-2019/#comments Thu, 04 Jul 2019 22:34:38 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8208 Antonio Scurati (con “M. Il figlio del secolo”, Bompiani) vince l’edizione 2019 del Premio Strega con 228 voti. Gli altri finalisti: Elisabetta Cibrario (con “Il rumore del mondo”, Mondadori), 127 voti; Marco Missiroli (con [...]]]> Premio Strega 2019

ANTONIO SCURATI con il romanzo “M. Il figlio del secolo” (Bompiani), vince la LXXIII edizione del Premio Strega



Antonio Scurati (con “M. Il figlio del secolo”, Bompiani) vince l’edizione 2019 del Premio Strega con 228 voti.

Gli altri finalisti: Elisabetta Cibrario (con “Il rumore del mondo”, Mondadori), 127 voti; Marco Missiroli (con “Fedeltà”, Einaudi), 91 voti; Claudia Durastanti (con “La straniera”, La nave di Teseo), 63 voti; Nadia Terranova (con “Addio, fantasmi”, Einaudi), 47 voti.

Come da tradizione gli Amici della domenica si sono riuniti nel giardino del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. Il seggio è stato presieduto da Helena Janeczek, vincitrice della scorsa edizione del Premio Strega. I votanti sono stati 556 su 660 aventi diritto al voto. Questo risultato comprende i voti dei 400 Amici della domenica, di 200 votanti all’estero selezionati da 20 Istituti italiani di cultura, 40 lettori forti selezionati da 20 librerie associate all’ALI e 20 voti collettivi di biblioteche, università e circoli di lettura (15 i circoli coordinati dalle Biblioteche di Roma).

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Riproponiamo la conversazione con Antonio Scurati trasmessa su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA SUL PULSANTE “AUDIO MP3″ (in basso), O CLICCA QUI

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Ospite della puntata: Antonio Scurati, con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato “M. Il figlio del secolo” (Bompiani) e delle tematiche a esso legate.

Come nasce “M. Il figlio del secolo”? Cosa puoi dirci sull’attività propedeutica alla scrittura del libro (quella di studio e ricerca, in particolare)? Con riferimento alle possibili tecniche narrative utilizzabili per raccontare la storia, hai trovato subito la “modalità”? Cosa puoi dirci sui possibili rischi legati alla scrittura di questo libro? Un romanzo dove non c’è nulla di inventato: cosa puoi dirci su questa scelta? E sulla scelta di intervallare la narrazione inserendo documenti (comunicati ufficiali, articoli, discorsi, graffiti, lettere…)? Che tipo d’uomo è il Mussolini che viene fuori dalle pagine del tuo libro? È stato più Mussolini a creare l’Italia fascista… o è stata più l’Italia di quegli anni a creare Mussolini? “M. Il figlio del secolo” diventerà una serie Tv? Sei coinvolto nel progetto della sceneggiatura? Il libro è uscito già da qualche mese: cosa diresti se dovessi fare un bilancio? Ci saranno altri romanzi legati al racconto della storia di Mussolini e del fascismo?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a Antonio Scurati nel corso della puntata.

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M. Il figlio del secolo - Antonio Scurati - copertinaLa scheda del libro

Lui è come una bestia: sente il tempo che viene. Lo fiuta. E quel che fiuta è un’Italia sfinita, stanca della casta politica, della democrazia in agonia, dei moderati inetti e complici. Allora lui si mette a capo degli irregolari, dei delinquenti, degli incendiari e anche dei ”puri”, i più fessi e i più feroci. Lui, invece, in un rapporto di Pubblica Sicurezza del 1919 è descritto come ”intelligente, di forte costituzione, benché sifilitico, sensuale, emotivo, audace, facile alle pronte simpatie e antipatie, ambiziosissimo, al fondo sentimentale”.
Lui è Benito Mussolini, ex leader socialista cacciato dal partito, agitatore politico indefesso, direttore di un piccolo giornale di opposizione. Sarebbe un personaggio da romanzo se non fosse l’uomo che più d’ogni altro ha marchiato a sangue il corpo dell’Italia. La saggistica ha dissezionato ogni aspetto della sua vita. Nessuno però aveva mai trattato la parabola di Mussolini e del fascismo come se si trattasse di un romanzo. Un romanzo – e questo è il punto cruciale – in cui d’inventato non c’è nulla.
Non è inventato nulla del dramma di cui qui si compie il primo atto fatale, tra il 1919 e il 1925: nulla di ciò che Mussolini dice o pensa, nulla dei protagonisti – D’Annunzio, Margherita Sarfatti, un Matteotti stupefacente per il coraggio come per le ossessioni che lo divorano – né della pletora di squadristi, Arditi, socialisti, anarchici che sembrerebbero partoriti da uno sceneggiatore in stato di sovreccitazione creativa. Il risultato è un romanzo documentario impressionante non soltanto per la sterminata quantità di fonti a cui l’autore attinge, ma soprattutto per l’effetto che produce. Fatti dei quali credevamo di sapere tutto, una volta illuminati dal talento del romanziere, producono una storia che suona inaudita e un’opera senza precedenti nella letteratura italiana.
Raccontando il fascismo come un romanzo, per la prima volta dall’interno e senza nessun filtro politico o ideologico, Scurati svela una realtà rimossa da decenni e di fatto rifonda il nostro antifascismo.

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Nato a Napoli nel 1969, Antonio Scurati è docente di Letterature contemporanee presso la IULM di Milano. Ha esordito nel 2002 con Il rumore sordo della battaglia (premio Kihlgren, premio Fregene, premio Chianciano). Nel 2005, con Il sopravvissuto, ha vinto il premio Campiello, nel 2008, con Una storia romantica, il Mondello, e nel 2015, con Il tempo migliore della nostra vita, il Viareggio e nuovamente il Campiello. È stato due volte finalista al premio Strega.

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La colonna sonora della puntata:”Riverside Blues” della King Oliver’s Creole Jazz Band, con Louis Armstrong (1923); “Nobody Knows the Way I Feel This Morning” della Red Onion Jazz Babies, con Louis Armstrong (1923)

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È possibile ascoltare le precedenti puntate radiofoniche di Letteratitudine, cliccando qui.

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SPECIALE PREMIO STREGA 2019: la finale http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/07/03/speciale-premio-strega-2019-la-finale/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/07/03/speciale-premio-strega-2019-la-finale/#comments Wed, 03 Jul 2019 16:21:53 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8206

Premio Strega 2019

Ci siamo. Domani, giovedì 4 luglio 2019 conosceremo il nome del vincitore o della vincitrice della LXXIII edizione del Premio Strega.

Diretta su Rai 3, a partire dalle 23, con la conduzione di Pino Strabioli.

Naturalmente sarà uno dei cinque finalisti (che indichiamo di seguito in ordine alfabetico):  Benedetta Cibrario, con Il rumore del mondo, Mondadori; Claudia Durastanti, con La straniera, La nave di Teseo; Marco Missiroli, con Fedeltà, Einaudi; Antonio Scurati, con M. Il figlio del secolo, Bompiani; Nadia Terranova, con Addio Fantasmi, Einaudi.

Di seguito, lo speciale di Letteratitudine dedicato ai cinque finalisti. Cliccando sulle immagini sottostanti si apriranno le pagine con le puntate radiofoniche di Letteratitudine con le interviste a Benedetta Cibrario, Claudia Durastanti, Marco Missiroli, Antonio Scurati, Nadia Terranova.

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PREMIO STREGA 2019: I CINQUE FINALISTI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/06/13/premio-strega-2019-i-cinque-finalisti/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/06/13/premio-strega-2019-i-cinque-finalisti/#comments Wed, 12 Jun 2019 22:05:44 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8184

Premio Strega 2019Tempio di Adriano – Camera di Commercio di Roma, mercoledì 12 giugno 2019. In serata si è concluso lo spoglio della prima votazione che ha designato i cinque libri finalisti alla LXXIII edizione del Premio Strega, il riconoscimento letterario promosso dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e da Liquore Strega con il contributo della Camera di Commercio di Roma e in collaborazione con BPER Banca.

Quest’anno gli Amici della domenica si sono riuniti nel Tempio di Adriano – Camera di Commercio di Roma e non, come da tradizione, nella storica sede della Fondazione Bellonci, dove sono in corso dei lavori di ristrutturazione dell’edificio. Helena Janeczek, vincitrice del Premio Strega 2018, ha presieduto il seggio.

La somma dei voti elettronici e delle schede cartacee, pari a 1776 (hanno votato 592 su 660 aventi diritto, 0 schede nulle), ha determinato la cinquina degli autori e dei libri finalisti al Premio Strega 2019, che sono:

  • Antonio Scurati, M. Il figlio del secolo, Bompiani, con 312
  • Benedetta Cibrario, Il rumore del mondo, Mondadori, con 203
  • Marco Missiroli, Fedeltà, Einaudi, con 189
  • Claudia Durastanti, La straniera, La nave di Teseo, con 162
  • Nadia Terranova, Addio Fantasmi, Einaudi, con 159

Questo risultato comprende i voti dei 400 Amici della domenica, di 200 votanti all’estero selezionati da 20Istituti italiani di cultura, di 40 lettori forti selezionati da 20 librerie associate all’ALI, e di 20 voti collettivi di biblioteche, università e circoli di lettura (15 i circoli coordinati dalle Biblioteche di Roma).

I prossimi appuntamenti con gli autori finalisti iniziano giovedì 13 giugno con il Letterature Festival Internazionale di Roma nella Basilica di Massenzio. Venerdì 14 giugno la cinquina sarà al festival A Tutto Volume di Ragusa, il 15 al Festival Salerno Letteratura, il 16 a San Benedetto del Tronto per la rassegna Incontri con l’Autore, il 21 a Cervo per Cervo ti strega, il 22 a Biella per Fuoriluogo e il 24 al Teatro Il Maggiore a Verbania. Seguiranno due appuntamenti in Francia con l’Istituto Italiano di cultura di Parigi il 26 giugno, e con l’Istituto Italiano di cultura di Lione il 27. A conclusione del tour di incontri, il 3 luglio la cinquina sarà al Monk di Roma per l’evento Strega OFF, tra gli ospiti della serata Helena Janeczek, Elly Schlein.

La seconda votazione, che designerà il vincitore della LXXIII edizione, avrà luogo giovedì 4 luglio, come di consueto al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma, e sarà trasmessa in diretta televisiva da Rai Tre, per la conduzione di Pino Strabioli, ospite d’eccezione Piera Degli Esposti.

Per accreditarsi alla serata finale è necessario scaricare il modulo di accredito dall’area stampa del sito www.premiostrega.it/PS e rinviarlo, debitamente compilato, entro e non oltre martedì 2 luglio, a isabella@damicofrasca-agency.com. Si ricorda di indicare un indirizzo e-mail alla quale inviare la conferma dell’accredito. Per accedere alla serata finale è necessario essere in possesso della conferma di accredito da presentare all’ingresso.

Anche quest’anno BPER Banca ha previsto un riconoscimento speciale che verrà consegnato ai cinque autori finalisti nel corso della serata di premiazione del 4 luglio. Si tratta della scultura della giovane artista dell’Accademia di Belle Arti di Carrara, Beatrice Taponecco, dal titolo: « Stretta la foglia, larga la via, dite la vostra che ho detto la mia».  L’opera è stata realizzata e selezionata grazie a un concorso cui hanno partecipato tutte le Accademie statali italiane di Belle Arti, con l’obiettivo di favorire una positiva contaminazione culturale fra arti visive e letteratura.

L’illustrazione che accompagna il Premio in questa edizione è di Alessandro Baronciani, nel segno di un progetto inaugurato in occasione della settantesima edizione con Manuele Fior, e proseguito con Franco Matticchio e con Riccardo Guasco.

La serata è stata trasmessa in diretta streaming sulla pagina Facebook di Rai Letteratura www.facebook.com/railetteratura.

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PREMIO STREGA GIOVANI 2019: vince MARCO MISSIROLI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/06/11/premio-strega-giovani-2019-vince-marco-missiroli/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/06/11/premio-strega-giovani-2019-vince-marco-missiroli/#comments Tue, 11 Jun 2019 21:16:02 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8179 image Ascolta la puntata radiofonica di Letteratitudine dedicata a “Fedeltà” (cliccando qui): Marco Missiroli in conversazione con Massimo Maugeri

imageMarco Missiroli con il romanzo Fedeltà (Einaudi) è il vincitore della sesta edizione del Premio Strega Giovani, promosso dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e da Strega Alberti con il contributo della Camera di Commercio di Roma e in collaborazione con BPER Banca. La cerimonia di proclamazione si è svolta oggi pomeriggio a Palazzo Montecitorio (Sala della Regina) alla presenza del Presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico.

Quello di Marco Missiroli, con 55 preferenze su 408 voti espressi, è stato il libro più votato da una giuria composta da ragazze e ragazzi di età compresa tra i 16 e i 18 anni. Al secondo e al terzo posto si sono classificati ex aequo i libri di Marina Mander, L’età straniera (Marsilio), e di Nadia Terranova, Addio fantasmi (Einaudi), che hanno ottenuto 45 voti. I tre libri più votati dai ragazzi ricevono un voto valido per la designazione dei finalisti al Premio Strega.

La giuria è composta dagli studenti di circa 55 licei e istituti tecnici diffusi su tutto il territorio italiano e all’estero (Berlino, Bruxelles, Parigi). Come nella scorsa edizione hanno partecipato alla votazione i ragazzi del Carcere minorile di Nisida, rappresentati in sala dall’insegnante Maria Franco, e le scuole di Casal di Principe e di San Cipriano D’Aversa, che avevano incontrato i dodici candidati lo scorso 13 maggio.

Durante la cerimonia, condotta dalla scrittrice e giornalista di Radio Tre Loredana Lipperini, sono intervenuti Giovanni Soliminee Stefano Petrocchi, Presidente e Direttore della Fondazione Bellonci, Giuseppe D’Avino, Presidente di Strega Alberti Benevento, la scrittrice Lia Levi, vincitrice del Premio Strega Giovani 2018, e Ermanno Ruozzi, Direttore Area territoriale della Campania di Bper Banca, che ha assegnato il premio “Teen! Un premio alla scrittura” a Daniele Camagna dell’I.I.S. Celestino Rosatelli di Rieti, autore della recensione migliore a uno dei libri concorrenti. Lo studente vincitore riceverà una borsa di studio di 1.000 euro offerta dalla Banca.

Era presente fra gli ospiti Rosa Maria Dell’Aria, la docente dell’istituto tecnico Vittorio Emanuele III di Palermo che ha scelto di inserire la lettura del romanzo di Lia Levi premiato nella scorsa edizione, Questa sera è già domani, in un percorso tematico tra letteratura e storia a ottant’anni dall’introduzione in Italia delle leggi razziali.

Alla cerimonia è intervenuta la cantautrice e scrittrice Maria Antonietta, che ha eseguito i brani musicali Deluderti, Vergine,Questa è la mia festa e Saliva.

L’incontro è stato trasmesso in diretta streaming.

Gli autori concorrenti si ritroveranno presso il Tempio di Adriano – Camera di Commercio di Roma mercoledì 12 giugno alle ore 21 per l’annuncio dei finalisti al Premio Strega 2019. Il seggio sarà presieduto da Helena Janeczek, vincitrice del Premio Strega 2018.

Sarà possibile seguire lo scrutinio dei voti in diretta streaming su Rai Cultura, a partire dalle ore 20.30.

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ROSELLA POSTORINO vince il PREMIO CAMPIELLO 2018 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/09/16/rosella-postorino-vince-il-premio-campiello-2018/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/09/16/rosella-postorino-vince-il-premio-campiello-2018/#comments Sun, 16 Sep 2018 07:01:59 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7930 ROSELLA POSTORINO con il romanzo “Le assaggiatrici” (Feltrinelli), è la vincitrice della 56ª edizione del PREMIO CAMPIELLO

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L’edizione 2018 del Premio Campiello è stata vinta con ampio margine da Rosella Postorino, autrice di “Le assaggiatrici” (Feltrinelli): 167 voti sui 278 pervenuti dai 300 componenti della giuria popolare. Il video della premiazione è disponibile cliccando qui.

In seconda posizione, 42 voti, Francesco Targhetta con “Le vite potenziali” (Mondadori). Terza classificata, 29 voti, Helena Janeczek autrice di “La ragazza con la Leica” (Guanda) con cui ha vinto l’edizione 2018 del Premio Strega. In quarta posizione, con 25 voti, Ermanno Cavazzoni autore di “La galassia dei dementi” (La nave di Teseo). Al quinto posto, con 15 voti, Davide Orecchio autore di “Mio padre la rivoluzione” (Minimum Fax).

Di seguito la puntata radiofonica di Letteratitudine dedicata a “Le assaggiatrici” (Feltrinelli), con l’ampio intervento di Rosella Postorino in conversazione con Massimo Maugeri.

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA SUL PULSANTE “AUDIO MP3″ (in basso), O CLICCA QUI

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Con Rosella Postorino abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato “Le assaggiatrici” (Feltrinelli).

Rosella Postorino, ispirandosi alla storia vera di Margot Wölk (assaggiatrice di Hitler nella caserma di Krausendorf), ha raccontato la vicenda eccezionale di una donna in trappola, fragile di fronte alla violenza della Storia, forte dei desideri della giovinezza. Di seguito, la scheda sul libro e la biografia letteraria dell’autrice.

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Rosella Postorino“Le assaggiatrici” (Feltrinelli).

“Il mio corpo aveva assorbito il cibo del Führer, il cibo del Führer mi circolava nel sangue. Hitler era salvo. Io avevo di nuovo fame.” Fino a dove è lecito spingersi per sopravvivere? A cosa affidarsi, a chi, se il boccone che ti nutre potrebbe ucciderti, se colui che ha deciso di sacrificarti ti sta nello stesso tempo salvando?
La prima volta che entra nella stanza in cui consumerà i prossimi pasti, Rosa Sauer è affamata. “Da anni avevamo fame e paura,” dice. Con lei ci sono altre nove donne di Gross-Partsch, un villaggio vicino alla Tana del Lupo, il quartier generale di Hitler nascosto nella foresta. È l’autunno del ’43, Rosa è appena arrivata da Berlino per sfuggire ai bombardamenti ed è ospite dei suoceri mentre Gregor, suo marito, combatte sul fronte russo. Quando le SS ordinano: “Mangiate”, davanti al piatto traboccante è la fame ad avere la meglio; subito dopo, però, prevale la paura: le assaggiatrici devono restare un’ora sotto osservazione, affinché le guardie si accertino che il cibo da servire al Führer non sia avvelenato.
Nell’ambiente chiuso della mensa forzata, fra le giovani donne s’intrecciano alleanze, amicizie e rivalità sotterranee. Per le altre Rosa è la straniera: le è difficile ottenere benevolenza, eppure si sorprende a cercarla. Specialmente con Elfriede, la ragazza che si mostra più ostile, la più carismatica. Poi, nella primavera del ’44, in caserma arriva il tenente Ziegler e instaura un clima di terrore. Mentre su tutti – come una sorta di divinità che non compare mai – incombe il Führer, fra Ziegler e Rosa si crea un legame inaudito.
Rosella Postorino non teme di addentrarsi nell’ambiguità delle pulsioni e delle relazioni umane, per chiedersi che cosa significhi essere, e rimanere, umani. Ispirandosi alla storia vera di Margot Wölk (assaggiatrice di Hitler nella caserma di Krausendorf), racconta la vicenda eccezionale di una donna in trappola, fragile di fronte alla violenza della Storia, forte dei desideri della giovinezza. Come lei, i lettori si trovano in bilico sul crinale della collusione con il Male, della colpa accidentale, protratta per l’istinto – spesso antieroico – di sopravvivere. Di sentirsi, nonostante tutto, ancora vivi.

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Rosella Postorino Rosella Postorino (Reggio Calabria, 1978) è cresciuta in provincia di Imperia, vive e lavora a Roma. Ha esordito con il racconto In una capsula, incluso nell’antologia Ragazze che dovresti conoscere (Einaudi Stile Libero, 2004). Ha pubblicato i romanzi La stanza di sopra (Neri Pozza, 2007; Premio Rapallo Carige Opera Prima), L’estate che perdemmo Dio (Einaudi Stile Libero, 2009; Premio Benedetto Croce e Premio speciale della giuria Cesare De Lollis) e Il corpo docile (Einaudi Stile Libero, 2013; Premio Penne), la pièce teatrale Tu (non) sei il tuo lavoro (in Working for Paradise, Bompiani, 2009), Il mare in salita (Laterza, 2011) e Le assaggiatrici (Feltrinelli, 2018). È fra gli autori di Undici per la Liguria (Einaudi, 2015).

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: “Moonlight Serenade” di Glenn Miller; “Lili Marleen” di Marlene Dietrich; Wiener Sängerknaben – Fuchs; “In The Mood” di Glenn Miller.


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PREMIO CAMPIELLO 2018: la finale http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/09/12/premio-campiello-2018-la-finale/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/09/12/premio-campiello-2018-la-finale/#comments Wed, 12 Sep 2018 15:21:09 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7926 Sabato 15 settembre 2018, si svolgerà la finale del PREMIO CAMPIELLO 2018.

Sarà trasmessa in diretta su Rai 5, a partire dalle h. 20:45, dal Teatro La Fenice di Venezia

Conosciamo già il nome del vincitore del Premio Campiello – Opera Prima. Si tratta di Valerio Valentini, autore di “Gli 80 di Camporammaglia(Laterza). Sappiamo anche che il Premio Fondazione Il Campiello 2018 è stato assegnato a Marta Morazzoni.

Il nome del vincitore del cosiddetto Premio SuperCampiello lo conosceremo solo nella serata dedicata alla finale che sarà trasmessa in diretta su Rai 5 (inizio h. 20:45), sabato 15 settembre, dal Teatro La Fenice di Venezia. L’ambìto premio sarà assegnato a uno dei cinque libri finalisti (ovvero dei 5 vincitori del Premio Selezione Campiello 2018):

La ragazza con la Leika di Helena Janeczek – Guanda (9 voti assegnati dalla Giuria)

La galassia dei dementi di Ermanno Cavazzoni – La nave di Teseo (6 voti assegnati dalla Giuria)

Mio padre la rivoluzione di Davide Orecchio – Minimum Fax (6 voti assegnati dalla Giuria)

Le vite potenziali di Francesco Targhetta – Mondadori (6 voti assegnati dalla Giuria)

Le assaggiatrici di Rosella Postorino – Feltrinelli (6 voti assegnati dalla Giuria, dopo il ballottaggio)

Di seguito, gli approfondimenti di Letteratitudine dedicati ad autori e opere protagonisti del Premio Campiello 2018…

“La ragazza con la Leika” di Helena Janeczek – Guanda

Ascolta la puntata radiofonica di Letteratitudine cliccando qui: Helena Janeczek in conversazione con Massimo Maugeri

Vincitore del Premio Strega 2018
Vincitore del Premio Bagutta 2018

Il 1° agosto 1937 una sfilata piena di bandiere rosse attraversa Parigi. È il corteo funebre per Gerda Taro, la prima fotografa caduta su un campo di battaglia. Proprio quel giorno avrebbe compiuto ventisette anni. Robert Capa, in prima fila, è distrutto: erano stati felici insieme, lui le aveva insegnato a usare la Leica e poi erano partiti tutti e due per la Guerra di Spagna. Nella folla seguono altri che sono legati a Gerda da molto prima che diventasse la ragazza di Capa: Ruth Cerf, l’amica di Lipsia, con cui ha vissuto i tempi più duri a Parigi dopo la fuga dalla Germania; Willy Chardack, che si è accontentato del ruolo di cavalier servente da quando l’irresistibile ragazza gli ha preferito Georg Kuritzkes, impegnato a combattere nelle Brigate Internazionali. Per tutti Gerda rimarrà una presenza più forte e viva della celebrata eroina antifascista: Gerda li ha spesso delusi e feriti, ma la sua gioia di vivere, la sua sete di libertà sono scintille capaci di riaccendersi anche a distanza di decenni. Basta una telefonata intercontinentale tra Willy e Georg, che si sentono per tutt’altro motivo, a dare l’avvio a un romanzo caleidoscopico, costruito sulle fonti originali, del quale Gerda è il cuore pulsante. È il suo battito a tenere insieme un flusso che allaccia epoche e luoghi lontani, restituendo vita alle istantanee di questi ragazzi degli anni Trenta alle prese con la crisi economica, l’ascesa del nazismo, l’ostilità verso i rifugiati che in Francia colpiva soprattutto chi era ebreo e di sinistra, come loro. Ma per chi l’ha amata, quella giovinezza resta il tempo in cui, finché Gerda è vissuta, tutto sembrava ancora possibile.

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“La galassia dei dementi” di Ermanno Cavazzoni – La nave di Teseo

Ascolta la puntata radiofonica di Letteratitudine cliccando qui: Ermanno Cavazzoni in conversazione con Massimo Maugeri

In un futuro dai confini incerti, in un paesaggio che assomiglia al Far West ma che è invece la pianura a volte nebbiosa, altre assolata, fra l’Emilia e la Romagna, tutto è cambiato. Siamo attorno all’anno 6.000 quando avviene la Grande Devastazione: un’invasione aliena ha distrutto le città lasciando dietro solo rovine, un’incredibile onda d’urto ha raso al suolo ogni sporgenza, ha fatto ribollire gli oceani, la popolazione umana è decimata ed è rintanata in case cubiche simili a termitai. Sono sopravvissuti però i sistemi industriali costruiti nel sottosuolo che continuano a produrre droidi, robot intelligenti che provvedono a ogni cosa e vivono assieme agli esseri umani. La tecnologia è al potere: governa, gestisce, organizza. Gli uomini sono liberi da ogni occupazione e lasciati al lassismo, all’obesità, alle strane manie che li afferrano, vivendo in aree urbane desolate e deserte. I coniugi Vitosi, fra i superstiti, passano il tempo collezionando grucce, oggetti vecchi e intrattenendosi con due robot da compagnia quasi erotica, una Dafne e un Piteco. Ma quando, a poco a poco, si sparge la voce che i robot immortali che avevano creato e amministrato questo nuovo mondo si sono ritirati, offesi dal carico delle incombenze e dalla mancanza di gratitudine a loro dovuta, il caos si propaga e inizia la vera catastrofe. Nuovi, improvvisi incendi sconvolgono le città, i robot domestici cominciano a delinquere, a darsi al brigantaggio e anche la Dafne e il Piteco decidono di scappare, preoccupati dai pericoli crescenti. Da giorni i notiziari riportano inoltre l’allarmante annuncio della fuga di un robot ritenuto molto pericoloso, uno Xenofon, che la Dafne e il Piteco saranno destinati a incontrare sul loro cammino. Su quello dei coniugi Vitosi e degli altri pochi umani sopravvissuti incombe invece un’altra minaccia, sotto forma di insetti giganti. Riusciranno a sopravvivere a questa nuova invasione aliena?

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“Mio padre la rivoluzione” di Davide Orecchio – minimum fax

Leggi l’Autoracconto d’Autore di Letteratitudine firmato da Davide Orecchio cliccando qui

Finalista alla IV edizione del Premio Letterario Corrado Alvaro e Libero Bigiaretti
Finalista al Premio Napoli 2018, sezione Narrativa.

“Mio padre la rivoluzione” è una raccolta di racconti, ritratti, biografie impossibili e reportage di viaggio attorno alla storia e al mito della Rivoluzione russa, dai protagonisti dell’ottobre 1917 (Lenin, Stalin e Trockij) a personaggi minori ma non per questo meno affascinanti. Davide Orecchio lavora sulla storia con gli strumenti della letteratura, ne racconta versioni altre e ne esplora possibilità non accadute: in questo libro Trockij è ancora vivo nel 1956 e medita sull’invasione sovietica dell’Ungheria e su Chruscév che rinnega Stalin. Qualche anno dopo, il giovane Robert Zimmerman entra in una libreria di Hibbing, Minnesota, e scopre i testi di Trockij, non diventa Bob Dylan ma compone altre bellissime canzoni rivoluzionarie come «The End of Dreams». Qui, proprio come nella realtà e oltre essa, il poeta Gianni Rodari che «ha il problema della fantasia» scrive un reportage dalla Russia per il centenario della nascita di Lenin. In “Mio padre la rivoluzione” la «controstoria» è una chiave offerta al presente per scardinare il passato, per fare i conti coi mostri politici e le speranze tradite del Novecento, ed è anche una guida per immaginare i futuri possibili. Con uno stile originalissimo, Davide Orecchio racconta il sogno e l’incubo della storia, le peripezie e le passioni, i destini aperti degli uomini.

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“Le vite potenziali” di Francesco Targhetta – Mondadori

Leggi l’Autoracconto d’Autore di Letteratitudine firmato da Francesco Targhetta cliccando qui

Al centro di questo romanzo ci sono tre vite, tre visioni del mondo, tre modi diversi e complementari di sopravvivere alla contemporaneità. Il loro spazio è la Albecom, azienda informatica che sorge alla periferia di Marghera; l’ha fondata, ancora giovanissimo, Alberto, “trentaquattro anni, apprezzata abilità nell’assemblare mobili Ikea, una passione per la buona tavola e il culto della chiarezza”. Tra i programmatori che lavorano per lui c’è Luciano, con cui Alberto condivide l’amore per internet fin dai tempi del liceo. Ma, a differenza dell’amico, Luciano si trova a suo agio dietro le quinte: schivo e paralizzato dalla propria scarsa avvenenza, si rifugia nel lavoro e nel rifocillamento dei gatti randagi di Marghera, tormentato solo, di tanto in tanto, dal desiderio di avere qualcuno da rendere felice. A completare il triangolo c’è Giorgio, il pre-sales dell’azienda, procacciatore di nuovi clienti: “percorso da un brivido di elettricità sempre”, tiene nel cruscotto della macchina L’arte della guerra di Sun Tzu, che consulta come un oracolo. E così, mentre Luciano allaccia con Matilde, barista della tavola calda di fronte alla Albecom, un’amicizia presto caricata di nuove speranze e Giorgio riceve una proposta sottobanco da un vecchio collega, le giornate dei tre amici si intrecciano in un groviglio di segreti e tradimenti che si dipana tra la provincia veneta e le città di mezza Europa e che li costringerà, infine, a compiere scelte sofferte e decisive. Francesco Targhetta, già protagonista di un piccolo caso letterario con il romanzo in versi Perciò veniamo bene nelle fotografie, si cimenta ora nell’impresa ambiziosissima di ritrarre il nostro presente in continuo divenire, attraverso lo sguardo di un gruppo di trentacinquenni che – con un piede intrappolato nel mondo del web e uno ben piantato nei sobborghi in cemento di quello reale – cercano timidamente di costruirsi un futuro. Per mezzo di una prosa esatta e al tempo stesso intima, crepuscolare, questo romanzo si interroga su cosa stiano diventando le nostre vite, deviate e attratte ogni giorno da mille potenzialità, e su cosa potremmo diventare noi, chiamati insieme al dovere di essere felici e a quello di accelerare sempre di più la velocità del mondo.

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“Le assaggiatrici” di Rosella Postorino – Feltrinelli

Ascolta la puntata radiofonica di Letteratitudine cliccando qui: Rosella Postorino in conversazione con Massimo Maugeri

Vincitore del Premio Rapallo 2018

La prima volta in cui Rosa Sauer entra nella stanza in cui dovrà consumare i suoi prossimi pasti è affamata. «Da anni avevamo fame e paura», dice. Siamo nell’autunno del 1943, a Gross-Partsch, un villaggio molto vicino alla Tana del Lupo, il nascondiglio di Hitler. Ha ventisei anni, Rosa, ed è arrivata da Berlino una settimana prima, ospite dei genitori di suo marito Gregor, che combatte sul fronte russo. Le SS posano sotto ai suoi occhi un piatto squisito: «mangiate» dicono, e la fame ha la meglio sulla paura, la paura stessa diventa fame. Dopo aver terminato il pasto, però, lei e le altre assaggiatrici devono restare per un’ora sotto osservazione in caserma, cavie di cui le SS studiano le reazioni per accertarsi che il cibo da servire a Hitler non sia avvelenato. Nell’ambiente chiuso di quella mensa forzata, sotto lo sguardo vigile dei loro carcerieri, fra le dieci giovani donne si allacciano, con lo scorrere dei mesi, alleanze, patti segreti e amicizie. Nel gruppo Rosa è subito la straniera, la “berlinese”: è difficile ottenere benevolenza, tuttavia lei si sorprende a cercarla, ad averne bisogno. Soprattutto con Elfriede, la ragazza più misteriosa e ostile, la più carismatica. Poi, nella primavera del ‘44, in caserma arriva un nuovo comandante, Albert Ziegler. Severo e ingiusto, instaura sin dal primo giorno un clima di terrore, eppure – mentre su tutti, come una sorta di divinità che non compare mai, incombe il Führer – fra lui e Rosa si crea un legame speciale, inaudito.

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PREMIO STREGA 2018: I CINQUE FINALISTI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/06/13/premio-strega-2018-i-cinque-finalisti/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/06/13/premio-strega-2018-i-cinque-finalisti/#comments Wed, 13 Jun 2018 19:44:21 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7834 Come da tradizione gli Amici della domenica si sono riuniti in Casa Bellonci dove Paolo Cognetti, vincitore del Premio Strega 2017, ha presieduto il seggio.
La somma dei voti elettronici e delle schede cartacee, pari a 1719 (hanno votato 573 su 660 aventi diritto, 4 schede nulle), ha delineato la cinquina degli autori e dei libri finalisti al Premio Strega 2018, che sono:

- Helena Janeczek, La ragazza con la Leica, Guanda (256 voti)

- Marco Balzano, Resto qui, Einaudi (243 voti)

- Sandra Petrignani, La corsara. Ritratto di Natalia Ginzburg, Neri Pozza (200 voti)

- Lia Levi, Questa sera è già domani, Edizioni E/O (173 voti)

- Carlo D’Amicis, Il gioco, Mondadori (151 voti)

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I voti attribuiti agli altri semifinalisti sono i seguenti:

Francesca Melandri (Sangue giusto, Rizzoli) 149 voti;

Yari Selvetella (Le stanze dell’addio, Bompiani) 115 voti;

Carlo Carabba (Come un giovane uomo, Marsilio) 103 voti;

Elvis Malaj (Dal tuo terrazzo si vede casa mia, Racconti Edizioni) 93 voti ;

Angela Nanetti (Il figlio prediletto, Neri Pozza) 88 voti ;

Silvia Ferreri (La madre di Eva, NEO Edizioni) 87 voti ;

Andrea Pomella (Anni luce, ADD Editore) 57 voti.

Questo risultato comprende i voti dei 400 Amici della domenica, di 40 lettori forti selezionati dalle librerie indipendenti italiane associate all’ALI e di 20 voti collettivi espressi dai circoli di lettura delle Biblioteche di Roma e da scuole e università, a cui si sono aggiunti, dallo scorso anno, 200 voti espressi da studiosi, traduttori e intellettuali italiani e stranieri selezionati da 20 Istituti Italiani di cultura all’estero, per un totale di 660 aventi diritto.

L’illustrazione che accompagna il Premio in questa edizione è di Riccardo Guasco, che continua un progetto inaugurato in occasione della settantesima edizione con Manuele Fior, seguito lo scorso anno da Franco Matticchio.

I prossimi appuntamenti con gli autori finalisti iniziano sabato 16 giugno: la cinquina infatti sarà ospite al Festival Salerno Letteratura. Domenica 17 giugno sarà invece al festival I luoghi della scrittura di San Benedetto del Tronto. Gli appuntamenti della settimana successiva sono il 22 giugno con la quinta edizione di Cervo ti Strega il 22 giugno, il 23 a Vistaterra, Ivrea, insieme alla Grande Invasione e il 25 a VerbaniaL’Istituto Italiano di Cultura che quest’anno ospiterà i finalisti è quello di San Pietroburgo, il 28 giugno. Le tappe di avvicinamento alla finale termineranno il 3 luglio a Letterature Festival Internazionale di Roma.

La seconda votazione, che designerà il vincitore della LXXII edizione, avrà luogo giovedì 5 luglio come di consueto al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma, e sarà trasmessa in diretta televisiva da Rai Tre. La conduttrice della serata Eva Giovannini avrà come ospite di eccezione Giampiero Mughini.

Il Premio Strega Giovani è stato vinto da Lia Levi con il romanzo  Questa sera è già domani (Edizioni E/O)

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La seconda votazione e la proclamazione del vincitore si svolgeranno giovedì 5 luglio al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, dove verrà assegnato il premio del valore di 5.000 euro offerto dall’azienda Strega Alberti Benevento.

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LIA LEVI vince il PREMIO STREGA GIOVANI 2018 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/06/12/lia-levi-vince-il-premio-strega-giovani-2018/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/06/12/lia-levi-vince-il-premio-strega-giovani-2018/#comments Mon, 11 Jun 2018 23:07:16 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7833 LIA LEVI con “Questa sera è già domani” (Edizioni E/O),vince il Premio Strega Giovani 2018

Premio Strega Giovani 2018 a Lia Levi

Di seguito proponiamo, per l’ascolto online, la puntata del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie) dove Lia Levi conversa con Massimo Maugeri sul romanzo Questa sera è già domani” (Edizioni E/O)

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(Roma, 11 giugno 2018) – Lia Levi con il romanzo Questa sera è già domani (Edizioni E/O) è la vincitrice della quinta edizione del Premio Strega Giovani, promosso dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e da Strega Alberti con il contributo della Camera di Commercio di Roma e in collaborazione con BPER Banca. La cerimonia di proclamazione si è svolta oggi pomeriggio a Palazzo Montecitorio (Sala della Regina) alla presenza della Vicepresidente della Camera dei deputati, Maria Edera Spadoni.

Quello di Lia Levi, con 65 preferenze su 385 voti espressi, è stato il libro più votato da una giuria composta da ragazze e ragazzi di età compresa tra i 16 e i 18 anni, in rappresentanza di circa 55 licei e istituti tecnici diffusi su tutto il territorio italiano e all’estero (Addis Abeba, Berlino, Bruxelles, Buenos Aires, Parigi). Hanno inoltre partecipato alla giuria i ragazzi del Carcere minorile di Nisida, con un voto collettivo, e un gruppo di settantacinque ragazzi approdati al voto attraverso Teen! Space, uno spazio virtuale di BPER Banca per i ragazzi tra i 13 e i 18 anni, dedicato alla condivisione della passione per l’arte, la musica e la lettura. Gli studenti hanno letto le undici opere concorrenti al Premio Strega 2018 e inviato il loro voto individualmente. I libri di Marco Balzano, Resto qui (Einaudi), e di Silvia Ferreri, La madre di Eva (Neo Edizioni), risultano con 62 e 45 preferenze il secondo e il terzo più votati dai ragazzi.

Durante la cerimonia alla Camera, coordinata dalla giornalista di Rai Tre Eva Giovannini, sono intervenuti Giovanni Solimine, presidente della Fondazione Bellonci, Eleonora Tranfo Alberti, in rappresentanza dell’azienda Strega Alberti Benevento, Pietro Abate, segretario generale della Camera di commercio di Roma e Ermanno Ruozzi, direttore territoriale Campania di BPER Banca, che ha assegnato, in collegamento skype, il premio “Teen! Un premio alla scrittura” a Kal Awoke Yimam dell’Istituto Italiano Omnicomprensivo Galilei di Addis Abeba, autrice della recensione migliore a uno dei libri concorrenti. La studentessa etiope riceverà una borsa di studio di 1.000 euro offerta dalla Banca.

Ospite dell’incontro, insieme allo scrittore Fabio Genovesi, vincitore del Premio Strega Giovani 2015, il cantautore DENTE, che ha eseguito i brani musicali Baby BuildingBeato meConiugati passeggiare.

Gli autori concorrenti si ritroveranno presso la sede della Fondazione Bellonci mercoledì 13 giugno alle ore 21 per l’annuncio dei finalisti al Premio Strega 2018. Il seggio sarà presieduto da Paolo Cognetti, vincitore del Premio Strega 2017. Sarà possibile seguire lo scrutinio dei voti in diretta streaming su Rai Cultura, a partire dalle ore 20.30 (www.cultura.rai.it/live).

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LIA LEVI IN CONVERSAZIONE RADIOFONICA CON MASSIMO MAUGERI

PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA SUL PULSANTE “AUDIO MP3″ (in basso), O CLICCA QUI

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Con Lia Levi abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato Questa sera è già domani” (Edizioni E/O).

Nel 1938 si riuniscono 32 Paesi per affrontare il problema degli ebrei in fuga da Germania e Austria. Molte belle parole ma in pratica nessuno li vuole. Una sorprendente analogia con il dramma dei rifugiati ai nostri giorni.

Nello stesso anno 1938 vengono promulgate in Italia le infami Leggi Razziali. Come e con quali spinte interiori il singolo uomo reagisce ai colpi nefasti della Storia? Ci sarà qualcuno disposto a ribellarsi di fronte ai tanti spietati sbarramenti? In questo nuovo emozionante romanzo Lia Levi torna ad affrontare con particolare tensione narrativa i temi ancora brucianti di un nostro tragico passato.

Nella seconda parte della puntata Massimo Maugeri legge le prime pagine del libro.

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Lia LeviQuesta sera è già domani” (Edizioni E/O)

Genova. Una famiglia ebraica negli anni delle leggi razziali. Un figlio genio mancato, una madre delusa e rancorosa, un padre saggio ma non abbastanza determinato, un nonno bizzarro, zii incombenti, cugini che scompaiono e riappaiono. Quanto possono incidere i risvolti personali nel momento in cui è la storia a sottoporti i suoi inesorabili dilemmi? È possibile desiderare di restare comunque nella terra dove ci sono le tue radici o è urgente fuggire? Se sì, dove? Esisterà un paese realmente disponibile all’accoglienza?
Alla tragedia che muove dall’alto i fili dei diversi destini si vengono a intrecciare i dubbi, le passioni, le debolezze, gli slanci e i tradimenti dell’eterno dispiegarsi della commedia umana.
Una vicenda di disperazione e coraggio realmente accaduta, ma completamente reinventata, che attraverso il filtro delle misteriose pieghe dell’anima ci riporta a un tragico recente passato.

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Lia Levi, di famiglia piemontese, vive a Roma, dove ha diretto per trent’anni il mensile ebraico Shalom. Per le nostre edizioni ha pubblicato: Una bambina e basta (Premio Elsa Morante Opera Prima), Quasi un’estate, L’albergo della Magnolia (Premio Moravia), Tutti i giorni di tua vita, Il mondo è cominciato da un pezzo, L’amore mio non può, La sposa gentile (Premio Alghero Donna e Premio Via Po) La notte dell’oblio e Il braccialetto (Premio speciale della giuria Rapallo Carige, Premio Adei Wizo). Nel 2012 le è stato conferito il Premio Pardès per la Letteratura Ebraica.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: i seguenti brani di Noa: “Beautiful That Way”, “I Don’t Know”, “Eye in the sky”.

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È possibile ascoltare le precedenti puntate radiofoniche di Letteratitudine, cliccando qui.


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FERNANDO ARAMBURU vince il PREMIO STREGA EUROPEO: lo speciale di Letteratitudine http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/05/14/fernando-aramburu-vince-il-premio-strega-europeo-lo-speciale-di-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/05/14/fernando-aramburu-vince-il-premio-strega-europeo-lo-speciale-di-letteratitudine/#comments Mon, 14 May 2018 15:06:47 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7791

Fernando Aramburu, con il suo romanzo Patria (Guanda), tradotto da Bruno Arpaia, si aggiudica la quinta edizione del Premio Strega Europeo, nato nel 2014 in occasione del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea per diffondere la conoscenza delle voci più originali e profonde della narrativa contemporanea.

Il romanzo racconta di due famiglie basche che abitano in un paesino dalle parti di San Sebastián. Due famiglie che hanno sempre vissuto all’insegna dell’amicizia e del reciproco sostegno… fino a quando la loro storia non si incrocia con quella dell’ETA e con un attentato terroristico che costerà la vita a uno dei due capofamiglia (il Txato, titolare di una ditta di trasporti, che non si è voluto piegare a messaggi intimidatori a scopo estorsivo ricevuti dall’organizzazione terroristica). Una morte che non crea solo dolore, ma anche divisioni e allontanamenti (per ulteriori dettagli sulla trama rinviamo alla scheda del libro inserita alla fine del post).

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Risultati immagini per Fernando Aramburu wikipedia esFernando Aramburu ha dichiarato di sentirsi onorato per il prestigioso conferimento del premio e ne ha approfittato per evidenziare il merito del suo traduttore italiano. Ha espresso un pensiero dedicato ai suoi concittadini, che per anni hanno subito dolore. Ha evidenziato il fatto che nel suo romanzo ha narrato – appunto – storie di sofferenza attraverso il racconto dell’esperienza di vita dei suoi personaggi. Si è anche soffermato sul senso della parola “Patria”, una parola forte e dai molteplici significati; riferita, in questo caso, ai Paesi Baschi, e che molti editori hanno deciso di lasciare come titolo del romanzo tradotto.

Di seguito, il video della premiazione:

E a proposito di traduzione, riproponiamo un paio domande (con relative risposte) che abbiamo rivolto a Bruno Arpaia (co-vincitore del Premio Strega Europeo nel suo ruolo di traduttore) su questo fortunato libro da lui brillantemente tradotto…

- Bruno Arpaia, partendo dal presupposto che puoi godere di una “visuale privilegiata” nel tuo molteplice ruolo di lettore, scrittore, giornalista culturale e (ovviamente) traduttore dell’opera in questione… cos’è che più di ogni altra cosa hai apprezzato in “Patria” di Fernando Aramburu?
Risultati immagini per bruno arpaia«Ne ho apprezzate moltissime, dall’architettura del libro, che manipola meravigliosamente il tempo, alla lingua, capace di spaziare su moltissimi registri e di adattarsi come un vestito ai diversi personaggi. Ed è proprio grazie a queste capacità che Aramburu è riuscito nella cosa, secondo me, più difficile: restituire in maniera perfetta l’ambiente, l’atmosfera dell’epoca nei Paesi Baschi, anche a chi, come me, li aveva frequentati in quegli anni; Aramburu ha saputo raccontare l’impatto della grande Storia e delle sue tragedie sulla vita delle persone comuni, la sensazione di respirare di continuo paura, sospetto, delazione, esaltazione ideologica, spirito gregario, ma anche disagio, ribellione individuale, senso di ingiustizia, pietas. E soprattutto l’ha fatto senza cedimenti «buonisti», ma con grande com-passione, schierandosi senza schierarsi, penetrando a fondo anche nella mente e nelle ragioni dei terroristi e del tessuto sociale che li sosteneva, guardando il male negli occhi, come dovrebbe fare qualunque bravo romanziere. Perché il Male è in ciascuno di noi, e spesso basta un contesto, qualche motivazione, di solito pretestuosa (come il nazionalismo), a cui aggrapparsi, per farlo venire a galla.»

- Quanto tempo hai impiegato a tradurlo? Hai avuto modo di confrontarti con l’autore su alcuni passaggi o non è stato necessario?
«Onestamente, non lo ricordo. L’anno scorso ho tradotto moltissimi libri e ho perso il conto. So soltanto che, per mia fortuna, sono un traduttore veloce; altrimenti, con quello che si viene pagati, il gioco non varrebbe la candela. Noi traduttori italiani siamo svantaggiatissimi rispetto ai nostri colleghi francesi, tedeschi, inglesi, spagnoli… Quanto al confronto con l’autore, la mia “filosofia” è quella di cercare di rompere le scatole il meno possibile agli autori che traduco, se non in casi davvero eccezionali, anche quando si tratta di miei cari amici. Succede anche a me quando i miei romanzi vengono tradotti all’estero e i colleghi stranieri mi chiedono lumi. Non dico assolutamente che sia una seccatura, anzi: un libro è sempre come un figlio che vorresti mandare in giro per il mondo nelle migliori condizioni; ma certamente bisogna impiegare molto tempo a spiegare, precisare, limare, appurare se in quella lingua eccetera eccetera… Perciò no, non c’è stato motivo di disturbare Fernando e non l’ho mai interpellato mentre traducevo. Ho, invece, discusso a lungo con il direttore editoriale e le bravissime redattrici della casa editrice sull’uso di alcuni tempi verbali e alla fine abbiamo trovato una soluzione soddisfacente per tutti.»

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Link logo alla HomeIl vincitore è stato annunciato al Salone Internazionale del Libro di Torino alla presenza dei cinque candidati. Sono intervenuti Beatrice Covassi, Capo della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, Maria Ida Gaeta, direttore della Casa delle Letterature di Roma e del Festival Internazionale Letterature, Natale Antonio Rossi, presidente della FUIS (Federazione Unitaria Italiana Scrittori), Giovanni Solimine e Stefano Petrocchi, presidente e direttore della Fondazione Bellonci.

Il riconoscimento, del valore di 3.000 euro è stato consegnato da Beatrice Covassi, madrina della manifestazione.
Un altro riconoscimento di 1.500 euro, offerto dalla FUIS, è stato attribuito al traduttore del libro premiato.

Il libro di Fernando Aramburu è stato votato da una giuria composta da scrittori vincitori e finalisti del Premio Strega – Alessandro Barbero, Laura Bosio, Rossana Campo, Antonella Cilento, Maria Rosa Cutrufelli, Antonio Debenedetti, Paolo Di Paolo, Ernesto Ferrero, Mario Fortunato, Paolo Giordano, Nicola Lagioia, Rosetta Loy, Melania G. Mazzucco, Edoardo Nesi, Lorenzo Pavolini, Romana Petri, Antonio Scurati, Elena Stancanelli, Domenico Starnone – e dai responsabili delle istituzioni che collaborano all’organizzazione del premio.

Hanno concorso a ottenere il premio cinque romanzi recentemente tradotti in Italia, provenienti da aree linguistiche e culturali diverse, che hanno vinto nei Paesi europei in cui sono stati pubblicati un importante premio nazionale.

Questi i libri candidati alla quinta edizione:

  • Fernando Aramburu, Patria (Guanda), tradotto da Bruno Arpaia Premio Nacional de Narrativa 2017, Spagna
  • Olivier Guez, La scomparsa di Josef Mengele (Neri Pozza), tradotto da Margherita Botto Prix Renaudot 2017, Francia
  • Lisa McInerney, Peccati gloriosi (Bompiani), tradotto da Marco Drago Baileys Women’s Prize 2016, Irlanda
  • Auður Ava Ólafsdóttir, Hotel Silence (Einaudi), tradotto da Stefano Rosatti Icelandic Literature Prize 2016, Islanda
  • Lize Spit, Si scioglie (E/O), tradotto da David Santoro Nederlandse Boekhandelsprijs 2017, Belgio

I vincitori delle scorse edizioni:

2017 Jenny Erpenbeck, Voci del verbo andare (Sellerio), tradotto da Ada Vigliani
2016 Annie Ernaux, Gli anni (L’orma), tradotto da Lorenzo Flabbi
2015 Katja Petrovskaja, Forse Esther (Adelphi), tradotto da Ada Vigliani
2014 Marcos Giralt Torrente, Il tempo della vita (Elliot), tradotto da Pierpaolo Marchetti

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Di seguito, la presentazione di “Patria” al Salone del Libro: Fernando Aramburu in conversazione con Paolo Di Paolo

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La scheda del libro

Con la forza della letteratura, Fernando Aramburu ha saputo raccontare una comunità lacerata, e allo stesso tempo scrivere una storia di gente comune, di affetti, di amicizie, di sentimenti feriti: un romanzo da accostare ai grandi modelli narrativi che hanno fatto dell’universo famiglia il fulcro morale, il centro vitale della loro trama.

Due famiglie legate a doppio filo, quelle di Joxian e del Txato, cresciuti entrambi nello stesso paesino alle porte di San Sebastián, vicini di casa, inseparabili nelle serate all’osteria e nelle domeniche in bicicletta. E anche le loro mogli, Miren e Bittori, erano legate da una solida amicizia, così come i loro figli, compagni di giochi e di studi tra gli anni Settanta e Ottanta. Ma poi un evento tragico ha scavato un cratere nelle loro vite, spezzate per sempre in un prima e un dopo: il Txato, con la sua impresa di trasporti, è stato preso di mira dall’ETA, e dopo una serie di messaggi intimidatori a cui ha testardamente rifiutato di piegarsi, è caduto vittima di un attentato… Bittori se n’è andata, non riuscendo più a vivere nel posto in cui le hanno ammazzato il marito, il posto in cui la sua presenza non è più gradita, perché le vittime danno fastidio. Anche a quelli che un tempo si proclamavano amici. Anche a quei vicini di casa che sono forse i genitori, il fratello, la sorella di un assassino. Passano gli anni, ma Bittori non rinuncia a pretendere la verità e a farsi chiedere perdono, a cercare la via verso una riconciliazione necessaria non solo per lei, ma per tutte le persone coinvolte.

