LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » Andrea Frediani http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 LO CHIAMAVANO GLADIATORE di Andrea Frediani e Massimo Lugli http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/03/16/lo-chiamavano-gladiatore-di-andrea-frediani-e-massimo-lugli/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/03/16/lo-chiamavano-gladiatore-di-andrea-frediani-e-massimo-lugli/#comments Fri, 16 Mar 2018 15:36:37 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7744 La nuova puntata della rubrica di Letteratitudine intitolata “A botta e risposta (un tandem letterario conversando di libri) è dedicata al romanzo “Lo chiamavano Gladiatore” di  Andrea Frediani e Massimo Lugli (Newton Compton).

Due bestselleristi del romanzo storico (Andrea Frediani) e del noir (Massimo Lugli) uniscono le loro penne per dare luce a una storia particolarissima ambientata tra la Roma del I secolo d.C., sotto l’imperatore Tito e la Roma dei nostri giorni

Di seguito: il “tandem letterario” tra i due co-autori del romanzo… che ringrazio per aver aderito all’iniziativa.

Massimo Maugeri

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Lo chiamavano Gladiatore“: il “tandem letterario” tra  Andrea Frediani e Massimo Lugli

undefinedANDREA: Tu hai già scritto libri a quattro mani, mentre per me era la prima volta. In cosa hai trovato differente questo lavoro rispetto ai precedenti?

MASSIMO: Scrivere un libro a quattro mani è sempre un cimento anche perché bisogna confrontarsi con uno stile, un metodo di lavoro, un’inventiva completamente diversa dalla propria. E non ti nascondo che inizialmente ero molto in soggezione dato che, come sai, sei un mio autore di culto. Ho affrontato la sfida con la mia solita caparbietà e incoscienza e credo che il risultato mi abbia premiato: la fortuna arride agli audaci. In passato avevo firmato un saggio e, successivamente, scritto un romanzo con l’ex funzionario di polizia Antonio Del Greco, mio carissimo amico da 30 anni ma in questo caso i ruoli erano ben definiti fin dall’inizio: lui ci mette esperienza e fantasia, io quel minimo di creatività che ho e le parole. Insomma: parlavamo a lungo, io scrivevo, gli mandavo il testo e facevamo insieme qualche correzione. Lo stesso metodo che sto seguendo attualmente visto che stiamo lavorando a un altro libro, il terzo della nostra collaborazione.

Per “Lo chiamavano Gladiatore” è stato completamente diverso. Dopo aver delineato a spanne la trama, ognuno di noi ha scritto un capitolo alla volta ma, fino alla conclusione, nessuno dei due ha inviato il testo all’altro. Ho letto la tua parte solamente alla conclusione e l’ho fatto con grande trepidazione. Sono rimasto incantato dalla trama e dalla prosa ma anche basito vedendo tante assonanze, tanti parallelismi di cui neanche avevamo discusso durante le nostre periodiche conversazioni. Spesso ho pensato che si fosse instaurato una sorta di collegamento telepatico.

Nella mia ignoranza, penso che sia stato un esperimento letterario assolutamente inedito perchè le vicende si intrecciano di continuo ma, al tempo stesso, restano separate e le due forme stilistiche, oltre che ai tempi narrativi, sono radicalmente differenti. Non ho mai letto una cosa del genere e, credimi, io leggo parecchio. Aggiungo una cosa: credo di essere un autore che scrive velocemente, una particolarità classica di chi, come noi due, viene dal giornalismo. Beh, in questo caso ammetto che ho fatto una gran fatica a stare al passo con te. Della serie: per quanto tu possa crederti tosto, ci sarà sempre uno più tosto di te. Ecco, io l’ho incontrato. Eppure, noir e romanzo storico sono generi letterari molto diversi. Spesso lo sono anche i lettori. I tuoi ti seguono da anni, sia come saggista che come romanziere e li immagino abbastanza tradizionalisti. Non hai avuto paura che la contaminazione potesse deluderli o addirittura allontanarli?

ANDREA: Non solo non ho avuto affatto paura, ma mi sono sentito talmente sicuro di non “uscire dal seminato” che punto a fregarti i lettori! Scherzi a parte, per quanto diversi siano i nostri stili, i contesti in cui agiscono i nostri personaggi, sono convinto che sia un romanzo omogeneo, che interesserà nella sua totalità sia i tuoi che i miei lettori, perché il registro è simile, il ritmo è simile, il pathos è simile. Per fortuna, il proliferare di serie televisive e film in costume, negli ultimi anni, ha sdoganato il genere storico dalla fiction di genere e l’ha reso più universale, fruibile anche per il grande pubblico, il che ha reso più omogenei i gusti degli utenti. Esiste un modo di raccontare la storia, oggi, che è molto più attuale di qualche decennio fa, quando le descrizioni prevalevano sull’azione. I nostri due protagonisti, poi, agiscono in un mondo di violenza e di sfide, di caduta e redenzione, di fallimento e formazione, che investe temi universali, sempre attuali. Infine, io non ho scritto sempre “romanzi storici” tout court, ma più spesso romanzi “di ambientazione storica”, ovvero romanzi “normali” ambientati in un’epoca storica lontana dalla nostra, ma anch’essi, fondamentalmente, noir e thriller. E questo è un altro elemento che ci avvicina… Ma dimmi, piuttosto: siamo due autori che mettono quasi sempre qualcosa di sé nei romanzi che scrivono. Tu cos’hai messo, stavolta, al di là dell’interesse per le arti marziali, di cui chiunque ti conosca come autore è già consapevole?

MASSIMO: Effetti, passione per le discipline da combattimento a parte, in Valerio Mattei ho voluto descrivere qualcosa che (purtroppo) mi appartiene: quella sorta di cupio dissolvi che può portare all’autodistruzione, la caduta, il lasciarsi andare a una passione divorante e impossibile, a un amore sbagliato che, fin dall’inizio, sai già che ti porterà fuori strada e da cui non potrà venire niente di bello, niente di costruttivo. Lo sai eppure non riesci a sganciarti, segui i tuoi sentimenti, per quanto folli, fino alle estreme conseguenze e, alla fine, tutto questo ti presenta un conto salatissimo. Mi è successo più volte e spero solo di aver acquisito, a quasi 63 anni, quella saggezza che mi impedirà di caderci ancora… Ma non ne sono affatto sicuro… Il corpo invecchia, la mente resta quella di un ragazzo incosciente. E adesso parliamo di Clovia. Femme fatale, dark lady di grandi appetiti e di pochi scrupoli da cui, però, in qualche modo Aurelio è affascinato. Ho trovato spesso personaggi femminili simili nei tuoi bellissimi romanzi (ribadisco di essere un lettore irriducibile di Andrea Frediani). Domanda da un milione di dollari: è un topos letterario o c’è qualcos’altro? Magari qualcun’altra? Qualcuna che esiste o è esistita nella tua vita?

