LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » Risultati della ricerca » Sarah Zappulla Muscarà http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 BUENOS AIRES e la cultura italiana: incontro con Donatella Cannova, direttrice dell’IIC di Buenos Aires http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/08/05/buenos-aires-e-la-cultura-italiana-incontro-con-donatella-cannova-direttrice-delliic-di-buenos-aires/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/08/05/buenos-aires-e-la-cultura-italiana-incontro-con-donatella-cannova-direttrice-delliic-di-buenos-aires/#comments Wed, 05 Aug 2020 05:00:57 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8564

Nell’ambito della rubrica “Le città del mondo e la cultura italiana” abbiamo chiesto alla direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura di Buenos Aires, Donatella Cannova, di parlarci – per l’appunto – del rapporto tra Buenos Aires e la nostra cultura (nonché del ruolo svolto dall’IIC che dirige).

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La città di Buenos Aires e la cultura italiana. Intervista a Donatella Cannova, direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura di Buenos Aires

- Donatella Cannova, che tipo di città è Buenos Aires?
imageBuenos Aires, nella sua accezione di GBA (Gran Buenos Aires), e’  una delle megalopoli mondiali, policentrica, estesissima, varia tanto nella componente umana che in quella architettonica. Come mi capita spesso di dire, per un europeo che sbarca a Buenos Aires e si dirige in alcune zone del centro e in alcuni dei suoi quartieri, la sensazione e’  quella di una grande familiarita’  con il paesaggio che la citta’ offre ai suoi sensi, ma il tutto in una scala diversa, ‘americana’, dove  il termine e’  sinonimo di grande e stupefacente. E si rimane in questo stato di ammirato stupore, lo posso dire da veterana frequentatrice di Buenos Aires, dove venni per la prima volta in vacanza nel 2004. I porteños sono consapevoli della unicita’  della loro citta’, e del divario che esiste tra la Capitale Federale e il resto del Paese, e con le parole di Borges la amano fino al punto di esserne gelosi. La dimensione dei contrasti, delle diseguaglianze, quella che qui viene chiamata la grieta (il solco) che percorre e divide la societa’ argentina, e’ un altro aspetto che colpisce profondamente un europeo, essendo un tratto direttamente proporzionale alla vastita’ della metropoli e alla sua complessita’, un tratto costituente della realta’  locale, con cui ci si confronta nella quotidianita’, a volte anche duramente.  Ma Buenos Aires e’ anche e senza ombra di dubbio una mecca culturale, tanto per quantita’  di organizzazioni pubbliche e private dedite alla produzione e diffusione culturale quanto per la qualita’ dell’offerta culturale. Citta’  dalle mille librerie, dove si tiene una delle piu’  grandi fiere del libro di lingua spagnola, con una scena editoriale estremamente vivace grazie alla capillare presenza di case editrici indipendenti che pur in un quadro di crescente difficolta’  riescono ad animare la vita letteraria della capitale, Buenos Aires vanta una tradizione letteraria di altissimo livello, come testimoniano anche i festival letterari e di poesia internazionali della citta’. L’altrettanto straordinaria tradizione della sua scena teatrale, con la pulsante avenida Corrientes, sede di centinaia di teatri pubblici ed indipendenti, cosi’  come la sua cinematografia e le arti visive  contribuiscono a fare di Buenos Aires una delle grandi capitali culturali del mondo, come d’altronde certifica anche la sua appartenenza alla rete mondiale delle citta’ culturali CGLU (Ciudades y Gobiernos locales unidos).
Molti paesi stranieri fanno letteralmente a gara nel presentarsi su questa scena aperta a linguaggi tradizionali come innovativi, curiosa di scoprire e di confrontarsi, e dotata di una propria grande creativita’ dal segno originale e distintivo. Pur in presenza di una situazione socio-economica in cui interi strati della popolazione vivono in condizioni di esclusione, e destinata secondo le previsioni a peggiorare ulteriormente anche a causa della doppia crisi economica e sanitaria determinata dal Covid 19, Buenos Aires rappresenta  un terreno estremamente ricettivo e desideroso di Italia e della sua cultura. La nostra collettivita’ di italo-discendenti, ricordiamo che si tratta  della piu’  grande al mondo con circa un milione di iscritti alle liste AIRE ma con un numero stimato di argentini con ascendenze italiane di quasi il 50% della popolazione totale, permea di fatto tutta la societa’  argentina e ne costituisce la radice, in parallelo con quella ispanica.

- Quali attività svolge l’IIC che dirige?
imageVa subito detto che disponiamo di una sede prestigiosa nel Palazzo Italia, un edificio demaniale strategicamente ubicato nella citta’, di cui l’Istituto occupa tre dei sei piani su cui si sviluppa, e dove si trovano anche il Teatro Coliseo, su cui mi soffermero’ piu’  avanti,  la Camera di Commercio Italiana e la sede argentina dell’Universita’  di Bologna, costituendo in tal modo un unicum tra le sedi diplomatiche a Buenos Aires.
Oltre agli uffici veri e propri, i locali dell’Istituto si compongono di un elegante salone intitolato a Benedetto Croce, spazio polifunzionale dove svolgiamo parte della attivita’ che vanno dalle proiezioni cinematografiche ai concerti, dalle conferenze agli spettacoli teatrali; della biblioteca, dotata di oltre 30.000 volumi e materiale audiovisivo, una delle piu’  vaste in lingua italiana dell’emisfero sud; della Sala Roma, spazio dedicato alle mostre d’arte e di fotografia; e dei locali dove si tengono i corsi di lingua e cultura italiana, 12 aule moderne ed attrezzate per la didattica comunicativa.
Partendo proprio dalla promozione linguistica, che e’ uno dei due fuochi delle nostre attivita’, nel corso del 2019 abbiamo registrato piu’ di 1300 iscritti ai nostri corsi di lingua e cultura italiana (nel 2017 erano 850), corsi dispensati da docenti specializzati, di madrelingua italiana o bilingui. Con l’irrompere dell’emergenza Covid 19 lo scorso mese di marzo, e con la conseguente sospensione delle attivita’  presenziali dell’Istituto, abbiamo riconvertito in tempi record i nostri corsi in modalita’  virtuale, potendo in tal modo garantire la continuita’  della nostra azione di promozione linguistica. La risposta di docenti e discenti e’  andata al di la’ di ogni piu’ ottimistica previsione. Oggi possiamo contare su una platea di potenziali interessati ai nostri corsi online molto piu’  ampia del pubblico presenziale e raggiungere utenti geograficamente lontani, che sfuggivano prima al nostro raggio di azione. Non si tratta di una constatazione consolatoria nel triste panorama pandemico, ma degli effetti imprevedibili ed imprevisti che ogni crisi trascina con se’, e che in questo caso ci lasceranno in eredita’ un nuovo modo di lavorare e di svolgere la nostra missione. Nel futuro post-pandemico continueremo ad offrire corsi online accanto alla modalita’  presenziale, potendo in tal modo soddisfare domande diverse.
In quanto alla promozione  culturale propriamente detta, come accennato prima, si tratta di attivita’  molto varie che  coprono l’intero spettro dei distinti settori culturali, e che vengono ideate, organizzate ed offerte al pubblico tanto nel locali dell’Istituto quanto in altre sedi, tanto nella Capitale Federale quanto in diverse altre citta’ della vasta circoscrizione in cui opera l’Istituto (14 Province delle 24 che costituiscono la repubblica Argentina). L’Istituto e’ attivo nel grande polo culturale di Buenos Aires e nella sua circoscrizione anche grazie ad un articolato sistema di collaborazioni con le maggiori istituzioni italiane e con il sistema culturale locale: musei, teatri, auditorium, festival internazionali, centri dedicati al disegno, alla moda e alla gastronomia, la rete consolare e dei comitati della Societa’ Dante Alighieri, nonche’ le varie associazioni di connazionali e gli apparati in cui e’  organizzata la vasta comunita’  italiana. Tra le collaborazioni in Italia, vorrei citare quella con il MIBACT, con cui collaboriamo da quasi tre anni per l’attuazione di un ambizioso progetto artistico denominato ITALIAXXI e su cui diro’  piu’  avanti; quella con il Salone del Libro di Torino, con cui nel 2019 abbiamo lanciato l’iniziativa Quadrante sud. Nuove rotte letterarie Italia-Argentina, che mira al rilancio degli scambi letterari tra i due paesi, attraverso la presentazione di scrittori italiani in Argentina e la traduzione dei loro lavori. In questo contesto, abbiamo ospitato Sandro Veronesi allo stand Italia presso la Fiera del libro di Buenos Aires nel 2019, e poi Helena Janeczek  e Claudia Durastanti, rispettivamente vincitrice del Premio Strega 2018 e finalista nell’edizione del 2019. E a questo proposito vorrei  ricordare che l’Istituto e’  anche sede di una delle venti giurie estere dello stesso Premio Strega. Sono poi molteplici le collaborazioni nel campo delle arti plastiche, per esempio con il Premio per l’arte Italia-Argentina, che sviluppiamo da tre anni  in collaborazione con il nostro Ministero degli Esteri e l’Istituto per le Arti Visive Garuzzo permettendo a due artisti italiani under 35, selezionati da una giuria di esperti in Italia, di passare un mese in residenza a Buenos Aires e di organizzare una mostra nei nostri locali.
L’Istituto, in breve, ha manovrato e manovra per imprimere con la qualita’  della sua offerta un’impronta originale e riconoscibile sul tessuto culturale locale, anche veicolandola attraverso una comunicazione efficace, cio’ che ha permesso di elevare il suo profilo pubblico, posizionando l’Istituto al centro di una fitta rete di relazioni con i maggiori attori istituzionali della scena culturale nazionale.
L’Istituto opera anche nel settore delle borse di studio, che ogni anno sono assegnate a studenti argentini per svolgere parte del loro corso di studi presso universita’ italiane. Vi sono poi le collaborazioni con il CUIA (Consorzio Universitario Italiano per l’Argentina), che ha la sua sede argentina presso i nostri locali e che raggruppa una trentina di atenei italiani allo scopo di sviluppare le relazioni accadamiche tra i due Paesi, e quelle  con le varie universita’ argentine per la diffusione della lingua e cultura italiana attraverso la gestione dei contributi che il MAECI offre alla creazione e sviluppo delle cattedre di italiano e alla formazione dei docenti. L’Istituto e’  altresi’ sede di esami per la certificazione di italiano delle Universita’ per Stranieri di Siena e di Perugia. Collaboriamo attivamente con gli altri Istituti culturali europei che hanno sede a Buenos Aires, ai quali siamo associati attraverso EUNIC, la rete culturale che promuove progetti multilaterali finalizzati ad azioni di valorizzazione della cultura europea, in stretta relazione con la Delegazione dell’Unione Europea. Vi e’  poi  la promozione della cultura scientifica italiana, in collaborazione con l’Ufficio dell’Addetto Scientifico dell’Ambasciata; ed infine la parte probabilmente piu’  innovativa della nostra missione, che e’ quella della cosiddetta promozione integrata del Sistema Paese, attraverso progetti “tridimensionali” con un volet culturale, uno economico e uno scientifico, sviluppati in stretto raccordo con il MAECI e con le altre istituzioni italiane presenti in Argentina, sotto il coordinamento generale dell’Ambasciata.
Curiamo inoltre i rapporti con la stampa locale e con quella italiana, il sito web e le reti sociali dell’Istituto, producendo anche numerosi brevi video promozionali delle nostre attivita’ e dei corsi di italiano. C’e’  poi una intensa attivita’  di traduzione,  cresciuta ulteriormente in questi mesi di lavoro online, con la traduzione e sottotitolatura di numerose opere teatrali trasmesse sul nostro canale YouTube. Accogliamo anche dai tre ai sei stagisti l’anno, attraverso la convenzione tra il MAECI e la CRUI (Conferenza dei Rettori delle Universita’  Italiane), che vengono a svolgere attivita’  di tirocinio formativo e una straordinaria esperienza di vita, e che dal mese di agosto si svolgeranno online anch’essi, vista l’impossibilita’  ancora di operare in presenziale. Curiamo una comunita’  di amici dell’Istituto che tra soci iscritti e simpatizzanti, studenti e seguaci delle nostre reti sociali ammonta ad oltre 20.000 persone, un bacino in continua crescita come abbiamo constatato dall’analisi dei dati statistici disponibili.

- In che modo, in generale, per quel che le è dato sapere, la cultura italiana si relaziona con la città?
imageLa societa’  argentina, come dicevo sopra, e’  innervata in ogni suo settore dall’Italia e dagli italiani, o italo-discendenti. Esiste una letteratura monumentale, se mi si passa il termine, intorno alla relazione tra i due paesi e le due culture, i cui testi sono conservati anche nella nostra biblioteca. Sebbene a Buenos Aires possa essere maggiormente diluita che in altri centri a minore densita’  demografica, l’impronta italiana e’  presente ovunque, con punte piu’  intense in alcuni quartieri a forte connotazione italiana, come il mitico quartiere de La Boca, il vecchio porto dove sbarcarono i primi connazionali dalla Liguria. Entrando nel Museo intestato al famoso pittore  Quinquela Martín si ha un’idea della epopea migratoria verso l’Argentina, e delle tracce indelebili e vivide che gli italiani hanno lasciato nella citta’ e nel paese. Sono moltissimi gli artisti plastici che hanno scelto l’Italia per impregnarsi della sua cultura andandovi a soggiornare per periodi piu’  o meno lunghi, e che hanno poi creato scuole di artisti italo-argentini, come Spilimbergo, Pettorutti, Berni, etc. Per non parlare di Lucio Fontana. Nell’architettura altrettanto forti sono le tracce della tradizione italiana, basti pensare al teatro Colón progettato dall’architetto Tamburini, e portato a termine dall’architetto  Meano. Per il teatro, ricordiamo che dopo un debutto alquanto contestato, i Sei personaggi di Pirandello furono accolti, cosi’  come il suo autore e regista, con ovazioni ed entusiastiche recensioni a Buenos Aires, citta’ di teatro per eccellenza. Vittorio Gassmann, Mario Monicelli, e per venire  a tempi piu’ recenti, Dacia Maraini, Claudio Magris, Erri de Luca, Nanni Moretti, Enrico Rava, e tantissimi altri grandi nomi della cultura italiana sono passati per Buenos Aires anche grazie al lavoro del nostro Istituto, fondato a meta’  degli anni Trenta: la cultura italiana, insomma, occupa un posto tutto particolare a Buenos Aires ed in generale in Argentina. Tutto cio’  ha naturalmente un risvolto che non puo’  essere ignorato, ovvero il permanere, soprattutto in certi ambienti, di una concezione in parte cristallizzata della cultura italiana, spesso legata ad un’idea nostalgica e lontana dalla sensibilita’ degli italiani d’Italia. Lavorare dunque per introdurre la contemporaneita’  dei linguaggi espressivi cosi’  come si dibattono e si sviluppano in Italia e’  uno dei compiti centrali che ci siamo dati, e che portiamo avanti insieme a tutte le altre istituzioni con cui collaboriamo per la presentazione della scena contemporanea italiana in Argentina. Tra queste istituzioni, occupa un posto tutto particolare il teatro Coliseo, di 1800 posti, fondato  piu’  di cento anni fa, ed unico teatro fuori dei confini nazionali riconosciuto come teatro italiano a tutti gli effetti, non solo perche’  di proprieta’  demaniale, ma anche per la particolare missione a cui e’  legato per statuto, ovvero la diffusione e la promozione della cultura italiana in Argentina.

- Tra gli eventi organizzati dall’IIC di  Buenos Aires, qual è quello che ricorda con particolare emozione e di cui è particolarmente orgogliosa? E perché?
imageDovendo indicare una sola attivita’ tra le tante che mi stanno a cuore svolte in questi due anni e mezzo di direzione, direi che un  progetto di rilevanza internazionale e’ sicuramente ITALIAXXI, che ha come obiettivo il rilancio e la rivitalizzazione delle arti delle scena contemporanea italiana a Buenos Aires, in Argentina e in altri paesi limitrofi. Curato, organizzato e prodotto in stretta collaborazione tra l’Istituto e il Teatro Coliseo, diretto con grande competenza da Elisabetta Riva,  e con la Direzione Generale Spettacolo dal vivo del MIBACT, il progetto, alla sua terza stagione quest’anno, conta su fondi messi a disposizione dallo stesso MIBACT, su sponsorizzazioni e  su fondi propri dell’Istituto, che a sua volta articola alcuni numeri con altre istituzioni in altre citta’ della circoscrizione dove si presentano repliche di alcuni spettacoli, come avviene regolarmente a Cordoba, dove opera l’altro Istituto di Cultura dell’Argentina, a Rosario, grazie all’intervento del Consolato Generale e dei teatri locali, e a Santiago del Cile, in cooperazione con il locale Istituto di Cultura.
Nel corso delle due prime edizioni sono stati presentati piu’ di 25 numeri di musica, danza, opera e teatro, con oltre una sessantina di repliche. Tra i nostri invitati nel 2018 Nicola Piovani, Paolo Fresu, Roy Paci, Stefano Bollani, il Balletto dell’Opera di Roma, Aterballetto, il Sestetto Stradivari, la compagnia di danza contemporanea Zappala’. L’edizione dello scorso anno di ITALIAXXI e’ stata particolarmente ricca, e si e’  svolta non solo sul palcoscenico del Teatro Coliseo, bensi’ anche in articolazione con alcuni dei principali festival internazionali di teatro e  con il Complesso teatrale di Buenos Aires, che raggruppa cinque teatri stabili della Citta’ per un totale di 10 sale, e che ha dedicato all’Italia la sua stagione internazionale 2019. In totale sono  stati presentati 14 numeri tra cui: Macbettu di Alessandro Serra e Moving with Pina di Cristiana Morganti nell’ambito del Festival Internazionale di Buenos Aires (FIBA); la performance Ethica, natura e origine della mente di Romeo Castellucci nell’ambito della Biennale di Performance di Buenos Aires; il concerto del duo Francesco D’Orazio (violino)-Giampaolo Nuti (pianoforte); la prima mondiale del Concerto Verde di Stefano Bollani, con l’Orchestra argentina Tango Sin Fin; il galà lirico del Progetto Fabbrica del Teatro dell’Opera di Roma; il concerto di Mario Brunello con l’Orchestra Kremerata Baltica e il galà di balletto di Daniele Cipriani, Etoiles Italiane nel mondo con la partecipazione di Eleonora Abbagnato nell’ambito del programma Nuova Harmonia del teatro Coliseo. Altra “costola” di ITALIAXXI, come accennato sopra, e’  stata la stagione  teatrale ITALIA IN SCENA,  co-organizzata con il Complesso Teatrale di Buenos Aires, nella quale sono stati presentati altri spettacoli del progetto ITALIAXXI: Occident Express, di e con Ottavia Piccolo; Le Sorelle Macaluso di Emma Dante; la compagnia dei Pupi siciliani di Mimmo Cuticchio con lo spettacolo La pazzia di Orlando; Stefano Bollani con il suo concerto Piano Solo; Virgilio Sieni con i suoi spettacoli Solo Goldberg e Nudita’, quest’ultimo in duo con Mimmo Cuticchio, e con il progetto Cammino Popolare;  progetto Kaos Pirandello di Vincenzo Pirrotta, consistente in 3 giorni di maratona pirandelliana con due spettacoli, L’Uomo dal fiore in bocca, co-prodotto dal Teatro Stabile di Catania, con la regia e l’intepretazione di Vincenzo Pirrotta, e La Sagra del Signore delle Navi, con la regia di Vincenzo Pirrotta e attori e maestranze locali, entrambi preceduti e seguiti da una serie di mini-spettacoli, frammenti di 10 opere del drammaturgo siciliano, andati in scena in simultanea e in loop per un’ora ogni volta in diversi spazi del grande Teatro San Martin. A corredo del progetto teatrale, abbiamo anche presentato la mostra ‘I Pirandello’ curata da Enzo Zappulla (Istituto di storia dello spettacolo siciliano) e Sarah Zappulla Muscarà (Università di Catania). Tutti gli spettacoli hanno avuto una grande ripercussione sulla stampa e sui media in generale e sono stati accolti da un autentico successo di pubblico, rendendoci veramente orgogliose del lavoro svolto. Lavoro che era ricominciato con altri grandi momenti di spettacolo a febbraio di quest’anno, con il lancio della terza stagione di ITALIAXXI all’interno del Festival Internazionale di Buenos Aires,  che ha ospitato la compagnia di Pippo Delbono e la sua opera La gioia e la compagnia Motus con lo spettacolo MDLSX. Presentati rispettivamente sul palcoscenico del Teatro Coliseo e del Teatro San Martin, entrambi gli spettacoli hanno avuto una calorosissima accoglienza di pubblico ed elogi dalla stampa.
La terza stagione di ITALIAXXI, per la quale erano previste altre importanti presenze italiane tra cui  Marco Paolini con lo spettacolo Nel tempo degli dei prodotto dal Teatro Piccolo di Milano, Alessandro Gassmann con la sua regia de Il grande silenzio prodotto dal Teatro Bellini di Napoli, Massimo Quarta e il suo violino in concerto con la locale Orchestra Sinfonica Nazionale,  la danza di Sciarroni e Cosimi, drammaturgie contemporaenee premiate a Riccione e presentate in versione spagnola con la collaborazione del teatro Nacional Cervantes di Buenos Aires, collaborazioni con la Fondazione Cucinelli con concerti per orchestra e coro,  e’ stata bruscamente interrotta a causa della pandemia, e per il momento non e’  ancora prevedibile la sua ripresa in forma presenziale. Siamo state pero’  in grado di organizzare, lo scorso 21 giugno, il concerto della cantante Tosca che in streaming dall’Officina Pasolini di Roma, ha cantato insieme ai suoi musicisti per il pubblico argentino, raggiungendo un record di ascolti sulle nostre reti sociali.

- Ci sono “progetti in cantiere” di cui vorrebbe parlarci?
iic_madridLa rapida riconversione di tutte le attivita’ presenziali in modalita’ online ha implicato la ricerca di nuovi contenuti da proporre al pubblico. In una prima fase , abbiamo ridiffuso contenuti resi disponibili dal nostro Ministero degli Esteri e dal MIBACT, potendo in tal modo sopperire all’improvviso vuoto venutosi a creare con la brusca sospensione della programmazione presenziale quando e’  iniziata la pandemia. Contemporaneamente, abbiamo iniziato a lavorare per produrre autonomamente dei contenuti, mobilitando tutti i contatti in Italia e potendo cosi’ offrire cicli teatrali da noi tradotti e sottotitolati delle opere di Pippo Delbono, mentre stiamo ora allestendo la traduzione e i sottotitoli di un ciclo di opere di Antonio Latella, entrambi progetti sviluppati in collaborazione con il teatro nazionale ERT e il Teatro Coliseo. Con il Teatro Piccolo di Milano stiamo portando avanti un’operazione simile, e contiamo di poter diffondere questi contenuti a partire da settembre.
Ma non ci siamo limitati a questo pur importante lavoro di promozione del teatro italiano attraverso la diffusione di opere gia’  esistenti proposte ora in lingua originale con sottotitoli. Siamo riusciti a produrre contenuti  originali, realizzati a partire da idee scaturite da conversazioni con artisti e responsabii culturali in Italia. Sono cosi’ nati il ciclo dedicato alle Novelle per un anno di Luigi Pirandello, dieci testi interpretati da Vincenzo Pirrotta e introdotti da Sarah Zappulla Muscara’. E il ciclo Immaginario. Antologia del Novecento italiano, in collaborazione con il Teatro Stabile di Catania, 7 racconti di altrettanti autori interpretati da attori del teatro siciliano con la regia televisiva di Andrea Orofino. Immaginario e’  nell’ultima fase di lavorazione (sottotitolatura), e verra’  presentato nelle prossime settimane in una conversazione a distanza con Laura Sicignano, direttrice dello Stabile, e il regista, per poi essere diffuso a cadenza settimanale a partire dal nostro canale Youtube. Produrremo anche una serie di concerti in collaborazione con alcuni festival italiani, dopo la prima positiva esperienza condotta ad inizio luglio, quando dalla Casa del Jazz di Roma abbiamo trasmesso il concerto del duo Javier Girotto/Vince Abbracciante. Ancora nei prossimi mesi sono previsti incontri a distanza con scrittori, e tanto cinema, con omaggi anche a Fellini nel cententario della sua nascita, offerto al pubblico in collaborazione con diverse entita’  con cui collaboriamo al fine di diffondere quanto piu’  possibile i contenuti culturali italiani anche durante la pandemia. Tutti i contentui sono disponibili sul nostro canale YouTube, che si e’  rivelato, cosi’  come le altre reti sociali, uno strumento prezioso per il nostro lavoro. E che prevedo continueremo ad usare ancora per diversi mesi prima di poter tornare ad operare dal vivo, considerata la situazione di emergenza sanitaria nella quale siamo ancora purtroppo immersi.

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OMAGGIO A SEBASTIANO ADDAMO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/07/15/il-giudizio-della-sera-di-sebastiano-addamo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/07/15/il-giudizio-della-sera-di-sebastiano-addamo/#comments Wed, 15 Jul 2020 16:40:29 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=1099 In occasione del ventennale della morte di Sebastiano Addamo (Catania, 18 febbraio 1925 – Catania, 9 luglio 2000) mettiamo in primo piano questo post (con relativo dibattito online) incentrato sull’opera principale dello scrittore catanese: “Il giudizio della sera”

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IL GIUDIZIO DELLA SERA di Sebastiano Addamo

È arduo pensare di riproporre ai lettori di oggi un romanzo uscito senza alcun clamore 35 anni fa. Arduo se non altro perché le novità editoriali sono tante da creare tempeste sui banconi dei librai. Eppure la qualità letteraria di alcuni vecchi libri è tale da giustificare l’azzardo.
Con queste parole Matteo Collura inizia la recensione del romanzo “Il giudizio della sera”, di Sebastiano Addamo (nella foto), ripubblicato da Bompiani nel 2008 a cura di Sarah Zappulla Muscarà (originariamente pubblicato, nel 1974, da Garzanti).
Poi, lo stesso Collura, nella suddetta recensione (pubblicata sul Corriere della Sera del 14 ottobre 2008) conclude: Non è da credere in un successo postumo di questo narratore, che fu preside di liceo e fine intellettuale, ma in una sua giusta collocazione nell’ambito dei valori letterari del secondo Novecento italiano, sì. E va dato atto alla Bompiani di tentarci (…).

Sebastiano Addamo, mio conterraneo, è nato a Catania, nel 1925 e ivi si è spento nel 2000. Non lo so se – riprendo le parole di Collura – il successo postumo arriderà ad Addamo, ma (nel mio piccolo) avverto l’esigenza di fare quanto possibile per divulgare la conoscenza di questo autore e delle sue opere; proprio a partire da questo romanzo: “Il giudizio della sera”.

Sulla nota in quarta di copertina del libro, leggiamo quanto segue: “Narratore, poeta, saggista, Sebastiano Addamo ha percorso un cammino coerente, sostenuto sempre da rigore stilistico e morale. È l’universo siciliano a nutrire l’immaginario dello scrittore, che già pienamente si esprime in questo romanzo di formazione, toccando corde tematiche di grande intensità emotiva: il viaggio di conoscenza reale e simbolico di cinque adolescenti. La Catania di Addamo non è quella “molle e pastosa” che da l’impressione di “camminare in mezzo al sole” di Vitaliano Brancati, né quella aperta sul mare, “luccicante sotto il sole a picco” di Ercole Patti, ma quella misera, squallida, del quartiere della prostituzione, teatro della guerra e del fascismo. Un quartiere che diviene il simbolo del degrado del nostro tempo.”
Vi invito a leggere questo post, e a discutere di questo libro e della figura Sebastiano Addamo, partendo dai contributi che troverete di seguito: la recensione di Laura Marullo (che mi darà una mano a coordinare e a moderare il post), quella – già citata – di Matteo Collura e la prefazione della curatrice del libro: Sarah Zappulla Muscarà.
Inoltre, come sempre, mi piacerebbe avviare una discussione parallela a quella sul libro. Mi colpisce molto il titolo di questo romanzo di Addamo (Il giudizio della sera). Un titolo che – come meglio evidenziato dai contributi a seguire – ha una forte valenza “nicciana”.
A me il giudizio della sera evoca l’immagine di uno specchio in cui ciascuno di noi – volente o nolente – è costretto a guardarsi… alla fine di un giorno della nostra vita, o di un periodo, o di un’esistenza intera.
Vi chiedo di affondare lo sguardo in quello specchio e vi domando (domanda difficilissima): qual è il giudizio della vostra sera?
(chi avrà il coraggio di rispondere?)
E poi (domanda più generica): il giudizio della sera è più un trampolino di lancio o un ostacolo per il giorno (o il periodo) che verrà?
Attendo i vostri contributi.
Massimo Maugeri

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Sebastiano Addamo, “Il giudizio della sera”, a cura di Sarah Zappulla Muscarà, Milano, Bompiani, 2008, pp. 159.

recensione di Laura Marullo


Una deflagrante ansia di annientamento sottende il vitalistico moto di rivolta di cinque adolescenti lentinesi contro la tanatofila “era dei Padri” di una Catania asservita al fascismo e sconciata dal secondo conflitto mondiale nel romanzo di Sebastiano Addamo “Il giudizio della sera”, apparso da Garzanti nel 1974 ed ora pubblicato per i tipi di Bompiani a cura di Sarah Zappulla Muscarà. Un’opera di rilevante interesse nell’ambito della letteratura siciliana di fine secolo per avere indagato, con impietoso mordente demistificatorio, la crisi dei sistemi di valore di una società e di un’intera epoca, la delusione ideologica del Novecento che apre inaspettatamente alla speranza sia pure attraverso la freudiana esperienza, dolorosa ma necessaria, del “parricidio”. Vi riconduce il nicciano titolo che, per il tramite dell’ambigua immediatezza dell’aforisma, forma prediletta perché assiduamente praticata da Addamo, immette nella dimensione dell’attivismo superomistico che invita a superare l’inquietudine esistenziale provocata dalla guerra ed affermare l’esigenza di un radicale rinnovamento etico.
Romanzo di formazione in cui fa incursione l’autobiografia, “Il giudizio della sera” ripercorre il tortuoso itinerario di conoscenza dei giovani protagonisti, Gino, “alter ego” dello scrittore, Pippo, Carletto, Gianni e Morico, in un’avventura vitale alla scoperta del sesso che si contrappone allo scenario di “morte immanente” di cui è espressione il capillare luridume del quartiere a luci rosse di San Berillo, “regno delle prostitute”, dove aleggia “odor di cesso e di piscio di gatto […], odore di putrefazione e di liquami infetti”, funerea metafora del degrado materiale e morale di un “mondo borghese che ancora non sapeva di contemplare la propria morte”. Come sottolinea la curatrice nel lucido saggio introduttivo, “l’istintualità esuberante, il febbrile desiderio di sperimentazione fortemente collide con la sempre più stagnante, fatiscente, truce atmosfera cittadina soffocata dal giogo del fascismo e della guerra”. Immersa nel torpore e nell’indolenza, la “vecchia siciliana malinconia della morte e del disfacimento”, in quell’oblomovismo che afferma l’esistere astenendosi dall’agire, la Catania di Addamo, materica più che immaginifica, esibisce i sintomi di quella letale “malattia che era la guerra” già impressi sui volti di un’umanità derelitta, di esseri disperati preda di un’ancestrale inedia, in cui la reificazione e la mercificazione sanciscono l’alienazione e l’angoscia del nulla. Ne emerge un’antropologia negativa, ritratta con cruda deformazione espressionistica ma sempre con forte partecipazione emotiva, in cui orde fameliche di prostitute sciamano, lasciando echi lugubri e perverse, lungo le vie del sesso, via delle Finanze, via Coppola, via Di Prima, via di Sangiuliano, imbrattate di quel “vasto putrescente addobbo escrementizio” che è a un tempo simbolo e rifiuto della guerra: “Tutto divenne guerra. […] Sopravvenne l’odore di piscio. Inopinatamente, senza alcun preavviso, dilagò, s’impose, si impossessò della città. […] La guerra dilagò con tale odore”. È una ferale sociologia degli odori quella di cui si serve Addamo per mostrare le ferite suppuranti di una città ammorbata e ribadire il suo atto di accusa nei confronti delle distorsioni del potere e dell’abiezione della guerra. Ma la guerra, osserva acutamente Sarah Zappulla Muscarà, “non è quella di lunghe, inespugnabili trincee, di mirabolanti avanzate, di manovre vittoriose propagandate da mendaci bollettini del regime. […] È quella delle ‘carte da lutto’ affisse alle porte delle vedove ridotte alla prostituzione, dei volti sformati, disperati di creature forsennate”.
Accentuando una disposizione analitica favorita dal fertile humus di Lentini, patria di Gorgia, Sebastiano Addamo, “poeta-pensatore” come non a caso lo definì Leonardo Sciascia cui lo unì una comunione d’intenti letterari ed esistenziali, l’impegno civile, la tensione morale, il pessimismo ontologico, armato degli strumenti della riflessione filosofica, evidenti in un tessuto narrativo intramato da un fitto citazionismo puntualmente decriptato dalla curatrice che ne individua la fonte nell’opera di Kirkegaard, Schopenhauer, Nietzsche, Freud, Heidegger, Husserl, Sartre, fra gli altri, ingaggia una strenua lotta di liberazione da tutte le forme di ipocrisia sulle quali ha allignato la civiltà occidentale e la cultura meridionale. Lo documenta la dissacrazione di archetipi a falsi miti di cui è sconcertante metafora l’insano amplesso del giovane Gino con la degenere, laida figura materna della padrona della squallida pensione e infine lo scenario apocalittico del bombardamento aereo su Catania che traduce l’attesa palingenetica di un mondo migliore da quello consegnato dai Padri.
L’ironia provocatoria, il raziocinare pensoso, il moralismo risentito, innervano un impianto narrativo sdoppiato nei piani paralleli della memoria e della riflessione, destrutturando la tradizionale forma romanzesca mediante l’intervento di “chiose spiegative” che, come un manzoniano “cantuccio dell’autore”, danno voce al grido di protesta di quei “chierici traditi”, quegli intellettuali ai quali, ribadisce lo scrittore, bisogna “guardare per sapere quale è la posizione più utile”.
Sospinto da un sentimento di “laica trascendenza” che miri alla rivelazione dell’“oltre” a partire dall’oscurità in cui vive l’uomo moderno in seguito al crepuscolo degli idoli, come il nicciano viandante con la lanterna in mano, Sebastiano Addamo stana, lumeggiandola con i lampi della sua scrittura, la scotofilia di anonimi piccolo-borghesi, sempre animato dal raggiungimento di un superiore imperativo etico che dà corpo alla cifra stilistica di tutta l’opera sua.
Laura Marullo