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Fernando Aramburu, nato a San Sebastián nel 1959, ha studiato Filologia ispanica all’Università di Saragozza e negli anni Novanta si è trasferito in Germania per insegnare spagnolo. Dal 2009 ha abbandonato la docenza per dedicarsi alla scrittura e alle collaborazioni giornalistiche. Ha pubblicato romanzi e raccolte di racconti, che sono stati tradotti in diverse lingue e hanno ottenuto numerosi riconoscimenti. Patria, uscito in Spagna nel settembre 2016, ha avuto un successo eccezionale e un vastissimo consenso, conquistando – fra gli altri – il Premio de la Crítica 2017.

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CETTI CURFINO – la rassegna stampa http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/05/10/cetti-curfino-la-rassegna-stampa/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/05/10/cetti-curfino-la-rassegna-stampa/#comments Thu, 10 May 2018 21:56:51 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7919 Romanzo finalista alla 32esima edizione 2018-2019 del Premio Letterario ChiantiCetti Curfino (Cover)

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Su “Il Sole 24Ore” – Domenica (recensione di Filippo La Porta)
[I due personaggi principali, il Cronista trentenne – esitante, eterno adolescente “adottato” da zia Miriam – e la Detenuta quarantenne – di una “bellezza selvaggia” che toglie il respiro, cosi determinata che infine scriverà lei il proprio libro! – sono disegnati con accuratezza (...). Ma la invenzione principale di Maugeri è la lingua che impresta a Cetti, un mezzo dialetto, un italiano sgraziato però educato a un ordine logico]

su “Tuttolibri”- “La Stampa” (recensione di Amedeo La Mattina)
[Cetti, dotata di «una bellezza ferale», di quelle che toglie il fiato, sceglie la strada che la porta in una cella. Massimo Maugeri ci conduce dentro questa prigione, ci fa entrare nella testa di una donna che concentra l’umiliazione e la disperazione di milioni di donne alla ricerca della propria dignità.]

su “Fahrenheit – Radio 3″ (Libro del giorno di Fahrenheit – con Loredana Lipperini)
[Cetti Curfino è una donna prorompente, con labbra carnose e occhi che rivelano abissi. Andrea ha letto la sua storia sui quotidiani: una donna semplice, un marito che muore mentre lavora in nero, un figlio da sistemare, e una lenta discesa nelle viscere di una società che sa essere molto crudele]. – per ascoltare la puntata clicca qui

Su Rai1 – La partecipazione di Massimo Maugeri al programma “Mille e un libro” di Gigi Marzullo
[clicca sul libro per vedere il video]

su “L’Espresso” (Freschi di stampa di Sabina Minardi)
[Un linguaggio che sa affrontare con credibilità registri diversi, incluso quello imperfetto e sincero della detenuta siciliana]

su “La Lettura – Il Corriere della Sera”
[Romanzo di formazione di Cetti e, nello stesso tempo di Andrea, il giornalista che ne vuole raccontare la storia, Cetti Curfino è (anche) un inno al potere salvifico della scrittura.]

su “la Repubblica.it” (recensione e intervista di Silvana Mazzocchi)
[La realtà raccontata in forma di fiction, storie credibili che scavano nei problemi sociali del nostro tempo. (...) Una storia nella storia confezionata da Massimo Maugeri con abilità, talento e passione.]

su “Il Mattino” (recensione di Francesco Durante)
[Maugeri confeziona una storia semplice, insieme disperata e lieve, algida e sensuale, con un esito a sorpresa. La sua protagonista s’impone a cagione di una personalità veramente speciale, e fin dal primo momento merita la più cordiale solidarietà del lettore.]

su “Robinson – la Repubblica” (recensione di @CasaLettori)
[Cetti Curfino (La nave di Teseo) è “vittima invisibile di una società intenta a crogiolarsi tra le proprie miserie”. (...) La morte del marito, l’odio del figlio, la precarietà del quotidiano e un gesto di ribellione che pagherà caro. Sentiamo sulla pelle la disperazione di chi non ha scelta, ricattata da una povertà che non fa sconti. Guerriera orgogliosa non si lascia distruggere dall’esperienza carceraria].

su “Avvenire” (recensione di Bianca Garavelli)
[Romanzo originalissimo di doppia formazione, Cetti Curfino ci svela le brutture di una società che non ha rispetto per i suoi ultimi, donne o uomini che siano, confermandoci un Maugeri ottimo narratore dopo la già convincente prova di Trinacria Park.]

su “la Repubblica – Palermo” (recensione di Gianni Bonina)
[È il suo urlo così contemporaneo che, chiudendo alla fine il libro di Maugeri, sentiamo riecheggiare. Un urlo di donna che sostituisce il viandante di Munch e si infrange contro le nostre coscienze sorde]

su “La Sicilia” (recensione di Maria Rita Pennisi)
[Il romanzo tratta altre tematiche come le morti bianche, l’omicidio, l’amicizia, l’amore, la politica, la passione torbida, la detenzione e il senso di colpa del protagonista. Il tutto è descritto in modo magnifico dalla penna sapiente di Massimo Maugeri, che sa dosare perfettamente dramma, comicità e ironia.]

su “La Gazzetta di Parma” (recensione di Elisa Fabbri)
[Con questo suo nuovo romanzo, «Cetti Curfino», lo scrittore siciliano Massimo Maugeri ha realizzato un’opera caratterizzata da pagine commoventi accostate ad altre crude e inquietanti, lasciando sempre trasparire una sottesa tenerezza. (...) Emerge il ritratto di una donna straordinaria, schiacciata e ferita dalla vita ma non uccisa, come dimostra l’inatteso, magnifico finale.]

su “Vivere – La Sicilia” (articolo/intervista di Domenico Trischitta)
["Cetti Curfino" (La nave di Teseo) di Massimo Maugeri è un romanzo travolgente, avvincente, e la sua protagonista è uno di quei personaggi che difficilmente dimenticheremo].

su “La Gazzetta del Sud” (recensione di Francesco Musolino)
[Pagina dopo pagina, con una prosa svelta, Maugeri dipana la matassa e alla resa dei conti si viene presi in contropiede da un colpo di scena finale che capovolge la prospettiva. Ma la verità, la nuda verità delle cose, nasconde un potere catartico e liberatorio...].

su “La Gazzetta di Parma” online (recensione di Marilù Oliva)
[Una storia che tocca il cuore e che fa riflettere, un libro necessario per comprendere e correggere i lati distorti della nostra società.]

su “Casa dei Lettori” (intervista di Maria Anna Patti)
[Cetti Curfino è una leonessa. La vita l’ha messa all’angolo, schiacciandola tra le pieghe di una società cinica e frettolosa, troppo presa da se stessa per accorgersi delle tragedie umane dei singoli.]

su “La Sicilia” (Massimo Maugeri racconta il suo romanzo “Cetti Curfino”)
[Un romanzo strutturato sull’alternanza delle voci di questi due personaggi – Cetti e Andrea – che cercano nella scrittura una personale forma di riscatto].

su “Ponza Racconta” (recensione di Tea Ranno)
[Ma un libro di denuncia, quanto può essere pericoloso? Quanto può dare fastidio a chi si fa largo a spallate e coltellate dentro la vita per non essere sopraffatto? Quanto possono essere dure le conseguenze della verità? (...) Buttana è la vita, Cetti, e buttana pure la morte che ti viene ad allisciare, a spingere verso di te la sua ombra rapinosa.]

Su “L’Immaginazione” e “La poesia e lo spirito” (recensione di Giorgio Morale)
[Una struttura a cerchio che rivela la sapienza compositiva di Massimo Maugeri. (...) Davvero, sempre, “la verità aiuta”? Anche noi, convinti di una funzione anche sociale della letteratura, non possiamo non porci questa domanda, che rende Cetti Curfino di Massimo Maugeri una sorta di apologo, di conte philosophique e ne accresce la complessità.]

su “I Love Sicilia” (recensione di Camillo Scaduto)
[“Cetti Curfino” è, dunque, oltre che un romanzo, anche un faro puntato sulla condizione carceraria  della donna e della donna madre in particolare, temi scottanti e di bruciante attualità che Massimo Maugeri non esita a trattare con cura, pur dentro i confini della fiction.]

Su “Mangialibri” (recensione di Mattia Insolia)
[Maugeri è un narratore formidabile. Ha un controllo della penna superbo, costruisce personaggi tridimensionali con cui non possiamo fare a meno di empatizzare. Personaggi che sfuggono a qualsiasi etichetta, in cui bene e male non possono essere divisi da una linea di demarcazione netta].

su “FuoriAsse” (recensione di Domenico Trischitta)
[Questo romanzo è anomalo, o meglio esemplare, nasce per necessità esistenziale e per necessità letteraria.]

sulprogramma televisivo LA VALIGIA E LA LUNA” – Telecittà ch 654 (clicca sul link per vedere il video)
[Si fa sempre più strada l'idea di un film su "Cetti Curfino" - Massimo Maugeri con il conduttore Giuseppe Lissandrello e con l'attrice Carmelinda Gentile e il regista Manuel Giliberti]

su “Radio Radicale (Le parole e le cose con Massimiliano Coccia)
["Le parole e le cose - Intervista a Massimo Maugeri, autore del libro "Cetti Curfino" (La nave di Teseo)" realizzata da Massimiliano Coccia con Massimo Maugeri (giornalista e scrittore)] – per ascoltare la puntata clicca qui

su “Global Press Italia” (recensione di Cristina Marra)
[Una storia nera, forte che ti investe come un pugno e ti conquista con una carezza, è quella di “Cetti Curfino” di Massimo Maugeri che gioca abilmente sulla doppiezza e gli opposti della struttura narrativa e della caratterizzazione dei personaggi. (…) Maugeri dopo “Trinacria Park” si riconferma un maestro della parola e del sapiente miscuglio di generi in un romanzo che non concede soste e che riempie il silenzio omertoso con una voce indimenticabile, la voce di chi ha fretta e bisogno di essere ascoltato come lo vuole essere la terra siciliana  che con Maugeri diventa metafora  per raccontare la contemporaneità].

su “Il Libraio.it”
[Chi è Cetti Curfino? Qual è la storia che l’ha portata in carcere? Il nuovo romanzo di Massimo Maugeri ha per protagonista un giornalista alle prime armi che incontra una detenuta speciale]

su “Sul Romanzo (recensione di Lavinia Palmas)
[Una storia che riesce a coinvolgere il lettore già dalle prime righe perché narra le vicende di una donna in cerca di giustizia in onore del marito che ha perso la vita. La narrazione risulta toccante non solo per i temi affrontati, ma anche per le modalità con cui l’autore riporta i fatti che vengono raccontati dalla voce della protagonista che parla con un italiano imperfetto, creando così un’atmosfera più informale e intima con il lettore.]

su “Libreriamo” (intervista)
[La Sicilia come metafora per raccontare la nostra contemporaneità, con alcune problematiche “trasversali” rispetto ai territori, come la condizione femminile, la sicurezza sul lavoro, la disoccupazione, i paradossi insiti nei quartieri a rischio].

su “Notabilis” (recensione di Orazio Caruso)
[Cetti è un personaggio inconfondibile, che preme per essere raccontato, per raccontarsi, che si impone con la sua voce unica, con la sua versione dei fatti. Cetti è un personaggio che non cerca l’autore, perché è lei stessa l’autrice in cerca di un pubblico a cui raccontarsi.]

su “SoloLibri” (recensione di Milena Privitera)
[«Cetti Curfino» (La Nave di Teseo, 2018) di Massimo Maugeri è un romanzo che ti incanta... è un romanzo stilisticamente perfetto raccontato all’unisono da due voci, che si incontrano e scontrano in un lasso di tempo che aiuterà entrambi a trovare una ragione di essere]

su “Pangea” (intervista di Gianluca Barbera)
[Non avevo alcuna scaletta. Né quando ho iniziato a scrivere il racconto, né quando ho iniziato a lavorare al romanzo. Cetti Curfino è il personaggio letterario più potente in cui, nella mia esperienza di scrittura, mi sono mai imbattuto finora. È sempre stata lei a condurre le danze.]

su “Agoravox Italia” (recensione di Flaminia P. Mancinelli)
[Un romanzo - e capita sempre più di rado, che ha il merito di prenderti fin dalle prime pagine e di non lasciarti più, neanche dopo aver finito e chiuso il libro.]

su “OggiMilazzo” (recensione)
[Un libro che va letto tutto d’un fiato. Pagina dopo pagina. Descrizione dopo descrizione. Sentimento dopo sentimento. Personaggio dopo personaggio. Perchè sì, in “Cetti Curfino” il racconto spesso è toccante e appassiona anche per i tanti aspetti sociali che vengono magistralmente messi in evidenza.]

su “Sotto Il Vulcano” (recensione di Simona Pappalardo)
[“Cetti Curfino” è un viaggio, un percorso, una destinazione. Va letto con calma e assaporato, lasciandosi cullare dalle parole della stessa protagonista, infarcite di errori grammaticali ma piene di “anima”.]

su “Persona e Danno” (recensione di Maria Zappia)
[Sono i piani della narrazione e la lingua che attraggono in quest’opera: lingua curata e precisa nelle parti in cui si esprime Andrea con i suoi tentativi di dare ordine ad una vita apparentemente incolore (...) e la lingua forte e violenta di Cetti, la lingua in cui la donna reclusa tenta di esprimere la propria verità, una lingua tutta dialettismi e senso pratico meridionale.]

su “Thriller Nord” (recensione di Francesca Mogavero)
[Una prova letteraria che scavalca la grammatica e i generi – la classifichiamo come giallo, noir, narrativa? – e che ci regala una figura femminile epica nei suoi difetti, straordinaria nel suo essere “sempre femmina seria”]

su “La Sicilia” (articolo di Domenico Russello)
[L’universo carcerario visto attraverso gli occhi di una donna dalla bellezza potente, che racconta la sua storia.]

su La Gazzetta del Mezzogiorno”
[La storia di Cetti Curfino è quella raccontata in un romanzo potente sull’origine delle azioni umane e sul mistero di ogni delitto, costruito come un valzer tra due personaggi, due specchi – drammatici e comici – dell’essere uomini e donne in terra di Sicilia].

su “La Civetta di Minerva” (articolo e intervista di Maria Lucia Riccioli)
[Uno dei punti di forza è nel linguaggio forte e dall’impronta dialettale cucito addosso a Cetti]

su “Blog Letteratura e Cultura” (recensione di Gabriella Maggio)
[La narrazione scorre fluida lungo i trentasette capitoli che alternano la  lingua italiana di Andrea e zia Miriam e altri personaggi al dialetto siciliano, che aspira a un’italianizzazione precaria e scorretta, usato da Cetti nel  suo inconsapevole percorso di autoanalisi nelle lettere scritte al  commissario Ramotta per racconta tutta la sua storia.]

su “Cultureggiando” (recensione di Antonino Genovese)
[un libro intenso, commovente, ma intriso di ironia e Sicilitudine, che ne fanno un piccolo e raro gioiello nel marasma editoriale contemporaneo.]

su “Critici per caso” (recensione di MG Colombo)
[Un processo di autodeterminazione ed emancipazione straordinario. Tutto compreso e rappresentato da due lettere autografe, che sono un inno commovente al valore della lettura e alla forza delle parole.]

su “InfoVercelli24″ (articolo di Francesca Rivano, con incipit del libro e intervista)
[La bellezza, e la potenza narrativa di questo libro, s'intravede subito, dalle prime righe]

su “Corriere Etneo” (servizio e videointervista a cura di Nicola Savoca)
[Cetti Curfino è una donna risoluta che sconta in carcere un delitto. Pur ricorrendo ad un linguaggio malfermo, la donna racconta ad un giovane giornalista la sua storia.]

su “NoCrime OnlyArt” (articolo/intervista di Linda Cercari)
[Un romanzo molto umano, ricco e intenso.]

su “Leggereonline” (intervista di Flaminia P. Mancinelli)
[John Lennon è stato molto presente nella fase di scrittura di questo romanzo. (...) Il titolo di questa canzone scuote come uno schiaffo: Woman is the nigger of the world (La donna è il negro del mondo).]

su “Convenzionali” (recensione di Gabriele Ottaviani)
[Cetti Curfino è il simbolo del dolore del mondo, è una protagonista straordinaria ritratta mirabilmente che ci racconta della vana prepotenza dell’inumanità. Eccellente.]

su “Letto, riletto, recensito” (intervista di Salvatore Massimo Fazio)
[Rispetto a Cetti Curfino credo che emergano soprattutto due problematiche: l’essere invisibili agli occhi di una società ripiegata su se stessa, incapace - a volte - di volgere lo sguardo nei confronti di chi precipita in situazioni di bisogno e di indigenza; la "condizione femminile" che, nei luoghi più disagiati, è ancora più drammatica.]

su “L’Immediato”
[Un romanzo denso di significati, in grado di rappresentare la Sicilia attraverso una figura potente e affascinante.]

su “L’Immediato” / 2
[Anche il pubblico alla Ubik è rimasto affascinato dal racconto e da come l’autore lo ha vissuto. La voce dei due personaggi e di Cetti Curfino in particolare si è come “canalizzata” in Maugeri, come in una nuova esperienza pirandelliana.]

Su “La Gazzetta Augustana
[ “Quello di Massimo Maugeri è un meta-romanzo, ossia un romanzo sullo scrivere romanzi e sull’importanza dei libri perché un libro non è mai innocuo e la scrittura può essere salvifica, come sarà per Cetti Curfino”]

* * *

CETTI CURFINO di Massimo Maugeri (La nave di Teseo)

Cetti Curfino (Cover)

Collana Oceani, narrativa italiana, pp. 256, 18 euro

Un giornalista, una donna detenuta in carcere, una confessione che non può più aspettare.

Un giornalista giovane e spiantato, Andrea Coriano, entra in un carcere per incontrare una detenuta, Cetti Curfino. Gli si pone davanti una donna prorompente, labbra carnose, corpo colmo, occhi che rivelano abissi. Andrea ha letto la storia di Cetti sui quotidiani: una donna semplice, un marito che muore mentre lavora in nero, un figlio da sistemare e una lenta discesa nelle viscere di una società che sa essere molto crudele. Una storia di politici senza scrupoli e amici fedeli, di confessioni improvvise e segreti infamanti, un caso che ha fatto molto parlare ma che adesso sta per spegnersi, ingoiato da altri clamori. Il giornalista ha subito creduto che la sua storia andasse raccontata e ora che se la trova lì, ferina, impastata di dialetto, dolore e femminilità, capisce di non essersi sbagliato.
Chi è Cetti Curfino? Qual è la storia che l’ha portata in carcere? Sarà in grado di aprire a lui – giornalista alle prime armi – la propria vita, i percorsi oscuri che l’hanno condotta fin lì? Andrea non ha molte armi professionali in tasca, e nemmeno molti strumenti di seduzione, in verità. Al più, può sfoderare con una certa autoironia le proprie difficoltà. La vita con zia Miriam ad esempio, e le corse in macchina per portarla in giro con il suo festoso gruppo di amiche di mezza età, vedove ringalluzzite dalla gioia di godersi la stagione del tramonto. La voce di Cetti, però, non gli dà tregua: vibrante nel suo italiano imperfetto, sembra salire dalle profondità della terra di Sicilia.
Cetti Curfino è un romanzo potente sull’origine delle azioni umane e sul mistero di ogni delitto, costruito come un valzer tra due personaggi che cercano nella scrittura la propria verità.


* * *

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http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/05/10/cetti-curfino-la-rassegna-stampa/feed/ 0
CETTI CURFINO di Massimo Maugeri (La nave di Teseo) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/05/09/cetti-curfino-di-massimo-maugeri-la-nave-di-teseo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/05/09/cetti-curfino-di-massimo-maugeri-la-nave-di-teseo/#comments Wed, 09 May 2018 15:13:21 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7782

Cetti Curfino (Cover)Care amiche e cari amici di Letteratitudine,

desidero condividere con voi la notizia dell’uscita del mio nuovo romanzo edito da La nave di Teseo e intitolato “Cetti Curfino“.

Con molti di voi ho già avuto modo di interagire su Facebook (e vi ringrazio per il vostro commovente affetto).

Qui di seguito troverete: un mio articolo (pubblicato sulla pagina cultura del quotidiano “La Sicilia”) in cui racconto la genesi del romanzo, una sintetica rassegna stampa (in corso di aggiornamento), la scheda del libro e il booktrailer (con la splendida interpretazione di Carmelinda Gentile nei panni di Cetti Curfino).

Comincia una nuova avventura letteraria, cari amici.

Grazie di cuore per il vostro sostegno!

Massimo Maugeri

(p.s. per un po’ di tempo lascerò questo post in evidenza)

* * *

CETTI CURFINO: racconto di un romanzo

Massimo Maugeri racconta – sulle pagine de “La Sicilia” – come è nato il suo nuovo romanzo intitolato “Cetti Curfino”, in uscita il 10 maggio per La nave di Teseo

* * *

di Massimo Maugeri

Ricordo benissimo il momento in cui la voce di questo personaggio giunse alle mie orecchie per la prima volta. Accadde qualche anno fa, ancor prima del 2011: anno in cui il racconto “Ratpus”, dove appare per l’appunto Cetti Curfino, venne pubblicato nella raccolta “Viaggio all’alba del millennio” edita da Perdisa. Ogni storia nasce a modo suo e non sempre è facile risalirne alle origini; ma in questo caso andò proprio così: prima di ogni altra cosa giunse la voce, poi il resto. E la voce era quella di una donna che pronunciava questa frase: «Intanto per incominciare è meglio che chiariamo un punto».

Si trattava di una donna arrabbiata, disperata. Provai a visualizzarla e l’immagine che mi apparve fu quella di una bella e problematica quarantenne con le mani aggrappate alle sbarre della cella di una prigione: occhi chiari, capelli castani, corpo sinuoso. Dal tono della voce sapevo che questa donna era tutt’altro che istruita. Doveva provenire da un quartiere degradato e dunque parlava in maniera sgrammaticata. A parte questo, non sapevo null’altro di lei. Di conseguenza cominciai a pormi delle domande. Per quale motivo era finita in carcere? Qual era il punto che voleva chiarire? E a chi si stava rivolgendo? Iniziai a scrivere buttando giù quella prima frase. Il resto venne da sé. Per prima cosa capii che questa donna aveva bisogno di raccontare la sua storia, di essere compresa. Così pensai che stesse scrivendo una lettera indirizzata al commissario di polizia che l’aveva arrestata (una lettera strampalata e, inevitabilmente, sgrammaticata). Mi misi in ascolto e la lasciai parlare. A mano a mano che lei parlava venni a conoscenza degli elementi fondamentali della storia e di come la sua vita si fosse trasformata in un vero e proprio inferno (perché, come dice Cetti, c’è l’inferno dei morti e quello dei vivi. Quest’ultimo è peggiore, perché i morti non hanno la necessità di «riempirsi la pancia»). E di come fosse giunta a commettere – sebbene in maniera non preventivata – un crimine che non può comunque essere giustificato. Ma c’è sempre (si spera) la possibilità di una redenzione.

Il racconto rimase custodito all’interno di “Viaggio all’alba del millennio” fino a che, circa tre anni dopo, non fui contattato dal regista Manuel Giliberti. Manuel aveva letto “Ratpus” ed era rimasto molto colpito. Mi disse che quel testo era perfetto per una trasposizione teatrale in forma di monologo in atto unico. Aveva già in mente l’attrice adatta a impersonare Cetti Curfino: Carmelinda Gentile. Fino a quel momento non avevo mai incontrato Carmelinda, ma la conoscevo anche grazie all’interpretazione del ruolo di Beba nell’ambito del “Commissario Montalbano” televisivo. Espressi a Manuel il mio entusiasmo e il progetto partì.

La prima, per la regia dello stesso Giliberti, ebbe luogo a Messina nel novembre 2015. Lo spettacolo beneficiò di successo e avrebbe travalicato i confini nazionali (nel 2016 sarebbe andato in scena persino ad Amsterdam), ma fu lì, a Messina, che capii che Carmelinda Gentile era l’interprete ideale di Cetti Curfino. Carmelinda non recitava. Carmelinda viveva Cetti. Carmelinda era Cetti. Posso affermare che il germe di questo libro nacque proprio mentre la protagonista finiva di raccontare la sua storia e si spegnevano le luci di quel primo spettacolo. È stato in quel momento che, con un’emozione mozzafiato, mi sono chiesto: e ora che ne sarà di lei? Quella domanda si ripropose ogni volta che ebbi modo di assistere alle successive rappresentazioni. Insomma, il personaggio (che ormai aveva le sembianze di Carmelinda Gentile) prese a bussare con insistenza alla mia porta (per dirla con Dacia Maraini).

Alla fine mi arresi e buttai giù l’incipit di questo romanzo: «Appena la vide, pensò due cose. La prima: il suo era uno di quegli sguardi capaci di bloccare il respiro. La seconda: la sua bellezza era dotata di un incanto ferale».

A chi apparteneva questa nuova voce? Chi era che, entrando in carcere, e incontrando per la prima volta Cetti, aveva pensato quelle due cose? Ai margini della mia immaginazione si materializzò questo giovane: simpatico, ma un po’ impacciato. Mi dissi che doveva essere un giovane giornalista spiantato che desiderava raccontare la storia della Curfino in un libro. Uno dei tanti che collaborano “quasi gratis” con un quotidiano locale online. Immaginai che vivesse con un’anziana zia, affettuosa ma asfissiante, un po’ fissata con le faccende domestiche. Insomma: sullo schermo della mia mente prendeva sempre più corpo una specie di Peter Parker italiano (anzi, siciliano), che viveva con una specie di zia May (anche lei sicula), ma senza avere i superpoteri di Spiderman. Gli dissi: ti chiamerai Andrea Coriano. Il giovane spiantato si strinse nelle spalle e annuì. È così che è nato “Cetti Curfino”: un romanzo strutturato sull’alternanza delle voci di questi due personaggi – Cetti e Andrea – che cercano nella scrittura una personale forma di riscatto.

* * *

Per le conoscere le date della presentazione del romanzo e gli eventi in corso clicca qui

* * *

RASSEGNA STAMPA

Romanzo finalista alla 32esima edizione 2018-2019 del Premio Letterario Chianti

Su “Il Sole 24Ore” – Domenica (recensione di Filippo La Porta)
[I due personaggi principali, il Cronista trentenne – esitante, eterno adolescente “adottato” da zia Miriam – e la Detenuta quarantenne – di una “bellezza selvaggia” che toglie il respiro, cosi determinata che infine scriverà lei il proprio libro! – sono disegnati con accuratezza (se qualcuno ne ricavasse una flction TV diventerebbero più banali: solo la parola può evocare tutte le sfumature che sfuggono alla piattezza dell’immagine). Ma la invenzione principale di Maugeri è la lingua che impresta a Cetti, un mezzo dialetto, un italiano sgraziato però educato a un ordine logico]

su “Tuttolibri”- “La Stampa” (recensione di Amedeo La Mattina)
[Cetti, dotata di «una bellezza ferale», di quelle che toglie il fiato, sceglie la strada che la porta in una cella. Massimo Maugeri ci conduce dentro questa prigione, ci fa entrare nella testa di una donna che concentra l’umiliazione e la disperazione di milioni di donne alla ricerca della propria dignità.]

su “Fahrenheit – Radio 3″ (Libro del giorno di Fahrenheit – con Loredana Lipperini)
[Cetti Curfino è una donna prorompente, con labbra carnose e occhi che rivelano abissi. Andrea ha letto la sua storia sui quotidiani: una donna semplice, un marito che muore mentre lavora in nero, un figlio da sistemare, e una lenta discesa nelle viscere di una società che sa essere molto crudele]. – per ascoltare la puntata clicca qui

Su Rai1 – La partecipazione di Massimo Maugeri al programma “Mille e un libro” di Gigi Marzullo
[clicca sul libro per vedere il video]

su “L’Espresso” (Freschi di stampa di Sabina Minardi)
[Un linguaggio che sa affrontare con credibilità registri diversi, incluso quello imperfetto e sincero della detenuta siciliana]

su “La Lettura – Il Corriere della Sera”
[Romanzo di formazione di Cetti e, nello stesso tempo di Andrea, il giornalista che ne vuole raccontare la storia, Cetti Curfino è (anche) un inno al potere salvifico della scrittura.]

su “la Repubblica.it” (recensione e intervista di Silvana Mazzocchi)
[La realtà raccontata in forma di fiction, storie credibili che scavano nei problemi sociali del nostro tempo. (...) Una storia nella storia confezionata da Massimo Maugeri con abilità, talento e passione.]

su “Il Mattino” (recensione di Francesco Durante)
[Maugeri confeziona una storia semplice, insieme disperata e lieve, algida e sensuale, con un esito a sorpresa. La sua protagonista s’impone a cagione di una personalità veramente speciale, e fin dal primo momento merita la più cordiale solidarietà del lettore.]

su “Robinson – la Repubblica” (recensione di @CasaLettori)
[Cetti Curfino (La nave di Teseo) è “vittima invisibile di una società intenta a crogiolarsi tra le proprie miserie”. (...) La morte del marito, l’odio del figlio, la precarietà del quotidiano e un gesto di ribellione che pagherà caro. Sentiamo sulla pelle la disperazione di chi non ha scelta, ricattata da una povertà che non fa sconti. Guerriera orgogliosa non si lascia distruggere dall’esperienza carceraria].

su “Avvenire” (recensione di Bianca Garavelli)
[Romanzo originalissimo di doppia formazione, Cetti Curfino ci svela le brutture di una società che non ha rispetto per i suoi ultimi, donne o uomini che siano, confermandoci un Maugeri ottimo narratore dopo la già convincente prova di Trinacria Park.]

su “la Repubblica – Palermo” (recensione di Gianni Bonina)
[È il suo urlo così contemporaneo che, chiudendo alla fine il libro di Maugeri, sentiamo riecheggiare. Un urlo di donna che sostituisce il viandante di Munch e si infrange contro le nostre coscienze sorde]

su “La Sicilia” (recensione di Maria Rita Pennisi)
[Il romanzo tratta altre tematiche come le morti bianche, l’omicidio, l’amicizia, l’amore, la politica, la passione torbida, la detenzione e il senso di colpa del protagonista. Il tutto è descritto in modo magnifico dalla penna sapiente di Massimo Maugeri, che sa dosare perfettamente dramma, comicità e ironia.]

su “La Gazzetta di Parma” (recensione di Elisa Fabbri)
[Con questo suo nuovo romanzo, «Cetti Curfino», lo scrittore siciliano Massimo Maugeri ha realizzato un’opera caratterizzata da pagine commoventi accostate ad altre crude e inquietanti, lasciando sempre trasparire una sottesa tenerezza. (...) Emerge il ritratto di una donna straordinaria, schiacciata e ferita dalla vita ma non uccisa, come dimostra l’inatteso, magnifico finale.]

su “Vivere – La Sicilia” (articolo/intervista di Domenico Trischitta)
["Cetti Curfino" (La nave di Teseo) di Massimo Maugeri è un romanzo travolgente, avvincente, e la sua protagonista è uno di quei personaggi che difficilmente dimenticheremo].

su “La Gazzetta del Sud” (recensione di Francesco Musolino)
[Pagina dopo pagina, con una prosa svelta, Maugeri dipana la matassa e alla resa dei conti si viene presi in contropiede da un colpo di scena finale che capovolge la prospettiva. Ma la verità, la nuda verità delle cose, nasconde un potere catartico e liberatorio...].

su “La Gazzetta di Parma” online (recensione di Marilù Oliva)
[Una storia che tocca il cuore e che fa riflettere, un libro necessario per comprendere e correggere i lati distorti della nostra società.]

su “Casa dei Lettori” (intervista di Maria Anna Patti)
[Cetti Curfino è una leonessa. La vita l’ha messa all’angolo, schiacciandola tra le pieghe di una società cinica e frettolosa, troppo presa da se stessa per accorgersi delle tragedie umane dei singoli.]

su “La Sicilia” (Massimo Maugeri racconta il suo romanzo “Cetti Curfino”)
[Un romanzo strutturato sull’alternanza delle voci di questi due personaggi – Cetti e Andrea – che cercano nella scrittura una personale forma di riscatto].

su “Ponza Racconta” (recensione di Tea Ranno)
[Ma un libro di denuncia, quanto può essere pericoloso? Quanto può dare fastidio a chi si fa largo a spallate e coltellate dentro la vita per non essere sopraffatto? Quanto possono essere dure le conseguenze della verità? (...) Buttana è la vita, Cetti, e buttana pure la morte che ti viene ad allisciare, a spingere verso di te la sua ombra rapinosa.]

Su “L’Immaginazione” e “La poesia e lo spirito” (recensione di Giorgio Morale)
[Una struttura a cerchio che rivela la sapienza compositiva di Massimo Maugeri. (...) Davvero, sempre, “la verità aiuta”? Anche noi, convinti di una funzione anche sociale della letteratura, non possiamo non porci questa domanda, che rende Cetti Curfino di Massimo Maugeri una sorta di apologo, di conte philosophique e ne accresce la complessità.]

su “I Love Sicilia” (recensione di Camillo Scaduto)
[“Cetti Curfino” è, dunque, oltre che un romanzo, anche un faro puntato sulla condizione carceraria  della donna e della donna madre in particolare, temi scottanti e di bruciante attualità che Massimo Maugeri non esita a trattare con cura, pur dentro i confini della fiction.]

Su “Mangialibri” (recensione di Mattia Insolia)
[Maugeri è un narratore formidabile. Ha un controllo della penna superbo, costruisce personaggi tridimensionali con cui non possiamo fare a meno di empatizzare. Personaggi che sfuggono a qualsiasi etichetta, in cui bene e male non possono essere divisi da una linea di demarcazione netta].

su “FuoriAsse” (recensione di Domenico Trischitta)
[Questo romanzo è anomalo, o meglio esemplare, nasce per necessità esistenziale e per necessità letteraria.]

sulprogramma televisivo LA VALIGIA E LA LUNA” – Telecittà ch 654 (clicca sul link per vedere il video)
[Si fa sempre più strada l'idea di un film su "Cetti Curfino" - Massimo Maugeri con il conduttore Giuseppe Lissandrello e con l'attrice Carmelinda Gentile e il regista Manuel Giliberti]

su “Radio Radicale (Le parole e le cose con Massimiliano Coccia)
["Le parole e le cose - Intervista a Massimo Maugeri, autore del libro "Cetti Curfino" (La nave di Teseo)" realizzata da Massimiliano Coccia con Massimo Maugeri (giornalista e scrittore)] – per ascoltare la puntata clicca qui

su “Global Press Italia” (recensione di Cristina Marra)
[Una storia nera, forte che ti investe come un pugno e ti conquista con una carezza, è quella di “Cetti Curfino” di Massimo Maugeri che gioca abilmente sulla doppiezza e gli opposti della struttura narrativa e della caratterizzazione dei personaggi. (…) Maugeri dopo “Trinacria Park” si riconferma un maestro della parola e del sapiente miscuglio di generi in un romanzo che non concede soste e che riempie il silenzio omertoso con una voce indimenticabile, la voce di chi ha fretta e bisogno di essere ascoltato come lo vuole essere la terra siciliana  che con Maugeri diventa metafora  per raccontare la contemporaneità].

su “Il Libraio.it”
[Chi è Cetti Curfino? Qual è la storia che l’ha portata in carcere? Il nuovo romanzo di Massimo Maugeri ha per protagonista un giornalista alle prime armi che incontra una detenuta speciale]

su “Sul Romanzo (recensione di Lavinia Palmas)
[Una storia che riesce a coinvolgere il lettore già dalle prime righe perché narra le vicende di una donna in cerca di giustizia in onore del marito che ha perso la vita. La narrazione risulta toccante non solo per i temi affrontati, ma anche per le modalità con cui l’autore riporta i fatti che vengono raccontati dalla voce della protagonista che parla con un italiano imperfetto, creando così un’atmosfera più informale e intima con il lettore.]

su “Libreriamo” (intervista)
[La Sicilia come metafora per raccontare la nostra contemporaneità, con alcune problematiche “trasversali” rispetto ai territori, come la condizione femminile, la sicurezza sul lavoro, la disoccupazione, i paradossi insiti nei quartieri a rischio].

su “Notabilis” (recensione di Orazio Caruso)
[Cetti è un personaggio inconfondibile, che preme per essere raccontato, per raccontarsi, che si impone con la sua voce unica, con la sua versione dei fatti. Cetti è un personaggio che non cerca l’autore, perché è lei stessa l’autrice in cerca di un pubblico a cui raccontarsi.]

su “SoloLibri” (recensione di Milena Privitera)
[«Cetti Curfino» (La Nave di Teseo, 2018) di Massimo Maugeri è un romanzo che ti incanta... è un romanzo stilisticamente perfetto raccontato all’unisono da due voci, che si incontrano e scontrano in un lasso di tempo che aiuterà entrambi a trovare una ragione di essere]

su “Pangea” (intervista di Gianluca Barbera)
[Non avevo alcuna scaletta. Né quando ho iniziato a scrivere il racconto, né quando ho iniziato a lavorare al romanzo. Cetti Curfino è il personaggio letterario più potente in cui, nella mia esperienza di scrittura, mi sono mai imbattuto finora. È sempre stata lei a condurre le danze.]

su “Agoravox Italia” (recensione di Flaminia P. Mancinelli)
[Un romanzo - e capita sempre più di rado, che ha il merito di prenderti fin dalle prime pagine e di non lasciarti più, neanche dopo aver finito e chiuso il libro.]

su “OggiMilazzo” (recensione)
[Un libro che va letto tutto d’un fiato. Pagina dopo pagina. Descrizione dopo descrizione. Sentimento dopo sentimento. Personaggio dopo personaggio. Perchè sì, in “Cetti Curfino” il racconto spesso è toccante e appassiona anche per i tanti aspetti sociali che vengono magistralmente messi in evidenza.]

su “Sotto Il Vulcano” (recensione di Simona Pappalardo)
[“Cetti Curfino” è un viaggio, un percorso, una destinazione. Va letto con calma e assaporato, lasciandosi cullare dalle parole della stessa protagonista, infarcite di errori grammaticali ma piene di “anima”.]

su “Persona e Danno” (recensione di Maria Zappia)
[Sono i piani della narrazione e la lingua che attraggono in quest’opera: lingua curata e precisa nelle parti in cui si esprime Andrea con i suoi tentativi di dare ordine ad una vita apparentemente incolore (...) e la lingua forte e violenta di Cetti, la lingua in cui la donna reclusa tenta di esprimere la propria verità, una lingua tutta dialettismi e senso pratico meridionale.]

su “Thriller Nord” (recensione di Francesca Mogavero)
[Una prova letteraria che scavalca la grammatica e i generi – la classifichiamo come giallo, noir, narrativa? – e che ci regala una figura femminile epica nei suoi difetti, straordinaria nel suo essere “sempre femmina seria”]

su “La Sicilia” (articolo di Domenico Russello)
[L’universo carcerario visto attraverso gli occhi di una donna dalla bellezza potente, che racconta la sua storia.]

su La Gazzetta del Mezzogiorno”
[La storia di Cetti Curfino è quella raccontata in un romanzo potente sull’origine delle azioni umane e sul mistero di ogni delitto, costruito come un valzer tra due personaggi, due specchi – drammatici e comici – dell’essere uomini e donne in terra di Sicilia].

su “La Civetta di Minerva” (articolo e intervista di Maria Lucia Riccioli)
[Uno dei punti di forza è nel linguaggio forte e dall’impronta dialettale cucito addosso a Cetti]

su “Blog Letteratura e Cultura” (recensione di Gabriella Maggio)
[La narrazione scorre fluida lungo i trentasette capitoli che alternano la  lingua italiana di Andrea e zia Miriam e altri personaggi al dialetto siciliano, che aspira a un’italianizzazione precaria e scorretta, usato da Cetti nel  suo inconsapevole percorso di autoanalisi nelle lettere scritte al  commissario Ramotta per racconta tutta la sua storia.]

su “Cultureggiando” (recensione di Antonino Genovese)
[un libro intenso, commovente, ma intriso di ironia e Sicilitudine, che ne fanno un piccolo e raro gioiello nel marasma editoriale contemporaneo.]

su “Critici per caso” (recensione di MG Colombo)
[Un processo di autodeterminazione ed emancipazione straordinario. Tutto compreso e rappresentato da due lettere autografe, che sono un inno commovente al valore della lettura e alla forza delle parole.]

su “InfoVercelli24″ (articolo di Francesca Rivano, con incipit del libro e intervista)
[La bellezza, e la potenza narrativa di questo libro, s'intravede subito, dalle prime righe]

su “Corriere Etneo” (servizio e videointervista a cura di Nicola Savoca)
[Cetti Curfino è una donna risoluta che sconta in carcere un delitto. Pur ricorrendo ad un linguaggio malfermo, la donna racconta ad un giovane giornalista la sua storia.]

su “NoCrime OnlyArt” (articolo/intervista di Linda Cercari)
[Un romanzo molto umano, ricco e intenso.]

su “Leggereonline” (intervista di Flaminia P. Mancinelli)
[John Lennon è stato molto presente nella fase di scrittura di questo romanzo. (...) Il titolo di questa canzone scuote come uno schiaffo: Woman is the nigger of the world (La donna è il negro del mondo).]

su “Convenzionali” (recensione di Gabriele Ottaviani)
[Cetti Curfino è il simbolo del dolore del mondo, è una protagonista straordinaria ritratta mirabilmente che ci racconta della vana prepotenza dell’inumanità. Eccellente.]

su “Letto, riletto, recensito” (intervista di Salvatore Massimo Fazio)
[Rispetto a Cetti Curfino credo che emergano soprattutto due problematiche: l’essere invisibili agli occhi di una società ripiegata su se stessa, incapace - a volte - di volgere lo sguardo nei confronti di chi precipita in situazioni di bisogno e di indigenza; la "condizione femminile" che, nei luoghi più disagiati, è ancora più drammatica.]

su “L’Immediato”
[Un romanzo denso di significati, in grado di rappresentare la Sicilia attraverso una figura potente e affascinante.]

su “L’Immediato” / 2
[Anche il pubblico alla Ubik è rimasto affascinato dal racconto e da come l’autore lo ha vissuto. La voce dei due personaggi e di Cetti Curfino in particolare si è come “canalizzata” in Maugeri, come in una nuova esperienza pirandelliana.]

Su “La Gazzetta Augustana
[ “Quello di Massimo Maugeri è un meta-romanzo, ossia un romanzo sullo scrivere romanzi e sull’importanza dei libri perché un libro non è mai innocuo e la scrittura può essere salvifica, come sarà per Cetti Curfino”]

* * *

CETTI CURFINO di Massimo Maugeri (La nave di Teseo)

Cetti Curfino (Cover)

Collana Oceani, narrativa italiana, pp. 256, 18 euro

Un giornalista, una donna detenuta in carcere, una confessione che non può più aspettare.

Un giornalista giovane e spiantato, Andrea Coriano, entra in un carcere per incontrare una detenuta, Cetti Curfino. Gli si pone davanti una donna prorompente, labbra carnose, corpo colmo, occhi che rivelano abissi. Andrea ha letto la storia di Cetti sui quotidiani: una donna semplice, un marito che muore mentre lavora in nero, un figlio da sistemare e una lenta discesa nelle viscere di una società che sa essere molto crudele. Una storia di politici senza scrupoli e amici fedeli, di confessioni improvvise e segreti infamanti, un caso che ha fatto molto parlare ma che adesso sta per spegnersi, ingoiato da altri clamori. Il giornalista ha subito creduto che la sua storia andasse raccontata e ora che se la trova lì, ferina, impastata di dialetto, dolore e femminilità, capisce di non essersi sbagliato.

Chi è Cetti Curfino? Qual è la storia che l’ha portata in carcere? Sarà in grado di aprire a lui – giornalista alle prime armi – la propria vita, i percorsi oscuri che l’hanno condotta fin lì? Andrea non ha molte armi professionali in tasca, e nemmeno molti strumenti di seduzione, in verità. Al più, può sfoderare con una certa autoironia le proprie difficoltà. La vita con zia Miriam ad esempio, e le corse in macchina per portarla in giro con il suo festoso gruppo di amiche di mezza età, vedove ringalluzzite dalla gioia di godersi la stagione del tramonto. La voce di Cetti, però, non gli dà tregua: vibrante nel suo italiano imperfetto, sembra salire dalle profondità della terra di Sicilia.

Cetti Curfino è un romanzo potente sull’origine delle azioni umane e sul mistero di ogni delitto, costruito come un valzer tra due personaggi che cercano nella scrittura la propria verità.

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OLTRE L’INVERNO di Isabel Allende http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/02/02/oltre-linverno-di-isabel-allende/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/02/02/oltre-linverno-di-isabel-allende/#comments Fri, 02 Feb 2018 15:22:44 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7712 In OLTRE L’INVERNO si cela l’invincibile estate di Isabel Allende

Come al solito Isabel Allende è andata in giro per il mondo a presentare il suo nuovo romanzo. In Italia – così come i precedenti – è stato pubblicato da Feltrinelli con il titolo di “Oltre l’inverno” (traduzione di Elena Liverani).
Tra le varie tappe internazionali segnaliamo quella che ha avuto luogo l’anno scorso, a Madrid, presso la Casa de América (di seguito, un breve resoconto).

* * *

Il romanzo nasce con una frase di Albert Camus che dice: “Nel bel mezzo dell’inverno, ho infine imparato che vi era in me un’invincibile estate”. In quel particolare momento della sua vita, quando ha iniziato a scrivere questo libro, l’8 Gennaio 2016, Isabel Allende ha vissuto una situazione del genere. Si era separata dal marito, viveva da sola e sentiva che la sua età aveva raggiunto un inverno della vita, ma l’invincibile estate era sempre lì. Così, quando ha iniziato a scrivere il romanzo ha fatto in modo che emergesse nei personaggi questa “estate” che ci aiuta ad andare avanti, a trovare l’amore, ad aprirci alla solidarietà, a vivere con coraggio, ad avere la consapevolezza che – anche se cediamo – abbiamo sempre un’opportunità.

La Allende ha sostenuto di non rappresentare esattamente la società nordamericana, ma – quando scrive – riesce a percepire nell’aria le questioni importanti. Nel periodo in cui ha scritto questo libro, Isabel viveva in California e nel romanzo c’è un tema molto importante che aleggiava nell’aria: la questione dei rifugiati. Come è noto il nord America è interessato da un potente flusso di immigrazione clandestina proveniente dall’America centrale e dal Messico. La gente viene in nord America per sfuggire alla povertà, per l’assenza di opportunità, per non subire la violenza, per la presenza del narcotraffico. Ci sono bambini che si avventurano attraversando paesi interi nel tentativo di oltrepassare la frontiera americana alla ricerca dei propri genitori e di una opportunità di vita.

Era latente nell’aria, lo era da tempo, ma ancor di più oggi, con Trump“, dice la Allende, “con quest’idea di realizzare una barriera per impedire alle persone di venire. Invece di impegnarsi per risolvere i problemi nei luoghi di origine dei rifugiati – dato che è evidente che nessuna di queste persone lascia la propria casa perché è in cerca di divertimento – ci si concentra sulla protezione della frontiera e nell’arrestare i clandestini. E si percepisce nell’aria questo progetto di deportare undici milioni di persone dagli Stati Uniti d’America“.

Nel libro c’è un personaggio molto importante: una ragazza del Guatemala è in fuga a causa di una spaventosa situazione con cui deve fare i conti. Si chiama Evelyn Ortega. “So di molta gente che si trova in situazioni simili“, dice ancora la Allende. “Persone vere, non personaggi inventati. In fondo non c’è nemmeno bisogno di inventare alcun personaggio, quando conosci personalmente molti esempi di persone che vivono questo tipo di situazioni.

Un altro personaggio chiave del libro è una giornalista cilena. “La gente crede che si tratti di me, ma non sono io. Questo personaggio è basato su una giornalista cilena, mia amica, più giovane di me, ma che ha anche vissuto l’epoca del colpo di stato militare in Cile (e ha perso parenti durante l’esilio al tempo della repressione)“.
Per Isabel Allende è soprattutto questo personaggio a rappresentare – appunto – una estate invincibile: “Quella specie di forza eterna“, evidenzia l’autrice, “che noi donne abbiamo sempre dentro. Ed è il personaggio più ottimista del libro. Poi c’è un personaggio maschile, che ricorda persone che conosco. È un accademico che vive una vita controllata, perfetta. È sicuro che null’altro possa accadergli, oltre a ciò che gli è già capitato. A un certo punto, però, all’improvviso nella sua vita entrano – come un uragano – l’avventura, il rischio, l’amore, la necessità di essere solidali, di avere il coraggio necessario per affrontare una situazione che cambierà la sua vita“.

Isabel Allende sottolinea, infine, che tutti i suoi romanzi hanno qualcosa di “autobiografico”. Nel senso che corrispondono a un momento particolare della sua vita che vuole esorcizzare, o capire meglio, o lasciar “plasmare” in qualche modo.
Da questo punto di vista tutti i miei romanzi contegono elementi “autobiografici”“, conlude la scrittrice sudamericana, “ma non credo che questo lo sia più di altri, fatta eccezione per il personaggio di Lucia che – in qualche modo – rispecchia come mi sento io oggi in America“.

* * *

Le prime pagine del romanzo sono disponibili qui

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La scheda di “Oltre l’inverno” di Isabel Allende (Feltrinelli)

Lucía, cilena espatriata in Canada negli anni del brutale insediamento di Pinochet, ha una storia segnata da profonde cicatrici: la sparizione del fratello all’inizio del regime, un matrimonio fallito, una battaglia contro il cancro, ma ha anche una figlia indipendente e vitale e molta voglia di lasciarsi alle spalle l’inverno. E quando arriva a Brooklyn per un semestre come visiting professor si predispone con saggezza a godere della vita.
Richard è un professore universitario spigoloso e appartato. Anche a lui la vita ha lasciato profonde ferite, inutilmente annegate nell’alcol e ora lenite solo dal ferreo autocontrollo con cui gestisce la sua solitudine; la morte di due figli e il suicidio della moglie l’hanno anestetizzato, ma la scossa che gli darà la fresca e spontanea vitalità di Lucía restituirà un senso alla sua esistenza.
La giovanissima Evelyn è dovuta fuggire dal Guatemala dove era diventata l’obiettivo di pericolose gang criminali. Arrivata avventurosamente negli Stati Uniti, trova impiego presso una facoltosa famiglia dagli equilibri particolarmente violenti: un figlio disabile rifiutato dal padre, una madre vittima di abusi da parte del marito e alcolizzata, un padre coinvolto in loschi traffici.
Un incidente d’auto e il ritrovamento di un cadavere nel bagagliaio della macchina che saranno costretti a far sparire uniranno i destini dei tre protagonisti per alcuni lunghi giorni in cui si scatena una memorabile tempesta di neve che li terrà sotto assedio.

* * *

Il video (in lingua spagnola)

* * *

Isabel AllendeIsabel Allende è nata a Lima, in Perù, nel 1942, ma è vissuta in Cile fino al 1973 lavorando come giornalista. Dopo il golpe di Pinochet si è stabilita in Venezuela e, successivamente, negli Stati Uniti. Con il suo primo romanzo, La casa degli spiriti del 1982 (Feltrinelli, 1983), si è subito affermata come una delle voci più importanti della narrativa contemporanea in lingua spagnola. Con Feltrinelli ha pubblicato anche: D’amore e ombra (1985), Eva Luna (1988), Eva Luna racconta (1990), Il Piano infinito (1992), Paula (1995), Afrodita. Racconti, ricette e altri afrodisiaci (1998), La figlia della fortuna (1999), Ritratto in seppia (2001), La città delle Bestie (2002), Il mio paese inventato (2003), Il Regno del Drago d’oro (2003), La Foresta dei pigmei (2004), Zorro. L’inizio di una leggenda (2005), Inés dell’anima mia (2006), La somma dei giorni (2008), L’isola sotto il mare (2009), Il quaderno di Maya (2011), Le avventure di Aquila e Giaguaro (2012), Amore (2013), Il gioco di Ripper (2013), L’amante giapponese (2015), Oltre l’inverno (2017). Negli Audiolibri Emons Feltrinelli: La casa degli spiriti (letto da Valentina Carnelutti, 2012) e L’isola sotto il mare (letto da Valentina Carnelutti, 2010). Inoltre Feltrinelli ha pubblicato Per Paula. Lettere dal mondo (1997), che raccoglie le lettere ricevute da Isabel Allende dopo la pubblicazione di Paula, La vita secondo Isabel di Celia Correas Zapata (2001). Nel 2014 Obama l’ha premiata con la Medaglia presidenziale della libertà.

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PREMIO STREGA 2017: I CINQUE FINALISTI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/06/14/premio-strega-2017-i-cinque-finalisti/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/06/14/premio-strega-2017-i-cinque-finalisti/#comments Wed, 14 Jun 2017 20:02:12 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7548 Link logo alla HomeI CINQUE FINALISTI DEL PREMIO STREGA 2017

I cinque finalisti del Premio Strega 2017

Sono (nella foto in basso, da sinistra): Paolo Cognetti, Wanda Marasco, Alberto Rollo, Teresa Ciabatti e Matteo Nucci
© Musacchio / Ianniello / Pasqualini

La seconda votazione e la proclamazione del vincitore avverranno giovedì 6 luglio al Ninfeo di Villa Giulia a Roma.