ANDREA: Decisamente entrambe le cose! Sono, credo, il maggior collezionista italiano di film noir anni ‘50, quelli in cui agivano le dark ladies come la Lana Turner de Il postino suona sempre due volte, la Barbara Stanwick de La fiamma del peccato, la Rita Hayworth di Gilda… e così via. Era inevitabile che le trasferissi anche nei miei romanzi, come strumento di dannazione dei miei eroi… Ma è pur vero che ne ho incontrata almeno una anche nella vita… o me la sono cercata. E le dark ladies si dividono in due categorie: quelle consapevoli, le streghe che ammaliano un uomo per costringerlo a fare quello che vogliono, e le inconsapevoli, le sirene che sono votate all’autodistruzione e che non possono fare a meno di trascinare con sé l’uomo che ha la sventura di innamorarsi di loro…. E sai che non ho mai capito a quale delle due categorie appartenesse la mia? Forse a entrambe… Ma veniamo a te: spesso sono rimasto molto colpito dalle vicende che ho letto nei tuoi romanzi, che mi hanno appassionato come pochi altri thriller che ho letto. Mi hanno insegnato a guardare con altri occhi la realtà che mi circonda… Ma le storie più terribili che hai raccontato sono quelle che hai inventato nei tuoi romanzi, oppure la realtà che hai affrontato da cronista è stata capace di superare la fantasia?

MASSIMO: Ottima domanda: sono sicuro che la realtà batta la fantasia 10 a zero. In 40 anni di cronaca nera ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare… Scherzi a parte, credo che la mia esperienza di cronista di strada mi abbia permesso di raccogliere esperienze e materiale che potrebbe bastare per 50 libri. Alcune sul filo del sovrannaturale come la mamma che sogna il figlio morto che le dice: vengo a prendere mio fratello perchè mi sento solo. La mattina dopo il bambino (due mesi) è morto senza alcuna causa apparente. Credimi, l’ho vista e vissuta di persona, i poliziotti piangevano di dolore e costernazione. Molti dei miei romanzi prendono spunto dalla realtà, una realtà così incredibile che se la proponessi come trama al nostro amato editore mi consiglierebbe di cambiare spacciatore di sicuro. La collaborazione con Del Greco nasce proprio da questo: rielaboriamo in forma di romanzo vicende come il Canaro o la fantastica storia del colpo da 30 miliardi a Marbella, nel 1984 e le trasformiamo in fiction letteraria. Perchè inventarsi una trama se ne hai tante belle e pronte a disposizione? E ora una domanda più tecnica per te: come decidi in quale periodo dell’Antica Roma o di altre fasi storiche ambientare i tuoi romanzi? E ne aggiungo un’altra: c’è qualche personaggio storico che ti affascina particolarmente? La saga dei Cesariani, a mio parere, aveva una forte componente emotiva. Ho capito che per una volta ti eri schierato. E’ vero?

ANDREA: Tu sai bene che il nostro editore, che il cielo lo benedica per la sua lungimiranza, fiuta spesso il vento e ci fornisce un input… Ma altre volte mi sento “chiamato” da una storia o da un personaggio che voglio assolutamente raccontare a tutti, per trasmetterne il fascino. Per esempio, il mio prossimo romanzo, La spia dei Borgia, in uscita a fine aprile, sarà ambientato nella Roma rinascimentale perché c’era un cold case molto celebre, visto anche in serie televisive, di cui volevo dare la mia versione… Sono attirato, in particolar modo, dai periodi di passaggio e di declino, in cui tutto è confuso, il che offre notevoli spunti per creare o approfondire la psicologia di personaggi ambiziosi e tormentati. Mi attira scoprire le motivazioni che hanno alimentato le imprese dei personaggi che hanno cambiato la storia del mondo, da Cesare ad Augusto, a Costantino. Nel caso della saga de Gli invincibili, mi attirava l’idea di descrivere come un ragazzino malaticcio e vigliacco come Ottaviano poi Augusto sia riuscito in 15 anni a sgominare un’agguerrita concorrenza e a creare un impero che, nonostante tutti gli incapaci che gli si sono succeduti, è rimasto in piedi per un altro millennio e mezzo. E se mi sono un po’ schierato, è perché se non fossero stati i cesariani a vincere, di sicuro Roma sarebbe implosa definitivamente, dopo tanti anni di guerre civili, e ora non staremmo qui a parlare della sua straordinaria civiltà. Ma tu piuttosto: cosa stai preparando? Dopo tanti romanzi tratti dalle tue esperienze di vita e di lavoro, non ti viene mai la voglia di scrivere qualcosa di totalmente diverso? Che so, un legal thriller, un romanzo rosa, uno di fantapolitica, di fantascienza, fantasy, intimista, perfino storico, e chi più ne ha più ne metta… Io talvolta ne sentirei la necessità, anche come sfida personale, anche se non è detto che il nostro editore sia d’accordo…

MASSIMO: Parte della tua ultima risposta la immaginavo. Quando si segue un autore per anni si finisce per entrarci in sintonia. Quanto al mio povero lavoro, sto scrivendo, proprio con Del Greco, una storia che parte da un clamoroso furto in un caveau (quello a Marbella di cui parlavo prima) ma tenta di ricostruire quel convulso periodo della nostra storia recente che abbraccia terrorismo, ascesa e caduta (a proposito di quello che dicevi prima) della Gang della Magliana e il formarsi della malavita autoctona di Ostia. Ci riusciremo, inshallah? L’essenziale è che il lavoro ci sta appassionando. Per me, come per te, scrivere è soprattutto un’esigenza dello spirito. E, sì, capita che voglia cambiare genere. Ho una vera fissa per la battaglia di Crecy, 24 agosto 1346, la prima volta che un esercito plebeo di arcieri sbaraglia l’invincibile cavalleria francese composta dal fiore della nobiltà. Da polemologo quale sei sai bene di cosa sto parlando. Il romanzo storico è il mio genere preferito ma mi sento totalmente impreparato ad affrontarlo. Non riesco a capire come riusciate ad unire ricerca, inventiva, documentazione e fantasia. Beati voi. Comunque, visto che quell’episodio mi ossessiona da quando avevo 16 anni ci ho ambientato un racconto, “L’ultima freccia” che è uscito su una rivista letteraria. Meglio che niente. Confesso, come in una seduta di psicoanalisi, che sogno di scrivere un romanzo d’amore… ma sotto falso nome. Scrivo anche stornelli e versi in romanesco che tengo per me… Ora a te: hai due grandi passioni nella vita, letteratura e batteria. Visto che in entrambe sei bravissimo (ti ho sentito suonare e non è piaggeria) come riesci a conciliarle visto che entrambe richiedono impegno, dedizione, emozioni e un sacco di lavoro? Facciamo un gioco: se dovessi rinunciare a una delle due cose per l’altra quale sceglieresti?

ANDREA: E’ vero, io sono queste due cose, storia e musica, scrittura e batteria: due passioni tali che non mi limito a esserne fruitore passivo, ma anche artefice attivo. Vedo ancora tanti concerti dei miei gruppi preferiti e compro una mole inimmaginabile di cd, ma amo anche suonare e fare concerti io stesso. Così come, per la storia, amavo a tal punto leggerla che ho iniziato a scriverne. Non ricordo più neanche quale passione sia nata prima, ma sono assolutamente consapevole che, se nella scrittura un certo talento ce l’ho, nella batteria sono solo un onesto mestierante. E poiché mi piace stare a casa tra le mie passioni, scrivere sarebbe la scelta più spontanea… con una batteria accanto, anzi sei, che sono quelle che mi circondano nel mio studio quando scrivo, con la musica costante di sottofondo e la tv in mute sintonizzata su sci o tennis, i due sport che ho praticato e pratico con quasi altrettanta passione… A proposito… Dico sempre che se si prendono 100 scrittori, avranno 100 modi diversi di lavorare ai loro testi. Ho appena descritto il mio. Il tuo qual è?