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Addamo, la Sicilia come filosofia

di Matteo Collura

da il Corriere della Sera del 14-8-2008

È arduo pensare di riproporre ai lettori di oggi un romanzo uscito senza alcun clamore 35 anni fa. Arduo se non altro perché le novità editoriali sono tante da creare tempeste sui banconi dei librai. Eppure la qualità letteraria di alcuni vecchi libri è tale da giustificare l’ azzardo. È il caso del breve romanzo di Sebastiano Addamo dal bel titolo Il giudizio della sera, pubblicato da Garzanti nel 1974 e ora ristampato da Bompiani (pp. 159, 8,60), con una nota critica di Sarah Zappulla Muscarà, cui certamente si deve la riproposta. Addamo racconta di una comunità siciliana negli anni della Seconda guerra mondiale vista con gli occhi di alcuni adolescenti. Una sorta di romanzo di formazione, dove prevale l’ abilità narrativa, senza eccessivi ricami e tuttavia complessa, piena, fortemente evocativa e in grado di restituire il senso di un momento storico in quel particolare luogo, Catania. Niente a che vedere – sia ben chiaro – con Brancati o con Ercole Patti o con Vittorini (e facciamo questi nomi perché il luogo di cui Addamo racconta è una città della Sicilia orientale e perché nella scoperta del sesso, evento centrale nel romanzo, si potrebbe pensare al Garofano rosso); niente a che vedere altresì con i narratori siciliani oggi più presenti nell’ attenzione dei lettori e della critica. Con questo romanzo, Sebastiano Addamo riesce a dare – ecco giustificata appieno la scelta della casa editrice Bompiani – un ritratto primigenio dell’ isola e nello stesso tempo attuale: di una attualità chiarificatrice per chi vuol darsi la pena di capire la patria di Gorgia e di Pirandello, oltre che gustarla nel suo sconcertante esotismo. In questo romanzo troverete inserti o pause esplicative non dico indispensabili, ma certamente utili a meglio comprendere la contorta filosofia siciliana, mostrandola nelle sue semplici impalcature primitive. Un esempio: «Al mio paese, ma in molti paesi, e specie del Sud e della Sicilia, come c’ era un fascismo d’ accatto, miserabile, fatuo e minchionesco, così c’ era un’ opposizione pure d’ accatto, molto misteriosa, quasi inutile, risentita, e sia pure onesta. Ma come il marxismo fu la coscienza del proletariato e diventò la coscienza per la stessa borghesia – il neocapitalismo cosiddetto che cosa è, se non appropriazione e uso del marxismo ma nel senso contrario? -, così, all’ inverso, un sistema ridicolo e imbelle produce un’ opposizione se non ridicola certo imbelle». O ancora: «Nella prevalenza della natura c’ è esattamente il limite della storia. Forse per questo la Sicilia sta ancora attendendo la “sua” storia». Ecco, forse Corrado Alvaro può andar bene se proprio si vogliono trovare apparentamenti all’ autore del Giudizio della sera, o Sebastiano Aglianò, cui dobbiamo la sempre utile inchiesta rudemente intitolata Che cos’ è questa Sicilia?. Anche se nella descrizione delle plebi catanesi e delle prostitute sospinte nel baratro dell’ abiezione si coglie una luciferina cifra narrativa che potrebbe far pensare a Curzio Malaparte. Ma Addamo – e si vedrà meglio se altri suoi libri verranno riproposti – ha lasciato una sua personale impronta letteraria. Alcuni suoi titoli vanno ricordati: Un uomo fidato, 1978; I mandarini calvi, 1978; I chierici traditi, 1978; Le abitudini e l’ assenza, 1982, Palinsesti borghesi, 1987. Carlo Bo, esattamente trent’ anni fa, annotava: «Addamo è uno scrittore che aspetta ancora il suo momento, un momento che forse non verrà mai, data la natura del giuoco letterario predominante e dato anche il carattere estremamente riservato dello scrittore». Non è da credere in un successo postumo di questo narratore, che fu preside di liceo e fine intellettuale, ma in una sua giusta collocazione nell’ ambito dei valori letterari del secondo Novecento italiano, sì. E va dato atto alla Bompiani di tentarci, così come sta facendo con altri autori per fortuna tra noi, come Giuseppe Bonaviri di cui sono appena usciti i racconti fantastici raccolti sotto il titolo L’ infinito lunare (p. 288, 9,20).
Matteo Collura

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Come i neofiti dell’oscuro
di Sarah Zappulla Muscarà

Il giudizio della sera. Chi ripensa all’opera della sua giornata e della sua vita, quando è arrivato stanco alla fine, giunge di solito ad una malinconica considerazione: tuttavia la colpa di ciò non sta nel giorno e nella vita, bensì nella stanchezza. Immersi nell’attività, non abbiamo di solito il tempo per esprimere giudizi sulla vita e sull’esistenza, e neppure quando siamo nel pieno del godimento: ma se una volta arriviamo a far ciò, non diamo più ragione a colui che ha aspettato il settimo giorno e il riposo per trovare molto bello tutto ciò che esiste, – egli ha perduto il momento migliore”. Così Friedrich Nietzsche con la frantumazione, l’ambiguità, l’immediatezza dell’intuizione dell’aforisma che è, osserva Sebastiano Addamo, “come il lampo nella notte: la illumina vivissimamente, ma subito dopo rende il buio più denso e compatto”.
Dettato da acre riflessione critica sulla condizione della società italiana sconvolta dalla drammaticità degli eventi bellici del secondo conflitto mondiale, dall’esigenza di fornire una risposta all’angoscia nichilista e all’inquietudine esistenziale scaturite dal disfacimento etico, ideologico e religioso dell’Occidente, metafora della negazione della cultura dei padri, dell’alienazione e della reificazione, Il giudizio della sera (apparso per la prima volta nel 1974, per i tipi di Garzanti) è dolente allegoria della variegata fenomenologia umana contemporanea sospesa in perpetuo travaglio tra bene e male, luce e buio, slancio vitale e meditazione sul nulla. Una dialettica di antinomie tesa a superare il pessimismo, il male di vivere, la crisi del potere con i suoi frutti avvelenati, per affermare l’esigenza di un radicale rinnovamento, di un energico ribaltamento di valori, contrapporre con Albert Camus al mito di Sisifo l’uomo in rivolta, addomesticare l’“assurdo”, sancire la fine di un’epoca e il palesarsi di un’altra. Per non perdere “il momento migliore”. Fosse pure quello del “parricidio”.
Sorretto da salda cultura filosofica e letteraria, lucida, cartesiana razionalità, sfiduciata visione del mondo, Sebastiano Addamo, d’impervia e contratta malinconia, ripercorre, con occhi invasi di smagato, irredimibile risentimento, il viaggio di conoscenza reale e simbolico di cinque adolescenti siciliani, braccati dai demoni di una città e di un presente di illusori miraggi, che si traduce in una vera e propria discesa agli inferi.
Al Bildungsroman, romanzo di formazione e generazionale, in Il giudizio della sera si affianca, in termini manifesti, la prospettiva dell’autobiografia. Gino, alter ego dello scrittore, Pippo, Carletto, Gianni, e Morico, abbandonata Lentini per seguire gli studi liceali a Catania, avviano un tortuoso processo di crescita attraverso l’impatto con le due traumatiche esperienze della sessualità e della guerra.
Stagliata sullo sfondo delle tiepide atmosfere serotine di un “ridolente autunno”, immota nel pantano di un’atavica, secolare ignavia, sonnecchiante in “quel tempo friabile”, in quella vita “eterna”, ingannata dalle menzogne del fascismo, oltraggiata dalla crescente miseria, violata dalle bombe, Catania, dapprima “tenera e profonda”, poi “tetra e raggomitolata”, è teatro del rituale di morte e risurrezione di una cultura e di una società, scenario apocalittico di una “laica Pasqua” (Vincenzo Consolo), di un canto del cigno di quel “mondo borghese che ancora non sapeva di contemplare la propria morte”. Quel “mondo borghese” che s’accampa con insistenza opaco nella narrativa successiva dello scrittore, da Un uomo fidato a I mandarini calvi a Palinsesti borghesi.
L’istintualità esuberante, l’ebbrezza dionisiaca, il febbrile desiderio di sperimentazione dei giovani protagonisti fortemente collide con la sempre più stagnante, fatiscente, truce atmosfera cittadina soffocata dal giogo del fascismo e della guerra, segnata dal degrado materiale e morale. Ma è un mesto picarismo la brama di conoscenza filtrata dalla spasmodica ricerca del sesso. Alle scorribande notturne, alle ricognizioni fugaci, ai primi acerbi approcci si alternano malinconiche riflessioni, enigmatici dubbi, dilanianti interrogativi da cui erompe l’aspirazione al cambiamento che si fa rabbia, l’energia distruttrice che si fa ribellione, l’apertura alla speranza che si fa attesa palingenetica. La storia “è solo un’occasione, che si tratta di rendere feconda con una rivolta vigile”, ancora con Camus. È il cruento trapasso generazionale dall’“era dei Padri” all’“età del parricidio”. L’acquisizione della maturità – “imparare il mondo” – di Gino si consuma infatti tra le macerie di una umanità corrotta e corruttrice, sotto un bombardamento che si traduce in atto di accusa di ogni totalitarismo familiare, politico, etico, dando corpo all’angoscia di annientamento sottesa al tragico sentimento della “morte immanente”.
Scaturita dall’incandescente rovello filosofico sul disagio della civiltà conseguente alla crisi dei sistemi di valore, l’analitica esistenziale di Addamo, nel solco del pensiero di autori a lui cari, Kierkegaard, Schopenhauer, Nietzsche, Freud, Heidegger, Husserl, Sartre, fra i principali, ma pure intrisa della linfa della consuetudine mediterranea alla riflessione, si dispiega in termini demistificanti. Una demistificazione di pregiudizievoli, vetusti retaggi culturali finalizzata alla conquista del senso autentico dell’individualità al di là di ogni pastoia. È la “lacerazione del velo di Maya” di cui parla Schopenhauer, la necessità di sollevare la spessa coltre di inibizioni, districare l’intricata tramatura di falsi miti che bloccano, mortificandone lo spirito dionisiaco, le pulsioni vitali e la tensione conoscitiva verso l’essenza più profonda dell’uomo.
Si dipana nei meandri della geografia dell’“oscuro” l’itinerario gnoseologico tracciato dall’autore secondo cui l’uomo è “origine e nulla” e la contemporaneità “il luogo per ogni anacronismo”. In un’epoca lacerata dal nicciano grido “Dio è morto”, compito dello scrittore non è “tranquillizzare”, bensì “inquietare”, scuotere dal torpore di metafisiche certezze, ma soprattutto, “contaminandosi con la laidezza quotidiana, fraternamente coinvolta nella rissa giornaliera degli uomini”, rivelare “l’oscurità che è nell’uomo, nei suoi gesti, nel suo tessuto emozionale” e restituire infine “la vigile inquietudine per una realtà altra”. In precario equilibrio sull’incerto discrimine fra narrazione realista e saggio filosofico, percorso da un sentimento di “laica trascendenza”, Il giudizio della sera è animato da quella spinta verso l’“oltre” che è a un tempo deiezione del principio heideggeriano dell’“essere” e dolorosa coscienza del nulla, dell’“essere-per-la-morte”.
Acuita da vigile percezione sensoriale, l’attività euristica dei giovani adolescenti approda alla sinistra consapevolezza del potere “nientificante” della morte. È soprattutto l’odorato ad incidere più profondamente nella sfera psichica penetrando fino alle radici della vita. “Il naso, che è veicolo o tramite” presiede infatti alla scoperta dell’orrore per la condizione stessa dell’esistere. Agente di un processo di trasferimento di senso che rinvia a precisi significati metaforici, l’odore acquista un’importanza primaria nel modello di scepsi delineato da Addamo, che scoperchia il maleodorante quartiere di San Berillo, dove aleggia “odor di cesso e di piscio di gatto”, “odore di putrefazione e di liquami infetti”. L’odore tristo, fetido, turpe, individua “l’evento”, eccita gli impulsi sessuali, palesa la guerra. Ne guizzano funebri lampi di “cedimento, corruzione, abominio, disordine e talvolta anche rivolta” (Oltre le figure). Il puzzo, che già con Dante “’l profondo abisso gitta”, è sublimazione di “terrori senza speranza”. Evoca “l’oscuro, l’infero”. Certifica il decesso. È l’“olor de la muerte” di Ernest Hemingway. Ha valenza teologica, testimoniando il “giudizio di Dio”, secondo Fedor Dostoevskij.
Un nauseabondo, funereo lezzo di decomposizione soffia nel quartiere di San Berillo, “regno delle prostitute”, “vecchie, giovani, scarmigliate e feroci”, “melma oscena, tenebrosa e virulenta di un torrente che però […] nasceva certo dall’Es singhiozzante e spasmodico, ma certo pure dal mondo stesso dove la merce governa più che esservi governata”. Labirinto che si accende nell’oscurità diramandosi in vicoli bui, sordidi, disfatti, via delle Finanze, via Coppola, via Maddem, via Di Prima, via Rapisarda, via di Sangiuliano, pullulanti di protettori, ruffiani, deboli, perdenti, deturpati da immedicabili ferite, ammorbati dalla miseria, dal fetore, dal disordine. “Prima forma di baratto” la prostituzione, secondo l’annotazione di Carl Marx, posta in epigrafe al romanzo. E Walter Benjamin: “L’ambiente oggettivo degli uomini assume sempre più scopertamente la fisionomia della merce”. Fedele all’istanza lukacsiana dell’arte come “rispecchiamento”, Addamo denuncia, con l’incedere serpeggiante della corruzione, la mercificazione, l’alienazione, le distorsioni della logica capitalistica che, come avverte Alain Robbe-Grillet, conducono alla progressiva reificazione ed eclisse della persona di fronte al predominio acquisito, per contro, dalle cose. E così se le “puttane” divengono “oggetti, merce, e mezzi di merce”, gli aranceti, immagine della conquista della verghiana “roba” da parte dei contadini proletari, ma pure “ruolo”, “status”, “filosofia e visione della vita”, perdono l’attributo di prodotti trasfigurandosi in “esseri vivi e volitivi”, in venerati “feticci”, l’odore del loro succo in odore di “sangue, odore di fatiche e di miseria”.
All’universo derelitto, emarginato delle prostitute l’autore guarda con scettico disincanto e implicazione empatica, sempre tuttavia con tormentato sentimento della tragicità della vita e della morte. Quello stesso sotteso alla descrizione, permeata di plastica sensibilità pittorica, della Visita di Henri de Toulouse-Lautrec nel racconto Lo zio Isidoro, confluito nella silloge Palinsesti borghesi: “Le solite puttane che il mostriciattolo sapeva raccogliere. Le puttane stavano con la veste rialzata in attesa della visita periodica: i volti guardai, ma soprattutto le pance delle due donne, dove niente dava adito alla pietà […] e nemmeno all’orrore, ma c’era la giovinezza e la vecchiaia, la ferocia di quel volto di ragazza che non guardava verso nessuna parte sicura soltanto di sé, la sua pancia tesa e tonda come un cocomero che a passarci l’unghia si spacca; e la fine di tutto segnata sull’altro volto, la fine di tutto segnata da quella pancia che sbandava da tutti i lati, la stanchezza d’una memoria che non ha più orizzonti”. Una bruciante pietas, una teologia negativa, in cui l’autore si carica del dramma dell’uomo orfano di Dio, promana dalla pagina di Addamo: “una pietà anche eccessiva vale sempre più della crudeltà assoluta”. Scrive Fedor Dostoevskij: “Uomo, uomo, non si può vivere del tutto senza pietà”. E Georges Rouault, a proposito della potente bellezza che trasuda dalla feroce crudezza del polittico dell’Altare di Isenheim: “Per rifare il terribile crocifisso di Matthias Grünewald, che con le sue mani contratte, i piedi torti, rattrappiti, fa piegare la croce, per rinnovare il dramma in una parola, bisognerebbe avere ancora in cuore una fede simile alla sua”.
Persuaso con Leonardo Sciascia che la letteratura è “luogo di svelamento della realtà anche morale”, in linea con il principio dell’“ethos della scrittura”, cifra di tutta l’opera sua, Sebastiano Addamo, dinnanzi alla decadenza della carne e all’abbrutimento morale, si fa veemente difensore del valore supremo della dignità: “Soltanto avanti negli anni avrei imparato che anche una puttana fa parte della razza umana, ed è questa a secernere se stessa e il proprio contrario, secerne bile e amore e sventura; il terrore e i sogni; la spada e l’ostensorio; il male e il bene; secerne anche dignità, e perciò essa – la dignità – si può trovare dappertutto, innocente sempre e sempre colpevole in ogni luogo”. Con tassativa asciuttezza, ne La metafora dietro a noi: “È il vuoto. L’assenza dell’assenza” la condizione del suo esistere. Anche Pierre-Joseph Proudhon addita nella prostituzione “il sacrificio della dignità umana all’egoismo, alla cupidigia, all’orgoglio, al piacere, a tutte le seduzioni inferiori”. Oggetto di divagazioni oniriche, di “voglie oscure e trepidanti”, di malsana sessualità, le prostitute assurgono ad emblema del “tragico dilemma esistenziale” del catanese: il sesso “dispotico e aspro”, freudiano principio del piacere in cui sembra consistere l’essenza della vita, perseguito con accanimento, voracità, avidità e al contempo velato di malinconie repentine, ansie funeste, “sensi di colpa”, “ancestrale memoria di madri e alvei”, come pure di deterrenti icone di santi. Con la secca perentorietà di quello stile aforistico prediletto da Addamo, Nietzsche annota: “Il cristianesimo, col suo disprezzo del mondo, ha fatto dell’ignoranza una virtù, l’innocenza cristiana, forse perché il più frequente risultato di questa innocenza è […] il senso della colpa”. “Il sesso e l’utilizzo dei suoi strumenti non sono che il compenso del vuoto dell’inedia, della solitudine”, chiosa lo scrittore. Desiderio di morte dietro cui si cela il perenne bisogno di un appagamento che la realtà non può offrire. Irrisione di falsi pudori, stanco filisteismo, l’insano, dissacratore amplesso del giovane Gino con la laida figura materna della padrona infrange archetipi e tabù nel furore iconoclasta che investe istituti familiari e religiosi.
L’atmosfera del romanzo alterna all’iniziale vago senso d’allegrezza, esplicitato attraverso la descrizione dei luoghi “asettici” di via Etnea, con le scintillanti cupole dei Minoriti, della Collegiata, del Duomo, da cui promana il “rumore pulsante della vita”, viale XX Settembre, avvolto da un “silenzio pulito ed elegante”, da una “calma lunga e sicura che si diradava all’intorno come zagara”, il presagio minaccioso, lugubre, ferale della “fine”. Sono, ancora una volta, empiristiche sensazioni, primordiali rielaborazioni dell’esperienza sensibile, di cui l’autore si serve per liberare la ragione da ogni passiva acquiescenza alla tradizione e ad ogni autorità, a veicolare i segni della diffusione, sempre più invasiva, nella vita quotidiana di quella letale “malattia che era la guerra”. Catania come Orano de La Peste di Camus è infettata da un morbo funesto di cui è sintomatico l’afrore del capillare luridume che assedia la città: “Tutto divenne guerra. […] Sopravvenne l’odore di piscio. Inopinatamente, senza alcun preavviso, dilagò, s’impose, si impossessò della città. […] La guerra dilagò con tale odore”. Con Aristotele: “Nihil in intellectu quod prius non fuit in sensu”. E in rapida escalation “dopo l’urina venne la merda”. Ma “l’analità” costituisce a un tempo simbolo e rifiuto della guerra: “lasciti immondi e impuri […] densi quasi di una ideologia […], incaricati – nella loro degradante inerzia di degradazione – d’una speranza che a nessuno era chiara”.
La guerra non è quella di lunghe, inespugnabili trincee, di mirabolanti avanzate, di manovre vittoriose propagandate dai mendaci bollettini del regime. È quella dei marciapiedi imbrattati di un “vasto putrescente addobbo escrementizio”, delle “carte da lutto” affisse alle porte delle vedove ridotte alla prostituzione, dei volti sformati, disperati di creature forsennate. È monito contro l’asservimento al potere, contro la falsificazione della realtà. Per Leone Tolstoj: “la storia sarebbe una gran bella cosa, se solo fosse vera”. Ha radici lontane nel tempo la guerra, è la lotta verghiana per la sopravvivenza, ricerca affannosa di cibo, pugnace desiderio di primitività. Il vero nemico da sconfiggere “la vecchia sorella fame”.
L’amaro disincanto dell’autore nei confronti della storia, “luogo dell’inesistente”, è ferma condanna dell’immobilismo, del trasformismo della politica siciliana. Il ritardo e la diversità s’intitola significativamente la lettera che Sebastiano Addamo indirizza a Pier Paolo Pasolini, dalle pagine della rivista “Nuovi Argomenti” (poi ne I chierici traditi), sottolineando tuttavia in tale binomio una rivendicazione di alterità, il segno peculiare del vivere in Sicilia. La “Sicilia afosa, calda, luminosa, ma dove la troppa luce – abbacina, stordisce, macera […] – diventa spesso densa e oscura nube di scirocco”, generando “una specie di alterazione ottica” secondo cui “le polemiche arrivano già quasi scontate, i clamori attutiti, quasi spenti, chiusi in una soffice nebbia, rarefatti, remoti e quasi incredibili”, dove perciò “il ritardo non sempre implica negatività, ma quasi sempre implica ‘diversità’”. L’isola, dove “l’unica cosa che veramente si muove è la terra quando distrugge il Belice o sono gli emigranti”, ribadisce con forza lo scrittore nel romanzo, “sta ancora attendendo la ‘sua’ storia”.
Con lento ma affilato bisturi, Addamo scava solitudini, piaghe, attossicamenti, intramando all’asprezza del giudizio morale i toni di una smorzata ironia. Alla scrittura il compito di ‘sublimare’ il bottino di sofferenze lasciato dalla guerra. Ma la scrittura, avverte, “può valere non tanto ad accreditare fede nella parola, bensì a tener conto della sua disperata impotenza” (Vittorini e la narrativa siciliana contemporanea). Di fronte alla sofferenza e alla morte la parola si assottiglia, si radicalizza, diviene lamento. O urlo d’inesprimibile dolore. Come quello di Edvard Munch. E infine silenzio: “Il silenzio comincia a essere l’unico modo di parlare, lo spazio del soggetto si restringe, la parola come espressione di reagire e modo di solidarietà, si spezza. Le ragioni dell’individuo collimano con l’afasia” (Oltre le figure).
Moderno aruspice dello scacco storico del nostro tempo, con prosa scettica, a tratti barocca, d’indignata razionalità nelle zone parenetiche, l’autore de Il giudizio della sera, innestandosi in una illustre tradizione siciliana di realismo, se ne discosta in virtù di un’aggressiva dilatazione espressionista che forza il dato reale caricandolo di significati che sfiorano il simbolo. Una galleria di squallidi ritratti di una società in putrefazione accoglie maschere raccapriccianti, dalle sconciature fisiognomiche, dai profili slabbrati, dalle devastazioni crudeli. E sono seni che divengono “otri spenti”, o “molli globi dove le vene azzurre si frastagliavano, quasi la carne si fosse assottigliata sotto quei vermi lunghi che la ingoiavano”, corpi trasfigurati in sacchi pieni di “ossa ammassate e lacerate” o in “carne malata”.
Di forte valenza evocativa la scala cromatica della tavolozza di Addamo. Come la pittura di Renato Guttuso in cui taluni giardini del pittore di Bagheria, intrisi di “serena mestizia”, “celano e svelano nel loro tripudio la vecchia siciliana malinconia della morte e del disfacimento”. L’armonia coloristica di stampo mediterraneo, con le “accese policromie del carretto”, con il “rosso e il giallo dell’arancia, il verde lucente delle sue foglie, oltre al turchino del cielo e del mare”, si spegne nella fredda monocromia dei toni del grigio che appannano la vista come il grigio del fumo derivante dalla deflagrazione delle bombe. Un fumo grigio era, non a caso, l’originario titolo del romanzo.
È la Sicilia a nutrire l’immaginario di Sebastiano Addamo. La sua Catania non è tuttavia quella “città sdraiata a terra, peggio: coricata a terra!”, la cui aria “molle e pastosa” dà l’impressione di “camminare in mezzo al miele”, di Vitaliano Brancati, né quella aperta sul mare, “luccicante sotto il sole a picco”, su cui volano “gabbiani roteanti”, “calma e accogliente” di Ercole Patti. Ma non appare, d’altra parte, la luce della Sicilia ai suoi scrittori soltanto in apparenza dispiegata solarità, costantemente insidiata com’è dalla tenebra? Essa stessa lutto? La luce e il lutto intitola Gesualdo Bufalino una raccolta di articoli che ci restituiscono le due facce contrastanti, ossimoriche dell’isola. Come i “neofiti dell’oscuro” fra bagliori di luce nelle tenebre della notte (Il giro della vite).

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(post pubblicato originariamente il 22 settembre 2009)

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]]> http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/07/15/il-giudizio-della-sera-di-sebastiano-addamo/feed/ 190 OMAGGIO A LEONARDO SCIASCIA (e al crollo del Muro di Berlino) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/11/18/muro-e-sciascia/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/11/18/muro-e-sciascia/#comments Mon, 18 Nov 2019 15:57:11 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=1304 30 ANNI SENZA MURO, 30 ANNI SENZA SCIASCIA

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Nel novembre del 2009 pubblicai il post che potete leggere di seguito, unendo due ricorrenze molto importanti.

La prima (come scrissi nel post in questione) riguardava un evento epocale, uno dei più importanti della storia recente: il crollo del Muro di Berlino, avvenuto il 9 novembre del 1989 (la ricorrenza del trentennale è stata celebrata qualche giorno fa).

La seconda segnava l’anniversario della morte di un grande della nostra letteratura, che si celebrerà tra un paio di giorni: Leonardo Sciascia (scomparso il 20 novembre del 1989).

Vi ripropongo il post in questione.

Massimo Maugeri

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sciascia-muro-berlino1Ci voglio provare. Voglio provare a unire due ricorrenze che si incrociano in questo mese di novembre dell’anno 2009.
La prima riguarda un evento epocale, uno dei più importanti della storia recente: il crollo del Muro di Berlino (avvenuto il 9 novembre di vent’anni fa).
La seconda segna il ventennale della morte di un grande della nostra letteratura: Leonardo Sciascia (scomparso il 20 novembre del 1989).
Due eventi collegati dal decorso di due decadi, ma non solo (in un modo o nell’altro, sia Sciascia, sia la caduta di quel muro, hanno contribuito all’abbattimento di barriere).

Sciascia morì undici giorni dopo la caduta del muro di Berlino. Mi chiedo se ebbe il tempo (e la possibilità) di ragionare con il dovuto grado di analisi sulla portata storica dell’evento. Un evento che riunificava una città (Berlino), una nazione (la Germania), un continente (l’Europa) segnati da una piaga profonda e dolorosa.
Un evento che avrebbe rivoluzionato gli equilibri geopolitici del pianeta.
Vi domando…
Che effetto vi fa, oggi, ripensare alla caduta del Muro di Berlino?
Cosa pensaste – e provaste – quel giorno?
Le speranze che ne conseguirono, fino a che punto si sono tramutate in realtà? Quali, tra queste speranze, sono rimaste disattese?


Di seguito, alcuni video… (vi invito a riportate citazioni e contributi di qualunque tipo su questo evento). Nel corso della discussione ne approfitterò anche per presentarvi un doppio sogno che lega Europa e Letteratura…

E poi vi invito a ricordare Leonardo Sciascia (riportate pure citazioni e contributi a lui dedicati).

Anche in questo caso vi (pro)pongo alcune domande…

Qual è, a vostro avviso, l’eredità principale che ha lasciato Sciascia?

Tra le sue opere, qual è quella che preferite?

E quella che – a prescindere dalle preferenze personali – considerate la più importante?

Quale libro di Sciascia proporreste a un/a ragazzo/a che non lo ha mai letto?

Tra i video disponibili ho scelto questo (sul “rapporto tra democrazia e assolutismi”;  in coda al post ne troverete un altro su “la Sicilia come metafora”).

Di seguito segnalerò alcune pubblicazioni, in tema con questo post… tra cui il volume “Sciascia e la cultura spagnola” (Edizioni La Cantinella) di Estela Gonzàlez de Sande – di seguito recensito da Laura Marullo – e l’audiolibro di “A ciascuno il suo” (Il Narratore audiolibri) di Leonardo Sciascia. Ma è possibile che questa sezione verrà aggiornata nel corso della settimana. Non è esclusa, inoltre, la partecipazione di ospiti speciali.
Massimo Maugeri

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«Leonardo Sciascia e la cultura spagnola» di Estela González De Sande
Hispanidad ovvero sicilitudine

di Laura Marullo

sciascia-e-letteratura-spagnola“Avevo la Spagna nel cuore” scriveva Leonardo Sciascia confessando, con inconsueto slancio emotivo, una bruciante passione per quel luogo dell’anima e “morada de la vida”, in cui “hispanidad” fa rima con “sicilitudine”, considerato non a caso rifrazione speculare della Sicilia, poiché “se la Spagna è, come qualcuno ha detto, più che una nazione un modo di essere, è un modo di essere anche la Sicilia; e il più vicino che si possa immaginare al modo di essere spagnolo”. L’amore di Sciascia per la Spagna è oggetto dell’interessante volume di Estela González De Sande, “Leonardo Sciascia e la cultura spagnola”, edito da la Cantinella con introduzione di Sarah Zappulla Muscarà e fotografie di Giuseppe Leone (pp. 240), che registra puntualmente gli innumerevoli segni di un sentimento che si colora di svariate sfumature, trascorrendo dalla “fraternità” intellettuale alla passione civile alla denuncia del dolore umano, cementato da esperienze storiche e letterarie di cui è traccia nell’affollato citazionismo di un autore che ha fatto del “riscrivere” la sua cifra poetica.
Seppure meno nota rispetto alla discendenza francese, l’influenza della cultura spagnola è parimenti fondamentale nella formazione umana e intellettuale di Sciascia, offrendogli più efficaci strumenti per quella ricerca della “verità” costantemente al centro del suo impegno di uomo e di scrittore. Lo documenta l’analisi comparativa di Estela González De Sande, Docente di Lingua e Letteratura Italiane nell’Università di Oviedo (Spagna) che a Sciascia ha dedicato importanti contributi, avviando una ricognizione capillare dell’opera del racalmutese di cui rubrica il dialogo ininterrotto con una cultura consustanziale a quella siciliana che risuona degli echi di antiche affinità elettive.
Suddiviso in due parti, la prima dedicata alla conoscenza della storia, della lingua, delle tradizioni, dell’arte spagnole e la seconda rivolta all’individuazione della pervasiva presenza della letteratura spagnola nella produzione dello scrittore siciliano, l’itinerario critico della studiosa getta fasci di luce su questioni cruciali dell’esegesi sciasciana, dimostrando come la specola ispanica nutra istanze letterarie, ideologiche, morali che l’autore sottopone a verifica proprio nell’approcciarsi alla Spagna, modello gnoseologico, mitico, interpretativo, cui rivolgerà sempre un culto devoto.
È infatti dall’Inquisizione come dalla guerra di Spagna che scaturisce il suo atto d’accusa nei confronti dell’impostura della storia, mentre la lezione dei grandi classici ne sostanzia il disincantato raziocinare: Cervantes col suo “libro unico” che dà “la gioia delle illusioni”, Ortega y Gasset da cui apprende la “capacità di spiegare tutto, di chiarire”, Castro riconosciuto “tra i pochi e i buoni maestri che ho avuto”, Azaña di cui ammira “ragione e diritto nella lotta”. E ancora, fra i numerosi altri, Unamuno e il suo razionalismo angosciato, la “splendida pleiade della generazione del ‘27″, e infine Borges, “lo scrittore più significativo del nostro tempo, delle nostre vertigini”, e l’amico Montalbán.
Uno “straordinario viaggio di conoscenza”, per usare la felice immagine di Sarah Zappulla Muscarà che sottolinea come la scoperta della Spagna, “corteggiata con lucida passione dall’innamorato Sciascia”, faccia prevalere, “come un primo amore intenso e disperato”, una componente emozionale tenacemente controllata dalla vigile attività censoria della controparte illumista.
Entelechia di una appassionata storia d’amore, le splendide immagini di Giuseppe Leone, l’amico fotografo che ha accompagnato Sciascia nel suo viaggio in terra iberica del 1984, restituiscono, nella duplice identità documentaria e narrativa, la singolare esperienza viatoria del partire per restare, per meglio conoscere, attraverso la Spagna, la Sicilia.
Laura Marullo
Da LA SICILIA del 7 giugno 2009

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Leonardo Sciascia – A ciascuno il suo
Audiolibro
Voce narrante: Massimo Malucelli
Durata: 4h 19’
Prezzo CDMP3: 19.99 €

aciascunoilsuo_cdowIn occasione del ventesimo anniversario della morte del grande scrittore e intellettuale siciliano, il Narratore propone in audiolibro (lettura di Massimo Malucelli) uno dei romanzi più conosciuti e apprezzati di Leonardo Sciascia. Pubblicato nel 1966, A ciascuno il suo traccia, attraverso l’indagine di un tranquillo uomo qualunque su un duplice omicidio apparentemente inspiegabile, il profilo di una mafia che ha ormai intriso l’intero sistema di potere, non soltanto la politica e l’economia siciliane, ma la stessa amministrazione centrale, i partiti politici e la burocrazia romana. Sullo sfondo, l’analisi minuziosa dell’animo siciliano, la contiguità di vita e morte, il mito carnale della donna. (Per dettagli e info, cliccare qui e qui).