* * *

Link banner a 70 Anni di Premio Strega Roma, Casa Bellonci, mercoledì 14 giugno. In serata si è chiuso il “seggio elettorale” per la prima votazione, quella che designa i finalisti all’edizione 2017 del Premio Strega, promosso dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e da Strega Alberti Benevento con il contributo della Camera di Commercio di Roma e in collaborazione con BPER Banca e Toyota Motor Italia.

Come sempre Casa Bellonci è stata gremita da molti degli Amici della domenica, il corpo elettorale del premio, eredi di un rito che si ripete solennemente da settant’anni. prima votazione A partire da questa edizione, ai tradizionali 400 Amici della Domenica e ai 40 lettori forti selezionati dalle librerie indipendenti italiane associate all’ALI, si sono aggiunti 20 voti collettivi espressi da scuole, università e 15 circoli di lettura presso le Biblioteche di Roma e 200 voti espressi da studiosi, traduttori e intellettuali italiani e stranieri selezionati da 20 Istituti italiani di cultura all’estero. Il numero dei votanti ha raggiunto quindi un totale di 660 aventi diritto.

La serata è stata trasmessa in diretta streaming da Rai Cultura, media partner del Premio, all’indirizzo www.cultura.rai.it/live.

Al termine dello spoglio dei voti arrivati nella giornata di oggi, il presidente di seggio Edoardo Albinati, vincitore del Premio Strega 2016, ha descritto l’andamento dei voti pervenuti per via telematica nelle settimane precedenti. La somma dei voti elettronici e delle schede cartacee (547 su 660 aventi diritto, con 2 schede bianche) ha delineato la cinquina degli autori e dei libri finalisti del Premio Strega 2017, che sono (cliccare sui titoli per aprire le pagine con le schede dei libri):

Paolo Cognetti, Le otto montagne (Einaudi) Presentato da Cristina Comencini e Benedetta Tobagi [con 281 voti]

Teresa Ciabatti, La più amata (Mondadori) Presentato da Stefano Bartezzaghi e Edoardo Nesi [con 177 voti]

Wanda Marasco, La compagnia delle anime finte (Neri Pozza) Presentato da Paolo Di Stefano e Silvio Perrella [con 175 voti]

Alberto Rollo, Un’educazione milanese (Manni) Presentato da Giuseppe Antonelli e Piero Dorfles [con 160 voti]

Matteo Nucci, È giusto obbedire alla notte (Ponte alle Grazie) Presentato da Annalena Benini e Walter Pedullà [con 158 voti]

La seconda votazione e la proclamazione del vincitore si svolgeranno giovedì 6 luglio al Ninfeo di Villa Giulia a Roma.

* * *

I risultati ottenuti dagli altri semifinalisti sono i seguenti:

Chiara Marchelli, 125 voti per Le notti blu (Perrone), Ferruccio Parazzoli, 122 voti per Amici per paura (SEM), Marco Ferrante, 111 voti per Gin tonic a occhi chiusi (Giunti),  Marco Rossari, 100 voti per Le cento vite di Nemesio (e/o), Nicola Ravera Rafele, 96 voti per Il senso della lotta (Fandango Libri), Monaldi&Sorti, 74 voti per Malaparte. Morte come me (Baldini&Castoldi) e Vanni Santoni, 62 voti per La stanza profonda (Laterza).

* * *

Link logo alla Home Nelle settimane che li separano dalla votazione finale, gli autori finalisti del LXXI Premio Strega incontreranno il pubblico in un programma di appuntamenti che li vedono ospiti di festival e manifestazioni letterarie in Italia, delle Biblioteche di Roma e dell’Istituto di Cultura di Madrid.

Il calendario degli appuntamenti con la cinquina finalista

17 giugno Salerno Letterature

22 giugno Istituto Italiano di cultura di Madrid

25 giugno Cervo Ti Strega

26 giugno Circolo dei Lettori di Torino

27 giugno La grande InvasioneVistaterra,Ivrea

29 giugno Sole 24ore, MUDEC, Milano

30 giugno Piceno d’autore, San Benedetto del Tronto

Il calendario degli incontri con le Biblioteche di Roma:

16 giugno Biblioteca Enzo Tortora

19 giugno Biblioteca Valle Aurelia

20 giugno Biblioteca Pier Paolo Pasolini

28 giugno Biblioteca Goffredo Mameli

3 luglio Biblioteca Franco Basaglia

Gli appuntamenti vedono coinvolti gli autori singolarmente. L’ingresso è gratuito.

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PAOLO COGNETTI vince il PREMIO STREGA GIOVANI 2017 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/06/13/paolo-cognetti-vince-il-premio-strega-giovani-2017/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/06/13/paolo-cognetti-vince-il-premio-strega-giovani-2017/#comments Tue, 13 Jun 2017 19:00:30 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7546 PAOLO COGNETTI vincitore del PREMIO STREGA GIOVANI sarà il prossimo ospite del programma radiofonico Letteratitudine in Fm

Paolo Cognetti vince il Premio Strega Giovani 2017

Paolo Cognetti con il romanzo Le otto montagne (Einaudi) è il vincitore della quarta edizione del Premio Strega Giovani (valore 3.000 euro), promosso dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e da Strega Alberti Benevento con il contributo della Camera di Commercio di Roma e in collaborazione con BPER Banca e Toyota Motor Italia. La cerimonia di proclamazione si è svolta oggi pomeriggio a Palazzo Montecitorio (Sala della Lupa) alla presenza della Presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini.
Quello di Cognetti, con 58 preferenze su 374, è stato il libro più votato da una giuria composta da ragazze e ragazzi di età compresa tra i 16 e i 18 anni, in rappresentanza di 50 licei e istituti tecnici diffusi su tutto il territorio italiano e all’estero (Berlino, Bruxelles, Bucarest, Parigi). Gli studenti hanno letto le dodici opere concorrenti al Premio Strega 2017 e inviato il loro voto individualmente. I libri di Marco Rossari, Le cento vite di Nemesio (e/o), e di Chiara Marchelli, Le notti blu (Perrone), risultano con 39 e 37 preferenze il secondo e il terzo più votati dai ragazzi e ricevono con quello di Cognetti un voto valido per la designazione dei finalisti al Premio Strega.

Durante la cerimonia alla Camera, coordinata dalla scrittrice e giornalista di Rai Radio 3 Loredana Lipperini, sono intervenuti Giovanni Solimine, presidente della Fondazione Bellonci, Giuseppe D’Avino, presidente e amministratore delegato di Strega Alberti Benevento, la scrittrice Rossana Campo, Premio Strega Giovani 2016, e Ermanno Ruozzi, direttore territoriale Campania di BPER Banca, che ha consegnato allo studente autore della recensione migliore – Francesco Maglioni del Liceo Scientifico Pacinotti di Cagliari – il premio di 1.000 euro offerto dalla banca.

Gli autori concorrenti si ritroveranno presso la sede della Fondazione Belloncimercoledì 14 giugno alle ore 21 per l’annuncio dei finalisti al Premio Strega 2017. Il seggio sarà presieduto da Edoardo Albinati, vincitore del Premio Strega 2016. La serata sarà trasmessa in diretta streaming da Rai Cultura, a partire dalle ore 20.30 sul sito www.cultura.rai.it/live.

* * *

“Le otto montagne” di Paolo Cognetti (Einaudi)

Vincitore del Premio ITAS del Libro di Montagna 2017, Sezione Migliore opera narrativa
Semifinalista al Premio Strega 2017

Presentato da Cristina Comencini e Benedetta Tobagi.

La montagna non è solo neve e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio, tempo e misura. Lo sa bene Paolo Cognetti, che tra una vetta e una baita ambienta questo potentissimo romanzo.

«Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa.»

Pietro è un ragazzino di città, solitario e un po’ scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico, un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia. I genitori di Pietro sono uniti da una passione comune, fondativa: in montagna si sono conosciuti, innamorati, si sono addirittura sposati ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. La montagna li ha uniti da sempre, anche nella tragedia, e l’orizzonte lineare di Milano li riempie ora di rimpianto e nostalgia. Quando scoprono il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, sentono di aver trovato il posto giusto: Pietro trascorrerà tutte le estati in quel luogo “chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe che ne ostacola l’accesso” ma attraversato da un torrente che lo incanta dal primo momento. E li, ad aspettarlo, c’è Bruno, capelli biondo canapa e collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si occupa del pascolo delle vacche. Iniziano così estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri più aspri. Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, “la cosa più simile a un’educazione che abbia ricevuto da lui”. Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito più vero: “Eccola li, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino”. Un’eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà a Bruno.

* * *

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LETTERATITUDINE 3: LETTURE, SCRITTURE E METANARRAZIONI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/02/24/letteratitudine-3-letture-scritture-e-metanarrazioni/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/02/24/letteratitudine-3-letture-scritture-e-metanarrazioni/#comments Fri, 24 Feb 2017 14:21:53 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7445 Care amiche e cari amici,
come qualcuno di voi saprà, di recente è uscito il volume intitolato “Letteratitudine 3: letture, scritture e metanarrazioni” (LiberAria).
Si tratta del terzo volume che ho curato e pubblicato con riferimento alle attività di Letteratitudine. Quest’ultimo, tuttavia, è un libro speciale. Anzi, specialissimo. Perché nasce anche – e soprattutto – con l’intento di festeggiare i dieci anni di attività online di questo “luogo d’incontro virtuale” (Letteratitudine nasce, infatti, nel mese di settembre dell’anno 2006).
Come ho provato a spiegare nella prefazione del libro, quella di Letteratitudine è stata (e continuerà a essere) un’esperienza di “condivisione” (una parola che – credo – oggi più che mai debba essere tutelata e valorizzata).
In tutti questi anni posso dire che “condivisione” è stata la parola chiave per eccellenza di Letteratitudine. Del resto è evidente il fatto che la letteratura, la cultura, i libri, i “saperi”, hanno ragion d’essere solo in un’ottica di condivisione. Lo spirito di condivisione – peraltro – favorisce anche l’accoglienza di punti di vista differenti, persino opposti e contrapposti (partendo dalla considerazione che la diversità di idee e opinioni, fondata sul reciproco rispetto, è sempre occasione di crescita). In oltre dieci anni di attività ho sempre lavorato perché lo spirito della condivisione, così inteso, fosse presente e aleggiasse su ogni attività organizzata e portata avanti con Letteratitudine.
Ecco perché questo libro è nato nell’ottica dello spirito di condivisione.
Ringrazio, ancora una volta, di vero cuore le amiche scrittrici e gli amici scrittori che mi hanno aiutato a realizzarlo donandomi il loro contributo.
Grazie, amici cari. Grazie di vero cuore!

* * *

Ne approfitto per fornire qualche informazione ulteriore sui contenuti di questo libro.
Credo che il sottotitolo sia già di per sé piuttosto indicativo: letture, scritture e metanarrazioni.
In estrema sintesi direi che le sezioni che lo compongono ruotano fondamentalmente sui due pilastri della “condivisione letteraria”: la lettura e la scrittura.

Il volume è formato da quattro sezioni, precedute – come già accennato – da una mia prefazione dove tento di “fare il punto” su questi dieci anni. La prima parte del libro è dedicata a una serie di interviste (sulla lettura e sulla scrittura) incentrate sul numero dieci. Dieci interviste strutturate sulla base di dieci domande (in questa sezione ho coinvolto: Ferdinando Camon, Massimo Carlotto, Antonella Cilento, Giancarlo De Cataldo, Maurizio de Giovanni, Nicola Lagioia, Dacia Maraini, Melania G. Mazzucco, Raul Montanari, Clara Sereni). La seconda sezione ospita una lunga serie di Autoracconti (dove gli scrittori sono stati invitati a raccontare i loro libri concentrandosi soprattutto sull’aspetto “creativo” della loro attività di scrittura). La terza sezione è dedicata alle Lettere (rivolte a scrittori scomparsi e/o personaggi letterari): qui ho chiesto agli amici scrittori di scegliere uno scrittore scomparso che avevano avuto modo di conoscere personalmente (o di studiare in maniera approfondita) oppure un personaggio letterario particolarmente amato… e di scrivergli una lettera immaginando che il “ricevente” (scrittore scomparso o personaggio letterario) avesse davvero la possibilità di leggerla. La parte finale del libro è dedicata a Vincenzo Consolo che ho voluto ricordare con il contributo di tanti amici scrittori e critici letterari.

Di seguito, riporterò l’indice completo del volume.

* * *

Care amiche e cari amici di Letteratitudine, che ci seguite con affetto da così tanto tempo… spero che possiate trovare questo libro utile e di vostro gradimento. E spero che possiate darci una mano a renderlo “vivo” attraverso la vostra lettura.
Ancora una volta, la condivisione si rivela come necessaria.

* * *

Il libro è disponibile nelle migliori librerie e presso i punti di rivendita online (Amazon libri, Ibs, Feltrinelli libri, Mondadori store, Libreria Universitaria, ecc.)

Indice
Prefazione di Massimo Maugeri pag. 7

Parte I
Lettura e scrittura:
dieci domande a dieci scrittori:

Ferdinando Camon – pag. 31
Massimo Carlotto - pag. 35
Antonella Cilento - pag. 38
Giancarlo De Cataldo - pag. 44
Maurizio de Giovanni - pag. 47
Nicola Lagioia - pag. 50
Dacia Maraini - pag. 52
Melania G. Mazzucco - pag. 55
Raul Montanari - pag. 61
Clara Sereni – pag. 67

Parte II
Autoracconti d’Autore:
scrittori raccontano i propri romanzi

Emanuela E. Abbadessa, Fiammetta - pag. 73
Eraldo Affinati, L’uomo del futuro - pag. 75
Marco Balzano, L’ultimo arrivato - pag. 78
Alessandro Bertante, Gli ultimi ragazzi del secolo - pag. 82
Rossana Campo, Dove troverete un altro padre come il mio – pag. 84
Paola Capriolo, Mi ricordo - pag. 86
Glenn Cooper, Il calice della vita - pag. 89
Mauro Covacich, La sposa - pag. 92
Maria Rosa Cutrufelli, Il giudice delle donne - pag. 94
Mario Di Caro, La capitana dell’isola di nessuno - pag. 96
Luca Doninelli, Le cose semplici - pag. 98
Ildefonso Falcones, La regina scalza - pag. 102
Catena Fiorello, L’amore a due passi - pag. 106
Chiara Gamberale, Per dieci minuti - pag. 109
Vittorio Giacopini, La mappa - pag. 112
Luigi Guarnieri, Il sosia di Hitler - pag. 116
Orazio Labbate, Lo Scuru - pag. 119
Nicola Lagioia, La ferocia - pag. 122
Joe R. Lansdale, La foresta - pag. 125
Simona Lo Iacono, Le streghe di Lenzavacche - pag. 128
Massimo Lugli, Stazione omicidi - pag. 131
Lorenzo Marone, La tentazione di essere felici - pag. 134
Paola Mastrocola, L’esercito delle cose inutili - pag. 138
Giordano Meacci, Il cinghiale che uccise Liberty Valance - pag. 143
Elena Mearini, Bianca da morire - pag. 147
Claudio Morandini, Neve, cane, piede - pag. 149
Giorgio Nisini, La lottatrice di sumo - pag. 153
Marilù Oliva, Le sultane - pag. 155
Demetrio Paolin, Conforme alla gloria - pag. 157
Marco Peano, L’invenzione della madre - pag. 162
Sergio Pent, I muscoli di Maciste - pag. 166
Sergio Claudio Perroni, Il principio della carezza - pag. 168
Romana Petri, Le serenate del Ciclone - pag. 170
Piergiorgio Pulixi, La notte delle pantere - pag. 174
Sara Rattaro, Splendi più che puoi - pag. 180
Paolo Roversi, Solo il tempo di morire - pag. 183
Clara Sánchez, Le cose che sai di me - pag. 185
Evelina Santangelo, Non va sempre così - pag. 187
Vanni Santoni, Terra ignota - pag. 192
Giuseppe Schillaci, L’età definitiva - pag. 195
Brunella Schisa, La scelta di Giulia - pag. 197
Elvira Seminara, Atlante degli abiti smessi - pag. 199
Marcello Simoni, L’Abbazia - pag. 202
Simona Sparaco, Equazione di un amore - pag. 204
Mariapia Veladiano, Una storia quasi perfetta - pag. 206
Grazia Verasani, Senza ragione apparente - pag. 209

Parte III
Lettere a personaggi letterari e autori scomparsi

Lettera ad Alice
di Francesca G. Marone – pag. 213
Lettera a Honoré de Balzac
di Mariolina Bertini – pag. 218
Lettera a Rocco Carbone
di Romana Petri – pag. 223
Lettere a Marianna Coffa
di Marinella Fiume – pag. 228
di Maria Lucia Riccioli – pag. 234
Lettera a Cthulhu
di Marco Peano – pag. 238
Lettera a Stefano D’Arrigo
di Tea Ranno – pag. 242
Lettera a Dracula
di Guglielmo Pispisa – pag. 244
Lettera a Marguerite Duras
di Sandra Petrignani – pag. 248
Lettera ad Alfonso Gatto
di Carmen Pellegrino – pag. 252
Lettera a Jean-Claude Izzo
di Stefania Nardini – pag. 256
Lettera a Primo Levi
di Sara Rattaro – pag. 258
Lettera a Katherine Mansfield
di Lia Levi - pag. 261
Lettera a Elsa Morante
di Graziella Bernabò - pag. 266
Lettera ad Anna Maria Ortese
di Adelia Battista - pag. 272
Lettera a padre Paneloux
di Filippo Tuena - pag. 278
Lettera a Pier Paolo Pasolini
di Francesco Pecoraro - pag. 284
Lettera a Perelà
di Claudio Morandini - pag. 289
Lettera a Hercule Poirot
di Ornella Sgroi - pag. 293
Lettera a Giuseppe Pontiggia
di Daniela Marcheschi - pag. 298
Lettera a Ugo Riccarelli
di Giulia Ichino - pag. 302
Lettera a Emilio Salgari
di Patrizia Rinaldi - pag. 304
Lettera a Gregorio Samsa
di Andrea Caterini - pag. 309
Lettere a Leonardo Sciascia
di Antonio Di Grado - pag. 312
di Vincenzo Vitale - pag. 315
Lettera a Manlio Sgalambro
di Domenico Trischitta - pag. 319
Lettera a Winston Smith
di Carlotta Susca - pag. 322
Lettera ad Antonio Tabucchi
di Paolo Di Paolo - pag. 326
Lettera a Tereza
di Mavie Parisi - pag. 329
Lettera a Marianna Ucrìa
di Simona Lo Iacono - pag. 334
Lettera a Sebastiano Vassalli
di Michele Rossi - pag. 337

Parte IV
Omaggio a Vincenzo Consolo

In ricordo di Vincenzo Consolo
intervista a Consolo di Massimo Maugeri – pag. 341
Per Vincenzo Consolo, poeta e profeta
di Maria Attanasio – pag. 346
Alle soglie del témenos
di Sebastiano Burgaretta – pag. 349
La memoria di una “voce narrante”
di Domenico Calcaterra – pag. 352
Quei frammenti caduti dal cielo: Lunaria 2.0
di Eliana Camaioni – pag. 356
Un mite guerriero
di Maria Rosa Cutrufelli – pag. 362
Per Vincenzo Consolo (e per Bufalino e Sciascia)
di Antonio Di Grado – pag. 367
L’utopia di Vincenzo Consolo: Itaca senza proci
di Giuseppe Giglio – pag. 369
Come Nicolas De Staël d’après Seghers
di Salvatore Silvano Nigro – pag. 373
Vincenzo Consolo, scrittore antagonista
in lotta con il potere

di Massimo Onofri – pag. 377
L’amara saggezza del narrare: Vincenzo Consolo
e Los desastres de la guerra di Francisco Goya

di Salvo Sequenzia – pag. 381
Vincenzo Consolo, l’irrequietudine
e il sigillo della scrittura

di Natale Tedesco – pag. 387
Vincenzo Consolo: la ferita che non guarisce
di Anna Vasta – pag. 389

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PREMIO STREGA GIOVANI 2016: la vincitrice ROSSANA CAMPO ci racconta il suo libro http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/06/14/premio-strega-giovani-2016-a-rossana-campo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/06/14/premio-strega-giovani-2016-a-rossana-campo/#comments Tue, 14 Jun 2016 11:07:36 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7174 ROSSANA CAMPO è la vincitrice dell’edizione 2016 del PREMIO STREGA GIOVANI

Qui di seguito ci racconta il suo libro DOVE TROVERETE UN ALTRO PADRE COME IL MIO (Ponte alle Grazie)

di Rossana Campo

Questo libro è la storia di me bambina e di lui, Renato, mio padre. E di me donna, e ragazzina che ha avuto a che fare con uomo molto speciale, un uomo vitale, libero e sofferente, allegro e inaffidabile, un uomo che è stato il meglio e il peggio che mi potesse capitare, riunito insieme. Ho messo le mani in un territorio difficile da affrontare, a volte è stato come maneggiare dei pezzi di vetro; ma come lettrice ho spesso cercato questo nei libri che leggevo, la sensazione che lo scrittore, la scrittrice mi stesse raccontando qualcosa non facile da dire, qualcosa di non accomodante, capace di portarmi nelle profondità della sua storia, della sua vita. Che avrebbe toccato anche la mia. Ho sempre scritto romanzi partendo da mie esperienze, mi sono raccontata indossando le maschere di vari alter ego letterari. Questa volta volevo scrivere qualcosa senza filtri, volevo togliermi tutti i vestiti, mi sono accorta che è venuta via anche un po’ di pelle.

Mentre provavo a raccontare chi era mio padre, e che cos’ha significato per me essere sua figlia, mi sono accorta che mi stavo aprendo a qualche mia verità; forse avere a che fare con genitori difficili, non convenzionali, un po’ matti è sicuramente doloroso, ma ti apre a molte possibilità. Come figlia di Renato ho imparato a non vergognarmi di quella che sono e a non conformarmi alle aspettative degli altri, e poi anche che nessuno può essere liquidato con un’etichetta. Gli esseri umani sono sempre molte cose insieme, a volte anche contradditorie, e il meglio e il peggio della vita sono spesso legati, sta a noi decidere cosa farne, del buono e del cattivo che la vita ci mette davanti. Sta a noi decidere se vivere nella paura, nel rancore oppure nell’amore.
Il viaggio che ho fatto scrivendo questo libro l’ho fatto per me e anche per i miei lettori e per chiunque deve fare i conti con una storia complicata, con un’infanzia incasinata. Ho cercato di abbracciare tutto quanto usciva fuori, tutto di me e di lui, la rabbia e il dolore, la gioia, la speranza e l’amore e alla fine un pensiero mi ha attraversato: le nostre parti randagie e confuse, la nostra vulnerabilità e tutto quello che non mostriamo agli altri perché ci piace sentirci sempre all’altezza e un po’ fighetti, be’, tutta questa roba è preziosa, è la nostra umanità. Potrebbe essere quanto di meglio abbiamo.

(Riproduzione riservata)

© Rossana Campo

* * *

Il libro
Rossana Campo, ancora una volta senza infingimenti e con lo stile dirompente e «difforme» che caratterizza la sua produzione letteraria, ma mettendosi in gioco forse più che in ogni altro suo libro, racconta qui il rapporto con Renato, il padre amatissimo e difficile scomparso di recente; o meglio con le molteplici figure, spesso contraddittorie, che Renato ha incarnato lungo tutta la sua vorticosa esistenza: il maestro di vita che fin da piccola esorta la figlia a rifuggire ogni forma di condizionamento e ipocrisia, ma anche l’irresponsabile che per niente e nessuno si separerebbe dalla sua amica più fidata: la bottiglia; l’individuo gioviale e irriducibilmente ottimista, ma anche l’attaccabrighe, dominato da una rabbia incontenibile; e ancora lo «zingaro» che non sopporta alcuna imposizione e non riconosce alcuna autorità, il contaballe prodigioso, il casinista indefesso, il terrone orgoglioso in un Nord che lo respinge… in una parola un essere infinitamente vitale e tremendamente fragile. Ne emerge un racconto, magari spudorato, ma proprio per questo di rara autenticità, della parte più profonda di sé.

* * *

Rossana Campo è nata a Genova nel 1963 e vive fra Roma e Parigi. Ha esordito nel 1992 col romanzo In principio erano le mutande (da cui il film omonimo di Anna Negri del 1999). Sono seguiti una decina di romanzi, tradotti in molte lingue, l’hanno consacrata come una delle voci più interessanti della nostra letteratura: ricordiamo Il pieno di super (1993), Mai sentita così bene (1995), L’attore americano (1997), Sono pazza di te (2001), L’uomo che non ho sposato (2003), Duro come l’amore (2005), Più forte di me (2007), Lezioni di arabo (2010), Felice per quello che sei. Confessioni di una buddista emotiva (2012), Il posto delle donne (Ponte alle Grazie, 2013), Piccoli Budda (Gallucci, 2013), Fare l’amore (Ponte alle Grazie, 2014).

* * *

© Letteratitudine

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ON WRITING DI STEPHEN KING: intervista a Loredana Lipperini http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/11/27/on-writing-di-stephen-king/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/11/27/on-writing-di-stephen-king/#comments Fri, 27 Nov 2015 15:31:11 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6974 ON WRITING DI STEPHEN KING: intervista a Loredana Lipperini

Autobiografia di un mestiere

di Massimo Maugeri

Il nuovo appuntamento della rubrica di Letteratitudine chiamata “Saggistica Letteraria” è incentrato su un libro che è interamente dedicato alla scrittura e che porta la firma di uno degli scrittori più noti e letti al mondo. Il libro si intitola “On writing“, l’autore è Stephen King (a proposito di King, ne approfitto, peraltro, per ricordare questo dibattito online relativo al romanzo “22/11/63“).

Nei giorni scorsi Frassinelli ha pubblicato una nuova edizione di “On writing“, con la traduzione di Giovanni Arduino e l’ottima prefazione di Loredana Lipperini (qui, il post su Lipperatura). Ne ho discusso con la stessa Loredana (che ringrazio per la cortesia e disponibilità), nell’ambito di un’ampia intervista che propongo qui di seguito…

- Cara Loredana, parlaci del tuo incontro con Stephen King? In quale fase della tua vita è avvenuto? E con quale libro?
Non sarò breve, premetto. Ricordo bene anno e contesto: era il 1988, passavo qualche giorno nella casa di un amico. L’amico e mio marito andavano a pesca sul fiume, io mi annoiavo. Frugando nella libreria, ho trovato “It”. Non avevo ancora letto nulla di Stephen King, anche se l’horror mi era piaciuto da adolescente, quando un fidanzato mi regalò i racconti di Lovecraft, e prima ancora c’era stato il tempo di Edgar Allan Poe, e poi sarebbe venuto il tempo di Machen e di Matheson. Ma non di King. In quel 1988 avevo un’idea molto selettiva di cosa dovesse essere un libro salvifico: doveva essere tagliente e lucido, squarciare ogni consuetudine, cambiare il modo di guardare il mondo, squassarti l’anima. Molto romantico, a ripensarci. Doveva, quel libro perfetto, suscitare la stessa euforica sensazione di aver compreso le pieghe segrete dell’esistenza che avevo scoperto, sedicenne, ne La nausea di Sartre e ne Lo straniero di Camus. Doveva impegnarmi, farmi soffrire e smarrire sulle pagine più ardue, come aveva fatto Thomas Mann con i dialoghi tra Naphta e Settembrini ne La montagna incantata. Doveva essere un corpo a corpo con le parole, freddo e perfetto come quando, giusto un paio di anni prima, avevo affrontato L’opera al nero di Marguerite Yourcenar.
C’era, però, qualcosa che ancora non avevo avuto dalle mie letture: qualcosa che andasse oltre l’appagamento intellettuale, l’ammirazione, l’empatia. Non lo sapevo ancora, ma quel che mi mancava era la seduzione: ovvero, il non riuscire a staccarmi da una storia, e finirla desiderando di avere tra le mani, subito, un altro libro dello stesso autore.
Eppure, avevo sempre letto molto. Moltissimo, anzi. Sono stata una di quelle bambine e poi ragazze e poi donne che hanno sempre un libro nello zaino (e per questo difficilmente usano borsette piccole e graziose) perché sanno che il tempo è pieno di buchi da riempire. Lo spazio vuoto mentre si aspetta l’autobus e mentre l’autobus stesso arriva a destinazione. Il panino e la spremuta d’arancia al bar, prima di tornare in redazione (non era anche quello un tempo da dividere, pane e carta, e non era piacevolissimo averne insieme?). Quando si legge troppo, però, l’emozione arriva più raramente: il punto è che, quando arriva, è doppiamente forte.
E’ lo stesso Stephen King a dirlo, in Danse macabre: “Non si apprezza la panna senza aver prima bevuto molto latte, e forse non si apprezza il latte finché non se ne è bevuto un po’ di inacidito”. Diciamo dunque che avevo bevuto molto latte e avevo mangiato, naturalmente, dell’ottima panna. Ma la panna apparteneva quasi tutta al passato, o così mi sembrava. Diciamo anche che mi annoiavo, che non avevo voglia di rileggere né c’era molto di nuovo che mi attirasse. Venivo da una sbornia di minimalisti, o da quelli che allora venivano definiti tali. Furoreggiava David Leavitt con Ballo di famiglia, e mi era piaciuto, ma ero sazia.
It n.e.Così, nella casa sul fiume, avevo adocchiato It. E appunto non mi attirava l’autore, perché all’epoca nutrivo ancora diffidenza verso un autore COSI’ famoso, perché ero giovane e sciocca e convinta che tutto quello che era immensamente popolare non potesse che essere scadente. Crescendo, avrei imparato che anche fra i non giovani e i non sciocchi la convinzione era identica: e, a differenza di quanto era avvenuto a me, permaneva, e permane.
Ma dal momento che faceva caldo e non avevo altro da leggere, lo aprii. E constatai con qualche insofferenza che cominciava contraddicendo tutte le regole e regolette di scrittura che ancora oggi tormentano i lettori avveduti (cos’è quel narratore onnisciente? Via! Cos’è quel narrato e non mostrato? Matita rossa!). Cominciava, per essere precisi, così:
“Il terrore che sarebbe durato per ventotto anni, ma forse di più, ebbe inizio, per quel che mi è dato sapere e narrare, con una barchetta di carta di giornale che scendeva lungo un marciapiede in un rivolo gonfio di pioggia”.
Tutte quelle virgole, e una parola così forte come “terrore”, subito all’inizio, e poi un’insignificante barchetta di carta che, scoprii nelle righe successive, beccheggia, si inclina, si raddrizza e affronta “con coraggio” i gorghi infidi e prosegue la sua corsa in quello che è un pomeriggio d’autunno del 1957, in una città che si chiama Derry e che non esiste – ma questo lo avrei scoperto poi – e che si annuncia come malvagia fin dall’inizio, con quelle tre lampade del semaforo che sono irragionevolmente spente, anche se piove a dirotto, e piove da una settimana, e il vento soffia infilandosi nei vicoli, e tutti i quartieri sono rimasti senza corrente, e questo già è strano, e siamo ancora alla fine del secondo paragrafo.
Mucchio d'ossaInsomniaCittà sbagliata, Derry. Anche questo lo avrei capito dopo aver letto tutti i romanzi che King vi ambienta: Mucchio d’ossa, dove la giovane e amatissima moglie di Mike Noonan muore mentre esce da una farmacia, per un ictus (forse) e l’asfalto bollente le segna le guance e il marito dovrà rivederla così all’obitorio, con quei frammenti di Derry sul viso, per l’eternità. E Insomnia, dove la città ha due anime, o due modi di essere vista, e un sacco mortuario nero come fumo la avvolge, e Dolores Claiborne, che fa quel che deve nel giorno dell’eclissi, fino a 22.11.63, dove la prima tappa del viaggio nel passato del protagonista è proprio Derry, la Derry di It, ed è sbagliata come allora e forse ancora di più.
Dolores Claiborne22/11/63Perché se gli abitanti di Derry ignorano l’orrore che vive e prospera nel suo sottosuolo, pure contribuiscono ad alimentarlo: non amano gli estranei, non  vogliono che si metta in crisi quella che è una tranquillità solo apparente, perché Derry vive di odio e di rancore, e di sangue, e di segreti. Al 29 di Neibolt Street i vagabondi cercano riparo, ma possono trasformarsi in lebbrosi affamati di carne. Le Ferriere Kitchener esplosero nel 1906, uccidendo i bambini che cercavano uova di Pasqua, e ora ronzano di crudeltà quando si posa il piede da quelle parti. Bambini. Bambini che affogano nella Cisterna. Bambini inseguiti, braccati, divorati come farebbe il troll che si nasconde sotto il ponte aspettando il passaggio dei capretti.
Bambini. C’è un bambino dietro la barchetta. Ha sei anni, un impermeabile giallo e stivaletti rossi. Si chiama George Denbrough e morirà nel giro di quindici pagine con un braccio strappato di netto come un’ala di mosca. Moriranno molti bambini, nel romanzo, e anche non pochi adulti. Perché, ma questo è quasi banale dirlo, It è una storia sul male: o meglio ancora, su come la questione del male possa essere declinata in questo e altri mondi. Il male cosmico che si cela nelle galassie vomitate dalla benefica Tartaruga e nelle geometrie sghembe da cui proviene It. Il male quotidiano, perché se It si nutre di bambini, quegli stessi bambini vengono picchiati da genitori alcolisti, o vessati da madri ansiose, o semplicemente ignorati, come avviene al fratello di George, Bill, dopo che la morte ha raggelato la sua famiglia, e cosa può mai fare un ragazzino quando le mani della madre volano alle tempie come uccellini e il padre piange abbracciato agli scatoloni di giocattoli che nessuno userà più?
21-5-98-Bag Of Bones AuEd è anche molto di più,  lo avrei scoperto in quel luglio caldo dove la gelida pioggia di Derry scorreva sulle pagine: perché insieme ci sono l’amore per la narrazione e la memoria che sparisce se non viene, appunto, raccontata, e c’è un inno all’infanzia come  stagione terribile e felice, dove una bicicletta può battere il diavolo, specie se si chiama Silver ed è troppo alta per un bambino. Tema che a King è carissimo e che riesce a trattare, ogni volta, con quel miscuglio di amore e malinconia (e di ferocia) che raramente si trova in altri scrittori. C’è un passaggio di It che lo spiega bene, ed è un risveglio di Bill adulto, dopo un sogno in cui era tornato indietro, nel se stesso che non era più:
“Si sveglia da questo sogno incapace di ricordare esattamente che cosa fosse, a parte la nitida sensazione di essersi visto di nuovo bambino. Accarezza la schiena liscia di sua moglie che dorme il suo sonno tiepido e sogna i suoi sogni; pensa che è bello essere bambini, ma è anche bello essere adulti ed essere capaci di riflettere sul mistero dell’infanzia… sulle sue credenze e i suoi desideri. Un giorno ne scriverò, pensa, ma sa che è un proposito della prim’ora, un postumo di sogno. Ma è bello crederlo per un po’ nel silenzio pulito del mattino, pensare che l’infanzia ha i propri dolci segreti e conferma la mortalità e che la mortalità definisce coraggio e amore. Pensare che chi ha guardato in avanti deve anche guardare indietro e che ciascuna vita crea la propria imitazione dell’immortalità: una ruota. O almeno così medita talvolta Bill Denbrough svegliandosi il mattino di buon ora dopo aver sognato, quando quasi ricorda la sua infanzia e gli amici con cui l’ha vissuta”.

- Grazie di cuore per questa tua corposa risposta, Loredana. So che consideri King (e si evince anche dalle tue parole che abbiamo appena letto) come uno dei massimi scrittori viventi. In cosa consiste, a tuo avviso, la sua grandezza?
A volte ritornanoIn quello che mi accadde allora. Quando, nel giro di cinque giorni, ho chiuso It, ho cominciato a cercare altri romanzi di Stephen King. Perché a questo servono gli scrittori che raccontano il Male e raccontano la paura: a parlare di te e delle tue ombre e a farlo come altri non riescono. Nella prefazione di A volte ritornano è King stesso a dirlo:
“Le opere di Edward Albee, di Steinbeck, di Camus, di Faulkner, trattano di paura e di morte, talvolta con orrore; ma in genere questi scrittori mainstream lo fanno in modo più normale, più realistico. Il loro lavoro si colloca entro la cornice del mondo razionale: sono storie che possono accadere. Viaggiano lungo quella linea sotterranea che corre attraverso il mondo esterno. Ci sono altri autori (James Joyce, di nuovo Faulkner, poeti come T.S.Eliot, Sylvia Plath, Anne Sexton) la cui opera si colloca nella terra dell’inconsapevolezza simbolica. Viaggiano sulla sotterranea che corre attraverso il paesaggio interno. Ma chi scrive racconti dell’orrore, quando coglie nel segno, è quasi sempre al terminal dove le due linee fanno capo”.

- Nel passato King è stato un po’ “snobbato” da parte della critica. E oggi? Cosa puoi dirci in tal senso?
Sospetto, e frequentemente, che chi lo critica non lo abbia letto. In assoluto, penso che Il motivo per cui chi scrive fantastico ha sempre goduto di scarsa considerazione, come dice King, sta nel fatto che l’autore di fantastico  affronta la prova generale della nostra morte. Una volta guardata in faccia, non si lascia più. Una volta letto King, una volta perduti nelle sue storie (e nella sua abilità linguistica, si ricredano i supponenti: il linguaggio di King è uno dei più complessi e raffinati, e migliora anno dopo anno), non si lascia più. A meno di non essere preda dell’antico pregiudizio che separa i “leggibili” dagli “sperimentali”, e dunque il romanzo è morto, la trama è il male, e tutto quel che ci sentiamo ripetere da decenni. Una polemica oggi più che mai priva di senso, credo.

- Che tipo di esperienza è stata per te il cimentarti con la scrittura della introduzione di “On Writing” (un testo che, di certo, hai amato tanto)?
Come ho scritto sul blog, è stato emozionante e appassionante, come sempre avviene quando ti viene chiesto di scrivere su chi ami. Anche paralizzante, in effetti. Non solo perché scrivere di e su King significa fare i conti con un esercito di Fedeli Lettori giustamente assai esigenti, ma perché la Fedele Lettrice che è in me vigilava, occhiuta, su ogni parola. Poi, per fortuna, nel paese dove stavo scrivendo si sono rotte tutte le caldaie. E mi è venuta un’idea, che è quella che conclude l’introduzione ma che mi è servita a prendere il via.

- In cosa si differenzia, “On Writing”, rispetto ai tanti libri che si occupano di “scrittura creativa” e che sono disponibili in commercio?
E’ “Il” libro. Perché non si limita a fornire qualche suggerimento tecnico, ma comunica la suggestione principale: scrivere è acqua di vita, è magia, è gratis, puoi farlo anche tu.

- Oltre alla nuova traduzione di Giovanni Arduino (e alla tua bella introduzione) ci sono altri motivi per i quali chi possiede già una copia di “On Writing” potrebbe essere invogliato ad acquistare questa nuova edizione?
Perché ci sono alcune pagine inedite. Perché ogni volta che esce una traduzione nuova è bello possedere entrambe le versioni. Perché ha una copertina stupenda. Perché è King.

- Qual è la principale “lezione” che un aspirante scrittore potrebbe trarre dalla lettura di “On Writing”?
Leggi, vivi, sii felice.

- Grazie di cuore per la tua disponibilità, cara Loredana.

* * *

La scheda del libro
Alla domanda: «Che cos’è On Writing?» Stephen King ha risposto: «È il romanzo della mia vita, non perché la mia vita sia un romanzo, ma perché la mia vita è scrivere». Ecco perché questo libro è l’autobiografia di un mestiere in cui la storia personale e professionale del Re si fondono totalmente. Il brillante «Curriculum vitae» d’apertura ripercorre gli anni della formazione, in un collage di ricordi che dall’infanzia arrivano al primo, grande successo con Carrie; «Cassetta degli attrezzi» è un’acuta e disincantata elencazione dei ferri del mestiere – quali sono, a che cosa servono, come mantenerli efficienti e sempre pronti all’uso –; «Sulla scrittura», la parte più interessante per gli addetti ai lavori, illustra le fasi del processo creativo fino all’approdo editoriale; e infine «Sulla vita», ricco di pathos, racconta come King abbia visto la morte da vicino, dopo lo spaventoso incidente in cui è stato coinvolto, e come, grazie alla scrittura, sia ritornato alla vita. Diario, confessione, chiacchierata… On Writing abbraccia e supera tutti i generi e, per l’aspirante scrittore, è uno strumento utile e illuminante, ricco di esempi e riferimenti pratici, capace di affrontare senza fumosità un argomento difficile; per il lettore affezionato è un must in cui potrà ritrovare, nella loro dimensione reale, un’infinità di situazioni, storie e personaggi che hanno ispirato i romanzi di King. Per tutti, è una lettura avvincente e profonda nello stile inconfondibile dell’autore, capace di trasformare tutto ciò che tocca in un racconto magistrale.

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STEPHEN KING vive e lavora nel Maine con la moglie Tabitha e la figlia Naomi. Da più di trent’anni le sue storie sono bestseller che hanno venduto 500 milioni di copie in tutto il mondo e hanno ispirato registi famosi come Stanley Kubrick, Brian De Palma, Rob Reiner, Frank Darabont. Oltre ai film tratti dai suoi romanzi, vere pietre miliari come Shining, Stand by me, Le ali della libertà, Il miglio verde – per citarne solo alcuni – sono seguitissime anche le sue serie TV, ultima in ordine di apparizione quella tratta da The Dome, trasmessa da RAI2. Recentemente King si è dedicato ai social media e in breve tempo ha conquistato centinaia di migliaia di follower su Facebook e soprattutto su Twitter.

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RICORDANDO ALBERTO MORAVIA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/10/02/ricordando-alberto-moravia/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/10/02/ricordando-alberto-moravia/#comments Fri, 02 Oct 2015 15:15:33 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/11/25/ricordando-alberto-moravia/ Paolo Monti - Servizio fotografico - BEIC 6361580.jpg

25 ANNI DALLA MORTE DI ALBERTO MORAVIA

Nel novembre del 2007 pubblicai un post dedicato a Alberto Moravia in occasione del centenario della sua nascita (avvenuta a Roma, il 28 novembre 1907). Nei giorni scorsi è stata celebrata un’altra ricorrenza: il venticinquesimo anno dalla morte (avvenuta a Roma, il 26 settembre 1990). Per l’occasione vorrei riproporre quel vecchio post del 2007 (contenente anche un contributo di Massimo Onofri tratto dal volume “Tre scrittori borghesi. Soldati, Moravia, Piovene” – Gaffi, 2007).

Ne approfitto altresì per proporvi questo video che contiene:
- uno “scherzoso” scambio tra Indro Montanelli e Alberto Moravia (1959)
-un’intervista di Pasolini a Moravia sul tema dello “scandalo amoroso” (1965)
- una trasmissione dedicata a Moravia, condotta da Mirella Serri con il contributo critico di Antonio De Benedetti (incentrata sui “gusti letterari”)
- una trasmissione dedicata interamente al profilo dello scrittore (con una serie di interviste molto interessanti)

Dedico, dunque, questo “spazio” alla memoria di Alberto Moravia con l’intento di celebrarlo, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere questo nostro grande scrittore a chi non avesse ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.

Sono graditi (e ringrazio anticipatamente i partecipanti) interventi, contributi vari e la segnalazione di link attinenti ai contenuti di questo post.

Di seguito, il post pubblicato nel novembre del 2007.

Massimo Maugeri

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CENTO ANNI DALLA NASCITA DI ALBERTO MORAVIA
(post del 25 novembre 2007)

Alberto MoraviaCent’anni fa nasceva Alberto Pincherle, in arte Alberto Moravia. Per l’esattezza il 28 novembre 1907.

Mi piacerebbe che ne parlassimo qui a Letteratitudine, ricordando la sua figura di grande scrittore e i suoi libri.

Vi fornisco uno spunto avvalendomi di un testo di Massimo Onofri, estratto dall’ottimo saggio “Tre scrittori borghesi. Soldati, Moravia, Piovene” appena edito da Gaffi editore.

Si tratta della raccolta di alcuni scritti nati in circostanze differenti per “celebrare tre scrittori – tre uomini – sorprendentemente affini ed in concorrenza, nella diversa declinazione d’una borghesia che fu anche il loro modo di vivere ed interpretare una vicenda fin troppo italiana. Borghesia come condizione storica e proposta metafisica: a definire il rapporto che intrattennerò con se stessi e il mondo”.

Aspetto i vostri contributi.

Massimo Maugeri

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Un borghese contro se stesso: Moravia 1927-1951

di Massimo Onofri

Non mi fa fatica affermare che la pubblicazione dei Racconti (1927-1951), nel 1952, felicissima antologia d’autore, rappresenta un evento capitale, tanto nella già molto folta vicenda editoriale di Moravia, quanto nella storia della cultura letteraria italiana di quegli anni. Ma molto folta, vorrei aggiungere, è dire in fondo poco: se è vero che, come scrivono Simone Casini e Francesca Serra nell’Introduzione al notevole Racconti dispersi (1928-1951), stampato da Bompiani nel 2000, Moravia, a quell’altezza cronologica, ha già pubblicato otto romanzi, da Gli indifferenti (1929) al Conformista (1951), e scritto «ben duecentotrenta racconti più o meno lunghi». Lascio ancora, e volentieri, la parola ai due giovani filologi: «Certo, non tutti i racconti esclusi nel 1952 vanno considerati tra i dispersi, abbandonati cioè dallo scrittore dopo la loro prima comparsa su questo o quel periodico. Una cinquantina, per esempio, di carattere allegorico o fantastico, confluirà nei Racconti surrealisti e satirici del 1956; qualcun altro verrà recuperato in raccolte posteriori come L’automa; e ben trentaquattro, comparsi sul “Corriere della Sera” dall’inizio del 1949, inauguravano la lunghissima e fortunata serie dei Racconti romani (1954). Dopo aver fatto tutti i conti del caso e verificato di non incorrere in errori per via delle ingannevoli metamorfosi di titolo o di forma, rimane tuttavia un dato sorprendente di cui prendere atto: i racconti scritti da Moravia tra il 1927 e il 1951 che rimasero sepolti nelle pagine dei quotidiani o delle riviste sono più di cento».

Da queste non molte ma assai precise parole si possono ricavare almeno due notizie fondamentali. Che i due volumi antologici del 1952 hanno un valore davvero quintessenziale – ventiquattro antologizzati (alcuni molto lunghi) su duecentotrenta scritti – nella produzione moraviana. Che, nella loro quintessenzialità, essi vanno a toccare solo il versante borghese, certamente e di gran lunga il più importante, di un’opera sterminata:distinguendosi, appunto, non solo dai racconti di tematica popolare o romana (nati dentro la specialissima esperienza che lo scrittore fece del Neorealismo), ma anche da quelli di disposizione fantastica o allegorica. Ho detto borghese: che è un aggettivo, oggi, disusato, se non screditato, e carico di troppe implicazioni, ma che s’impiega qui in un’accezione storica e di minima sociologia: quando è vero che, di questi ventiquattro racconti, borghese è esattamente l’ambientazione delle vicende e l’anagrafe dei personaggi: d’una riconoscibilissima borghesia italiana, sostanzialmente, neghittosamente, impolitica, silenziosamente fascista prima, perbenista poi. Non è un mistero per nessuno: negli Indifferenti Moravia non usa mai la parola fascismo, ma noi non ci dimentichiamo nemmeno per un solo istante, durante la lettura, che gli anni sono quelli delle domenicali adunate in orbace, del fascio littorio e del fez. Ma, dire borghesi questi racconti, significa nominare anche la provenienza sociale di chi li ha scritti: e che, pur nella spietatezza d’una narrazione oggettiva, non riesce a non trasferire, sulla pagina, le componenti di un’inquieta, insoddisfatta, se non guasta autobiografia. Come avviene nel caso di uno dei più bei racconti del Novecento italiano: Inverno di malato. Ma andiamo con ordine.

Articolo, novella, racconto, saggio, racconto lungo, romanzo breve, romanzo, romanzo-saggio, teatro, in perenne osmosi l’uno con l’altro genere: non v’è pratica della scrittura che Moravia, nella sua lunga vita, non abbia frequentato. E che testimonia d’una necessità biologica e d’un impegno quotidianamente imprescindibile che hanno però dello straordinario: a testimonianza d’una fede, non dico d’una religione, che è stata l’unica, forse, a non abbandonarlo mai, ed esercitata con puntualità inesorabile nelle prime ore della mattina. Ogni giorno un segno inciso nel legno storto della propria umanità: perché, per Moravia, l’uomo è innanzi tutto – vichianamente, crocianamente – ciò che fa. Un’operosità straordinaria ed in polemica implicita, direi naturale, con ogni idea di vita eccezionale, eroica.Contro D’Annunzio, insomma, letterato e vate sempre sopra le righe: il quale ancora rappresentava molto, e non soltanto per la patria letteraria, in quegli anni Trenta e Quaranta, quando Moravia scriveva la più parte dei racconti inclusi nel 1952: spunti d’un dannunzianesimo d’interni e sentimenti non mancano, del resto, nelle pagine più antiche della raccolta, per esempio quelle di Cortigiana stanca (1927). Un’operosità straordinaria, ripeto: come virtù, appunto, eminentemente borghese, di quella borghesia, però, subito disprezzata e deprecata. In effetti, come il borghesissimo Croce, rimasto sepolto per molteore nel 1883, giovanissimo, sotto le macerie di Casamicciola, nell’isola d’Ischia, accanto ai propri famigliari morti, anche Moravia ebbe, negli anni decisivi dell’adolescenza, il suo privato terremoto, e nemmeno troppo simbolico. E come Croce ne ricavò, precocemente, imperativi inderogabili per la sua implacabile etica del lavoro.Ecco: il 1916 volge alla fine quando, a soli nove anni, mentre il padre lo accompagna a scuola, cade a terra per un fortissimo dolore alle gambe. La diagnosi è spietata: una tubercolosi ossea all’anca, la malattia che segnerà tutta la sua giovinezza sino ai diciott’anni. Cominciano così i lunghi periodi d’immobilità a letto, gli studi irregolari affidati perlopiù ad insegnanti privati, se non a governanti, le letture disordinate, ma matte e disperatissime (da Dante e Ariosto a Goldoni e Manzoni, da Shakespeare e Molière a Rimbaud e D’Annunzio, al fondamentale Dostoevskij): sino al ricovero nel sanatorio di Cortina d’Ampezzo, tra il marzo 1924 e il settembre 1925, ed alla convalescenza a Bressanone, in un Kurhaus, un albergo con assistenza medica. Moravia lo definirà più volte come il fatto più importante della sua vita: bisognerà prenderlo alla lettera. Non per niente, il già citato Inverno di malato, che trasporrà sulla pagina proprio questa esperienza in sanatorio, può essere letto come un racconto aurorale e fondativo, di larga parte della sua opera e di tutto un atteggiamento: quello conflittuale e risentito con la propria classe d’appartenenza, e magari letto anche col valore di un’autogiustificazione a posteriori, quanto alla luce feroce che illumina i personaggi e gli eventi che s’accampano negli Indifferenti, autogiustificazione che Edoardo Sanguineti, nel 1962, in chiave rigorosamente (e limitativamente) marxista, ha preferito tradurre coi termini di «coscienza» e «ideologia».

Scritto presumibilmente nell’estate del 1929 a Divonne-les-Bains, come confidò ad Alain Elkann nel 1990 (altrove, però, parlerà anche dell’autunno del 1925, collocandolo dunque a ridosso della stesura del romanzo d’esordio), Inverno di malato, terzo testo antologizzato nei Racconti, fu pubblicato da Pietro Pancrazi su «Pegaso» nel 1930, quindi incluso nella prima raccolta del 1935, La bella vita, poi ristampato nell’Amante infelice (1943). Ilperno attorno a cui ruota tutto il racconto è il rapporto tra il giovane protagonista (che ha più o meno l’età di Moravia quando entra in sanatorio), «di famiglia una volta ricca e ora impoverita», e il suo compagno di stanza, il Brambilla, «viaggiatore di commercio e figlio di un capomastro», personaggio che nasce dalla condensazione di due ospiti dell’Istituto Coldivilla di Cortina d’Ampezzo conosciuti da Moravia: il primo e momentaneo compagno di stanza, appunto un volgare rappresentante di commercio, e il più che ventenne e triestino Faloria, figlio d’un sarto, giovine leggero e non problematico, don Giovanni al naturale, per il quale lo scrittore in erba prova una vera e propria infatuazione.

C’è da domandarselo, inseguendo indebitamente la biografia fin dentro la letteratura, braccando quell’io che vive sotto le mentite spoglie dell’io che scrive: che cosa sarebbe stato il rapporto di Moravia con la sua classe se non fosse passato al vaglio feroce d’uno sguardo “altro”, non borghese, epperò classista e risentito, come quello che ci restituisce qui il Brambilla, il quale non avrebbe forse ragioni da accampare – e il giovanissimo Girolamo lo sa bene nei rari momenti di lucidità -, se non quelle dell’azione, meglio: dell’attivismo e del vitalismo, e d’una certa braveria, d’una facilità di vivere, che a Girolamo, dal fondo della malattia e della sua paralisi, delle sue velleità, possono parere addirittura le ragioni stesse della salute e della virtù. Lo veniamo a sapere sin dalle prime righe: il Brambilla «l’aveva a poco a poco convinto, in otto mesi di convivenza forzata, che un’origine borghese o, comunque, non popolare fosse poco meno che un disonore ». Sia detto per inciso: proprio il primevo e positivo sentimento del popolo può dirsi alla base, dunque antica e dissimulata, di quelle cautissime illusioni populiste che Moravia vivrà tra i Racconti romani e i Nuovi racconti romani (1959).