MASSIMO: In genere un non metodo. Un grande scrittore diceva: le prime tre righe sono un dono degli Dei, il resto devi inventartelo tu. Io non faccio scalette ne elenchi dei personaggi. Ho una vaga idea dell’inizio e della fine di un romanzo, mi siedo al pc e lascio che venga fuori da solo. Spesso tutto prende una piega che, inizialmente, non avevo neanche immaginato. Per finire il primo romanzo ho impiegato 5 anni, il secondo uno e adesso la media è quattro o cinque mesi, segno che almeno in velocità sono migliorato. Ma sono estremamente rigoroso nella disciplina: almeno due ore al giorno di lavoro con pochissime eccezioni, una costanza che sicuramente mi viene dalla pratica quotidiana del Tai Ki Kung. Scrivere a quattro mani è stata un’esperienza innovativa, in questo senso, perchè mi ha costretto, per forza di cose, ha essere più organizzato, più ordinato e delineare, anche per sommi casi, il seguito di ogni capitolo per rapportarmi a un altro autore. Ho un’ultima curiosità e riguarda anche me. Pensi che si possa scrivere per tutta la vita? Ci sarà un momento in cui uno capisce che ha dato tutto quello che aveva dentro ed è ora di attaccare il pc al chiodo e ritirarsi? Io me lo domando spesso e grazie a Dio mi sento ancora lontano ma… Che ne dici?

ANDREA: Ho sentito parlare tante volte del blocco dello scrittore e ho conosciuto anche qualcuno che lo ha vissuto. Io, francamente, non l’ho ancora avuto. Anzi, più scrivo e più idee mi vengono; più scrivo e più mi viene facile scrivere; più scrivo, più si trasforma nella mia attività preferita. Ci sono delle volte in cui, pur stanco dopo una giornata di lavoro, la sera preferisco scrivere piuttosto che, per esempio, vedermi una serie televisiva o uscire, semplicemente perché quell’atmosfera, me al computer con la musica di sottofondo, nella penombra, circondato dalle mie passioni, è ciò che preferisco… Se e quando mi verrà il blocco dello scrittore, mi porrò il problema. Ma non credo che mi sentirò mai appagato: forse un giorno lontano mi troveranno riverso con la testa sul tavolo, senza vita, le bacchette per terra, la musica e la tv accese… e un testo lasciato a metà sullo schermo del computer. Nel caso dovesse accadere, ti pregherei di terminarlo tu!

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Lo chiamavano Gladiatore” di  Andrea Frediani e Massimo Lugli (Newton Compton)

Andrea Frediani e Massimo Lugli, due maestri della narrazione, firmano insieme un romanzo che lega inscindibilmente il destino dei due protagonisti, a distanza di duemila anni.

Roma, I secolo d.C., sotto l’imperatore Tito. Aurelio fa fallire l’impresa che gli ha lasciato il padre e, minacciato dagli strozzini, è costretto a farsi schiavo per i troppi debiti. Finisce così in una scuola di gladiatori: ha talento nell’arena, ma deve fronteggiare la rivalità dei compagni. Un aiuto gli arriva da Clovia, una donna senza scrupoli che, grazie a un misterioso unguento, ha trovato il modo per potenziare le doti atletiche dei combattenti su cui scommette.

Roma, giorni nostri. Valerio si è innamorato di una prostituta ed è determinato a liberarla dai suoi protettori. Da quando è finito sul lastrico, rovinato dal suo socio in affari, però, non ha più un soldo e l’unica sua fonte di guadagno sono i combattimenti clandestini di arti marziali. Per sopravvivere in quel mondo spietato, sarà costretto a ricorrere a soluzioni più estreme.

E questo, per quanto strano possa apparire, legherà il destino di Valerio a quello di Aurelio, vissuto duemila anni prima.

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Andrea Frediani è nato a Roma nel 1963; consulente scientifico della rivista «Focus Wars», ha collaborato con numerose riviste specializzate. Con la Newton Compton ha pubblicato diversi saggi (tra cui Le grandi battaglie di Roma antica; I grandi generali di Roma anticaI grandi condottieri che hanno cambiato la storia; Le grandi battaglie di Alessandro MagnoL’ultima battaglia dell’impero romano, Le grandi battaglie tra Greci e RomaniLe grandi battaglie del Medioevo, La storia del mondo in 1001 battaglie) e romanzi storici: JerusalemUn eroe per l’impero romano; la trilogia Dictator (L’ombra di CesareIl nemico di Cesare Il trionfo di Cesare, quest’ultimo vincitore del Premio Selezione Bancarella 2011); MarathonLa dinastiaIl tiranno di Roma300 guerrieri, 300. Nascita di un impero I 300 di Roma. Ha firmato la serie Gli invincibili, una quadrilogia dedicata ad Augusto (Alla conquista del potereLa battaglia della vendettaGuerra sui mari, Sfida per l’impero). L’ultimo pretorianoL’ultimo Cesare inaugurano la serie Roma Caput Mundi. Il romanzo del nuovo impero, incentrata sulla controversa figura di Costantino. Le sue opere sono state tradotte in sette lingue. Il suo sito è www.andreafrediani.it

Massimo Lugli, Giornalista di «la Repubblica», si è occupato di cronaca nera come inviato speciale per 40 anni. Ha scritto Roma Maledetta e per la Newton Compton La legge di Lupo solitario, L’Istinto del Lupo, finalista al Premio Strega, Il CarezzevoleL’adeptoIl guardianoGioco perverso, Ossessione proibitaLa strada dei delittiNelmondodimezzo. Il romanzo di Mafia capitaleStazione omicidi. Vittima numero 1, Vittima numero 2 Vittima numero 3, e nella collana LIVE La lama del rasoio. Suoi racconti sono contenuti nelle antologie Estate in gialloGiallo NataleDelitti di FerragostoDelitti di CapodannoDelitti in vacanza. Cintura nera di karate e istruttore di tai ki kung, pratica fin da bambino le arti marziali di cui parla nei suoi romanzi.

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DIBATTITO SUL ROMANZO STORICO (seconda parte) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/02/25/dibattito-sul-romanzo-storico-2/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/02/25/dibattito-sul-romanzo-storico-2/#comments Fri, 25 Feb 2011 15:16:08 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=3051 dibattito-sul-romanzo-storicoImmagine 30 StoriaQuesto post nasce come “costola” del Dibattito sul romanzo storico avviato tempo fa  con il coinvolgimento di vari autori.

Qui avremo modo di discutere dei nuovi libri di Valter BinaghiRita Charbonnier, Alfredo Colitto, Patrizia Debicke van der Noot, Alessandro Defilippi, Andrea Frediani, Marco Salvador, Annalisa Stancanelli.

Avremo anche la possibilità di interagire con gli autori per conoscere meglio i rispettivi romanzi, ma non solo…

Alle domande proposte nel post originario (a cui rimando chi volesse cimentarsi con nuove risposte), aggiungo le seguenti (rivolte sia agli autori, sia ai lettori).

1. Scrivere romanzi storici, può trasformarsi in una sorta di “gabbia” per lo scrittore (a seguito di possibili etichettature e/o per via delle aspettative dei lettori)?