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Il muro di Berlino. 13 agosto 1961-9 novembre 1989 (Mondadori)
di Taylor Frederick

Nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1961, nell’inquietante scenario di un mondo sull’orlo della distruzione atomica, Berlino venne tagliata in due da un reticolo di filo spinato che separò, talvolta per sempre, genitori e figli, fratelli, amici e amanti. L’operazione, tanto inattesa quanto fulminea, riuscì grazie alla perfetta efficienza con cui fu compiuta. Lo scopo dichiarato di Walter Ulbricht, il leader tedesco orientale che l’aveva ordinata, era porre fine al continuo esodo di popolazione verso la parte occidentale della città (ancora controllata dalle forze armate di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia), unico ponte per raggiungere la ricca Germania Ovest. La mossa si rivelò vincente: nonostante l’angosciato sgomento di 4 milioni di berlinesi e lo sdegno dell’opinione pubblica mondiale, divenne subito chiaro che ogni reazione era di fatto impossibile, e comunque troppo rischiosa. Intrecciando dati ufficiali, fonti d’archivio e testimonianze personali, Frederick Taylor racconta tre decenni della storia di una capitale e di una grande nazione europea che, in un lungo e tormentatissimo dopoguerra, improvvisamente si trovarono spaccate a metà. Oltre che sulle trame politiche, l’interesse di Taylor si concentra sulla vita quotidiana, sulle paure e sulle speranze dei berlinesi prigionieri che, con sempre più ingegnosi e disperati tentativi di fuga, favorirono paradossalmente la trasformazione dell’originario reticolato nell’alto muro che li avrebbe privati a lungo della libertà.

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AGGIORNAMENTO DEL 23/11/2009

Aggiorno il post per presentare altri due ospiti (nella parte del dibattito dedicato a Sciascia): Marcello Benfante e Daniela Privitera, autori di due libri dedicati a Leonardo Sciascia (seguono schede). Avremo modi di conoscere i due autori nell’ambito della discussione già sviluppatasi in questo post.

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LEONARDO SCIASCIA di Marcello Benfante
Gaffi editore, Prezzo: 13.50 Euro, pagg. 182, 2009

Leonardo Sciascia. Appunti su uno scrittore eretico - Marcello Benfante - copertinaA vent’anni dalla morte (Palermo 20/11/1989), una riflessione appassionata e puntuale sul valore civile della scrittura e sull’enorme apporto di Leonardo Sciascia all’Italia del Secolo Breve. Un bilancio sul segno lasciato da questa scomparsa in venti anni di storia contemporanea passata solo apparentemente senza lasciare traccia. Chi è oggi “l’autore”? Che rapporto ha con la politica, la società, i suoi stessi lettori? Ha ragione chi pensa a Roberto Saviano come all’erede dello scrittore di Racalmuto?
Il dibattito culturale e quello politico, la cronaca e la letteratura, le querelles sulla mafia e la giustizia, confermano continuamente l’acutezza e la lungimiranza del suo sguardo critico e del suo pessimismo analitico, non cessando di causare scandalo e aspri contraddittori.

A metà strada tra critica militante e analisi letteraria, questo profilo esamina le diverse sfaccettature della sua poliedrica opera e della sua scomoda personalità di intellettuale disorganico: la produzione narrativa e quella saggistica, gli interventi giornalistici e le controverse polemiche, la sua tormentata riflessione sui temi del diritto e quella più olimpica sulla tradizione culturale. Ne emerge un appassionante ritratto icastico, chiaroscuro, di uno scrittore complesso e sofferto, diviso tra pessimismo e impegno civile, moralismo e disincanto, distacco ironico parodico e coinvolgimento nella tragedia umana. (Chiara Di Domenico)

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Il giallo siciliano da Sciascia a Camilleri. Tra letteratura e multimedialità, di Daniela Privitera (Kronomedia, 2009,euro 10, pagg. 134)

Il saggio di Daniela Privitera è una breve escursione nei territori del giallo.
Dopo una sintetica ed agile presentazione della storia del poliziesco classico, la diegesi narrativa si concentra sulla peculiarità del giallo siciliano che, secondo l’autrice, si rivela come un genere letterario ad alto livello di entropia, in quanto scardina gli automatismi strutturali del romanzo a circuito chiuso, tipici del poliziesco. Partendo da Sciascia (maestro esemplare del giallo atipico) e passando per Bufalino, Silvana La Spina, Piazzese, Enna e Camilleri, l’autrice ritrova un filo rosso che lega i giallisti siciliani alla sofferta indagine della problematicità del reale. Il noir siculo insomma, secondo l’autrice, diventa per i Siciliani, un “pre-testo” per disquisire e interrogarsi sui perchè della giustizia (umana o soprannaturale). Il giallo pertanto, per i nostri scrittori, diventa il colore di un popolo che tra le pieghe di una scrittura barocca, ironica, raziocinante e terragna grida la sua piccola ed unica verità: l’accettazione del mistero e la rinuncia all’eterno.
La terza parte del saggio propone una rapida visione dei risvolti del poliziesco nelle realizzazioni teatrali e nelle riduzioni televisive e cinematografiche”.

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È online la puntata con RAWDHA RAZGALLAH e CLAUDIO VOLPE ospiti di “Letteratitudine in Fm” del 16 novembre 2012 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/11/18/in-radio-con-rawdha-razgallah-e-claudio-volpe/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/11/18/in-radio-con-rawdha-razgallah-e-claudio-volpe/#comments Sun, 18 Nov 2012 12:30:51 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4654 rawdha-razgallah-claudio-volpeRAWDHA RAZGALLAH e CLAUDIO VOLPE ospiti di “Letteratitudine in Fm” del 16 novembre 2012

Gli ospiti della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 16 novembre 2012, sono stati RAWDHA RAZGALLAH e CLAUDIO VOLPE.

Con Rawdha Zaouchi-Razgallah, saggista e docente di letteratura italiana presso l’Università di Cartagine, in Tunisia, abbiamo discusso del suo saggio “La scrittura fantastica di Giuseppe Bonaviri” edito da Sampognaro&Pupi. Con la Razgallah erano presenti la saggista e docente di letteratura italiana presso l’Università degli studi di Catania, Sarah Zappulla Muscarà, e il Presidente dell’Istituto di Storia dello Spettacolo Siciliano Enzo Zappulla. Si è discusso della figura di Giuseppe Bonaviri approfondendo alcune delle tematiche affrontate nel saggio.

Nella seconda parte della puntata, abbiamo incontrato il giovane scrittore Claudio Volpe, autore del romanzo “Il vuoto intorno” (Anordest edizioni), uno dei libri selezionati per l’edizione 2012 del Premio Strega. Con Claudio Volpe abbiamo discusso del libro e delle tematiche in esso affrontate.

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il venerdì mattina (h.13 circa) e – in replica – il martedì sera (h. 20,30) e il mercoledì mattina (h. 11,00). Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

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È online la puntata con STEFANO PETROCCHI e GIULIA ICHINO, ospiti di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 13 luglio 2012 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/07/19/in-radio-con-massimo-maugeri/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/07/19/in-radio-con-massimo-maugeri/#comments Thu, 19 Jul 2012 13:20:55 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=2567 STEFANO PETROCCHI e GIULIA ICHINO, ospiti di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 13 luglio 2012

petrocchi-ichinoNella puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 13 luglio abbiamo discusso di Premio Strega (l’edizione di quest’anno è stata vinta da Alessandro Piperno) con Stefano Petrocchi (segretario esecutivo della Fondazione Bellonci) e Giulia Ichino (responsabile della narrativa italiana in Mondadori).

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E’ online la puntata con MORGAN PALMAS, SIMONA LO IACONO, ROMANA PETRI, CARLO PEDINI, ospiti di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 6 luglio 2012

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La nuova puntata di “Letteratitudine in Fm” (di venerdì 6 luglio) ha accolto diversi ospiti. Nella prima parte abbiamo discusso di K-Lit, il primo festival europeo dei blog letterari, con il suo ideatore: Morgan Palmas.

La seconda parte della puntata e’ stata dedicata all’incontro letterario “Parole sotto le stelle“, svoltosi a Siracusa il 30 giugno, con gli scrittori: Simona Lo Iacono (organizzatrice dell’evento), Romana PetriCarlo Pedini … per discutere di Storia e dei romanzi “La sesta stagione” (di Carlo Pedini) e “Tutta la vita” (di Romana Petri).

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È online la puntata con MICHELA MURGIA, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 29 giugno 2012

michela-murgiaOspite della puntata di venerdì 29 giugno è stata la scrittrice Michela Murgia: abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “L’incontro” (Einaudi)… ma è stata anche l’occasione per discutere di amicizia, del concetto di “noi”, di Sardegna e di tanto altro…
In coda alla trasmissione abbiamo parlato del volume “Presente” (Einaudi), di cui la Murgia è coautrice insieme a Andrea Bajani, Paolo Nori e Giorgio Vasta.

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È online la puntata con ERRICO BUONANNO, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 22 giugno 2012  (insieme a “Ultimo incontro a Dresda” di Edgardo Cozarinsky)

buonanno-cozarinskyOspite della puntata di venerdì 22 giugno è stato lo scrittore Errico Buonanno, con cui abbiamo discusso del suo nuovo libro “L’eternità stanca. Pellegrinaggio agnostico tra le nuove religioni” (Laterza – Contromano): un viaggio attraverso le nuove religioni di Roma.
In esclusiva per Letteratitudine, alcuni brani tratti da “L’eternità stanca” di Errico Buonanno

Nella seconda parte della puntata abbiamo introdotto il romanzo “Ultimo incontro a Dresda” di Edgardo Cozarinsky (è stata letta qualche pagina del libro)

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È online la puntata con ALESSANDRA CASELLA, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 15 giugno 2012

alessandra-casellaOspite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 15 giugno,è stata l’attrice, conduttrice ed esperta di libri Alessandra Casella (ideatrice e direttrice di Booksweb.tv).

Con Alessandra Casella abbiamo tracciato il suo percorso artistico e discusso  del progetto Booksweb.tv, ma abbiamo parlato anche – in generale – di lettura, libri e letteratura.

Puntata da non perdere!

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È online la puntata con SAVERIO SIMONELLI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 8 giugno 2012

saverio-simonelliOspite di “Letteratitudine in Fm”, nella puntata di venerdì 8 giugno, è stato lo scrittore, giornalista e conduttore televisivo Saverio Simonelli. Abbiamo discusso di letteratura e musica prendendo spunto dalla sua nuova pubblicazione dedicata al musicista Angelo Branduardi: “La musica è altrove. Cielo e terra nelle canzoni di Angelo Branduardi” (edizioni Ancora)

In esclusiva su LetteratitudineNews, la prefazione del libro firmata da Angelo Branduardi

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ROBERTO ALAJMO, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 25 maggio 2012

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Ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 25 maggio (h. 13 circa) è stato lo scrittore Roberto Alajmo. Abbiamo discusso del suo libro “Un lenzuolo contro la mafia. Sono vent’anni e sembra domani” (Navarra), in ricordo delle stragi del ‘92 in cui persero la vita i giudici Falcone e Borsellino e dell’esperienza del Comitato dei lenzuoli.

Cliccando in basso, avrete modo di ascoltare la registrazione della presentazione catanese di questo libro avvenuta presso la libreria Cavallotto.

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È online la puntata con MARIA ROSA CUTRUFELLI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 18 maggio 2012

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Ospite della trasmissione di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 18 maggio è stata la scrittrice Maria Rosa Cutrufelli con la quale abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato “I bambini della ginestra” (Frassinelli), incentrato – appunto – sulla strage di Portella della Ginestra del 1° maggio 1947. È stata, ovviamente, l’occasione per discutere di questa strage (la prima che macchia di sangue la Repubblica italiana e segna – al tempo stesso – l’inizio della “guerra fredda”) e di una serie di argomenti a essa collegati.

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ROBERTO ANDÒ, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 11 maggio 2012

roberto-andoOspite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 11 maggio (h. 13 circa) è stato lo scrittore e regista Roberto Andò (incontrato nel corso dell’evento Maggio dei libri a Catania) con cui abbiamo discusso del suo romanzo “Il trono vuoto” (Bompiani)

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È online la puntata con PAOLO VANELLI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 4 maggio 2012 (SPECIALE BASSANI)

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La puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 4 maggio è stata dedicata alla figura di Giorgio Bassani, in occasione del cinquantenario della pubblicazione del suo romanzo più celebre: “Il giardino dei Finzi-Contini“.

Ospite della puntata, il critico Paolo Vanelli, autore del saggio “La finzione autobiografica del Romanzo di Ferrara” (Corbo editore), dedicato alle opere narrative di Bassani.

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È online la puntata con SALVATORE SILVANO NIGRO, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 27 aprile 2012

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Ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 27 aprile (h. 13 circa) è stato il critico letterario, saggista a cattedratico Salvatore Silvano Nigro, con cui abbiamo discusso del suo nuovo libro “Il Principe fulvo” (Sellerio): un’analisi inedita del romanzo “Il Gattopardo” e della figura di Tomasi di Lampedusa.
A fine puntata è stato letto un brano tratto da “Il Gattopardo“.

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SANDRO VERONESI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 20 aprile 2012

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È tornato a trovarci Sandro Veronesi, nella puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 20 aprile 2012, per discutere delle sue recenti pubblicazioni (e dei temi a esse legate): la raccolta di racconti “Baci scagliati altrove” (Fandango) e la nuova edizione de “Gli sfiorati” (Fandango).
Abbiamo discusso della genesi del racconto “Profezia”, dei temi legati ad alcuni degli altri racconti, della differenza di “approccio narrativo” tra racconti e romanzi, degli “sfiorati” di oggi e di quelli di oltre trent’anni fa… e di altro ancora…

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È online la puntata con BARBARA GOZZI e FEDERICA SGAGGIO, ospiti di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 13 aprile 2012  (puntata dedicata a Primo Levi, in occasione del 25° della morte)

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Nella puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 14 abbiamo discusso del Festival letterario italo-irlandese con due delle organizzatrici: Federica Sgaggio e Barbara Gozzi. Con Federica Sgaggio abbiamo discusso anche di giornalismo prendendo spunto dalla sua recente pubblicazione: “Il paese dei buoni e dei cattivi. Perché il giornalismo, invece di informarci, ci dice da che parte stare” (Minimum fax).

La seconda parte della puntata è stata dedicata a Primo Levi, in occasione del 25° della morte (con letture tratte da “Se questo è un uomo“).

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È on line la puntata con FRANCESCA MELANDRI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 6 aprile 2012

francesca-melandriOspite della puntata di Letteratitudine in Fm di venerdì 6 aprile 2012 è stata la scrittrice e sceneggiatrice Francesca Melandri con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Più alto del mare” (Rizzoli). È stata anche l’occasione per discutere delle problematiche che hanno interessato la seconda metà degli anni Settanta in Italia e per approfondire il tipo di solitudine che attanaglia i parenti stretti dei detenuti nelle carceri di massima sicurezza. Abbiamo discusso anche della differenza tra scrivere una sceneggiatura e scrivere un romanzo.

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È online la puntata con, MARIA ATTANASIO e ANTONELLA CILENTO, ospiti di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 30 marzo 2012 : puntata dedicata alla memoria di ANTONIO TABUCCHI

attanasio-cilento-tabucchiOspiti della puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 30 marzo sono state la poetessa e scrittrice Maria Attanasio (con cui abbiamo discusso del suo nuovo libro: “La città d’argilla“, edito da Mesogea) e la scrittrice e docente di scrittura creativa Antonella Cilento (con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo: “La paura della lince“, edito da Rogiosi).
È stata l’occasione per parlare di Caltagirone, di Sicilia, di Napoli… ma anche per discutere di poesia, di letteratura e di alcune interessanti iniziative culturali.
La puntata è dedicata a Antonio Tabucchi, scomparso di recente.
Maria Attanasio e Antonella Cilento hanno dedicato un loro personale pensiero a Antonio Tabucchi.
A fine puntata sono state lette le prime pagine di “Sostiene Pereira”.
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È online la puntata con TEA RANNO e “1Q84″ (di Murakami Haruki), ospiti di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 23 marzo 2012

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Ospite della puntata di venerdì 23 marzo è stata la scrittrice Tea Ranno, con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo La sposa vermiglia (Mondadori): la storia “forte” (ispirata da un fatto realmente accaduto) di un amore contrastato nella Sicilia degli anni ‘20.

Abbiamo anche presentato il nuovo romanzo di Murakami Haruki 1Q84” (di cui abbiamo letto qualche brano).

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È online la puntata con FRANCO FORTE e LEDA MELLUSO, ospiti di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 16 marzo 2012

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La puntata di venerdì 16 marzo è stata dedicata al romanzo storico. Abbiamo avuto come ospiti gli scrittori Franco Forte e Leda Melluso.

Con Franco Forte (che è anche il direttore editoriale delle collane da edicola Mondadori: Il Giallo Mondadori, Urania e Segretissimo) abbiamo discusso di editoria e del suo nuovo romanzo “Il segno dell’untore” (Mondadori), ambientato nella Milano del 1576.

Con Leda Melluso abbiamo parlato del suo romanzo “L’amante inglese” (Piemme), ambientato a Napoli e a Palerno nell’anno 1798.

È stata anche l’occasione per discutere di quei periodi storici, di come si viveva e di quali erano le problematiche dell’epoca nelle città in questione.

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È online la puntata con VITO MANCUSO, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 9 marzo 2012

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Il teologo Vito Mancuso è stato l’ospite della puntata di venerdì 9 marzo di “Letteratitudine in Fm”.

Nel corso della puntata, abbiamo avuto modo di ascoltare i suoi interventi nella presentazione catanese del suo volume “Io e Dio. Guida dei perplessi” (Garzanti).

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È on line la puntata con ALBERTO SINIGAGLIA e MARCO MANCASSOLA, ospiti di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 2 marzo 2012

Con Alberto Sinigaglia abbiamo discusso di giornalismo prendendo spunto dalla collana dedicata ai “classici del giornalismo” pubblicata dall’editore Aragno e curata dallo stesso Sinigaglia. Abbiamo discusso anche dell’esperienza di Sinigaglia con Tuttolibri (inserto settimanale culturale del quotidiano “La Stampa”) e di un recente saggio pubblicato da Donzelli intitolato, appunto, “Raccontare cultura. L’avventura intellettuale di Tuttolibri (1975-2011)” di Anna D’Agostino.

Con Marco Mancassola abbiamo discusso della nuova edizione di “Last Love Parade“, di recente in libreria per i tipi de “Il Saggiatore“. È stata anche l’occasione per discutere della parte finale degli anni Ottanta (periodo di ambientazione del romanzo) della musica di quegli anni (dalla disco alla techno), della “Love parade” e di altro ancora…

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È online la puntata con CATENA FIORELLO, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 24 febbraio 2012

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La scrittrice Catena Fiorello è stata l’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 24 febbraio.
Con lei abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Casca il mondo, casca la terra” edito da Rizzoli.

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È online la puntata con, MICHELE MARI e GIOVANNI ARIANO, ospiti di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 17 febbraio 2012

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Gli ospiti della puntata di venerdì 17 febbraio 2012 sono stati lo scrittore Michele Mari, con cui abbiamo discusso del suo nuovo libro edito da Einaudi, “Fantasmagonia” (ma anche di letteratura in generale) e Giovanni Ariano, Presidente della Società Italiana di Psicoterapia Integrata, con cui abbiamo discusso di anoressia (e del suo nuovo libro “Il corpo muto. Diagnosi e cura dell’anoressia mentale” – Sipintegrazioni edizioni).

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È online la puntata con DANIELA MARCHESCHI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 10 febbraio 2012 (incentrata sulla poesia e i Premi Nobel per la Letteratura Wisława Szymborska e Tomas Tranströmer)

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La puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 10 febbraio è stata dedicata alla poesia e ai Premi Nobel per la Letteratura. Abbiamo avuto come ospite Daniela Marcheschi, con cui abbiamo discusso di Wisława Szymborska (scomparsa il 1° febbraio) e di Tomas Tranströmer (entrambi Premi Nobel della letteratura). Nella seconda parte della puntata abbiamo discusso del nuovo libro di Daniela Marcheschi: “Maurizio Cucchi o la pace sospesa” (edito da ZonaFranca).

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È online la puntata con DACIA MARAINI e VINCENZO CONSOLO, ospiti di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 3 febbraio 2012

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Nella puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 3 febbraio (h. 13 circa) è tornata a trovarci Dacia Maraini. Abbiamo discusso del suo nuovo libro “La grande festa” (Rizzoli): una dolcissima riflessione sulla morte, ma anche un ritratto memorabile di sé che mescola affetti privati e pubblici, felicità e dolore. Il ricordo della sorella Yuki, del padre Fosco, di Alberto Moravia, di Giuseppe Moretti, di Maria Callas e di Pier Paolo Pasolini.

La seconda parte della puntata è stata dedicata alla memoria dello scrittore Vincenzo Consolo, scomparso il 21 gennaio scorso.

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È on line la puntata con RAUL MONTANARI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di martedì 31 gennaio 2012

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Raul Montanari è stato l’ospite di Letteratitudine in Fm” di martedi’ 31 gennaio 2012.

Abbiamo discusso di fede e di alcune analogie tra la filosofia Zen e certi passi del Vangelo (ma anche delle loro profonde e inconciliabili differenze). Lo spunto lo ha fornito il nuovo libro di Montanari intitolato “Il Cristo Zen” (Indiana)… ma abbiamo discusso anche di scrittura e di editoria (e di altro ancora) e del suo più recente romanzo: “L’esordiente” (Dalai).

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È online la puntata con GIANNI RIOTTA, ospite di “Letteratitudine in Fm” del 20 gennaio 2012

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Ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 21 gennaio 2012 è stato lo scrittore e giornalista Gianni Riotta: abbiamo discusso di giornalismo e informazione ai tempi del web, di Sicilia, di libri (e di tanto altro ancora) prendendo spunto dal suo nuovo libro: “Le cose che ho imparato” (Mondadori)

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È on line la puntata con WALTER PEDULLÀ, ospite di “Letteratitudine in Fm” del 13 gennaio 2012

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Ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 13 gennaio 2012 (h. 13 circa) è stato il saggista e critico letterario Walter Pedullà. Con lui abbiamo discusso del volume “Alberto Savinio. Scrittore ipocrita e privo di scopo” (edizioni Anordest), incentrato su una delle figure artistiche più interessanti del Novecento italiano: Alberto Savinio (scrittore, pittore, musicista). Ne abbiamo approfittato per chiedere a Walter Pedullà il suo parere sulla letteratura italiana dei cosiddetti anni zero (ovvero, dell’ultimo decennio all’incirca). A fine puntata sono state lette alcune pagine scritte da Ruggero Savinio, figlio di Alberto.

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È on line la puntata con ELENA MEARINI, ospite di “Letteratitudine in Fm” del 23 dicembre 2011 (con la partecipazione di Antonio Paolacci, Stefania Nardini e Giorgio Vasta)

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Ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 23 dicembre è stata la scrittrice milanese Elena Mearini, protagonista della conferenza di presentazione del suo nuovo romanzo  ”Undicesimo comandamento” (Perdisa Pop), presentato a “Più libri, più liberi” con la partecipazione di Antonio Paolacci, Stefania Nardini e Giorgio Vasta. Tutto lo staff di “Letteratitudine in Fm” ne approfitta per augurarvi buone festività natalizie.

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È on line la puntata con DACIA MARAINI, PIERA DEGLI ESPOSTI, PAOLO DI PAOLO, ospiti di “Letteratitudine in Fm” del 16 dicembre 2011

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Ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 16 dicembre (h. 12,30 circa) è stata Dacia Maraini. Abbiamo avuto modo, infatti, di ascoltare – in esclusiva – gli interventi tratti dalla presentazione alla fiera romana “Più libri, più liberi” del nuovo testo della Maraini intitolato “Per Giulia” (pubblicato da Perrone editore). Si tratta di un testo teatrale dedicato a Giulia, una studentessa scomparsa a causa del recente terremoto dell’Aquila. Avrete altresì modo di ascoltare, oltre agli interventi di Dacia, la magistrale lettura di alcuni brani del testo interpretati da Piera Degli Esposti e l’introduzione di Paolo Di Paolo.

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È on line la puntata con MAURIZIO DE GIOVANNI, ospite di “Letteratitudine in Fm” del 02 dicembre 2011

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Maurizio de Giovanni è stato l’ospite di “Letteratitudine in Fm” del 02 dicembre 2011. Abbiamo discusso del suo personaggio letterario, il commissario Ricciardi, e del suo nuovo libro: “Per mano mia. Il Natale del commissario Ricciardi” (Einaudi Stile libero).

La seconda parte della puntata è stata dedicata al saggio di Leslie A. FiedlerIl ritorno del pellerossa. Mito e letteratura in America (Guanda)

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È on line la puntata con, REMO BASSINI e GIANFRANCO FRANCHI, ospiti di “Letteratitudine in Fm” del 25 novembre 2011

bassini-franchiGli scrittori Remo Bassini e Gianfranco Franchi sono stati gli ospiti della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 25 novembre 2011.

Con Remo Bassini abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Vicolo del precipizio” (Perdisa Pop).

Con Gianfranco Franchi abbiamo discusso del suo nuovo libro “L’arte del Piano B” (Piano B edizioni).

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È on line la puntata con SARAH ZAPPULLA MUSCARA’ e SALVATORE FERLITA, ospiti di “Letteratitudine in Fm” dell’18 novembre 2011

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Ospiti della puntata di “Letteratitudine in Fm” dell’18 novembre 2011 sono stati Sarah Zappulla Muscarà e Salvatore Ferlita.

Con Sarah Zappulla Muscarà (ordinario di Letteratuta Italiana nell’Università di Catania) abbiamo discusso del romanzo postumo di Stefano Pirandello (da lei curato) intitolato “Timor sacro” (Bompiani): è ancora aperta la pagina di discussione on line dedicata al libro.

Di questo libro di Stefano Pirandello (figlio del celebre Luigi) si sta discutendo molto anche sulle pagine dei principali quotidiani nazionali… mentre si appresta ad essere tradotto all’estero.

Con Salvatore Ferlita (assistant professor di Letteratura italiana contemporanea presso l’Università degli studi di Enna “Kore”, nonché critico letterario e collaboratore di “La Repubblica” – edizione siciliana) abbiamo discusso del volume “Le arance non raccolte” (Palumbo editore), dedicato agli scrittori siciliani del Novecento che – per un motivo o per l’altro – sono stati dimenticati o tralasciati. Abbiamo avuto modo di discutere anche sulle possibili ragioni che, in generale, determinano il successo o la “dimenticanza” di alcuni autori e delle loro opere.

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È on line la puntata con, PAOLO DI PAOLO e KATHARINA SCHMIDT, ospiti di “Letteratitudine in Fm” dell’11 novembre 2011

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Gli ospiti (puntata dell’11 novembre, h. 12:30 circa) sono stati lo scrittore Paolo Di Paolo (con cui abbiamo discusso del suo nuovo libro “Dove eravate tutti“, edito da Feltrinelli) e la traduttrice Katharina Schmidt (con cui abbiamo discusso dell’antologia da lei curata “Nel cuore della notte“, edita da Del Vecchio… ma abbiamo discusso anche di “traduzioni” confrontando il mercato editoriale italiano con quello tedesco).

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È on line la puntata con, GIANRICO CAROFIGLIO, ospite di “Letteratitudine in Fm” del 28 ottobre 2011

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L’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 28 ottobre 2011 è stato lo scrittore e magistrato Gianrico Carofiglio con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo appena edito dalla Rizzoli: “Il silenzio dell’onda“.

In coda alla puntata è possibile ascoltare le letture di alcuni brani tratti dal libro e interpretati dallo stesso autore.

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È on line la puntata con LAURA COSTANTINI e ELVIRA SEMINARA, ospiti di “Letteratitudine in Fm” del 21 ottobre 2011

costantini-seminaraOspiti della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 21 ottobre 2011, sono state le scrittrici e giornaliste Laura Costantini e Elvira Seminara.

Con Laura Costantini abbiamo discusso dell’antologia “Cronache di inizio millennio“, pubblicato da Historica (di cui ne è la co-curatrice).

Con Elvira Seminara abbiamo discusso dell’antologia “Non è un paese per donne“, pubblicato da Oscar Mondadori (la Seminara è una delle autrici).

Si evidenza lo scopo benefico di entrambi i libri proposti (come sarà meglio specificato nel corso della puntata).

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È on line la puntata con DOMENICO SEMINERIO e ALESSANDRO ZANNONI, ospiti di “Letteratitudine in Fm” del 14 ottobre 2011

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Ospiti della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 14 ottobre 2011 sono stati gli scrittori Domenico Seminerio e Alessandro Zannoni, con i quali abbiamo discusso dei rispettivi nuovi romanzi: “Il volo di Fifina” (Dario Flaccovio editore) e “Le cose di cui sono capace” (Perdisa pop).

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È on line la puntata con MARIOLINA BERTINI e RENZO PARIS, ospiti di “Letteratitudine in Fm” del 7 ottobre 2011

bertini-parisOspiti della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 7 ottobre sono stati Mariolina Bertini e Renzo Paris.

Con Mariolina Bertini, francesista e docente di letteratura francese all’Università degli Studi di Parma, abbiamo discusso della rivista “L’Indice dei libri del mese” (di cui è il vicedirettore)… ma anche dell’attuale situazione della letteratura francese messa a confronto con quella italiana.

Con lo scrittore Renzo Paris abbiamo discusso della figura di Apollinaire prendendo come spunto la recente pubblicazione del suo romanzo “La banda Apollinaire” (Hacca edizioni)

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È on line la puntata con ANTONIO DI GRADO e MASSIMO ONOFRI, ospiti di “Letteratitudine in Fm” del 30 settembre 2011

di-grado-onofriOspiti della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 30 settembre sono stati gli italianisti e saggisti Antonio Di Grado e Massimo Onofri. Con loro abbiamo avuto la possibilità di discutere del mito e della figura di Garibaldi prendendo spunto dalla letteratura e da altre forme artistiche.

Abbiamo anche avuto modo di parlare dei loro due nuovi libri: “L’ombra dell’eroe. Il mito di Garibaldi nel romanzo italiano” (Bonanno) di Antonio Di Grado e “L’epopea infranta. Retorica e antiretorica per Garibaldi” (Medusa) di Massimo Onofri.

Nella parte finale della trasmissione abbiamo accennato a un’iniziativa lanciata dall’Associazione Italiana Sclerosi Multipla, intitolata “Dillo a modo tuo” (siete invitati, cortesemente, a cliccare sul link) sostenuta anche da Letteratitudine.

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È on line la puntata con LAURA BOSIO, ospite di “Letteratitudine in Fm” del 23 settembre 2011

laura-bosioOspite della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 23 settembre 2011 è stata la scrittrice Laura Bosio, con la quale abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Le notti sembravano di luna” appena edito dalla Longanesi.

È stata anche l’occasione per parlare di ciclismo, dell’Italia della metà degli anni Sessanta (quella del boom economico) e del sogno “impossibile” di una bambina di dieci anni di diventare un corridore in sella a una bicicletta.

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il venerdì mattina (h.12,30 circa) e – in replica – il martedì sera (h. 20,30) e il mercoledì mattina (h. 10,00). Per dettagli, consulta il palinsesto della radio. Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

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È on line la puntata con DANIELA MARCHESCHI, ospite di “Letteratitudine in Fm” del 16 settembre 2011

daniela-marcheschiOspite della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 16 settembre 2001 è stata il critico e studiosa di letteratura italiana Daniela Marcheschi, la quale – tra le tante pubblicazioni prodotte – ha curato i meridiani Mondadori delle opere di Carlo Collodi (1995) e di Giuseppe Pontiggia (2004), una nuova edizione dell’Umorismo di Luigi Pirandello (Oscar Mondadori, 2010) e pubblicato il saggio Leopardi e l’Umorismo (Petite Plaisance, 2010). Di recente per l’editore Trasciatti, la pubblicazione del volume “Nessuno è poeta: scritti su Giacomo Noventa”.

Con Daniela Marcheschi abbiamo discusso della figura di Carlo Collodi e de “Le avventure di Pinocchio”; ma abbiamo discusso pure di poesia, di letteratura e della figura di Giacomo Noventa.

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È on line la puntata con MASSIMO CARLOTTO, ospite di “Letteratitudine in Fm” del 9 settembre 2011

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Ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 9 settembre 2011 è stato lo scrittore Massimo Carlotto, con cui abbiamo discusso di noir, di Nord-Est e della “situazione italiana” prendendo spunto dalla recente pubblicazione del suo nuovo romanzo Alla fine di un giorno noioso (edito dalla e/o).

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È on line la puntata con SIMONA LO IACONO, ospite di “Letteratitudine in Fm” del 29 luglio 2011

simona-lo-iacono

Ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 29 luglio 2011 è stata la scrittrice e magistrato Simona Lo Iacono.