Intendiamoci: se abbiamo scavato nel racconto in direzione della vita, se abbiamo finto un’identità tra le verità del testo e quelle dell’autore, non è per il fatto che vogliamo sottovalutarne la letterarietà.Quella che già nel 1938, molto tempestivamente, e come a rimproverargliela, Eurialo De Michelis sottolineava vigorosamente: magari segnalando calchi di Dostoevskij e Manzoni.

Epperò il fatto d’una sintassi dello sguardo che trapassa dalla vita all’opera – se inteso, diciamo, in senso trascendentale, come a fornirci una delle condizioni di possibilità del mondo moraviano, una sua chiave d’accesso – ci pare sia da privilegiare: a motivare meglio anche la qualità eccezionale dei racconti più lontani: non solo di Inverno di malato, ma anche di Cortigiana stanca, Delitto al circolo di tennis (1927), Fine di una relazione (1933). Insomma: il giovanissimo Moravia presta molto di sé al Girolamo di Inverno di malato, che è poi, in versione adolescente (o poco più), il Michele degli Indifferenti, o, per pescare a caso anche in questi Racconti (1927-1951), il Gianmaria dell’Imbroglio (1937), il Giacomo di Luna di miele, sole di fiele (1951), inserito però a partire dalla ristampa del libro del 1953, col suo amore «fatto più della volontà di amare che di sentimento vero»: inetto, velleitario, dilemmatico e inadeguato alla vita. Il giovanissimo Moravia, ripeto, presta molto di sé a Girolamo: ma sospingendolo subito dentro una luce che è già, insieme, di pietà e di condanna. Ecco: ricerca morale della verità o pregiudizio immoralistico? Distacco moralistico dalla propria materia autobiografica e di classe o adesione senza riserve? Furono proprio queste le domande che impegnarono e divisero i primi recensori degli Indifferenti, che oggi ci appaiono, quasi tutti, con le armi spuntate di fronte a quell’aggressività implacata ma fredda di Moravia, a quel fuoco sempre bagnato, però, dalle ragioni d’una strana pietà.Pietà e rifiuto, insomma: laddove, in Inverno di malato, nel serrato confronto tra Girolamo e Brambilla, tra un borghese inconsapevole di sé (e delle sue radici di classe) e un giovane del popolo, finisce per esplicitarsi, e per chiarirsi a se stessa, quella dialettica che, invece, negli Indifferenti resta muta, nel cerchio conchiuso e strozzato d’un interno pariolino dove, come notava Pancrazi recensendo il romanzo, manca davvero l’aria, sicché verrebbe la voglia d’aprire subito una finestra o scambiare due parole con la serva di casa. In Inverno di malato Moravia si serve d’un Brambilla insolente, sadico e persecutorio, anche un po’ mascalzone – quel Brambilla che giganteggia dentro la coscienza larvale di Girolamo -, per fare subito i conti con la sua classe sociale d’origine. Ma, dentro quel conto, saranno proprio le ragioni della pietà a impedirgli di riconoscersi positivamente in Brambilla, nel suo vitalismo, insomma in tutte le mitologie piccolo-borghesi con cui la malata borghesia italiana s’illuse di rivitalizzare se stessa e che culminarono nella barbarie del fascismo.

Ho parlato dello sguardo, della sua peculiare disposizione, che, da questo racconto aurorale, trasmigra, fondandola, dentro larga parte dell’opera moraviana, fino al suo punto terminale, passando, ovviamente, per tutte le metamorfosi che la borghesia italiana, con la sua realtà di riferimento e d’espressione, conoscerà nei decenni del secolo scorso, arrestandosi al principio degli anni Novanta, con la morte dello scrittore. Dovrei parlare ora – e sempre in termini trascendentali – del sesso e delle donne.

Perché, affrontare la questione del sesso in Moravia, significa, inevitabilmente, entrare nel merito di quell’aggressione in cui consiste il movimento del personaggio uomo, quando si rapporta, eroticamente, al personaggio donna. Un’aggressione che sta sempre nella lente ferocemente millimetrica d’un uomo che guarda: e che, non di rado, si traduce anche in violenza reale ed omicidio, come accade in Delitto al circolo di tennis. Partiamo, ancora una volta, da Inverno di malato: Girolamo, per ottenere da Brambilla una patente di virilità, studia di sedurre Polly, la paziente inglese quattordicenne con cui, per volontà dei genitori di lei, è solito conversare. Quella di Polly è, sin da subito un’«intorpidita» e «ritardata infantilità», che la fa terrorizzata e atona alle goffe avances del ragazzo, il quale, in quei rapporti voluti con tutto se stesso, e contro la sua stessa inadeguatezza, non s’impedisce di avvertire subito un che di «illecito, triste, torbido», fino alla convinzione «di essere guasto, senza rimedio».Ecco: il sesso è in Moravia, e sin da subito, qualcosa di agognato e ineludibile, ma anche di irreparabile, e che ha a che fare con la mortificazione e la perdita di sé.Il personaggio di Polly, poco più che una bambina, induce meno lo scrittore a quel moto aggressivo di cui s’è detto, rivolto più a se stesso, in questo caso, al suo io vicario. Tutto risulta più chiaro quando, sulla scena, campeggiano donne mature.Prendete Cortigiana stanca: «Per strada, la sua fantasia si era accanita con una specie di rabbiosa volontà a immaginare una Maria Teresa carica di autunni, dai seni pesanti, dal ventre grasso tremolante sulle giunture allentate dell’inguine, dai fianchi impastati e disfatti». Laddove, però, la logica stessa del desiderio nei suoi momenti più accesi, se non addirittura quella stessa dell’amore, si alimenta proprio di quanto c’è di più penoso nel commercio della carne: «Non se lo confessava, ma l’avrebbe amata di più, mille volte di più, […] se avesse sentito sotto le sue mani irrequiete una carne ancora più stanca di quella, una pelle ancora più vizza e sfiorita. Tutto il suo amore avrebbe dato ad una povera donna matura che non senza disgusto avrebbe tenuto sopra le sue ginocchia e stretta contro il proprio petto». Anche alla donna di Fine di una relazione – che non si trova nell’incipiente autunno della vita come Maria Teresa, ma nella pienezza della sua fresca maturità – il suo infastidito amante non riserva premure migliori. E nello sguardo feroce e disturbato di lui, i suoi sono «occhi neri e inespressivi», per «una serenità indolente e un po’ bovina», di «animale inabile».

Il culmine di questa aggressività maschile, però, s’era già toccato dall’inizio, in Delitto al circolo di tennis, dove la «principessa», una donna invecchiata male, ma di ancor vive ambizioni, viene invitata al ballo di gala al Circolo, corteggiata e illusa, sbeffeggiata e umiliata, denudata e stuprata collettivamente, sino all’omicidio. Ecco: «lo scolorimento della carne ingiallita e grinzosa rivelava il disfacimento dell’età». E ancora, nei modi d’un dileggio che arriva al linciaggio: «La trascinarono daccapo alla tavola, quella resistenza li aveva imbestialiti, provavano un desiderio crudele di batterla, di punzecchiarla, di tormentarla». Si tratta di una modalità di rappresentazione che resisterà negli anni: ed I racconti ne danno continua e prolungata testimonianza.

Prendete L’imbroglio (1937), là dove compare in scena Santina, la fanciulla tutt’altro che sprovveduta da cui il protagonista maschile sarà prima irretito e poi ingannato: «Attonito e tuttavia incuriosito, Gianmaria notò soprattutto il singolare contrasto tra la gracilità infantile di questo corpo e le due macchie rotonde dei capezzoli che trasparivano sotto il velo verdognolo della sottoveste, anormalmente larghe, quasi mostruose, grandi e scure come due soldoni; e i peli lunghi, folti e molli che nereggiavano sotto le ascelle di quelle magre braccia alzate».

All’avvenente Gemma della Provinciale (1937) non tocca migliore destino: «Aveva il naso aquilino, la bocca grande e sdegnosa e, sotto capelli crespi, la carnagione delicata e malsana, ora diafana ora chiazzata di macchie di rossore. Certa peluria, che le adombravale braccia e la nuca, faceva pensare ad un corpo villoso ed infuocato pur nella sua sgraziata magrezza». Ma anche in Luna di miele, sole di fiele (che chiude la raccolta del 1952), il protagonista in questi termini s’esprime sulla moglie, all’indomani delle nozze: «Ella non era alta, ma aveva le gambe lunghe, di fanciulla, e magre, soprattutto nelle cosce che, nei calzoncini corti, mostravano sotto l’inguine quasi una fessura. Erano bianche, queste gambe, di una bianchezza fredda, casta, lucida. Ella aveva i fianchi stretti, la vita snella e poi, solo tratto muliebre, se si girava a parlargli, si profilava sotto la maglia il petto gonfio e basso, simile, sul busto esile, ad un peso aggiunto ed estraneo, penoso a portarsi».

Penoso a portarsi quel seno gonfio e basso: come sempre, in questi racconti, penoso è fare all’amore. Già, fare all’amore: tutto ciò che abbiamo per incontrarci e conoscerci in quanto essere umani, ma anche tutto quello che dobbiamo sopportare e soffrire.Aveva ragione Enzo Siciliano nel 1998: «In Moravia la sessualità diventa il segno tangibile della crisi del personaggio uomo – e lo stile, il lessico lo documentano». E ancora: «C’è in Moravia il torbido languore che segue al coito, una felicità offuscata da un rimorso senza nome, o la consapevolezza che si è vittime di noi stessi – la nostra persona è soltanto il risultato di un conflitto mal domato». Parlando di Agostino (1944), Umberto Saba disse che Moravia «sporcava l’amore». E Siciliano, molto giustamente commentò: «Voleva dire che Moravia piegava il sesso sul versante della tenebra piuttosto che su quello della luce». Il sesso e la sua natura di tenebra: parrebbe, il fare all’amore, l’unica declinazione dell’esistenza che abbia a che fare con una qualche idea di felicità, mentre invece si nutre, «oltre che di torbidi desideri, di sentimenti così poco amorosi come il disgusto, la crudeltà e il disprezzo», per usare le parole con cui Paolo, nella Provinciale, giustifica la sua «passione grossa e furtiva» per Gemma. Il giovane Moravia ha già capito tutto quello che c’era da capire, e continuerà a ribadirlo per tutta la sua vita di scrittore: la natura dell’uomoè ignota a se stessa, nonostante tutta la scienza che su tale natura è stata costruita, psicanalisi compresa. Il sesso è esattamente la dimensione in cui l’inconoscibilità della nostra natura arriva a palesarsi fulmineamente in quanto tale: disperatamente inattingibile.

Quale atto sostanzialmente aggressivo, il sesso è, così, anche un’aggressione alla stessa verità: per come ci appare, identica a se stessa, integra eppure incomprensibile. Fateci caso: che cosa rimane, a tutti i personaggi maschili, al termine dell’inappagata espugnazione che finisce per essere, ogni volta, il rapporto sessuale con una donna? Nient’altro che la proclamazione spazientita e insoddisfatta d’un mistero. Prendete Cortigiana stanca. Dopo l’amore, appena il suo amante s’è liberato dal viluppo delle coperte per andarsene via, Maria Teresa comincia a piangere «senza rumore, senza scosse, silenziosamente, come scorre il sangue da un corpo ferito a morte». L’amante ne ascolta le disperate parole – «è duro essere costretti per la prima volta a mendicare la vita» – quindi assiste a quella sorta di riflusso per cui Maria Teresa si richiude nell’impenetrabilità del sonno: «Gli pareva, di fronte a questa immobilità, che ella non avesse mai parlato; dubitava dei suoi occhi e delle sue orecchie; avrebbe voluto rivedere la smorfia lacrimosa, riudire la voce piangevole. La guardava e gli pareva di vedere la faccia stessa dell’esistenza, un momento rivelata e parlante, ora di nuovo muta e immobile». Già, la faccia stessa dell’esistenza che si rivela alla luce, per ritornare nella tenebra muta della sua immobilità. Siamo agli esordi: ma questa epifania del mistero della vita attraverso la donna è già un patrimonio morale ed esistenziale conquistato dal giovane scrittore. Inesorabile il suo giuoco di diastole e sistole, nella sua intera opera, attraverso personaggi femminili sempre più enigmatici: da Cortigiana stanca, appunto, a L’amore coniugale (1949), al postumo La donna leopardo (1991), per attenerci a tre diverse altezze cronologiche, per sottolinearne la prodigiosa continuità, anche di tenuta letteraria. Epifania del mistero della vita attraverso la donna che, guarda il caso, si realizzaanche nelle ultime righe dell’ultimo racconto della raccolta, così come Moravia ha perentoriamente voluto a partire dall’edizione del 1953, Luna di miele, sole di fiele: «Giacomo la strinse a sé e quasi subito, mentre lei cercava, sempre piangendo, il suo abbraccio, penetrò dentro di lei, facilmente e agevolmente. Ebbe la sensazione come di un fiore segreto, formato di due soli petali, che si schiudesse, pur rimanendo sepolto e invisibile, a qualche cosa che era il sole per la buia notte carnale. Nulla era risolto, pensò più tardi, ma per ora, gli bastava sapere che ella si sarebbe uccisa per lui».

Massimo Onofri

(Copyright Alberto Gaffi Editore)

TRE SCRITTORI BORGHESI di Massimo Onofri

Alberto Gaffi Editore in Roma, 2007

pagg. 112, euro 10

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CAPACITA’ NASCOSTE (la prima antologia diversamente thriller) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/12/09/capacita-nascoste/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/12/09/capacita-nascoste/#comments Mon, 09 Dec 2013 18:16:02 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5688 La prima volta che ebbi modo di “ospitare” Sergio Rilletti fu nell’ambito di questo vecchio post di Letteratitudine datato 2 marzo 2007. In seguito, il 16 marzo 2007, pubblicai il racconto SOLO (dove Sergio racconta una vicenda “difficile” che lo ha riguardato e che gli sta particolarmente a cuore). Lo stesso post fu poi aggiornato il 16 giugno 2009, con l’inserimento di un nuovo testo. In uno di questi post ebbi modo di definire Sergio come un… “abilmente diverso“. Queste diversità, in effetti, convergono – a mio modo di vedere – nelle due seguenti abilità: talento e tenacia.

Sergio racconta di se stesso in questo post di LetteratitudineNews, dove – tra le altre cose – parla delle sue capacità: “Capacità, più o meno nascoste, scoperte da tre lungimiranti maestre dell’asilo, quando, all’età di 5 anni, infilandomi un guantino dal quale spuntava il solo dito indice della mano destra, mi indussero a scrivere a macchina. Non sapendo assolutamente che razza di macchina per scrivere umana stavano mettendo in moto”.

Capacità nascoste. La prima antologia diversamente thrillerIl talento e la tenacia di Sergio l’hanno spinto, in questi anni, a creare un personaggio seriale (Mister Noir) e a collaborare a varie iniziative letterarie. La più recente riguarda la pubblicazione di un’antologia intitolata “Capacità nascoste” (edita da No Replay): una raccolta di racconti, curata da Sergio Rilletti, dove i protagonisti sono personaggi diversamente abili. Nonostante i loro handicap, e nell’ambito di atmosfere rigorosamente thriller, questi personaggi riescono ad affrontare e risolvere situazioni di pericolo proprio grazie alle proprie capacità.  Oltre ad aver ridato spazio al proprio personaggio seriale (il già citato Mister Noir), Sergio è riuscito a coinvolgere tanti bravi autori (tra cui A. Pinketts, Claudia Salvatori, Marilù Oliva, Luca Crovi, Andrea Carlo Cappi, Patrizia Debicke Van der Noot, Giuseppe Lippi, e talenti emergenti che, con la loro sensibilità, hanno voluto mostrare la disabilità in modo diverso).

Avevo promesso a Sergio che, nella tradizione di Letteratitudine, avrei organizzato un dibattito online dedicato a “Capacità nascoste”. Ed eccoci qua…

Vi invito, care amiche e cari amici di Letteratitudine, a interagire con Sergio Rilletti e con gli autori dell’antologia che avranno la possibilità di partecipare alla discussione, per ragionare insieme sulle problematiche affrontate dal libro e – ovviamente – sulla stessa antologia.

Mi piacerebbe, intanto, che gli autori di “Capacità nascoste” (compatibilmente con i loro impegni) potessero intervenire per accennarci qualcosa sul racconto che hanno donato all’antologia.

A tutti, vorrei porre la seguente domanda: Cosa sono diversità e normalità?

Credo sia opportuno fare riferimento al pensiero e agli scritti di Giuseppe Pontiggia, autore – tra le altre cose – del celebre “Nati due volte“. “I bambini disabili”, scrive Pontiggia, “nascono due volte: la prima li vede impreparati al mondo, la seconda è una rinascita affidata all’amore e all’intelligenza degli altri. Ma questa rinascita esige anche negli altri un cambiamento integrale nei confronti dell’handicap: un limite fisico o mentale che direttamente o indirettamente, prima o poi, ci coinvolge tutti e che in un’epoca dove si esalta la sfida fine a se stessa come superamento del limite, impone la sfida più importante che è la consapevolezza e l’accettazione del limite.

Quando Einstein, alla domanda del passaporto, risponde ‘razza umana’ “ – scrive ancora Pontiggia – “non ignora le differenze: le omette in un orizzonte più ampio, che le include e le supera“. E ancora: “Non è negando le differenze che le si combatte, ma modificando l’immagine della norma”. “Nati due volte“, del resto, è dedicato “Ai disabili che lottano / non per diventare normali / ma per diventare se stessi“.

Riporto quest’ultima considerazione di Pontiggia, secondo cui la vita stessa comporta – già di per sé – una coesistenza con la disabilità.

“Noi da un punto di vista antropologico siamo certamente disabili a vivere nel mondo e nella società in cui viviamo perché – lo confermano medici e psicologi – il nostro corpo, la nostra psiche si sono plasmati in un ambiente che è radicalmente diverso da quello in cui noi viviamo e l’evoluzione della società ha proceduto molto più rapidamente dell’evoluzione della specie. Perciò noi, ad esempio, soffriamo di moltissimi disturbi di carattere fisico perché il nostro corpo non è adeguatamente attrezzato a vivere con i ritmi, l’alimentazione, le occupazioni che ci impone la vita di oggi. Questo è assodato dalla medicina. Hanno constatato che l’alimentazione o i ritmi di sonno e veglia o la tensione, la vigilanza si sono formati da ambienti che sono agli antipodi rispetto a quelli di oggi e quindi noi di fatto siamo fisiologicamente, psicologicamente disabili ad affrontare in modo adeguato, costante e continuo la società in cui viviamo. Ma poi tutti soffriamo di avere limiti emotivi, psicologici, culturali, professionali. I giovani soffrono di non essere adeguati rispetto a modelli che una società propone sia sul piano della bellezza fisica sia sul piano della prestazione atletica o professionale. Quindi la persona, andando avanti con gli anni, si imbatte inevitabilmente in handicap o limitazioni fisiche che lo riguardano direttamente oppure che riguardano i suoi familiari. La disabilità tecnica, funzionale e anche soprattutto la disabilità emotiva, mentale noi la avvertiamo continuamente. L’occhio che la cultura dovrebbe modificare nei confronti del disabile dovrebbe indurci a considerare il disabile non con commiserazione o come un diverso ma con solidarietà, come un compagno di viaggio, certamente sfortunato in certe forme di handicap, ma non estraneo alla nostra esperienza”.

Da qui la domanda: Cosa sono diversità e normalità?

Di seguito, due testi firmati da Sergio Rilletti: il racconto dell’esperienza relativa alla pubblicazione di “Capacità nascoste” e un approfondimento su Mister Noir (il primo eroe diversamente abile seriale della storia della letteratura italiana).

Grazie in anticipo a tutti per la partecipazione al dibattito.

Massimo Maugeri

* * *

CAPACITA’ NASCOSTE

(MIE E ALTRUI)

Quando si affronta per la prima volta un lavoro nuovo, diverso da quello che si svolge di solito, difficilmente ci si rende conto dell’impresa che si dovrà affrontare.

Si pensa di saperlo, ma non è così.

E la mia esperienza di curatore è stata molto più impegnativa e lunga di quanto avessi previsto.

Ma forse, proprio per questo, è stata così gratificante!…

1. La scintilla iniziale

Era l’Aprile 2009, quando Elio Marracci mi contattò proponendomi di curare, insieme a lui, un’antologia di racconti thriller dove i protagonisti, tutti  diversamente abili, dovevano cavarsela da una situazione di pericolo grazie alle proprie capacità.

Un’idea che gli venne leggendo, e recensendo, il mio racconto autobiografico Solo!, una storia che avevo scritto nel 2006 e tuttora scaricabile gratuitamente da Internet, in cui narro tutte le strategie che ho dovuto adottare in due ore di autentico terrore vissute da solo in mezzo al Parco di Monza, per cavarmi da una bruttissitma e pericolosa situazione in cui un gruppo di cosiddetti normodotati mi aveva ficcato per farsi un giro in risciò (racconto che ora, in occasione di quest’articolo, ho deciso di ripubblicare sul forum di WMI).

Un fatto che, unito ad una serie di deplorevoli comportamenti che hanno avuto queste persone nei miei confronti, mi scatenò la voglia di far conoscere questa mia drammatica esperienza a tutti, scrivendo Solo!, in cui, attraverso la descrizione “in soggettiva” di tutto ciò che avevo provato e vissuto, attimo per attimo, senza invenzioni né omissioni, costringevo il lettore ad immedesimarsi in me, nei miei pensieri, e nelle mie notevoli difficoltà motorie e orali.

Un racconto che, oltre a decretare la mia improvvisa ascesa come scrittore, facendomi partecipare anche al programma radiofonico Tutti i colori del giallo di Luca Crovi (Radio Rai 2), ha generato una serie di reazioni a catena che ha portato alla creazione di questa antologia, dandomi l’opportunità di realizzare un’idea che avevo in mente sin dagli albori del 2003 – Anno Europeo della Disabilità -, quando però dovetti rinunciarvi perché, pur essendo fermamente convinto della sua forza, ero agli inizi della mia carriera di scrittore e non potevo certo propormi, in modo convincente, ad altri autori come curatore!

E così nel 2003 rinunciai al progetto, di cui, accennandolo ad Andrea Carlo Cappi – Direttore editoriale in coppia con Andrea G. Pinketts di M-Rivista del mistero, edita dalla Addictions -, avevo già in mente il titolo: Capacità Nascoste.

Finché, sei anni dopo, nell’Aprile 2009, Elio Marracci, che non conoscevo e che, nel momento in cui scrivo, continuo a non aver ancora mai visto di persona, mi contattò.

Ed è davvero straordinario come, da una brutta vicenda come quella che ho narrato in Solo! e nei relativi “sequel” – tutti rigorosamente autobiografici al 100%, disponibili anch’essi in rete -, sia potuta nascere una bella iniziativa come questa, che ha visto tantissimi autori di thriller – molti di più di quelli che poi abbiamo selezionato -, cimentarsi nell’arduo compito di scrivere storie ad alta tensione con personaggi diversamente abili come protagonisti assoluti.

Non solo. Ma i suddetti protagonisti (disabili) dovevano cavarsela da situazioni di pericolo grazie alle proprie capacità. Esattamente come avevo fatto io nella realtà.

2. La selezione degli autori

Un invito che, essendo per un progetto nato dal mio racconto Solo!, e convinto che la gratitudine sia un valore da esprimere in modo tangibile, ho voluto iniziare a rivolgerere a tutti i giornalisti e gli scrittori che avevano parlato di Solo! e della relativa drammatica esperienza che avevo vissuto al Parco di Monza.

Dopodiché ho esteso questa proposta ad alcuni rinomati scrittori professionisti, miei amici, di cui sapevo di potermi fidare, e agli scrittori che, in passato, mi avevano invitato a partecipare alle loro antologie; ad altri scrittori, più o meno noti, che stimo come lettore; e, infine, ad alcuni scrittori emergenti, che, volendo appunto emergere, sono comunque garanzia di lavori eccellenti.

Non tutti gli autori hanno accettato l’invito, ma l’idea è stata accolta con grande entusiasmo e passione da moltissimi scrittori, nonostante che non fossero affatto sicuri che sarebbero stati pagati per il loro lavoro né, tanto meno, se l’antologia sarebbe realmente venuta alla luce.

Un’idea, quella dell’antologia, che ben presto si è trasformata in un lungo percorso di confronti, in cui la massima libertà nella scelta dell’ambientazione, del genere di thriller, della tipologia di disabilità, e dello stile, si fondesse con la mission positiva che gli autori dovevano comunque seguire. Pena, l’esclusione dall’antologia.

Una regola inderogabile che abbiamo applicato con chiunque, indipendentemente se l’autore in questione fosse normodotato, portatore di handicap, emergente, o già piuttosto noto.

Molti autori ce l’hanno fatta, altri ci hanno provato ma poi si sono arresi, altri invece abbiamo dovuto proprio eliminarli (anche se non proprio fisicamente), perché, presi dall’entusiasmo di scrivere un racconto sulla disabilità, si erano dimenticati proprio la regola fondamentale che stava alla base di questo progetto.

E’ sempre un dispiacere dire di no ad un autore, che magari aveva mostrato un vivo interesse per la tua iniziativa; ma se ritieni che la tua idea abbia uno scopo sociale ben preciso, puoi certo tentare di mediare, di cercare insieme una soluzione, ma non puoi assolutamente permetterti di fare eccezioni, perché rischieresti di trasformare il tuo progetto finale in un ibrido informe, improponibile in modo coerente agli editori, alle librerie, e al pubblico.

3. Alla ricerca di un editore

Esaurita la selezione dei racconti, infatti, è iniziata la ricerca dell’editore. E quindi abbiamo preparato un’apposita e-mail, in cui, oltre a spiegare il contenuto e lo scopo di questa antologia, abbiamo evidenziato la passione e la professionalità degli autori, enunciando i loro nomi e i titoli dei loro racconti, allegando la prefazione, e impegnandoci a inviare il file (o, su richiesta, il cartaceo) della bozza dell’antologia a chiunque fosse stato interessato.

Una ricerca che, complessivamente, è durata circa un anno e mezzo. Un lungo periodo di tempo in cui ci siamo dovuti districare tra Case editrici note – tra cui la Mursia, la Todaro, la Sellerio, e la Erickson –, che si sono mostrate interessate al nostro lavoro e con le quali abbiamo cercato di tenere vivo un dialogo, ed editori “a pagamento”, ovvero quegli editori che vorrebbero farsi pagare dagli autori – o, in questo caso, dai curatori – per fare il proprio mestiere, ma che, trovando abbastanza distorto il fatto di dover pagare per aver lavorato, ovviamente non abbiamo neanche considerato.

Un anno e mezzo in cui abbiamo sempre mantenuto i contatti con gli autori, rassicurandoli sul fatto che non eravamo scappati coi loro racconti, ma che, anzi, il progetto stava proseguendo bene; anche perché, in effetti, i candidati editori “seri” comunque non mancavano, e la fiducia che ci aveva donato ciascun autore impegnandosi a scrivere un racconto pur non sapendo se avremmo trovato un editore, andava sicuramente premiata!

Poi, nel Novembre 2011, piombò Leonardo Pelo, Direttore editoriale della Casa editrice No Reply, che, energeticamente entusiasta della nostra idea, ci convinse, nell’arco di pochissimi giorni, a pubblicare quest’antologia con lui.

Una gioia infinita, per me; non solo perché finalmente avevamo trovato un editore, ma anche perché Leonardo Pelo era l’editore con cui mi ero confrontato agli inizi della mia carriera, quando era alla guida della Casa editrice Addictions.

4. Al lavoro con l’editore

E così, una volta elaborata la bozza del volume, ci mettemmo all’opera sulla revisione dei racconti, chiedendo la collaborazione a ciascun autore. E, quasi nel medesimo tempo, preparammo un’accattivante scheda di presentazione per invogliare le librerie a prenotarlo.

Ecco quindi che, su richiesta dell’editore, mi ritrovai ad inventare un sottotitolo ad hoc, vagamente esplicativo ma che attirasse ancor di più l’attenzione, trasformando il titolo originale che avevo in mente sin dal 2003, composto da due semplici parole, in: Capacità Nascoste – La prima antologia diversamente thriller.

E così giungemmo all’ultima fase della creazione dell’antologia: la scelta della copertina.

L’editore, visto il nostro entusiasmo, decise di coinvolgerci anche su questo aspetto, e ci sottopose quattro possibili immagini. Dopo una piccola consultazione – in cui abbiamo coinvolto anche altre persone, come campionario di possibili lettori -, abbiamo scelto quella che ci sembrava rappresentare meglio il contenuto del nostro libro: un’immagine un po’ misteriosa, giustamente inquietante, che però non sfocia né nell’intimista né nell’orrorifico.

5. Il risultato finale

Dopo tre anni e mezzo di costante lavoro, il risultato finale è un’antologia di 250 pagine, edita dalla Casa editrice No Reply, contenente 25 racconti ad alta tensione in cui gli autori – Andrea G. Pinketts, Claudia Salvatori, Marilù Oliva, Patrizia Debicke van der Noot, Luca Crovi, Andrea Carlo Cappi, Giuseppe Lippi, Sergio Paoli, Angelo Marenzana, Mario Spezi, Fabio Novel, Bruno Zaffoni, Giuseppe Cozzolino & Bruno Pezone, Franco Bomprezzi, Giovanni Zucca, Angelo Benuzzi, Antonino Alessandro, Maurizio Pagnini, Giuseppe Pastore, Renzo Saffi, Massimiliano Marconi, Myriam Altamore, Dario Crippa, e Andrea Scotton – affrontano il tema dell’handicap in modo dirompente e appassionante, come non è mai stato fatto prima d’ora qui in Italia.

Se infatti il cinema ha spesso sfruttato il binomio thriller/disabilità – di cui mi piace ricordare il capostipite Gli occhi della notte con Audrey Hapburn e Alan Arkin, e il brillante Do not disturb con Francesca Brown e William Hurt – e la televisione ha avuto il suo massimo fulgore con la serie Ironside – creata da Collier Young alias Robert Bloch, l’autore di Psycho – e con i personaggi di Mamma e Papà in Agente speciale – la serie a cui mi sono ispirato per creare Le avventure di Mister Noir -, l’editoria, fatta eccezione per i romanzi di Jeffery Deaver con protagonista il detective forense Lincoln Rhyme, e lo strepitoso Misery di Stephen King, è molto restia al riguardo: più incline alla pubblicazione di autobiografie e saggi, che però rischiano di interessare solo chi è già abbastanza sensibilizzato sull’argomento, piuttosto che occuparsi di storie di narrativa pura, con protagonisti diversamente abili.

E questo, secondo me, è un vero handicap!

Lo scopo di questa antologia, invece, è quello di coinvolgervi in storie avvincenti dove, come in tutti i thriller, i protagonisti partono da una situazione di grande svantaggio, ma dove, diversamente dai thriller normali, lo svantaggio è naturale, intrinseco nei protagonisti stessi!

Un’antologia per la quale, essendo generata dal mio racconto Solo!, nella prefazione non ho potuto fare a meno di citare e ringraziare quella meravigliosa coppia di giovani, un lui e una lei, che quella fatidica Domenica 9 Aprile 2006, alla fine mi trovarono in mezzo al Parco di Monza, capirono tutto, e mi aiutarono in maniera assolutamente encomiabile.

Un’antologia di racconti diversamente thriller in cui, oltre a spaziare in diverse tipologie di disabilità e in diversi generi di thriller – dal mystery all’urban legend, dal fantastico all’umoristico, dall’action al realistico-sentimentale, dallo spionistico al bellico, in cui non mancano le ispirazioni a fatti reali e le contaminazioni tra diversi generi -, alcuni autori non hanno avuto alcun problema ad affrontare temi particolarmente spinosi quali: l’Alzheimer, la follia, l’epurazione dei disabili ai tempi del nazismo, la guerra in Libia, il sesso a pagamento per le persone con handicap, e, ovviamente, i parcheggi riservati ai disabili sempre abusivamente occupati!… Un comportamento di assoluta professionalità, passione, e umiltà, di cui voglio ringraziare di cuore tutti gli autori!

Un’antologia in cui, diversamente da quanto accade di solito, la dislocazione dei racconti non segue l’ordine alfabetico degli autori, che invece è mantenuto per le note biografiche degli stessi, ma segue piuttosto l’alternarsi delle varie tipologie di handicap: un entusiasmante percorso ad ostacoli in cui il lettore, sostenuto e guidato dai vari protagonisti diversamente abili, affronterà e supererà ogni prova con slancio ed entusiasmo.

Un’antologia a cui ho voluto partecipare anch’io, non con Solo!, che si può scaricare gratuitamente dal web, ma con un’avventura inedita di Mister Noir, Snuff Movie – Inconsapevole gioco di morte, che, per solidarietà con gli autori, ho voluto appositamente ideare attenendomi scrupolosamente alla mission positiva di questo volume (onde evitare, come curatore, di dovermi eliminare da solo). Un’avventura particolare in cui il mio eroe seriale, pur mantenendo il suo aplomb e il suo immancabile umorismo, si ritrova intrappolato in una famigerata casa costellata da indovinelli e trappole mortali, e in cui io, contrariamente a quanto faccio di solito, porgo particolare attenzione ai problemi fisici del detective e a tutte le “strategie” che deve attuare per superare determinati ostacoli e difficoltà.

Un’antologia che, sin dalla sua presentazione in anteprima a Celle Ligure (SV), durante la 10^ Mostra Internazionale del Cinema Indipendente, è riuscita a mietere un notevole interesse, facendo parlare di sé quotidiani, radio, riviste, e moltissimi siti web, tra cui il prestigioso quotidiano on-line Affari Italiani, Thriller Magazine, FamigliaCristiana.it, e Personecondisabilità, il sito della LEDHA – Lega per i diritti delle persone con disabilità, allargandosi in consensi e visibilità ad ogni presentazione.

Un’antologia che si può acquistare anche on-line sul noto sito IBS.it, ma che, indipendentemente dalle copie che venderà, ha già comunque un record assoluto che nessuno potrà mai usurparle: essere la prima antologia di questo genere realizzata in Italia!

©Sergio Rilletti, 2013

articolo pubblicato su Writers Magazine Italia

* * *

“SNUFF MOVIE – INCONSAPEVOLE GIOCO DI MORTE”

ovvero le “CAPACITA’ NASCOSTE” di Mister Noir

mister-noirNato ufficialmente nell’Ottobre 2004 sulle pagine di M-Rivista del mistero, Mister Noir è il primo eroe diversamente abile seriale della Storia della letteratura italiana, protagonista, oltretutto, di thriller umoristici.

In Snuff Movie – Inconsapevole gioco di morte, un’avventura inedita pensata appositamente per questo volume, Mister Noir deve districarsi in una famigerata casa in cui un gruppo di diversamente disabili, ufficialmente considerati normodotati, l’ha rinchiuso con l’intenzione di ammazzarlo attraverso un finto gioco – ovviamente truccato – e una serie di trappole sempre più micidiali… riprendendolo con delle telecamere!

Un thriller d’azione in cui l’acume di Mister Noir, sempre assistito da Elena Fox e Consuelo Gomez, può risultare un mortale handicap per l’investigatore stesso.

Un racconto ad alta tensione, che, pur ispirandosi alla grave piaga sociale degli Anni ’70 degli snuff movie – dove i protagonisti, con loro grande stupore e terrore, alla fine venivano realmente torturati e uccisi -, mantiene invariato lo spirito brioso della serie, con Mister Noir ed Elena Fox ironici e satenati più che mai!

Un racconto in cui Mister Noir, che da sempre, nonostante le proprie considerevoli difficoltà motorie, si considera un super-dotato in un mondo popolato da semplici normodotati, deve fare appello a tutte le proprie capacità mentali e soprattutto fisiche per cavarsela finalmente da solo!

Un racconto che non solo è perfettamente in linea con l’antologia, ma che mi sono accorto che aveva molto a che fare proprio con la genesi dell’antologia stessa, dato che può essere tranquillamente considerato la versione “MisterNoirese” di Solo!, il mio racconto autobiografico che portò alla nascita di Capacità Nascoste – La prima antologia diversamente thriller (edizioni No Reply). Un fatto di cui mi resi conto solo a stesura già iniziata, ma che mi divertì parecchio.

©Sergio Rilletti, 2013

© Letteratitudine

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DAVID FOSTER WALLACE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/09/12/david-foster-wallace/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/09/12/david-foster-wallace/#comments Thu, 12 Sep 2013 17:50:50 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/09/14/la-fine-di-david-foster-wallace/ Il 12 settembre 2008 moriva lo scrittore statunitense David Foster Wallace (nato il 21 febbraio 1962), autore di opere importanti come “La scopa del sistema“, “La ragazza con i capelli strani“, “Infinite Jest” (giusto per citarne qualcuna).
A cinque anni dalla scomparsa, vorrei ricordarlo riproponendo questo post.
Ne approfitto per segnalare quest’altro post, in tema, pubblicato su LetteratitudineNews.
Massimo Maugeri

* * *

Post del 14 settembre 2008
Il 12 settembre si è suicidato lo scrittore americano David Foster Wallace.
Aveva 46 anni. Si è ucciso impiccandosi nella sua abitazione di Claremont, in California. Il cadavere è stato rinvenuto dalla moglie, Karen Green, alle ore 21.30.
Foster Wallace è diventato un autore di culto (anche se non mancano i detrattori), soprattutto in seguito alla pubblicazione dell’opera monumentale “Infinite Jest” (più di mille pagine… qui in Italia pubblicato prima da Fandango e poi da Einaudi).
Un altro scrittore che si aggiunge alla lista degli artisti della penna che hanno deciso di spegnere l’interruttore dell’esistenza (e potremmo anche discutere sul tema difficilissimo del suicidio).
Tempo fa lo stesso Wallace ebbe modo di sostenere: “Succedono cose davvero terribili. L’esistenza e la vita spezzano continuamente le persone in tutti i cazzo di modi possibili e immaginabili” (da Brevi interviste con uomini schifosi).

Quella che segue, invece, è una citazione tratta da “Infinite Jest”:
La persona che ha una così detta “depressione psicotica” e cerca di uccidersi non lo fa aperte le virgolette “per sfiducia” o per qualche altra convinzione astratta che il dare e avere nella vita non sono in pari. E sicuramente non lo fa perché improvvisamente la morte comincia a sembrarle attraente. La persona in cui l’invisibile agonia della Cosa raggiunge un livello insopportabile si ucciderà proprio come una persona intrappolata si butterà da un palazzo in fiamme. Non vi sbagliate sulle persone che si buttano dalle finestre in fiamme. Il loro terrore di cadere da una grande altezza è lo stesso che proveremmo voi o io se ci trovassimo davanti alla finestra per dare un’occhiata al paesaggio; cioè la paura di cadere rimane una costante. Qui la variabile è l’altro terrore, le fiamme del fuoco: quando le fiamme sono vicine, morire per una caduta diventa il meno terribile dei due terrori. Non è il desiderio di buttarsi; è il terrore delle fiamme. Eppure nessuno di quelli in strada che guardano in su e urlano “No!” e “Aspetta!” riesce a capire il salto. Dovresti essere stato intrappolato anche tu e aver sentito le fiamme per capire davvero un terrore molto peggiore di quello della caduta.

Rattristato dalla notizia della morte mi piacerebbe ricordare David Foster Wallace, il suo talento letterario e la sua opera principale: “Infinite Jest“, appunto. Qualcuno di voi ha letto questo libro?

Di seguito potrete leggere l’estratto di un’intervista – pubblicata su Repubblica del 23 dicembre 2000 – che Foster Wallace rilasciò ad Antonio Monda.
Massimo Maugeri

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da Repubblica — 23 dicembre 2000
di Antonio Monda

La consacrazione culturale del grande talento di David Foster Wallace avvenne con un ritratto sul New York Times pubblicato in occasione dell’uscita negli Stati Uniti di Infinite Jest. La dimensione monumentale del libro aveva sorpreso chi si aspettava in piena epoca minimalista un nuovo capitolo irridente dell’affresco americano iniziato con The Broom of the system (La scopa del sistema) ma l’uso entusiasta del termine “genio” usato ripetutamente da Esquire e i paragoni con Joyce suggerito dalla Midwest Book Review e con Poe dal New York Times Book Review, aprirono le porte ad una celebrazione mediatica nella quale venne proclamata la nascita del «piu’ eccitante e interessante talento della sua generazione». Ad incontrarlo oggi, Wallace appare un ragazzo dallo sguardo ferito, che vive con sospetto lo straordinario successo critico e non nasconde le sbandate di una vita irregolare che sembra aver trovato un po’ di pace nel ritiro nel piccolo centro di Bloomington, nell’Illinois. La sua ironia cela sempre il dolore, il suo giudizio tagliente una malinconia venata di incertezza, il racconto affascinato di personaggi più grandi della vita una concezione dell’esistenza che ha ben poco di grande, e che trova nell’aurea mediocritas una possibile risposta al mistero del vivere. Ha deciso di non scrivere saggi e articoli per almeno due anni, ma rivela di sentirne già la mancanza…

Lei crede al potere di redenzione dell’arte?
«Certamente, ma esito sempre nell’identificare pubblicamente le opere che hanno avuto un tale effetto su di me. E’ una forma di pudore, ma anche una constatazione: esistono libri, quadri, brani musicali o film che riescono a svolgere un determinato ruolo soltanto in particolarissimi momenti».

Quali sono i libri che l’hanno influenzata come scrittore?
«La lista sarebbe lunghissima. Le cito due romanzi di Manuel Puig che hanno avuto un ruolo fondamentale: Il bacio della donna ragno e Il tradimento di Rita Hayworth».

Lei si e’ ritirato in un piccolo centro che è difficile non definire «in the middle of nowhere». In questo lei è simile a Salinger, De Lillo, Pynchon… Come mai molti dei piu’ importanti scrittori americani hanno deciso di vivere in un isolamento quasi assoluto?
«Ogni caso ovviamente e’ differente, ma la mia impressione è che ci sia una crescente cautela, e a volte una reazione netta, nei confronti dell’esposizione pubblicitaria. Sempre più spesso si rischia di cambiare geneticamente il senso ultimo di una scelta di vita artistica. Per uno scrittore l’espressione artistica è una necessità, e ciò che lui crea è un fine, non un mezzo. Ho l’impressione che questo fenomeno sia soprattutto statunitense perché l’America è il paese dove è più evidente la cultura della celebrità, e dove è più smaccata la confusione tra apparenza e sostanza. Io provo nei confronti degli eventi sociali lo stesso tipo di reazione che ho quando viene scattata una foto con il flash: non riesco a vedere bene, mentre gli altri mi vedono sotto una luce falsa».

Come mai mescola costantemente personaggi reali come il presidente Johnson ad altri puramente immaginari?
«Molti di questi personaggi nascono da una conoscenza televisiva, quindi indiretta, se non addirittura irreale. Ricordo ad esempio che da bambino vedevo Johnson in televisione: si trattava di una presenza costante, della quale conoscevo le espressioni, la cadenza, i modi di muoversi. Ero affascinato dalla sua personalità, tuttavia non potevo certo dire di conoscerlo. Ritengo che non sia possibile fare una vera e propria distinzione, ma nello stesso tempo ciò ci deve portare a riflettere su cosa consideriamo realtà, e su quello che ci viene propinata come tale. Sempre più spesso assistiamo ad azioni o dichiarazioni fatte ad uso e consumo dei media, che pretendono di acquistare la dignità della realtà».

Ritiene che il linguaggio televisivo sia dannoso anche per la letteratura?
«Terribilmente, ma si deve estendere il discorso anche a realtà più nuove come Internet. Io insegno letteratura inglese, ed è deprimente vedere come ogni anno si registri meno passione, meno cultura, e conseguentemente una minore qualità nella scrittura».

© Letteratitudine

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http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/09/12/david-foster-wallace/feed/ 187
SPECIALE PREMIO STREGA 2013: VINCE WALTER SITI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/07/05/speciale-premio-strega-2013/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/07/05/speciale-premio-strega-2013/#comments Thu, 04 Jul 2013 23:40:17 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5311 È WALTER SITI il vincitore dell’edizione 2013 del Premio Strega
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Il post con le voci dei 5 finalisti (prima della premiazione)

Dagli incontri radiofonici di “Letteratitudine in Fm“, le voci dei cinque finalisti scelti dagli Amici della Domenica che si contenderanno l’edizione 2013 del Premio Strega. La finale si svolgerà, come di consueto, al Ninfeo di Villa Giulia, a Roma, nella serata di giovedì 4 luglio 2013.

i cinque finalisti dello strega

(Foto – in primo piano, da sinistra a destra: Alessandro Perissinotto, Simona Sparaco, Romana Petri, Paolo Di Paolo, Walter Siti)

Di seguito, i riferimenti ai cinque libri con i link alle puntate radiofoniche per riascoltare le”chiacchierate” con gli autori (elencati in ordine alfabetico di cognome):
Mandami tanta vita - Mandami tanta vita (Feltrinelli) di Paolo Di Paolo
Per ascoltare la puntata radiofonica di Letteratitudine in Fm con PAOLO DI PAOLO, clicca sul pulsante audio

...

Moraldo, arrivato a Torino per una sessione d’esami, scopre di avere scambiato la sua valigia con quella di uno sconosciuto. Mentre fatica sui testi di filosofia e disegna caricature, coltiva la sua ammirazione per un coetaneo di nome Piero. Alto, magro, occhiali da miope, a soli ventiquattro anni Piero ha già fondato riviste, una casa editrice, e combatte con lucidità la deriva autoritaria del Paese. Sono i giorni di carnevale del 1926. Moraldo spia Piero, vorrebbe incontrarlo, imitarlo, farselo amico, ma ogni tentativo fallisce. Nel frattempo ritrova la valigia smarrita, ed è conquistato da Carlotta, una fotografa di strada disinvolta e imprendibile in partenza per Parigi. Anche Piero è partito per Parigi, lasciando a Torino il grande amore, Ada, e il loro bambino nato da un mese. Nel gelo della città straniera, mosso da una febbrile ansia di progetti, di libertà, di rivoluzione, Piero si ammala. E Moraldo? Anche lui, inseguendo Carlotta, sta per raggiungere Parigi. L’amore, le aspirazioni, la tensione verso il futuro: tutto si leva in volo come le mongolfiere sopra la Senna. Che risposte deve aspettarsi? Sono Carlotta e Piero, le sue risposte? O tutto è solo un’illusione della giovinezza? Paolo Di Paolo, evocando un protagonista del nostro Novecento, scrive un romanzo appassionato e commosso sull’incanto, la fatica, il rischio di essere giovani.

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Le colpe dei padri

Le colpe dei padri (Piemme) di Alessandro Perissinotto:

Per ascoltare la puntata radiofonica di Letteratitudine in Fm con ALESSANDRO PERISSINOTTO, clicca sul pulsante audio



Guido Marchisio, torinese, 46 anni, è un uomo arrivato. Dirigente di una multinazionale, appoggiato dai vertici, compagno di una donna molto più giovane e bellissima: la sua è una vita in continua ascesa. Fino al 26 ottobre 2011, una data che crea una frattura tra ciò che Guido è stato e quello che non potrà mai più essere. Quella mattina, infatti, un incontro non previsto insinua in lui il dubbio: possibile che esista da qualche parte un suo sosia, un gemello dimenticato, un suo doppio misterioso e sfuggente? Giorno dopo giorno, il dubbio diventa ossessione e l’esistenza dell’ingegner Marchisio inizia, prima piano poi sempre più velocemente, a percorrere la stessa rovinosa china della sua azienda e della sua città. Di tutte le sicurezze costruite col tempo, non rimane più nulla: il suo ruolo di freddo tagliatore di teste, di manager di successo, la sua figura di uomo affascinante, tutto, per colpa di quel sospetto, sembra scivolare via da lui, come se accompagnasse l’emorragia che lentamente svuota l’industria italiana. Andare a fondo significherà per Guido affacciarsi all’orlo di un baratro e accettare l’inaccettabile.

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Figli dello stesso padre- Figli dello stesso padre (Longanesi) di Romana Petri

Per ascoltare la puntata radiofonica di Letteratitudine in Fm con ROMANA PETRI, clicca sul pulsante audio

Figli dello stesso padre, ma di due donne diverse, Germano ed Emilio si rivedono dopo un lungo silenzio. Sono diversissimi, accomunati unicamente dall’amore insoddisfatto per il padre Giovanni, una figura possente, passionale ed egocentrica, che ha abbandonato la madre di Germano perché la sua nuova donna aspettava un figlio, Emilio, per poi abbandonare poco dopo anche lei come tutte le altre donne della sua vita. Germano, pur essendo sempre stato il preferito del padre, non ha mai perdonato al fratello minore di essere la causa del divorzio dei genitori. Emilio, cresciuto sapendo di essere il figlio non voluto, ha sempre cercato, invano, l’affetto del padre e del fratello. Nei pochi giorni che trascorreranno insieme, le antiche rabbie e il richiamo del sangue riemergeranno furiosi.


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Resistere non serve a nienteResistere non serve a niente (Rizzoli) di Walter Siti

Per ascoltare la puntata radiofonica di Letteratitudine in Fm con WALTER SITI, clicca sul pulsante audio

Molte inchieste ci hanno parlato della famosa “zona grigia” tra criminalità e finanza, fatta di banchieri accondiscendenti, broker senza scrupoli, politici corrotti, malavitosi di seconda generazione laureati in Scienze economiche e ricevuti negli ambienti più lussuosi e insospettabili. Ma è difficile dar loro un volto, immaginarli nella vita quotidiana. Walter Siti, col suo stile mimetico e complice, sfrutta le risorse della letteratura per offrirci un ritratto ravvicinato di Tommaso: ex ragazzo obeso, matematico mancato e giocoliere della finanza; tutt’altro che privo di buoni sentimenti, forte di un edipo irrisolto e di inconfessabili frequentazioni. Intorno a lui si muove un mondo dove il denaro comanda e deforma; dove il possesso è l’unico criterio di valore, il corpo è moneta e la violenza un vantaggio commerciale. Conosciamo un’olgettina intelligente e una scrittrice impegnata, un sereno delinquente di borgata e un mafioso internazionale che interpreta la propria leadership come una missione. Un mondo dove soldi sporchi e puliti si confondono in un groviglio inestricabile, mentre la stessa distinzione tra bene e male appare incerta e velleitaria. Proseguendo nell’indagine narrativa sulle mutazioni profonde della contemporaneità, sulle vischiosità ossessive e invisibili dietro le emergenze chiassose della cronaca, Siti prefigura un aldilà della democrazia: un inferno contro natura che chiede di essere guardato e sofferto con lucidità prima di essere (forse e radicalmente).

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Nessuno sa di noiNessuno sa di noi (Giunti) di Simona Sparaco

Per ascoltare la puntata radiofonica di Letteratitudine in Fm con SIMONA SPARACO, clicca sul pulsante audio


Quando Luce e Pietro si recano in ambulatorio per fare una delle ultime ecografie prima del parto, sono al settimo cielo. Pietro indossa persino il maglione portafortuna, quello tutto sfilacciato a scacchi verdi e blu delle grandi occasioni. Ci sono voluti anni per arrivare fin qui, anni di calcoli esasperanti con calendario alla mano, di “sesso a comando”, di attese col cuore in gola smentite in un minuto. Non appena sul monitor appare il piccolo Lorenzo, però, il sorriso della ginecologa si spegne di colpo. Lorenzo è troppo “corto”. Ha qualcosa che non va. “Nessuno sa di noi” è la storia di un mondo che si lacera come carta velina. E di una donna di fronte alla responsabilità di una scelta enorme. Qual è la cosa giusta quando tutte le strade portano a un vicolo cieco? Che cosa può l’amore? E quante sono le storie di luce e buio vissute dalle persone che ci passano accanto? Come le ricorderanno le lettrici della sua rubrica e le numerose donne che incontra sul web, Luce non è sola.