2. Inserire all’interno di un romanzo storico personaggi realmente esistiti, comporta rischi? Se sì, quali?

3. Esistono pregiudizi sul romanzo storico?

4. A proposito di generi letterari… Esiste un mainstream contrapposto al genere? O tutta la narrativa è di genere? O ancora: mainstream e genere sono sullo stesso piano, e il punto è unicamente l’originalità e la sincerita delle storie (anche nel rispetto della Storia) e la qualità della scrittura?
(domande poste dallo scrittore Alessandro Defilippi nel corso della discussione e inserite in aggiornamento del post)

Nel corso della discussione potranno emergere nuove domande.
Di seguito, le recensioni ai libri… e altro ancora.

Massimo Maugeri

LA SORELLA DI MOZART (Piemme) di Rita Charbonnier

recensione di Salvo Zappulla

Mi è capitato di imbattermi un paio di anni addietro in un libro di Rita Charbonnier: “La strana giornata di Alexandre Dumas”. Mi sono reso subito conto, già dalla lettura dei primi capitoli, che si trattava di un incontro fortunato, così come lo sono tutti gli incontri che in qualche maniera arricchiscono la nostra esistenza. Uno scrittore in particolare, se illuminato dalla grazia, può veicolare valori, trasmettere conoscenze, strappare all’oblio situazioni e persone condannate ingiustamente dalla storia, sempre ingrata nei confronti dei più deboli. Quel romanzo conteneva qualcosa di felicemente impalpabile destinato a lasciare il segno nella mia mente e nella mia immaginazione. Come una dolce melodia che fluttua nell’aria e cerchi di afferrarla con mano. Un intrigo di emozioni, di situazioni coinvolgenti, di meditate pause, accelerazioni, cambi di scena. Un corteggiamento raffinato al lettore, un concedersi per subito ritrarsi, prolungando l’attesa, il desiderio di sapere come va a finire. Maria Stella, la protagonista del romanzo, brillava di luce vivida, eroina e portavoce di tutte le ingiustizie subite dalle donne nel corso dei secoli. E non è poco, in questo periodo di bunga bunga, di scorciatoie facili per arrivare alla notorietà, di tette che valgono più di un cervello, che una scrittrice riesca a trasmettere con efficacia un messaggio di tali contenuti. Una scrittura così matura, così curata in tutte le sue sfaccettature non è mai figlia della casualità. Occorre studio, profondità di pensiero, spessore intellettuale e uno smisurato talento. Mi piace immaginare la signora Charbonnier con gli occhiali da miope, i capelli arruffati, ingobbita, avvolta in una nuvola di fumo, chiusa nella sua stanza, a dannarsi per un aggettivo che non la soddisfa, un vocabolo che non rende, una soluzione che tarda ad arrivare; sacramentare per una virgola impigliatasi fuori posto, afferrare il gatto (di peluche) per la coda e scaraventarlo dal balcone per una telefonata che arriva nel momento meno propizio. Ciò che fa la differenza tra uno scrittore professionista e uno che scrive per semplice diletto.
A distanza di un paio d’anni ho letto “La sorella di Mozart” ristampato da Piemme in edizione best-seller. E qui il mio compito si fa particolarmente ingrato. Mi chiedo cosa posso aggiungere di nuovo, io, improvvisato critico di periferia, ad un romanzo che ha fatto il giro di mezza Europa, ha varcato l’Oceano e di cui si sono già occupati eminenti letterati. Penso che classificare questo libro nel genere dei romanzi storici mi sembra estremamente riduttivo, c’è molto di più: la magia della musica, l’amore fraterno, le complicità, le aspirazioni adolescenziali, il sogno; il sogno che s’infrange contro una barriera di gretto materialismo. Cosa c’è di più crudele che togliere a una creatura la possibilità di seguire le proprie aspirazioni? Privarla della sua linfa vitale. Condannarla a un’esistenza piatta. La Charbonnier scava nei sentimenti delle persone, indaga, intreccia passioni, vulnerabilità, prepotenze e malcostumi. E come sempre i dialoghi sono ammalianti come canti di sirene. Anna Maria Mozart si eleva con la forza di un titano, una figura estremamente poetica, quasi commovente. Un talento, forse pari al fratello, costretto a rimanere soffocato dal padre maschilista. Anche qui, come nell’altro romanzo, una grande donna destinata a subire ingiustizie. Anche qui la grande determinazione della scrittrice a tirarla fuori dalle tenebre. Una sfida quella di Rita, come a volersi fare beffe delle soverchierie; come a voler dimostrare che la letteratura è in grado di regalare l’immortalità, rivoluzionare menti e preconcetti. E ci ha messo molto della sua fantasia in quanto di Nannerl Mozart ci sono pochissime documentazioni che rivelino il suo carattere. Penso che se questo romanzo è diventato un best- seller, lo è diventato legittimamente, per la sua forza dirompente, per la sua capacità espressiva. Niente trucchi e niente inganni. Niente trovate pruriginose ed espedienti commerciali che fanno cassetta. Semplicemente un romanzo, un grande romanzo.

IL LIBRO DELL’ANGELO (Piemme) di Alfredo Colitto

recensione di Paolo “carrfinder” Umbriano (da Corpi Freddi)

Mondino non era tranquillo. Era davvero un peccato che Gerardo da Castelbretone non potesse andare con lui a Venezia. […] Quando era andato a cercarlo, appena presa la decisione di partire, Gerardo lo aveva accolto vestito come un damerino, e aveva rifiutato di accompagnarlo con un pretesto che suonava falso lontano un miglio.
Mondino si era offeso e il giovane allora gli aveva detto la verità: era impegnato in una missione di cui non poteva parlargli. Aveva persino menzionato delle spie francesi che lo tenevano sotto sorveglianza
.”
Bologna, 1313. Mondino de’ Liuzzi, che sta ultimando gli ultimi preparativi per il matrimonio con Mina de’ Gandoni, decide improvvisamente di partire per Venezia per rispondere ad una richiesta di aiuto proveniente da una persona a cui è molto legato: l’alchimista araba Adia Bintaba.
L’ebreo Eleazar da Worms è accusato di aver ucciso in modo crudele tre bambini cristiani, i cui corpi sono stati trovati vicino a San Marco.
Mondino, accompagnato dal figlio dell’accusato, Davide, arriva a Venezia per indagare sul triplice omicidio non sapendo che si troverà coinvolto nella ricerca del mitico Sefer-ha-Razim, il Libro dei Misteri, dettato dall’arcangelo Raziel a Noè e da questi trascritto su una tavoletta di zaffiro.
Eleazar infatti lascia un messaggio scritto col sangue sul muro della cella: una frase di difficile interpretazione per Mondino e Adia, ma che è una preciso indizio per ritrovare il libro dell’angelo.
Nel frattempo Gerardo da Castelbretone, che ha rifiutato di accompagnare Mondino a Venezia, è impegnato in una delicata missione con Pietro da Bologna, l’avvocato dei templari, che, inseguito dalle spie del re di Francia, deve a tutti i costi proteggere un documento di importanza vitale.
La conclusione delle vicende (tra cui l’arresto di Mondino) in cui sono coinvolti tutti i personaggi avverrà mentre si celebra la grande cerimonia dello Sposalizio del Mare.
“Più si andava avanti in quella faccenda, più il mistero si infittiva. E i rischi aumentavano.”
Un thriller? No, a mio parere questo libro offre molto di più al lettore.
Non è il semplice romanzo ricco di colpi di scena: la trama viene usata per rendere avvincente la lettura ma, al tempo stesso, l’autore si serve del romanzo per descrivere la Venezia del 1313 e la sua organizzazione politica.
Avventura, segreti, azione: con questi ingredienti Alfredo Colitto narra gli avvenimenti dei suoi personaggi, in una cornice storica che accompagna, senza mai prevalere, tutta la narrazione.
Il lettore si appassiona ai misteri che caratterizzano la storia e la scorrevolezza dello stile di scrittura non fa mai venir meno il desiderio di arrivare alla soluzione degli enigmi.
Poi c’è la raffigurazione dei diversi personaggi su cui spiccano le due figure femminili, Ania e Mina: due donne differenti per nascita e rango, ma entrambe di forte carattere e dotate di spiccata personalità, determinate a difendere i loro cari e a non arrendersi di fronte alle difficoltà che devono affrontare.
Chi legge non può fare a meno di parteggiare per Mondino e per la squadra che si forma, quasi per caso, nelle “nuova” città dove si svolge l’azione: una Venezia con i numerosi canali, la fitta nebbia, le lente imbarcazioni, ma anche una città descritta attraverso il modo di vivere della popolazione povera, dei nobili e delle persone di potere che hanno il controllo su tutto quello che accade nella città lagunare.
Un libro che si può leggere anche senza aver conosciuto i precedenti due romanzi dedicati al medico anatomista di Bologna; con questo romanzo infatti si chiude la trilogia dedicata da Alfredo Colitto a Mondino de’ Liuzzi i cui capitoli precedenti sono stati “Cuore di ferro” (2009) e “I discepoli del fuoco” (2010): il prossimo libro si svolgerà intorno al Seicento nel continente americano.
Se pensate che in Italia non ci siano scrittori in grado di scrivere con abilità e personalità di avventura e di storia, questo romanzo smentirà le vostre errate convinzioni.