Con lei abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Stasera Anna dorme presto” (pubblicato da Cavallo di Ferro) e della sua poetica incentrata sul rapporto tra diritto e letteratura e tra parola e processo.

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È on line la puntata con GIULIO MOZZI, MARILU’ OLIVA E VERONICA TOMASSINI, ospiti di “Letteratitudine in Fm” del 22 luglio 2011

mozzi-oliva-tomassini1Ospiti della della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 22 luglio 2011 sono stati gli scrittori Giulio Mozzi, Marilù Oliva e Veronica Tomassini.

Con Giulio Mozzi abbiamo parlato della sua esperienza on line con Vibrisse, nonché dei libri “Il male naturale” e “10 buoni motivi per essere cattolici” (quest’ultimo scritto a quattro mani con Valter Binaghi), entrambi editi da Laurana.

Con Marilù Oliva abbiamo parlato del suo nuovo romanzo: “Fuego” (Elliot)

Con Veronica Tomassini abbiamo discusso del suo romanzo “Sangue di cane” (Laurana).

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È on line lo SPECIALE “PREMIO STREGA 2011″, nella puntata di “Letteratitudine in Fm” del 15 luglio 2011

premio-strega_2011La puntata di “Letteratitudine in Fm” del 15 luglio 2011 è stata dedicata a uno speciale sull’edizione 2011 del Premio Strega (la proclamazione del vincitore – Edoardo Nesi, con “Storia della mia gente” edito da Bompiani – è avvenuta nella serata di giovedì 7 luglio). Nel corso della puntata, abbiamo avuto modo di ascoltare una serie di impressioni e dichiarazioni rilasciate in esclusiva dai cinque finalisti (Bruno Arpaia, Luciana Castellina, Mario Desiati, Edoardo Nesi, Maria Pia Veladiano) e da parte di altri scrittori, editori, critici letterari e giornalisti culturali “intercettati” al Ninfeo di Villa Giulia nel corso della premiazione (Maurizio de Giovanni, Mario Fortunato, Antonio Franchini, Dacia Maraini, Massimo Onofri, Antonio Pennacchi, Marco Polillo, Mirella Serri, Elisabetta Sgarbi, Sandro Veronesi).

Nella parte finale della puntata abbiamo contattato telefonicamente Stefano Petrocchi, segretario esecutivo della Fondazione Bellonci, per tracciare un bilancio – a una settimana di distanza dalla conclusione – su questa edizione del Premio Strega e provare a ipotizzare eventuali cambiamenti per il futuro.

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È on line la puntata con TAOBUK E ISABELLA BOSSI FEDRIGOTTI, ospiti di “Letteratitudine in Fm” dell’8 luglio 2011

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Ospiti della puntata di “Letteratitudine in Fm” dell’8 luglio 2011 sono stati Antonella Ferrara, Presidente del Taobuk (Festival del libro di Taormina), e Isabella Bossi Fedrigotti, prima ospite della rassegna.

Nel corso della puntata Antonella Ferrara ci ha raccontato come è nato e in cosa consiste il “progetto” Taobuk. Con Isabella Bossi Fedrigotti abbiamo discusso del suo romanzo “Amore mio, uccidi Garibaldi” (appena ripubblicato da Longanesi). Abbiamo anche avuto modo di ascoltare l’intervista della giornalista di Repubblica Rosa Maria Di Natale a Isabella Bossi Fedrigotti svoltasi nel corso della prima giornata del Taobuk.

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È on line la puntata con ELVIRA SEMINARA, ospite di “Letteratitudine in Fm” del 1 luglio 2011

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Ospite della puntata di Letteratitudine in Fm” del 1 luglio 2011 è stata la scrittrice e giornalista Elvira Seminara. Con lei abbiamo discusso del suo nuovo romanzo, edito da Nottetempo, e intitolato “Scusate la polvere“: un romanzo divertente, ma che al tempo stesso offre importanti spunti di riflessione.

Nella seconda parte della puntata, con la Seminara abbiamo parlato anche della prima edizione del Festival Internazionale di Letteratura di Taormina: Taobuk (giacché la Seminara è vicepresidente dell’associazione culturale che organizza il festival).

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È on line la puntata con MICHELA MURGIA e GIUSEPPE TESTA, ospiti di “Letteratitudine in Fm” del 24 giugno 2011

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Ospiti della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 24 giugno 2011 sono stati gli scrittori Michela Murgia e Giuseppe Testa.

Con Michela Murgia abbiamo discusso del suo nuovo libro appena edito da Einaudi Stile Libero, intitolato “Ave Mary“.

Con Giuseppe Testa abbiamo discusso del suo saggio intitolato “La donna di fiori” (Sellerio).

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È on line la puntata con ENZO GOLINO, ospite di “Letteratitudine in Fm” del 17 giugno 2011

enzo-golinoOspite della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 17 giugno 2011 è stato il saggista e critico letterario Enzo Golino. Con lui abbiamo avuto modo di discutere degli ultimi cinquant’ anni della letteratura e della cultura italiana, prendendo spunto dalla recente pubblicazione del suo volume “Madame Storia & Lady Scrittura” (Le Lettere, 2011), che raccoglie saggi, cronache, interviste raccolte in cinque decadi di “impegno culturale” tra quotidiani e magazine.

Nella seconda parte della puntata abbiamo avuto modo di discutere di due libri scritti da autori stranieri: “Le figlie perdute della Cina” di Xinran (Longanesi, 2011) e “Teoria degli infiniti” di John Banville (Guanda, 2011).

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È on line la puntata con ELISABETTA BUCCIARELLI, ADELIA BATTISTA, GIAN MAURO COSTA, SANTO PIAZZESE, ospiti di “Letteratitudine in Fm” del 10 giugno 2011

bucciarelli-battistaLa puntata di “Letteratitudine in Fm” del 10 giugno 2011 è stata suddivisa in due parti. La prima parte è stata dedicata al Festival del libro di Palermo (Una marina di libri) tenutosi il 3-5 giugno, con impressioni rilasciate dagli scrittori Elisabetta Bucciarelli, Gian Mauro Costa e Santo Piazzese. Tra le altre cose si è discusso di… noir.

Con Elisabetta Bucciarelli, in particolare, abbiamo approfondito la conoscenza del suo nuovo romanzo: “Corpi di scarto” (Edizioni Ambiente, collana Verdenero).

La seconda parte della puntata è stata dedicata a due artisti della penna del secondo Novecento letterario italiano: Anna Maria Ortese e Dario Bellezza. Abbiamo infatti avuto modo di incontrare Adelia Battista, curatrice del volume “Bellezza, addio” (Archinto), un volume che raccoglie le lettere di Anna Maria Ortese a Dario Bellezza.

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il venerdì mattina (h.12,30 circa) e – in replica – il martedì sera (h. 20,30) e il mercoledì mattina (h. 10,00). Per dettagli, consulta il palinsesto della radio. Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

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È on line la puntata con SIMONETTA AGNELLO HORBNY e UNA MARINA DI LIBRI, ospiti di “Letteratitudine in Fm” del 3 giugno 2011

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Ospiti della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 3 giugno 2011 sono stati la scrittice Simonetta Agnello Horbny e l’editore Ottavio Navarra.

Con Simonetta Agnello Horbny abbiamo discusso del suo nuovo libro, “Un filo d’olio” (Sellerio). Con Ottavio Navarra abbiamo discusso della prima edizione del Festival del libro di Palermo: Una marina di libri (sarà possibile seguire gli appuntamenti in diretta video in streaming).

In coda alla puntata abbiamo accennato al passpartout festival di Asti, dall’11 al 19 giugno 2011.

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il venerdì mattina (h.12,30 circa) e – in replica – il martedì sera (h. 20,30) e il mercoledì mattina (h. 10,00). Per dettagli, consulta il palinsesto della radio. Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

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Speciale Salone del libro di Torino (parte seconda) su Letteratitudine in Fm del 27 maggio 2011

logo_salone-libro-torinoLa puntata di “Letteratitudine in Fm” del 27 maggio 2011, incentrata sulla seconda parte dello “Speciale Salone del libro si Torino”, è  stata dedicata allo scrittore triestino Luciano Comida scomparso il 21 maggio 2011.

Anche nel corso di questa puntata, così come nella puntata precedente, sono andate in onda una serie di mini-interviste, impressioni e curiosità che Massimo Maugeri ha raccolto all’interno del Lingotto tra il 13 e il 14 maggio in maniera non preordinata, coinvolgendo addetti ai lavori (scrittori, editor, editori, critici letterari, giornalisti culturali) incontrati nel corso del suo girovagare: (in ordine di “apparizione”) Umberto Eco (scrittore e semiologo); Giuseppe Schifani della Duepunti edizioni; Carlo D’Amicis (scrittore), Romana Petri con il consorte, nella veste di editori di Cavallo di Ferro; Miranda Miranda (scrittrice); Mattia Formenton, amministratore delegato de Il Saggiatore; Chiara Palazzolo (scrittrice); Angelica Tintori, scrittrice e editrice della Gargoyle Books; Francesco Giubilei della Historica edizioni; Marino Magliani (scrittore); Daniela D’Angelo, dell’ufficio stampa di Avagliano e Fermento; Emanuele Ponturo (scrittore), Roberta Lepri (scrittrice); l’editore Iacobelli; Pietro Del Vecchio dell’omonima casa editrice.

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il venerdì mattina (h.12,30 circa) e – in replica – il martedì sera (h. 20,30) e il mercoledì mattina (h. 10,00). Per dettagli, consulta il palinsesto della radio. Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

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Speciale Salone del libro di Torino (parte prima) su Letteratitudine in Fm del 20 maggio 2011

logo_salone-libro-torinoLa puntata di “Letteratitudine in Fm” del 20 maggio 2011 è stata dedicata alla prima parte di uno “speciale” sull’edizione 2011 del Salone Internazionale del libro di Torino. Si tratta di una serie di mini-interviste, impressioni e curiosità che Massimo Maugeri ha raccolto all’interno del Lingotto tra il 13 e il 14 maggio in maniera non preordinata, coinvolgendo addetti ai lavori (scrittori, editor, editori, critici letterari, giornalisti culturali) incontrati nel corso del suo girovagare.

In questa prima parte è possibile ascoltare (in ordine di “apparizione”) le voci di: Rolando Picchioni (presidente della Fondazione per il libro); Ernesto Ferrero (scrittore e direttore editoriale del Salone del libro di Torino); Stefano Salis (della redazione di “Domenica” de Il Sole 24Ore); Jacopo De Michelis (direttore editoriale narrativa italiana di Marsilio); Antonio Franchini (scrittore e direttore editoriale della Mondadori); Natale Tedesco (critico letterario e poeta); Melania G. Mazzucco (scrittrice); Luigi Guarnieri (scrittore); Michele Rossi (editor e responsabile narrativa italiana Rizzoli); Stefano Izzo (editor Rizzoli e redattore di Granta Italia); Speciale Premio Vittorini 2011 con la partecipazione del prof. Natale Tedesco, della prof.ssa Sarah Zappulla Muscarà, dello scrittore Giuseppe Lupo (uno dei tre vincitori del Premio), del dr. Arnaldo Lombardi; Franz Krauspenhaar (scrittore), Antonio Paolacci (scrittore ed editor), Carlo Cannella (scrittore ed editore).

La settimana prossima andrà in onda la seconda parte dello “speciale” Salone del libro di Torino.

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il venerdì mattina (h.12,30 circa) e – in replica – il martedì sera (h. 20,30) e il mercoledì mattina (h. 10,00). Per dettagli, consulta il palinsesto della radio. Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

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È on line la puntata con MARIO DESIATI, ospite di Letteratitudine in Fm del 6 maggio 2011

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Ospite di Letteratitudine in Fm del 6 maggio 2011 è stato lo scrittore Mario Desiati. Con lui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo edito da Mondadori e intitolato “Ternitti” (uno dei libri candidati alla vittoria dell’edizione di quest’anno del Premio Strega). Con Desiati abbiamo parlato dell’Eternit e delle morti da esso causate, ma anche di alcuni aspetti della letteratura, di come ha cominciato a scrivere, del suo ruolo di direttore editoriale della casa editrice Fandango e anche – ovviamente – della sua candidatura al Premio Strega di quest’anno.

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È on line la puntata con PAOLO DI STEFANO, ospite di Letteratitudine in Fm del 29 aprile 2011

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Ospite della puntata di Letteratitudine in Fm del 29 aprile 2011 è stato lo scrittore, e critico letterario del Corriere della Sera, Paolo Di Stefano. Con lui abbiamo discusso del suo nuovo libro: “La catastròfa” (Sellerio). Un romanzo-verità sulla terribile tragedia di Marcinelle, in Belgio, dell’8 agosto 1956, quando scoppiò un incendio a 975 metri sottoterra in una miniera del distretto carbonifero di Charleroi… e che causò 262 morti, di cui 136 immigrati italiani.

È stata anche l’occasione di riflettere su diverse parole-chiave, quali: lavoro, dignità, sicurezza, emigrazione, patria, giusta remunerazione.

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È on line la puntata con LUCIANO GENTA e STEFANO SALIS, ospiti di Letteratitudine in Fm del 22 aprile 2011

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Ospiti della puntata di Letteratitudine in Fm del 22 aprile 2011 sono stati Luciano Genta e Stefano Salis.

Luciano Genta è il responsabile di “Tuttolibri“, supplemento culturale del quotidiano “La Stampa” (esce il sabato). Stefano Salis fa parte della redazione di “Domenica“, supplemento culturale del quotidiano “Il Sole 24 Ore” (esce, appunto, la domenica).

Con loro abbiamo discusso della storia di questi due supplementi culturali (tra i più importanti in Italia); ma è stata anche l’occasione per discutere delle “mutazioni” che hanno interessato la cultura, la letteratura e l’editoria italiane negli ultimi anni.

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È on line la puntata con ROMANA PETRI, ospite di Letteratitudine in Fm del 15 aprile 2011

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Ospite di Letteratitudine in Fm del 15 aprile 2011 è stata la scrittrice Romana Petri, con la quale abbiamo discusso del suo nuovo romanzo: “Tutta la vita” (Longanesi, 2011). Romana Petri ha pubblicato vari romanzi e raccolte di racconti con i quali ha vinto il premio Mondello, il Rapallo-Carige e il Grinzane Cavour ed è stata finalista al premio Strega. Le sue opere sono state tradotte in Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Germania, Olanda e Portogallo. È editrice e traduttrice e collabora con Il Messaggero. Vive tra Roma e Lisbona.

Romana Petri è anche la titolare della casa editrice Cavallo di Ferro.

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È on line la puntata con GIROLAMO DE MICHELE e ANDREA PUGLIESE, ospiti di Letteratitudine in Fm dell’8 aprile 2011

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Ospiti di Letteratitudine in Fm dell’8 aprile 2011 saranno gli scrittori GIROLAMO DE MICHELE e ANDREA PUGLIESE.

Con Girolamo De Michele discuteremo del suo libro “La scuola è di tutti. Ripensarla, costruirla, difenderla” (Minimum Fax).

Con Andrea Pugliese discuteremo della sua raccolta “People from Ikea” (Fbe edizioni)

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È online la puntata con PAOLA MASTROCOLA ospite di Letteratitudine in Fm del 1° aprile 2011

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Paola Mastrocola è nata a Torino, dove tuttora risiede. Insegna lettere in un liceo scientifico. Fino al 1999 ha pubblicato poesie e saggi sulla letteratura del Trecento e Cinquecento. Dal 2000, presso Guanda ha pubblicato cinque romanzi (La gallina volante, Palline di pane, Una barca nel bosco, Più lontana della luna e La narice del coniglio), il volume La scuola raccontata al mio cane, il romanzo-favola Che animale sei?. Ha vinto diversi Premi letterari (tra cui il Premio Campiello nel 2004 ed è stata finalista al Premio Strega nel 2001).

Con Paola Mastrocola parleremo di scuola e discuteremo del suo nuovo libro “TOGLIAMO IL DISTURBO: saggio sulla libertà di non studiare” (Guanda, 2011)

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È online la puntata con DARIA BIGNARDI, ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 25 marzo 2011

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Daria Bignardi, giornalista e autrice di programmi televisivi, è nata a Ferrara. A ventitré anni è andata a vivere a Milano, da dove ha collaborato con molti giornali, da “Panorama” a “Sette” a “La Stampa”. Dal 1991 lavora per la televisione e la radio. Ha diretto per due anni il mensile “Donna”, di Hachette Rusconi. È autrice e conduttrice del programma “Le invasioni barbariche” per La7. Scrive da diversi anni per “Vanity Fair”. Il suo romanzo d’esordio “Non vi lascerò orfani” (Mondadori 2009) ha vinto il Premio Rapallo Carige, il Premio Elsa Morante e il Premio dei Librai Città di Padova (ed è stato tradotto in diverse lingue).

Con Daria Bignardi abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Un karma pesante” (Mondadori)… e di altro ancora.

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È on line la puntata con SANDRO VERONESI, ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 18 marzo 2011

sandro-veronesiOspite della della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 18 marzo 2011 è stato lo scrittore Sandro Veronesi. Con lui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “XY” (Fandango) e del volume “Parola di Chandler” che ha tradotto per Coconino Press (con illustrazioni di Igort)… e di tanto altro.

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È on line la puntata con di-grado-riccioliVIOLA DI GRADO e MARIA LUCIA RICCIOLI ospiti della puntata di “Letteratitudine in Fm” dell’11 marzo 2011

Ospiti della puntata di “Letteratitudine in Fm” dell’11 marzo 2011 sono state due scrittrici esordienti, entrambe siciliane:

- Viola Di Grado, catanese che studia a Londra, autrice di Settanta acrilico, trenta lana (pubblicato dalla E/O); romanzo ambientato in Inghilterra, a Leeds, che ha ricevuto importanti consensi dalla critica soprattutto per il linguaggio innovativo;

- Maria Lucia Riccioli autrice di “Ferita all’ala un’allodola” (pubblicato da Perrone Lab); un ambizioso romanzo storico ambientato in Sicilia, a Noto, in epoca risorgimentale e incentrato sulla figura della poetessa Mariannina Coffa (personaggio realmente esistito).

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È on line la puntata con DACIA MARAINI ospite di “Letteratitudine in Fm” del 4 marzo 2011 (con la partecipazione di Stefano Petrocchi)

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Ospite di “Letteratitudine in Fm” del 4 marzo 2011, è stata la scrittrice Dacia Maraini.

Con la Maraini abbiamo discusso del suo nuovo libro “La seduzione dell’altrove” (Rizzoli, 2010): una raccolta di articoli e racconti dei viaggi intrapresi dalla scrittrice in giro per il mondo.

Alla trasmissione ha partecipato anche Stefano Petrocchi, coordinatore esecutivo della Fondazione Bellonci, che nei giorni precedenti ha ospitato proprio la Maraini nel corso di una iniziativa dedicata alle scuole e ai ragazzi. Abbiamo colto l’occasione per chiedere a Petrocchi qualche informazione sulle novità previste nell’edizione 2011 del Premio Strega.

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È on line la puntata con VALERIO EVANGELISTI, ospite di “Letteratitudine in Fm” del 18 febbraio 2011

evangelisti

L’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 18 febbraio 2011 è stato lo scrittore Valerio Evangelisti.

Con lui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Rex tremendae maiestatis” (Mondadori) e della saga di Eymerich, l’inquisitore.

È stata anche l’occasione per conoscere un po’ di più Valerio Evangelisti e… le sue abitudini di scrittura. E altro ancora.

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È on line la puntata con FILIPPO LA PORTA, ospite di “Letteratitudine in Fm” dell’11 febbraio 2011

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L’ospite di “Letteratitudine in Fm” dell’11 febbraio 2011 è stato il critico e saggista Filippo La Porta. Filippo La Porta collabora a numerosi quotidiani, tra cui il «Corriere della Sera», «Il Riformista», «Il Messaggero». Ha pubblicato diversi libri, tra cui: “Pasolini, uno gnostico innamorato della realtà” (2002), “Dizionario della critica militante” (con Giuseppe Leonelli, 2007), “È un problema tuo” (2009). Presso Bollati Boringhieri ha pubblicato: “La nuova narrativa italiana. Travestimenti e stili di fine secolo” (1995, n. ed. ampliata 1999), “L’autoreverse dell’esperienza. Euforie e abbagli della vita flessibile” (2004) e “Maestri irregolari. Una lezione per il nostro presente” (2007). In trasmissione abbiamo discusso dei due nuovi libri di La Porta: il saggio “Meno letteratura, per favore!” (Bollati Boringhieri, 2010) e il volume “Uno sguardo sulla città. Gli scrittori italiani contemporanei e i loro luoghi” (Donzelli, 2010).

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È on line la puntata con LUIGI BERNARDI, ospite di “Letteratitudine in Fm” del 4 febbraio 2010

luigi-bernardiL’ospite di “Letteratitudine in Fm” del 4 febbraio 2010 è stato lo scrittore e consulente editoriale Luigi Bernardi. Con lui abbiamo discusso del suo nuovo libro, la raccolta di racconti “Niente da capire” (Perdisa Pop, 2011), ragionando su questa frase che si legge nella scheda: Un modo discorde di raccontare il crimine, l’anatomia di gesti senza ritorno che sono la pietra tombale di giallo, noir e mistero. Abbiamo avuto modo di evidenziare la differenza tra “giallo” e “noir” e di discutere delle direzioni prese dalla letteratura italiana di oggi…

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È ON LINE la puntata con ANTONIO FRANCHINI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 28 gennaio 2011

antonio-franchiniL’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 28 gennaio è stato Antonio Franchini: scrittore e direttore editoriale per la narrativa italiana in Mondadori. In trasmissione abbiamo discusso del nuovo libro di Antonio Franchini, “Il signore delle lacrime” (Marsilio)… ma è stata anche l’occasione per discutere dei cambiamenti dell’editoria di questi ultimi anni e di altro ancora… PER ASCOLTARE LA PUNTATA, CLICCA SUL PULSANTE…

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************************* ************************* È ON LINE la puntata con ELISABETTA BUCCIARELLI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 21 gennaio 2011 bucciarelliElisabetta Bucciarelli, scrittrice milanese, è stata l’ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 21 gennaio 2011. Elisabetta Bucciarelli ha firmato molte sceneggiature e scritto vari romanzi, tra cui: Happy Hour (Mursia), Dalla parte del torto (Mursia), Femmina de luxe (Perdisa Pop) e Io ti perdono, (Kowalski/Colorado Noir). Ha ideato e tiene da più di dieci anni il laboratorio Esprimersi con la scrittura, scrivere per stare bene. Conduce la rubrica GialloFuoco su Booksweb.tv. Ha scritto numerosi racconti noir, apparsi in quotidiani italiani e stranieri, antologie e nel Giallo Mondadori. Abbiamo discusso con lei del nuovo libro, “Ti voglio credere (Edizioni Kowalski), con cui Elisabetta Bucciarelli ha vinto il Premio ‘Giorgio Scerbanenco 2010-Courmayeur Noir in Festival’ in collaborazione con ‘La Stampa’, per il miglior romanzo noir italiano edito nell’anno. Ma è stata anche l’occasione per parlare di MilanoPER ASCOLTARE LA PUNTATA, CLICCA SUL PULSANTE…

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************************* ************************* È ON LINE  la puntata con GIANRICO CAROFIGLIO, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 14 gennaio 2011 carofiglio-manomissione-paroleGianrico Carofiglio è stato l’ospite di “Letteratitudine in Fm” del 14 gennaio 2011. Si è discusso del nuovo libro di Carofiglio “La manomissione delle parole” (Rizzoli, 2010). In questo libro, atipico e sorprendente, Gianrico Carofiglio riflette sulle lingue del potere e della sopraffazione, e si dedica al recupero di cinque parole chiave del lessico civile: vergogna, giustizia, ribellione, bellezza, scelta, legate fra loro in un itinerario concettuale ricco di suggestioni. Il rigore dell’indagine – letteraria, politica ed etica – si combina con il gusto anarchico degli sconfinamenti e degli accostamenti inattesi: Aristotele e don Milani, Cicerone e Primo Levi, Dante e Bob Marley, fino alle pagine esemplari della nostra Costituzione. Ne derivano una lettura emozionante, una prospettiva nuova per osservare il nostro mondo. Chiamare le cose con il loro nome è un gesto rivoluzionario, dichiarava Rosa Luxemburg ormai un secolo fa. Ripensare il linguaggio, oggi, significa immaginare una nuova forma di vita. PER ASCOLTARE LA PUNTATA, CLICCA SUL PULSANTE SOTTO

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************************* BIANCA GARAVELLI e MARIANO SABATINI, ospiti di “Letteratitudine in Fm” del 7 gennaio 2011 (h. 12:30 circa) garavelli-sabatiniOspiti della prima puntata del 2011 di “Letteratitudine in Fm” sono stati la scrittrice e critica letteraria Bianca Garavelli e il giornalista e saggista Mariano Sabatini. Con Bianca Garavelli abbiamo discusso dell’ultimo ventennio della letteratura italiana prendendo spunto dal suo nuovo libro “Nelle pagine dell’anima” (Moretti & Vitali, 2010). Ma abbiamo anche avuto modo (essendo la Garavelli un’esperta dantista) di discutere della figura di Beatrice di Dante. Con Mariano Sabatini abbiamo parlato parlare dell’Italia di oggi, così come è vista dai corrispondenti stranieri. L’occasione l’ha fornita la recente pubblicazione del libro di Sabatini “L’Italia s’è mesta. Dall’unità nazionale a Silvio Berlusconi, il Belpaese visto dai corrispondenti stranieri” (Perrone, 2010). PER ASCOLTARE LA PUNTATA, CLICCARE SUL PULSANTE SOTTO

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SIMONE CALTABELLOTA, ospite di “Letteratitudine in Fm” del 24 dicembre 2010 (h. 12:30 circa)
Simone Caltabellota (classe ’69) fa parte del comitato editoriale della Elliot, ma ha lavorato prima come editor poi come direttore editoriale della Fazi. È fondatore della Lain, creatore della label musicale Sleeping Star. Con lui abbiamo discusso del suo romanzo d’esordio “Il giardino elettrico” (Bompiani).
Ma è stata anche una… puntata natalizia.
BUON NATALE E BUON ANNO A TUTTI!
In una Roma inedita e misteriosa, sospesa tra il presente e l’eternità, si muovono i protagonisti di questo romanzo d’amore e di iniziazione. Dentro di essa, tra le sue strade e i suoi segreti, si incrociano non soltanto le storie di ragazzi come tanti, ma anche – come in una sorta di “Cielo sopra Berlino” di questo inizio secolo – le storie di fantasmi che continuano a vivere tra i vivi e interagiscono con loro provando a influenzarne decisioni e destino. Un passaggio segreto e misterioso eppure vicino a ognuno di noi, un giardino elettrico, rimescola i piani dell’al di là e dell’al di qua. Un esordio narrativo audace, che mescola avventura e lirismo, amore e sogno, passioni e un erotismo soffuso e avvolgente, al cui centro campeggia l’idea che la realtà visibile nasconde sempre un’altra realtà e che in circostanze particolari queste due dimensioni si tocchino oltrepassando il corso del tempo e del destino.
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************************* ************************* ENZO RUSSO, ospite di Massimo Maugeri nella puntata di Letteratitudine in Fm del 17 dicembre 2010 (h. 12:30 circa) enzo-russo1Enzo Russo è nato a Mazzarino, in provincia di Caltanissetta, ma vive in Lombardia da diversi anni. La sua è una delle voci più importanti e autorevoli tra quelle degli autori che scrivono romanzi ambientati in Sicilia. Ha debuttato nel ’75 con “Dossier America Due” (SEI) e da allora ha pubblicato oltre trenta romanzi, tradotti in diciannove lingue. I suoi libri più recenti sono: “Uomo di rispetto” (1988, prodotto anche per il cinema), “Il quattordicesimo zero” (1990), “Nato in Sicilia” (1992), “Nessuno escluso” (1995), “Saluti da Palermo” (1996), “Né vendetta né perdono” (2000), tutti editi da Mondadori. Con Enzo Russo abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Niente per cui morire” (Mondadori, 2010). Abbiamo parlato anche di Sicilia, di Servizi Segreti, di misteri irrisolti… PER ASCOLTARE LA PUNTATA, CLICCA SULL’APPOSITO PULSANTE AUDIO

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************************* ************************* SPECIALE FIERA DEL LIBRO DI ROMA e JOHN LENNON nella puntata di “Letteratitudine in Fm” del 10 dicembre (intorno alle 12:30)

John Lennon 1980 photo by Allan Tannenbaumpiù libri 590x403 Più libri più liberiLa puntata di “Letteratitudine in Fm” del 10 dicembre è stata dedicata alla Fiera della piccola e media editoria di Roma “Più libri, più liberi” (che si è conclusa giorno 8 dicembre).

Abbiamo raccolto, “al volo”, le impressioni di alcuni editori e scrittori presenti alla Fiera.

Ma la puntata è stata anche dedicata alla figura di John Lennon, ucciso trent’anni fa: l’8 dicembre del 1980.

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************************* ************************* MARCO BELPOLITI, ospite di Massimo Maugeri nella puntata di Letteratitudine in Fm del 3 dicembre 2010 (intorno alle h. 12:30) Su RADIO HINTERLAND

Con Marco Belpoliti abbiamo discusso della figura di Pier Paolo Pasolini in occasione del 35° anno dalla sua morte. L’occasione ce l’ha fornita la recente pubblicazione del volume “Pasolini in salsa piccante” (Guanda, 2010) scritto da Belpoliti. Abbiamo anche discusso dei saggi: “Settanta” (Einaudi) e “Senza vergogna” (Guanda, 2010).PER ASCOLTARE LA PUNTATA, CLICCARE NEL PULSANTE SOTTO

Marco Belpoliti, saggista e scrittore, ha curato le opere di Primo Levi e pubblicato diversi libri: Settanta, Crolli, La prova, Diario dell’occhio, La foto di Moro. Curatore con Elio Grazioli della rivista-collana Riga (Marcos y Marcos), insegna all’Università di Bergamo e collabora a La Stampa e a L’Espresso.

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CHIARA GAMBERALE, ospite di Massimo Maugeri nella puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” del 26 novembre 2010 (intorno alle h. 12,30)

Con Chiara Gamberale abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Le luci nelle case degli altri” (Mondadori, 2010).

La protagonista del libro è Mandorla, una bambina figlia di una ragazza madre: Maria.
Maria lavora come amministratrice d’immobili e ha lo speciale dono di trasformare ogni riunione condominiale in toccanti sedute di terapia di gruppo… e il condominio gioca un ruolo chiave nell’economia del libro.
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Chiara Gamberale è nata nel 1977 a Roma, dove vive. Ha scritto Una vita sottile (Marsilio 1999), Color Lucciola (Marsilio 2001), Arrivano i pagliacci (Bompiani 2003), La zona cieca (Bompiani 2008, premio selezione Campiello) e Una passione sinistra (Bompiani 2009). È ideatrice e conduttrice di programmi radiofonici e televisivi come “Gap” (Raiuno), “Quarto piano scala a destra” (Raitre) e “Trovati un bravo ragazzo” (Radio24). Dal 2010 è in onda su Radio2 con “Io Chiara e l’Oscuro”. Collabora con “La Stampa”, “Il Riformista” e “Vanity Fair”.

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************************* ************************* SIMONETTA AGNELLO HORBNY, ospite di Massimo Maugeri nella puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” del 19 novembre 2010 Su RADIO HINTERLAND SIMONETTA AGNELLO HORBNY, con la partecipazione di Sarah Zappulla Muscarà, è stata l’ospite di Massimo Maugeri nella puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 19 novembre 2010 (h. 12.30 circa). Abbiamo discusso dei nuovi romanzi di Simonetta Agnello Horbny: “La monaca” (Feltrinelli, 2010) e “Camera Oscura” (Skira, 2010). Per ascoltare la puntata, clicca sotto.. -

Nata e cresciuta a Palermo, Simonetta Agnello Hornby ha sposato un inglese dopo aver conseguito il dottorato in giurisprudenza nel 1967. Da allora ha vissuto all’estero, dapprima negli Usa e in Zambia, e dal 1970 in Inghilterra, nel quartiere dell City of Westminster, a Londra.
Ha completato gli studi giudiridici inglesi mentre i suoi due figli erano piccini, e poi ha lavorato nella City di Londra. Nel 1979 fondo’ Hornby and Levy, uno studio legale nel quartiere di immigranti di Brixton, che ben presto si specializzo’ nel diritto di famiglia e dei minori. Hornby e Levy furono il primo studio d’Inghilterra a creare un dipartimento riservato ai casi di violenza all’interno della famiglia.
La maggior parte dei clienti dello studio è caraibica o nera. Nel 1997 Hornby & Levy pubblicò in un libro, “The Caribbean Children’s Law Project”, il risultato della ricerca condotta da quattro membri dello studio legale in Giamaica, Trinidad, Barbados e Guyana, sul diritti dei minori e sulle strutture per i minori. Il libro è tuttora l’unico lavoro del genere al mondo.

Simonetta Agnello Hornby ha insegnato diritto dei minori all’universita’ di Leicester ed e’ stata part-time presidente del Special Educational Needs and Disability Tribunal per otto anni. Nel 2000 iniziò a scrivere romanzi e ha pubblicato “La Mennulara” (2002), “La zia marchesa” (2004), “Boccamurata”,(2007) e “Vento Scomposto” (2009) con Feltrinelli. Tutti i suoi libri sono stati dei best sellers e sono tradotti in molte lingue. Dal 2008 Simonetta Agnello Hornby, pur continuando a esercitare l’avvocatura, si dedica principalmente alla scrittura.