© Letteratitudine

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TRINACRIA PARK http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/03/19/trinacria-park/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/03/19/trinacria-park/#comments Tue, 19 Mar 2013 21:48:30 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5076 trinacria-park-cover1Care amiche e cari amici di Letteratitudine,
lasciate che condivida con voi la gioia per la nascita di questa mia nuova creatura letteraria: “TRINACRIA PARK” (edizioni e/o, collezione Sabot/age). Domani (20 marzo) approderà in libreria.
Per il momento mi limito solo a riportare la scheda del libro, il booktrailer, e qualche recensione/segnalazione. Ma sarà un post in aggiornamento… dove segnalerò anche date e luoghi di presentazione del romanzo (e notizie a esso attinenti).
Grazie in anticipo a tutti coloro che lo sosterranno.
Massimo Maugeri

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LA SCHEDA DEL LIBRO
All’interno di una piccola isola siciliana è appena stato costruito il Trinacria Park: un enorme parco tematico destinato a diventare il più importante d’Europa. La sua notorietà deriva anche dal ritrovamento di un antichissimo carteggio contenente brani di un poema epico in greco antico che narra le vicende delle tre Gorgoni. Nel corso della settimana di inaugurazione
- caratterizzata da festeggiamenti a cui partecipano centinaia di celebrità – si sviluppa una terribile forma epidemica che causa la morte di decine di persone, tra cui il Presidente della Regione Siciliana e diversi vip. Si scatena il panico. Per via del sospetto di un attentato terroristico di tipo batteriologico, l’isola viene messa in quarantena. In questo tragico scenario collettivo, si intrecciano le appassionanti vicende di tre donne, le cui vite sembrano assecondare la natura delle Gorgoni; un attore balbuziente che deve fare i conti con una tragedia personale e le frustrazioni di una carriera che non ha mai preso il volo; un giovane e inquietante aiuto-regista dalle agghiaccianti manie; un anziano attore di teatro chiamato a svolgere il ruolo di direttore artistico del parco nascondendo ben altri intenti. Perché nulla è come sembra a Trinacria Park…

Lunedì 19 Agosto 2013 – Trinacria Park” libro del giorno della trasmissione culturale Fahrenheit di RadioRai3. Per ascoltare la puntata, cliccare sul “PULSANTE AUDIO

Massimo Maugeri ne parla in radio con Felice Cimatti.

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“Trinacria Park” tra i 10 MIGLIORI ROMANZI ITALIANI DEL 2013 per Panorama.it

I libri più belli del 2013: i 10 migliori romanzi italiani

IL BOOKTRAILER

TRINACRIA PARK A…  TV2000 (raccontato in un minuto)

TRINACRIA PARK A… TEATRO

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Recensioni e segnalazioni (link sulla pagina delle edizioni e/o)

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Da Repubblica Palermo del 7 aprile 2013 – la classifica dei più venduti di Modus Vivendi

Foto: Su Repubblica Palermo di oggi “Trinacria Park” è primo nella classifica di Modusvivendi dei libri più venduti di narrativa. ;-)  Colomba Rossi L.s. Letteratitudine Letteratitudine Due

IL TOUR DI PRESENTAZIONE

1) – 24 marzo 2013 a Catania: h. 17:30 – TEATRO VALENTINO, via San Nicolò al Borgo, 73. Presenta Simona Lo Iacono con una performance teatrale di Giuseppe Orto

2) – 28 marzo 2013 a Milano: h. 18:30 – Libreria Centofiori – Piazzale Dateo, 5. Presentano Alessandra Casella e Elena Mearini.

3) – 7 aprile 2013 a Palermo: h. 11 – Libreria Modus Vivendi – Via Quintino Sella, 79. Presenta Leda Melluso

4) – 14 aprile 2013 a Siracusa: h. 18 – Galleria Roma, piazza San Giuseppe, Siracusa, Ortigia. Presenta Simona Lo Iacono

5) – 4 maggio 2013 a Aci Bonaccorsi (CT): h. 18 – Palazzo Cutore – Sala Prisma – Presentano Orazio Caruso e Maria Rita Pennisi

6) – Mercoledì 8 Maggio 2013, ore 18:00, a Catania, nei locali della Pinacoteca-Biblioteca della Provincia Regionale di Catania, sita in piazza Manganelli, ospite del Gruppo Convergenze, Massimo Maugeri sarà intervistato in pubblico da Grazia Calanna, Luigi Carotenuto e Mario Grasso sulle sue attività culturali e sul suo nuovo romanzo Trinacria Park (edizioni e/o 2013). Ingresso libero.

7) – Venerdì 10 Maggio 2013, ore 18:00, Roma: libreria IBS, di Via Nazionale. Luigi La Rosa presenta “Trinacria Park” di Massimo Maugeri. Sarà presente l’autore

8 )Venerdì 17 Maggio 2013, ore 18:00, Avola: libreria Mondadori, di Corso Vittorio Emanuele, 269 – Avola (SR). Simona Lo Iacono presenta “Trinacria Park” di Massimo Maugeri. Musiche di Corrado Neri. Sarà presente l’autore

9)Domenica 19 Maggio 2013, ore 12:00 – Torino: Massimo Maugeri al Salone del libro – firma copie di “Trinacria Park” presso lo stand delle Edizioni E/O

10) - Sabato 25 Maggio 2013, ore 18:30Giardini Naxos (ME) – Massimo Maugeri presenta “Trinacria Park” nell’ambito della rassegna “NAXOSLEGGE… TUTTO L’ANNO” – in collaborazione con Lido Di Naxos e Libreria Doralice di Messina, presso Lido di Naxos/ Fronte Mare, ore 18.30 – Giardini Naxos (Me). Con l’autore converserà Marinella Fiume

11) Venerdì 5 Luglio 2013, ore 17:30 - PISA -Massimo Maugeri presenta “Trinacria Park” a Pisa, presso la libreria Fogòla, di Corso Italia, 82. Interverrà Giovanni Parlato: giornalista de “Il Tirreno”

12) Domenica 7 Luglio 2013, ore 21:30 - PIETRASANTA (LU) – Massimo Maugeri presenta ”Trinacria Park” nell’ambito di TRAME D’ESTATE – con intervista di Chiara Tommasi, Sala Annunziata, Pietrasanta (LU).

13) Mercoledì 10 Luglio 2013, ore 21:45 - ROMA – Massimo Maugeri presenta ”Trinacria Park” nell’ambito di TRASTEVERE NOIR FESTIVAL -  con Mario Falcone – Museo di Roma in Trastevere – piazza S. Egidio, 1 – Roma

14) Domenica 14 luglio 2013, ore 19 – AUGUSTA (SR) – Massimo Maugeri presenta ”Trinacria Park” nell’ambito di “APERI-CENA CON L’AUTORE” – con Carmelo Giummo – Terrazza estiva del ristorante A’ Massaria – Via Mar Tirreno (C.tda M. Tauro) – Augusta (Sr) – evento organizzato in collaborazione con la “Libreria Letteraria” di Augusta

15) Venerdì 19 luglio 2013, ore 19:30 – NOTO (SR) – Massimo Maugeri presenta ”Trinacria Park” a Noto (Sr) – con Simona Lo Iacono e performance teatrali di Giuseppe Orto – presso il Giardino botanico del Circolo val di Noto – A fine presentazione seguirà un rinfresco

16) Venerdì 16 Agosto 2013, ore 19:30 a Noto (Sr)
Massimo Maugeri presenta “Trinacria Park” a Noto (Sr), lungo la Via Nicolaci, nell’ambito dell’iniziativa “Agosto Letterario a Noto” – Felice Modica intervisterà l’autore

17) Lunedì 19 Agosto 2013, ore 17:30 a Fahrenheit – RadioRai3
Trinacria Park” sarà il libro del giorno della trasmissione culturaleFahrenheit di RadioRai3.
Massimo Maugeri ne parlerà in radio con Felice Cimatti.

18) Martedì 20 Agosto 2013, ore 19:00 a Siracusa
Massimo Maugeri presenta ”Trinacria Park” a Siracusa nelcortile dell’Assessorato alla Cultura, nell’ex Convento del Ritiro di via Mirabella 29, nell’ambito dell’iniziativa “L’Agorà della Biblioteca” organizzata dalla Biblioteca Comunale di Siracusa – Interventi di Elvira Siringo e suggestioni musico-letterarie di Bruno Formosa

19) Venerdì 23 Agosto 2013, ore 21:30 a Senigallia
Massimo Maugeri presenta ”Trinacria Park” a Senigallia (An) nell’ambito del Festival letterario “Ventimila righe sotto i mari in giallo – Lex and the city”. L’incontro si svolgerà alle h. 21,30 a Rotonda a Mare. Gli autori Sabot/Age (delle edizioni e/o) Matteo Strukul e Massimo Maugeri converseranno con Valerio Calzolaio, critico letterario e curatore suSalvagente di una rubrica di recensioni di libri gialli.

20) Sabato, 19 ottobre 2013, alle ore 18,30 presso la libreria Mondadori di Messina (Via Garibaldi, 56)Massimo Maugeri presenterà il suo nuovo romanzo,Trinacria Park (Edizioni E/O). Dialogherà con l’autore il giornalista Francesco Musolino.

21) Venerdì 25 ottobre 2013, Massimo Maugeri con il romanzo “Trinacria Park” (edizioni e/o) sarà a Giugliano in Campania (NA), tra i tre finalisti delPremio Minerva (premio letterario per la letteratura di impegno civile). La cerimonia di consegna del premio si svolgerà a partire dalle h. 17 presso la Biblioteca Comunale, di Via Verdi n. 6, Giugliano in Campania (NA)

22) Domenica 27 ottobre 2013alle 16.00, Massimo Maugeri presenterà a Torino “Trinacria Park” (edizioni e/o) nell’ambito del LABirinti festival,corso Venezia 11 – Torino. Interverranno Gabriella Serravalle e Giuseppe Giglio

23) Martedì 29 ottobre 2013, ore 18, Massimo Maugeri incontrerà i lettori del Premio dei Lettori di Lucca per discutere di “Trinacria Park” (edizioni e/o), tra i romanzi selezionati per l’edizione in corso del Premio. L’incontro si svolgerà presso l’Auditorium Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, via S. Micheletto 12.

24) Martedì 7 Gennaio 2014 ore 18, ELVIRA SEMINARA contro MASSIMO MAUGERI (Trinacria Park –E/O) – Libreria Prampolini, Via Vittorio Emanuele 333 Catania – (Utopia e/o Distopia: Ipotesi di scrittori visionari)

25) TRINACRIA PARK: i pro ed i contro di un parco tematico in SiciliaLa Fidapa di Fiumefreddo organizza l’incontro: “Trinacria Park: i pro e i contro di un parco tematico in Sicilia“. Sabato 1 febbraio 2014 – h. 17:30 – Casale Papandrea, Via Della Chiesa, Fiumefreddo di Sicilia (CT) – Saranno presenti : Massimo Maugeri – autore del libro; Francesco Rapisarda – Architetto docente Università Reggio Calabria; Salvo Patanè – Architetto vice sindaco Comune di Giarre; Marinella Fiume – Responsabile Commissione Arte e Cultura Fidapa Distretto Sicilia.

26) Stasera libro – Trinacria Park di Massimo Maugeri – mercoledì 19 febbraio 2014, ore 17, Motta Sant’Anastasia (CT) – Biblioteca comunale “A. Emanuele”, vecchio mulino restaurato al n. 52 di via Roma

27) Trinacria Park di Massimo Maugeri- 8 marzo 2014 – h. 11 – Presentazione presso il Liceo Classico “M. Rapisardi” di Paternò (CT), aula magna – incontro con gli studenti

28) Presentazione di Trinacria Park di Massimo Maugeri – venerdì 28 febbraio 2014, ore 18, Floridia (Sr) – Centro Artistico Culturale “Giuseppe Ierna”. Con: Simona Lo IaconoGiuseppe GiglioSalvo Sequenzia

29) Presentazione di Trinacria Park di Massimo Maugeri - mercoledì 2 aprile 2014, ore 18, Augusta –c/0 Circolo Unione, Piazza Duomo, 3 – Augusta (SR) – Dialoga con l’autore: Simona Lo Iacono.

30) TRINACRIA PARK al Salone del libro di Torino 2014Incontro con Massimo Maugeri – Salone OFF – in occasione della pubblicazione del libro Trinacria Park – Venerdì 9 maggio, ore 19.00 – Sublime Torino – Via Nizza 105 Torinoa cura di Cooperativa Letteraria nell’ambito del progettoLetture di Traverso

31) TRINACRIA PARK al Festival Internazionale del Cinema di Frontiera – Martedì 22 luglio, alle 19:30, nell’ambito degli appuntamenti di CORTILE di VILLADORATA, “Chiacchiere sotto il fico”, del Festival Internazionale del Cinema di Frontiera (Marzamemi, SR), Massimo Maugeri presenterà il suo romanzo “Trinacria Park” in un incontro moderato da Ornella Sgroi.

32) “Trinacria Park” a Randazzo (CT) – con Giuseppe Giglio – incontro organizzato dal Comune di Randazzo - Chiostro Palazzo Municipale – h. 21:30

33) TRINACRIA PARK alla Scuola di Architettura Siracusa – martedì 25 novembre 2014 h.18.00 – sesto appuntamento con LIBRI IMPRESTATI – nuova caffetteria della Scuola di Architettura Siracusa – COcafè (piazza Federico di Svevia, Sr)

34) “Trinacria Park” presentato nell’ambito di BUC: il nuovo format letterario, condotto da Simona Lo Iacono su ZeronoveTv – dicembre 2014

35) Festa del libro al Liceo Cutelli di Catania. Massimo Maugeri incontra gli studenti nell’ambito di un dibattito su “Trinacria Park” – mercoledì 17 dicembre 2014 – h. 16:30

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NARRATIVA E TEATRO: COMICI RANDAGI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/12/05/narrativa-e-teatro-comici-randagi/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/12/05/narrativa-e-teatro-comici-randagi/#comments Wed, 05 Dec 2012 15:51:11 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4725 Sono molto lieto di poter dedicare questa nuova discussione di Letteratitudine al rapporto tra narrativa e teatro e alle tematiche a esso collegate. In passato avevamo già avuto modo di occuparcene, ma stavolta tenteremo di farlo in maniera ancora più approfondita.
Lo spunto ce lo fornisce il nuovo libro dello scrittore Orazio Caruso,Comici randagi” (Sampognaro & Pupi, 2012), che è proprio “in tema”. Si tratta, infatti, di un romanzo che si specchia in una pièce teatrale, sia per quanto concerne la struttura, sia per la trama, ma anche per i contenuti e per lo stile adottato.
Del resto, i richiami “teatrali” si evincono già dalla scheda del libro (la riporto di seguito).
Il testo è diviso in quattro parti, che rispecchiano quattro momenti dell’anno e le quattro stagioni. La narrazione non segue le azioni dei personaggi in modo continuo durante l’anno, ma si limita a descrivere solo alcuni momenti salienti, saltando in modo ellittico da un momento all’altro, lasciando intuire al lettore quello che è successo nel frattempo. Ed è qui che s’intrecciano le storie dei nostri protagonisti. La narrazione passa e ripassa sopra alcuni grumi, aggiungendo ogni volta dei fili nuovi che modificano l’insieme. E così, come in un puzzle, i pezzi a poco a poco vengono messi nel loro giusto posto ed emerge la visione d’insieme. Alcune scene, non vengono narrate, ma scritte alla maniera teatrale. Scelta necessaria in un romanzo che parla di teatro.

Orazio CarusoUn romanzo, questo di Orazio Caruso (nella foto a sinistra), imperniato sul rapporto speculare tra due fratelli, sull’amore per il teatro (che diventa “metafora di salvezza”), e sul “Sogno di una notte di mezza estate” di shakespeariana memoria.
Avremo modo di parlarne con lo stesso autore, che parteciperà al dibattito. Contestualmente – come anticipato – avremo la possibilità di discutere dei temi affrontati dal libro e, in particolare… di teatro.
Per favorire la discussione, pongo qualche domanda.

1. Che relazione c’è tra narrativa e teatro? Che esempi vi vengono in mente?

2. Che rapporto avete con il teatro? Assistete abitualmente a spettacoli teatrali?

3. Qual è la vostra percezione sullo “stato di salute” del teatro?

4. Su cosa bisognerebbe puntare per sostenerlo?

5. Come immaginate il futuro di questa forma artistica?

6. Siete d’accordo sul fatto che Shakespeare sia il più grande autore di testi teatrali? Oppure… ?

7. Qual è l’opera di Shakespeare da voi preferita? E perché è la vostra preferita?

8. Avete mai letto “Sogno di una notte di mezza estate”? E avete mai avuto modo di assistere a una sua rappresentazione? Quali sono i vostri ricordi e le vostre sensazioni, in merito?

Di seguito, la lettura di Simona Lo Iacono con cui ho avuto il piacere di presentare questo romanzo nell’ambito di una rassegna di libri e letteratura curata e condotta dalla stessa Simona.
In chiusura, il video della presentazione.
Nei prossimi giorni, su LetteratitudineNews, avrete modo di leggere uno stralcio del libro oggetto di questo dibattito.

Tutti coloro che hanno avuto modo di leggere “Comici randagi” di Orazio Caruso, sono – naturalmente – invitati a esprimere la loro opinione sul libro dialogando con l’autore.

Ringrazio in anticipo chi avrà la possibilità di partecipare alla discussione!

Massimo Maugeri

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COMICI RANDAGI, di Orazio Caruso
Sampognaro & Pupi, 2012 – pagg. 168 – euro 14

La lettura di Simona Lo Iacono

Un bosco alle falde dell’Etna in cui viene allestito “Sogno di una notte di mezza estate”. Due fratelli con un passato doloroso alle spalle e che – attraverso il teatro – rivivono e reinterpretano se stessi. La magia della recitazione, delle favole che prendono corpo nella realtà, dei luoghi che si vestono di suggestioni e incanti.
Lo scrittore Orazio Caruso in “Comici randagi” fa del testo narrativo una partitura teatrale e affida alla metafora della recitazione l’enigma della vita: trasformare il dolore in opportunità.
Personaggi esilaranti, radici che reclamano una identità, figli in cerca di padri e un finale lasciato ai sogni.
Il nuovo romanzo di Orazio Caruso inscena e racconta, mescolando abilmente la rappresentazione e la narrazione.
Dando voce alle voci, facendo rivivere i miraggi, le visioni e finanche i miti della commedia di Shakespeare, infatti, l’autore innalza la “finzione” a verità tanto del palcoscenico quanto del romanzo.
Una finzione che – però – non ha nulla del “falso”, dell’artefatto o del menzognero.
Una finzione, al contrario, che è bagaglio indispensabile dello scrittore, necessaria compagna del sogno.

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Il video della presentazione del libro

]]> http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/12/05/narrativa-e-teatro-comici-randagi/feed/ 133 LETTERATITUDINE, IL LIBRO – VOL. II (sei anni di Letteratitudine) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/11/05/letteratitudine-il-libro-vol-ii/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/11/05/letteratitudine-il-libro-vol-ii/#comments Mon, 05 Nov 2012 20:03:30 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4606 max-maugeri-twitter-fbCari amici, sono passati sei anni dalla nascita di Letteratitudine (il blog ha visto la luce nel settembre del 2006). Sono stati anni appassionanti, ricchi di stimoli e di interscambi (“condivisione” continua a essere una delle mie parole preferite)… ma sono stati anche anni di grandi sudate. Per questo, la ormai “mitica” camicia celeste della foto è diventata blu! (E le rughe aumentano e i capelli si diradano: lo so!) Scherzi a parte, ne approfitto per ringraziare di cuore tutti coloro che – con  il loro contributo – hanno permesso a questo blog di crescere (siete davvero tanti: impossibile citarvi tutti).

Uno dei frutti della seconda metà del percorso che abbiamo intrapreso insieme, è questo nuovo libro che nasce – appunto – dalle attività del blog. A essere sincero, ci ho pensato molto prima di decidermi a pubblicare il secondo volume di “Letteratitudine, il libro”. Come molti di voi ricorderanno, il volume primo era stato pubblicato nel 2008, dalla casa editrice Azimut e aveva beneficiato di buoni riscontri (l’idea che un blog letterario diventasse libro, peraltro, incuriosiva molto). Venuto meno “l’effetto novità”, e trascorsi oltre tre anni (quasi quattro) da quel periodo, mi sono domandato se avesse ancora “senso” pubblicare un nuovo libro nato dalle discussioni online sviluppatesi su Letteratitudine… proprio adesso che – a seguito dell’esplosione dei social network (Facebook e Twitter in testa) – si parla di (presunta) morte dei blog (giacché le comunicazione e gli “scambi” sembrano essersi spostati prevalentemente su quei versanti). letteratitudinelibroiiA ogni modo, dopo una lunga riflessione, ho deciso di procedere alla pubblicazione di questo volume per una ragione molto semplice, che potrei sintetizzare nelle due seguenti parole: lasciare traccia. Le discussioni on line, in qualunque contesto e in qualunque ambito, sono destinate a perdersi nel mare magnum delle Rete, alla stregua di gocce nell’oceano. Alcune di queste, a mio modo di vedere, meritano di essere salvate. La speranza è che, tra qualche anno (volendo essere ambiziosi, si potrebbe dire: tra qualche decennio), possano contribuire a fornire indicazioni su quali sono state le nostre abitudini, le nostre letture, il nostro modo di pensare, la nostra visione del mondo. Alcune di queste “gocce”, dunque, sono contenute in questo volume: il libro, appunto, che racchiude una porzione importante dell’esperienza online vissuta su Letteratitudine nel periodo che va dalla seconda metà del 2008 al 2011. Prima, però, di accennare ai contenuti di “Letteratitudine, il libro – vol. II – 2008/2011” (Historica, 2012, pagg. 510, euro 22), vorrei tentare di avviare una discussione “in tema”. Pongo, dunque, alcune domande…

1. Come è cambiata la letteratura in questi sei anni?

2. E l’editoria?

3. Qual è il post, la discussione, o il “momento letteratitudiniano”, che ricordate con maggiore piacere e nostalgia?

Adesso, una piccola pausa con il booktrailer del libro…

Cosa troverete nelle pagine di questo libro?

La prima parte del libro si intitola “Vista da Sud” e contiene la selezione di alcuni dibattiti DOM (Di Origine Meridionale). I primi sono incentrati sulle figure di tre scrittori e intellettuali siciliani di spicco e di indubbio spessore (Leonardo Sciascia, Giuseppe Bonaviri, Sebastiano Addamo). Segue un importante dibattito sulla “letteratura del nuovo Sud” (che prende spunto da un saggio pubblicato da Daniela Carmosino per i tipi di Donzelli), un dibattito sullo scottante tema dei clandestini e degli sbarchi (condotto dalla scrittrice e magistrato Simona Lo Iacono) e un estratto degli “scambi” che hanno visto il coinvolgimento della scrittrice catanese Elvira Seminara. La parte centrale del volume è dedicata alle discussioni incentrate su cinque libri: “Accabadora” di Michela Murgia, “La malattia chiamata uomo” di Ferdinando Camon, “La ragazza di via Maqueda” di Dacia Maraini, “Settanta acrilico, trenta lana” di Viola Di Grado, “Libertà” di Jonathan Franzen. La parte finale del libro è dedicata all’iniziativa culturale “Le strane coppie” proposta da Antonella Cilento (nella fattispecie troverete accoppiati Marcel Proust e Natalia Ginzburg) e al dibattito sul tema “Il blocco dello scrittore e quello del lettore”. In chiusura, la selezione di una discussione lunghissima dedicata al “romanzo storico”.

letteratitudineortigiaNe approfitto, infine, per segnalare la prima presentazione di “Letteratitudine, il libro – vol. II”. Si terrà a Siracusa, il 10 novembre (con inizio alle h. 18), nella splendida Ortigia della cara amica Simona Lo Iacono (che, con la generosità che la contraddistingue, ha voluto inserire questo evento nell’ambito della rassegna culturale e letteraria da lei ideata e curata). L’evento si svolgerà presso la Galleria Roma, sita – appunto –  in Ortigia, a Piazza San Giuseppe 2, Siracusa e ha come titolo: “Letteratura e cantastorie“. Oltre a Simona e al sottoscritto, parteciperà alla presentazione anche Alfio Patti (alias, l’aedo dell’Etna). Sull’evento vi fornirà ulteriori dettagli la cara Simona (che ringrazio sin da subito!).

Ultimo, importante, avviso. Letteratitudine, il libro – vol. II”  esce, per mia precisa scelta, in tiratura limitata (confidando anche sull’esistenza della versione ebook). Chi vorrà, potrà acquistarlo nelle librerie online, oppure richiedendolo direttamente all’editore su  info at historicaweb.com (che, per l’occasione, si è impegnato a vendere il libro con uno sconto significativo: lo invito a intervenire nel dibattito per fornire dettagli). Inoltre il volume è pure disponibile in formato e-book (euro 4,90).

Ringrazio tutti, in anticipo,  per l’attenzione e l’affetto con cui seguite questo blog!

Massimo Maugeri

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AGGIORNAMENTO DEL 15 NOVEMBRE 2012

(Il video della presentazione a Siracusa con Simona Lo Iacono)

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NON LASCIAR MAI CHE TI VEDANO PIANGERE, di Amir Valle http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/10/17/non-lasciar-mai-che-ti-vedano-piangere-di-amir-valle/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/10/17/non-lasciar-mai-che-ti-vedano-piangere-di-amir-valle/#comments Wed, 17 Oct 2012 15:43:24 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4505 Nuovo appuntamento con Babelit: lo spazio di Letteratitudine dedicato all’incontro con autori non italiani nell’ambito di un dibattito bilingue. In questa nuova puntata di Babelit incontreremo lo scrittore, saggista, critico letterario e giornalista cubano Amir Valle (Cuba, 1967), il quale ha ottenuto importanti riconoscimenti in paesi come: Colombia, Repubblica Domenicana, Germania e Spagna per saggi, racconti e romanzi. Ha pubblicato più di una ventina di libri, ma in questa occasione discuteremo del suo primo romanzo pubblicato in Italia: “Non lasciar mai che ti vedano piangere” (edito da Anordest, nella collana Célebres Inéditos diretta da Gordiano Lupi; la traduzione del libro è di Giovanni Agnoloni). Si tratta di un romanzo (pubblicato contemporaneamente in Italia, Spagna, Germania, Francia e Stati Uniti) che ha già beneficiato di ottimi riscontri a livello internazionale: una storia coinvolgente e dai ritmi molto serrati, basata su una serie di coincidenze che hanno “incrociato” le vicende di personaggi celebri del calibro di Charles Chaplin, Marylin Monroe e Joe Dimaggio.
Vi riporto, di seguito, la scheda del libro:

Un romanzo d’impatto, che intreccia tra loro i destini di personaggi che hanno segnato il Novecento. Su tutti, Charles Chaplin, al centro di intrighi politici e sconcertanti coincidenze storiche: un rapimento ordinato da Hitler nel 1941, dopo aver visto “Il grande dittatore”; un tentato sequestro dell’attore insieme a Marylin Monroe e Joe Dimaggio, ordito da Ernesto Guevara nel 1952; il trafugamento del cadavere di Chaplin da parte di un gruppo di estrema destra, nel 1978.
Tre storie che convergono nelle parole di una neonazista pentita, vittima di indicibili violenze e salvata dall’orrore proprio dal ricordo dei film di Chaplin.
Le sue memorie dolorose collegano tutte le vicende narrate, che toccano alcuni tra i massimi drammi del Novecento: da una parte, la seconda guerra mondiale, i campi di sterminio e Berlino distrutta e poi lacerata dal Muro; dall’altra, il Sudamerica segnato dalla povertà e il sogno di un’utopica rivoluzione. E’ una storia di intrighi legati allo stesso personaggio storico, il che ne fa un romanzo noir con una particolare connotazione storica.

Amir Valle (Cuba)Discuteremo di questo libro, e delle tematiche da esso trattate , direttamente con Amir Valle, l’autore del romanzo (foto accanto). Parteciperà alla discussione anche il già citato Giovanni Agnoloni, che svolgerà il ruolo di traduttore “simultaneo” online (grazie, Giovanni!). Vi invito a rivolgervi direttamente ad Amir, per porgli domande sul suo libro (ma anche, in generale, sulla sua attività di scrittore).
Come sempre, per favorire la discussione, proverò a formulare qualche domanda concentrandomi in modo particolare su uno dei “protagonisti” di questo libro: Charlie Chaplin (figura centrale nel romanzo di Valle).

1. Avete mai visto un film di Chaplin? Qual è il vostro preferito?

2. E “Il grande dittatore”? Nel caso in cui l’aveste visto… che ricordo conservate di questo film?

3. Che tipo di contributo ha dato Chaplin allo sviluppo dell’arte del Novecento e del cinema in particolare?

4. Che impatto ha avuto l’opera di Chaplin sulla storia della seconda metà del XX secolo?

5. In che modo un personaggio celebre può proteggersi dal “potere politico” che cerca di soggiogarlo?

Vi ringrazio in anticipo per la partecipazione.

Massimo Maugeri

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LETTERATITUDINE SU RAI LETTERATURA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/10/09/letteratitudine-su-rai-letteratura/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/10/09/letteratitudine-su-rai-letteratura/#comments Tue, 09 Oct 2012 21:15:47 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4444 Il portale sulla letteratura di Rai EducationalRingrazio lo staff di Rai Letteratura e Rai Edu per avermi invitato a partecipare a una delle loro trasmissioni realizzate attraverso registrazioni via web cam. Mi è stato chiesto di raccontare qualcosa su: la storia di Letteratitudine, la sua “apertura internazionale”, il concetto di “open blog”, la sua “interdisciplinarietà” e sull’imminente uscita del nuovo volume di “Letteratitudine, il libro“.
Chi lo desidera, può dare un’occhiata cliccando qui.

letteratitudine-su-rai-letteratura
Ecco… ci tenevo a segnalare questo nuovo importante appuntamento per Letteratitudine e per tutti coloro che seguono questo blog. Chiederò la vostra partecipazione e i vostri commenti in un prossimo post (lo pubblicherò la settimana prossima) dedicato ai sei anni di vita di questo blog. Una vera e propria “festa” online a cui spero che non mancherete.
Grazie di cuore per l’attenzione!
Massimo Maugeri

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LA SESTA STAGIONE. Incontro con Carlo Pedini http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/06/25/la-sesta-stagione-incontro-con-carlo-pedini/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/06/25/la-sesta-stagione-incontro-con-carlo-pedini/#comments Mon, 25 Jun 2012 20:50:16 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4185 carlo-pedini-cavallo-di-ferroSono molto lieto di organizzare questo dibattito online incentrato sul romanzo di Carlo Pedini, “La sesta stagione” (Cavallo di Ferro): uno dei dodici libri finalisti dell’edizione 2012 del Premio Strega.

Si tratta di un romanzo corposo, ambizioso, a largo respiro, che racconta le vicende di tanti personaggi sullo sfondo della Storia italiana del ventesimo secolo.

Lo recensisce, in esclusiva per  Letteratitudine, Simona Lo Iacono, la quale è anche l’organizzatrice e la curatrice di un’iniziativa culturale che avrà luogo a Siracusa il 30 giugno, intitolata “Parole sotto le stelle: tra pittura, musica e sogni”…

Un evento basato sulla contaminazione artistica che vedrà come protagonisti (tra parole, pittura, musiche e sogni) lo stesso Carlo Pedini con “La sesta stagione” e la scrittrice (nonché editrice di Cavallo di Ferro) Romana Petri con il suo romanzo “Tutta la vita” edito da Longanesi (ho già avuto modo di incontrare Romana Petri, in merito a questo libro, nell’ambito della puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” andata in onda il 15 aprile 2011).

Di seguito, il video promozionale di “Parole sotto le stelle”.

Questa, invece, è la scheda del libro di Pedini…

È il 1934. A Civita Turrita, sull’Appennino toscano, si inaugura con solennità il nuovo santuario, e proprio nel momento di massimo fulgore di questo paese inizia la storia della sua decadenza. Nelle vicende profondamente umane dei tre seminaristi Piero, Ottavio e Oreste, e dei loro superiori, amici, avversari, irrompono gli eventi principali del nostro Novecento, dalla Seconda guerra mondiale al Sessantotto, e oltre fino agli Anni di piombo. Don Piero Menardi racconta dei suoi due colleghi, prima amici inseparabili e poi nemici giurati; dell’infatuazione politica del suo vescovo per il Duce; della guerra che spezza i destini e distrugge le famiglie; di partigiani e delatori; della contesa perenne fra democristiani e comunisti nel dopoguerra; di chi si perde nelle lotte studentesche; di preti ribelli che rifiutano l’abito. Nella vita della piccola comunità di Civita Turrita si rispecchiano dunque i mutamenti della Nazione, in una parabola di cinquant’anni dove tutti religiosi e laici – subiscono l’incedere della modernità. E fra i grandi giochi di potere si rivelano le debolezze di una Chiesa che fatica a tenere il passo con un’epoca sempre più veloce. “La sesta stagione” intreccia tanti destini sullo sfondo della Storia d’Italia del XX secolo, stratificando i documenti e i fatti reali alle radici del tempo presente.

Siete tutti invitati a partecipare alla discussione, incentrata su “La sesta stagione” e sui temi attinenti al romanzo (in primis: la Storia).
Ecco alcune domande pensate insieme a Simona Lo Iacono (che mi aiuterà ad animare il dibattito).

1. Le stagioni della vita e le stagioni della storia. Quanto interferiscono?

2. Elsa Morante definiva la Storia “il grande scandalo”. Siete d’accordo?

3. Siamo più vittime o artefici della storia?

4. Se siamo arrivati alla quinta stagione…. cosa ci riserverà, a vostro avviso, la sesta?

Di seguito, la recensione di Simona Lo Iacono.
Vi ringrazio in anticipo per la partecipazione.

Massimo Maugeri

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LA SESTA STAGIONE di Carlo Pedini
Cavallo di Ferro, 2012 – pagg. 704 – euro 19,90

Recensione di Simona Lo Iacono

simona-lo-iaconoE’ giorno di festa a Civita Turrita. Una di quelle mattine fatte per essere scolpite nella memoria di un intero paese, quando le donne mettono l’abito buono, l’incenso arde nei bracieri, e al cielo vengono levate orazioni, canti, ringraziamenti.
Perché da ringraziare c’è molto, in verità.
Siamo nel 1934, e nella provincia appena riavutasi dallo sfascio della prima guerra, viene inaugurato il santuario dell’Immacolata Concezione. Il vescovo, monsignor Angelici, l’ha voluto proprio lì, sulle spoglie della vecchia chiesa agostiniana, a simbolo della ricostruzione delle umane cose che sempre avviene dove c’è la presenza di Dio.
E tuttavia anche i sacri momenti chiedono organizzazione, cantori degni di questo nome, una banda, la comunità tutta riunita a celebrare l’evento. Perciò c’è grande agitazione di popolo, soddisfazione magna del clero, formule rituali mormorate in modo devotissimo, a segno che il momento è solenne.
E’ qui, tra le mura di questo nuovo edificio, che si avvia “La sesta stagione”, sorprendente romanzo di esordio di Carlo Pedini. Un libro che – attraverso la comunità di Civita Turrita – narra l’intera epopea del novecento italiano.
Scandagliando lo scorrere del tempo, i suoi baratri, le sue menzogne attraverso l’occhio dei tre protagonisti (i seminaristi Ottavio Pettirossi,Oreste Riccoboni e Piero Menardi) Pedini ci consegna, maestosa e dannata, la nostra storia.
Leggiamo infatti questo romanzo riconoscendoci nell’Italia contadina, in quella traditrice e tradita, in quella messa a morte dai fasci, riavutasi nella resistenza, sedotta dal nuovo, giunta alle porte del secondo millennio senza avere risolto i nodi della sua ricerca di identità.
Siamo noi gli italiani che si dimenano alla ricerca di un senso, che bollono in piccole invidie e ambizioni, che cercano l’amore , che rinunciano ai sogni.
Fino a che, vedendoci vivere nell’incedere della narrazione, ci ritroviamo di nuovo dove tutto era cominciato, innanzi al santuario di Civita Turrita.
Questa volta, ed è l’epilogo, non è un giorno di festa, non si spandono esalazioni di incenso, e nessuna donna ha indossato l’abito della domenica. Il Santuario dell’Immacolata non è più il centro della vita comune. Spopolato, ridotto in polvere, lasciato all’incuria e all’indifferenza dei fedeli, assurge a metafora dell’allontanamento dell’uomo moderno dalla fede e dalla semplicità del passato.
Sulla soglia del nuovo tempo nessun coro di angeli leverà al cielo i notturni gioiosi, le laudi, le preci divinatorie. Nessun coro preparerà con sollecitudine i nuovi canti.
Oscuro, menzognero, tutto sedotto dalle nuove estasi, il male fa capolino dalle macerie.
In lontananza, le parole straniere del papa polacco, il suo appello alla pace non sembrano che uno dei tanti rumori del mondo, l’ultimo rantolante sospiro prima della fine.

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L’ESTRANEO. Incontro con Tommaso Giagni http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/06/20/lestraneo-incontro-con-tommaso-giagni/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/06/20/lestraneo-incontro-con-tommaso-giagni/#comments Wed, 20 Jun 2012 19:39:19 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4172 L'estraneo Tommaso Giagni, giovane scrittore romano, classe 1985, ha già al suo attivo partecipazioni a varie antologie, tra cui: Voi siete qui (minimum fax 2007), Il lavoro e i giorni (Ediesse 2008), Ogni maledetta domenica (minimum fax 2010). Di recente è uscito il suo primo romanzo: L’estraneo (Einaudi 2012). Un romanzo che affronta il tema dell’estraneità approfondendo il rapporto difficile tra periferia e centro, che ci guida tra due ambientazioni speculari della Roma post duemila e che presenta – al tempo stesso – un approccio linguistico originale… come evidenzia Walter Siti nella sua recensione pubblicata su “Tuttolibri” de “La Stampa” di sabato 16 giugno: “Con L’estraneo di Tommaso Giagni ci troviamo di fronte al romanzo di un giovane che fa sentire vecchi, talmente è impastato nel presente e capace di spiazzare. (…) Ma quel che fa la novità del libro è la lingua: una lingua composita, molto curata ma nello stesso tempo alla ricerca di un’identità almeno quanto il protagonista. Una lingua che passa da preziosismi esibiti e ingenui da opera prima a un romanaccio puramente magnetofonico, in disfacimento, ridotto a cadenza; neologismi espressionisti si alternano a troncature dialettali non del personaggio ma dell’autore, in un gioco che è più voglia di mimetizzarsi che indiretto libero”.
Su “Il Corriere della Sera” del 13 giugno, Giorgio Montefoschi, riferendosi a L’estraneo scrive: “al di là anche delle ragioni «interiori» che appaiono nella descrizione che il personaggio-narratore fa di se stesso, al di là di questo, la tragica e definitiva incapacità di immergersi nel reale, di combattere con il proprio prossimo, di accettare il proprio prossimo e il peso di esistere, affonda in una oscurità davvero tragica, davvero devastante per le sue deboli e modeste forze nei confronti delle quali non potremmo che provare una immensa pietà, o dobbiamo pensare che basta il semplice contingente, basta la «gente», basta il semplice volto superficiale della giornata a impedire a chi narra di vivere la vita? Questa è la domanda che rimane senza risposta in conclusione del romanzo di Tommaso Giagni. (…) Era dall’epoca di Pasolini che non si leggevano pagine così crude e sconvolgenti sulle periferie romane”.

Ecco la scheda del romanzo:
Un ventenne figlio della periferia ma esportato a piazza Fiume, la Roma bene da cui si è sempre sentito rifiutato, entra definitivamente in crisi quando termina la sua storia d’amore con Alba, ragazza di Cinecittà che vedeva in lui un’emancipazione e che per emanciparsi ha trovato un altro amore. Guardando per la prima volta in faccia la propria estraneità al mondo che abita, decide di cambiare vita. Affitta una stanza nella Roma di Quaresima, l’estrema periferia. Il coinquilino nonché proprietario dell’appartamento occupato, Andrea, si tira le sopracciglia nello specchio dell’ascensore e si prostituisce con le tardone borghesi, ma il mercato è in recessione perché gli zingari fanno prezzi stracciati. Nella Quaresima il protagonista si mescola con gente che sta in fissa con la palestra, festeggia il Sabato del Fuoco, dove davanti al quartiere riunito i neodiciottenni fanno un falò delle cose che desideravano da minorenni, va in pellegrinaggio al Circo Massimo per commemorare l’”eroe e martire” Luciano Liboni detto Lupo, e si innamora dell’aspirante coatta Marianna, una che “quando si scopa non si ride”. Ma se è proprio quella la Roma che suo padre gli ha inscritto nel DNA, e da cui voleva affrancarlo col suo impiego da portinaio in centro, d’altro canto non è detto che osservare la città da questa nuova angolazione ribalti la prospettiva. E salvi dal fallimento.

Vorrei approfondire la conoscenza de L’estraneo, invitando l’autore a discuterne con noi nell’ambito di un dibattito organizzato su questo romanzo e sui temi che esso affronta. Come sempre pongo qualche domanda per favorire la discussione…

1. Nella società odierna, quali significati assume il termine “estraneo”?

2. Chi è che oggi può dirsi più “estraneo” di altri? E poi… estraneo a chi? Estraneo a cosa?

3. In generale, che tipo di rapporto lega il centro e le periferie delle metropoli?

4. Questo rapporto è cambiato negli ultimi decenni? Che percezione avete?

5. Com’è definireste il rapporto fra centro e periferia nelle vostre città?

Vi ringrazio in anticipo per la partecipazione.

Massimo Maugeri

Vi invito a seguire LetteratitudineNews e Letteratitudine Radio

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LA SPOSA VERMIGLIA. Incontro con Tea Ranno http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/05/14/la-sposa-vermiglia-incontro-con-tea-ranno/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/05/14/la-sposa-vermiglia-incontro-con-tea-ranno/#comments Mon, 14 May 2012 21:45:47 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4095 tea-ranno-la-sposa-vermiglia1Sono molto felice di coinvolgere, in un nuovo spazio/dibattito di Letteratitudine, la mia amica scrittrice Tea Ranno in occasione della pubblicazione del suo nuovo romanzo “La sposa vermiglia” (Mondadori).
Peraltro ho già avuto modo di discutere di questo libro, con la stessa autrice, nella puntata di Letteratitudine in Fm del 23 marzo scorso.
In questo post, invece, con la partecipazione della stessa Tea, avremo modo di approfondire la conoscenza di questo suo nuovo ottimo romanzo (che ha già beneficiato di riscontri molto positivi) e di approfondire le tematiche da esso affrontate.
Per l’occorrenza ho chiesto a Simona Lo Iacono, già coinvolta nel dibattito sul precedente romanzo di Tea – In una lingua che non so più dire – del novembre 2007, di scrivere un’apposita recensione per questo post (“extrapost”, ne approfitto per complimentarmi con Simona per la bella intervista rilasciata su Psychologies di questo mese).

Ecco la scheda del libro…
Sicilia, 1926. Vincenzina Sparviero è la figlia attraente ma fragile di una famiglia di nobili siciliani, una ragazza, si dice in paese, troppo cagionevole per diventare madre. Ma della sua presunta sterilità al vecchio don Ottavio Licata non sembra importare granché, e così il matrimonio d’interesse fra la “palombella” mansueta e obbediente e il ricco sessantenne, fascista e mafioso, è combinato. Un pomeriggio di primavera, però, quando il fidanzamento è stato ormai annunciato, improvvisamente Vincenzina incontra l’amore negli occhi ambrati di Filippo Gonzales. Da quel momento la ragazza si difende dal futuro che incombe imbastendo nella fantasia le immagini di una gioia impossibile: seduta alla finestra della sua stanza a ricamare e sognare, attende il passaggio della sagoma amata con il passo lento, le mani in tasca, uno sguardo fuggevole verso di lei. Nella china lenta e inesorabile che conduce, sul filo della tragedia, al matrimonio annunciato, assaporiamo la storia struggente di un amore probabilmente impossibile.

Come ho già accennato, ne parleremo con la stessa autrice. Per favorire la discussione, propongo – di seguito – alcune domande ispirate dal libro e elaborate dalla stessa Simona (subito dopo, la sua bella recensione).

1. Il libro di Tea offre una riflessione profonda sulla natura dell’amore sognato, che prorompe nella realtà con una forza straordinaria, soprattutto quando è amore negato.
È più la negazione a dare forza all’amore, o è la sua autenticità?

2. Amore sognato e amore reale.
In quale punto convergono? O in quale luogo? (Può essere la scrittura il luogo?)

3. Vincenzina e Filippo Gonzales non si scambiano neanche un bacio, eppure sono una delle figure più forti e struggenti di amanti che la letteratura ci abbia donato.
Allora, si può essere amanti senza mai unire i corpi? E cos’è essere amanti?

4. È quanto dice Besson? “Essere amanti è questo: usare le stesse parole per parlare delle medesime cose senza aver mai sentito l’altro usare quelle parole” (Philippe Besson, “Un amico di Marcel Proust”)?

5. Se essere amanti si gioca sul piano delle parole… la scrittura è un amante?

(aggiungo la seguente domanda)

6. Il cosiddetto matrimonio d’interesse (scelto o imposto che sia) è solo un “retaggio” del passato, o trova ancora riscontro ai nostri giorni?

A voi le risposte… (e grazie in anticipo per la partecipazione)

Massimo Maugeri

p.s. in coda di post, due video: le parole della editor Giulia Ichino e la lettura della prima pagina del romanzo…

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LA SPOSA VERMIGLIA di Tea Ranno
Mondadori, 2012, pagg. 365, euro 18

di Simona Lo Iacono

Non è notte, non è giorno.
E’ forse uno di quei momenti a metà, che in Sicilia restano sospesi eternamente. O forse è una controra, un passaggio tra la mezza e le prime ore del pomeriggio, quando il sole s’accanisce sulla terra e la squaglia.
Non c’è pace per chi riposa al riparo dalla canicola. Il letto è incandescente, il sudore s’addensa, indurisce la saliva.
Vincenzina Sparviero è forse in uno di questi sonni senza costellazioni del tempo, senza orari. Nella camera a finestre spalancate su una Sicilia degli anni venti, in cui le grancasse dei fasci risuonano e fanno baccano, si rigira inquieta, caccia ai piedi le lenzuola ricamate finemente.
E sarà allora per questo caldo senza requie , che il sogno in cui sprofonda è visione, profezia, incantamento.
D’altra parte può accadere in Sicilia che il sonno ammaestri, predica la sorte, si faccia consigliere e metta in guardia dai morti.
Può accadere.
Specie quando la sorte è già scritta, o quando le gerarchie sociali, la sete di ricchezza, l’occhio della gente sono dittatori più impenitenti del duce, e marchiano la vita ancor più della storia.
E allora ecco il sogno: lei adagiata sul tavolo della cucina, il padre e Licata – lo sposo promesso – chini sul suo corpo. Li sente dal fiato stantio, dal grasso del caldo che le cola sul ventre. Perché è proprio sul ventre che entrambi s’accaniscono, che sospingono in dentro ciò che vorrebbe uscire, una ragazza (non lei, ma un’altra lei liberissima e ridanciana) che spinge e scalcia come una puledra, che bellamente se ne infischia dei loro lacci, dei nodi che cuciono alla buona, a puntazzi osceni, senza badare alla carne rosea e delicata, al pube intatto, all’incavo dell’ombelico.
Quando le voltano le spalle, spocchiosi e senza rimpianti, credono d’avergliela fatta, di averle ingabbiato nel ventre quell’altra creatura misteriosa e recalcitrante.
Cosa sia, chi potrebbe dirlo ( Stella persa? Cuore che non quaglia? Notte che non porta consiglio?)… ma a qualsiasi regno appartenga, adesso è prigioniera, rinchiusa a doppia mandata, inabissata là dove sempre sarebbe dovuta stare.
E invece, proprio quando la lasciano – tumulata , corpo nel corpo – la ragazza prende a dimenarsi, a scucire dall’interno con una misteriosa forbicina ogni punto inferto senza amore. Ed ecco, poco per volta ha slegato l’imbastitura, le maglie fini, le strettoie, le grate della prigione.
Ne emerge come bagnata da un parto, nuova, rossa di gioia. La stanza s’illumina di colpo, il sole dilaga a fiotti di luce potente.
Vincenzina guarda l’altra sé che le sboccia dall’addome, la capigliatura che si spande a raggiera, le labbra di ribes, il corpo liberato. E non è più donna, no, adesso le pare più un uccello maestoso, un falco pellegrino o lanario, chi può dirlo, anzi no, Vincenzina non ha dubbi ora che la vede lanciarsi nel vuoto, perché quel salto esultante, agli occhi dei più indecente, tutto intriso di divieti passati, non può essere che di uno sparviero.
Giocando sulla suggestione di un nome carico di simboli ( metafora quasi di un conflitto doloroso tra violenza e libertà), ne “La sposa vermiglia” (Mondadori) Tea Ranno narra magnificamente la storia di Vincenzina Sparviero, innamorata di Filippo Gonzales ma promessa a Ottavio Licata, prepotente e vecchio signore della terra di Sicilia.
Ricostruendo con inimitabile maestria un mondo per metà arreso alla bellezza oltraggiosa della campagna, e per metà alla grettezza dei calcoli, alle passioni del corpo, al desiderio di ricchezza, ci restituisce una storia di luce e buio, di silenzi e profezie, di rassegnazione e ribellione. Una dolente rappresentazione del destino, ma soprattutto dell’amore, delle sue misteriose vie, dei suoi chiodi e delle sue morti.
Amuri ca mi teni e to’ cumanni, unni mi porti, duci amuri, unni?

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VIAGGIO A… LA COMPAGNIA DEL LIBRO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/04/24/viaggio-a-la-compagnia-del-libro/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/04/24/viaggio-a-la-compagnia-del-libro/#comments Tue, 24 Apr 2012 20:52:38 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4043 massimo-maugeri-tv2000

Ringrazio Saverio Simonelli e “La Compagnia del libro“, programma culturale di libri e letteratura in onda su Tv2000, per avermi voluto invitare nella trasmissione di sabato 21 aprile  per discutere del mio “Viaggio all’alba del millennio” e di altre tematiche.
Parte della trasmissione è adesso disponibile online, cliccando qui.

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Vi invito a seguire LetteratitudineNews e LetteratitudineRadio

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LETTERATURA DELL’IRONIA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/03/19/letteratura-dellironia/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/03/19/letteratura-dellironia/#comments Mon, 19 Mar 2012 22:15:01 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/02/16/letteratura-dellironia/ Questo, sulla letteratura dell’ironia, è un post a cui tengo molto e che – di fatto, nel tempo – si è trasformato in una sorta di spazio permanente.
Sarà, dunque, uno di quei post che verrà aggiornato periodicamente con l’obiettivo – nella fattispecie – di sostenere la letteratura che dà spazio all’ironia (con particolare attenzione all’area partenopea… ma non solo).
Massimo Maugeri

* * *

Sono molto lieto di riaprire questo spazio dedicato alla “letteratura dell’ironia” ospitando nuovamente Pino Imperatore (Re dell’humour-lab partenopeo), già presente in questo forum con altri suoi libri. Stavolta l’occasione dell’incontro la fornisce la recente pubblicazione del suo nuovo libro pubblicato dalla Giunti e intitolato “Benvenuti in casa Esposito“: un romanzo che, tra le altre cose, sta riscontrando un grande successo editoriale.
Si tratta della storia che racconta “le avventure tragicomiche di una famiglia camorrista”… la famiglia Esposito, appunto.

Il rione Sanità, dove è nato il principe della risata Totò, è uno dei più affascinanti e misteriosi di Napoli. Qui vive, con la sua famiglia allargata, Tonino Esposito, orfano di un boss della camorra. Tonino riceve dal clan un sussidio mensile e potrebbe vivere di rendita. Invece si intestardisce a voler imitare le gesta paterne, senza riuscirvi. Perché è goffo, sfigato, arruffone, incapace di difendersi: un antieroe tragicomico, che tra incubi e visioni, ingenuità e imbranataggini, ne combina di tutti i colori.
Uno spaccato divertente e allo stesso tempo crudele della Napoli contemporanea, città dalle mille contraddizioni e dalle tante difficoltà, capace però di non perdere mai la speranza in un futuro migliore.

Vi propongo, di seguito, la bella recensione di Ciro Paglia (pubblicata su Il Corriere Nazionale, nell’inserto Scritture&Pensieri curato da Stefania Nardini).

Avremo modo di discutere con Pino Imperatore di questo suo nuovo libro, ma – contestualmente – ne approfitterei per “allargare” le prospettive di dibattito sulla base delle seguenti domande che pongo…

- In che modo l’ironia e la “narrazione ironica” possono aiutarci a comprendere meglio i vizi, le contraddizioni, i paradossi di certe nostre realtà?

- Quali caratteristiche dovrebbe avere la “narrazione ironica” per adempiere a tali scopi?

- Cosa, viceversa, dovrebbe evitare?

- Riuscire a ridere, o a sorridere, di una realtà “difficile” a noi vicina, può aiutare a cambiarla o solo ad accettarla con più facilità? O né l’una né l’altra?

A voi!