DANUBIO ROSSO. L’ALBA DEI BARBARI (Mondadori) di Alessandro Defilippi

recensione di Carlo Grande – da Tuttolibri de “La Stampa” del 19.2.2011

danubio-rossoNon è famosa come Stalingrado o Waterloo, ma la battaglia di Adrianopoli, combattuta nel 378 d. C. in Tracia (l’attuale Turchia europea), fu un trauma per l’Impero romano e vide la storia girare maestosamente sui propri cardini: quell’interminabile pomeriggio d’estate nei Balcani segnò per alcuni la fine dell’Antichità e l’inizio del Medioevo, perché mise in moto una serie di eventi che avrebbero portato,un secolo dopo, alla caduta dell’Impero romano d’Occidente. Intorno a questo spartiacque, anzi, nei due anni che lo precedettero, è ambientato il romanzo di Alessandro Defilippi “Danubio rosso. L’alba dei barbari” (Mondadori, pp. 374,e 19,50), che con stile marcatamente epico e personaggi scolpiti a tutto tondo racconta l’arrivo dei Goti sulle rive del Danubio: spinti dagli Unni, «i figli delle streghe e degli spiriti del male», ormai dilagati dalle steppe dell’Asia centrale. È il 376 d.C.: i Goti premono sui confini dell’Impero Romano, vogliono attraversare il fiume, cercano nuove terre per sfamarsi. L’imperatore Valente manda a trattare, ma il destino del vecchio mondo è segnato. Lo psicoanalista torinese, già autore di “Manca sempre una piccola cosa” (Einaudi) e collaboratore del regista Faenza nella sceneggiatura di “Prendimi l’anima”, si affida a un intreccio ricco di snodi (molti) e personaggi ora autentici ora fittizi: è esistito l’imperatore Valente, certo, è fittizio il magister Batraz, della guardia imperiale, che accompagna un fidato consigliere dell’Imperatore alle trattative. «Salgari ci insegna – scrive Defilippi – che talora la veridicità è più limpida e affascinante della realtà storica». Attraverso agguati, duelli, complotti e tradimenti il romanzo procede verso il «giorno del sangue», la catastrofe di Adrianopoli. I Goti, preziosi alleati un tempo accolti come profughi per rivitalizzare l’economia dell’Impero, si ribellano alla corruzione dei funzionari governativi e scatenano una guerra disastrosa, che porterà alla morte dell’imperatore e alla fine all’egemonia romana sull’Europa occidentale. Una vicenda che suona familiare: la storia, si sa, è grande maestra ma ha allievi scadenti.

DICTATOR – IL TRIONFO DI CESARE (Newton Compton) di Andrea Frediani

recensione di Giuseppe Di Stefano – (da Il Corriere della Sera del 27.7.2011)

Il Potere è in molti casi figlio della corruzione e della spregiudicatezza. Segue vie strette e impervie, lastricate di compromessi e inganni che vengono poi confusi con l’ intelligenza politica. Roma antica insegna. Cesare, che amava il suo popolo, non esitò a sfruttarlo; trasse dalla sua parte gli oppositori offrendo in cambio denaro. Corruppe, blandì, minacciò. E raggiunse i suoi obiettivi. Ma fu anche un condottiero amato dal suo esercito, temuto dai nemici, capace di grandi atti di generosità. Alla figura di Giulio Cesare Andrea Frediani dedica ora una trilogia che si apre con «Dictator. L’ ombra di Cesare» (Newton Compton). Proconsole in Gallia, Cesare può contare sulla fedeltà assoluta di un amico d’ infanzia, Tito Labieno. L’ uno ha salvato la vita dell’ altro, nell’ 88 a.C., mentre Silla invadeva militarmente Roma. Insieme si ritrovano a fronteggiare, molti anni dopo, i popoli che rifiutano di sottomettersi o di venire a patti con Roma. Nel «De bello gallico» Cesare cita abbondantemente l’ amico generale, ma Labieno resta sempre figura di secondo piano, nonostante i successi militari di cui si rende protagonista combattendo contro popolazioni agguerrite come i Tigurini, i Treveri e i Belgi. Cesare gli darà nel 50 a.C. il governo della Gallia Cisalpina, ma questo non basterà a distoglierlo dalla fedeltà alla Repubblica e lo spingerà, alleato di Pompeo, contro lo stesso Cesare. «Dictator» è la storia di un’ amicizia che resterà tale nonostante tutto. Nonostante il tradimento di Labieno, che Cesare mostrerà fino alla fine di saper perdonare. Il libro ripercorre tutta la campagna militare in Gallia, e Frediani è abile nell’immergere il lettore dentro le battaglie, nell’ accendere emozioni, nel ricostruire fin nei minimi particolari paesaggi e ambienti, nel portare i lettori in prima linea, fra scintillii di spade e atroci spargimenti di sangue. La mattanza dei cadurci dopo la caduta di Uxelludunum è tra le pagine più terribili, con i prigionieri cui vengono mozzate la mani, l’ urlo delle madri, lo strazio dei bambini. Ma quel che più preme all’ autore è il recupero della figura di Labieno, personaggio di primo piano, non abbastanza valorizzato dalla Storia. Il generale è al fianco di Cesare come principale comandante subalterno. Insieme elaborano strategie e compiono gesta straordinarie, agiscono in piena sintonia e sono, di fatto, invincibili. Ma a Roma intanto cresce la fazione che si oppone a Cesare e, temendo il suo crescente potere, vuole metterlo sotto processo. Gli anticesariani riusciranno a portare dalla loro parte persino Labieno, desideroso di vedere riconosciuto il proprio valore militare messo in ombra dalla forte personalità di Cesare. «Dictator» è un romanzo storico e come tale si regge anche sul racconto parallelo di un amore, quello di Quinto, figlio di Labieno, per Veleda, una principessa della Gallia finita prigioniera dei romani.