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************************* CARLO D’AMICIS, Ospite di Massimo Maugeri nella puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” del 12 novembre 2010

Su RADIO HINTERLANDCARLO D’AMICIS è stato l’ospite di Massimo Maugeri nella puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 12 novembre 2010. Si è discusso del romanzo “La battuta perfetta” (minimum fax, 2010) e degli argomenti a esso connessi: televisione, Rai, Berlusconi e “berlusconismo”. Per ascoltare la puntata, cliccare sotto…

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********************************** ********************************** ANTONIO PAOLACCI e FILIPPO TUENA Ospiti di Massimo Maugeri nella puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” del 5 novembre 2010 Questa nuova puntata di “Letteratitudine in Fm” è dedicata all’editoria di qualità. Abbiamo parlato di quattro piccoli editori attraverso il conivolgimento degli scrittori: Antonio Paolacci e Filippo Tuena.

Antonio Paolacci

http://www.liberolibro.it/wp-content/uploads/filippo-tuena.jpg Con Antonio Paolacci abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Salto d’ottava” (Perdisa Pop) e del racconto “Accelerazione di gravità” (Senzapatria). Con Filippo Tuena abbiamo discusso del suo libro “Manualetto pratico a uso dello scrittore ignorante” (Mattioli 1885), e della collana TUSITALA che sta dirigendo presso l’editore Nutrimenti. È stata anche l’occasione per discutere dell’editoria, oggi, in generale… e del ruolo della piccola editoria. È possibile ASCOLTARE LA PUNTATA cliccando qui

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Con Tiziano Scarpa abbiamo discusso del suo nuovo romanzo Le cose fondamentali (Einaudi 2010).

È la storia di un uomo che osserva il suo bambino appena nato. Davanti alla forza della vita allo stato puro, sente l’impotenza di tutti i linguaggi che conosce.

Per questo decide di scrivergli quello che ha imparato, sull’amore, sul potere, sui soldi, la malattia e la morte… Le cose fondamentali, storie e pensieri che lui dovrà leggere quando avrà quattordici anni, in un altro tempo, in un altro posto.

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Tiziano Scarpa è nato a Venezia nel 1963. Ha scritto Occhi sulla Graticola (Einaudi 1996 e 2005), Amore® (Einaudi 1998), Venezia è un pesce (Feltrinelli 2000), Cos’è questo fracasso? (Einaudi 2000), Nelle galassie oggi come oggi (con Raul Montanari e Aldo Nove, Einaudi 2001), Cosa voglio da te (Einaudi 2003), Kamikaze d’Occidente (Rizzoli 2003), Corpo (Einaudi 2004), Groppi d’amore nella scuraglia (Einaudi 2005 e 2010), Batticuore fuorilegge (Fanucci 2006), Amami (con Massimo Giacon, Mondadori 2007), Comuni mortali (Effigie 2007), L’inseguitore (Feltrinelli 2008), Discorso di una guida turistica di fronte al tramonto (Amos 2008), Stabat Mater (Einaudi 2008 e vincitore del Premio Strega 2009), La vita, non il mondo (Laterza 2010) e Le cose fondamentali (Einaudi 2010). Scrive su ilprimoamore.com

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Daniela Marcheschi e Sarah Zappulla Muscarà ospiti di Massimo Maugeri a “Letteratitudine in Fm” del 22 ottobre 2010

su RADIO HINTERLAND, SPECIALE PIRANDELLO

Ospiti di Massimo Maugeri nella puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” del 22 ottobre 2010: Daniela Marcheschi e Sarah Zappulla Muscarà… per uno SPECIALE PIRANDELLO.
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Daniela Marcheschi è critico e studiosa di letteratura italiana e scandinava dagli ampi orizzonti interdisciplinari e di fama internazionale (curatrice dei Meridiani Mondadori dedicati a Collodi e a Giuseppe Pontiggia). Con lei abbiamo discusso della nuova edizione del saggio di Luigi Pirandello “L’umorismo” riedito di recente dagli Oscar Mondadori con una nuova prefazione firmata dalla stessa Marcheschi. Abbiamo discusso anche del Premio Nobel della Letteratura e della recente attribuzione a Mario Vargas Llosa. Sarah Zappulla Muscarà è ordinaria di Letteratura Italiana e incaricata di Letteratura Teatrale Italiana e di Storia e Critica del Cinema nell’Università di Catania, si occupa di narrativa, teatro e cinema tra Otto e Novecento, di edizioni di testi e carteggi inediti. Con lei abbiamo discussodella figura di Luigi Pirandello in relazione al figlio Stefano (anch’egli scrittore, qui nella foto con il padre) è della recente pubblicazione del carteggio tra Luigi e Stefano raccolto nel volume “Nel tempo della lontananza” (Sciascia editore).

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Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui. È possibile ascoltare le puntate precedenti, cliccando qui. ****************************** ****************************** Melania G. Mazzucco e Elisabetta Chicco Vitzizzai, ospiti della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 15 ottobre 2010 Ospiti della puntata di “Letteratitudine in Fm” del Tema della puntata: rapporto tra “pittura e letteratura”. Con Melania G. Mazzucco abbiamo discusso dei suoi libri più recenti, editi dalla Rizzoli, dedicati alla figura del pittore Tintoretto e della sua famiglia. Si tratta del romanzo “La lunga attesa dell’angelo” e del saggio “Jacomo Tintoretto e i suoi figli. Storia di una famiglia veneziana”. Con Elisabetta Chicco Vitzizzai abbiamo discusso del suo nuovo libro intitolato “Il più bel vizio è la vita”, pubblicato da Instar libri. Per ascoltare la puntata, cliccare qui

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http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/07/19/in-radio-con-massimo-maugeri/feed/ 2
ESSERE FIGLI D’ARTE: PRIGIONE O OPPORTUNITÀ? IL “TIMOR SACRO” DI STEFANO PIRANDELLO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/10/24/timor-sacro-stefano-pirandello/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/10/24/timor-sacro-stefano-pirandello/#comments Mon, 24 Oct 2011 14:34:20 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=3637 padri-e-figli-d-arteL’essere figli di una persona nota in campo artistico, è più un peso o un privilegio (nel caso in cui il figlio volesse ripercorrere la strada del padre)?
È più una prigione o un’opportunità?
Qualcosa di cui approfittare o da cui rifuggire?
Per esempio, se Sophie Auster, figlia dello scrittore Paul, anziché fare la cantante e l’attrice avesse deciso di darsi alla letteratura, avrebbe più o meno successo di adesso?
E se Stella McCartney, figlia dell’ex beatle Paul, avesse deciso di dedicarsi alla musica piuttosto che alla moda, sarebbe riuscita a sfondare?
E Julian Lennon? Se non fosse stato figlio di John, sarebbe più o meno noto di quanto in effetti oggi è?

Non è facile rispondere: è presumibile che dipenda dall’importanza del nome. È improbabile, cioè, che il figlio di un gigante dell’arte possa raggiungere i risultati del genitore. Anche se è bene non generalizzare in maniera assoluta. Per esempio, prendiamo questi due big di Hollywood: meglio Kirk Douglas o Michael Douglas?

Insomma, vi invito a dire la vostra sul tema “padri e figli d’arte… e relative ripercussioni” (magari potreste proporre altri esempi). Nel contempo, vi presento un caso e un libro che rientrano in maniera perfetta nella tematica proposta.

Qualcuno lo indica già come uno dei nuovi possibili casi letterari. Un romanzo postumo, firmato da un autore che porta uno dei cognomi più celebri della storia della letteratura. Un cognome che, probabilmente, lo ha penalizzato. Non è facile, infatti, essere figli di Luigi Pirandello e portare avanti il sogno, o meglio, la “necessità” della scrittura cercando di sfuggire al fastidioso e inevitabile peso del confronto. È quello che è successo a Stefano Pirandello, primogenito di Luigi, scrittore raffinato, schivo, costretto a ricorrere a uno pseudonimo (Stefano Landi) per pubblicare i suoi lavori senza incorrere, appunto, nel rischio di rimanere oscurato dall’ombra paterna.
pirandello_timor-sacroIl lavoro di tutta una vita di Stefano Pirandello, cominciato negli anni Venti e riveduto più volte fino alla scomparsa dell’autore (avvenuta a Roma il 5 febbraio 1972), è un romanzo che vede la luce per la prima volta in questi giorni grazie all’impegno editoriale della Bompiani e alla cura dell’ordinario di Letteratura Italiana nell’Università di Catania Sarah Zappulla Muscarà (che ha già avuto il merito di dare nuovo lustro alle opere di Bonaviri, Patti e Addamo). Si intitola “Timor sacro” (Bompiani, pagg. 336, € 14,00) ed ha caratteristiche metanarrative giacché il protagonista, lo scrittore Simone Gei (alter ego dell’autore), è alle prese con la stesura di un’opera di esaltazione del fascismo. Nella narrazione, la storia di Gei si alterna a quella dell’albanese Selikdàr Vrioni, sfuggito alle arcaiche leggi di vendetta privata della sua stirpe.

Sono molteplici gli elementi di interesse di questo romanzo. Tra questi, come già accennato, l’aspetto metaletterario (“Timor sacro” è un romanzo sulla genesi del romanzo, dunque un metaromanzo), ma anche la natura autobiografica e i riferimenti – sebbene mascherati e trasfigurati – ai componenti della tormentata famiglia Pirandello (il padre Luigi, la madre Maria Antonietta Potulano, i fratelli Fausto e Lietta), agli amici più intimi di Luigi e di Stefano e a varie personalità di quegli anni. Non è difficile riconoscere tra le righe del libro letterati del calibro di Corrado Alvaro, Corrado Pavolini, Massimo Bontempelli, o politici come Ciano e Bottai, o scrittori come D’Annunzio, Malaparte, Alberto Savinio, Silvio D’Amico. Ma da “Timor sacro” emergono anche i risvolti inevitabili di un’epoca: la proclamazione dell’impero, la pena di morte, la figura del Boia, le leggi razziali. Su tutto, si erge il forte legame con il padre. Un legame che è totale, ma al tempo stesso tormentato. Amoroso, eppure tirannico.
«Romanzo pericoloso e di tutta una vita, l’inedito Timor sacro», – scrive nella prefazione Sarah Zappulla Muscarà – «erudito, alchemico, cui compete la dimensione dell’immaginario, come vuole Milan Kundera, ma pure della realtà, talora tragica, inesorabilmente violentata e compassionevolmente stravolta». Romanzo che «dell’itinerario esistenziale di Stefano ripercorre le tappe fondamentali. L’entusiasmo irredentista, la partenza per il fronte, la dura cattività, la beffa risorgimentale, il non facile reinserimento del reduce, la vicenda amorosa, l’emancipazione dal padre, la scelta definitiva dell’arte».
Diversi, dunque, i motivi per leggere “Timor sacro”. E il fatto che questo romanzo raggiunga per la prima volta gli scaffali delle librerie, dopo quasi quarant’anni dalla morte del suo autore, conferma la veridicità del titolo dell’ultimo intenso capitolo dell’opera: “Il libro traversa la vita e va oltre”.

Oltre che della tematica in generale, avremo modo di discutere anche di questo libro di Stefano Pirandello. L’amica Laura Marullo, docente presso facoltà di lettere dell’Università di Catania, mi darà una mano a moderare e ad animare la discussione.

Ma aspetto, ovviamente, i contributi da parte di tutti gli amici di Letteratitudine!
Come sempre, grazie in anticipo.

Massimo Maugeri

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http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/10/24/timor-sacro-stefano-pirandello/feed/ 260
150 ANNI DALLA NASCITA DI FEDERICO DE ROBERTO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/01/18/150-anni-dalla-nascita-di-federico-de-roberto/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/01/18/150-anni-dalla-nascita-di-federico-de-roberto/#comments Tue, 18 Jan 2011 20:04:29 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=2917 Centocinquanta fa, il 16 gennaio del 1861, nasceva Federico De Roberto. Lo ricordo qui, nell’ambito di questa rubrica letteratitudiniana dedicata a “ricorrenze, anniversari e celebrazioni“.
Quando si parla di De Roberto, il pensiero va subito alla sua opera principale “I Vicerè“.
Ecco… mi piacerebbe che, in questa pagina, con il vostro contributo, venisse ricordato sia l’autore, sia l’opera…

Seguono le solite domande, volte ad avviare la discussione…

1. Che rapporti avete con le opere di Federico De Roberto?

2. Avete mai letto “I Vicerè”? Pensate che leggerete, o ri-leggerete, questo libro?
(quest’ultima, più che una domanda, è un invito)

3. Ritenete che “I Vicerè” contenga ancora elementi di attualità? Se sì, quali?

4. Se doveste selezionare una citazione tratta da “I Vicerè”, o da un’altra opera di De Roberto, quale scegliereste? E perché?

5. Qual è l’eredità che De Roberto ha lasciato nella letteratura italiana?

Siete tutti invitati a intervenire sia per rispondere alle domande, ma anche semplicemente per riportare citazioni, note biografiche, considerazioni, recensioni e… quant’altro possa contribuire a ricordare la figura di questo grande autore della letteratura italiana vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento.
Di seguito, un’articolo di Sarah Zappulla Muscarà pubblicato sulla pagina cultura del quotidiano “La Sicilia” del 14 gennaio 2011 (ma non è escluso che il post possa essere aggiornato con ulteriori contributi).

Massimo Maugeri

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da LA SICILIA del 14.11.2011

Una chiave per «I Viceré»: bilancio amaro e sfiduciato di un secolo agonizzante

di Sarah Zappulla Muscarà

Centocinquanta anni fa, il 16 gennaio del 1861, nasce a Napoli Federico De Roberto. Presto però si trasferisce nella odiata-amata Catania dove, pur con lunghe parentesi a Milano e a Roma, trascorre l’intera esistenza. Allorché nell’agosto del 1894 l’editore milanese Galli pubblica il romanzo “I Vicerè”, Federico De Roberto è pertanto poco più che trentatreenne ma, fecondo e infaticabile sin dai verdi anni, si è già conquistata notorietà negli ambienti letterari in virtù di una pervicace militanza.
“Hai fatto un lavoro con ’sei para di…!’” entusiasta gli scrive il 3 ottobre Luigi Capuana. E alludendo ai tanti personaggi ancora vivi nelle cronache, a cui De Roberto aveva abbondantemente attinto, e nella memoria dei contemporanei: “Dall’”Illusione” ai “Vicerè” hai fatto non un salto, ma una volata lunga, meravigliosa. Oh come sono contento! Che piacere mi hai dato! Quanti ritratti perfettissimi! Quel Padre Blasco! quel Consalvo! quel Don Eugenio! Ma tu dovresti farmi un piacere per mettermi in caso di gustarlo meglio; dovresti mandarmi ‘una chiave’, con i nomi veri, perché parte non li rammento. Figuriamo che se ne dice costì! Quel Consalvo (stavo per dire quel ‘Marchese di S. Giuliano’) è una meraviglia addirittura! […] Bravo! Bravo!”.
E il 21 ottobre Giovanni Verga: “È una ‘machine’ poderosa che hai messo in piedi, e dei ‘cristiani’ di carne e d’ossa che mi sembra aver conosciuto. Anzi a questo proposito ti dico che ti sei fatto un bel cuscinetto costì a Catania, fra tutti cotesti Uzeda che si riconosceranno allo specchio, deputati, senatori o semplici minchioni che sieno!”. Una “vera e stupenda “trovata”" che avrebbe guadagnato efficacia da una severa, impietosa sfrondatura, da una “maggior parsimonia” di scrittura. Ma nulla del “gran quadro” tracciato da De Roberto è sacrificabile, contrariamente al giudizio di chi ha fatta sua, nelle opere più felici, la michelangiolesca “arte del levare”.
“I Vicerè” hanno il respiro possente, la forza sovrana, la maestosità soverchiante della grande narrativa europea da Leone Tolstoj a Thomas Mann a Hermann Broch. Stesi nel giro di pochi anni, hanno comportato un impegno e uno sforzo eccezionali che lasceranno il segno nel fisico dello scrittore, definito dal medico svizzero Paul Dubois, antesignano della psicoterapia, “uno dei più rari ed espressivi esempi dell’isterismo mascolino”.
Il primo romanzo del ciclo, “L’Illusione”, che ne è anticipata porzione, è apparso appena pochi anni prima, nel 1891. Vi è adombrata una giovanile passione per Giovannina Calì Paternò Castello, andata in sposa al marchese di Santelia, evocata nel personaggio di donna Teresa Uzeda Duffredi di Casaura.
Il terzo romanzo, “L’Imperio”, è la storia di Consalvo Uzeda e dell’Italia contemporanea, in cui lo scrittore dello sconcio disfacimento dell’aristocrazia, con corrosiva rapacità di sguardo, con smorfia ilarotragica, si propone di mettere a nudo la molteplicità di problemi e di grovigli della vita post-risorgimentale, la deludente realtà politica, sociale, etica dell’Italia parlamentare che darà luogo all’avvento del fascismo.
Il romanzo che dovrà “fare colpo”, il “libro terribile” che dovrà “fare l’effetto d’una bomba”, come scrive alla madre donna Marianna degli Asmundo, attenderà a lungo per vedere la luce, incompiuto e postumo, nel 1929.
Ma “una terribile bomba” sono già “I Vicerè”. Acre il pessimismo scientifico, velenosa la denuncia dell’improntitudine della storia, tragica la solitudine del potere. “La vecchia razza” aveva zolianamente intitolato De Roberto in origine il romanzo, saga (potente ma non epica) della famiglia degli Uzeda di Francalanza discendente dai Vicerè spagnoli di Sicilia. Nell’accezione insieme fisiologica, patologica, “di costume”. Degenerata sia sul piano fisico sia su quello morale, prepotente, corrotta, preda di fissazioni, manie, violente e repentine contraddizioni, abbacinata demenza: “Razza degenere”, “Razza di matti, questi Francalanza!”, tutti “Strambi!… Cocciuti!… Pazzi!…”.
“I Vicerè”, romanzo didascalico, collettivo, polifonico e policromo, s’inscrive nell’eredità ideologica di Verga insieme a quelle opere che dal “Mastro-don Gesualdo” a “I vecchi e i giovani” di Pirandello, a “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa, a “Il vecchio con gli stivali” di Brancati, al “Consiglio d’Egitto”, al “Contesto” di Sciascia, oppongono alle “magnifiche sorti e progressive” la teoria dell’eterno ritorno di uomini e di eventi, sancendo l’immobilismo esistenziale e storico. Lontano tuttavia dall’essenzialità della scrittura verghiana, per quell’indugiare, con crudele distacco e feroce acrimonia, sulle deformità, follie, perversioni della famiglia egemone degli Uzeda di Francalanza, sul decadimento di una “stirpe esausta”.
Bislacchi, litigiosi, avidi, boriosi, arroganti, al pari degli antenati spagnoli, con bieco opportunismo, con camaleontico trasformismo, i Vicerè manterranno l’indiscusso privilegio del potere traendo profitto dagli accadimenti risorgimentali di cui mortificano la grandezza.
Personaggio “chiave” del romanzo e della sua filosofia Consalvo, in cui è palesemente riconoscibile Antonino Paternò Castello, marchese di San Giuliano, nel 1879 divenuto, a soli 27 anni, sindaco della città etnea e quindi deputato, sottosegretario, ambasciatore e ministro degli Esteri fino alla scomparsa, al tavolo di lavoro, nel palazzo della Consulta a Roma nell’ottobre del 1914.
Intellettuale inquieto, eccentrico, dalla personalità complessa, insicura e superba, a De Roberto, scrive Pirandello, “la letteratura italiana deve uno dei suoi più solidi romanzi, un’opera monumentale: “I Vicerè”". Romanzo del disincanto storico, della crisi della società meridionale e insieme bilancio amaro, sfiduciato, di una generazione, di un’epoca, di un “secolo agonizzante”.
(da “La Sicilia” del 14.1.2011 – pag. 22)

“I VICERE’”: la recensione di Renzo Montagnoli

I Viceré è indubbiamente il romanzo più famoso di Federico De Roberto, un’opera piuttosto corposa che a stento ed eufemisticamente può rientrare in una collana di tascabili. Considerato da non pochi critici un autentico capolavoro (Sciascia addirittura scrive che dopo I Promessi Sposi è il più grande romanzo che conti la letteratura italiana), ma in un certo qual modo stroncato da Benedetto Croce (Il libro di De Roberto è prova di laboriosità, di cultura e anche di abilità nel maneggio della penna, ma è un’opera pesante, che non illumina l’intelletto come non fa mai battere il cuore) è in effetti un romanzo complesso, anche strutturalmente, e presenta luci e ombre, di cui tuttavia le seconde non ne intaccano l’intrinseca valenza.
E il valore è indubitabile, perché I Viceré, nel descrivere le vicende dei numerosi componenti della nobile famiglia siciliana Uzeda, finisce con l’essere la devastante biografia di una nazione, un’immagine impietosa di ciò che siamo noi italiani, con una narrazione impregnata da una forte vena critica e ironica.
La storia in effetti è costituita dalla vittoria, in apparenza, della rivoluzione patriottica siciliana e dal suo pratico insuccesso, con un esito quindi impietoso e deludente di tutto il processo risorgimentale, perché le risultanze siciliane vengono di fatto estese all’intero paese. In questo senso De Roberto è stato un’analista del fenomeno non solo attento a tutti i suoi risvolti, ma anche profetico, come infatti sembrerebbe testimoniare l’attuale situazione italiana, di Stato di forma, ma non di sostanza.
Per quanto ovvio balza subito alla mente un altro capolavoro, quel Gattopardo pur esso in grado di anticipare situazioni successive, ma scritto molto tempo dopo I viceré ed è quindi logico supporre fosse stato letto e in un certo qual senso preso a spunto e ad esempio da Tomasi di Lampedusa.
Dice bene Matteo Collura quando scrive che “Nel cospicuo contributo dato dagli scrittori siciliani alla moderna letteratura italiana, s’impone un dato costante: la delusione per la mancata rivoluzione promessa dal Risorgimento, il fallimento delle speranze dei meridionali nel compiersi dell’Unità d’Italia. Viene da lì gran parte dei mali che continuano ad affliggere questo Paese, la scarsa autorevolezza dello Stato, le divisioni e incomprensioni tra regioni del Nord e regioni del Sud e, propriamente oggi, il rischio dello scardinamento dell’unità nazionale.”.
Indubbiamente, basterebbe solo questa visione profetica per classificare I Viceré come un capolavoro, ma c’è dell’altro, quali la caratterizzazione dei personaggi, invero troppi, ma precisa e rappresentativa di modi d’essere e pensare, l’atmosfera quasi irreale di un corpo in decomposizione pronto però a trasmigrare in un altro, fermo restando l’obiettivo di conservare le proprie prerogative. Negli Uzeda c’è tutta una famiglia stranamente attuale, con vizi, furberie, astuzie, cialtronerie e perciò senza cuore. De Roberto non ha pietà per questi personaggi, ma non travalica mai il limite sottile fra avversione e odio, quasi da spettatore e cronista di fatti che avverte come emblemi di una realtà ben più grande.
Benedetto Croce non ha quindi compreso l’effettivo significato dell’opera, soprattutto quando dice che non illumina l’intelletto, forse perché aborre l’idea che quello stato di cui fa parte è una struttura altamente imperfetta che deriva dal fallimento delle idee risorgimentali, pregevoli, eccellenti nelle intenzioni, scomparse nella realizzazione.
L’opera è invece indubbiamente pesante, troppo lunga, e caratterizzata da un ritmo lento che induce a frequenti soste durante la lettura, difetto che tuttavia incide in modo trascurabile sull’effettivo rilevante valore.
Da leggere, senza dubbio.

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OMAGGIO A GIUSEPPE BONAVIRI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/05/13/giuseppe-bonaviri/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/05/13/giuseppe-bonaviri/#comments Tue, 12 May 2009 22:01:10 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/11/04/giuseppe-bonaviri/ POST DEL 22 MARZO 2009

Ho appena appreso la notizia. Giuseppe Bonaviri, uno dei più grandi scrittori del Novecento, è morto ieri sera (21 marzo 2009) all’età di 84 anni. L’avevo incontrato di recente – nel mese di maggio dell’anno scorso – presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania. Giorno 19 marzo l’aspettavamo al Palazzo della Cultura in Via Museo Biscari 5, a Catania, per un pubblico omaggio organizzato da Sarah Zappulla Muscarà e Enzo Zappulla in occasione della ri-edizione de «La ragazza di Casalmonferrato», (romanzo del 1954) – La Cantinella. Le condizioni di salute non gli hanno consentito di essere presente.
A lui il mio e il nostro pensiero…
Non aggiungo altro. Ripropongo il post pubblicato martedì, 4 novembre 2008: Omaggio a Bonaviri.
In coda potrete leggere una lunga intervista esclusiva che Giuseppe Bonaviri ha rilasciato a Massimiliano Perrotta (che ringrazio per avermela concessa).
Grazie, Giuseppe, per le grandi opere letterarie e i bellissimi scritti che ci hai lasciato.
Massimo Maugeri

P.s. In data 15 settembre 2011, questo post è stato tradotto in lingua estone e pubblicato qui.

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Post di martedì, 4 Novembre 2008
giuseppe-bonaviri.jpgÈ con molto piacere che dedico uno spazio “speciale” a uno dei grandi autori del Novecento letterario italiano: il più volte candidato alla vittoria del Premio Nobel, Giuseppe Bonaviri.
Sarah Zappulla Muscarà, nella sua prefazione alla nuova edizione de “L’infinito Lunare” (Bompiani, 2008, € 9,20, p. 264), lo presenta così: “Giuseppe Bonaviri è nato l’11 luglio 1924, “al canto delle cicale”, a Mineo, paesino alto su un monte, in provincia di Catania, fondato da Ducezio, re dei Siculi. Lì erano nati nel Seicento il padre gesuita Ludovico Buglio che, nel corso della sua lunga vita missionaria in Cina, pubblicò ben ottanta volumi, fra cui la Summa teologica di San Tommaso d’Aquino, in elegante lingua cinese; sempre nel Seicento il poeta Paolo Maura, autore del poemetto autobiografico in dialetto siciliano La pigghiata (La cattura); e nell’Ottocento Luigi Capuana, uno dei maggiori esponenti del Verismo, i cui interessi spaziarono dal giornalismo alla narrativa, alla critica, alla poesia, alla favolistica, al teatro, allo spiritismo. Da queste radici geografiche e antropologiche – “A Miniu li pueti a ccientu a ccientu / pirchì è lu mastru di lu puitari”, come suona il detto popolare – scaturisce il canto, sorretto dalle più variegate letture, di Bonaviri. Il suo esordio risale al 1954, con “Il sarto della stradalunga”, apparso nella collana einaudiana “I gettoni”. Da quel lontano romanzo che, come ben intuirono Vittorini, Calvino e la Ginzburg, rivelava nel giovane sottotenente medico lo scrittore di razza, Bonaviri non finisce di stupirci. “Le sue cortesie sono come i frutti del giardino di Armida, che ‘E mentre spunta l’un l’altro matura’”: così da Mineo il 24 giugno 1884 il conterraneo Luigi Capuana a Federico De Roberto. Lo stesso potrebbe dirsi dei dolci frutti di Bonaviri. Di quelle “possibilità infinite di conoscenza” che gli riconosce Sebastiano Addamo. Gli è che dalla mitica pietra della poesia dell’altipiano di Camuti, contrada di Mineo, odorante “di fior di nepitella e di iris”, “Parnaso siculo”, “Elicona dei rustici poeti”, l’omphalos dei greci, di cui narra anche il medico palermitano studioso di tradizioni popolari Giuseppe Pitrè, lamento doloroso e nostalgico, specola dell’anima, patria incorrotta della memoria, dalla madre donna Papè Casaccio, “decameron vivente”, dal padre don Nanè, l’ingenuo poeta de “L’arcano”, per misteriose, labirintiche vie ctonie e cromosomiche, Giuseppe Bonaviri ha ereditato il “potere di fare miracoli” che possiede il vecchio “Gesù a Frosinone”. Il potere incantatorio del narratore in grado di dar vita a quella suspension of disbelief di cui parla Samuel Coleridge.”

Mi piacerebbe organizzare un grande dibattito sulla figura di Bonaviri. E per farlo mi avvarrò del supporto della già citata Sarah Zappulla Muscarà (ordinaria di Letteratura Italiana nell’Università di Catania), e della sua prefazione a “L’infinito Lunare”, di cui avete già letto uno stralcio qui sopra; del critico e scrittore Subhaga Gaetano Failla (il quale, tra l’altro, mi darà una mano a coordinare e a animare la discussione), che ci offre un’intervista al celebre autore di Mineo (l’intervista, realizzata insieme alla sorella Valeria Failla, è apparsa sulla rivista cartacea “Orizzonti” n. 26, aprile-luglio 2005); e di Rawdha Zaouchi-Razgallah (italianista e docente di letteratura italiana presso l’Università del «7 Novembre a Carthage» di Tunisi), che ci offre un duplice spunto (e punto di vista) sulla scrittura di Bonaviri.

Nei prossimi giorni aggiornerò il post introducendo alcune immagini e un video da me realizzati nel mese di maggio di quest’anno presso la facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Catania, in occasione di un pubblico incontro con Bonaviri.

Il dibattito è incentrato sulla figura di Giuseppe Bonaviri e sulle sue opere (cercherò di coinvolgere gli amici della Fondazione Bonaviri); ma ne approfitto per proporre un argomento di discussione collaterale che, in parte, abbiamo già avuto modo di affrontare in altre occasioni. Nella prefazione della Zappulla Muscarà a “L’Infinito Lunare” leggiamo il seguente stralcio virgolettato: “Credo che per colui che scrive non per mestiere ogni libro rappresenti come un immergersi in un labirinto di se stesso per entrare dentro, per mezzo delle parole, in un disagio vitale che soltanto con la pagina scritta si può curare”.
Esiste davvero un potere salvifico della scrittura? E fino a che punto la scrittura è in grado di curare il disagio vitale?

Non credo che Bonaviri avrà modo di partecipare al dibattito, ma di certo ne sarà informato in maniera dettagliata.