Massimo Maugeri

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Il realismo comico? E’ qui alla Sanità!
Un affresco ironico e vero sul mondo della camorra napoletana

recensione di Ciro Paglia (da Il Corriere Nazionale – Scritture&Pensieri del 12 marzo 2012)
Benvenuti in casa Esposito” non è un libro che si legge tutto d’un fiato. No. Perchè pagina dopo pagina strappa la risata sonora, suggerisce mille spunti di riflessione, induce alla voglia di rileggere una descrizione, perfino di andare a scoprire, per chi non le conosce, quelle stradine del rione Sanità a Napoli dove accade tutto e nulla, dove i colori e gli odori si mescolano, le notizie si trasmettono con la velocità della luce, dove la vita è allegria, pessimismo, serenità, paura, euforia, pianto. E quando non è tutto questo è sorriso e amarezza. Dunque è un libro che cattura dalle prime righe e sequestra il lettore. Tant’è che dopo l’ultima pagina si ha voglia di conoscere meglio questo effervescente autore che ha saputo coniugare con distacco sentimenti e vizi, platealità e pudori, passione e rassegnazione di cui è punteggiata la napoletanità, anche quella becera e plebea. E lo ha saputo fare con destrezza Pino Imperatore, nato a Milano dove i suoi genitori erano emigrati ma napoletano jus sanguinis. “Benvenuti in casa Esposito” (Giunti editore) non è soltanto un viaggio nel mondo della camorra che l’autore – Pino Imperatore – ci fa rivivere con spietato realismo e con lo sberleffo di chi sa raccontarne le miserie, ma è anche un affresco di scuola napoletana, quella stessa scuola di Eduardo Bennato che con poche pennellate tratteggia i caratteri somatici della sua città: stanca, rassegnata, innocente, invasata, nuda, svergognata, tradita, condannata. E sono sfiziosi e contraddittori, plebei e sbruffoni, da ridere e da compiangere i personaggi che Pino Imperatore ci regala in casa Esposito o ci fa conoscere attraverso la ragnatela di rapporti più o meno autentici che gli Esposito hanno con le mille anime del quartiere. L’autore di questa recensione ha dovuto leggerlo due volte, da buon napoletano che vive all’estero “Benvenuti in casa Esposito”: la prima per riappropriarsi dell’essenza di una città che uno crede di conoscere a fondo per poi scoprire che tanti, troppi volti, li avevo appena intravisti senza coglierne le infinite sfumature. E una seconda lettura per seguire – quasi come nelle sequenze di un film – le altalenanti vicende di Tonino Esposito ( anni trentacinque sciupati dalla calvizie e da una imbarazzante pancetta, brillantino all’orecchio sinistro, lampadato, ufficialmente disoccupato), di sua moglie Patrizia (ritenuta, nel giudizio del maschio medio napoletano, una femmina fresca e tosta), di sua madre Manuela che aveva conosciuto don Gennaro, papà di Tonino, a Firenze durante il servizio militare, prima che diventasse capo camorrista (poi “caduto sul lavoro” cioè assassinato per mano di camorra), del boss Pietro De Luca ‘o tarramoto (un uomo prestante, con uno sguardo che faceva squagliare le femmine e agghiacciare i maschi), che quando muore il padre di Tonino ne prende il posto, Enzuccio che ad ogni fine mese accompagna Tonino a riscuotere il pizzo (anzi il “contributo per la sicurezza” come lo definisce il boss), Tina che contesta i genitori che la vorrebbero velina mentre lei sogna di diventare giornalista, nonni, suoceri (esilarante è Gateano che si atteggia a intellettuale e “tombeur de femme”), l’immancabile Olga, domestica e cuoca, tutta ucraina ma anche napoletana e gli animali di casa Esposito, Sansone l’iguana e Gigetto il coniglio. E l’avventura si snocciola e si srotola quasi come infilzata in un girarrosto: si comincia con un dato obiettivo ma che induce alla perplessità (“o pullastro nun s’è cuotto bbuono”) per concludersi con un altro dato, stavolta preoccupante (“o pullastro s’è bruciato”). E tuttavia non finisce qui. Perchè altre sorprese, esilaranti e angoscianti, Pino Imperatore ce le riserva proprio nel gran finale, un finale che riporta alla mente quei botti di Capodanno che solo a Napoli sanno fare e che costituiscono anche l’incipit di “Benvenuti in casa Esposito”. Un romanzo nell’interno della camorra. Ma non solo. “Non ho fatto altro – spiega Pino Imperatore – che registrare e illustrare, mediante il formidabile strumento dell’ironia, fatti e personaggi che a Napoli si verificano e si incontrano tutti i giorni. Chiamatelo realismo comico, se volete. Più che in qualsiasi altro posto del mondo, a Napoli la realtà supera ogni fantasia”.

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Ne approfitto per mettere in evidenza le domande del post originario (soprattutto a beneficio dei nuovi commentatori).
- Anche secondo voi, oggi, la letteratura dell’ironia beneficia di spazi minori rispetto al passato?
- A quale opera ironica (o comica) vi sentite più legati? E perché?
(Potete citare testi teatrali, narrativa, poesia… va bene tutto).
- Con quale citazione celebre, tra quelle riportate sotto (alla fine dell’articolo di Asmodeo), vi sentite più d’accordo?

Per meglio capire il senso di questo spazio è consigliabile leggere (o rileggere) il testo integrale del post pubblicato il 16 febbraio 2008.

A voi…

(Massimo Maugeri)

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AGGIORNAMENTO DEL 4 febbraio 2010

maurizio-de-angelisNuovo ospite di Letteratura dell’ironia è… Maurizio De Angelis.

Maurizio De Angelis (nella foto), è nato a Napoli, ha vinto nel 2006 e nel 2008 il Premio Massimo Troisi per la scrittura comica, giungendo finalista nel 2007 (testi pubblicati da Comix). Presente, con una pagina a lui dedicata, nell’Agenda Comix 2008, è autore di cabaret per Gaetano De Martino e di teatro comico-brillante per Maurizio Merolla. Per la tv ha scritto testi comici per Promossi Sposi, clerical quiz con Gaetano De Martino, e dal 2009 è autore dei testi di Don Consiglio, per il programma I tappi, su Radio Kiss-Kiss Napoli.

I nuovi libri di Maurizio De Angelis (di cui avremo modo di parlare) sono:

- Achei, il prezzo è giusto! (Boopen, 2009): La più folle e divertente riscrittura del mito greco nel primo racconto demenzial-epico della storia.

- Il padrino parte prima così non trova traffico (Centoautori, 2009):

Credo che il buon umore letterario sarà assicurato.

Massimo Maugeri

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AGGIORNAMENTO DEL 23 febbraio 2009

De Vulgari Cazzimma (I mille volti della bastardaggine)
di Francesco Di Domenico (Didò)

“Prendete una buona dose di perfidia ed amalgamatela con l’astuzia e con la furbizia. Aggiungete un pizzico di cinismo, una manciata di prepotenza e un tocchetto di egoismo. Insaporite con la malizia e aggiungete un filo di scaltrezza.
Avrete così ottenuto la cazzimma, un intruglio dal gusto amarognolo.”

Inizia così, questo saggio serissimo e scientifico, del più grande umorista napoletano contemporaneo, Pino Imperatore. Il termine napoletano “Cazzimma” e uno di quei vocaboli interni ad una lingua praticamente intraducibile, tanto per fare un esempio, un po’ come gli anglosassoni “Spleen” e “Serendipity”. Una parola che deriva con chiarezza dall’innominabile attrezzo umano dalla triplice funzione, di scarico biologico delle scorie superflue, di produttore di piacere e di strumento formidabile di riproduzione umana. Ecco, il primo a dover essere additato a possessore di questa qualità è proprio lui, il cazzimmoso pene: “che cazzimma! Tre funzioni in un solo soggetto (o oggetto?)!
Ma il lemma, di cui parla l’autore nel libro è un sostantivo che va’ oltre la sua radice etimologica, serve ad identificare negli individui che la posseggono, una capacità micidiale di abbindolare, truffare, sfruttare o semplicemente irridere i soggetti o le situazioni che si trova ad incontrare o con cui è intenzionato a confliggere. Un’indagine del genere solo un umorista poteva produrla perché la cazzimma è molto vicina alla cattiveria e la cattiveria fa ridere, mentre la bontà ci rasserena ma spesso ci angoscia.
Imperatore fa un viaggio storico e geografico nei mille modi con cui si può identificare un “cazzimmoso”, scovandoli in tutte le loro attività, dalla politica alla guerra, nei rapporti economici e nella filosofia, fino ai cartoni animati, dove per esempio c’è: “… il canarino Titti, che dietro l’apparente innocenza nasconde una cazzimma sopraffina. Direte: lo fa per salvarsi le penne. D’accordo, ma l’uccelletto spesso esagera…”. I cazzimmosi sono i colleghi di scrivania cosi ben descritti da Totò & Peppino in “Chi si ferma è perduto” dove il rag. Guardalavecchia e il rag. Colabona, ne combinano e se ne combinano di tutti i colori; gli astanti nell’autobus che, dopo averti calpestato un piede, invece di scusarsi ti invitano a spostare il piede dalla linea gialla di pericolo.
L’inchiesta, gradevole e allegra, è sorprendentemente accurata, se si pensa che nella bibliografia sono citate oltre 130 fonti letterarie autorevolissime. Risulta un corollario di soggetti e ambientazioni curiose ma esplicative del portato di questo che potremmo definire un neologismo (il termine si comincia a sentire a Napoli negli anni ‘50 del ‘900), che da tempo ha varcato i confini della repubblica culturale partenopea per veleggiare su moltissime bocche italiane.
Nel suo spettacolo Fiesta il comico napoletano Alessandro Siani ha fornito, mediante un dialogo tra un napoletano ed un milanese, un esempio di cazzimma autoreferenziale:

«Milane’, tieni ‘a cazzimma!».
«E che significa ‘a cazzimma?».
«Nun t’ ‘o vvoglio dicere. Chesta è ‘a cazzimma».

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LETTERATURA DELL’IRONIA: POST PUBBLICATO IL 16 FEBBRAIO 2008

La letteratura “dell’ironia” (da quella tendente al comico a quella che trasborda nel drammatico) può vantare una grande tradizione: da Boccaccio a Cervantes fino a Pirandello, giusto per fare alcuni nomi. Eppure ho l’impressione che oggi sia considerata come una sorta di genere minoritario.

Di seguito troverete la sintesi di questo articolo di Asmodeo, intitolato “L’ironia nella letteratura”.

Subito dopo Francesco Di Domenico (in arte Didò) ci presenta Pino Imperatore e la sua “Trilogia del buonumore”: tre volumi editi dalle edizioni CentoAutori.

Vi invito a esprimere la vostra opinione sull’argomento.

Anche secondo voi, oggi, la letteratura dell’ironia beneficia di spazi minori rispetto al passato?

A quale opera ironica (o comica) vi sentite più legati? E perché? (Potete citare testi teatrali, narrativa, poesia… va bene tutto).

Con quale citazione celebre, tra quelle riportate sotto (alla fine dell’articolo), vi sentite più d’accordo?

(Massimo Maugeri)

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“L’ironia nella letteratura” di Asmodeo

Definizioni “L’ironia è l’espressione di una persona che, animata dal senso dell’ordine e della giustizia, si irrita dell’inversione di un rapporto che stima naturale, normale, intelligente, morale, e che, provando il desiderio di ridere a tale manifestazione d’errore o d’impotenza, la stimmatizza in modo vendicativo rovesciando a sua volta il senso delle parole (antifrasi) o descrivendo una situazione diametralmente opposta alla situazione reale (anticatastasi). Il che è una maniera di rimettere le cose per il verso giusto” [Morier, Dizionario di poetica e retorica] Questa definizione di Morier è interessante in quanto mostra due aspetti fondamentali dell’ironia: il primo, che essa si lega ad uno stato d’animo (secondo lui, un’irritazione di fronte a un rapporto invertito delle cose del mondo); il secondo, che la sua espressione si manifesta attraverso l’antifrasi o l’anticatastasi, cioè attraverso l’uso di figure retoriche. Sigmund Freud sostiene che l’ironia “consiste essenzialmente nel dire il contrario di ciò che si vuole suggerire, mentre si evita che gli altri abbiano l’occasione di contraddire: l’inflessione della voce, i gesti significativi, qualche artificio stilistico nella narrazione scritta, indicano chiaramente che si pensa proprio il contrario di ciò che si dice”. Tuttavia, questa definizione sembra riduttiva, nel senso che l’ironia, e soprattutto l’ironia letteraria, non si limita a essere un’antifrasi pura e semplice. Essa può avvalersi di un’infinità di altre situazioni reali o retoriche: può “giocare sulla permutazione di spazi, sull’inversione di rapporti, sulla semplice differenza, sull’evitamento, sul mimetismo del discorso dell’altro, e senza dubbio su numerose altre figure” (P. Hamon, L’ironia letteraria). C. Kerbrat-Orecchioni, in Problemi dell’ironia, mette in luce l’esistenza di due tipi di ironia: l’ironia referenziale, che esprime una contraddizione tra due fatti contigui, e l’ironia verbale, che esprime una contraddizione tra due livelli semantici legati a una stessa sequenza di significato. La differenza fondamentale tra la prima e la seconda è che mentre l’ironia referenziale si gioca su una relazione duale, tra l’oggetto dell’ironia e l’osservatore che percepisce l’ironia, l’ironia verbale si gioca su una relazione a tre: un locutore, che tiene un discorso ironico rivolto ad un ricevente, a detrimento (o sulle spalle di) un terzo, la vittima dell’ironia. L’ironia letteraria appartiene, ovviamente, all’ironia verbale, e mette perciò in gioco il suo stesso “trio di attori”: l’autore, che attraverso il suo libro si rivolge al lettore, sulle spalle di un terzo, vittima dell’ironia. Ma la complessità di un testo letterario, tra livello dietetico e livello extradiegetico, deve spingere la nostra ricerca molto più avanti e non può limitarsi a questa osservazione. In un testo letterario, infatti, le figure in ballo sono assai più numerose di tre. Accanto all’autore, al lettore e alla vittima dell’ironia, è necessario almeno aggiungere il narratore, e spesso anche altri personaggi che possono farsi portavoce dell’autore. In questo senso, e riallacciandosi alla concezione dell’Umorismo di Pirandello, si può affermare che lo spazio privilegiato dell’ironia è il teatro. Con le parole di Philippe Hamon possiamo dire che “l’ironia è messa in scena, il che presuppone degli spazi differenziati (sala, quinte, scena), ma anche, di conseguenza, dei ruoli o degli attori specializzati. Questi attori sono proprio quelli che abbiamo menzionato sopra; riassumendo: • autore • lettore • narratore • personaggio morale (portavoce della legge) • personaggio sovversivo (portavoce dell’ironia) • vittima dell’ironia. Tra questi “attori” ci possono essere sovrapposizioni, e non è detto che ogni figura sia sempre presente; il ventaglio delle possibilità combinatorie è in realtà molto ampio. Ad esempio, il narratore può essere anche il personaggio “morale”, cioè colui che si fa portavoce dell’ordine costituito, della legge contro cui si erge l’ironia, e diventare quindi anche, automaticamente, vittima dell’ironia. La cosa si complica ulteriormente nel caso, più frequente di quanto si possa credere, di situazioni in cui l’ironia si rivolge su se stesso: è l’auto-ironia. L’auto-ironia si trova quasi sempre in testi fortemente ironici. Si evince da tutto questo quanto sia il caso di “sostituire la nozione di opposizione ironica, che rischia facilmente di essere presa in un senso troppo stretto, con quella di campo di tensione o di un’area di gioco ironica” (Beda Alleman). Quest’area di gioco, o di tensione, si carica di ulteriori significati spaziali: la nozione di distanza e di marginalità. L’ironia segna un territorio, come una vera e propria metafora del sociale, dove l’ironista è spesso un outsider, volontario o costretto ad esserlo, che mantiene delle distanze, dei confini molto netti rispetto alle cose o a sé. (…)

Alcune citazioni celebri

“È dall’ironia / che comincia la libertà” (V. Hugo)

“Di tutte le disposizioni dello spirito, l’ironia è la meno intelligente” (C. H. Sainte-Beuve)

“L’ironia è il pudore dell’umanità” (J. Renard)

“Temere l’ironia, è temere la ragione” (S. Guitry)

“L’ironia e l’intelligenza sono sorelle di sangue” (Jean-Paul)

“Dalla mia più tenera età, una freccia di dolore si è piantata nel mio cuore. Finché vi rimane, sono ironico – se la si strappa, muoio” (S. Kierkegaard)

“L’ironia è una tristezza che non può piangere e sorride” (J. Benavento)

“Il più forte dolore è il sarcasmo” (Multatuli)

“L’ironia non è piuttosto spesso una forma di sentimentalismo, un sentimentalismo che fa una giravolta?” (K. Van de Woestijne)

“Non c’è che l’ironia che non ha nulla da temere, la parodia è il solo stile invulnerabile” (M. Kharitonov)

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LA “TRILOGIA DEL BUONUMORE” di Pino Imperatore

recensione di Francesco Di Domenico

La “Trilogia del buonumore” è l’ultimo surreale colpo di scena di Pino Imperatore. Probabile unico caso al mondo di uscita in contemporanea con tre libri (quelli del Guinness, contattati, hanno risposto: “Interessante!”) di un autore.La catena di Santo Gnomo”, “Manteniamo la salma” e “Questo pazzo pazzo mondo animale sono legati ad un filo conduttore unico, quello dell’umorismo involontario.

La risata che si scatena alla vista di una situazione ordinaria, come quella di un epitaffio funebre o di un manifesto dove per un leggero errore di un tipografo la realtà si capovolge – come quella della povera donna di nome Rosa Fiocco deceduta e assurta ai fasti del sorriso postumo per una burocratica stampa dell’avviso: “E’ morta Fiocco Rosa”! “La catena di…” è farcita di 99 racconti super brevi, fulminanti, a detta di Imperatore “bonsai”, perché al “secolo breve” ha fatto seguito “l’era del pensiero breve”. Li avrebbe scritti Carver se fosse stato un umorista. Alcuni freddi e quasi ebraici, altri scoppiettanti come i libri di cucina di Tognazzi (“la cipolla in padella dev’essere abbronzata come una puttana e non bruciata come un’africana”). Ultimo snobismo comico: il libro è numerato al contrario. “Manteniamo…” è un’enciclopedia di epitaffi, alcuni veri, altri che potrebbero esserlo, di passati di là, che hanno attraversato il di qua ridendo, fino alla fine. Monumentale la citazione sulla tomba di Groucho: “Scusatemi, non posso alzarmi”. Epitaffi falsi e credibili, frasi vere invece che potremmo considerare improbabili. Nel libro è compresa anche la citazione che Pino ha lasciato per la sua lapide.

Questo pazzo…” è una ricerca interessantissima e autentica sull’umorismo animale; un catalogo impressionante di situazioni che riguardano le bestie e il mondo che le circonda. Se si vuole esulare dall’umorismo tout court, è anche un volume per curiosi, un “giro del mondo in 580 bestie”. Pino Imperatore stupisce ancora per la levità delle sue storie. Che i suoi grandi maestri siano stati Achille Campanile, Marcello Marchesi e Beppe Viola, lo si intuisce chiaramente da ogni riga delle sue pagine. Non è un umorista acido, anche nelle battute più grevi si può leggere la morbida ironia di Guareschi, l’aplomb di Jerome K. Jerome; non ha paura del “vecchio che avanza”. Per concludere con una sua battuta sul coraggio: “Se vai a letto con le galline, all’alba dovrai fare i conti col gallo”.

Francesco Di Domenico

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Pino Imperatore nasce a Milano nel 1961 ed emigra a Napoli. Giornalista, poeta, scrittore, ma soprattutto umorista, è uno dei personaggi più eclettici del panorama culturale napoletano. Nel 2001 con l’opera “In principio era il verbo, poi vennero il soggetto e il complemento” vince il Premio “Massimo Troisi”. Oggi è lui stesso il curatore del premio (sezione Scrittura Comica). Nello stesso anno fonda il Laboratorio “Achille Campanile”, prima scuola italiana per autori comici ed umoristici, che conduce con il ludolinguista Edgardo Bellini. Con lo stesso Bellini nel 2005 ha curato l’antologia “Quel sacripante del grafico si è scordato il titolo”, primo volume che raccoglie le nuove leve dell’umorismo napoletano. Nel 2004 ha pubblicato “Un anno strano a Roccapeppa” (Kairòs Editore), un esilarante diario di 365 giorni di una meta-Napoli da cartoon disneyano. Agli inizi del 2007 è tornato in libreria con “Le mirabolanti avventure del Gladiator Posillipo” (Cento Autori Editore). Sue pubblicazioni sono presenti un po’ ovunque; una su tutte, l’agenda Comix.

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LA CERTOSA DI PARMA. Il romanzo e la miniserie Tv http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/03/02/la-certosa-di-parma/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/03/02/la-certosa-di-parma/#comments Fri, 02 Mar 2012 17:32:36 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=3926 Nei giorni scorsi mi ha scritto la regista Cinzia TH Torrini per segnalarmi l’imminente “messa in onda” su Rai 1 (il 4 e 5 marzo) della nuova miniserie televisiva da lei diretta : “La Certosa di Parma (tratta dal celebre romanzo di Stendhal). Dallo scambio scambio epistolare è nata l’idea di organizzare un dibattito online incentrato sul romanzo e sulla fiction televisiva. Alla discussione, compatibilmente con gli impegni, parteciperà anche la stessa Cinzia TH Torrini (già nota, peraltro, per aver girato – tra gli altri – Elisa di Rivombrosa I e II e Terra Ribelle).

la-certosa-di-parma

Molti di voi avranno già letto il famoso romanzo di Stendhal.
Qui di seguito, trovate parte della trama…

Il giovane Fabrizio del Dongo sogna la gloria e l’amore: esaltato dall’avventura napoleonica fugge per unirsi all’armata imperiale. Giunto a Waterloo, assiste per caso, senza capirvi nulla, alla battaglia. Tornato in Italia e scacciato dal padre si rifugia a Parma, da una zia, la duchessa di Sanseverina che nutre una vera passione per lui. Al giovane, sospettato di simpatie liberali dal principe Parma, la zia assicura la protezione del primo ministro, il conte Mosca. Ma Fabrizio diventa il bersaglio principale dei nemici di Mosca. Coinvolto in un duello e costretto per difendersi a uccidere l’attore Giletti, il giovane deve fuggire. Viene attirato in una imboscata e imprigionato nella torre Farnese. Dalla finestra del carcere Fabrizio vede la figlia del governatore della prigione, Clelia Conti, e se ne innamora. Malgrado i rigori della prigionia, i due riescono a comunicare.

E poi? Poi che succede? Chi ha letto il romanzo lo sa. Chi non lo ha letto è caldamente incoraggiato a posizionare “La Certosa di Parma” sugli spazi libreschi del proprio comodino. Vi propongo alcune delle edizioni disponibili (cliccate sulle copertine…)

La certosa di Parma La certosa di Parma. Ediz. integrale La certosa di Parma La certosa di ParmaLa certosa di Parma

Ma a qualunque categoria apparteniate (lettori o non-lettori de “La Certosa di Parma”) siete tutti invitati a vedere la miniserie Tv diretta da Cinzia TH Torrini. Ricordo le date: 4 e 5 marzo, su Rai 1.

La fiction, è stata girata a Parma tra il maggio e il luglio del 2011, ha coinvolto centinaia di comparse vestite con splendidi abiti d’epoca. Qualche informazione sul cast: il personaggio Fabrizio del Dongo è impersonato dall’attore Rodrigo Guirao Diaz, mentre il ruolo del conte Mosca è interpretato da Hippolyte Girardot.
L’attrice Marie-Josée Croze interpreta il ruolo di Gina (la Croze è un’attrice franco canadese che ha vinto a Cannes con il film “Le Invasioni Barbariche”; è stata anche attrice nel film “Munich” di Steven Spielberg o nello “Scafandro e la Farfalla” di Julian Schnabel). Nel ruolo di Clelia, invece, vedremo Alessandra Mastronardi (reduce dal successo delle fiction “Sorelle Fontana” e I Cesaroni).

Vi invito, dunque, a guardare la miniserie Tv e a discuterne insieme. Ne approfitto, altresì, per invitarvi a discutere sul romanzo e sul suo autore.
Per favorire la discussione, pongo alcune domande…

1. Avete mai letto “La Certosa di Parma”? Se la risposta è negativa… pensate di leggere questo romanzo (prima o poi)?

2. Nel caso in cui l’abbiate letto, cos’è che vi ha colpito di più?

3. Quale ricordo (o emozione, o impressione), in particolare, è rimasto vivo nella vostra mente a seguito di quella lettura?

4. Quali sono gli “elementi di attualità” di questo libro?

5. Se doveste consigliarne la lettura a qualcuno… cosa gli direste?

6. Che ruolo ha avuto Stendhal, nella storia della letteratura?

7. Qual è l’eredità letteraria che ci ha lasciato?

Di seguito troverete: il promo della fiction, una “nota” di Cinzia TH Torrini, un estratto dell’introduzione di Annamaria Laserra all’edizione de “La Certosa di Parma” pubblicata nella collana de “I grandi romanzi dell’Ottocento della Biblioteca di Repubblica” – Gruppo Editoriale L’Espresso (la Laserra è anche la traduttrice del testo) e un articolo di Daria Galateria pubblicato su Repubblica (nel gennaio del 2004) in occasione dell’uscita del volume.

Auspico un’ampia partecipazione e… grazie in anticipo per i vostri contributi.

Massimo Maugeri

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LA “NOTA” DI CINZIA TH TORRINI

Perché fare questo film? Un esercizio di stile? Uno dei tanti remake? Con la lettura del libro ho capito quanto fosse moderna e attuale questa storia e quanto avrei potuto identificarmi e darle una nuova interpretazione. A me piacciono le storie dove si può sviscerare attraverso l’amore e la passione le psicologie dei personaggi, mi ritengo fortunata per essere stata chiamata a realizzare la Certosa di Parma.
Nel romanzo Stendhal con ironia ci racconta una storia italiana piena di intrighi e passioni dove l’amore arriva sempre nel momento sbagliato e alla persona sbagliata. Con meccanismi estremamente attuali. E’ una storia anche sulla crudeltà del tempo che passa di come si ama diversamente a 20, a 30 o a 50 anni.
Abbiamo cercato i protagonisti sia in Francia che in Italia, il film è recitato dagli attori nella propria lingua originale per poter ottenere il massimo dalla loro interpretazione e per ricreare quelle emozioni date dagli attori sul set.
Il lavoro di postproduzione è stato molto difficile ma il risultato davvero esaltante.
Premettendo che stavo toccando una pietra miliare della letteratura francese e iniziavo un lavoro con attori francesi il cui metodo recitativo si affida, per loro stessa ammissione, all’intensità del dialogo sottraendo molto alla gestualità allo sguardo, ho lavorato cercando di ribaltare questo metodo per portare il loro sguardo verso la macchina da presa.
Ho girato scene d’amore non convenzionali chiedendo agli attori di interpretare la sensualità senza tecnica e azione diretta. Così facendo sono riuscita ad ottenere il risultato più erotico della mia carriera. In questo il film “Il Cigno Nero” è stato di forte ispirazione.
La Certosa è la storia di una passione e per trasmettere questa passione sono stata aiutata anche dalle musiche di Savio Riccardi (Elisa di Rivombrosa).
E’ stata una operazione produttiva durata anni, una vera prima coproduzione al 50% tra Francia e Italia. Ho avuto due produttori importanti che mi hanno permesso di realizzare un lavoro di alta qualità produttiva.
La realizzazione di questo film è stata fortemente voluta anche dal direttore Fabrizio Del Noce, abbiamo avuto il privilegio di poter girare negli stessi luoghi che ha conosciuto e descritto Stendhal, nei castelli e nei palazzi di Parma, Bologna, Reggio e Piacenza.
Abbiamo cercato con la scenografia di ricreare quelle magiche ambientazioni, grande il lavoro dei costumi che sono in gran parte realizzati su misura con un’attenta ricerca dei colori e tessuti. Quelli di archivio vengono dalle migliori sartorie d’epoca, Peruzzi e Tirelli per l’Italia, ma anche da Spagna, Vienna e Londra. E’ stata consultata una grande documentazione per le acconciature dei capelli, non solo per le donne ma anche per gli uomini. Una nota particolare è che Stendhal l’ha scritto in 52 giorni, noi lo abbiamo girato in 52 giorni.
Essendo una coproduzione anche la troupe era mista tra italiani e francesi. Ancora una volta, avendo già lavorato con troupe di diversi paesi, il linguaggio cinematografico è stato universale.
Abbiamo girato con due macchine Alexa, un nuovo sistema elettronico. Con il direttore della fotografia francese c’è stata una grandissima intesa nel cercare di dare in ogni inquadratura la magia pittorica di un quadro, usando però un linguaggio moderno che si vede nell’uso della luce e del colore.
Nel bellissimo castello di Torrechiara, abbiamo ambientato le prigioni e la residenza di Clelia figlia del Generale Conti direttore del carcere. Ho trovato come mi ero immaginata la torre alta dove viene imprigionato Fabrizio e la terrazza da cui Clelia cerca di vederlo.
Abbiamo girato nella vera reggia quella di Colorno che, con il suo bel parco con le fontane, sembra una piccola Versailles.
Gli interni li abbiamo ambientati nella Rocca di Soragna rimasta intatta come nel passato con tutti i suoi bellissimi affreschi e abitata ancora dal proprietario il principe Diofebo Melli Lupi. Una stanza mi ha particolarmente colpito. Il salone delle donne forti.
Ancora è intatta l’antica camera del principe con gli arazzi e le boiseries dorate.
Cercavamo un castello più a se stante nella natura che potesse essere credibile sul lago di Como. Abbiamo scelto il castello di Rivalta, vicino a Piacenza per la sua unicità nell’architettura e la bellezza delle camere da letto con tappezzerie tutte diverse in cui hanno dormito e continuano a dormirci nobili e regnanti. Nel borgo abbiamo girato l’abate Blanes. Piacevolissimo la sera restare a pranzo nel borgo con una atmosfera romantica e cibo ottimo, penso di aver mangiato i più buoni tortelli alle erbette della mia vita!
A Fontanellato abbiamo ambientato la dimora del Vescovo Landriani.
Al Palazzo Ducale di Parma la residenza del Conte Mosca.
A Villa Isolani gli scavi archeologici, la villa dove Fabrizio va con Marietta prima che uccida Giletti.
L’esterno di Palazzo Albergati lo abbiamo scelto per il palazzo Sanseverina. All’interno abbiamo girato nelle antiche cucine, nei saloni e nella bellissima scala a chiocciola.
Girare in questi palazzi veri è stato come sentirmi osservata da tutti coloro che lì ci hanno vissuto e mi rende responsabile anche verso Stendhal, per quello che ho tentato di ricreare con questo film.

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IL QUERCIOLO DI STENDHAL
(introduzione al romanzo di Stendhal La Certosa di Parma, Roma, Gruppo Editoriale L’Espresso SpA, 2004)

di Annamaria Laserra

Due tra i maggiori protagonisti maschili dei romanzi di Stendhal, Julien Sorel nel Rosso e il nero e Fabrizio del Dongo nella Certosa di Parma, condividono la stessa sorte: al termine del loro avventuroso percorso di formazione, arrivano a conoscere se stessi solo in condizioni di prigionia. L’isolamento è dunque indicato da Stendhal come tramite per raggiungere la maturità intellettuale. Ciò non può che indurre a interrogarsi sulla forma di composizione della Certosa di Parma, romanzo redatto tra il 4 novembre e il 26 dicembre 1838 a Parigi, al numero 8 di rue Caumartin, in volontaria reclusione dell’autore. A chi bussa alla sua porta, in quei 52 giorni, questi fa rispondere che il signore è a caccia. Una sola persona viene ammessa, oltre la servitù: il copista. Pare infatti che Stendhal non abbia scritto il suo romanzo: secondo quanto si tramanda, lo avrebbe dettato. Certo, uno schema, degli appunti, forse una prima versione dei capitoli, doveva sicuramente averli sotto gli occhi al momento della dettatura. E’ difficile infatti credere che quel capolavoro che è La Certosa di Parma possa essere sgorgato di getto in una unitaria e felice improvvisazione, assecondata al ritmo di venti e più pagine al giorno, senza mai saltare un giorno. La cosa ha fatto (e fa) gridare al miracolo: soprattutto perché si parla di uno scrittore che ha sempre lamentato un’assenza di “genio immediato”, alludendo a quello che considerava il suo grande difetto: una certa deficienza immaginativa, o carenza inventiva, che lo rendeva incapace di ideare di sana pianta la storia di un romanzo. Aveva bisogno, per scrivere, di partire da qualcosa di reale e preesistente: racconti, aneddoti, vecchie cronache, e anche cronaca nera, come fu ad esempio il caso degli atti del processo a un certo Berthet, accusato dell’omicidio della sua amante, e di cui Stendhal lesse la storia nella Gazette des Tribunaux per poi trasporla ed elaborarla nel Rosso e il Nero. Tuttavia, nonostante la rapidità della composizione, neanche La Certosa di Parma si sottrae alla regola del supporto iniziale alla scrittura. L’elemento esterno, il dato concreto, esiste anche qui, ed è rappresentato da un manoscritto italiano di mediocre fattura e di più che dubbia verità storica: L’origine delle grandezze di casa Farnese. Stendhal lo fa ricopiare e annota in margine: “To make of this sketch un romanzetto”. E, in questa risoluzione espressa parte in inglese (lingua cui non di rado affida le sue meditazioni nella concisa forma di marginalia), parte in italiano (lingua del suo mondo affettivo), riconosciamo il momento germinale dell’idea della Certosa di Parma.
La passione di Stendhal per l’Italia è cosa nota. Ne aveva subito il fascino decisivo nel 1800, anno in cui l’aveva scoperta in un’occasione importante, un viaggio durante il quale il richiamo esercitato su di lui da quello che gli apparve subito come il paese della pittura, della musica e, in assoluto, dell’arte, si associava alla fortissima motivazione ideologica che ve lo aveva condotto: entrò infatti per la prima volta a Milano quando ancora si chiamava Henri Beyle, aveva solo 17 anni (l’età di Fabrizio del Dongo a Waterloo), ed era arruolato nel reggimento dei Dragoni al seguito del Primo Console Bonaparte, impegnato nella difesa delle posizioni francesi contro la dominazione austriaca. Da quel momento, nell’infiammata immaginazione del giovane Beyle, l’Italia cessò di essere soltanto un paese: divenne un sogno. E, tra gli anni ’20 e ’40, fu l’oggetto quasi unico dei suoi pensieri: Stendhal pubblicò, a cadenza regolare, una notevole quantità di opere ad essa dedicate. Prima del 1839, anno della pubblicazione della Certosa, diede alle stampe la Storia della pittura in Italia e Roma, Napoli e Firenze, del 1817, poi la Vita di Rossini del 1823, seguita dalle Passeggiate romane e Vanina Vanini del 1829, oltre a due Cronache italiane del 1837: Vittoria Accoramboni e I Cenci.
Ma se, anche per il libro del miracolo, Stendhal ha avuto dunque bisogno di un dato esterno e reale da cui procedere, la novità rispetto a quanto da lui precedentemente scritto è che questa volta, al servizio di una immaginazione di cui egli dovette meravigliarsi per primo, la storia originaria gli sarebbe scoppiata tra le mani. Ecco perché, tranne al copista, chiude le porte a tutti. Ha paura che la sua vena si esaurisca, non vuole essere distratto forse neanche dal movimento della penna sul foglio, da quel momentaneo cambiamento di stato in cui il pensiero ‘pensato’ si trasforma, previa una pausa impercettibile (che forse lui teme), in pensiero ‘scritto’. E in queste condizioni di clausura compone un’opera destinata a smentire ogni preoccupazione di sterilità creativa, perché supera gli impedimenti, distrugge gli intralci, abolisce gli ostacoli, cresce e germoglia con la forza e la naturalezza di un giovane arbusto: come il querciolo piantato dalla marchesa del Dongo alla nascita di Fabrizio, e di cui ansiosamente suo figlio va a controllare lo stato di salute, assumendolo a simbolo del proprio.
L’ingresso del generale Bonaparte in Italia viene a richiamare alla mente delle popolazioni i grandi uomini da cui discendono e che da tempo reclamano successori alla loro altezza. Lo dicono le parole in apertura: “Il 15 maggio del 1796, il generale Bonaparte fece il suo ingresso in Milano alla testa del giovane esercito che aveva appena varcato il ponte di Lodi e reso noto al mondo che, dopo tanti secoli, Cesare e Alessandro avevano finalmente un successore.” Qualche riga più giù, l’azione dei francesi è indicata come quella capace di ridestare in pochi mesi “un popolo assopito”. Di fronte al carattere lento e grave di secoli di dominazione spagnola e austriaca, Stendhal sottolinea dunque come “i miracoli di coraggio e di ingegno di cui fu testimone l’Italia” l’avessero sottratta al suo torpore, e fa ricorso a un intero vocabolario che evoca la gioventù e la vita per descriverne gli effetti di “spensieratezza irragionevole”, di “allegria”, di “eccitazione”, di “oblio di tutti i pensieri tristi o anche soltanto giudiziosi” che succedettero a quell’avvenimento.
E’ stato da sempre osservato, e a ragion veduta, che con la Certosa di Parma Stendhal non più giovane scrive il romanzo della felicità e della gioventù. Ora, così come la dipinge, l’immagine della gioventù viene esaltata dal contrasto con quella della vecchiaia, e tali due categorie trovano appropriati rappresentanti in luoghi e personaggi ideati per simboleggiarle. Infatti, sullo sfondo onnicomprensivo del contrasto tra dominazione spagnola e austriaca da una parte, e liberazione ad opera di Bonaparte dall’altra, si stagliano i personaggi del marchese del Dongo e di suo figlio Ascanio, che agiscono da figure del vecchio, e quelle di Gina e di Fabrizio – non a caso figlio del tenente Robert (come Stendhal lascia discretamente intendere nel I capitolo) e non dell’incipriato e polverosissimo marchese del Dongo – che al contrario agiscono da figure del nuovo.
Nella Certosa, il potere tenta di far di Fabrizio una sua pedina, di usarlo contro il ministro della guerra e la sua affascinante compagna. Lo rinchiude nel suo luogo più temuto: le prigioni della torre Farnese. Fabrizio reagisce rimanendo in estasi dinanzi al crepuscolo aranciato dell’estesissimo panorama alpino che da Treviso va al Monviso. Compiacendosi della vista di Clelia in mezzo a tanta bellezza, eleva il suo animo a contatto con l’immensità, e solo due ore dopo si ricorda di essere in prigione. “Ma è una prigione, questa? E’ questo ciò che avevo tanto temuto?”, si domanda. E Stendhal si diverte a mostrarcelo ancora una volta ? e più che mai – frastornato a causa delle sue stesse emozioni: “Farei forse parte di quei grandi animi di cui l’antichità ha tramandato al mondo qualche esempio?”
I luoghi claustrali in cui Fabrizio, a contatto dell’abate Blanès prima, di Clelia poi, scopre il cielo, le stelle, l’amore e la felicità, preludono all’ultimo di tali luoghi, realmente claustrale, questa volta, e nel quale non ci saranno né l’abate, né Clelia, né, presumiamo, il paesaggio: la Certosa di Parma. Di questo edificio nominato per la prima volta nel terzo capoverso prima della fine del romanzo, nulla si sa se non che Fabrizio volle rinchiudervisi definitivamente dopo la morte del figlio Sandrino, e dopo quella di Clelia. Resta quindi da chiedersi quale sia il percorso che porta ad esso dalla torre di San Giovita passando attraverso la torre Farnese.
Ce lo spiega, forse, quel famoso querciolo di Fabrizio, aerea metafora vegetale del suo destino. Egli lo trova, un giorno, con un ramo spezzato (forse ad opera del fratello Ascanio? “Sarebbe certo degno di lui”, si dice, ma scarta immediatamente l’ipotesi: “Esseri così non capiscono le cose delicate: non gli sarà venuto in mente”). Si dispera. Cura il suo albero. Zappa la terra intorno. Poi nota che l’assenza di quel ramo ha rinvigorito la pianta, che ha paradossalmente contribuito al suo sviluppo. E si rende conto che ora essa è molto più robusta, e che nella crescita ha acquisito uno sbalorditivo slancio verso l’alto.
Sarà questa, in effetti, la sua sorte. Per lui, guidato dall’amore e dalla bellezza, l’affinamento delle qualità umane inizia all’interno della roccaforte del vecchio. Questa non soltanto si dimostra impotente contro la sua semplicità e la sua gioventù, ma, inaspettatamente, gli offre i mezzi per iniziare un percorso di maturazione spirituale. Una maturazione che non ha nulla a che vedere con la morale sociale, politica o religiosa, che Fabrizio sfida e addirittura insulta con le sue predicazioni e le sue arringhe alle folle rapite dalla sua parola e – non a caso – dalla sua semplicità. E che non gli impedisce di compiere, negli ultimi anni, un errore che Stendhal nomina con una strana formula, tale da sottolineare il carattere ancora e sempre giovane di Fabrizio: non lo chiama infatti “errore”, ma “capriccio di tenerezza”. Fabrizio vuole il suo figlioletto accanto a sé, forse per guardarlo e sentirsi liberamente guardato, compensando così indirettamente le conseguenze del voto di Clelia. Lo rapisce. Capriccio fatale, che comporta l’ultima accelerazione del romanzo. Tutto viene raccontato nella pagina finale in una precipitazione di avvenimenti funesti: dal rapimento alla malattia e alla morte di Sandrino, alla morte di sua madre, alla scelta della solitudine, alla morte di Fabrizio, alla morte di Gina.
Perduto Sandrino, perduta Clelia, Fabrizio non perderà se stesso. Rinuncerà generosamente e definitivamente a quell’ultimo simbolo del vecchio che è il danaro ? estremamente presente nel romanzo ? e, privo di tutto, si ritirerà nella Certosa di Parma. Certamente non in cima a un campanile: non ha più bisogno di sbalorditive verticalità per innalzare il suo animo. Non ha bisogno di luoghi ameni, non ha bisogno di cavalli e folli corse: non ha bisogno di niente. Neanche più della vita.
La porta della Certosa si chiude dietro Fabrizio e dietro Parma. E anche, coerentemente, il coperchio della bara.

‘LA CERTOSA DI PARMA’, un capolavoro dettato in soli 52 giorni riassaporando l’avventura vissuta al seguito di Napoleone
Una meravigliosa storia italiana

di Daria Galateria

«Il più bel romanzo del mondo», come diceva Calvino (il più amabile, precisava Tomasi di Lampedusa), Stendhal lo dettò in cinquantadue giorni. «M. Beyle è scomparso», si stupiva la contessa di Montijo, nostalgica dell’ ospite grassoccio e spiritosissimo che animava i suoi giovedì, e i suoi balli (la contessa lo conosceva solo col suo vero nome, Beyle; del resto, non ne lesse mai una riga). In effetti Stendhal aveva dato ordine al portiere di dichiarare che il signor Console era a caccia, e di far passare solo il copista. Il 15 dicembre in ogni caso Stendhal andò dalla contessa, e raccontò alle sue due bambine la battaglia di Waterloo. «Para vosotras Paquita y Eugenia», annoterà nella Chartreuse, in calce alla battaglia «cubista» che ha cambiato per sempre lo sguardo su uno scontro bellico. Eugénie aveva 12 anni, una pronuncia castigliana, capelli fulvi, e era già un incanto celestiale di bellezza; fremeva a quell’ irresistibile racconto di Napoleone per bambini, sicché finì per sposare il nipote di quel mito, Napoleone III, e essere Imperatrice dei Francesi.

L’ idea della Certosa di Parma era venuta a Stendhal il 3 settembre 1838; ma cominciò a dettarlo il 4 novembre; a Natale, il romanzo era finito. All’ urgenza della dettatura risponde il ritmo del romanzo, che è un «prestissimo», con un’ aria da opera buffa, quel «misto di allegria e di tenerezza» del Matrimonio segreto di Cimarosa che lo aveva travolto nel 1800 – lo aveva potuto sentire ancora il 3 novembre, giusto due anni prima, nel benedetto soggiorno parigino che lo aveva strappato alla noia pestilenziale del consolato a Civitavecchia. Ma la mobilità «smisurata» del racconto è quella dell’ epica leggera e fantastica dell’ Ariosto; «leggevo l’ Ariosto a cavallo, scortando il generale Michaud», scriverà Stendhal, che al seguito di Napoleone era entrato a Milano, a Berlino, a Vienna e a Mosca. E’ dell’ Ariosto l’ epigrafe del romanzo: «Già mi fur dolci inviti a empir le carte / i luoghi ameni».
L’ Italia del ricordo investe Stendhal, in quei giorni in cui nasce la Chartreuse: «l’ invasione di luce» portata dall’ esercito napoleonico – ventenni al comando di un generale di 27, il più vecchio, si diceva, dell’ Armata d’ Italia – nella morosa Milano dal governo codino è anche la scoperta, per il diciottenne Stendhal, del sole, e le donne, l’ Opera, la passione, l’ energia, tutta una cristallizzazione del mito dell’ Italia. Era naturalmente il ritorno della sua giovinezza, e a 50 anni aveva certe precauzioni della nostalgia: il sublime costantemente sorvegliato dal comico. Italiana è comunque la cronaca da cui voleva trarre il «romanzetto» che sarà la Certosa: relazione scandalosa sull’ origine della grandezza della famiglia Farnese. «Courier aveva ragione», scriverà Stendhal riassumendo quel cinquecentesco pamphlet: «è grazie a una o più sgualdrine che le grandi famiglie romane hanno fatto fortuna» – Courier, ufficiale napoleonico nella campagna d’ Italia, era un ardente polemista che finì assassinato; Stendhal ci si incontrava al caffè Biffi a Parigi a mangiar «macaroni».
Negli anni in cui si annoiava nel suo «nido di rondine» di Civitavecchia, Stendhal aveva scoperto dei manoscritti italiani del Cinquecento, storie sanguinarie di vendette, incesti, adulteri che costituirono per lui un contraltare cupo, violento e elisabettiano alle scialbe tinte del romanticismo alla Walter Scott; ne trasse le Chroniques italiennes. Quella sui Farnese raccontava la carriera del giovane Alessandro, futuro papa Paolo III: un cardinale, «impaniato» dalla bella Vandozza Farnese dai costumi sfrenati, aveva favorito l’ adorato nipote della dama, Alessandro, portandolo a 25 anni alla porpora. Il giovane libertino aveva rapito una gentildonna; imprigionato perciò dal papa a Castel Sant’ Angelo, ne era evaso con una corda; poi per molti anni aveva vissuto nel vizio con una dama di nome Cleria. La Certosa diParma nasce, quel 3 settembre del 1838, quando Stendhal vede che può condensare la giovinezza di Alessandro Farnese, «uno degli uomini più felici del Cinquecento», con la sua propria giovinezza, e l’ epopea napoleonica, e il Risorgimento. Allora Castel Sant’ Angelo (e la fuga di Alessandro Farnese, e quella ancora più vivida di Benvenuto Cellini) si salda con altre prigionie, quella di Pellico specialmente; e la pittura rinascimentale (il romanzo vuole essere una trasposizione dell’ arioso, turbinante Correggio) ai neoclassici attardati di Roma e Milano, o a un romantico come Hayez.
Ferrante Pallavicino, un pensatore libertino decapitato come eretico nel 1644, diventa un personaggio accanto ai rivoltosi risorgimentali del ducato di Modena, lo staterello dispotico che sarà, nel romanzo, Parma. Tutte le fila di un intrigo in cui Stendhal precipita la memoria e il sogno della sua giovinezza e dell’ Italia, le sue passioni artistiche e musicali, e beninteso i suoi amori, sono riprese in questi giorni dall’ edizione Gallimard che i francesi hanno già definito «di referenza», e che è curata da un’ italiana, Mariella Di Maio. L’ incantevole Sanseverina, la zia di Fabrice, e Clélia dal «fascino singolare» resuscitano così tanti moti trapassati del cuore di Stendhal – la troppo vivace Angela Pietragrua, o l’ inattingibile Métilde Viscontini. Il 17 marzo 1839, leggendo sul Constitutionnel il brano della battaglia di Waterloo, già il grande e famoso Balzac aveva avuto uno stringimento al cuore, di gelosia. Vista dal giovane Fabrice Del Dongo, accorso a unirsi all’ esercito napoleonico, è una lunga sequenza tutta di percezioni isolate e incoerenti, campi stretti, tempi frammentati. Ma quando uscì La Certosa di Parma, Balzac scrisse sulla Revue parisienne ventisette pagine di puro entusiasmo; da 40 anni non si pubblicava nulla di simile. Stendhal, rientrato nella mestizia del Consolato, lesse l’ articolo ridendo di felicità; e si applicò a seguire i consigli che gli venivano da Parigi. Ma non riuscì a correggere troppo il testo, non voleva «elegantizzarlo».
Le «appoggiature» del Cimarosa e le effusioni del Correggio andavano espresse con vertiginose ellissi e tutta la secchezza del Codice Civile di Napoleone (ridestate da questa nuova traduzione di Annamaria Laserra, specialista del più asciutto Novecento). La Certosa del titolo è immaginaria, e compare nelle ultime pagine del romanzo a consegnare retrospettivamente al silenzio la stordita caccia alla felicità del giovane Fabrice. Le manovre della piccola corte – la Certosa è «il romanzo che Machiavelli avrebbe potuto scrivere» – costruiscono un modello impietoso, e di inarrivabile precisione, della politica – tutte le sue «furfanterie» si possono imparare in queste pagine, si incantava il reazionario Charles Maurras. Eppure ogni sapienza politica del conte Mosca – il Metternich?, chiedeva Balzac a Stendhal – è scompigliata dalla passione per la Sanseverina; la Sanseverina è colta impreparata dall’ amore per il giovane nipote; e Fabrice scopre la felicità in prigione, nella contemplazione della figlia del governatore, Clélia – il romanzo inventa allora tempi diversi, quelli, sospesi e accelerati, del cuore; i due innamorati devono imparare, attraverso le sbarre della cella, un nuovo linguaggio, di segni e messaggi cifrati, da lontano; perché l’ amore forse è davvero separazione, e è indicibile.
(14 gennaio 2004)

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SAN VALENTINO LIBRESCO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/02/12/san-valentino-libresco/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/02/12/san-valentino-libresco/#comments Sun, 12 Feb 2012 18:20:01 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/02/13/a-san-valentino-l%e2%80%99alfabeto-dell%e2%80%99amore-per-coppie-diaboliche/ Il san Valentino libresco è uno degli appuntamenti annuali di Letteratitudine: un post dove, anno per anno, segnaleremo libri in tema con la cosiddetta festa degli innamorati (ma non solo).
Contestualmente ne approfitto per invitarvi a scrivere – tra i commenti - aneddoti sanvalentineschi… chissà quanti ne avrete da raccontare (veri o inventati che siano).
Forza, gente… buttatevi!

Infine… un paio di classiche domande letteratitudiniane.

Festeggerete la ricorrenza di San Valentino?

Cosa pensate della festa? Solo puro business, o c’è altro?

In questa occasione, regalerete libri? Se sì, quali?

Può anche essere un modo per rileggere le impressioni rilasciate negli anni precedenti e verificare se sono rimaste immutate oppure no…

In fondo al post, infine: la storia di San Valentino.

A voi!

Massimo Maugeri


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SAN VALENTINO LIBRESCO 2012

Per quest’anno, vi propongo un classico della letteratura contemporanea: L’amore ai tempi del colera di Gabriel Garcìa Márquez. Avete mai letto questo libro? Ecco la scheda…

Per cinquantun anni, nove mesi e quattro giorni Fiorentino Ariza ha perseverato nel suo amore per Fermina Daza, la più bella ragazza dei Caraibi, senza mai vacillare davanti a nulla, resistendo alle minacce del padre di lei e senza perdere le speranze neppure di fronte al matrimonio d’amore di Fermina con il dottor Urbino. Un eterno incrollabile sentimento che Fiorentino continua a nutrire contro ogni possibilità fino all’inattesa, quasi incredibile, felice conclusione. Una storia d’amore e di speranza con la quale, per una volta, Gabriel García Márquez abbandona la sua abituale inquietudine e il suo continuo impegno di denuncia sociale per raccontare un’epopea di passione e di ottimismo. Un romanzo atipico da cui emergono il gusto intenso per una narrazione corposa e fiabesca, le colorate descrizioni dell’assolato Caribe e della sua gente. Un affresco nel quale, non senza ironia, si dipana mezzo secolo di storia, di vita, di mode e abitudini, aggiungendo una nuova folla di protagonisti a una tra le più straordinarie gallerie di personaggi della letteratura contemporanea.

(Massimo Maugeri)


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SAN VALENTINO LIBRESCO 2011

Il san Valentino libresco 2011 propone:

PARLARE CON LE ROSE di  Gian Paolo Bonani (Iacobelli)

Pensavate di regalare un mazzo di rose? Ecco una valida alernativa libresca…

Parlare con le roseLa rosa è, nell’universo dei fiori, il più perfetto esempio di “felice matematica fatta di armonia di figura, colore e profumo. Anselmo d’Aosta definisce la rosa “tenue, tenera, dolce, bella, lieve, fragrante e utile”. Questi sette attributi sono la fonte del rapimento estatico. È con questa padrona dei sensi che Gian Paolo Bonani ha parlato e continua a parlare oggi nel suo giardino di casa in Umbria (in realtà è l’area nord dell’antica Sabina) dove si sono acclimatati un migliaio di rosai. Da questo osservatorio, il giardiniere offre un panorama estremamente ricco illustrando la storia anche recentissima del fiore, osservandone l’evoluzione botanica nei diversi luoghi di ibridazione e produzione, analizzandone soprattutto le capacità di creare emozioni e di eccitare seduzioni. Non mancano nel volume indicazioni specifiche di cura e coltivazione della rosa, presentate in forma non schematica ma letteraria, con l’attenzione propria del coltivatore esperto. Le fotografie originali di Bruno Caserio fanno conoscere nel dettaglio una gamma insolita di rose, con l’apparizione di fiori mai visti in Italia e in Europa.