L’EREDE DEGLI DEI (Piemme) di Marco Salvador

recensione di Renzo Montagnoli

LIl sole non si vedeva da giorni. Da una tenebra all’altra era un ininterrotto crepuscolo, più o meno cupo a seconda del gravare delle nubi. Poi il vento del nord era sceso dai monti. Sibilando appena, al principio aveva filato con le sue gelide dita il fumo dei focolari avvoltolandolo ai rami nudi degli alberi.”

“L’Erede degli Dei” è la genesi di un cavaliere, Corrado da Romano, pronipote di Ezzelino, dagli inizi ancora fanciullo alla sua investitura, alle battaglie, alle sue disgrazie, fino al raggiungimento, dopo tante tribolazioni, di una vera pace interiore.
Premetto subito che è un romanzo bellissimo, scritto in modo magistrale, in quel modo che solo lui sa, da Marco Salvador che non ho esitato a definire il Walter Scott italiano.
Ricerca minuziosa delle fonti, capacità di scegliere, fra tante notizie, quella più attendibile, elaborazione di questi elementi fino a sviluppare una trama, capacità di affondare la lama quando serve e di addolcire ove è necessario, personaggi caratterizzati nella loro essenza, senza inutili appesantimenti, descrizione di battaglie talmente viva che sembra di prendervi parte, una nota malinconica di fondo sul destino degli uomini, sempre presente, anche se non esplicita, tutte caratteristiche queste ben radicate nel narratore di San Lorenzo di Pordenone e che connotano infatti tutti i suoi romanzi, dal ciclo longobardo a quello dei Da Romano, di cui il primo, immediatamente antecedente a questo, vale a dire “La palude degli eroi”, è di una tale bellezza e perfezione da poterlo definire, senza timore, un autentico capolavoro.
E “L’Erede degli Dei” non gli è da meno, una serie di quadri ininterrotti, di luce soffusa, ma vivi e che colpiscono il lettore per i toni, per gli equilibri, per un alternarsi di pochi adagi e di molti andanti, una sinfonia della vita in cui si disegnano figure memorabili, dipinte con la stessa cura, dagli umili ai potenti, dai pavidi agli audaci, una moltitudine di esseri umani, con i loro pregi e i loro difetti, tesi a sopravvivere o a vivere nella gloria.
Comunque bisogna leggere questo romanzo e i precedenti per capire cosa voglia dire saper scrivere bene, in un italiano corretto e con un ricorso puntuale a un’analisi logica ferrea, in un fiume di parole che sanno essere tumultuose, oppure quiete, tanti piccoli ceselli a formare un mosaico che stupisce e affascina.
Il tutto in un tessuto di originalità, certamente non frequente, e che fa rivivere un’epoca passata come in una pellicola cinematografica, un succedersi di vicende interpretate da uomini e donne, di varia umanità, che sembrano muoversi autonomamente, non guidate dal regista. Eppure non c’è una nota storta, non c’è un attacco o uno stacco al di fuori del tempo giusto, in un equilibrio armonico che regge, stabile, perfetto, senza la minima sbavatura, dall’inizio alla fine.
E non è solo la trama ad avvincere, ma anche le riflessioni dell’autore poste in bocca a questo o a quel personaggio, perché in fondo gli uomini, chi più chi meno, è giusto che debbano farsi un’idea sui perché della loro esistenza.
Le pagine scorrono veloci, la mente di chi legge s’invola, si sarebbe tentati di proseguire a oltranza, fino all’ultima pagina, ma non è giusto, occorre procedere adagio, per non lasciarsi sfuggire nulla, per il timore di non poter godere di ogni parola di questo splendido romanzo, un altro capolavoro di Marco Salvador.

ARCHIMEDE E IL MISTERO DEL PLANETARIO (Melino Nerella edizioni) di Annalisa Stancanelli

recensione di Gaetano Guzzardo – (da Il Giornale di Siracusa)

Un romanzo, o meglio ancora un giallo – storico, una fitta rete di misteri che nel terzo secolo a. c. coinvolgono un siracusano doc, osannato dal mondo scientifico ma dimenticato dalla sua città e dai suoi concittadini. Un viaggio in quella che fu la culla della civiltà e della cultura tra la grande Siracusa e la straordinaria Alessandria, depositaria della conoscenza del mondo sino ad allora conosciuto, con protagonista lui, il matematico e inventore Archimede, che seppur impegnato nella difesa di Siracusa con le sue “strane” macchine, non trascura l’impegno di custode e difensore del segreto della Camera di Thot, questo sconosciuto “scrigno” sigillato e nascosto all’interno della Sfinge in Egitto.
Un segreto che qualcuno vuole “violare” e che Archimede e la sua ristretta cerchia di amici e collaboratori sono chiamati a preservare e salvaguardare. A riportaci indietro nel tempo, facendoci rivivere un periodo storico di grande splendore per la cultura e la scienza, mostrando una sorprendente conoscenza non solo del periodo in questione il 214 a.c. ma anche la vita, la storia, le scoperte e, potremmo dire, “le abitudini” di un Archimede “fuori dal comune”, è la scrittrice e giornalista siracusana, Annalisa Stancanelli, 38 anni, docente di materie letterarie al Liceo Quintiliano di Siracusa, con il suo  “Archimede e il mistero del Planetario” (Melino Nerella edizioni, pag. 154 € 12,00).
Una fitta rete di misteri ed un viaggio tra Siracusa, Roma e Alessandria, nella quale la penna di Annalisa Stancanelli, con scorrevolezza ed eccezionale semplicità di linguaggio, ma nel contempo con una rara e sorprendente padronanza storica, arricchita dall’introduzione, veramente innovativa, di flash giornalistici, agenzie, articoli su immaginari quotidiani (… che lasciano emergere lo spirito di cronista dell’autrice), conduce il lettore senza mai stancarlo, anzi, quasi siglando con esso un patto di collaborazione, per non privarlo dell’elemento “fantasioso” e “costruttivo” che possiede questo “giallo siracusano”, come lo definisce nella prefazione al libro il professore Mario Geymonat, il filologo e docente di letteratura latina all’Università Ca’ Foscari di Venezia, che conosce ed ha scritto su Archimede (“Il grande Archimede” – Sandro Teti Editore).
Geymonat, scrive, tra l’altro, presentando il lavoro della Stancanelli. “ … Annalisa Stancanelli conosce i numerosi testi di e su Archimede che ci sono stati tramandati ma mostra pure una controllata e fascinosa fantasia quando sviluppa con vera originalità l’azione del suo breve romanzo fra Alessandria d’Egitto, Siracusa e Roma (manca solo Cartagine!): le capitali militari, politiche e culturali del III secolo a.C.. Il suo racconto è corredato, peraltro, da una serie di flash forward, quali aperture, brecce nel racconto che si concretizzano in articoli veri e immaginari di giornali locali e internazionali stando a sottolineare l’interesse verso questo incredibile personaggio nel nostro e nei tempi futuri”.
Un interesse che affascina il lettore che in “Archimede e il mistero del Planetario” è chiamato dunque dalla Stancanelli a “vivere” il viaggio e la storia, ma nello stesso tempo a “trepidare” per la coltre di mistero che la circonda e a “completare”, con la fantasia, ciò che l’autrice volutamente non approfondisce e non ci svela.
Naturalmente, come ogni giallo che si rispetti, non tutto è scontato e non tutto viene alla luce… tra Siracusa, Roma ed Alessandria d’Egitto, millenni di storia nascondono ancora misteri che vale la pena “scoprire e conoscere”.
Poco prima di Natale “Archimede e il mistero del Planetario” è stato presentato a Siracusa dal professor Sebastiano Amato, Direttore dell’Istituto Superiore di Studi Umanistici di Siracusa, e dalla scrittrice-magistrato Simona Lo Iacono, Premio Vittorini Opera Prima 2009, nella grande Sala docenti dell’Istituto Tecnico “Alessandro Rizza”.
Una scelta che non arriva a caso, visto che proprio il Rizza pensò alla fine dell’Ottocento ad un’Accademia per lo studio della Storia Patria dedicata ad Archimede. Un libro dei giorni nostri, da non perdere, che nasconde dietro, come ama raccontare la sua autrice, “… mesi di ricerche e parentesi narrative alla base di un romanzo pensato anche per i giovani che devono conoscere la storia di un siracusano che tutto il mondo ci invidia, anche se è una storia fra leggenda e mito”.