Massimo Maugeri

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L’INFINITO LUNARE – Bompiani, 2008, € 9,20, p. 264
introduzione di Sarah Zappulla Muscarà

Accomunati da un sottile filo rosso, il clima di fiaba, d’onirica, surreale, inquietante evasione dalla grigia e triste realtà quotidiana, in assoluta libertà d’immaginazione, i dieci racconti della silloge L’infinito lunare di Giuseppe Bonaviri, apparsa per la prima volta nel 1998. Teso a colmare, per il tramite di un novellare che è, come in un quadro di Chagall, “perpetuo inseguimento del desiderio”, la sua (e nostra) solitudine di vecchi prometei incatenati, in perenne lotta nell’inane tentativo di svincolarci dai ceppi dello spazio e del tempo. Specularmene vi coesistono le molte sue anime di scrittore, medico, scienziato. Così come dialetticamente vi coesistono sicilianità e universalità. Nella consapevolezza che “tutto è vano travaglio”, “‘noi siamo simili alle foglie che nascono e poi muoiono’ negli incantati boschi di mandorli e querce e pioppi e carrubi della Sicilia, circondata, di là dal comune mare, dall’Oceano che sempre risuona”, e inutili sono “i sillogismi della mente” in cerca di Dio, “ruotante natura”, “aura perfetta”, “Uovo-centrale”: “l’anima muore e rinasce da un gioco di pensieri e d’angosce”. Né vale imprecare “contro quel povero cristo dell’autore”, “uomo musolungo nato per vivere in solitudine”, vocato all’affabulazione, finito per sempre impigliato nel suo stesso teatrino di stupori, che fa confondere “fra realtà e sogno anche noi poveri spettatori”. È la sartriana morbosità di creare, “necessità primaria e univoca”, “fine assoluto e dirompente, di fronte al quale ogni altro accadimento si pone in sottordine”.
Al pari della tela di Max Ernst, L’occhio del silenzio, dove emergono prepotentemente, suggerite dall’inconscio, emblematiche, allucinate immagini di un insoffribile quotidiano, in Martedina il narratore, che s’identifica con l’autore, per quel forte tasso di autobiografismo che ne sorregge l’intera opera, per quel continuo intrecciarsi di piano del vissuto, piano della creatività, piano del fantastico, mal conciliando lavoro e denaro con il guardarsi dentro, col magmatico fluire degli umori, per narcisistico amore di sé votato all’unicità dell’arte, intraprenderà un viaggio interplanetario verso Plutone: “Credo che per colui che scrive non per mestiere ogni libro rappresenti come un immergersi in un labirinto di se stesso per entrare dentro, per mezzo delle parole, in un disagio vitale che soltanto con la pagina scritta si può curare”. La scrittura è sofferenza, ma sofferenza liberatrice, esplorazione dell’io e dell’universo, ricerca di felicità, seducente infermità eppure fonte inesauribile di guarigione, benefica terapia, “per il resto, è caduco il vivere”.
Abbandonata Mineo per sposare Martedina, una ragazza di Casalmonferrato (“‘Di Casalmonferrato?’ mi chiese mio zio Giuseppe quando lo seppe. ‘Sei il primo parente che sceglie la propria donna fuori Sicilia; in Piemonte, per giunta. In qualche punto, la nostra famiglia comincia ad incrinarsi’”), il medico Zephir (sotto il cui nome l’autore anche altrove ama celarsi) si trasferisce a Valfrancesca con la moglie, paga della sua semplice vita, affollata di gozzaniane piccole cose inutili. Ma, gravato dall’indomita inadeguatezza a vivere con colleghi venali, primari, assistenti, nei quali non si riconosce, tenta altre imprese. Liberatosi del lavoro in ospedale, fatto di “ore contate”, di “notti insonni”, di “uomini che muoiono”, per il fallimentare commercio di uova, galline, conigli, il riscatto dalla misera condizione giunge dal cosmo, da un folle volo su una navicella lanciata ai confini del sistema solare. Con gli altri astronauti tuttavia Zephir vive nel ricordo di quanto di più puro ha lasciato sulla terra, ora nostalgico dei domestici lari, degli affetti parentali, dei luoghi dell’infanzia, dei riti, dei profumi, della natura. Per l’inquieto medico (“Figlio, la tentazione non è perdizione, ma inquietudine. Chissà, se non ci sarà inquietudine anche nella morte”) e gli ardimentosi compagni nessun approdo possibile, perduti come sono nell’infinito silenzio della dimensione stellare, lontani anni luce dalla terra, naviganti tra “globi di fuoco candido. E poi vuoto e scuro. E ancora globi luminosi e circolari”, annichiliti infine da “una cascata di mondi e di sonno”: “Il sonno mi venne incontro col rombo di un fiume. (…) E chiamai ’Alqama, Runa, Giamil, Ayala. Mi parve che mio padre, al-Aggiàg, e il vecchissimo nonno Shimon mi venissero incontro dalla sotterranea Alcamuch (…) e di camminare addormentato su un carretto di là, a Zebulonia, il mio paese, verso il piano di Camuti, venendo da Vallenuova, in una notte in cui c’è solo uno scintillio di stelle, e Martedina e mia madre Alulia e i miei figli sono morti e non si sente nessuno, né il vento che chiama i pastori né l’uggiolio dei cani che viene dalle chiuse degli ulivi”.
Si assiste, in Martedina, ad una progressiva rarefazione del vivere. Gli intensi profumi ed i vivaci suoni del mercato, del fiume Liri, dei campi e delle strade di Valfrancesca, si scolorano nella bigia monocromia degli abissi spaziali, pervasi dal buio, dal silenzio, dalla fissità. Al calore della vita quotidiana, rinsanguata da semplici gioie e dolori, a minime e pur intense emozioni, si contrappone il gelo, progressivamente anche interiore, di un viaggio che vuole essere fuga ma che diviene itinerario di morte.
Il Viaggio astrale del “dormiente Zephir” che “dissolse nel sogno l’intricato reale” è ancora “un veleggiar verso la morte” (Arthur Schopenhauer), “inutile polvere stellare”, “annerita spirale” sulla quale si aggroviglia il pensiero speculativo dipanandosi da Eraclito a Platone, da Spinoza a Kant, dall’esistenzialismo al fenomenologismo, dalla teoria della razionalità scientifica all’anarchismo metodologico: “È una forza antigravitazionale che mi sospinge, figlio, / fuori dal dilettoso mondo, costretto io / ormai dall’espansiva ruota di galassie / e supergalassie, mari illimiti che rilucono / in distorsioni di tempospazio che ci intinge / e ci trasfigura, flusso di fotoni anch’io / in una equivalenza massa-energia / e in apparente simultaneità di ritmi stellari”.
L’insistito tema del viaggio, come la scrittura anch’esso sanità, è indomita ansia di conoscenza, inesausta esplorazione esistenziale husserliana, “antinoési”, “anti-pensiero”.
Altro viaggio nel cosmo Giovanni Verga sulla luna, “la commediola buffa” nella quale agiscono, con Verga e il suo immortale personaggio, mastro-don Gesualdo, moderni eroi dell’immaginario infantile, il cartone animato Sailor-moon, il bonario attore comico americano Ollio, un gruppo di cento bambini di cui capomanipoli sono Leopoldo e Niccolò, nipotini dello scrittore, gente comune di tutte le razze, esponenti di una società feroce, regnanti, magistrati, manager, artisti, uomini di malaffare. Un viaggio che ha luogo nell’anno 3223 e origina da quelle terre che “una volta si stendevano fra Vizzini, Licodia Eubea, Mineo, Francofonte, e giù andando verso Scordia e Palagonia” dove “non erano rimasti né boschi di ulivi, né solitari noci, né, altresì, siepi di polverosi fichidindia, o mandorli, o aranceti, né si vedevano volare, nel ventilare del mattino, falchi e sparvieri sui poggi rocciosi”.
In tensione fra essere e apparire, la Sicilia, terra di ancestrali contraddizioni e di stravaganti antinomie, non ha alimentato di sé un giuoco ironico volto a scardinare, o forse burlare, le leggi dello spazio inteso nella sua duplicità di spazio concettuale e spazio percettivo?
Un incessante trascorrere dalla sofferenza umana alla ricerca dell’essere, dall’individuo ai sassi, alle piante, agli uccelli, al firmamento, dal microcosmo al macrocosmo. Ma l’estraneazione dalla realtà, la vena fantastica, la dimensione magica, la metamorfosi, la trasmigrazione e trasmutazione nel tempo e nello spazio, sospinto da un mitico, epico e pur fragile ulissismo, una costante dell’opera in versi e in prosa di Bonaviri, non è disimpegno politico-sociale, giacché su Plutone o sulla Luna reiterati sono i riferimenti critici alla contemporaneità e persistono angosciosi interrogativi, aspirazioni, desideri, sofferenze, malinconie, solitudini. La mente corre al silente universo di Isaac Asimov. O alla “miseria aguzza come selci” dell’infanzia a Mineo, densa di tenaci memorie. E non solo. Caustica la denuncia delle iniquità dei Grandi della terra – “gli adepti alla Massima Associazione per l’incremento dell’Oro” che hanno organizzato “per il progresso della scienza” l’allunamento di violacee astronavi –, politici, le cui ambigue parole dai “toni lugubri” brillano di un “nero opale”, cardinali “che non amano Cristo”, industriali, ministri, mafiosi. Scopo della missione studiare le modalità per distruggere la Luna “di grosso ostacolo alle relazioni umane interplanetarie”; utilizzare i “picciriddi”, i “poveri children”, per i trapianti d’organi e per creare un circuito di clonazione degli “Eletti”; risolvere il problema “di milion di milion di milion di milioni” di disoccupati lanciandoli “nel sistema planetario e oltre”. Un potere col tempo sempre più spietato. Una satirica messa in stato d’accusa dell’umanità intera con swiftiano sguardo ilare e amaro come in La Beffària. Mentre “scrittori e scrittorelli, poeti e poetucoli, pittori e dipintori, scalpellini, scultori, attori, attrici e attricette pampanose”, cantautori “dalle chitarre ripiene di miliardi” sono preda di uno “sconfinato narcisismo” e Beethoven si rammarica di non aver mai pensato ad una “teoria musicale, con aggiunti pentagrammi, dei suoni fecali e stercoracei”, di certo “immortale per… la storia dell’uomo”.
In sovvertimento cronotopico, vi affiora il lucido farneticare della ragione e della fantasia della fiaba teatrale Giufà e Gesù, dove medesimi ingredienti – il narratore-cantore di cui si ode soltanto la voce, il cartone animato fatto con “carta, polistirolo, pongo, colori, creta, juta, sensori, fili e filetti intrecciati, resine, e terra d’ocra”, i bambini, con a capo Leopoldo e Niccolò, approdati sulla Luna stavolta per essere salvati, il musicista Beethoven, la commistione di prosa e versi – sono amalgamati con funambolica visionarietà e deflagrante accusa dei mali, delle storture, delle follie della società contemporanea.
Una sotterranea carica eversiva, umoristica, parodistica, percorre la scrittura bonaviriana. Come quando Ollio ricorda che i pescatori delle sue scogliere di San Francisco tiravano a riva reti piene, oltre che di gozzi, meduse, polipi, dentici, saraghi, saramaghi, pescispada, di “pesci-fo ridenti” e perfino di “pesci-d’alema con baffetti da cui nascevano i pensieri”; o racconta la fiaba di un mondo dove tutto succedeva alla rovescia, “se uno ammazzava dieci, venti, o quaranta persone facendo finta di pentirsi diventava collaboratore di giustizia e, a poco a poco, salendo nella scala gerarchica, giudice di prima istanza”; dove tutti volevano divenire miliardari e regnanti, una corsa all’oro che “si scovava anche fra la cacca degli uomini”; dove “i Regni si creavano e si ottenevano subito con le guerre”. Né mancano Elena di Troia, “oh, no, sbaglio, di Troina in provincia di Enna”, lady Diana Spencer, che “piange i suoi perduti amori nel buio della morte”, torte che parlano, “Skis, kisses, love, love, love! slaping, sfz sfrytstz”.
Ricorrente il vezzo, nel perpetuo travaso tra vissuto e immaginario, di ancorarsi a propagginazioni intrafamiliari e cromosomiche, di accennare insistentemente a sé, agli amici, di sottolineare date e particolari minuti della propria quotidianità, come a fissarne il ricordo, a difendere un intero patrimonio di affetti, emozioni, cultura, lentamente stratificatosi, dall’inesorabile trascorrere del tempo. Disperato ancoraggio ad un territorio interno che garantisca, con Salvator Dalì, La persistenza della memoria. Fotografie di sogni fatti a mano con l’intento di materializzare immagini irrazionali.
“Solo i saggi e gli stolti non sognano, mentre singolari sono i sogni di coloro che nutrono emozioni speciali, diverse, originali”, con Feng Menglong. Peculiarità del sogno l’analogia con l’esperienza passionale, con cui condivide l’illusoria libertà, che dilata e comprime tempo e spazio in modo irreale. Al fondo permane il mistero che il sogno solleva sulla nostra identità. “Il sogno ci rende libero l’animo” dichiara don Chisciotte nella “commediola in due atti senza epilogo” Il giovin medico e don Chisciotte dove al medico in un cronicario Michele Rizzo, impotente a curare, non rimane altro, “ragionier della morte”, che registrare “vecchi che muoiono e muchachos morti, mai nati”, vale a dire gestire oniricamente un camposanto.
Uno straniante orizzonte metaforico, un festoso guazzabuglio di citazioni e autocitazioni, una fantasmagoria linguistica che mescida insieme in un variopinto, stravolgente cocktail, stilemi e favelle diverse, trecentismi, arcaismi, aulicismi, dialettismi, neologismi, lessico scientifico, grecismi, inglesismi, spagnolismi, arabismi. E l’espediente della prorompente contaminatio, del divertito pastiche, l’accumulo scoppiettante di simboli, assonanze, onomatopee, è teso a cogliere segrete vibrazioni, intime risonanze, saporose sonorità. L’ironia (e l’autoironia) non può non investire pure l’inventività, l’originalità della scrittura, elusiva, allusiva, efflorescente, in virtù della quale le formiche guardano “in piagnimento” (giacché i suoi nipotini “non hanno mai visto delle formiche in pianto, ma in piagnimento sì”); i disoccupati “ – i jurnatari – aspettavano, zappa o zappulla in spalla, la mattina in piazza per essere ingaggiati”. E ancora, ma stavolta “dell’errore ebbero orrore e orripilarono i dottori in lettere”, la ranocchia “insegnante” nella “rabbiosa fretta sbagliando disse: Qual’è, qual’è, qual’è?” (Il popolo delle rane); e il corvo Cratete “si sarà a capofitto buttato, chiudendo volutamente le penne rematorie (non meglio ‘remiganti’?)” (Cratete ovvero Compilatio singularis di luoghi arpinati).
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INTERVISTA A GIUSEPPE BONAVIRI – dalla rivista “Orizzonti” n. 26, aprile-luglio 2005
di Subhaga Gaetano Failla e Valeria Failla

Devo l’incontro con le opere di Giuseppe Bonaviri ad un giorno fortunato d’estate di molti anni fa. Vagavo per le strade di Tropea con alcuni amici. In una libreria si vendevano libri a prezzi scontati. Guardai, mi impolverai le dita, ma nessun libro mi attraeva. Poi, un titolo mi catturò: La divina foresta di Giuseppe Bonaviri. Lessi il libro in una spiaggia assolata del Tirreno meridionale. In epigrafe aveva una frase di Empedocle: “Perché un tempo fui fanciullo e fanciulla, arbusto e uccello e muto pesce del mare”.
La scrittura magmatica, sontuosa, m’incantò e mi trasportò in un tempo immobile, sospeso.
Nelle settimane, nei mesi che seguirono, rivelai la scoperta ad un paio d’ amici e a mia sorella, con la quale ho preparato questa intervista. La passione per la scrittura di Bonaviri ci accomuna ancora oggi, simili a cercatori che parlano a bassa voce d’una lontana miniera d’oro. Finalmente, poi, quasi due anni fa, sono andato a Frosinone a far visita allo scrittore.
Abbiamo passeggiato insieme vicino alla sua casa, in un pomeriggio di fine estate. In tempi così carichi di stili aggressivi, di arroganza politica, di idiozie televisive incontrare un uomo siffatto, con un’aura di bontà, di semplicità e saggezza è davvero inconsueto. Alla mia partenza, mi ha atteso sulla porta per donarmi un sorriso e un ultimo saluto.
Giuseppe Bonaviri ha pubblicato oltre trentacinque opere, di prosa e di poesia, tra le quali anche un volume di saggi (L’arenario, Rizzoli, 1984), è stato più volte candidato al Nobel, tradotto in molte lingue, perfino in cinese e arabo, di lui hanno scritto in Italia Vittorini, Calvino, Sciascia, Manganelli, Gramigna, Manacorda, Pampaloni (mi fermo qui, l’elenco è lunghissimo), eppure egli oggi non ha qui da noi, a mio parere, un riconoscimento adeguato alla sua grandezza.
Bonaviri è nato a Mineo (Catania) l’11 luglio 1924, primo di cinque figli del sarto don Nanè e di donna Giuseppina Casaccio. Si laurea in medicina a Catania nel 1949, frequenta poi il corso allievi ufficiali a Firenze, è ufficiale medico a Novara ed in seguito viene trasferito a Casale Monferrato. Ritorna a Mineo, dove svolge la professione di medico prima, poi di ufficiale sanitario. Nel 1957 lascia la Sicilia per sposarsi con Lina Osario e trasferirsi in Ciociaria. Da allora vive a Frosinone, dove ha svolto la professione di medico cardiologo fino alla pensione. Ha due figli: Giuseppina ed Emanuele.
Su uno dei suoi primi ricettari di medico termina di scrivere Il sarto della stradalunga. Il romanzo viene pubblicato nel 1954 nella collana “I Gettoni” della casa editrice Einaudi curata da Elio Vittorini, il quale a proposito dell’opera sottolinea il “senso delicatamente cosmico col quale l’autore rappresenta il piccolo mondo paesano su cui c’intrattiene, trovando anche nelle erbe e negli animali, nei sassi, nella polvere, nella luce della luna o del sole, un moto o un grido di partecipazione alle povere peripezie del sarto e dei suoi”. Molti anni dopo Italo Calvino in Notti sull’altura (Rizzoli 1971) sembra ritrovare quel “senso delicatamente cosmico” di cui parlava Vittorini. “I personaggi del romanzo” scrive Calvino nell’Introduzione “si sparpagliano a raggiera sulla mappa di questa Sicilia fatta di tutti i tempi e tutti i luoghi, e decifrano come in una fitta rete di corrispondenze misteriche i segni dei minerali e le metamorfosi delle piante…”
La scrittura di Bonaviri “sente il fascino del divino”, osserva Luca Orsenico in una recente intervista, ed è intimamente legata ad “una sacralità non confessionale”, come dice nella stessa intervista l’Autore. Le sue narrazioni tornano interminabilmente alla sua natia Mineo e attingono a quegli “aspetti metafisici” dice Bonaviri “che noi bambini un tempo, sia quando andavamo in vacanza con la nonna che aveva perso ben diciassette figli su ventiquattro, sia quando andavamo a scuola la mattina verso l’alba, percepivamo con chiarezza, tanto è vero che scuotevamo gli alberi per svegliare gli spiriti che secondo noi stavano ancora dormendo”. E di aspetti metafisici è ancora intessuto, in una narrazione commossa, memorabile, l’ultimo romanzo Il vicolo blu (Sellerio 2003), mentre nella nuova raccolta di poesie I cavalli lunari (Scheiwiller 2004) anche il corpo umano diventa materia poetica, espressa con l’intensità di straordinarie illuminazioni.
Nella scorsa estate, a Mineo, in occasione dell’ottantesimo compleanno dell’Autore, si è svolto un convegno che ha ospitato traduttori dell’opera bonaviriana provenienti da varie parti del mondo, ed è stata inaugurata una “Fondazione Bonaviri” che si occupa dello studio e della valorizzazione della sua opera.
Nell’intervista che segue, svolta telefonicamente, il lettore perderà – inevitabilmente – l’ascolto della voce di Bonaviri, profondamente immersa in modulazioni siciliane, dolcemente musicale, simile ad un canto d’antichi poeti proveniente da un mondo d’armonia.
- Le sue biografie dicono che lei ha cominciato a scrivere a otto anni. Mi può parlare del suo incontro con la poesia e la scrittura?
Tenga presente che io sono nato a Mineo in provincia di Catania, un paese che si trova ad altitudine di 500 metri, e che Giuseppe Pitrè, il grande folklorista, definiva il Parnaso Siculo, in quanto tra contadini e artigiani e anche analfabeti c’era almeno il 20% di persone che poetavano. Per cui il mio impatto, il mio contatto, il mio primo incontro con la poesia è stato facile perché ce l’avevo attorno: tutti poetavano, mi sembrava una cosa usuale. E cominciai a scrivere qualche poesiola attorno agli otto anni. Poi, un certo criterio secondo me più qualificante, mi portò a incominciare a scrivere a quattordici anni tre romanzi, in uno dei quali, dal titolo “Un omicidio tra i selvaggi”, c’è la storia di un giovane che per una ragione amorosa ammazza il padre e la madre. Mi pare che anticipava ampiamente tutti questi massacri sia librari che reali che ci sono oggi. Le poesie a cui cominciai a credere iniziai a scriverle a quindici anni, a parte quelle scritte prima.
- Perché, nonostante l’iniziazione precoce alla scrittura, ha poi scelto di laurearsi in medicina?
Beh, a me pareva di poter imparare un mestiere di cui ero in quel momento affascinato. Forse perché ero in piena guerra quando mi sono iscritto, nel ‘43. Si avvicinava questa era tecnologica, nuova, ansiosa e ansiogena che ci è arrivata dopo il Cinquanta, dopo la fine della guerra. È stata forse una intuizione o meno, cioè fui affascinato dall’idea di fare una sperimentazione, delle sperimentazioni, sul nostro corpo: il mio sogno primo era di fare in modo che gli uomini – Dio ne liberi – non dormissero più, così si guadagnavano molte ore di attività, di psichismo, e così via.
- Il lavoro di medico ha sicuramente assorbito buona parte del suo tempo e poi c’era anche la famiglia da tirare su. Come è riuscito a soddisfare la passione per la scrittura?
È stato indubbiamente lavorare il doppio, ho faticato molto perché ho fatto sempre il medico. Tra l’altro non ho nemmeno diritto alla pensione, dopo tanti anni come specialista cardiologo nella Unità Sanitaria tra Frosinone e Ceccano. Eravamo considerati dei lavoratori autonomi esterni. Adesso questa legge è caduta. E quindi praticamente è stato un doppio lavoro. Non c’è rapporto tra la scrittura e il lavoro di medico. Il solo rapporto consiste nel fatto che come medico sono sceso – ho detto più di una volta – nei labirinti del dolore umano. Ho un’esperienza che tanti altri che sono scrittori qualificati, o tali si credono, non hanno assolutamente. Una vasta esperienza anche della gioia, della guarigione.
- Lei da quasi cinquant’anni risiede a Frosinone. Come vive questa distanza dalla Sicilia?
A lungo andare ci si crea un lavoro, una famiglia, dei nipoti che vengono a integrare gli affetti perduti. Ho perduto due sorelle, per ictus, mio padre, mia madre, mio fratello. Siamo rimasti in due: io sono il più vecchio. È come trasferire un albero da una zona ad un’altra zona. L’albero a poco a poco si adatta ai venti, all’humus.
- Nelle sue opere la trama narrativa è impregnata di elementi del mondo arabo. In che modo si è avvicinato a questa cultura?
Sono memorie infantili che mi arrivavano attraverso le fiabe di mia madre e così c’è anche il recupero, scorporato, di quello che è stato. È sottinteso che ormai non c’è quasi niente, tranne i residui archeologici. Il siculo di per sé non amava gli arabi, perché li considerava anti-cattolici.
- La morte nella cultura occidentale subisce un costante processo di rimozione, nelle sue opere invece è un tema ricorrente. Mi può dire qualcosa al riguardo?
È un tema ricorrente un po’ perché per natura sono pessimista e temo, temo, che per tutti al di là della morte non resti niente. Se noi potessimo raccogliere tutte le ossa di miliardi e miliardi di persone morte e lanciarle con dei razzi – oggi facili da avere – nel sistema planetario, tutte queste ossa (per darne un valore cosmico divino) diventerebbero miliardi, miliardi e miliardi di piccoli satelliti di Mercurio, di Marte, ecc. E io spero solo che la morte valga nel senso, non della memoria che lasciamo agli altri, ma d’un qualcosa che realmente ci fa sopravvivere come unità pensante, anche se per poco tempo. Non riesco ad aderire completamente alla visione soteriologica del cristianesimo.
- Il suo paese natale, Mineo, patria anche di Luigi Capuana, ha rappresentato, come mi diceva, una sorta di Arcadia Siciliana. Cosa è rimasto per lei di quella esperienza?
Sono vissuto in Sicilia fino a venticinque anni. Non sono mai uscito dalla Sicilia prima di quell’età. Allora era difficile anche avere il denaro per andare, fuori. Sono andato via per fare il corso di allievo ufficiale medico a Firenze e poi ufficiale medico in Piemonte. E stata una grande esperienza, in quanto ho conosciuto qualcosa di assolutamente nuovo e diverso dalla Sicilia. Ma l’infanzia è stata per me il Giardino delle Esperidi: tante deità che immaginavamo presenti negli alberi, nella pioggia, gli spiriti, i racconti, le fiabe di mia madre, la miseria, il senso filosofico dei poveri, i proverbi. Insomma, un mondo sconfinato.
- Nel suo più recente libro di poesie “I cavalli lunari” viene cantato il corpo umano nel suo aspetto biologico. Da cosa scaturisce questa scelta poetica?
Beh, un bel momento io mi son detto che la poesia sempre punta su temi apparentemente un po’ superiori a quelli che sono i momenti contingenti della nostra esistenza. In fondo ancora seguiamo, secondo me, un filone petrarchesco che pone sempre temi delicati, angelicati, superiori. Mentre ci sfugge che, per esempio, dentro di noi, dal cavo orale all’estremità anale, abbiamo circa un milione di miliardi di batteri. Essi sono con noi. E perché non guardare, non porre questo su un piano o su un tentativo di farne poesia, quando sono elementi unicellulari che vivono con noi? E perché non dare importanza al sudore del nostro corpo, al cattivo odore, ai buoni odori, cioè al corpo come corporalità, come un insieme di organi ben armonizzati tra di loro? (finché c’è la salute…).
- Gennaro Savarese afferma che il suo stile non può che provenire da “quel Mezzogiorno d’Italia dove (…) i confini tra scienza e fantasia, pensiero e immaginazione sono stati sempre assai più incerti che in altre aree culturali italiane”. Condivide questa analisi?
In passato indubbiamente era così. Ma adesso credo che sia tutto uniformato, ormai, tranne per quel che riguarda tradizioni locali oppure differenze di ordine socio-economico (di lavoro o meno) che esistono tra Nord e Sud, una certa educazione che al Nord è più “austriaca”, nel senso migliore della parola, e al Sud invece è più disordinata. Ma in passato presumo che – settanta o ottanta anni fa – questa linea sfumata, incerta c’era..
- Nella mia infanzia (sono di origine calabrese) c’era una sorta di divieto di uscire nella cosiddetta controra, nel dopopranzo assolato dell’estate. “Non andate in giro all’ora delle streghe” diceva mia madre a noi bambini…
Beh, anche per noi c’era questo divieto. Non dormire in campagna sotto i noci anche, perché altrimenti i noci ti portavano appresso. Voci strane, presenze improvvise di spiriti… E lo stesso vale per la controra. Era quasi come un uscir fuori dalla luce usuale che ci spetta, che è la luce del mattino. La controra inizia ad avvicinarsi al crepuscolo e alla sera, in cui tutto si rovescia, per cui anche il nostro modo di rapportarsi col mondo visibile o invisibile, ammesso che l’invisibile ci sia. C’è una grande linea discordante: la linea discordante tra spiritelli, voci, fantasmi, morti, essenza di morte.
- Definirebbe, come Pirandello, l’assegnazione del Nobel, a cui lei più volte è stato candidato, “una pagliacciata”?
Beh, una pagliacciata no, perché altrimenti tutte le cose della vita sono, gira e rigira, una pagliacciata. Anche presentarsi con una tesi di laurea e prendersi una laurea… è un premio a cui a poco a poco tutti hanno dato importanza, si è creata questa fama. Sono in 15-16 membri scelti e cooptati, dopo la morte di qualcuno sostituiti, ed hanno anche le loro amicizie, le loro simpatie, le conoscenze. Se tiene presente che non esiste un italianista, la lingua italiana non è conosciuta. Ecco perché spesso sono più favoriti quelli che scrivono in inglese. Poi, c’è una visione ancora un po’ tardo-antimarxista, una specie di borghesia illuminata che pensa sempre al testamento di Nobel, il premio si deve dare a coloro i quali dicono qualcosa di nuovo per la società, per far migliorare la società. Se si parla del cosmo, di spiriti, di un mondo pieno per l’appunto di presenze, di deità – vero o non vero – loro istintivamente si allontanano. Ed inoltre alcuni componenti cercheranno di imporre i loro giudizi in seno al collegio. È una cosa umana come tutte le cose umane. Il motivo per cui abbia assunto una tale importanza dipenderà dal fatto che l’uomo ha bisogno sempre che ci sia un qualcosa che diventi il vertice, il re, il genio. Noi uomini abbiamo sempre bisogno del padre, di puntare su qualcosa che sia il vertice della forma mentale, il vertice della cultura, il vertice della capacità guerresca, il grande guerriero, e così via.
- Nelle righe conclusive del suo ultimo romanzo “Il vicolo blu”, da me amatissimo, si legge: “E in un bel suono, Linuccia disse – Ritornerà la luce. Non la sentì nessuno, solo io e mio fratello, che ora non c’è più.” Avrebbe voglia di dirmi cos’è questa luce?
La luce… Mi devo un po’ rifare a quanto diceva il sarto: “…scrivendo, comprendere che il mondo dovrà migliorare” (dalle prime pagine del romanzo di Bonaviri, “Il sarto della stradalunga”, Nota degli Autori), cioè che ci possa essere un miglioramento nella visione culturale, religiosa, etica del mondo. Però, il solo fatto che mio fratello che era morto l’ha sentita e solo io poi sono rimasto a sentirla lascia una grossa banda di incertezza. Questa luce che arriverà o che dovrebbe arrivare… Spero questo non sia sfuggito: uno solo rimane a sentirla questa voce, e l’altro che l’ha sentita è morto, quindi già significa che c’è una zona di buio, di incertezza.

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LA SCRITTURA DI GIUSEPPE BONAVIRI
di Rawdha ZAOUCHI-RAZGALLAH

Bonaviri è un autore che fa riflettere sulla vita, sulla politica, sull’Italia, sulla metafisica, sulle relazioni umane, sulla natura, sulla scienza, sulla scrittura.
Nelle sue opere cerca di cogliere non la storia di un individuo o di un momento della civiltà, ma l’unico fare del mondo, di tentare la trascrizione di quello che solo la scienza ha appena toccato, di dare alla materia una credibilità poetica e di inventare infine, un supporto narrativo nel quale le luci ed i suoni, il cielo e la terra, gli animali e gli uomini si ci riparano.
Nei suoi scritti, introduce numerosi argomenti scientifici. Questo elemento potrebbe restituire all’uomo d’oggi, dopo la perdita delle certezze religiose, una conoscenza scientifica secondo la quale, nell’universo ciò che esiste, è destinato ad esistere anche se è opposto a continue ed imprevedibili metamorfosi.
Quanto all’itinerario linguistico di Bonaviri, è orientato verso la scoperta di un’unità primaria seppellita dalla superposizione di strati ed in questa discesa verso le zone profonde della vita e della psiche, lo scrittore deve recuperare una lingua immortale e quindi sente la necessità di inventarla per dare una forma poetica ai suoi fantasmi.
La valorizzazione di nuovi fonemi, il recupero di un lessico ai limiti del barocco, i prestiti chiesti alla filosofia, guidato da una vena ispiratrice quasi costante, riescono a dare vitalità ai racconti.
A ribadire la sua originalità di scrittore impegnato nella ricerca personale a carattere universale, possiamo dichiarare che G. Bonaviri non può essere schierato con nessun movimento letterario. L’autonomia di uno scrittore è quindi una costante nel discorso di Bonaviri. Lo scrittore, oggi, più di ieri, è chiamato ad esprimere la sua propria visione del mondo per non cedere a sollecitazioni non ubbidienti a ragioni profonde e che non possono trovare una giustificazione, morale e storica nell’ambito di una vocazione reale dell’atto di narrare.

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LA LETTERATURA FANTASTICA DI GIUSEPPE BONAVIRI
di Rawdha ZAOUCHI-RAZGALLAH

La definizione del fantastico nel dizionario Garzanti è prima di tutto: “che concerne la fantasia”, la seconda definizione è: “che è frutto della fantasia; per estensione irreale, strano o è una cosa che ha troppo del fantastico, per essere credibile”; dal senso antico, bizzarro, stravagante, dal latino tardo: phantasticus, dal greco phantastikós, deriva di phantάzein “far vedere, mostrare”.
La letteratura fantastica è un tipo narrativo che si basa sull’angoscia oppure sullo spavento causato dai fenomeni inspiegabili. Il fantastico nasce da una tensione tra realtà che serve da cornice al racconto e fenomeni che la scienza non può spiegare.
Il fantastico è l’hésitation provata da un essere che conosce soltanto le leggi naturali di fronte ad un avvenimento soprannaturale ad esempio, «I cavalli lunari che volano»: l’aspetto fisico dei cavalli lunari; «la femmina era fornita da una criniera azzurra; il maschio, da criniera rossa».
(…)
Dagli anni Sessanta, abbiamo visto un’evoluzione nell’interpretazione della letteratura fantastica. La critica, meno sotto l’influenza delle ideologie politiche, si è orientata verso un vero apprezzamento di una poetica specifica. Numerosi autori sono stati riscoperti o riletti sotto una dimensione nuova ponendo come base d’analisi il riconoscimento delle potenzialità creative del linguaggio.
La letteratura fantastica italiana e contemporanea ha visto la sfilata dei suoi massimi autori come Pirandello, Bontempelli, Landolfi, Calvino, Vigolò e Buzzati che sono stati incompresi dai lettori italiani. Questa letteratura faceva vivere, di nuovo, polemiche d’interpretazione e di critica. Non si arrivava a delimitare il “genere”. Da Todorov a Vax, a Caillois, a Bessière, a Ceserani e Lugnani, i critici ed i teorici del fantastico, nel sottolineare la sua problematica, insistono sul bisogno vitale di realismo di cui il fantastico ha bisogno per nascere e per sussistere. Ma, anche per dimostrare quanto il reale ha i suoi limiti.
A questo proposito, Leonardo Lattarulo, facendo uno storico dell’evoluzione del fantastico italiano, scrive:
L’autorità di uno scrittore celebre come Scott poteva dunque suffragare una persuasione che per altro era già largamente presente nella cultura italiana: quella del carattere essenzialmente nordico e germanico del fantastico e della sua difficile adattabilità alle condizioni culturali e morali italiane.
Nel cuore della crisi degli anni Sessanta, alla ricerca di un’identità nuova, il fantastico permette a numerosi scrittori di manifestare la loro preoccupazione e la loro insoddisfazione davanti alla realtà umana e quotidiana. Una nuova concezione del mondo si esprime in un idealismo magico in cui la vita subisce un dualismo permanente del mondo interno con quello esterno. Il bene ed il male s’intrecciano. Il malessere quotidiano induce l’autore a scrivere storie e novelle che trasportano il protagonista ed il lettore in un mondo diverso e bello con possibilità di interferenze tra il verosimile e l’inverosimile. E’ un’evasione liberatrice.
Fra questi autori, Giuseppe Bonaviri si singolarizza per la polivalenza dei suoi scritti. La loro varietà e la loro molteplicità ci fanno sentire l’estrema erudizione e vena narrativa dell’autore.
(…)
Molto spesso, Giuseppe Bonaviri inizia i suoi racconti con un’introduzione o con una nota come paratesto che utilizza per spiegare lo scopo della sua scrittura. Attraverso queste didascalie siamo illuminati dalle tappe della sua vita, dall’importanza che hanno i luoghi della sua infanzia (la Sicilia) ed i personaggi che l’hanno accompagnato durante la sua carriera. Vedremo come queste note caratterizzano la personalità dell’autore dove il ritorno alle origini è una costante nella sua biografia. “La nostalgia delle origini” è ricercata da numerosi scrittori ma in Bonaviri, è cosmica.
Vittorini, scoprendolo nel 1954 e presentandolo ai lettori, insiste su questa realizzazione dell’universo cosmico nell’opera di Bonaviri. La maturità narrativa gli permette di coniugare la verità alla fantasia. Con un dato reale, egli descrive un viaggio attraverso un paesaggio dando una conoscenza approfondita di tutti gli elementi che compongono la vita sulla terra e nel cosmo. L’uomo scientifico s’associa allo scrittore (Giuseppe Bonaviri è un chirurgo cardiologo). Questi due aspetti sono fondamentali nella vita dello scrittore.
Bonaviri è uno scrittore che ha la facoltà di dare elementi metafisici e trasmigratorie ad ogni creatura, ad ogni essere vivente una memoria di civiltà antiche seppellite. E giustamente, è in un fiore, in un albero, in un ramo che questi esseri viventi ritrovano il loro legame con il presente. La Sicilia, il suo paese natale, è la terra vivente e mitica dei suoi scritti. Tutto ritorna a questo mondo contadino che l’ha segnato profondamente. La nostalgia della felicità si traduce in lui nelle reminiscenze della sua infanzia, delle sue letture, delle persone care che sono vissute con lui. Franco Zangrilli ci conferma questo fatto:
La divina foresta (1969) apre un’altra fase della attività creativa bonaviriana. Ci presenta la visione cosmica di una natura consapevole a tutti i livelli. Una visione originale, sebbene si possano rintracciare lontani antecedenti nella Bibbia, in De Rerum Natura di Lucrezio, nelle Metamorfosi di Ovidio, e in Dante. E’ una favola che, a differenza di Martedina, persegue un viaggio di scoperta all’interno della natura sviluppando un religioso legame con essa. Si ambienta nel paesaggio naturale dei dintorni di Mineo, trasformato dalla fantasia dell’autore in un paesaggio primordiale. Mineo quindi viene qui scelta come località edenica, i cui primi abitanti anziché uomini sono dapprima il narratore Fermenzio, una particella appena cosciente, poi Senapo, una piantina di borragine, infine Apomeo, un avvoltoio, circondati da personaggi minori altrettanto coscienti. […] Si tratta di personaggi filosofi la cui meditazione si concentra spesso su idee universali.”
Italo Calvino, in una nota introduttiva a Le notti sulle alture di Giuseppe Bonaviri, presenta questo libro come “un delirio multicolore” dove si realizza un complesso e fantasmagorico universo che implica le materie difformi, dall’occultismo all’alchimia, dalla scienza all’etnologia con voli fantastici che non dimenticano mai le dimensioni del vero e del reale.
(…)
Gennaro Savarese nel suo articolo su Giuseppe Bonaviri lo presenta così:
L’interesse principale di Bonaviri non è l’uomo in sé, in chiave psicologica o naturalista o neorealista; ciò che l’attrae è un essere particolare che sente, immagina e indaga, tuffato in una natura scarsa, lontana dalle sue tre dimensioni tradizionali e messa a nudo nelle sue frontiere: quarta dimensione, campo di metamorfosi tra gli elementi ed i regni naturali, spazio tra vita e morte e viceversa.
Bonaviri stesso dice:
I miei orientamenti scientifici mi hanno dato di più la dimensione inquieta di uomo del nostro tempo. Chi conosce la possibilità e i limiti di una interpretazione scientifica del mondo, è preso in un primo momento da una vampa di conoscere quello che c’è oltre il visibile, ne vuole rielaborare i dati ricavati per impastare nuove possibilità; ma in un secondo momento si accorge che la suprema sapienza si trova in un nostro segreto equilibro circolarmente consonante col cosmo.
Certamente, il contatto con i malati gli è servito per entrare nei meandri dell’io, delle paure, dei sogni, delle trepide speranze, a contatto carnale con gli abissi dell’io piagato dal morbo.
Ci poniamo quindi la domanda: perché Bonaviri è uno scrittore che utilizza il fantastico nella sua opera? E’ il fantastico secondo i criteri di Heinrich Heine o Walter Scott. Tanti dibattiti intorno a questo genere sono stati discussi tra gli intellettuali italiani perché non si riesce a dare un’etichetta agli autori italiani di stampo fantastico. Gli scrittori italiani fantastici non sono simili a scrittori fantastici come gli autori americani, tedeschi o francesi (Poe, Hoffman, Maupassant o Kafka). I critici italiani l’hanno sentito e sottolineato nelle loro antologie critiche. Il genere fantastico italiano è diverso degli altri perché è poetico e basato su una cultura diversa e differente. Alessandro Scarsella pensa che si debba analizzare la letteratura italiana da un punto di vista nuovo: quello di una definizione trasversale. A questo proposito, egli dichiara:
A dispetto d’ogni più ragionevole criterio economico, la definizione prevalente del racconto fantastico si propone, nel suo complesso, come una costante di natura metastorica fissata nell’intersezione di più generi e sottogeneri narrativi. Mentre ciò che in qualche modo inibisce il ricorso alla pura storicizzazione è, evidentemente, l’aver identificato nel fantastico l’asse portante di una poetica, o come teoria della letteratura non mimetica ovvero, in ultima istanza, come confutazione dello sperimentalismo. Omogeneo ma divergente, questo atteggiamento si riscontra puntualmente nelle definizioni prodotte, con maggiore o minore incisività, da Calvino, Manganelli, Bonaviri, Sandro Canotto, Roberto Pazzi, in parte da Sgorlon e da Malerba, ed infine, ed a parte questa volta, da Ottieri. Vale a dire che, irriducibile ad una definizione di scuola, il fantastico si afferma trasversalmente come cifra di poetica duttile ed adattabile.
Giuseppe Bonaviri non è stato classificato ancora perché risponde a tutte le attese del lettore.