Come si parla a una rosa? Come reagisce lei? Perché non conosciamo i nomi dei maestri cinesi e persiani che hanno ibridato le più belle rose antiche? Perché Giuseppina Bonaparte si è circondata di rose? Perché i francesi nell’Ottocento hanno fatto della rosa un’industria? Perché gli inglesi importavano le rose dall’India? Perchè gli americani cambiano il nome alle rose? Perché la rosa è un fiore in via di estinzione? Ma soprattutto perché non si può parlare d’amore senza tirare in ballo la rosa? A tutte queste domande e a molto di più risponde l’autore che, attraverso dialoghi immaginari con le rose antiche e classiche, ci presenta ogni specie di rosa, a cui si rivolge con il linguaggio del giardiniere che parla alla sua pianta, incitandola a crescere bene. Il volume è illustrato dalle fotografie originali di Bruno Caserio che fanno conoscere nel dettaglio una gamma insolita di rose, con l’apparizione di fiori mai visti in Italia e in Europa.

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SAN VALENTINO LIBRESCO 2010

Il san Valentino libresco 2010 propone:

Un’antologia per gli amanti della poesia, curata da Guido Davico Bonino: Le cento più belle poesie d’amore italiane. Da Dante a De André, antologia con illustrazioni d’arte (Interlinea, 2010). Da Beatrice che a Dante «tanto gentile e tanto onesta pare» agli amori dei poeti del Novecento. Non manca la malinconica Alda Merini («Ti ho detto addio dopo che ho spesa tutta / l’amarezza del grembo e l’ho posata / presso di te come una voce strana») e il De André di Amore che vieni amore che vai: «Quei giorni perduti a rincorrere il vento, / a chiederci un bacio e volerne altri cento, / un giorno qualunque li ricorderai, / amore che fuggi da me tornerai».

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Pablo Neruda – Poesie d’amore (Il Narratore, 2010) è un’antologia in forma di audiolibro delle più belle poesie che Pablo Neruda ha dedicato all’ Amore. Alcune delle liriche che compongono questa raccolta sono tratte da “Veinte poemas de amor y una canción desesperada”, altre da “Los versos del Capitán”, “Odas elementales”, “Nuevas odas elementales” e “Cien sonetos de amor”. L’amore che il poeta ci racconta è quello dolce e appassionato dei primi incontri, ma anche quello che fa male al cuore, l’amore disperato che annienta chi ama, l’amore finito di cui resta solo il ricordo. E proprio il ricordo è uno dei temi più cari all’autore che si rifugia nella nostalgia e nella malinconia, nell’incolmabile senso di mancanza e di vuoto che accompagna chi ha perso la persona amata. Le liriche spaziano dall’esuberante sensualità dei versi con cui il poeta descrive il corpo dell’amata, il suo aroma e il suo sorriso, alla malinconica e struggente tristezza di quelli dedicati all’amore perduto. Le poesie sono lette da Alberto Rossatti sulle note della chitarra di Giovanni Cenci. Qui, un piccolo assaggio

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SAN VALENTINO LIBRESCO 2009
Torna San Valentino, e io vi segnalo un paio di libri… in tema. Libri che si aggiungono ai due proposti l’anno scorso: L’alfabeto dell’amoreBur - di Luigi La Rosa e Coppie diabolicheOlympia - di Gordiano Lupi e Sabina Marchesi.
I libri sanvalentineschi di quest’anno sono: Ho capito che ti amo (Einaudi) ed Eros e Amore (Arpanet).
Ho capito che ti amo
è una raccolta di diciannove racconti d’amore firmate – tra gli altri – da Mark Twain, Gabriele D’Annunzio, Hermann Hesse, Henry James, Edith Wharton, Katherine Mansfield, Alice Munro.

eros-e-amore.JPG
Eros e amore è un doppio libro (o meglio, un libro double-face… con doppia copertina) che offre racconti erotici e poesie d’amore. Invito la editor Arpanet, Carlotta Vissani, e gli autori – tra cui la scrittrice e poetessa Gabriella Rossitto – a discuterne qui.

Massimo Maugeri

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SAN VALENTINO LIBRESCO 2008

“L’ALFABETO DELL’AMORE”, antologia a cura di Luigi La Rosa, Bur, 2008, euro 5

recensione di Simona Lo Iacono

Notti dilavate da un ricordo. Che scorrono piano, con ondeggianze di veliero. Notti di sudore caldo e affossamenti in cuscini di piume. Notti che non passano .

Sono le notti degli amanti. Di quelli che si trovano. Di quelli che si lasciano. Di quelli distanti o colpevoli, che farfugliano promesse che non manterranno. Notti di attese, anche. Di chi non farà ritorno. In cui l’amore c’interroga – s’interroga – senza trovare risposta.

Un libro che contenga tutte queste notti è il sogno di ogni poeta. E, forse, potrebbe dipanarsi solo raccontando le notti di ognuno, le infinite ore di pienezza e desiderio, di baci scambiati o solo vagheggiati. E dirle seguendo un immaginario solco, un susseguirsi di lettere e vocali sillabate a fiato pieno, dando a ogni suono dell’alfabeto un nome, una storia.

E’ quanto fa Luigi La Rosa curando “L’alfabeto dell’amore” (BUR, le pillole).Un intreccio di voci che rimandano ad altre, frammenti di racconti o versi per narrare le notti di ciascun poeta. Per compiere un viaggio nel laccio che potentemente ci lega all’altro o che dell’altro ci fa smarrire l’ombra.

Luigi La Rosa trama un ordito di serrati nodi, intreccia a ogni lettera una parola, e ad ogni parola un racconto. “A” come attesa, “b” come ballo , “c” come caffè e di seguito le assonanze più ardite: “g” come grammofono, ”i” come Icaro, “z” come zampogna. E se l’attesa è quella di Madame Bovary che allestisce preparativi per accogliere l’amante, il bagno è quello di Elena di Troia che decanta i piaceri dell’acqua alla cugina. Se poi il caffè è quello in cui Annemarie Schwarzenbach dipinge una scena di seduzione, il grammofono è quello che spande toni di valzer sotto la nevicata che sorprende Norma e la Medusa nel romanzo di Melania Mazzucco.

Ritorni, mancanze, gelosie e spasmi del cuore. Un libro per celebrare l’incompiutezza dell’unione o l’esilio di anime in ricerca, l’alito incatenante di un bacio o le moviture lente dell’amplesso.

La scrittura si fa essa stessa desiderio inappagato, ferita da cui zampilla il canto. Cuce laddove l’amante ha sferrato un tiro mancino. Freme d’urgenze. Domanda, indaga, ma non trova risposta.

E non stupisce che Aristofane e Ovidio s’interroghino al pari di noi. Che attribuiscano all’amore forma d’uccello o di felino, che cerchino di dargli un corpo che lo ingabbi nella presa e lo renda comprensibile.

Nessuno, neanche i loro dèi, hanno saputo definirlo. Forse perché il suo mistero sta nell’intero intreccio. Nell’insieme dei ritorni, delle mancanze, delle gelosie e degli spasmi. In tutto ciò che il cuore umano può contenere: sfarinarsi di speranze e arrochirsi di voglie.

L’amore è tutto. Perché ci somiglia.

Simona Lo Iacono

Altre pubblicazioni curate da Luigi La Rosa per la Bur: Pensieri erotici e Pensieri di Natale

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“COPPIE DIABOLICHE”, di Gordiano Lupi e Sabina Marchesi, Editoriale Olympia, 2008, euro 16,50

Dal delitto di Marostica al giallo di Omegna, passando per gli omicidi politici di Fioravanti e Mambro e per le banditesche e assassine imprese di Bonnie e Clyde: “Coppie diaboliche” è uno schedario di omicidi caratterizzati da una stretta collaborazione tra individui uniti da un legame passionale non estraneo alla morbosità. Questo legame passionale non è sempre amoroso; non mancano, nella galleria, fratelli, sorelle, padri e figli: talvolta non estranei all’incesto. Scritto con piglio cronachistico da Gordiano Lupi (già autore di “Serial killer italiani”, strutturato sempre come schedario tematico accompagnato da un’introduzione analitica) e dalla scrittrice e criminologa Sabina Marchesi, “Coppie diaboliche” propone opprimenti e angoscianti interrogativi a proposito del lato oscuro degli esseri umani: Lupi e Marchesi ricordano che siamo tutti potenziali assassini, e che la differenza tra noi e chi delinque e uccide è che il filtro della coscienza, dell’educazione e delle leggi in noi non è venuto meno, non s’è sgretolato; fattori scatenanti potevano e possono esseri vari e imprevedibili, disastrose fatalità o episodi di violenza, crolli psicologici e disordini emotivi. Il contesto e la casualità degli eventi vanno a incidere significativamente, in altre parole, su sensibilità a volte già gravate da terribili sofferenze vissute nell’infanzia, o caratterizzate da complesse dinamiche di interazione sociale o di affermazione individuale.

La loro inchiesta – circoscritta al Novecento e ai primi anni del Duemila, in Occidente – testimonia che non esistono elementi dominanti né fattori preponderanti nel determinare l’innesco di questi fatti delittuosi; possono esserne protagonisti individui borghesi o popolani, formidabili poliglotti o appena alfabetizzati, cittadini di una metropoli come di una provincia; protestanti, cattolici o ebrei; al limite l’atteggiamento ricorrente è la freddezza e l’assenza di rimorso, almeno nell’elemento incube della coppia. Nemmeno la ribellione o l’egocentrismo sembrano essere elementi nucleari o fondanti; sono atteggiamenti o approcci rappresentativi ma non esclusivi.

La coppia omicida si forma, tendenzialmente, per tratti complementari; c’è un elemento incube – di norma l’esecutore degli omicidi – e un elemento succube, soggiogato e sedotto; aiutante e di rado materialmente assassino. La coppia vive una sensazione di invulnerabilità, non estranea – nei soggetti più consapevoli, e nei casi di chiara premeditazione – al delirio di onnipotenza.

Uno dei punti di forza dell’opera sta nella capacità di integrare nelle schede reminiscenze cinematografiche o letterarie; non è difficile riconoscere la cifra stilistica lupiana in diversi frangenti, in questo senso (cfr. collegamenti ipertestuali alle recensioni dell’opera omnia, in appendice). Queste integrazioni dimostrano come la sensibilità estetica di diversi artisti ha cercato di illustrare senso e significati di eventi altrimenti indecifrabili, se non come atroci e improvvise esplosioni di lombrosiana pazzia; l’impresa non è evidenziarne le attenuanti, ma i fattori scatenanti: l’intelligenza non sta nella descrizione degli effetti e dei dettagli sanguinolenti, ma nella ricerca delle cause e nello studio dei contesti. Sarebbe rassicurante se da un’analisi come questa emergessero ripetizioni e costanti, magari a distanza di nazioni e di generazioni; purtroppo non è così e l’unica percezione comune e condivisa è quella di mortiferi, animaleschi inneschi che traviano esistenze altrimenti estranee all’esercizio della violenza.

Rischiamo la vita in strada e nel posto di lavoro, noi italiani contemporanei; l’assassino seriale è la strada, l’assassino seriale è la fabbrica. I numeri sono ben diversi e le dinamiche decisamente più atroci. Paradossalmente, sono meno imprevedibili. Non dobbiamo dimenticare che il differente impatto mediatico degli omicidi seriali rispetto alle “disgrazie” sul posto di lavoro o nelle strade inficia e altera le nostre percezioni di ciò che è realmente pericoloso, e di quel che andrebbe seriamente denunciato e combattuto. Questo libro – questo tipo di ricerca, intendo – potrebbe rivelarsi decisivo se accompagnato da un’opportuna e ulteriore serie di ricerche sociologiche e psicologiche: vostra figlia, ormai dovreste sospettarlo, non è Erika da Novi Ligure e voi rischiate di crepare molte decine di migliaia di volte più facilmente al volante che per le coltellate di un’adolescente viziata, dissociata e ribelle – con la complicità del suo succube fidanzatino. Ma su quel volante non si scriveranno inchieste.
Io le aspetto. Complete, come questa.

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LA STORIA DI SAN VALENTINO

Tempo fa ebbi modo di discutere con un mio amico della festa di San Valentino.

A un certo punto gli domandai: “Lo sai perché il giorno di San Valentino coincide con la festa degli innamorati?”

Non rispose subito. Rimase soprappensiero per qualche istante.

Poi disse: “C’entra in qualche modo Rodolfo Valentino?”

Sembra strano, ma molti celebrano la festa degli innamorati senza aver la più pallida idea delle sue origini.

Chi è San Valentino?

Riporto di seguito alcuni stralci di fonte wikipedia (trovate l’articolo completo qui).

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Valentino da Interamna (Interamna Nahars, ca. 176 – Roma, 273) è stato un vescovo e martire cristiano italiano. È venerato come santo dalla Chiesa cattolica e successivamente dalla Chiesa anglicana: è considerato patrono degli innamorati e della città di Terni. Sue reliquie, si trovano in Sardegna presso la chiesa di Ozieri, in Umbria a Terni, suo paese d’origine, presso la Basilica di San Valentino e a Belvedere Marittimo, in provincia di Cosenza, presso il Convento dei Cappuccini.

Fu convertito al cristianesimo ed ordinato vescovo da San Feliciano di Foligno nel 197.

Pare che San Valentino patì il martirio anche per aver unito in matrimonio una giovane credente cristiana e un legionario romano di religione pagana. Valentino contravvenne quella che era la regola del tempo, ossia l’impossibilità di conciliare religioni diverse. Bisognerà aspettare l’arrivo dell’imperatore romano Costantino I, che permetterà la libertà di culto, promulgando nell’anno 313 uno speciale editto di tolleranza, il cosiddetto editto di Milano.

Ma nell’anno 270 Valentino si trovava a Roma per predicare il Vangelo e convertire i pagani. Invitato dall’imperatore Claudio II il Gotico a sospendere la celebrazione religiosa e ad abiurare la propria fede, rifiutò di farlo tentando anzi di convertire l’imperatore al cristianesimo.

L’imperatore ebbe rispetto di Valentino e lo graziò affidandolo ad una nobile famiglia.

Valentino venne arrestato una seconda volta sotto Aureliano, succeduto a Claudio II il Gotico. L’impero proseguiva nelle sue persecuzioni contro i cristiani e i vertici della Chiesa di Roma e, poiché la popolarità di Valentino stava crescendo, i soldati romani lo catturarono e lo portarono fuori città lungo la via Flaminia per flagellarlo, temendo che la popolazione potesse insorgere in sua difesa. Questo secondo arresto gli fu fatale: morì decapitato nel 273 d.C. per mano del soldato romano Furius Placidus, agli ordini dell’imperatore Aureliano.

La festa venne istituita un paio di secoli dopo la morte di Valentino, nel 496, quando papa Gelasio I decise di sostituire alla festività pagana della fertilità (i lupercaliadedicati al dio Luperco) una ispirata al messaggio d’amore diffuso dall’opera di San Valentino. Tale festa ricorre annualmente il 14 febbraio ed oggi è conosciuta e festeggiata in tutto il mondo. La città di Ozieri, che custodisce delle reliquie del santo, promuove 4 giorni di festeggiamenti, civili e religiosi, dal 13 al 16 febbraio.

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UN FATTO UMANO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/01/09/un-fatto-umano/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/01/09/un-fatto-umano/#comments Mon, 09 Jan 2012 20:51:11 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=3795 Un fatto umanoNon molto tempo fa, qui a Letteratitudine, abbiamo dedicato un ampio spazio al rapporto tra letteratura e fumetti attraverso un dibattito che si è poi trasformato in una sorta di post permanente (una pagina sempre aperta).
Questo nuovo post può dunque considerarsi come una costola del più ampio dibattito su “letteratura e fumetti, letteratura a fumetti”… ma ci dà anche la possibilità di divulgare la narrazione di una “storia vera”… e di approfondire la conoscenza di un “fenomeno umano” (o “fatto umano”) che – forse – non è sufficientemente noto a tutti (dando peraltro luce a un’arte antica legata all’esperienza del racconto: quella del “cunto”).
Al centro della discussione ci sarà un volume particolarissimo, uscito di recente per i tipi di Einaudi Stile Libero: un libro a fumetti, bello e ambizioso, che si pone come obiettivo quello di raccontare la storia del pool antimafia e, di conseguenza, di quel “fatto umano” di cui parlava Giovanni Falcone (celeberrima, ormai, quella sua frase: La mafia non è invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha avuto un inizio e avrà anche una fine).
Il volume si intitola, per l’appunto, Un fatto umano. Storia del pool antimafia. Lo scopriremo in dettaglio nel corso di questa discussione on line a cui parteciperà anche uno degli autori: Manfredi Giffone (che è a vostra disposizione per eventuali domande legate alla realizzazione dell’opera). Gli altri due autori sono: Fabrizio Longo e Alessandro Parodi.

Avevo tredici anni durante gli anni delle stragi”, ci dice Manfredi. “Quando ho deciso di mettermi al lavoro, mi resi conto che non sapevo nulla. Scrivere è stato un modo per auto-sensibilizzarmi e se siamo riusciti a portarlo in fondo, è stato perché la passione del pool per il proprio lavoro risulta ancora contagiosa”.
Come avremo modo di evidenziare, la peculiarità narrativa di questo volume a fumetti deriva da alcune scelte ben precise: quella di “affidare” il racconto a Mimmo Cuticchio (celebre puparo e cuntista palermitano) e quella di rappresentare i personaggi con sembianze animali.

Ulteriori informazioni, sul sito “un fatto umano”. Inoltre segnalo che il libro è stato pubblicato con il patrocinio della Fondazione Progetto Legalità Onlus in memoria di Paolo Borsellino e di tutte le vittime della mafia.
Di seguito, il booktrailer del libro (a fine post, invece, troverete una “tavola”)…

Ciò premesso, questo post ha anche chiari intenti divulgativi e ci consentirà di conoscere un po’ di più alcuni dei protagonisti che hanno combattuto questo “fatto umano”. Al tempo stesso, ancora una volta, avremo modo di interrogarci sulle potenzialità della narrazione a fumetti e sulla sua capacità di raccontare attraverso l’uso di immagini e parole. Infine, mi piacerebbe dare spazio e visibilità a un’antica forma d’arte tipicamente siciliana: quella legata alla cosiddetta “opera dei pupi”.
Nel corso della discussione, avremo modo di sviluppare i suddetti temi.
Intanto, come sempre, ecco a voi qualche domanda volta ad avviare il dibattito…

1. Che tipo di rapporto avete con la narrazione a fumetti?
2. Avete mai letto un “graphic novel”?
3. Quali sono, a vostro avviso, le potenzialità del racconto a fumetti rispetto a quello “ordinario”?
4. Conoscete la storia del pool antimafia? Avete mai avuto modo di approfondirne la conoscenza?
5. Conoscete l’opera dei pupi? Avete mai avuto la possibilità di assistere a una rappresentazione “pupara”?

Come sempre, questa discussione avrà senso e possibilità di sviluppo solo grazie alla vostra collaborazione. Grazie in anticipo, dunque, a tutti coloro che riusciranno a partecipare al dibattito.

Massimo Maugeri

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E SE FOSSE POSSIBILE CAMBIARE LA STORIA? 22/11/’63 DI STEPHEN KING http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/11/21/22-11-63-stephen-king/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/11/21/22-11-63-stephen-king/#comments Mon, 21 Nov 2011 18:20:38 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=3713 http://www.wumingfoundation.com/giap/wp-content/uploads/2011/10/Stephen-King-221163.jpgSe fosse possibile cambiare la storia, tu lo faresti?

Questa domanda è posta su una delle bandelle laterali del nuovo romanzo di Stephen King: “22/11/’63” (Sperling & Kupfer, 2011, pagg. 767, traduzione di Wu Ming 1). Il titolo è una data. La data è quella dell’uccisione del Presidente degli Stati Uniti d’America John F. Kennedy.
Vi riporto la scheda del libro…

Jake Epping è un tranquillo professore di Lisbon Falls, Maine, e il suo posto preferito per fare quattro chiacchiere è la tavola calda di Al. Che ha un segreto: la dispensa in realtà è un passaggio temporale, e conduce al 1958.
Per Jake è una rivelazione sconvolgente, eppure l’incredulità non gli impedisce di farsi coinvolgere nella missione che ossessiona il suo amico da tempo.
“Se mai hai voluto cambiare veramente le cose, Jake, questa è la tua occasione: ferma Oswald quel 22 novembre 1963. Salverai Kennedy. Salverai suo fratello Bob, e Martin Luther King; bloccherai le rivolte razziali. E forse eviterai anche la guerra in Vietnam. Basta che passi per la “buca del coniglio”, sul retro della tavola calda. Non importa quante volte l’attraversi: uscirai sempre sul piazzale di una fabbrica tessile di Lisbon Falls, ore 11.58 del 9 settembre 1958. E non importa quanto a lungo resti in quel passato: al ritorno, nel tuo presente saranno trascorsi due minuti”.
Comincia così la nuova esistenza di Jake nei panni di George Amberson e nel mondo di Elvis Presley, James Dean e JFK, delle automobili interminabili, del twist e del fumo di sigaretta che avvolge tutto. Un mondo nel quale Jake è destinato a conoscere l’amore e a sovvertire tutte le regole del tempo. Fino a cambiare il corso della storia.

http://www.gargoylebooks.it/site/sites/default/files/stephen-king-picture-3.jpgCon questo nuovo libro King si confronta con una delle idee più classiche della “letteratura di fantascienza”, riproposta più volte da tanti autori e ripresa spessissimo anche dal cinema: viaggiare indietro nel tempo (con tutto ciò che ne consegue). Ma si confronta pure con uno degli assassinii più celebri e sconvolgenti dell’intero Novecento (e non solo, direi, per gli Stati Uniti d’America): l’uccisione del Presidente John Kennedy (evento, anche questo, trattato innumerevoli volte in saggi, romanzi e film). Inoltre, il pretesto narrativo offre all’autore la possibilità di raccontare l’America di fine anni ‘50.

Che tipo di riscontri ha suscitato, e sta suscitando, questo libro? Tenteremo di scoprirlo nel corso del dibattito, anche grazie ai contributi a cui faremo ricorso.
Intanto vi anticipo queste parole, tratte dalla postfazione del libro firmata dallo stesso King: “Più di mezzo secolo è trascorso da quando John Kennedy fu assassinato a Dallas, ma restano due interrogativi: fu davvero Lee Harwey Oswald a premere il grilletto, e se sì, agì da solo? Nulla di quanto ho scritto in ‘22/11/63 risponderà a tali domande, perché il viaggio nel tempo è solo un’interessante simulazione”.
Ovviamente i temi trattati da questo romanzo si prestano benissimo a essere discussi. Riprendo, dunque, la prima domanda (quella con cui ho iniziato il post)… e ne aggiungo altre (invitandovi a fornire le vostre risposte).

1. Se fosse possibile cambiare la storia, (magari con l’intento di evitare eventi tragici)… sarebbe giusto farlo? Sarebbe lecito? Sarebbe “morale”?

2. Voi lo fareste?

3. Se sì, quale elemento della storia cambiereste?

4. A prescindere dalle influenze sul corso della Storia, se aveste la possibilità di tornare indietro nel tempo… in quale anno vorreste ritrovarvi? E perché?

5. Qual è la vostra opinione sull’assassinio di John F. Kennedy?

6. Conoscete Stephen King? Lo avete mai letto?

7. Se sì, quale dei suoi libri giudicate il migliore?

Questo post ci dà la possibilità di ragionare e discutere su tematiche (a mio avviso) molto interessanti e, contestualmente, di approfondire la conoscenza (e di scambiarci pareri) su uno dei romanzieri più noti e letti del pianeta. In questi anni Stephen King ha scritto all’incirca 50 romanzi e 400 racconti, ha venduto 350 milioni di libri in tutto il mondo e ha ispirato registi famosi come Stanley Kubrick, Brian De Palma, Rob Reiner e Frank Darabont. Nell’ultimo decennio ha ottenuto importanti riconoscimenti da parte della critica: nel 2003 gli è stata assegnata la National Book Foundation Medal per il contributo alla letteratura americana e nel 2007 l’associazione Mystery Writers of America gli ha conferito il Grand Master Award.
Come già accennato, nel corso della discussione conto di segnalare (e chiedo, in tal senso, anche il vostro aiuto) le più interessanti opinioni su “22/11/’63” espresse sui più importanti magazine e quotidiani. A fine post, invece, troverete il booktrailer del libro.
La scrittrice e poetessa Gabriella Rossitto e la scrittrice e giornalista Simonetta Santamaria, entrambe grandi conoscitrici delle opere di Stephen King, mi daranno una mano ad animare e moderare il dibattito.
Come sempre, vi ringrazio in anticipo per la vostra partecipazione… che spero possa essere ampia e appassionata.

Massimo Maugeri

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ESSERE FIGLI D’ARTE: PRIGIONE O OPPORTUNITÀ? IL “TIMOR SACRO” DI STEFANO PIRANDELLO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/10/24/timor-sacro-stefano-pirandello/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/10/24/timor-sacro-stefano-pirandello/#comments Mon, 24 Oct 2011 14:34:20 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=3637 padri-e-figli-d-arteL’essere figli di una persona nota in campo artistico, è più un peso o un privilegio (nel caso in cui il figlio volesse ripercorrere la strada del padre)?
È più una prigione o un’opportunità?
Qualcosa di cui approfittare o da cui rifuggire?
Per esempio, se Sophie Auster, figlia dello scrittore Paul, anziché fare la cantante e l’attrice avesse deciso di darsi alla letteratura, avrebbe più o meno successo di adesso?
E se Stella McCartney, figlia dell’ex beatle Paul, avesse deciso di dedicarsi alla musica piuttosto che alla moda, sarebbe riuscita a sfondare?
E Julian Lennon? Se non fosse stato figlio di John, sarebbe più o meno noto di quanto in effetti oggi è?

Non è facile rispondere: è presumibile che dipenda dall’importanza del nome. È improbabile, cioè, che il figlio di un gigante dell’arte possa raggiungere i risultati del genitore. Anche se è bene non generalizzare in maniera assoluta. Per esempio, prendiamo questi due big di Hollywood: meglio Kirk Douglas o Michael Douglas?

Insomma, vi invito a dire la vostra sul tema “padri e figli d’arte… e relative ripercussioni” (magari potreste proporre altri esempi). Nel contempo, vi presento un caso e un libro che rientrano in maniera perfetta nella tematica proposta.

Qualcuno lo indica già come uno dei nuovi possibili casi letterari. Un romanzo postumo, firmato da un autore che porta uno dei cognomi più celebri della storia della letteratura. Un cognome che, probabilmente, lo ha penalizzato. Non è facile, infatti, essere figli di Luigi Pirandello e portare avanti il sogno, o meglio, la “necessità” della scrittura cercando di sfuggire al fastidioso e inevitabile peso del confronto. È quello che è successo a Stefano Pirandello, primogenito di Luigi, scrittore raffinato, schivo, costretto a ricorrere a uno pseudonimo (Stefano Landi) per pubblicare i suoi lavori senza incorrere, appunto, nel rischio di rimanere oscurato dall’ombra paterna.
pirandello_timor-sacroIl lavoro di tutta una vita di Stefano Pirandello, cominciato negli anni Venti e riveduto più volte fino alla scomparsa dell’autore (avvenuta a Roma il 5 febbraio 1972), è un romanzo che vede la luce per la prima volta in questi giorni grazie all’impegno editoriale della Bompiani e alla cura dell’ordinario di Letteratura Italiana nell’Università di Catania Sarah Zappulla Muscarà (che ha già avuto il merito di dare nuovo lustro alle opere di Bonaviri, Patti e Addamo). Si intitola “Timor sacro” (Bompiani, pagg. 336, € 14,00) ed ha caratteristiche metanarrative giacché il protagonista, lo scrittore Simone Gei (alter ego dell’autore), è alle prese con la stesura di un’opera di esaltazione del fascismo. Nella narrazione, la storia di Gei si alterna a quella dell’albanese Selikdàr Vrioni, sfuggito alle arcaiche leggi di vendetta privata della sua stirpe.

Sono molteplici gli elementi di interesse di questo romanzo. Tra questi, come già accennato, l’aspetto metaletterario (“Timor sacro” è un romanzo sulla genesi del romanzo, dunque un metaromanzo), ma anche la natura autobiografica e i riferimenti – sebbene mascherati e trasfigurati – ai componenti della tormentata famiglia Pirandello (il padre Luigi, la madre Maria Antonietta Potulano, i fratelli Fausto e Lietta), agli amici più intimi di Luigi e di Stefano e a varie personalità di quegli anni. Non è difficile riconoscere tra le righe del libro letterati del calibro di Corrado Alvaro, Corrado Pavolini, Massimo Bontempelli, o politici come Ciano e Bottai, o scrittori come D’Annunzio, Malaparte, Alberto Savinio, Silvio D’Amico. Ma da “Timor sacro” emergono anche i risvolti inevitabili di un’epoca: la proclamazione dell’impero, la pena di morte, la figura del Boia, le leggi razziali. Su tutto, si erge il forte legame con il padre. Un legame che è totale, ma al tempo stesso tormentato. Amoroso, eppure tirannico.
«Romanzo pericoloso e di tutta una vita, l’inedito Timor sacro», – scrive nella prefazione Sarah Zappulla Muscarà – «erudito, alchemico, cui compete la dimensione dell’immaginario, come vuole Milan Kundera, ma pure della realtà, talora tragica, inesorabilmente violentata e compassionevolmente stravolta». Romanzo che «dell’itinerario esistenziale di Stefano ripercorre le tappe fondamentali. L’entusiasmo irredentista, la partenza per il fronte, la dura cattività, la beffa risorgimentale, il non facile reinserimento del reduce, la vicenda amorosa, l’emancipazione dal padre, la scelta definitiva dell’arte».
Diversi, dunque, i motivi per leggere “Timor sacro”. E il fatto che questo romanzo raggiunga per la prima volta gli scaffali delle librerie, dopo quasi quarant’anni dalla morte del suo autore, conferma la veridicità del titolo dell’ultimo intenso capitolo dell’opera: “Il libro traversa la vita e va oltre”.

Oltre che della tematica in generale, avremo modo di discutere anche di questo libro di Stefano Pirandello. L’amica Laura Marullo, docente presso facoltà di lettere dell’Università di Catania, mi darà una mano a moderare e ad animare la discussione.

Ma aspetto, ovviamente, i contributi da parte di tutti gli amici di Letteratitudine!
Come sempre, grazie in anticipo.

Massimo Maugeri

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CRONACHE DI INIZIO MILLENNIO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/10/11/cronache-di-inizio-millennio/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/10/11/cronache-di-inizio-millennio/#comments Tue, 11 Oct 2011 21:37:39 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=3598 cronache-di-inizio-millennioChe cosa rimane del decennio che ci stiamo lasciando alle spalle?

Qual è l’evento “caratterizzante” degli anni 2001-2011?

Se vi venisse chiesto di redigere una classifica degli eventi più importanti che si sono avvicendanti in questi dieci anni… come la stilereste? (per ordine di importanza…)

Quali eventi, a vostro giudizio, sono rimasti “in sordina” e meriterebbero, viceversa, maggiore risalto nella nostra memoria?

E come si differenzia il decennio che si sta per concludere da quelli che lo hanno preceduto?

Vi invito a rispondere a queste domande, ispirate dalla recentissima pubblicazione del volume “Cronache di inizio millennio” (Historica, 2011) curato dal duo letterario Laura Costantini e Loredana Falcone. Si tratta di una antologia che ha come sottotitolo “32 autori italiani raccontano gli anni 2001/2011” a cui ho partecipato anch’io con grande piacere, invogliato dallo scopo benefico del progetto (come meglio precisato di seguito).
Dalla scheda del libro: “Dieci anni densi di avvenimenti, cambiamenti, cataclismi climatici, politici e sociali che vale la pena raccontare per lasciarne traccia e, senza avere la pretesa di un’interpretazione sociale e antropologica, poter restituire il sapore degli anni che ci siamo trovati a vivere”.
Dicono le curatrici: “Quello che abbiamo chiesto agli autori che hanno aderito (32 tra famosi ed esordienti) è di raccontare uno di questi anni, di questi avvenimenti. Dalle Torri Gemelle all’avvento di Facebook, dallo Tsunami ai Mondiali di calcio 2006, dal G8 di Genova al terremoto dell’Aquila. Sono solo esempi nella massa di stimoli che il decennio ha potuto fornire a tutti noi che scriviamo esercitando la passione della memoria e della parola.”

Il ricavato delle vendite verrà devoluto all’A.V.S.I. per il progetto “Al lavoro! Attività di formazione professionale e avvio al lavoro per i giovani di Rio de Janeiro”.
Mi piacerebbe che partecipassero al dibattito tutti gli autori coinvolti nel progetto (magari potrebbero raccontarci perché hanno scelto proprio quella data e quell’evento).

Laura Costantini mi aiuterà ad animare e a moderare la discussione.
Di seguito, l’elenco degli autori che hanno aderito al progetto e la bella prefazione firmata da Marino Sinibaldi.

(Inutile aggiungere che siete tutti invitati a rispondere alle domande del post).

Massimo Maugeri

Hanno scelto di raccontare le “Cronache di inizio millennio”:
Danilo Arona (23 settembre 2001) – Maria Silvia Avanzato (10 gennaio 2005) – Remo Bassini (16 marzo 2010) – Alessandro Berselli (1 agosto 2003) – Daniele Bonfanti (26 dicembre 2004) – Alessandro Cascio (25 giugno 2009) – Vincenzo Ciampi (14 febbraio 2004) – Fabio Ciriachi (10 aprile 2006) – Fabrizio Contardi (23 gennaio 2004) – Laura Costantini – Loredana Falcone (25 gennaio 2011) – Maurizio De Giovanni (30 gennaio 2002) – Francesco Dell’Olio (9 luglio 2006) - Francesco Di Domenico (21 maggio 2008) - Barbara Garlaschelli (22 luglio 2001) – Enrico Gregori (18 aprile 2002) – Maria Giovanna Luini (21 febbraio 2001) – Gordiano Lupi (11 giugno 2010) – Andrea Malabaila (10 settembre 2008) – Stefano Massaron (15 maggio 2011) – Massimo Maugeri (2 aprile 2005) – Francesca Mazzucato (2 febbraio 2008) – Paolo Melissi (estate 2003) – Enrico Miceli (10 luglio 2007) – Patrizia Mintz (6 aprile 2009) – Gianluca Morozzi (10 gennaio 2005) – Enrico Pandiani (11 settembre 2001) – Niccolo’ Pizzorno (2 maggio 2011) – Simonetta Santamaria (27 novembre 2010) – Pierpaolo Turitto (28 settembre 2003) – Floriana Tursi (28 gennaio 2011)

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LA PREFAZIONE DI MARINO SINIBALDI
Semmai i secoli nascessero innocenti, il nostro la sua purezza infantile l’ha persa subito e di colpo: due torri sbriciolate, “tremila persone vaporizzate” che aleggiano come una colpa o una maledizione non solo nei racconti di questo progetto che si misurano con l’anno fatale 2001 ma in tutti gli altri di questo originale diario di un decennio che fugge. Come in un diario vero e proprio, infatti, qui si ricordano momenti e luoghi sepolti nella memoria, si riscoprono eventi dimenticati, si rievocano emozioni lontane. E si finisce stupiti di fronte a coincidenze che non avremmo dovuto rimuovere: davvero il delitto di Novi Ligure –quel domestico ground zero di inspiegabile ferocia – anticipava di pochi mesi uno di ben altra scala? E abbiamo mai capito cose significasse quella sorta di replica farsesca che mandò a infrangere un Rockwell sul pacifico Pirellone? Sono le increspature e gli scarti della memoria, questa facoltà insonnolita che facciamo sempre più fatica a ridestare. Ma va detto subito che l’intelligenza della sfida e la qualità dei racconti che l’hanno raccolta hanno intanto questo merito: non lasciarci svicolare nel comodo rifugio dei “non ricordo”. Ognuno degli autori di questi racconti ha affrontato un momento e un anno, un evento e le figure che lo hanno animato o subito; e ce li scaglia contro, con precisione ed emozione, con rabbia, a volte, fino a lasciarceli definitivamente infissi nella memoria.
Che sensazioni ci restano, infine? Del trauma originario di questi anni si è già detto qui –e altrove anche troppo. E l’11 settembre del decennale ci sta già saturando con una implacabile macchina memoriale-spettacolare. Ma è come se quelle macerie fossero un segno distintivo dell’epoca, reiterato in luoghi e forme diverse ma tutte riconoscibili e dolorose, come le pietre mai più rialzate delle strade dell’Aquila, come “il largo solco simile a una trincea enorme” scavato da chi? E dove? Nei mari solcati da carrette omicide, nell’epicentro di qualche terremoto, nelle spiagge dello tsunami? (Tsunami, parola seminuova di un decennio che ne ha adottate molte, spesso cambiando senso: “il tuo profilo” non è una silhouette da evocare con nostalgia ma qualcosa da esibire nei social network). Come i rifiuti inamovibili di comunità urbane che sembrano aver consumato la loro parabola secolare. Come la macerie sempre meno metaforiche di una economia globale che appare preda di un delirio psichico, tecnicamente schizofrenica, prigioniera di un balletto simile a quello fantastico che intrecciano tra loro le tre lettere dell’austera sigla Fmi nella rivisitazione irriverente e salutare che non potrà che farvi amaramente sorridere. Sorridere appena, però. Perché non si può pensare al disastro finanziario e alle sue conseguenze infinite senza infinitamente ripetersi le verità urlate e ignorate nelle strade del G8 di Genova. Per questo il trauma originario del primo anno di vita del nostro secolo è così difficile da ignorare: non si manifestò solo nello spazio aereo di un mattino americano ma nelle lunghe, tragiche giornate (e notti) vigliaccamente insanguinate di una nostra amata città. (Solo così il 2001 è davvero l’anno fatale che è stato: se alla memoria globale e imperiale delle Torri Gemelle si affianca la nostra colpa –e magari la nostra giustizia).
Ma questi anni sembrano non emettere sentenze davvero definitive. Sono anni incerti, inconclusi. Come nel topos immortale della tragedia greca, in queste pagine troverete salme insepolte, cadaveri senza pace: provengono dal dramma enorme che preme sulle nostre coste ma anche, più banalmente, da una grottesca vicenda funerario-televisiva. Appaiono comunque il segno di qualcosa che non è finito ancora, non è definito, non può essere sistemato. Segna i nostri tempi come un buco, un vuoto (eccolo lì lo spazio mai colmato di Ground Zero che ritorna come un mantra visivo). E non genera mai sentimenti facili: di gioia ce n’è poca, quasi niente. Nessun autore, mi sembra, ha scelto uno di quegli eventi brillanti che regalano ricordi smaltati anche agli anni più oscuri. Persino i mondiali di calcio, persino la vittoria che a volte inaspettatamente ci arride non può essere goduta in santa pace. E’ destino che un intralcio, una grande o piccola maledizione lo impedisca.
E’ così, un po’ a brandelli e nelle forme diverse che la diversità degli autori coinvolti felicemente implica, che leggendo questi racconti un’idea degli anni alle nostre spalle si fa progressivamente largo. Sono anni difficili perfino da siglare: “anni zero” forse, non solo per pedanteria aritmetica ma perché un senso di azzeramento politico, economico, mentale sembra intimamente segnarli. Ma il numero nullo implica inevitabilmente qualcosa da costruire o ricostruire. Imprese assai difficile da immaginare, anche uscendo dal recinto di queste brevi narrazioni. Sembra piuttosto di intravedere la paradossale coda lunga di un secolo breve. “Fine secolo” , con una formula inventata da Adriano Sofri, si intitolava un’impresa editoriale che alla vigilia del decennio precedente (i terminali anni Novanta) giocava con l’idea che qualcosa –i rifiuti ideologici del Novecento, per esempio- stesse per abbandonarci. Mi è capitato di lavorare a quell’impresa e di portare in eredità quel titolo a una trasmissione radiofonica che Radio3 ospitò dal 1992. Altro che fine, però: mentre lo sguardo superficiale dei contemporanei sembrava fisso su ciò che stava terminando, ci capitò di incontrare eventi del tutto nuovi, e giganteschi: le migrazioni mondiali, per esempio, e la nuova, altrettanto globale, economia –e il tramonto dell’illusione energetica, e la fine del lavoro, e i nuovi fanatismi paranoici e parareligiosi eccetera eccetera. Gli anni sono così, scivolano uno dentro l’altro, confondono eredità e tradizioni, appaiono immobili e mutano catastroficamente. Sono difficili da fissare. Con punti di vista diversi gli autori di questi diversi racconti ci hanno provato. E sfidano noi lettori sollecitando la nostra facoltà più addormentata e quella più atrofizzata: la memoria e l’immaginazione.
Marino Sinibaldi

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http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/10/11/cronache-di-inizio-millennio/feed/ 195
VIAGGIO ALL’ALBA DEL MILLENNIO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/10/04/viaggio-allalba-del-millennio/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/10/04/viaggio-allalba-del-millennio/#comments Tue, 04 Oct 2011 20:45:03 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=3148 VIAGGIO ALL’ALBA DEL MILLENNIO” VINCE LA V EDIZIONE DEL PREMIO INTERNAZIONALE SEBASTIANO ADDAMO

La cerimonia di consegna avrà luogo venerdì 7 ottobre alle 18, nella sala C1 del Centro culturale “Le Ciminiere” di viale Africa, Catania, con ingresso gratuito.

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viaggioallalba-delmillennioCari amici, sono molto felice di poter condividere con voi la notizia dell’uscita di un mio nuovo libro. Si tratta di una raccolta di racconti molto particolare, intitolata “Viaggio all’alba del millennio” (pubblicata da Perdisa Pop, nella collana Corsari). Ho avuto il piacere di presentarlo al Salone del libro di Torino (sala autori, spazio b, padiglione 2), sabato 14 maggio, ore 10:30, insieme all’amica Michela Murgia (vincitrice del Premio Campiello 2010): alla fine del post, trovate i video della presentazione.
Vi ringrazio in anticipo per l’affetto con cui (spero) accoglierete questo mio nuovo lavoro.
Dal sito di Perdisa Pop è possibile scaricare e leggere il primo racconto della raccolta.
Vi riporto, di seguito, la scheda stampa del libro predisposta dalla redazione della casa editrice…

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Viaggio all’alba del millennio si presenta come un’originalissima miscellanea di generi, di toni e registri stilistici: una raccolta peculiare, in cui ogni racconto si collega all’altro per dare forma a un unico grande affresco.
Un bizzarro viaggio in aereo racconta l’ansia da attentato terroristico; una tragedia consumata all’interno delle pareti domestiche tratta il tema dell’incomunicabilità tra familiari; i preparativi di un matrimonio rivelano alcune nevrosi contemporanee.
Si va poi dagli incontri virtuali nelle chat erotiche a una lettera folle che un’assassina scrive al commissario che l’ha arrestata. E ancora: una comica conversazione telefonica tra una nonna e un nipote, un giovane in coma, un ridicolo dialogo sull’immigrazione clandestina e uno scambio di battute che ha come oggetto la schizofrenia, per finire con un racconto dai tratti grotteschi, che ha per protagonisti un gruppo di giovani e una Catania trasfigurata, e ricollega tutti i racconti precedenti per agganciarsi infine al primo, in una struttura circolare.

Leggere questo libro è come guardare in uno specchio deformante. Maugeri unisce il grottesco al drammatico, lo scherzo alla suggestione, per mostrarci gli anni in cui viviamo attraverso le nostre nevrosi, le ansie e gli inganni della mente. La sua scrittura scompiglia le identità, rimescola le carte e altera la visione, dando forma a un libro magnetico, diverso, in grado di raccontare il caos del nostro tempo come non lo abbiamo mai letto.”

Di seguito, invece, vi propongo il booktrailer del libro realizzato dall’ottimo Carmelo Caramagno…

Di seguito, i video della presentazione al Salone del libro di Torino con Michela Murgia.

Grazie mille per la partecipazione e (se vi va)… ditemi in bocca al lupo.

Massimo Maugeri

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STASERA ANNA DORME PRESTO, di Simona Lo Iacono http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/09/23/stasera-anna-dorme-presto-di-simona-lo-iacono/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/09/23/stasera-anna-dorme-presto-di-simona-lo-iacono/#comments Fri, 23 Sep 2011 15:28:41 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=3538 Nuovo appuntamento con la rubrica “Letteratura è diritto, letteratura è vita”, curata dalla scrittrice e magistrato Simona Lo Iacono. Stavolta è proprio il nuovo romanzo di Simona a offrirci ulteriori occasioni di riflessione. Anche questo romanzo, infatti, è incentrato sul rapporto tra diritto e letteratura, parola e processo… come – del resto – il romanzo d’esordio “Tu non dici parole”.
In questa nuova opera, intitolata “Stasera Anna dorme presto”, pubblicata da Cavallo di Ferro, Simona ha avuto modo di confermare ancora una volta l’efficacia e la grande qualità della sua scrittura “fornendo” voci diverse ai quattro personaggi protagonisti della storia.

Ecco la scheda del libro…
Due donne. Due uomini.
Quattro diari della stessa, consumata, storia di amore e tradimenti, del medesimo adulterio, ognuno però scritto da un diverso punto di vista, attraverso sofferenze, sacrifici, illusioni personali. Quattro voci che si rincorrono per raccontare, ciascuna, un frammento di una verità che a tutti sfugge.
Anna abbandona la Sicilia e le proprie aspirazioni per sposare Carlo, giovane avvocato dal brillante avvenire, e seguirlo a Roma. Una lacerazione assecondata sperando in un futuro migliore, in cui poter continuare liberamente a coltivare la sua passione per la letteratura e la scrittura. Ma le cose non vanno come Anna aveva pensato: con Carlo la freddezza cresce fino al giorno in cui lei scopre di Elisa, un’intraprendente avvocatessa che, affascinata dal maturo principe del Foro, ne è divenuta l’amante. A quel punto Anna proverà ad andare indietro con la memoria, a riallacciare i fili della storia alla ricerca di ciò che sta all’origine di tutto. Ma non lo farà da sola, la accompagneranno la voce di Elisa e quelle di Carlo e Giovanni, suo cugino.
E allora sarà come assistere a un processo in cui ogni ruolo è ribaltabile nell’altro e tutti i punti di vista appaiono legittimi, perché si sa che nella vita ognuno di noi è insieme e inevitabilmente vittima e carnefice.
In Stasera Anna dorme presto Simona Lo Iacono racconta una storia sull’incapacità di sapersi aprire veramente all’altro, anche quando lo si ama, e sull’importanza, nella vita e nell’amore, di abbandonarsi completamente.

Quattro voci, dunque. Quattro destini che si incrociano. Anna, moglie. Elisa, amante. Carlo, marito di Anna e amante di Elisa. Giovanni, cugino di Anna a lei legato dall’amore per la letteratura e da sentimenti che non sono mai stati dichiarati apertamente.
Una storia di aspettative disattese e di sogni infranti, che mette in risalto la fragilità umana e la difficoltà a capire veramente l’altro. Un romanzo dove la fattispecie più “classica” della storia della letteratura – quella del tradimento – è rivisitata in un’ottica nuova e originale, giacché all’intreccio tra diritto e letteratura, parola e processo, si aggiunge l’assenza di giudizio da parte del narratore. Ma quest’opera fornisce anche un esempio di come la “verità” difficilmente possa essere individuata in maniera univoca e assoluta.

Ed è proprio sul concetto di “verità” che vi inviterei a riflettere. Nel farlo, come sempre, pongo le mie solite domande…

- In che modo il concetto di verità può essere filtrato dalla nostra percezione personale? E fino a che punto, dunque, può esistere una verità univoca?

- Esiste un modo per superare la parzialità del nostro sguardo sulla vita e sugli eventi che la caratterizzano? Se sì, qual è?
Oppure siamo inevitabilmente destinati a rimanere confinati negli spazi angusti della nostra visuale?

Di seguito, il book trailer del libro, alcuni appuntamenti relativi alla sua presentazione, la mia conversazione radiofonica con Simona e la recensione firmata dal giornalista de “La Sicilia” Vincenzo Greco.

Massimo Maugeri


Simona Lo Iacono, nei prossimi giorni, presenterà “Stasera Anna dorme presto” in tre città diverse…

il 25 settembre 2011, ore 18, presso il Jolly Palace Hotel di Siracusa – Simona Lo Iacono presenta il suo romanzo «STASERA ANNA DORME PRESTO» con Massimo Maugeri e il presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati di Siracusa, avv.to Sebastiano Grimaldi

il 26 settembre 2011, ore 18, presso la Libreria Feltrinelli di Catania, Via Etnea, Simona lo Iacono presenta il suo romanzo «STASERA ANNA DORME PRESTO» con Massimo Maugeri

il 5 ottobre 2011, ore 18, presso la Libreria Feltrinelli di Roma, Via del Babuino, Simona lo Iacono presenta il suo romanzo «STASERA ANNA DORME PRESTO» con Paolo Di Paolo e Tea Ranno

Per ascoltare la puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” con Simona Lo Iacono, cliccare sul pulsante audio sottostante

LA RECENSIONE di Vincenzo Greco

simona-lo-iaconoDopo “Tu non dici parole” (Premio Vittorini 2009-opera prima) e “La coda di pesce che inseguiva l’amore” (scritto a quattro mani con Massimo Maugeri) è arrivato in libreria, fresco di stampa, il nuovo libro di Simona Lo Iacono “Stasera Anna dorme presto” (edizioni Cavallo di Ferro). Un raffinato racconto di amore, di tradimenti, di incomprensioni, con trasversali risvolti sulla mentalità siciliana (catanese in particolare) e su quella capitolina. Un testo che assale e coinvolge; che si divora d’un fiato, perché scatta spontaneo un meccanismo di identificazione tra i quattro personaggi coinvolti nella stessa storia e il lettore che vi si ritrova, quasi in complicità anche con le parole non dette. Sono tante, forse troppe, le storie di adulterio riscontrabili nella letteratura mondiale, ma, in quest’opera, c’è qualcosa in più; oltre all’analisi introspettiva, c’è l’ansia, la paura, l’ossessione, la presenza incessante di chi è assente, l’ombra che si fa corposità. Mirabile la descrizione del rapporto affettivo nella cura dei dettagli e delle sfumature, apprezzabile soprattutto da chi ha avuto la gioia e la sventura di conoscere il vero amore. Tanti tasselli di un unico mosaico descritti in maniera esemplare. Un crescendo, quasi da sinfonia, che anticipa furtivamente il tema principale e, poi, lo allarga fino a materializzarlo in forma solenne. Il tutto con una scrittura limpida, precisa, essenziale, da esperta nel periodare breve, addirittura nella “parola-frase” che scatena interrogativi e riflessioni sul senso della vita e sui destini umani.
Come si ricava dalla presentazione di copertina, in “Stasera Anna dorme presto” Simona Lo Iacono “racconta una storia sull’incapacità di sapersi aprire davvero all’altro, anche quando lo si ama, e sull’importanza, nella vita e nell’amore, di lasciarsi andare completamente”.
Vincenzo Greco

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HOMO INTERNETICUS. QUANDO INTERNET DIVENTA UNA DROGA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/09/19/homo-interneticus-quando-internet-diventa-una-droga/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/09/19/homo-interneticus-quando-internet-diventa-una-droga/#comments Mon, 19 Sep 2011 15:28:07 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=3524 Continua la nostra navigazione tra i pro e i contro di Internet…
Dopo aver discusso – negli anni e nei mesi scorsi – del colosso Google, di rivoluzione Internet, della responsabilità legale della scrittura in rete, del tema scottante della pedofilia on line, degli aspetti positivi e negativi di Facebook, vorrei concentrare la mia e la vostra attenzione su altre problematiche connesse alle nostre vite “sempre più on line”, cogliendo gli stimoli forniti da due libri molto interessanti.

http://img3.libreriauniversitaria.it/BIT/795/9788806207953g.jpgIl primo, è un libro pubblicato da Einaudi e intitolato “Quando internet diventa una droga. Ciò che i genitori devono sapere” di Federico Tonioni (ricercatore universitario per il settore scientifico-disciplinare di psichiatria che afferisce all’Istituto di Psichiatria e Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e in qualità di dirigente medico presso il Day Hospital di Psichiatria e Tossicodipendenze del Policlinico Gemelli). Si tratta di un testo che si pone come obiettivo principale quello di fornire risposte sul tema della “dipendenza da Internet” (vera e propria patologia).
Per darvi un’idea più precisa sui contenuti del libro, vi riporto la scheda:
Federico Tonioni in questo volume spiega e svela con estrema chiarezza le patologie che, soprattutto nel mondo degli adolescenti, sono legate alla straordinaria diffusione di internet. Il libro è cosí uno strumento prezioso per aiutare i genitori che, appartenendo a generazioni «pre-digitali», spesso non sono abituati all’uso del computer e alla navigazione in rete, e si scoprono impreparati alla comprensione dei disturbi che internet può arrecare ai loro figli. Allo stesso modo viene trattata la dimensione on-line del gioco d’azzardo e dei siti per adulti, patologie compulsive che coinvolgono persone di ogni età. Quando internet diventa una droga rappresenta cosí una guida chiara ed efficace sui rischi della dipendenza da internet.
Scrive l’autore: «Mi occupo di dipendenze patologiche da diversi anni e nel corso del mio lavoro ho avuto modo di ascoltare e condividere storie sofferte, rivelazioni sconcertanti, idee deliranti; ma qualche ringraziamento autentico e spontaneo ha reso improvvisamente leggero il peso delle responsabilità che sono chiamato a sostenere. Ho imparato che chi manifesta una dipendenza patologica non vuole soffrire per forza ma vuole soffrire di meno, e che la droga per il tossicodipendente, come la cioccolata per la bulimica o il video poker per il giocatore d’azzardo, non sono desideri ma bisogni, che a volte travalicano la forza di volontà e la logica del pensiero».

http://www.maremagnum.com/extimages/immdef/978889666531.jpgIl secondo, è un libro pubblicato da Piano B edizioni e intitolato Homo Interneticus. Restare umani nell’era dell’ossessione” di Lee Siegel (saggista e critico culturale per il “New York Times”, “Harpers”, “The New Republic” e “New Yorker). Si tratta di un volume uscito negli States all’incirca tre anni fa, dove l’autore (forse “condizionato” anche da ragioni personali, come vedremo) assume una posizione molto critica – quasi “ostile” – nei confronti della rete e dei suoi effetti.
La versione italiana è tradotta da Alessandra Goti e contiene una lunga e succosa prefazione firmata da Luca De Biase.
Riporto, di seguito, la scheda:
Incalzante, lucido, provocatorio, Homo Interneticus prova a mettere in discussione il mezzo tecnologico più esaltato e venduto degli ultimi dieci anni: Internet. La retorica di democrazia e libertà che circonda la Rete viene sfidata nelle sue questioni fondamentali: che tipo di interessi nasconde la Rete? Come e quanto sta influenzando la cultura e la vita sociale? Come stiamo imparando a relazionarci agli altri on line? Qual è il costo psicologico, emotivo e sociale della nostra affollata solitudine high-tech?
Homo Interneticus non è un manifesto contro Internet, ma un’analisi tagliente su come la quotidianità della Rete ha cambiato il ritmo delle nostre vite e il modo in cui percepiamo noi stessi e gli altri. Per Siegel, il lato oscuro della Rete sta rivoluzionando radicalmente la nostra società: il dissolvimento del confine fra pubblico e privato, la trasformazione da cittadino a utente e da utente a prosumer, la mercificazione di privacy e tempo libero, la libertà di consumare confusa con la libertà di scegliere, la riduzione della propria vita a bene da esporre, promuovere, impacchettare e vendere.
Prosumerismo, blogofascismo, il passaggio da cultura popolare a cultura della popolarità, la riduzione della conoscenza a informazione e dell’informazione a chiacchiera, l’autoespressione confusa con l’arte. I molti temi toccati dalle duecento pagine di Homo Interneticus riescono a porre questioni, temi e domande che attendono ancora di essere discusse. Al di là dell’entusiasmo incondizionato che circonda apriori tutto ciò che è Internet e web 2.0, Siegel prova a centrare l’attenzione sui reali interessi che circondano l’enorme massa di nuovi clienti da informare, consigliare e a cui vendere oggetti o stili di vita. Ricco di punti di vista originali e pieni di genio,
Homo Interneticus ci obbliga a riflettere sulla nostra cultura e sull’influenza del web in un modo completamente nuovo.