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AGGIORNAMENTO DEL 26 febbraio 2011
Aggiorno il post, inserendo la recensione del bel romanzo di Valter Binaghi, “I segreti del talismano” (ed. Sottovoce), firmata da di Paolo Pegoraro.
Anche Valter parteciperà alla discussione.
Massimo Maugeri

I CUSTODI DEL TALISMANO (Ed. Sottovoce) di Valter Binaghi

recensione di Paolo Pegoraro (da Bombacarta)

Pare interminabile il piagnisteo circa l’incapacità del romanzo italiano di raccontare grandi storie, lasciandosi alle spalle la stagione dei referti sociologici, della risata funerea che tutto caricaturizza, dei giochi combinatori e delle dietrologie cosmiche. Curiosamente però, quando un romanzo osa per davvero il colpo d’ala, l’appoggio di un grande editore non lo si trova neppure a cercarlo con il lanternino. Neppure quando – come in questo caso – a sostenerlo ci sono firme come Tullio Avoledo, Giuseppe Genna, Alessandro Zaccuri o Giulio Mozzi. E così I custodi del Talismano di Valter Binaghi (ed. Sottovoce, pp. 237, € 13,50), dopo aver pellegrinato di redazione in redazione, esce come primo titolo di una nuova casa editrice, il marchio Sottovoce.
E dire che Binaghi non è certo scrittore di primo pelo: di romanzi ne ha già pubblicati otto, portandosi a casa anche belle soddisfazioni di lettori e di critica. Definire “stimolante” il suo percorso sarebbe riduttivo. Redattore della rivista di controcultura Re Nudo negli anni Settanta, aveva accantonato la scrittura per insegnare storia e filosofia nei licei. Per trent’anni. Senza però mai trascurare la passione per il blues: e ancora oggi – 53 anni, moglie e due figli – continua a imperversare con la sua band nella provincia di Milano. Nel frattempo ha ripreso in mano la penna. Anima un blog ipertrofico, zeppo di stimoli  valterbinaghi.wordpress.com). E tra le altre cose ha scritto, insieme al figlio Francesco, la prima biografia italiana del mitico Johnny Cash, riletta attraverso i testi delle sue canzoni (Johnny Cash. The man in black – Testi commentati, Arcana, pp. 267, € 18,50).
I custodi del Talismano è un romanzo difficile da costringere in una definizione. Possiede tutta la ponderata precisione di un romanzo storico e al tempo stesso un respiro molto più ampio. Nulla è lasciato al caso, ogni particolare ricostruito sullo studio delle fonti, eppure si osano nominare anche le parole tabù dell’antistoria: «destino», «necessità» e «disegno divino». Qualcosa d’indefinibile pare tracimare oltre l’orizzonte degli eventi.

Diviso in tre parti – la Gallia conquistata dai Romani, la Provenza invasa dagli Alemanni e l’Europa soggiogata dalla peste – affronta tre epoche e tre storie, le storie di tre custodi. Un druido alla ricerca di un segno divino in mondo senza più dèi; un condottiero romano che insegue il sogno dell’Impero mentre dilaga la corruzione cortigiana; un tormentato medico dei corpi alla ricerca della pace dell’anima. Due ferventi pagani e un cristiano rinnegato. Ognuno di loro ha ricevuto in sorte un oggetto enigmatico, un misterioso calice di metallo sigillato da un coperchio, un Talismano che dovrà essere aperto solo nel momento dell’estremo pericolo, quando le forze del male scateneranno l’ultimo assalto contro l’umanità. Se immaginate che il calice sia il Santo Graal, rifate meglio i vostri calcoli: quando lo vediamo comparire per la prima volta nelle mani del druido, infatti, siamo nell’anno 196 a.C. E se pensate che il romanzo sia il solito rompicapo esoterico, tutto leggende e cacce al tesoro, diciamo pure che del Talismano non scopriremo proprio un bel nulla. Appare improvvisamente, come l’emersione di un bianco cetaceo, e altrettanto improvvisamente scompare. Sapere cosa sia, forse non è neppure importante. A questo punto, tanto vale infliggervi pure l’ultima delusione: nessuno dei tre custodi aprirà il calice. Effetti speciali? Zero. Niente apocalittiche manifestazioni della collera divina stile Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta. È pure legittimo chiedersi se quel rozzo manufatto contiene effettivamente qualcosa…

Ma allora perché non limitarsi a confezionare un meglio commerciabile romanzo storico? Binaghi scrive con formidabile senso drammatico, prosa asciutta, ritmo lanciato al galoppo, introspezione sanguinante, e le avventure dei tre protagonisti si leggono tutte d’un fiato: che bisogno c’era di tirare in ballo un oggetto inspiegato e inspiegabile come il Talismano? Perché non raccontare semplicemente la storia di suoi tre personaggi?
Forse perché – come viene detto in un brano del romanzo – i talismani sono più efficaci «finché restano chiusi e indecifrati, perché preservano un resto di verità futura a chi dispera nel presente». Disperare nel presente: ecco cosa accomuna le vicende dei tre custodi. Vivono tutti in un’epoca di decadenza e ognuna appare più grave di quella dell’epoca precedente. Assistiamo impotenti alla fine dell’èra degli dèi, al tramonto dell’epoca degli eroi, al tempo degli uomini messi alla prova. Quasi che fosse in atto un depotenziamento inarrestabile, un rimpicciolimento spirituale che lambisce persino le figure più emblematiche di ogni eone: il sacerdote, il soldato e il medico. Tutti i custodi dovranno confrontarsi con una minaccia imminente e decidere se la fine del loro mondo rappresenta la fine del mondo intero, se salvare se stessi è più importante che non opporre una speranza ignota contro il buio che monta all’orizzonte. Tutti saranno costretti a domandarsi se esiste – e che cos’è – ciò che a ogni costo va salvato, preservato e trasmesso all’epoca successiva. Ecco chi sono i custodi: coloro che si sono misurati con la fine dei propri sogni – siano essi l’ordine cosmico, l’ordine mondiale o l’ordine familiare – e tuttavia persistono nell’avere a cuore la sorte dell’uomo, per quanto abissalmente corrotto, per quanto essi stessi toccati dalla corruzione.