(tratto dallo studio di Rawdha ZAOUCHI-RAZGALLAH – LA SCRITTURA FANTASTICA DI
GIUSEPPE BONAVIRI in due opere: “La divina foresta” e “Il dottor Bilob”)

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AGGIORNAMENTO DEL 9 novembre 2008

Come promesso, aggiorno il post con un video e foto tratte da un incontro pubblico con Giuseppe Bonaviri (finalizzato ad omaggiarlo) organizzato il 30 maggio 2008 presso la Biblioteca Ursino Recupero della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania.
Nel video (purtroppo la qualità dell’audio e delle immagini non è ottimale) Giuseppe Bonaviri ringrazia per l’organizzazione dell’evento. Nelle foto, oltre all’ottantaquattrenne Bonaviri, sono riconoscibili – tra gli altri – Sarah Zappulla Muscarà e la scrittrice e poetessa Maria Attanasio.

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BONAVIRI CONTROVENTO

di Massimiliano Perrotta

Tutto comincia da Mineo. In questo piccolo paese siciliano Giuseppe Bonaviri era nato nel 1924 e proprio Mineo è il centro dell’universo letterario dello scrittore. Dopo la precoce rivelazione della sua vena poetica, nel 1938 si trasferì a Catania dove conseguì la maturità classica e si laureò in medicina. Nel 1954, scoperto da Elio Vittorini, Einaudi pubblicò Il sarto della stradalunga. Seguirono una trentina di volumi tra narrativa, poesia, teatro e saggistica.Nonostante il grande amore per
la Sicilia, dal 1958 visse a Frosinone esercitando la professione di medico. Sposato con Lina, ebbe due figli e quattro nipoti.

Bonaviri è uno scrittore complesso. In un certo senso è il tipo di autore che riscrive sempre lo stesso libro, in un certo senso è un artista dai volti numerosi. C’è Bonaviri lo scrittore moderno. Bonaviri il nuovista, lo sperimentatore, il romanziere che si diverte a  giocare con i codici narrativi.

C’è l’affabulatore bizzarro che inframmezza con notazioni stralunate e con nonsense le considerazioni filosofiche dei suoi personaggi. Un’ironia novecentesca, la sua, che da un lato alleggerisce il testo rendendolo più divertente, dall’altro lo complica aprendo la porta a non univoche interpretazioni.

C’è l’uomo contemporaneo curioso della scienza che verrà e c’è il custode della memoria familiare, ossessionato dai ricordi che chiedono di essere trasfigurati in simboli letterari.C’è il realista magico, il narratore funambolico, il poeta immaginoso…

C’è Bonaviri il siciliano, figlio di una generazione eccezionale: quella di Leonardo Sciascia, di Bartolo Cattafi, di Stefano D’Arrigo, di Angelo Maria Ripellino, di Sebastiano Addamo,  di Gesualdo Bufalino… Bonaviri siciliano fino al midollo che come tutti gli scrittori isolani sembra condannato dalla propria terra madre a parlare ininterrottamente di lei.

C’è il Bonaviri dormivegliante. In molte narrazioni, come nel dormiveglia da lui studiato e fantasiosamente romanzato, c’è una realtà riconoscibile i cui contorni progressivamente tendono a farsi  malcerti. Ci ritroviamo così in quella dimensione a mezza via tra sogno e veglia nella quale le visioni compaiono capricciosamente  e repentinamente svaniscono per lasciare posto ad altre visioni… C’è il Bonaviri nostalgico del tempo che fu, del piccolo mondo paesano nel quale aveva trascorso l’infanzia, della sapienza popolare che rendeva quel mondo umanamente ricco. Come gran parte degli scrittori moderni Bonaviri è in qualche modo un critico della modernità, di questo stadio della modernità. Il suo rievocare la dimensione mitica della Mineo contadina, con gli artigiani filosofi e ogni cosa intrisa di spiritualità, svolge una funzione critica nei confronti del presente fighetto e materialista. Il suo proclamare divina la natura si contrappone a certi abusi della scienza contemporanea nei confronti di essa. E poi c’era l’uomo. Bonaviri l’eccentrico, il timido, il solitario. Il malinconico dai lunghi silenzi interrotti da scoppi di umorismo lunare. Il collezionista di libri rari, il nonno affettuoso, il provinciale cosmopolita… Bonaviri visse a lungo autoesiliato nella bella casa di Frosinone che lasciava malvolentieri, restìo alle frequentazioni mondane. Uno stile di vita, il suo, poco adatto all’era degli uffici stampa e della vita pubblicitaria. L’intervista che segue, realizzata nel 2006 per il documentario Bonaviri ritratto, è stata ampliata con brani di interviste che mi aveva rilasciato precedentemente.Perrotta. Come nasce lo scrittore Bonaviri?Bonaviri. Tu sai che Mineo era un paese ricco di poeti vernacoli, c’era la pietra della poesia a Camuti, quindi sin da bambino il sogno mio era quello di diventare il poeta più importante di Mineo. A quattordici anni già scrivevo tre romanzi e ogni anno cercavo di fare tutti gli esami all’università specialmente per avere il tempo necessario per leggere e scrivere romanzi durante le vacanze. Ma il dato fondamentale, secondo me, resta uno: io sino a venticinque anni sono stato sempre in Sicilia, non mi sono mai mosso dalla Sicilia, per cui il primo contatto col mondo letterario importante l’ho avuto con l’Einaudi e con Elio Vittorini. Vittorini aveva in mano la collana dei Gettoni e gli piacque molto Il sarto della stradalunga. Pensa che quando l’ho incontrato, perché mi scrisse, a Bocca di Magra, pensava addirittura che io ero un operaio anziché un medico, cioè il nostro è stato un rapporto estremamente pulito.

Il sarto della stradalunga, che uscì nel cinquantaquattro ma era stato scritto nel cinquantuno, ebbe un buon successo critico: ricordo le recensioni di Tommaso Fiore, di Gaetano Trombatore… Insomma, questo giovane siciliano che non era mai uscito per  venticinque anni dalla Sicilia riuscì a immettersi con facilità nel giro dei maggiori letterati del tempo. Dopo l’Einaudi i miei libri sono usciti con
la Rizzoli, con
la Mondadori, con
la Sellerio.

Perrotta. Il sarto della stradalunga è ispirato alla figura di tuo padre, Settimo Emanuele detto Don Nanè.

Bonaviri. Mio padre da giovane faceva il sarto a Mineo nella stradalunga, ma purtroppo non fu fortunato nel suo lavoro e nel 1938 fu costretto ad emigrare in Abissinia a causa delle tasse eccessive. Scriveva anche poesie molto belle, con una certa capacità di narrazione del mondo,  ma le scriveva segretamente, di notte, perché era un uomo schivo, timido. Quando mia madre si metteva a letto e lo vedeva scrivere al lume del petrolio si chiedeva preoccupata: «Ma chi ho sposato, un pazzo?». Quando è morto ho trovato molte cartelle delle tasse sul cui retro aveva scritto delle poesie. Ho raccolto tutte quelle che ho trovato in un volumetto dal titolo L’arcano. Se ne trova una copia alla Biblioteca Nazionale di Roma.

Una delle sue poesie più belle parla della notte a Mineo. Allora l’illuminazione era fatta con pochi lampioncini per cui il paese verso le sei o le sette sprofondava nel buio. Quello che segnava l’arco del giorno, direi un limite quasi spirituale, spiritico, era la mezzanotte che era annunciata da cento colpi di campana. Ti cito alcuni versi: «Terribile la notte / oscura ed infinita; / mentre l’orologio batte / l’ora piu sciagurata».

Perrotta. Parliamo di Mineo, tuo paese natale e centro della tua opera.

Bonaviri. La formazione spirituale di ogni uomo è compiuta per le linee essenziali già a dieci/dodici anni, si è stati come insemenzati. Mineo ha lasciato dentro di me molti semi di memoria.

Il paese ha una lunga storia che rimonta a Ducezio. Io ho conosciuto
la Mineo di settant’anni fa, una cittadina molto povera ma umanamente ricca. La ricchezza maggiore consisteva nei proverbi e nella sapienza innata dei contadini. Molti di questi avevano una propensione alla filosofia e scrivevano poesie dialettali.

Perrotta. A Camuti, dove con la tua famiglia andavate a villeggiare e dove secondo la leggenda c’era la pietra della poesia, ogni anno aveva luogo un importante raduno di poeti dialettali.

Bonaviri. Fino al 1850, sull’altopiano di Camuti, si facevano delle gare poetiche che poi con l’unità d’Italia sono scomparse. Mentre le gare satiriche in piazza contro i partiti, contro il fascismo, si continuarono a fare fino al 1925 circa.

Perrotta.
La Mineo della tua infanzia era un paese povero.

Bonaviri. Ricordo un paese senz’acqua dove si mangiava pane e pane, un paese in cui gli uccelli volavano, specialmente gli sparvieri, sui monti… Ricordo il verde, le campagne, le fave, il grano… Ma anche l’estrema povertà e le condizioni igieniche molto difettose.

Perrotta. Nonostante il grande amore per
la Sicilia, da cinquant’anni vivi in Ciociaria. Come mai hai scelto di vivere qui a Frosinone?

Bonaviri. Mia moglie, che è di Marcianise in provincia di Caserta, ebbe l’incarico di dirigere una colonia estiva a Mineo, mentre io fui incaricato di fare il medico della colonia. Dopo esserci sposati ci trasferimmo a Frosinone perché avevo vinto il concorso di assistente ospedaliero. Allora c’era la divisione dei proventi: un primario prendeva il cinquanta per cento e l’assistente il sei per cento, figurati… È stata una vita piuttosto misera. Ho fatto sei anni di vita terribile, con guardie di trenta ore tre volte la settimana; poi, per la morte improvvisa di mio padre e per il mio grosso esaurimento nervoso, abbandonai l’ospedale ed entrai nell’Unità Sanitaria Locale. Ci sono rimasto trent’anni. Pensa che all’Unità Sanitaria Locale eravamo considerati dei lavoratori autonomi esterni e quindi non ho neppure diritto alla pensione.

Perrotta. Com’è vivere a Frosinone? Per il poco che l’ho visitata non mi ha colpito particolarmente.

Bonaviri. Frosinone è una cittadina a suo modo cosmopolita, ricca a livello agricolo e con un certo sviluppo industriale. Ma letterariamente non è molto sviluppata.

Perrotta. Tu vivi in una zona periferica della città.

Bonaviri. Ho vissuto sempre nella zona periferica di Frosinone perché mi ricordava un po’ la libertà dell’infanzia a Mineo.

Perrotta. In cosa differisce il paesaggio ciociaro da quello siciliano?

Bonaviri. Beh, il paesaggio qua è più ricco, più arboreizzato. Quello siciliano è un paesaggio secco, asciutto, pietroso.

Qua in Ciociaria i contadini, nei loro piccoli campi, hanno sempre accresciuto gli alberi, hanno accresciuto quella che è la civiltà della casa. Anche perché è una zona più ricca.

Perrotta. Come mai scegliesti di studiare medicina e non lettere?

Bonaviri. Verso i sedici anni sognavo di diventare uno scienziato biologico, ma purtroppo eravamo in piena guerra e miseria. Mi iscrissi in medicina per quell’ansia di ricerca tipica dello scorso secolo.

Del resto per me scrivere è anche sperimentare.

Perrotta. Come riuscivi a conciliare il lavoro di medico e la tua intensa attività letteraria?

Bonaviri. Era una vita affannosa, non gradevole, un continuo corricorri. La mattina lavoravo alla mutua, per la letteratura mi restava il pomeriggio. Talvolta mi capitava di scrivere o di leggere tra una visita e l’altra…

Perrotta. Veniamo ai tuoi libri. Come li presenteresti a chi non ti ha mai letto?

Bonaviri. I miei romanzi spaziano dal dato realistico al dato fantastico, dalla cultura mediterranea alla scienza medica della quale uso spesso molti termini cercando di renderli quanto più poetici possibile.

Perrotta. C’è qualcuno dei tuoi libri che ritieni più rappresentativo?

Bonaviri. I libri sono come i figli: di mamma tutti. Ognuno ha la sua storia, o pubblica o segreta.

Perrotta. Diversi critici hanno lodato la coerenza della tua opera. A te, dall’alto dei tuoi ottant’anni, come appare?

Bonaviri. Sento l’insieme delle mie cose come un tappeto persiano in cui fili e segni e intrecci si toccano, si distaccano, si ritoccano…

Perrotta. Mi piacerebbe tentare un’incursione nel tuo laboratorio creativo. Come nasce un tuo libro?

Bonaviri. Ogni libro ha una storia a sé. Può essere un nucleo di memorie che via via s’ingrandisce e diventa poi anche tela linguistica, può essere una cosa immediata che mi viene chiesta, può sorgere dal semplice desiderio di scrivere.

Perrotta. Come nascono i tuoi titoli così suggestivi?

Bonaviri. A volte spuntano da soli, a volte bisogna scegliere fra titoli diversi. Predomina la mutevolezza.

Perrotta. Le tue pagine hanno i colori dell’estate. Esiste un periodo dell’anno in cui scrivi meglio?

Bonaviri. L’estate mi dà più stimoli, è la mia stagione, forse perché sono nato in luglio.

Perrotta. Nella tua opera la dimensione del viaggio è centrale. E nella vita?

Bonaviri. Ti confesso che non amo molto viaggiare. Sono e resto un contadino con l’idea d’un punto fermo: il centro, la casa, il paese. Comunque dopo i cinquantacinque anni ho viaggiato molto.

Perrotta. Uno dei temi a te cari è la famiglia.

Bonaviri. Mio padre era il primo di sette figli, mia madre era l’ultima di ventiquattro fratelli: queste enormi famiglie tuttora me le porto dentro come un muro che ti circonda, che t’abbraccia. Cioè vorrei quasi  incarnare in me tutto questo mondo di parenti e farlo diventare carne della mia carne e sangue del mio sangue.

Perrotta. Sei molto legato anche ai tuoi nipotini.

Bonaviri. Gianluigi, Niccolò, Leopoldo e Raffaella per me hanno una grande importanza. In quasi tutti questi ultimi libri scritti sono presenti loro, anzi nel Vicolo blu addirittura li trasporto nel tempo come se fossero vissuti durante la mia infanzia e fossero miei compagni di giochi.

Perrotta. Un altro tema ricorrente è la morte.

Bonaviri. La morte è un’idea ossessiva universale. Poi, io facevo il medico…

Perrotta. A tuo avviso qual è, se c’è, la missione o la funzione dello scrittore?

Bonaviri. Scrivere è un lavoro come un altro, forse più meditato e coordinato e per il quale necessitano fattori predisposizionali. Secondo me le predisposizioni che noi abbiamo verso il mondo e verso noi stessi vengono trasmesse per via di DNA, cioè quell’elemento che si trova nelle cellule e che trasmette i fattori dell’ereditarietà. Oggi si pensa per lo più che la cultura sia un’elaborazione successiva al nostro sviluppo mentale, secondo me invece la base di fondo è e resta cromosomica.

Perrotta. Tu ti sei sempre tenuto ai margini della società letteraria italiana. Negli anni settanta hai perfino rifiutato il premio Campiello per il romanzo Dolcissimo.

Bonaviri. Si sapeva prima chi sarebbe stato il vincitore del superpremio finale. Valgono di più i soldi di un premio o il nostro no diretto contro un sistema di corruzione?

Perrotta. Insomma non ami i premi.

Bonaviri. Possono servire in piccolo (il viaggio, gli incontri, un che di liberatorio), ma non fanno storia.

Perrotta. Da diversi anni i giornali ti accreditano tra i favoriti al Nöbel…

Bonaviri. Il destino, quello che verrà dopo, è nelle ginocchia di Giove.

Perrotta. Quali sono stati i tuoi modelli letterari?

Bonaviri. La mia formazione infantile resta pre-libresca. Poeti contadini e vento di Mineo, fiabe raccontatemi da mia madre… quale miglior libro?

Perrotta. Dimmi allora quali sono i tuoi classici.

Bonaviri. Beh, a me affascinano i frammenti dei filosofi presocratici, quella è la massima espressione della cultura mediterranea. Poi tutto il filone della drammaturgia greca da Eschilo a Euripide. Tra gli italiani Leopardi, Pascoli, Gozzano.

Perrotta. Che te ne sembra della letteratura di oggi?

Bonaviri. Attualmente siamo purtroppo in una fase “filoamericana”, cioè più libri si vendono più l’autore è considerato importante. Si tratta di un grosso errore, anche perché spesso il lettore si trova tra le mani dei libri di una mediocrità assoluta.

Perrotta. Non ami i bestseller

Bonaviri. Sono fenomeni che sono sempre esistiti. Pensa per esempio all’Ettore Fieramosca di Massimo D’Azeglio, a Le mie prigioni di Silvio Pellico. Ormai per la nostra cultura sono ombre.

Perrotta. Tu sei stato amico di diversi scrittori siciliani della tua generazione, penso a Leonardo Sciascia o a Sebastiano Addamo, ma più volte hai affermato di sentirti estraneo al filone della letteratura siciliana.

Bonaviri. Beh, Leonardo Sciascia è uno scrittore civile, io sono un affabulatore. Tra me e Giovanni Verga ci sono di mezzo millenni, il suo mondo era assolutamente diverso da quello che abbiamo vissuto noi. In quest’ultimo cinquantennio s’è aperta una nuova fase storica per l’umanità: abbiamo messo il piede sulla luna, abbiamo scoperto un universo concreto fatto di astri che poi sono praticamente come la terra, grandi ammassi di pietre e di sostanze come metano, gas e così via. Quindi abbiamo allargato la nostra visione a una visione cosmica dalla quale non ci dovremmo allontanare, una visione secondo la quale l’uomo è una cellula ma è una cellula importante in quanto con la sua intelligenza riesce a entrare nei misteri del mondo.

Perrotta. La scienza oggi è ancora una speranza o è diventata anche una paura?

Bonaviri. La scienza per l’uomo comune è una paura, è una grande paura, perché se non è usata bene può causare dei disastri enormi, com’è successo con la bomba atomica. Nel mio romanzo L’incredibile storia di un cranio, uscito con Sellerio, questo aspetto viene preso in considerazione.

Perrotta. Parliamo dei tuoi estimatori illustri, cominciando da Italo Calvino.

Bonaviri. Di Calvino conservo molte belle lettere. A lui piacquero immensamente Il fiume di pietra, La divina foresta, Notti sull’altura… Altri estimatori sono stati Andrea Zanzotto, Carlo Betocchi, Mario Luzi, Libero de Libero… Tra gli stranieri ricordo il francese Guy Tosi, che insegnava alla Sorbona e via via tanti altri: in Russia, nella Repubblica Ceca, in Tunisia…

Perrotta. So che hai conosciuto Federico Fellini.

Bonaviri. Con Fellini ero in buoni rapporti, scambiammo qualche lettera, però il solo fatto di dover andare la sera a Roma a cena per me diventa un dramma. Per me è un dramma uscire fuori Frosinone, uscire dall’utero materno, dunque a un bel momento i rapporti sono caduti.

Perrotta. Un film di Fellini tratto da un romanzo di Bonaviri non sarebbe stata una cattiva idea.

Bonaviri. Per fare i suoi film Fellini aveva dei soggetti preferiti e incontrava anche difficoltà, sebbene fosse un grande regista cinematografico, a trovare i fondi.

Perrotta. Mi racconti della collaborazione col compositore Ennio Morricone? Insieme, nel 2001, avete scritto l’opera Ode in occasione dell’inaugurazione della nuova sede del Conservatorio di Frosinone.

Bonaviri. Ennio Morricone è una gran brava persona. Mi fu proposto dal senatore Massimo Struffi e dal direttore del Conservatorio di Frosinone di fare un poemetto sulla Ciociaria che sarebbe stato musicato da Morricone, cosa che avvenne. Solo che l’esecuzione, all’aperto, fu fatta in un giorno che c’era vento per cui Morricone non fu soddisfatto della registrazione e, tranne la copia che ho io, di quest’opera non c’è purtroppo altro documento.

Perrotta. Quali pittori contemporanei hai amato?

Bonaviri. Per quanto riguarda la pittura ho apprezzato diversi artisti, non so, Filippo Gentilini o Corrado Cagli, ma rapporti personali non ne ho avuti.

Perrotta. Bonaviri e la politica. Si sa che da giovane sei stato antifascista e comunista.

Bonaviri. Al ginnasio scrivevo temi antifascisti. Non perché fossi un antifascista convinto… era una specie di ribellismo, leggendo che Mussolini aveva sempre ragione o «Credere, obbedire, combattere!» mi disturbai e quindi scrivevo temi antifascisti. In quarta ginnasiale fui  rimandato ad ottobre, feci un bel tema e da allora in poi capii che la politica non bisognava toccarla.

Dopo la liberazione fui comunista: fui iscritto al movimento giovanile e al Partito Comunista per molti anni.

Perrotta. Collaboravi all’Unità.

Bonaviri. A Gaetano Trombatore piacque molto Il sarto della stradalunga e m’invitò a collaborare all’Unità. Ho collaborato per quattro o cinque anni alla pagina culturale; in seguito ho collaborato al Messagero, all’Avanti!, al Corriere della Sera e all’Osservatore Romano. La mia collaborazione giornalistica è molto estesa e poco conosciuta.

Perrotta. Anche della tua poesia si parla meno.

Bonaviri. Le mie poesie sono state tradotte in diversi paesi ma dovrebbero essere studiate e approfondite ancora di più perché sono un ramo dello stesso albero. Un ramo forse più vivace, più vivo.

Perrotta. Parliamo del Bonaviri privato. Come uomo godi fama di eccentrico.

Bonaviri. Se essere solitari… significa essere strani, lo sono.

Perrotta. Molti libri li hai dedicati a tua moglie. Leopardi aveva in Silvia la sua musa, per te Lina cosa ha rappresentato?

Bonaviri. Leopardi guardava la povera ragazza malata Silvia dalla finestra del palazzo… sposarsi, convivere, avere figli è un mondo con reazioni diverse.

Perrotta. Ci sono libri che non hai avuto ancora il tempo di scrivere?

Bonaviri. Ho ancora tanti pozzi di memorie, soprattutto dell’infanzia e dell’adolescenza. Bisognerebbe scrivere per secoli e secoli…

Perrotta. Che idea ti sei fatto del dopo?

Bonaviri. Siamo nel campo dell’incognito, la vita è un mistero. Tutto lascia pensare, secondo le nostre vedute biologiche (che potrebbero essere errate) che tutto finisce con la fine del nostro corpo biologico. Probabilmente, chiudendosi l’assillo di fuoco della nostra vita, si arriva nel vuoto spazio dove tutto è nulla e dove il nulla forse è il Tutto, ovvero il Dio che cerchiamo.

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CENT’ANNI DI VITALIANO BRANCATI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/10/06/centanni-di-vitaliano-brancati/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/10/06/centanni-di-vitaliano-brancati/#comments Sat, 06 Oct 2007 07:56:57 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/10/06/centanni-di-vitaliano-brancati/ Cent’anni fa nasceva Vitaliano Brancati (per l’esattezza il 24 luglio del 1907). C’è da dire che la ricorrenza non è passata inosservata. Se ne è parlato molto, quest’estate, sulle pagine culturali di quasi tutti quotidiani.
Vi propongo due video relativi alla bella mostra organizzata a Catania in occasione del centenario presso il centro fieristico “Le Ciminiere” (sponsorizzato dal Ministero dei Beni Culturali e dall’Assessorato alla Cultura della Provincia Regionale di Catania). Ne approfitto per ringraziare la professoressa Sarah Zappulla Muscarà per la sua disponibilità.

(Qualora non riusciste a visualizzare i video cliccate sui rispettivi titoli per poterli visionare direttamente su YouTube).

Di seguito vi riporto un mio articolo pubblicato sulla pagina Cultura de Il Mattino del 23 luglio 2007.

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Mostra centenario nascita Vitaliano Brancati (parte I)

Mostra centenario nascita Vitaliano Brancati (parte II)

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Cent’anni son passati da quel 24 luglio del 1907 che segnò la nascita di Vitaliano Brancati, autore siciliano che si è conquistato con merito un posto di rilevo nella storia della letteratura italiana del Novecento. Conquista avvenuta nonostante la prematura scomparsa, avvenuta a Torino il 25 settembre del 1954 quando aveva 47 anni: età – di norma – in cui uno scrittore comincia a dare il meglio di sé. Una ricorrenza da ben celebrare, dunque. La moglie Anna Proclemer – che al marito ha voluto dedicare un pensiero in cui esprime ammirazione e amore ancora vivi: «Darei quel che mi resta da vivere per avere la possibilità di leggere una tua pagina sulla realtà italiana di oggi» -, insieme alla figlia Antonia, domani sera a Catania presenterà alle «Ciminiere» il recital «Viaggio intorno a Brancati» e nello stesso giorno si aprirà la mostra «Dalla Sicilia all’Europa, attraverso Brancati», curata da Enzo Zappulla e Sarah Zappulla Muscarà, Annamaria Andreoli e Franca De Leo, nell’ambito di Etnafestival. Perché è bene ricordare il Brancati scrittore, ma gli onori della ricorrenza vanno tributati anche allo sceneggiatore di cinema, all’autore di opere teatrali, al saggista e giornalista. Sono tanti i meriti dell’autore nato a Pachino e cresciuto a Catania, ma tra tutti primeggia la capacità di aver saputo conferire alla propria opera una forte connotazione umoristica. Forse è proprio questa l’eredità principale che lascia. Del resto Brancati non ha mai nascosto l’importanza che egli stesso attribuiva al comico, come è dimostrabile da questo stralcio tratto dal volumetto I piaceri: «Si ha paura del comico come di un potere diabolico. (…) Il male di non sopportare l’ironia non è vecchio in Italia. Comincia col Seicento. Nel Cinquecento, invece, il popolo italiano possedeva, insieme col più alto senso della realtà (Machiavelli), la più intelligente e poetica ironia (Ariosto). Dopo quel secolo, l’ironia abbandona l’Italia, lasciando al suo posto una forma pigra, passiva, rozza come la vignetta o la barzelletta. Eppure in nessuna parte del mondo essa è necessaria come da noi». Sciascia individuò in Brancati lo scrittore nazionale che meglio aveva saputo rappresentare le due tragicommedie italiane: quella del fascismo e quella dell’erotismo, intrecciandole in un contesto in cui il rispetto della vita privata e delle idee dei singoli erano ignoti o dimenticati, e tratteggiandone – al tempo stesso – le manifestazioni comiche in guisa tale da inglobare nel comico anche le situazioni tragiche. Il comico, il grottesco, l’ironia beffarda, veicolati attraverso l’erotismo, esplodono in Don Giovanni in Sicilia e rimbalzano con intensità variabile nelle altre opere dell’autore siciliano, fino a cedere il passo al sorriso amaro che si trasmuta in ossessione tragica nelle pagine di Paolo il caldo. Nel corso delle celebrazioni le tematiche saranno approfondite e riproposte. Sperando che non venga riproposto con altrettanto zelo il termine «gallismo», anacronistico e usurato. Forse sarebbe meglio far riferimento al – più generico, ma efficace – «umorismo brancatiano». Come ha scritto Enzo Siciliano a proposito del Don Giovanni in Sicilia: «Non è lo straordinario caratteriale di una piccola comunità che Brancati racconta, ma l’ordinario della comunità nazionale. (…) Pensare che egli fosse semplicemente uno scrittore siciliano o catanese significa fargli torto: fare torto non solo alla vitalità della sua immaginazione, ma alla luciferina forza conoscitiva che la possedeva e che esprimeva». Ha ragione. Per questo comprimere, oggi, l’opera di Brancati nei confini angusti del «gallismo» potrebbe tradursi, implicitamente, in un’involontaria accusa di effimero e datato provincialismo.

Massimo Maugeri

Vorrei invitarvi a ricordare Brancati e le sue opere. Ci state?

Un suo libro che avete amato. Un film da lui sceneggiato, o tratto dalle sue opere, che ricordate con piacere. Una sua opera teatrale, o altro. Fate voi.

Grazie.

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ROMA AMARA E DOLCE (di Ercole Patti) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/01/29/roma-amara-e-dolce-di-ercole-patti/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/01/29/roma-amara-e-dolce-di-ercole-patti/#comments Mon, 29 Jan 2007 19:43:05 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/01/29/roma-amara-e-dolce-di-ercole-patti/ Ho sempre considerato Ercole Patti (1903 – 1976), autore catanese – dunque mio conterraneo – come uno degli scrittori più interessanti del Novecento letterario italiano. Ho letto i suoi romanzi, mi sono immerso nelle sue storie, ho amato i suoi personaggi. Chi non ha letto opere – ne cito solo alcune – come Giovannino (1954), Un bellissimo novembre (1967) Graziella (1970), non sa cosa si è perso.

Pochi mesi fa la Bompiani ha riproposto Roma amara e dolce, viaggio nella memoria tradottosi in una raccolta di scritti apparsa per la prima volta nel 1972.

Ringrazio Sarah Zappulla Muscarà, ordinaria di Letteratura Italiana nell’Università di Catania e incaricata di Letteratura Teatrale Italiana e di Storia e Critica del Cinema, nonché curatrice di molte opere di Ercole Patti, per aver messo a disposizione la sua nota introduttiva a Roma amara e dolce che propongo qui di seguito quasi integralmente.