Vorrei discutere con voi delle tematiche affrontate dai due libri (che, per certi versi, si intrecciano). Proverò a coinvolgere nel dibattito anche i citati Federico Tonioni e Luca De Biase.
Per favorire la discussione vi propongo alcune domande estrapolate (o ispirate) dalle schede dei due libri. Come sempre, vi invito a fornire le “vostre” risposte.

1. Vi è mai venuto il dubbio di essere affetti da una sorta di dipendenza da Internet?
2. Conoscete qualcuno che risente di una vera e propria dipendenza dalla rete?
3. A vostro avviso internet può, in un modo o nell’altro, danneggiare il cervello?
4. Come comportarsi con i figli che passano troppe ore davanti al computer? È necessario fissare limiti di tempo? Bisogna staccare la spina del pc? È opportuno controllare i siti visitati? E, in definitiva, è meglio lasciare la disponibilità del computer o toglierlo con la forza?

5. Che tipo di interessi nasconde la Rete?
6. Come e quanto sta influenzando la cultura e la vita sociale?
7. Come stiamo imparando a relazionarci agli altri on line?
8. Qual è il costo psicologico, emotivo e sociale della nostra affollata solitudine high-tech?

Queste, le domande. Provate a rispondere!
Nel corso del dibattito pubblicherò l’introduzione di Federico Tonioni (con riferimento al libro pubblicato da Einaudi), la prefazione di Luca De Biase e l’introduzione di Lee Siegel (con riferimento al libro pubblicato da Piano B Edizioni).
Molta carne al fuoco, dunque. Una discussione che ci terrà impegnati, spero, per diversi giorni.
Come sempre, la vostra partecipazione è indispensabile.
Ci conto!
Grazie in anticipo.

Massimo Maugeri

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LA CODA DI PESCE CHE INSEGUIVA L’AMORE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/09/03/la-coda-di-pesce-che-inseguiva-lamore/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/09/03/la-coda-di-pesce-che-inseguiva-lamore/#comments Sat, 03 Sep 2011 14:47:58 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=2698 La coda di pesce che inseguiva l’amore” di Simona Lo Iacono e Massimo Maugeri (edito da Sampognaro&Pupi) si aggiudica l’edizione 2011 del Premio Nazionale di Giornalismo, Saggistica e Letteratura “Più a sud di Tunisi”, nella sezione “letteratura”


la-coda-di-pesce-cover-definitiva-per-blogCari amici, sono molto lieto di presentarvi la nascita di un progetto di scrittura che parte da lontano. Ne ha già “parlato” Affari Italiani con questo bello spazio allestito da Antonio Prudenzano (che ringrazio!).
Si tratta dell’imminente uscita di un racconto lungo a quattro mani scritto da me e da Simona Lo Iacono. Qualcuno di voi ne era già a conoscenza, per qualcun altro sarà una sorpresa.
Il titolo del libro è “La coda di pesce che inseguiva l’amore” (presente nelle migliori librerie e su IBS con disponibilità immediata). Lo pubblica l’editore siciliano Sampognaro & Pupi. Si tratta di una fabula per adulti ambientata a Portopalo di Capo Passero (paese marinaro della provincia di Siracusa) nel 1860, nata dall’idea di un pesce che insegue un giovane pescatore (in un’ottica, dunque, ribaltata… almeno, apparentemente). Una fabula d’amore e morte che denuncia l’incapacità di condividere, che evidenzia come le contrapposizioni esasperate e la brama di possesso possono uccidere il sogno; e come la bellezza – spesso – viene trafitta dall’incapacità di dare spazio all’apertura e alla consapevolezza necessarie per poterla contemplare.
Per altre notizie vi rimando alla citata pagina di Affari Italiani (dove potrete leggere, in esclusiva, l’incipit della storia) e a questo blog (dove troverete le date e i luoghi dove presenteremo il libro).
Qui sotto, invece, potete gustarvi il booktrailer realizzato da Carmelo Caramagno.

Segue un articolo con cui – Simona e io – tentiamo di proporre un dibattito sul concetto di condivisione (in generale… e “nella scrittura”, in particolare).
Estrapolo le due domande (e vi invito a fornire la vostra risposta, se ne avete voglia).

1. Che significato ha la condivisione in letteratura? È più perdita di sé, o conquista di sé attraverso il confronto con l’altro?

2. Scrivere a quattro mani può servire a lanciare il messaggio che la condivisione è una strada percorribile di accrescimento spirituale e personale?

Anticipo che in un prossimo post (dedicato alla “scrittura multipla”) conto di invitare vari autori che si sono cimentati con la scrittura a quattro o più mani… per discutere – insieme – della loro esperienza, dei loro libri e delle tecniche narrative adottate per realizzarli.

Fateci gli auguri, su…

Massimo Maugeri

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LA SCRITTURA A QUATTRO MANI… IN DUE PAROLE
di Simona Lo Iacono e Massimo Maugeri

simona-lo-iacono-e-massimo-maugeri-2La condivisione in letteratura. Il punto di vista raddoppiato, moltiplicato. Le voci sovrapposte.
Gli esempi non mancano: Cesare Pavese e Bianca Garufi, Fruttero e Lucentini, Sveva Casati Modigliani, Camilleri e Lucarelli. Fino ad esempi di scrittura più largamente condivisa come insegnano i Wu Ming e i Kay Zen (giusto per fermarci ai casi più noti).
C’è un momento in cui la parola diviene rimbalzo, scalpita da uno specchio all’altro, si denuda e svetta dalla penna nella sua primitiva e autentica vocazione: comunicare, dal latino “communio”, che vuol dire mettere in comune, condividere.
E allora, verrebbe da domandarsi: che significato ha la condivisione in letteratura? Perdita di sé o conquista di sé attraverso il confronto con l’altro?
Leggersi attraverso altri occhi, farsi correggere dall’altro, farsi cambiare… è un viaggio che esige umiltà, voglia di mettersi alla prova e di rinunciare all’esclusività della propria voce.
Le motivazioni sono tante: dall’alternanza di capitoli di Pavese e Garufi in “Fuoco grande” (dove ciascuno rimanda all’altra la propria versione di un medesimo fatto), all’infallibile estro di Fruttero e Lucentini (in cui la commistione si fa reciproco equilibrio), alle tecniche narrative sperimentate con un pizzico di goliardia ludica (in Camilleri e Lucarelli), alla monumentale aggregazione di forze dei Wu Ming.
I percorsi che portano alle quattro mani, alle sei… alle otto, sono tanti e sorprendenti, così come lo è la sperimentazione in letteratura, la varietà di toni, la complessità dell’umanità tutta.
Un mosaico che si accresce negli ultimi tempi grazie alla possibilità di “scrivere a distanza” in modo veloce, attraverso le e-mail, e che potenzia la fantasia, mette in moto lo spirito di gruppo, insegna a “fare squadra”.
La domanda è: scrivere a quattro mani può servire a lanciare il messaggio che la condivisione è una strada percorribile, di accrescimento spirituale e personale?

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NOTIZIE SU “LA CODA DI PESCE CHE INSEGUIVA L’AMORE” SONO DISPONIBILI SU…

Affari Italiani (articolo di Antonio Prudenzano)

Terzapagina (recensione di Tea Ranno)

Blog coda di pesce (notizie varie su “La coda di pesce che inseguiva l’amore”)

Kult Underground (recensione di Gordiano Lupi)

La corda spezzata dell’arrivo (di Salvo Sequenzia – Galleria Roma)

Kult Virtual Press (recensione di Renzo Montagnoli)

Libero-libro (intervista a Simona Lo Iacono e Massimo Maugeri)

Il giornale di Pachino (recensione di Sergio Taccone)

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DATE E APPUNTAMENTI

Mercoledì, 8 dicembre 2010, ore 14,00
Eur – Palazzo dei Congressi – Roma
Presso la 9^ Fiera Nazionale della Piccola e Media editoria “Più libri, più liberi”
Relazionano:  gli scrittori Luigi La Rosa e Tea Ranno
Saranno presenti gli autori e l’editore.

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Sabato, 11 dicembre 2010, ore 18,00
Presso l’HOTEL ROMA, via Roma, Siracusa
Relaziona:  La dott.ssa Laura Marullo, docente presso la facoltà di lettere dell’università degli studi di Catania
Legge i testi: Rina Rossitto, attrice
Su immagini e video nate da un’idea di Simona Lo Iacono e Massimo Maugeri
Saranno presenti gli autori e l’editore.

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Domenica, 12 Dicembre 2010, ore 10,00 – 13,00
Presso casa museo Luigi Capuana, Mineo (CT)
nell’ambito del convegno
l’Unità d’Italia nella letteratura siciliana
Saranno presenti gli autori e l’editore.

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Sabato, 18 Dicembre 2010, ore 18,00
Presso il cinema Gozzo, via Lucio Tasca, Portopalo di Capopassero (Siracusa)
Relaziona: Il professor Sebastiano Burgaretta
Legge i testi: Silvana Scrofani, attrice
Su immagini e video nate da un’idea di Simona Lo Iacono e Massimo Maugeri.

Saranno presenti gli autori e l’editore.

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Sabato, 29 gennaio 2011, ore 18,00
Presso la Dante Alighieri di Siracusa
Via Mirabella, 29 (sede della società Dante Alighieri) -  Siracusa.
Saranno presenti gli autori e l’editore.

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Sabato, 12 febbraio 2011, ore 18,00
Presso il centro Ierna di Floridia (Siracusa)
Relaziona: Il professor Salvo Sequenzia
Saranno presenti gli autori e l’editore.

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Venerdì, 18 febbraio 2011, ore 18,00
Presso la libreria Cavallotto di Corso Sicilia (Catania)
Relaziona: la scrittrice Elvira Seminara e il semiologo Salvo Sequenzia.
Saranno presenti gli autori e l’editore.

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Sabato, 19 febbraio 2011, ore 18,00
Pinacoteca Nunzio Sciavarrello – Bronte (Catania)
Relazionano:  la Sig.ra Maria Prestianni Firrarello (Presidente Fidapa – sez. Bronte); la dott.ssa Laura Marullo, docente presso la facoltà di lettere dell’università degli studi di Catania; la prof.ssa Lucia Firrarello.
Saranno presenti gli autori e l’editore.

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Sabato, 26 febbraio 2011,  ore 18,00

Presso ex Refettorio dei Domenicani - Via Mazzini, 38 – Avola, Siracusa

Relazionano: La prof.ssa Grazia Maria Schirinà e il prof. Elio Distefano

Saranno presenti gli autori e l’editore.

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Sabato, 19 marzo 2011, ore 17,30

Aula Consiliare del Comune di Monica (Ragusa)

Relazionano:  prof.ssa Gabriella Bruno, Presidente Inner Wheel Monti Iblei; dott.ssa Santina Giannone, giornalista; Avv. Giovanni Favaccio, lettore di alcuni brani.

Saranno presenti gli autori e l’editore.

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Sabato, 26 marzo 2011, ore 18,30

Presso la sala derby dell’Ippodromo del Mediterraneo

Strada Spinagallo 50 – Cassibile

A cura del Lyons Club di Avola – Presidente Pietro Sacchetta

Saranno presenti gli autori e l’editore.

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http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/09/03/la-coda-di-pesce-che-inseguiva-lamore/feed/ 578
SCUSATE LA POLVERE, di Elvira Seminara http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/08/01/scusate-la-polvere-di-elvira-seminara/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/08/01/scusate-la-polvere-di-elvira-seminara/#comments Mon, 01 Aug 2011 16:23:49 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=3482 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/files/2011/06/elvira-seminara-scusate-la-polvere.jpgAltre volte, qui a Letteratitudine, abbiamo affrontato il tema della morte. Vorrei riprenderlo in questo nuovo post, per discuterne da un punto di vista diverso.
Tema tutt’altro che estivo, direte. Be’, non è detto!

Parto subito con una domanda: c’è la possibilità di affrontare il tema della morte in maniera… ironica?
La risposta è affermativa. Dal punto di vista letterario ce ne fornisce un valido esempio il nuovo ottimo e divertente romanzo di Elvira Seminara (già ospite della puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” dell’1 luglio 2011): “Scusate la polvere”, edito da Nottetempo.
Il libro, raccontato in prima persona, comincia proprio da un particolarissimo incontro tra la protagonista (Coscienza, detta Enza, Enzima, Cosce, Zen, a secondo dei casi) e il fantasma del marito defunto (segue l’incipit del romanzo):
Quando mio marito Andrea mi si parò davanti in cucina, in piedi accanto alla lavastoviglie, con la polpa di fico spalmata in testa e le unghie sporche di fango, capii che non mi sbagliavo, veniva dal cimitero. Mentre lo calavano sottoterra, e io piangevo stretta fra Alice e Mia, avevo visto infatti un grande fico che si spingeva sulla bara come ad abbracciarlo, o forse sorreggerlo durante l’ultimo viaggio. Ed era pieno di frutti.
Ultimo no però, visto che quel giorno, martedì, me lo vidi davanti in cucina. Avevo il pentolino rosso in mano e stavo armeggiando da un po’ per farlo entrare nella lavastoviglie, avevo spostato i bicchieri ma non c’entrava lo stesso, nemmeno un buco per infilarlo. (…)
Potete leggere un generoso estratto del libro cliccando qui.

Insieme all’autrice discuteremo, dunque, di questo romanzo – che conferma il grande talento narrativo di Elvira Seminara, già apprezzato ne “L’indecenza” e ne “I racconti del parrucchiere” – e su alcuni dei temi da esso affrontati. Anticipo che, oltre all’approccio ironico sul tema della morte, “Scusate la polvere” offre molti spunti di riflessione (su alcuni tic e manie dei tempi moderni, ad esempio; oppure su alcune nuove forme di lavoro) e ci invita a diffidare dalle apparenze… perché non sempre le cose sono così come appaiono a prima vista.
Non aggiungo altro e vi rinvio alla bella recensione di Maria Rita Pennisi che trovate alla fine del post.

Prima, però, come al solito, pongo qualche domanda con l’intento di avviare la discussione.

1. L’ironia può, in qualche modo, favorire la cosiddetta elaborazione del lutto?

2. Sul rapporto ironia-morte, e più in generale nel rapporto con la morte, riscontrate differenze tra la nostra (cultura occidentale) e altre culture?

3. Quali sono le affinità tra sorriso e morte?

4. In che modo la leggerezza può meglio interpretare la fine? Come elaborazione, come ricostruzione, come indagine del passato, o semplicemente come contrappeso al dolore della perdita?

5. Spesse volte le apparenze ci portano a raggiungere conclusioni affrettate. Esiste un metodo per evitare che ciò accada, o siamo comunque sempre destinati a rimanere vittime del “ciò che sembra” (salvo ricredersi a seguito di approfondimenti)?

Di seguito, la recensione di Maria Rita Pennisi.

Massimo Maugeri

P.s. Tra i vari contributi dedicati a questo libro, segnalo quello offerto dall’amico Luigi La Rosa sul suo blog Verso il faro
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SCUSATE LA POLVERE di Elvira Seminara
Nottetempo, 2011 – pagg. 212 – euro 12

recensione di Maria Rita Pennisi

http://cdn.libriebit.com/wp-content/uploads/2011/05/seminara.jpgRituali, per seppellire un dolore, nel nuovo romanzo di Elvira Seminara, “Scusate la polvere”, il cui titolo emblematico è tratto dall’epitaffio della scrittrice americana Dorothy Parker. La protagonista Enza, Coscienza all’anagrafe, che non riesce a trovarsi, l’amica Mia, che si cimenta in catering disgustosi, ma di grande effetto scenico, e l’altra amica Alice, architetto della psiche, che di continuo smarrisce la strada, sono una Trimurti perfetta. Profonda conoscitrice di Freud, Schopenhauer, Bergson, Realismo Magico e culture orientali, la Seminara, con questo romanzo ci vuole “divertire”, ma anche guidare tra gli strati più profondi della psiche umana, nelle anse più interne del cuore e verso la vita, i cui avvenimenti e incontri non sono mai casuali. La protagonista ha un nome pesante da portare, Coscienza, che il padre ha convertito in Enza. Le persone più intime, però, le danno altri nomi. Il marito la chiama Zen, come il quartiere degradato di Palermo; Alice invece Cosce, come per sottolinearne la sensualità; Mia, la chiama Enzima, appellativo dei catalizzatori dei sistemi biologici. Sua madre si ostina a chiamarla Coscienza, anzi Coscieeenza, come per riportarla di continuo alla realtà. Il nome è importante, per primo ce lo dice Dio nel libro della Genesi. Perché allora Enza, in verità, non ha un suo nome? Lo scopriremo leggendo.
Il romanzo inizia nella cucina di Enza, in maniera insolita e divertente, per poi spostarsi nelle strade di Parigi, belle, ariose e leggere, come lei, che respira ad ampi polmoni, in un giorno che sembra calzarle a pennello. La sua decisione di acquistare un abito H&M e la sua indecisione sulla taglia, mentre lo prova… e poi quella telefonata di Mia, che le comunica che il marito ha avuto un brutto incidente d’auto e lei deve tornare subito. Lo stordimento di Enza è tale, che fugge da
Parigi con addosso l’abito che stava provando. Solo l’indomani scoprirà che il marito, quando ha avuto l’incidente mortale, era con una donna. Prima lo stordimento e poi il sospetto del tradimento, si fa strada nella sua psiche. Di conseguenza la sua impossibilità di piangere e di concentrarsi su altro, chiari segnali di chi non può rassegnarsi all’evidenza. Ci chiediamo da subito: “Come mai il marito riusciva a non lasciare nessuna traccia dei sui tradimenti?” Questo aspetto giallo è seguito dall’autrice con grande maestria.
Il fantasma di Andrea, che ad Enza appare in cucina con la testa spalmata di polpa di fico e la terra sotto le unghie, non la sorprende affatto né la spaventa. Tutto nel suo mondo fiabesco ha un posto, un ordine. Lui vuole rivelarle qualcosa. Andrea, in vita, era stato un agronomo, che amava i frutti della terra e anche l’alito vitale, che ci differisce dal fango informe, mentre Enza, invece, sembra sospesa tra cielo e terra, deliziosamente incapace di scavare fino in fondo.
Forte questo romanzo di Elvira Seminara nella sua apparente levità, in cui ogni parola e ogni riferimento hanno un’importanza fondamentale. Soffuso di sottile ironia, pieno di citazioni colte e scritto con stile elegante. Affascinante il personaggio di Enza- Coscienza, le cui asserzioni non vanno prese alla lettera, perché proferite da un soggetto tendenzialmente nevrotico. Un grande esempio di opera aperta, questo romanzo, in cui il lettore è continuamente chiamato in causa, per accertare che le asserzioni della protagonista siano veritiere o rimodellate da lei a suo vantaggio. Un viaggio nella coscienza pieno di volute, anse e passaggi segreti, in cui noi possiamo raggiungere la luce, senza però evitare la polvere.

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http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/08/01/scusate-la-polvere-di-elvira-seminara/feed/ 156
Da LE AZIENDE IN-VISIBILI a LA MENTE IN-VISIBILE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/07/13/da-le-aziende-invisibili-a-la-mente-invisibile/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/07/13/da-le-aziende-invisibili-a-la-mente-invisibile/#comments Wed, 13 Jul 2011 21:02:35 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/10/14/le-aziende-in-visibili/ la-mente-invisibileSono molto lieto di poter dare spazio a “La Mente Invisibile“, il nuovo progetto editoriale di scrittura collettiva – organizzato da Marco Minghetti – che possiamo considerare come la prosecuzione naturale del romanzo collettivo a colori intitolato “Le Aziende In-Visibili” (a cui partecipai pure io, come specificato nel post del 15 ottobre 2008 che potete leggere di seguito).
Tra i vari autori coinvolti in questa nuova avventura letteraria a più mani, figura anche il caro e indimenticabile Luciano Comida. A lui è dedicato il libro… e questo post.
Nel corso della discussione chiederò a Marco e agli autori coinvolti di spiegarci come è nato e come si è sviluppato il progetto narrativo. Chiederò anche a cosa è dovuta la scelta di pubblicare il testo su “ilmiolibro“, anziché rivolgersi a un tradizionale editore.
Segue, intanto, la scheda del romanzo.

Mentre il celebre produttore di musica pop Phil Spector e Charles “Figlio dell’Uomo” Manson sono impegnati in un misterioso progetto alla Corcoran State Prison; mentre si svolge “La Bestia del Mare”, reality show durante il quale i telespettatori decidono in diretta della vita e della morte dei protagonisti per via telepatica, attraverso i loro caschi brainframe; mentre l’oscuro funzionario Seamus è impegnato in una indagine relativa alla decapitazione del transessuale Holly Phern;mentre tutto questo accade, un duello mortale vede impegnati Sam Deckard e il “virus elettronico” o “cadavatar” (cadavere-avatar) Omar. Anteriori a questi fatti sono le vicende di Petrus, eroe oscuro di una serie di battaglie contro la Mafia e il potere costituito, al termine delle quali incontra Deckard, al culmine della potenza come Direttore Generale della Dreamcorp, una settimana prima della sua misteriosa scomparsa. Petrus diventa quindi il profeta anti-sistema chiamato l’Uomo del Deserto, che verrà fatto decapitare per desiderio della crudele Yana dal malvagio Re Kannon… Sono questi solo alcuni degli elementi intorno a cui ruota La Mente InVisibile. Dopo il successo de Le Aziende InVisibili, Marco Minghetti torna con la sua Living Mutants Society (in edizione limitata per l’occasione) con un romanzo dove si intrecciano storie liquide, discontinue, dal tempo reversibile: un cubo di Rubik narrativo in cui undici storie si incontrano, si sovrappongono, si frantumano, si confondono l’una con l’altra per poi sciogliersi in una combinazione inaspettata, che pure lascia con la sensazione di essere solo una penultima verità. Horror, Metafisica & Rock’n Roll sono le chiavi del romanzo dedicato alla memoria di Luciano Comida, uno dei membri della Living Mutants Society, scomparso proprio mentre il volume stava per andare in stampa. Oltre a Marco Minghetti, i co-autori sono: Luciano Comida, Patrizia Debicke, Antonio Fazio, Gianluca Garrapa, Mario Pireddu, Matteo Recine, Andrea Sgarro, Piero Trupia, Antonio Tursi.

Di seguito, il post dedicato a “Le Aziende In-visibili”

Massimo Maugeri


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LE AZIENDE IN-VISIBILI
post del 15 ottobre 2008

Tempo fa Marco Minghetti mi parlò di questa sua idea: “Le Aziende In-Visibili“.
Quando mi chiese se ero disponibile a dargli una mano, accettai con entusiasmo.
Si tratta di una sfida molto ambiziosa a cui hanno lavorato un centinaio di personalità dell’economia e della cultura (scrittori, manager, sociologi, attori, filosofi, economisti, musicisti e designer) virtualmente costituenti la Living Mutants Society. La sfida che hanno accettato è stata quella di mettere a disposizione la propria conoscenza umana e professionale in un capitoletto di un’opera narrativa collettiva, ispirata alle Città Invisibili di Italo Calvino.
Al posto di Marco Polo e l’Imperatore della Cina, troverete a dialogare l’Amministratore Delegato di una Corporation e il suo Direttore del Personale: una cornice che utilizza la metafora dell’azienda per parlare della nostra contemporaneità.
A me è stato proposto di tradurre, nella sezione Le aziende e i morti, la città calviniana di Adelma (Episodio n. 78 del volume). Ancora una volta ho accettato con entusiasmo, proponendo una sfida nella sfida: mescolare la mia scrittura a quella di Calvino (operazione rischiosissima), e paragonando il licenziamento di un lavoratore a una sorta di trapasso.
Di seguito vi proporrò il testo dell’episodio da me tradotto. Vi invito a leggerlo e a commentarlo.
Subito dopo vedrete la prima pagina di questo “romanzo a colori”, impreziosito dalle immagini di Luigi Serafini, e avrete la possibilità di leggere ampi stralci della prefazione di Marco Minghetti.

Invito Marco Minghetti e tutti i membri della Living Mutants Society a raccontare la loro esperienza di scrittura all’interno di questo grande progetto.
A voi chiedo di interagire con loro.

E poi… cosa pensate dell’idea di utilizzare l’azienda come metafora per parlare della nostra contemporaneità?
Massimo Maugeri

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da Le Aziende In-Visibili (Scheiwiller, 2008, € 29)

Missione finale – Limbo
Link alle Città Invisibili: Le città e i morti. II Adelma

di Massimo Maugeri

missione-finale-limbo.JPGHo visto cose che voi burocrati non potete neppure immaginare: i dipendenti con un occhio solo di Arimaspia, la nostra società mineraria, che contendono l’oro ai grifoni; i carpentieri della falegnameria Aborimon, che corrono velocissimi, con i piedi girati a rovescio; gli ermafroditi della catena di porno-shop Nasamono, che alternano l’uno e l’altro sesso accoppiandosi nei peep show per i clienti più affezionati; i fachiri informatici di Bangalore, sdraiati su letti di microchip per entrare in completa simbiosi con la Rete; i ponti della Garutti Constructions, che uniscono continenti e si illuminano magicamente quando in una consociata nasce un talento; i grandi allevamenti della Divisione Alimentare in Estremo Oriente, dove si alleva l’anfisbena, il basilisco, il catoblepa, la manticora, il leontofonte, la donna-carota…
Ma mai nelle mie missioni mi ero spinto fino agli uffici algidi e tristi della LedInc, società controllata dalla Corporation in via di dismissione.
Era quasi sera quando ne varcai la soglia d’ingresso per la prima (e ultima) volta. L’usciere si avvicinò, diede un’occhiata alla mia carta d’identità e annuì.
Non disse nulla. Solo annuì. Mi aspettava. Lo guardai meglio. Somigliava a un tale con ambizioni dirigenziali che aveva frequentato un corso di management con me, anni fa.
Era l’ora di chiusura. Gli impiegati si accalcavano per timbrare i cartellini. Molti di loro ascoltavano musica su iPod. Erano stati un regalo aziendale, gli iPod. L’ultimo omaggio prima della notizia della dismissione della società.
E dei conseguenti licenziamenti.
Un vecchio portava una ventiquattrore in pelle un po’ usurata; credetti di riconoscerlo; quando mi voltai era sparito tra i corpi, ma avevo capito che somigliava a un impiegato che, già anziano quando io fui assunto, non poteva più far parte del personale attivo.
Mi turbò la vista di un cassaintegrato che esponeva un cartello dove chiedeva istruzioni su come spiegare ai figli il motivo per cui non sarebbe più riuscito ad arrivare alla fine del mese: quando incontrai mio padre, poco prima che morisse, mi disse che il suo studio di imagineering era fallito guardandomi con gli stessi occhi assenti. Voltai lo sguardo; non osavo fissare più nessuno in viso.
Pensai: “Se la LedInc è un’azienda che vedo in sogno, dove non s’incontrano che cassaintegrati e dipendenti in attesa di licenziamento, il sogno mi fa paura. Se la LedInc è un’azienda vera, abitata da personale in attività, basterà continuare a fissarli perché le somiglianze si dissolvano e appaiano facce estranee, apportatrici d’angoscia. In un caso o nell’altro è meglio che non insista a guardarli”.
Una hostess reggeva una cesta ricolma di pen drive. La ripose su un tavolino dislocato vicino alle porte degli ascensori. La ragazza era uguale a una che lavorava nell’ufficio di fronte al mio e che si era innamorata del caporeparto. Quando scoprì che il caporeparto era gay e se la faceva con suo marito si licenziò. La hostess alzò il viso: era mia nonna.
Mi passò per la mente una strana frase: “Si può arrivare a un momento nella vita aziendale in cui – tra la gente con cui si è lavorato – i disoccupati e gli inoccupati superano per numero il personale attivo. E a quel punto è come se la mente rigettasse i volti dei nuovi dipendenti e imprimesse i vecchi calchi, e per ogni faccia trovasse la maschera che s’adatta di più”.
Altri uscieri scendevano per le scale e si dirigevano per i corridori, curvi sotto il peso di pacchi di cartone; le facce erano nascoste da cappellini a lunga visiera. “Ora si alzano la visiera e li riconosco”, pensavo, con impazienza e con paura.
Ma non staccavo gli occhi da loro; per poco che girassi lo sguardo sulla folla che gremiva quei corridoi, mi vedevo assalito da facce inaspettate, riapparse da lontano, che mi fissavano come per farsi riconoscere, come per riconoscermi, come se mi avessero riconosciuto. Forse anch’io assomigliavo per ognuno di loro a qualcuno che stava per essere licenziato o messo in cassa integrazione. Ero appena arrivato alla LedInc e già ero uno di loro, ero passato dalla loro parte, confuso in quel fluttuare d’occhi, di rughe, di smorfie.
Pensai: “Forse la LedInc è l’azienda in cui si arriva per perdere il posto e in cui ognuno ritrova persone con cui si è lavorato. È segno che sto per essere licenziato anch’io”. Pensai anche: “È segno che la crisi del mercato del lavoro dilaga”.

Massimo Maugeri

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le-aziende-invisibili-incipit.JPG

Ante. Premesse teoriche
di Marco Minghetti

Le Aziende In-Visibili. Il romanzo costituisce l’applicazione letteraria di una piattaforma per la generazione di percorsi narrativi. Cosa con ciò si debba intendere spero di riuscire a chiarirlo nella presente nota. Diciamo però subito che alla declinazione romanzesca di questa piattaforma, ovvero il volume che avete tra le mani, hanno lavorato un centinaio di personalità dell’economia, dell’arte e della cultura virtualmente costituenti la LMS, ovvero la Living Mutants Society (in appendice si trova l’elenco completo dei novantotto membri, con l’indicazione del contributo offerto da ciascuno). La sfida che hanno accettato: racchiudere la propria conoscenza umana e professionale – i sogni, le emozioni, le esperienze – in un breve apologo, che rivisita una delle Città Invisibili di Italo Calvino, divenendo al tempo stesso uno dei centoventotto episodi del romanzo Le Aziende In-Visibili. Si è così aperta la strada ad una ricerca individuale e collettiva che, grazie alla forza dell’analogia, varca i confini del tradizionale modo di guardare al mondo imprenditoriale e, soprattutto, utilizza la metafora dell’azienda per parlare della nostra contemporaneità. Un approccio dunque innanzitutto analogico che, in prima battuta, consente di giocare con lo specchio rappresentato dal testo di Calvino in uno spirito vicino non solo a quello con cui Mussorgsky traduceva in musica la pittura o Wagner la mitologia, ma anche alle forme più caratteristiche della creatività odierna: basti pensare a molte opere pubblicitarie degli ultimi vent’anni (come ha bene messo in evidenza la recentissima rassegna della Triennale di Milano “Classico Manifesto. Pubblicità e tradizione classica”) o a tantissimi oggetti prodotti dal design più innovativo (come testimoniato dalla celeberrima mostra itinerante “Surreal Things”, che sta avendo un grandissimo successo in tutto il mondo e che evidenzia in maniera puntuale il debito non solo del design industriale ma della moda, del cinema, del teatro, della grafica, dell’architettura, della gioielleria nei confronti del surrealismo).

L’operazione non è dunque una mera, ennesima, sperimentazione di narrazione collettiva fondata sul potenziamento di uno schema che dai primi goal di Luther Blissett ad oggi è stato giocato, con molteplici varianti, e che potrebbe essere sintetizzato nello slogan, dotato di una sua efficacia benché oggettivamente di dubbio gusto, “dai 5 Wu Ming ai 100… Wu Minghetti”. Si inquadra invece in una riflessione metadisciplinare sviluppatasi inizialmente intorno alle riviste «Hamlet» (da me fondata nel marzo 1997 e diretta fino al luglio 2003) e «Personae» (2003-2005); descritta in termini teorici generali nel Manifesto dello Humanistic Management (Etas, 2004); approfondita nei volumi L’Impresa shakespeariana (Etas, 2002, illustrato da Milo Manara), in cui ho sintetizzato i contenuti concettuali di maggiore rilevanza emersi nel periodo ebdomadario hamletiano, e Nulla due volte (Scheiwiller, 2006), che ho scritto in collaborazione con il Premio Nobel per la Letteratura Wislawa Szymborska (ed arricchito con fotografie di Fabiana Cutrano, nonché con 25 commenti di illustri rappresentanti di altrettanti campi disciplinari, dalla politica alla cinematografia, dalla musica alla filosofia, dal giornalismo al management).

Le Aziende In-Visibili. Il romanzo, esito (provvisoriamente) finale di questo percorso, va quindi ulteriormente contestualizzato nel dibattito attuale, letterario ma non solo. Per farlo possiamo prendere l’abbrivio da Paolo di Stefano, che, nell’arco di una settimana (16 e 22 gennaio 2008), ha pubblicato sul «Corriere della Sera» due recensioni del volume di Arturo Mazzarella, studioso di letterature comparate, La grande rete della scrittura. La letteratura dopo la rivoluzione digitale (Bollati Boringhieri, 2008). Il 17 era apparso su «La Stampa» un altro articolo di Marco Belpoliti. Altri contributi alla discussione sono venuti da Mario Baudino, Giorgio De Rienzo, Nico Orengo, mentre Massimo Maugeri ne ha fatto oggetto di un lungo post pubblicato sul suo blog Letteratitudine raccogliendo moltissimi commenti. Queste recensioni ruotano intorno all’idea che «nel ’67 esce Cibernetica e fantasmi di Italo Calvino, vero e proprio manifesto della nuova letteratura; tuttavia ad accorgersene sono in pochi. Su questa strada, che coniuga comunicazione e letteratura, moltiplicazione del punto di vista e virtualità, si sono già mossi Beckett e Borges, seppur con esiti diversi e persino opposti. E, prima di loro, Henry James ha messo a punto alcune delle svolte decisive del Novecento. Secondo Mazzarella, per orgoglio di casta personaggi come Franco Fortini e Pietro Citati hanno continuato a riconfermare il paradigma incontrastato del sapere umanistico, anche quando appariva ormai privo di rilevanza. Sostenitori della letteratura come unico viatico di conoscenza piena e assoluta appaiono, a detta di Mazzarella, Asor Rosa, Giulio Ferroni, Claudio Magris, George Steiner, Marc Fumaroli, vestali di un’idea di “belle lettere” tramontata da un pezzo. Mentre scrittori come Kundera e DeLillo, dopo Calvino e Borges, e poi Martin Amis, Houellebecq – ma anche Manganelli, Landolfi, Volponi e Gianni Celati – hanno dimostrato la fine dell’unico punto di vista, la dissoluzione della visione cartesiana, evidenziando nel contempo la porosità del reale e l’idea del caos non come disordine, bensì velocità di scorrimento del reale stesso, le istituzioni letterarie continuano a perpetuare un’idea conservatrice, se non proprio reazionaria». Concetto rafforzato da Paolo di Stefano che così chiude il suo secondo articolo: «il management industriale sa che sono i filosofi, non gli scrittori, ad avere espresso negli ultimi decenni capacità immaginative straordinarie».

Io credo che al fondo di questa, come di tante altre discussioni contemporanee, vi sia il testo di Francois Lyotard La condizione postmoderna (Feltrinelli, 1979). Qui si tematizza la fine delle “grandi narrazioni” che hanno orientato trasversalmente i saperi moderni. Oggi, dice Lyotard, siamo in una condizione frantumata e disseminativa dei saperi, che, come bene ha riassunto Franco Cambi, «hanno perduto Unità e Senso». La condizione postmoderna produce però sensibilità per le differenze e capacità di tollerare l’incommensurabile, facendo affidamento sulle “instabilità del sistema”. La legittimazione dei saperi si ottiene attraverso il dissenso, per “mosse” anche audaci, in un modo che si configura come un modello opposto al sistema stabile. Se non possediamo più metanarrazioni che ci orientino tra i saperi, di quei saperi dobbiamo – invece – recepire il dismorfismo, la dialettica, l’iter disseminativo.

A questi fondamentali riferimenti se ne dovrebbero aggiungere molti altri, fra cui il concetto di complessità elaborato da Edgar Morin e da una folta schiera di epigoni, la visione della modernità liquida di Bauman e della modernità riflessiva di Beck, la teoria dei non luoghi di Augè e quella del genius loci di Trupia, il sensemaking descritto da Weick, l’effetto Medici scoperto da Johannson, l’ascesa della nuova classe creativa celebrata da Florida. E ancora le riflessioni di Levy sul virtuale e sull’intelligenza collettiva, di Virilio sull’arte dell’accecamento, di Kevin Kelly sulla necessità attuale di guidare le organizzazioni senza averne controllo, di Castells e Rullani sull’economia delle reti, di De Masi su fantasia e concretezza…

Insomma, un lungo elenco. Ciò che qui mi preme sottolineare, però, è che questo insieme di apporti, pur essendo entrato nei confronti di idee svoltosi su moltissimi tavoli diversi, specialistici e trasversali, negli ultimi trent’anni, di fatto non si è tradotto in pratiche narrative veramente nuove, almeno per quanto riguarda i due versanti che più mi interessano, quello artistico (letterario, in particolare) e quello manageriale. Certo, sempre più spesso studiamo saggi di sociologia o di management che traggono ampia ispirazione dai lavori di filosofi e romanzieri, e, viceversa, leggiamo romanzi o assistiamo a film o spettacoli teatrali o rappresentazioni artistiche in genere, in cui si prendono a prestito linguaggi, temi e tecniche di scrittura dalle discipline più disparate, come dimostrano anche gli esempi citati in apertura riferiti a pubblicità e design. Ma si tratta nel migliore dei casi di contaminazioni, miscellanee più o meno riuscite, spesso mere giustapposizioni (il giudizio critico vale innanzitutto per i lavori che io stesso ho realizzato), generalmente intruppate nell’onnivoro concetto di postmodernità, che come ogni post è in realtà una trappola linguistica. Strictu sensu, postmoderno significa “ciò che viene dopo il moderno”: e cosa viene dopo il moderno? Tutto e il contrario di tutto. E’ come se, andando a cena da amici, vi pungesse la curiosità di chiedere: “Ottimo questo risotto, quale è la prossima portata?”, e la risposta non fosse “carne”, o “pesce”, o “salumi”, ma: “il postrisotto”. E con il più grande rispetto per l’affascinante percorso critico proposto dal sopra evocato Mazzarella bisogna riconoscere che: a) Anche, poniamo, Underworld di Don De Lillo ha più a che fare con I Buddenbrock e le grandi epopee borghesi del romanzo ottocentesco, che non con Virtua Tennis 3 o qualunque altro videogame; b) il modo più ovvio e radicale di riprodurre la poliedrica virtualità dei punti di vista è fare scrivere insieme un numero il più possibile elevato di persone, provenienti da campi disciplinari e da esperienze eterogenee, facendole interagire come se fossero i neuroni di uno stesso cervello, creando sinapsi creative al servizio di una opera finale collettiva, interconnessa e condivisa, dall’identità molteplice, certo, ma al tempo stesso unica e coerente: modalità operativa che da soli, per quanto geniali, anche autori come De Lillo, Kundera o lo stesso Calvino non possono mettere in atto e che invece rappresenta il fulcro de Le Aziende In-Visibili, così come, almeno in certa misura, della mostra organizzata dalla Triennale di Milano nel 2002-2003, curata da Gianni Canova (già nel team creativo di Nulla due volte) ed intitolata Le Città In-visibili, cui hanno partecipato numerosi artisti di differente ispirazione – fotografia, pittura, architettura, eccetera – e che si proponeva di “rendere visibile il non visibile. Indagare quanto di reale c’è nell’immaginario con cui pensiamo alla città e quanto di immaginario c’è nel nostro modo di vivere lo spazio urbano”.

Sotto questo aspetto, l’auspicio espresso nel suo ruolo di critico della letteratura da Berardinelli, ovvero che si possa transitare dall’ormai usurato concetto di postmodernità ad una pratica narrativa radicalmente mutante, che sia in grado di dialogare con il patrimonio letterario del passato, prossimo e remoto, guardando tuttavia al futuro, può credo più generalmente tradursi nella tensione verso un modo di leggere, interpretare ed infine gestire la realtà che sappia superare vecchie tassonomie e modelli mentali. L’approccio collettivo e metadisciplinare che ha presieduto alla stesura de Le Aziende In-Visibili, in maniera ancor più programmaticamente marcata che in tutte le precedenti esperienze dello Humanistic Management, il cui bagaglio concettuale ormai può tranquillamente proporsi quale vero e proprio Humanistic Mindset per la (tentativa) comprensione, a trecentosessanta gradi, del mondo in cui viviamo, ha l’ambizione di affermarsi come una possibile modalità pratica di scrittura mutante, che travalica le distinzioni fra scrittori e manager, fra sociologi e attori, fra musicisti e designer, fra filosofi ed economisti, cercando di trovare un terreno comune di intesa (la piattaforma per la generazione di percorsi narrativi cui accennavo all’inizio) che sarà poi possibile declinare attraverso specifici linguaggi e svariate tecnologie di comunicazione ed espressione (si veda ad esempio Le Aziende In-Visibili: il Metablog - http://marcominghetti.nova100.ilsole24or… – in cui i temi del romanzo vengono discussi e approfonditi con le modalità tipiche della Rete).
(…)

Retro. Il Piano dell’Opera.

Il Piano dell’Opera si è consolidato innanzitutto intorno all’ipotesi di realizzare la riscrittura della cornice calviniana, costituita dai dialoghi fra Marco Polo e l’Imperatore che aprono e chiudono ciascuno dei 9 capitoli de Le Città Invisibili. Prendendo spunto dall’idea narrativa che sta alla base de Il Responsabile delle Risorse Umane di Abraham Yehoshua mi sono assunto il carico della loro trasformazione in una conversazione fra l’Amministratore Delegato di una Corporation e il suo Direttore del Personale. Questa “traduzione” è stata quindi offerta come frame di riferimento unitario a tutti i co-autori delle 110 Aziende In-Visibili, ovvero due per ognuna delle 55 “Città Invisibili” del romanzo.

Le Aziende In-Visibili mantiene, in prima battuta, anche l’organizzazione concettuale de Le Città Invisibili, come è noto articolate intorno ad undici diverse categorie di città, ognuna dal nome di donna, che presentano, nella mappa dell’Impero di Kublai Kan descritta da Marco Polo, ciascuna cinque varianti: Le città e la memoria, Le città e il desiderio, Le città e i segni, Le città sottili, Le città e gli scambi, Le città e gli occhi, Le città e il nome, Le città e i morti, Le città e il cielo, Le città continue, Le città nascoste.

Il medesimo schema è rispecchiato (nel senso di replicato e insieme duplicato) ne Le Aziende In-Visibili, poiché è facile vedere come ciascuna categoria calviniana si presti ad una riflessione, morale, estetica, politica, sociologica, e dunque al tempo stesso manageriale, coerentemente con i principi dello Humanistic Management/Mindset – non a caso Renzo Piano, nell’intervista introduttiva al volume Le città visibili (Electa 2007), catalogo dell’esposizione, ispirata a Calvino, dedicata ad illustrare i capolavori del grandissimo architetto italiano, parla della sua disciplina negli stessi termini: “L’architettura – afferma- ha diverse dimensioni: artistica poetica, espressiva, sociale, economica, umanistica, scientifica.” Complessivamente il mosaico del romanzo è costituito da 128 episodi: 110 Aziende In-Visibili (ciascuna affidata ad un autore diverso, salvo una decina che ho scritto io) più le 18 semi-cornici che aprono e chiudono i 9 capitoli.
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Marco Minghetti

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The Living Mutants Society
Massimo Acantora Torrefranca, Armando Adolgiso, Andrea Amerio, Giuseppe Antonelli, Giovanni Anversa, Sisina Augusta, Gloria Bellicchi, Chiara Beretta Mazzotta, Alessio Bertallot, Enrico Bertolino, Domenico Bodega, Francesco Bogliari, Cinzia Bomoll, Caterina Bonetti, Aldo Bonomi, Elisabetta Bucciarelli, Leonardo Buzzavo, Luciano Canova, Diomira Cennamo, Pepa Cerruti, Antonella Cilento, Innocenzo Cipolletta, Paolo Costa, Annalisa Decarli, Franco D’Egidio, Giorgio Del Mare, Stefano Delprete, Antonio Fazio, Paolo Ferrarini, Marcello Foa, Andrea Fontana, Paolo Gai, Nicola Gaiarin, Alberto Garutti, Gi(ov)anni Gasparini, Emilio Genovesi, Lucilla Giagnoni, Michele Governatori, Andrea Granelli, Gianmichele Lisai Senes, Maria Ludovica Lombardi, Giuseppe Longo, Pina Luciani, Pierfrancesco Majorino, Francesca Marzotto Caotorta, Armando Massarenti, Massimo Maugeri, Gianna Mazzini, Mariagrazia Mazzocchi, Paolo Melissi, Rossella Milone, Francesco Morace, Franco Morganti, William Nessuno, Andrea Notarnicola, Valeria Novellini, Josephine Pace, Michele Pacifico, Roberto Panzarani, Elisabetta Pasini, Walter Passerini, Massimo Pietroselli, Valentina Pisanty, Federico Platania, Alberto Provenzali, Adriana Quaglia, José Rallo, Enzo Riboni, Alessandro Rinaldi, Isabella Rinaldi, Dario Rinero, Valeria Rossi, Pier Aldo Rovatti, Enzo Rullani, Giulio Sapelli, Paolo Savona, Luigi Serafini, Andrea Sgarro, Antonio Staglianò, Antonio Strati, Cristina Tagliabue, Giovanna Tinunin, Piero Trupia, Francesco Varanini, Pino Varchetta, Luca e Laura Varvelli, Elena Varvello, Walter Veltroni, Amalia Vetromile, Carmelo Vigna, Gianpietro Vigorelli, Roberto Vittori, Alessandro Zaccuri, Anna Zanardi, Antonio Zoppetti

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L’E-BOOK E (È?) IL FUTURO DEL LIBRO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/06/20/ebook-e-il-futuro-del-libro/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/06/20/ebook-e-il-futuro-del-libro/#comments Mon, 20 Jun 2011 21:07:59 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=3368 Vorrei riprendere la discussione sull’e-book già avviata a partire da questo post, offrendo come spunto per ulteriori riflessioni (e per un approfondimento del dibattito) la pubblicazione di questo nuovo volumetto che ho realizzato per i tipi della piccola casa editrice “Historica” (disponibile, ovviamente, anche in formato elettronico). Il titolo è già un punto di domanda: “L’e-book e (è?) il futuro del libro”.
L’intento non è quello di fornire approfondimenti tecnici sull’e-book, ma di divulgare opinioni emotive sull’argomento. Per far ciò ho coinvolto alcuni tra i più rappresentativi addetti ai lavori del mondo del libro – scrittori, editori, editor, critici letterari, giornalisti culturali – che hanno gentilmente messo a disposizione il loro parere (da qui il sottotitolo…).
Ho chiesto loro di ragionare sul “fenomeno e-book” ed esprimere un’opinione facendo riferimento alle seguenti domande: Cosa ne pensa dell’e-book? Come immagina il futuro dell’editoria e della letteratura tenuto conto del “peso crescente” delle nuove tecnologie? E cosa ne sarà dei libri di carta? C’è il rischio che possano diventare “pezzi da collezione”?
Dopo una parte introduttiva sulla evoluzione del libro elettronico e sugli e-book readers, e dopo una sintetica analisi di mercato, questo piccolo volume offre le “opinioni emotive” sull’e-book fornite da: Roberto Alajmo, Marco Belpoliti, Gianni Bonina, Laura Bosio, Elisabetta Bucciarelli, Ferdinando Camon, Daniela Carmosino, Antonella Cilento, Paolo Di Stefano, Valerio Evangelisti, Vins Gallico, Chiara Gamberale, Manuela La Ferla, Nicola Lagioia, Filippo La Porta, Gianfranco Manfredi, Agnese Manni, Diego Marani, Dacia Maraini, Daniela Marcheschi, Michele Mari, Raul Montanari, Antonio Paolacci, Romana Petri, Antonio Prudenzano, Giuseppe Scaraffia, Elvira Seminara, Filippo Tuena, Alessandro Zaccuri.

Vorrei coinvolgere nello sviluppo della discussione anche voi, proponendo come sempre alcune domande (e invitandovi a fornire la vostra risposta, se potete)…

1. L’e-book è davvero il futuro del libro?

2. Se sì, fino a che punto?

3. Che cos’è un libro: un supporto cartaceo, o il suo contenuto? O entrambi?

4. Tra un volume rilegato di fogli bianchi e un romanzo leggibile su un e-book reader, quale dei due è… più libro?

5. Come immaginate il futuro dell’editoria e della letteratura tenuto conto del “peso crescente” delle nuove tecnologie?

6. Cosa ne sarà dei libri di carta? C’è il rischio che possano diventare “pezzi da collezione”?

7. Una diffusione “significativa” dell’e-book  potrebbe favorire l’incremento della lettura?

La discussione on line proseguirà – per chi potrà partecipare – alla Feltrinelli Libri e Musica di Catania (via Etnea, n. 285 ) giovedì 30 giugno 2011, alle h. 18.

Vi aspettiamo!

Massimo Maugeri

P.s. Ne approfitto per segnalare questo post di Lipperatura incentrato sull’attuale crisi dell’editoria determinata dal decremento della vendita dei libri (il post riprende un articolo pubblicato su Repubblica, con dichiarazioni di Marco Polillo – presidente dell’Aie – anche sul “fenomeno e-book”)

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