(Massimo Maugeri)

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*

« (…) In Roma amara e dolce, silloge di sedici racconti apparsa nel 1972, quattro anni prima della scomparsa dello scrittore, sono confluite gran parte delle Cronache romane del 1962. Emblematico il titolo del racconto di apertura, Il sapore della libertà. Come molti rampolli della borghesia e della nobiltà catanesi, Patti trascorre la prima fanciullezza al Collegio Pennisi di Acireale, "triste luogo", "una prigione" da cui è obbligo evadere. Nel rammemorare quei giorni "di grande sconforto", lo scrittore adulto passando "per la tortuosa stradetta" del Pennisi prova "la gioia" di non dovervi più rientrare. È l’archetipo del paradiso perduto, della cacciata dall’Eden, al quale Patti ritorna con toni di malinconica nostalgia. Interazione fra passato e presente, secondo Roy Pascal tra i più intricati casi di fenomenologia della "elusività del vero" o, freudianamente, "rielaborazione del lutto" attraverso la recita del dolore. Per lo stesso terapeutico motivo sono in doglianza Giovannino Calì del romanzo Giovannino e Giuseppe Laganà del romanzo Graziella. Patti che scrive, però, non è lo stesso Patti che ha vissuto e rivive quell’esperienza.

I motivi della fuga, del νóστος, della sensualità debordante, propri dell’universo pattiano, sono costruzioni mitiche, scelte tra molteplici frammenti di vissuto. Non esistono al di fuori della scrittura. Se è il giovane Patti a scoprirli e formalizzarli in coincidenza con l’apprendistato letterario nell’ambìto approdo romano ("la mia più grande aspirazione era quella di andare a vivere a Roma, ma urtavo contro lo scoglio insormontabile di mio padre"), sarà il Patti maturo della proustiana rimembranza, della narrazione retrodatata, del diaristico resoconto di sé, ormai "scrittore laureato", a darne una visione epica, certamente differente da quella iniziale, guardando al passato dall’alto della conquistata notorietà. Il cumulo dei ricordi dipanando per redigere, talora con qualche moto di legittimo compiacimento, il cursus di una vocazione convinta e coerente. Per lo scrittore girovago ulteriore tentativo di sviare "gli occhio calmi della morte". Ma senza illusioni o cedimenti.

Scrive Michail Bachtin: "La memoria nelle memorie e nelle autobiografie ha un particolare carattere; è memoria della propria età contemporanea e di se stesso. È una memoria non eroicizzante; in essa c’è un momento di meccanicità e registrazione (non monumentale). È una memoria personale senza continuità, limitata dai confini della vita personale. Non ci sono né padri né generazioni". Tale la condizione in Roma amara e dolce. Gli avvenimenti narrati scorrono celermente, senza pausa, né retorica. Con amletica leggerezza come si addice all’arte che se troppo palese diviene artificio. Rapide le notizie sulla famiglia, sull’infanzia, sulla giovinezza, sugli studi intrapresi. Fitte invece le informazioni circa il precoce esordio con la vigile guida dello zio, lo scrittore Giuseppe Villaroel ("fu nel vecchio e luminoso suo appartamento di via del Teatro Massimo a Catania che io conobbi i primi libri, ebbi cognizione dell’esistenza di una società letteraria e dei rapporti che corrono con gli scrittori, vidi le prime bozze di stampa della mia vita, i primi autografi di scrittori celebri"), dettagliato il ragguaglio delle giovanili letture (Manzoni, Flaubert, Verga), delle acerbe pubblicazioni. Mentre cresce l’ansia di evasione. Per accedere però alla terra promessa, alla società delle lettere, bisogna che Patti si sottometta a una prova. Il padre gli concederà di vivere sei mesi all’anno a Roma purché sostenga regolarmente gli esami alla Facoltà di Giurisprudenza di Catania: "Andavo vagando per le strade giornate intere, non mi stancavo di respirare l’aria di Roma a tutte le ore. I sedili del Pincio erano le mie soste preferite nella tarda mattinata e nelle prime ore del pomeriggio. Con un giornale in mano mi sedevo accanto a qualche busto di marmo e il mio cervello partiva in quarta sognando libri da scrivere, novelle da pubblicare sui giornali romani dove non conoscevo nessuno. Risento gli odori di Roma nel 1921; rappresentavano la libertà".

Roma è la città di "vecchie camere ammobiliate e trattoriole a prezzo fisso", di osterie povere, di feconde giornate di scrittura ai caffè Esperia, Aragno, Greco, dell’accendersi dei sensi ("il desiderio che ci spingeva l’uno contro l’altro era spontaneo e travolgente, le nostre mani premevano contro la parete nella voglia struggente di unirsi"). È sede delle testate giornalistiche che contano ("Il Messaggero", "Il Tempo", "La Tribuna", L’Idea Nazionale", "Il Tevere", "Il Popolo di Roma", "Il Giornale di Roma", "Il Giornale d’Italia"), "con le firme degli scrittori famosi". È centro culturale di prestigio. Nella terza saletta del celebre caffè Aragno si ritrovano de Chirico, Bartoli, Spadini, Cardarelli, Broglio, Barilli, Soffici, Baldini, d’Amico, personaggi politici di rilievo, alcuni dei quali fuggevolmente intravisti ("Facta presidente del consiglio prendeva in un angolo due uova al burro prima di rientrare a Montecitorio"). Roma vanta il Teatro degli Indipendenti di Bragaglia, "il più famoso e discusso teatro sperimentale d’Italia", nella cui "aura" si muovevano Bontempelli, Cecchi, Vergani: "Fu lì che vidi per la prima volta Luigi Pirandello col suo pizzetto bianco e quelle sue speciali camicie che all’altezza della cintura invece di entrare nei pantaloni si trasformavano in panciotto". Il drammaturgo fulmineamente traeva l’atto unico L’uomo dal fiore in bocca dalla novella Caffè notturno, segnando "con una matita rossa negli stretti margini delle pagine stampate qualche brevissima didascalia e una o due mezze battute". Il 21 febbraio 1923 la messa in scena. Poco tempo dopo, il 9 aprile, sarà la volta di Il carosello di Patti, atto unico ricavato dalla novella La giostra su sollecitazione di Ardengo Soffici, lodato da Alberto Savinio sul "Nuovo Paese".

Ma non basta a placare il disappunto del padre. Per dimostrargli la serietà delle sue intenzioni e della carriera che voleva intraprendere occorreva dimostrargli che era in grado di vivere con il suo lavoro anche facendo il giornalista. Quell’attività giornalistica che, iniziata nei verdi anni catanesi, sparsamente condotta su molteplici testate, registra una svolta decisiva allorché viene inviato da "Il Tevere" in India: "I resoconti del mio servizio vennero presi anche dal ‘Resto del Carlino’ di Missiroli e dalla ‘Gazzetta del Popolo’ di Amicucci; gli articoli uscivano nello stesso giorno sui tre giornali. Ultimato il servizio passai alla ‘Gazzetta del Popolo’ che mi inviò in Giappone". In dieci anni di vagabondaggio visita "la Russia, la Turchia, la Polonia, la Cina, l’Egitto e tutti i paesi europei". Da tali esperienze scaturirà nel 1934 Ragazze di Tokio (Viaggio da Tokio a Bombay), dedicato ad Ermanno Amicucci (poi riedito nel 1975 col titolo Un lungo viaggio lontano). Altro archetipo, il viaggio, metafora della ricerca di sé, della peregrinazione come affrancamento dal mondo e dalla storia, insidiosi e incontrollabili. Non risolvibile schillerianamente nell’immediatezza della fruizione istintiva e panica della natura in virtù della più matura e rinnovata disponibilità dello scrittore ad ascoltarne le voci, dalle fioche alle assordanti, a percepirne i profumi, dai delicati agli intensi, a rubarne la luce e tradurla in incanto. Spontanea corrispondenza che s’inscrive in un appagante bisogno di totalità, distante ormai dal sentimentalismo romantico del drammaturgo tedesco cui Patti aveva intonato pagine di vibrante elegia: "Presso di noi la natura è sparita, non la troviamo, non la incontriamo se non al di fuori dell’umanità. E perciò il sentimento con cui aderiamo alla natura è strettamente legato al sentimento col quale lamentiamo la fuggita età della fanciullezza e della fanciullesca innocenza". Una sorta d’intimo idillio. Così Patti ricordando Gibuti: "L’oceano indiano veniva piano a morire sulla sponda deserta ingombra di erbe marine secche tra granchiolini rossi che correvano veloci per traverso solitari davanti all’oceano tra frammenti di scheletri di cammelli biancheggianti nella sabbia tra le gambe candide delle mogli dei funzionari francesi che facevano il bagno al calar del sole in un’acqua piena di molluschi torbida e tiepida che sapeva di pescecane". Malinconica testimonianza d’irredimibile caducità. Si è conclusa la guerra di Abissinia, Mussolini proclama l’Impero. Il Negus Hailè Sellasiè fugge dal suo paese "cacciato da un esercito molto più potente del suo, che senza ragione valendosi soltanto del diritto del più forte gli aveva invaso il paese". In tanta levità di stile il viaggio si configura come incisivo segno di aristocratica riservatezza ed estraneità alla dittatura: "L’imbecillità ci prendeva tutti alla gola in quella Roma calma nella quale l’unica cosa da fare per un giovane era di andare in giro con le ragazze e portarsele a casa. A meno di non voler riparare all’estero come fuorusciti. Ma non tutti avevano la possibilità il temperamento e lo spirito di sacrificio per far questo". E ancora nella prefazione a Cronache romane: "La mia insofferenza e la mia lunga avversione per il fascismo non hanno mai avuto un momento di sosta. Si trattava di un sentimento profondo, costituzionale come se si trattasse di una questione di razza".

"L’uggiosa e avvilente Roma del fascismo", "dei labari", "dei luttuosi fez frangiati", delle adunate, delle veline, del Minculpop, è antro nero dove covano e si moltiplicano le "inique sanzioni" perpetuate, queste sì, dal regime. Il delitto Matteotti, le leggi antirazziali, la guerra, l’occupazione tedesca che "stringeva la città in un cerchio muto e insidioso", l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Sebbene abbia celato il suo dissenso dietro un sorriso disincantato, un apparente disimpegno, meglio, con François Paul Billetdoux, una "passione fredda", Patti, che nell’articolo dedicato a Trilussa apparso su "Il Popolo di Roma" del 5 settembre 1943 aveva definito la dittatura una "ventennale carnevalata", subisce la detenzione a Regina Coeli dove conoscerà i membri del Gran Consiglio poi fucilati a Verona e Giuseppe Saragat: "Non potevo immaginare che venti anni dopo mi sarei ritrovato con lui Presidente della Repubblica italiana a caccia al cinghiale nelle tenute di Castelporziano e di San Rossone". Dura prova da superare insieme a quella, dolorosamente irrisarcibile, della morte del padre avvenuta nel ’42: "Sotto una grande croce nera l’annunzio della morte di mio padre, del quale assieme agli altri congiunti io stesso ‘il figlio Ercole’ comunicavo la morte. Il viaggio verso Catania nello scompartimento pieno di sconosciuti con quel giornale che di tanto in tanto non potevo fare a meno di guardare e di rileggere e tanti pensieri e ricordi di mio padre alla cui morte non ero preparato neanche lontanamente mi sembrò lunghissimo". Ma, ricorda Martin Heidegger, "l’angoscia è premessa indispensabile alla conquista dell’autenticità".

Roma amara e dolce, journal intime impaginato dalla memoria, regesto e archivio degli anni più tormentati del Novecento, dalla grande guerra al nazifascismo, dalla fine del secondo conflitto mondiale alla ricostruzione, si chiude con L’avvenire appariva pieno di speranza: "Ripresero a lavorare gli scrittori italiani che la guerra e le persecuzioni fasciste avevano disperso o messo a tacere", "ancora nelle trattorie c’era qualche suonatore ambulante che cantava Lilì Marlene", "Rossellini girava Roma città aperta". A Roma, fecondo laboratorio, la vita s’affatica ancora una volta per lenire e trasformare. E ci sovvengono le parole di Philippe Lejeune: "Ciascuno di noi porta entro di sé una sorta di ‘scartafaccio’ rimaneggiato senza posa del racconto della propria vita. Taluni, più numerosi di quanto si creda, mettono ordine in tale scartafaccio e scrivono". Una profilassi di fronte alle tentazioni del delirio e del caos?

In Diario siciliano. Alla ricerca della felicità del 1971, "una specie di viaggio autunnale compiuto a ritroso" dal 1970 al 1931, Patti raccoglie scritti di varie epoche e provenienza, che investono l’altra sua fondamentale fonte d’ispirazione, quella dei luoghi natii. Altro archetipo, il ritorno alla terra madre, grembo vagheggiato ancor più quando, con Jean-Paul Sartre, "il desiderio di gloria esprime la vertigine della morte".

Povera di memorie, autobiografie, diari, appare a Leonardo Sciascia la letteratura italiana, una carenza "spia di tante altre carenze della società civile, della vita associata". Un mutamento di rotta positivo individua pertanto – a proposito di Diario romano di Vitaliano Brancati – nei diari di scrittori che hanno visto la luce a partire dalla seconda guerra mondiale, quasi un ripensamento, un travaglio delle coscienze sul fascismo e sulla sua fine. E cita quelli di Alvaro, Cajumi, Longanesi, Pavese, Delfini, Flaiano, Montale, de Chirico, Fausto Pirandello. Non cita Patti. Eppure avrebbe dovuto, per la vicinanza geografica, amicale, culturale con Brancati, la dicotomia Catania-Roma, l’itinerario esistenziale per tanti aspetti simile, con le medesime frequentazioni di salotti e caffè letterari, redazioni di giornali, ambienti cinematografici. Per la complicità negli scherzi canzonatori e maligni, nella creazione di curiosi e crudeli soprannomi. Il diario romano di Patti si snoda dal ’14 al ’45. Quello di Brancati, dai toni ben più risentiti e severi, dal ’47 al ’54.

Scrittore diarista, Ercole Patti, sul filo dell’immaginazione, del disincantato umorismo, della dissipazione erotica. "Scrittore di cose", come attesta il rigore cronachistico e l’aderenza alla realtà del vissuto. E tuttavia scrittore mendace, giacché qualsiasi scrittura, seppur fedelissima, non è riducibile alla reale identità dell’io. "Solo la finzione non mente, essa schiude nella vita di un uomo una porta segreta, attraverso cui scivola fuori da ogni controllo la sua anima sconosciuta" (François Mauriac). Se quindi la verità si produce in una struttura di finzione, confessione e bugia sono la stessa cosa. "Per poter confessare, si mente. Ciò che si è non lo si può esprimere, appunto perché lo si è; non si può comunicare se non ciò che non siamo, cioè la menzogna" (Franz Kafka). Non mai esaurendosi però il desiderio di catturare schegge vaganti di felicità. »

Dalla nota introduttiva a Roma amara e dolce di Sarah Zappulla Muscarà

Roma amara e dolce

di Ercole Patti

a cura di Sarah Zappulla Muscarà

Bompiani, 2006

pagg. 188, euro 7,80

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TURI FERRO, IL MAGISTERO DELL’ARTE (di Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2006/11/06/turi-ferro-il-magistero-dellarte-di-sarah-zappulla-muscara-ed-enzo-zappulla/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2006/11/06/turi-ferro-il-magistero-dellarte-di-sarah-zappulla-muscara-ed-enzo-zappulla/#comments Mon, 06 Nov 2006 17:42:00 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2006/11/06/turi-ferro-il-magistero-dellarte-di-sarah-zappulla-muscara-ed-enzo-zappulla/ Ho il piacere di segnalarvi un ottimo libro dedicato alla figura del compianto Turi Ferro. Il volume, curato da Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla, zeppo di bellissime fotografie che riproducono l’attore in vari momenti significativi della sua carriera, si intitola "Turi Ferro, il magistero dell’arte", edizioni La Cantinella, Catania 2006.

Turi_ferro_volume

Ringrazio la casa editrice che ha messo a disposizione di Letteratitudine il testo introduttivo (riportato di seguito).

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Maturata a ridosso delle esperienze storiche più significative del primo Novecento, la stagione aurea del teatro siciliano aveva rinverdito le scene nazionali e internazionali esibendo le straor­dinarie doti interpretative di Giovanni Grasso e Angelo Musco che avevano alimentato un intenso dibattito sull’azione educati­va del teatro, sul ruolo dell’attore, sulle ragioni del mercato, sui condizionamenti del pubblico, sull’inviolabilità del testo lettera­rio, sulla trasgressione interpretativa, sui diritti d’autore, sulla necessità di una mes­sa in scena più dinamica, inquieta, polisemica. Sul tronco del naturalismo i grandi attori-mattatori siciliani, che affondavano le radici, attingendone nutrimento vitale, in un humus teatrale antichissimo, avevano innestato il loro istintivo talento, rinsan­guato da generazioni dì pupari, da pratiche di commedia dell’arte, da retaggi di cul­tura orale, da elementi temperamentali ‘forti’.

            Informato al medesimo spirito dionisiaco, di tale multiforme patrimonio Turi Ferro è stato naturale erede. I suoi esordi risalgono ai verdi anni, a fianco del padre Guglielmo, appassionato componente della «Brigata d’Arte filodrammatica», al Teatro Coppola di Catania, prima, nei teatrini parrocchiali della città etnea, poi, dove individua e matura una vocazione che non verrà mai meno. Nel 1946 partecipa alla rubrica di Radio Catania Tutta la città ne parla dando vita a popolari personaggi e conquistando simpatia e notorietà. Durante la stagione 1948-’49 è a Roma, nella Compagnia di Rosso di San Secondo e Rocco D’Assunta, dove incontra Ida Carrara, discendente da un’antica famiglia di comici, destinata a divenire sua splendida compagna d’arte e di vita, che sposerà il 14 febbraio 1951. Dopo l’esperienza della «Compagnia Anselmi-Abruzzo», nel 1953 riprende la collaborazione con Radio Catania in Contropiede, rubrica satirico-sportiva del lunedì, e nel 1955 in Il ficodin­dia, settimanale umoristico di cronaca e attualità. Negli stessi anni si ricostituisce la «Brigata d’Arte» del risorto Circolo Artistico, diretta da Silio Ali, scenografo il pit­tore Francesco Contrafatto, dove ha modo di misurarsi anche con testi del teatro nazionale ed europeo. La compagnia annovera, con Turi Ferro che ne è l’animato­re, alcuni dei protagonisti ‘storici’ del teatro siciliano, Rosina Anselmi, gustosa partner di Angelo Musco, il marito Lindoro e il cognato Eugenio Colombo, Iole e Vittorina Campagna, esponenti come Franca Manetti e Maria Tolu, sorelle di Ida Carrara, di una delle tante illustri famiglie di teatranti.

            Non l’Accademia è stata la scuola di Turi Ferro, piuttosto la realtà della sua terra, per sua natura ‘teatrale’, e il magistero del geniale eclettismo di comici, nel cui DNA personale e ambientale è racchiuso un faticante e seducente destino, che gli hanno trasmesso il loro stipato bagaglio di bizzarre virtualità istrioniche, di fantasticherie perturbanti, di esperienze frutto di mestiere ed arte: il trovarobato di trucchi e magie appresi fin dalle quinte, la memoria cromosomica di famiglia attorica all’italiana antica.

            Il 20 ottobre del 1958, consumato un felice momento capocomicale, dando vita ad un sogno lungamente accarezzato, in una Catania ancora laboratorio lette­rario sebbene non più operoso e fervido come un tempo, con Mario Giusti, Gaetano Musumeci, Piero Corigliano, Nunzio Sciavarrello, Pietro Platania ed altri, Turi Ferro fonda l’Ente Teatro di Sicilia. Con loro due capocomici della statura di Mi­chele Abruzzo e Umberto Spadaro che, con Rosina Anselmi, Turi Pandolfìni, Jole e Vittorina Campagna, Virginia Balistrieri, Eugenio Colombo, Rosolino Bua, ap­partenevano al ‘vecchio’ ceppo dell’eroico teatro siciliano. Il futuro Teatro Stabile di Catania (il cui settore organizzativo verrà affidato a Giuseppe Meli), luogo di di­vertenti evasioni, di rigorose verifiche, di esaltanti approdi, s’imporrà via via nel pa­norama non soltanto italiano, ripercorrendo con identico successo nelle numerose tournées estere le tappe delle gloriose compagnie dei primi decenni del secolo.

            Pièce inaugurale Malia di Luigi Capuana, messa in scena il 3 dicembre dello stesso anno, regia di Accursio Di Leo, scene e costumi di Renato Guttuso, musiche di Angelo Musco junior. E non a caso. Con Malia, suo cavallo di battaglia, soleva esordire Giovanni Grasso, «il più grande attore tragico del mondo», come è stato unanimemente definito. Un ulteriore filo rosso che lega attori tanto genuini e veri nei toni, nella gestualità, nei costumi, nella lingua. Dal capolavoro drammaturgico di Luigi Capuana prende abbrivio un nuovo itinerario teatrale di Turi Ferro, votato a raggiungere traguardi sempre più prestigiosi per l’abilità di acquisire ed elaborare in modo personale e creativo codici multipli dell’attore di razza: voce, mimica, prossemica, fisiognomica.

            Da allora, attore di singolare duttilità, proteiforme, capace d’inasprire il co­mico fino al tragico, di trascorrere con inusitata repentinità da uno stato d’animo al­l’altro, Turi Ferro ha assiduamente attraversato il variegato, prismatico, intrigato territorio del teatro siciliano ora giocoso, ilare, grottesco, ora melanconico, severo, drammatico: I civitoti in pretura, L’aria del continente, San Giovanni Decollato, Annata ricca massaru cuntentu, Sua Eccellenza, Il marchese di Ruvolito, L’altalena di Nino Martoglio, Lu cavaleri Pidagna, Il Paraninfo di Luigi Capuana, La Lupa, Ca­valleria rusticana, Caccia al lupo, Dal tuo al mio di Giovanni Verga, La bella addor­mentata di Pier Maria Rosso di San Secondo, L’eredità dello zio Canonico, II cittadino Nofrio di Antonino Russo Giusti, I Don di Pippo Marchese, Domini di Saverio Fiducia, Faidda di Francesco De Felice, Questo matrimonio si deve fare, La go­vernante, II Gallo di Vitaliano Brancati, L’avventura di Ernesto di Ercole Patti, Le notti dell’anima, Gli abusivi di Turi Vasile. Ma pure Giacomino Re nel grano di Gio­vanni Guaita, La grande speranza di Carlo Marcello Rietmann, Fumo negli occhi, Né di Venere né di Marte di Faele e Romano, I Carabinieri di Beniamino Joppolo, Antigone Lo Cascio di Giulio Gatti, Mariana Pineda di Federico García Lorca, La dote di Mario Brancacci, L’uomo e la sua morte di Giuseppe Berto, Un’abitudine a che serve? di Aldo Formosa, Inquisizione di Diego Fabbri, Il Riscatto di Vittorio Metz, Il sindaco del rione Sanità di Eduardo De Filippo. In ‘anni difficili’, in cui la denuncia della mafia, delle perverse logiche del potere, del malessere di una democrazia e di una politica corrotte e corruttrici, della violenza e delle imposture della storia, non era usuale, lo Stabile di Catania metteva in scena testi di forte impegno sociale, di generosa tensione morale, di vigile coscienza critica. In particolare quelli di Leonar­do Sciascia (il rifacimento de I Mafiosi di Gaspare Mosca e Giuseppe Rizzotto, Il giorno della civetta, Il Consiglio d’Egitto, A ciascuno il suo) e di Giuseppe Fava (La violenza, Il Proboviro, Ultima violenza). Una grande lezione civile cui Turi Ferro ha offerto il lievito e il carisma di una sanguigna interpretazione. Al contempo si misu­rava con gli immortali personaggi della grande narrativa siciliana ridotta per il tea­tro, contribuendo così alla sua divulgazione presso un vasto pubblico. Da antologia le interpretazioni di “padron ‘Ntoni” de I Malavoglia e di “Gesualdo Motta” del Mastro-don Gesualdo di Giovanni Verga, di “don Blasco” de I Viceré di Federico De Roberto, di “don Fabrizio Gerbera principe di Salina” di Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

            Un repertorio ubertoso che registra anche Fedor Dostoevskij  (Il villaggio Stepančikovo), Anton Čechov (Zio Vanja), Molière (Il malato immaginario, L’avaro, La scuola delle mogli), William Shakespeare (La bisbetica domata, ridotta in sicilia­no col titolo Castigamatti, Tifo Andronico, La Tempesta), Sofocle (Antigone), Plauto (Miles gloriosus, ridotto in siciliano col titolo Lu surdatu vantaloru), Euripide (Ele­na), Ronald Harwood (Servo di scena), Eric Emmanuel Schmitt (Il visitatore). Auto­re di riduzioni teatrali e regista, Turi Ferro è stato interprete pure di vari sceneggiati televisivi (L’accusatore pubblico, La locanda dei misteri, Merluzzo, Mastro-don Ge­sualdo, Ma non è una cosa seria, L’insuccesso, Il mondo di Pirandello, Boris Gudonov, I racconti del maresciallo, Il segreto di Luca, Il candidato, I Nicotera, La quinta donna, La famiglia Ceravolo, E non se ne vogliono andare, E se poi se ne vanno?) e film (Un uomo da bruciare, Io la conoscevo bene, Rita la zanzara, 7 volte 7, Un caso di coscien­za, Scipione, detto anche l’Africano, L’istruttoria è chiusa: dimentichi, Imputazione di omicidio per uno studente, La violenza: quinto potere, Mimi metallurgico ferito nell’’onore, Malizia, Virilità, La governante, Il lumacone, Malia, Vergine e di nome Maria, I Baroni, Stato interessante, Che notte, quella notte, Fatto di sangue tra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici, Ernesto, La posta in gioco, Malizia 2000, Novella siciliana).

            Innumerevoli segni, tutti questi, di una vocazione che si rivela senza prece­denti e senza confronti quando investe un autore quale Luigi Pirandello, ampia­mente ed insistentemente frequentato.

            Del 1957 è la prima rappresentazione della commedia Liolà (ripresa nel 1959 e tenuta in repertorio fino al 1973), che affascina per la ricchezza coreografica, l’esplosione di suoni, canti, luci, colori, movimenti, l’esuberanza con cui è condotto il giunco dell’intreccio, lo spessore antropologico, sociologico, psicologico, l’energia interpretativa di Turi Ferro. Alla gioiosa vitalità di Liolà l’attore affiancherà via via, in un crescendo di registri, nel segno di una corrosiva ed inesorabile dialettica, per­corsa da vibranti tensioni esistenziali, i testi più emblematici dell’agrigentino: La giara, Così è (se vi pare), L’uomo, la bestia e la virtù, Ciascuno a suo modo, Vestire gli ignudi, Il berretto a sonagli, Lumìe di Sicilia, Questa sera si recita a soggetto, Il giuoco delle parti, Ma non è una cosa seria, Sei personaggi in cerca d’autore, I Giganti della Montagna, ‘U Ciclopu (da Euripide), Pensaci, Giacomino!, La cattura (ultimo suo spettacolo, che sigla una lunga fedeltà pirandelliana); e per il cinema: Il turno, Tu ridi. Votatamente elusi, in omaggio a Salvo Randone, quelli che sono stati i cavalli di battaglia del conterraneo siracusano, Il piacere dell’onestà, Tutto per bene e, in particolare, Enrico IV.

            Ma a restare consegnate alla ‘storia’ del teatro sono le magistrali interpretazioni di “Liolà” e di “Ciampa”. E di quel “mago Cotrone”, visionario, onirico, surreale e insieme terragno, che lascia intravedere le speculari immagini dell’autore e del regista, primi maghi evocatori, nella memorabile edizione del 1966, al Teatro Lirico di Milano, de I Giganti della Montagna di Giorgio Strehler. Sua la definizione di Turi Ferro quale «uno degli attori più epici. Forse Brecht è nato con lui».

            E se la festevole interpretazione del giovane contadino-poeta, «ebbro di sole», della commedia campestre Liolà è divenuta con gli anni irripetibile, ormai mitica nella memoria collettiva, quella dolente ed esacerbala dello scrivano-filosofo “Ciampa” di Il berretto a sonagli, sussiegoso raisonneur, ammantato di callida suasività, d’intellettuale abilità loica, di furori ragionativi, di manie teorizzatoci, si è av­valsa della complicità del tempo, di cui il corpo non è più illustrazione ma clessidra, fino all’identificazione totale. Quel corpo che è «oggetto della mente» per Spinoza, come il volto è «anima del corpo» per Wittgenstein. Giacché, per far ricorso stavol­ta a Simmel, «nella forma del volto l’anima si esprime nel modo più chiaro». Seducente strumento di teatralità, il volto, di cui l’età è nemico ma pure certosino scultore. Del paesaggio interiore l’ortografia del volto, cui è consegnato il racconto di una vita, rappresentando il punto di emersione. Così come la facies della terra è il punto di emersione del paesaggio naturale. Entrambi testimoniando stagioni, ru­ghe, nervature, ingrottamenti, depressioni, fratture, cedimenti, squarci. Il faticoso incedere, i lenti gesti, gli eloquenti sguardi, le meditate pause, i dolorosi silenzi, l’ar­rochirsi della voce, l’emozione dissugata dell’attore, che vieppiù guadagnava in in­tensità quanto perdeva in baldanza, scavavano, per lungo studio e acquisita sapienza, nelle piaghe dell’uomo per estrarne, distillandone gli affanni, l’antico ma­lessere, il dolore del ‘mondo offeso’. Autore anch’egli del suo personaggio, l’attore, al pari dello scrittore. Fabulatore e poeta. Ammaliante alchimista. Conformemente al dettato pirandelliano, la sua esecuzione balzava «viva dalla concezione, e soltan­to per virtù di essa, per movimenti cioè promossi dall’immagine stessa, viva e attiva, non solo dentro di lui, ma divenuta con lui e in lui anima e corpo». Erano proprio il tono epico-lirico, la pregnante gestualità mediterranea, la naturale accensione sici­liana della lingua, la musicalità segretamente vibrante di slanci e di tribolazioni, le intense sospensioni brulicanti di senso, l’essenzialità ma pure l’enigma del silenzio a restituirci, penetrando negli strati più incandescenti del testo, con il prodigio e il po­tere evocativo della parola pirandelliana, il sentimento dell’impotenza, della solitu­dine, dell’angoscia del vivere. Nel magistero dell’arte il proscenio si tramutava in ‘stanza della tortura’, in impietoso tribunale di coscienze ed insieme in strumento per cauterizzare le inquietudini, le ansie, le pene esistenziali. Ridando all’attore quel ruolo di «epitaffio e cronaca del proprio tempo» che gli assegnava Shakespeare, Turi Ferro faceva del teatro l’onnipotente luogo della vraisemblance.

            Il luogo senza frontiere dove, per una sorta di complicità tra attore e pubblico, ogni alchimia si consumava. Sapientemente celando in un’aura di poesia l’inganno della menzogna che è dell’attore, il suo incomparabile privilegio di essere, con Baudelaire, «se stesso e altrui a suo piacimento», negli esiti più felici Turi Ferro è figura dell’attore-santo di cui parla Grotowski che, in un’ascesi mistica alla ricerca della verità, liberava da ogni istrionismo l’actio oratoria. L’illusion comique si sublimava in illusione trascendentale. Ed è la fictio, vale a dire la capacità di evocare fantasmi, che nell’ambiguità eticamente e poeticamente si definiscono, mediante cui il teatro celebra il suo magico rito, ad eternare personaggio ed interprete.

Sarah Zappulla Muscarà

Enzo Zappulla

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"Turi Ferro, il magistero dell’arte",

di Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla

edizioni La Cantinella, Catania 2006

tel./fax +39 095 536552

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PREMIO LETTERARIO NAZIONALE “MARTOGLIO” 2006 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2006/10/24/premio-letterario-nazionale-martoglio-2006/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2006/10/24/premio-letterario-nazionale-martoglio-2006/#comments Mon, 23 Oct 2006 23:54:00 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2006/10/24/premio-letterario-nazionale-martoglio-2006/ Cari amici, non vogliatemene se vi riporto la notizia di un evento letterario che – ancora una volta – mi riguarda…

Domenica 29 ottobre, con inizio alle ore 18, al Teatro Comunale di Belpasso (Catania), si è svolta la cerimonia di consegna del Premio letterario nazionale ”Nino Martoglio”, giunto alla sua ventesima edizione. Composta da Gianvito Resta, accademico dei Lincei, Pippo Baudo, Fina Leonardi, presidente del Circolo Athena, Alfio Papale, sindaco di Belpasso, Raffaele Zanoli, Domenico Tempio, vicedirettore de ”La Sicilia”, Sarah Zappulla Muscara’, docente dell’Universita’ di Catania, la giuria ha cosi’ assegnato il Premio ”Martoglio” nelle sue varie sezioni: Annamaria Andreoli per il volume ”Gabriele D’Annunzio” (Il Mulino, 2004) ha vinto per la letteratura; Beatrice Masini per il racconto ”Signore e Signorine – Corale greca” (Einaudi Ragazzi, 2002) per la letteratura per ragazzi; Maria Latella per il libro ”Tendenza Veronica” (Rizzoli, 2004) per il giornalismo. Il premio Athena d’Argento e’ andato a Francesco Contrafatto; la sezione editoria e’ stata vinta dalla Casa Editrice Salvatore Sciascia. A partire da quest’anno il Premio si arricchisce di una nuova sezione, il Premio Opera Prima, che e’ stato assegnato all’esordiente Massimo Maugeri autore del romanzo ”Identita’ Distorte” (Prova d’Autore, 2005).

Link con notizia completa qui e qui.

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