E il Talismano? Sappiamo solo che continuerà ad essere passato di mano in mano, da una generazione a quella successiva. È il mistero che viene custodito e trasmesso. Anzi, forse è l’atto stesso del trasmettere: è la bussola dell’essenza umana, la sollecita preoccupazione di coloro che ci hanno accolti nel mondo e che noi stessi siamo chiamati ad avere per quanti verranno dopo di noi. È ciò che abbiamo ricevuto e che siamo tenuti a salvaguardare per tramandarlo. Forse è quel tesoro, ermeticamente sigillato eppure inesauribile, che da sempre chiamiamo “tradizione”.

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Aggiornamento del 9 marzo 2011
Aggiorno il post per evidenziare la partecipazione dal dibattito di un’altra autrice di romanzo storici: la scrittrice Patrizia Debicke van der Noot, che ha appena pubblicato per Corbaccio il romanzo “L’uomo dagli occhi glauchi
Massimo Maugeri

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L’UOMO DAGLI OCCHI GLAUCHI di Patrizia Debicke van der Noot
Corbaccio – pagg. 304 – € 18.60

L’uomo dagli occhi glauchi o Ritratto di giovane inglese è una splendida tela di Tiziano, dipinta intorno alla metà del Cinquecento. Ritrae un giovane biondo, bello, sicuro di sé, senz’altro aristocratico. Ma chi sia veramente, nessuno lo sa. Patrizia Debicke, abituale frequentatrice del nostro Rinascimento, ha costruito una storia appassionante attorno a questa figura misteriosa, che sembra identificare nel giovane Lord Templeton, figlioccio del potente duca di Norfolk. Inviato in Italia per conto di quest’ultimo, Templeton rimane folgorato dal pittore veneziano al punto di chiedere di fargli un ritratto. Ma il ritratto è anche un pretesto per coprire il vero scopo del suo viaggio, che è quello di proteggere un’eminente personalità inglese, protagonista di spicco del Concilio di Trento, la cui vita è messa in pericolo da una macchinazione ordita alla corte dell’anziano Enrico VIII nel momento di massima tensione fra cattolici e protestanti.
Fra duelli e veleni, in una Venezia insidiosa e mascherata e in una Roma corrotta e devastata dalla piena del Tevere, il giovane inglese cercherà di portare a termine la sua missione, senza tuttavia rinunciare ai piaceri dell’amore e dell’amicizia…

Patrizia Debicke van der Noot è nata a Firenze. Praticamente bilingue, ha terminato i suoi studi in Francia. Ha sempre viaggiato molto e vive tra l’Italia e il Lussemburgo col secondo marito Rodolfo Debicke van der Noot. Ha una figlia, Alessandra Ruspoli, nata dal primo matrimonio. Prima di approdare alla scrittura ha avuto esperienze lavorative in ambiti diversi. Appassionata di storia, ha al suo attivo romanzi storici e thriller: “Una foto dal passato”, “Ritratti di matrimonio”, “Il dipinto incompiuto”, “La tigre di Giada”, “Una seconda vita”, “Il gioco dei Menù”.

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http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/02/25/dibattito-sul-romanzo-storico-2/feed/ 333
DIBATTITO SUL ROMANZO STORICO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/12/13/dibattito-sul-romanzo-storico/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/12/13/dibattito-sul-romanzo-storico/#comments Sun, 13 Dec 2009 18:15:58 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=985 dibattito-sul-romanzo-storicoImmagine 30 StoriaQuesto post, già avviato a partire dall’estate del 2009, si è progressivamente trasformato in un dibattito permanente sul romanzo storico.
Fino a questo momento hanno partecipato alla discussione i seguenti scrittori (li cito in ordine alfabetico): Andrea Ballarini, Rino Cammilleri, Giulio Castelli, Rita Charbonnier, Alfredo Colitto, Nicole Fabre, Andrea Frediani, Giulio Leoni, Giorgia Lepore, Simona Lo Iacono, Leda Melluso, Adriano Petta, Marco Salvador, Cinzia Tani, Jasmina Tešanović, Filippo Tuena.
Altri autori di romanzi storici, nel tempo, saranno invitati a partecipare.
Le domande poste per favorire la discussione sono le seguenti…

1. Quali caratteristiche dovrebbe necessariamente possedere il romanzo storico?

2. Quale dovrebbe essere la sua funzione?

3. Che cosa – viceversa – dovrebbe evitare?

4. Qual è, a vostro giudizio, lo stato di salute del romanzo storico, oggi, in Italia?

5. E nel resto del mondo?

6. Domanda-sondaggio: qual è il più grande romanzo storico di tutti tempi (quello che potrebbe essere eletto come “rappresentativo” del genere)?

La seconda parte del dibattito sul romanzo storico si è svolta in questo post.

Massimo Maugeri

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(Seguono il post del 26 luglio 2009 e i successivi aggiornamenti)
romanzo-storico-letteratitudineA partire da oggi, e per i prossimi giorni, qui su Letteratitudine proverò a condurre un dibattito sul romanzo storico. Per l’occasione ho invitato quattro protagonisti del settore: due scrittrici e due scrittori. Scrivo i loro nomi in rigoroso ordine alfabetico: Andrea Ballarini (foto in alto a sinistra, nel quadrante), Rita Charbonnier (in alto a destra), Marco Salvador (in basso a sinistra), Cinzia Tani (in basso a destra).
L’occasione è ghiotta. Discuteremo, con i quattro ospiti, del romanzo storico in generale e delle loro opere più recenti (nel farlo mi avvarrò anche dei contributi di Salvo Zappulla e Renzo Montagnoli).
Provo a porre alcune domande per favorire la discussione…

1. Quali caratteristiche dovrebbe necessariamente possedere il romanzo storico?

2. Quale dovrebbe essere la sua funzione?

3. Che cosa – viceversa – dovrebbe evitare?

4. Qual è, a vostro giudizio, lo stato di salute del romanzo storico, oggi, in Italia?

5. E nel resto del mondo?

6. Domanda-sondaggio: qual è il più grande romanzo storico di tutti tempi (quello che potrebbe essere eletto come “rappresentativo” del genere)?

Provate a rispondere alle domande!
L’invito è rivolto a tutti… e, in particolare, ai protagonisti di questo post (che invito a interagire tra loro).
Sono certo che ne verrà fuori una discussione molto interessante.
Di seguito, gli articoli sulle più recenti opere di Andrea Ballarini, Rita Charbonnier, Marco Salvador, Cinzia Tani.
Massimo Maugeri

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IL TRIONFO DELL’ASINO di Andrea Ballarini
Del Vecchio editore, pagg. 488, euro 17,50

articolo di Massimo Maugeri

Ho avuto il piacere di presentare Andrea Ballarini al Salone del libro di Torino insieme a Rita Charbonnier. Con il romanzo storico, “Il trionfo dell’asino”, ha aperto una nuova collana di narrativa dell’editore Del Vecchio.
Siamo nell’ultimo quarto del XVII secolo. Il protagonista del libro – e voce narrante della storia – è Giacomo Crivelli, figlio del Provveditore Generale di un Duca. Un giovane con una famiglia importante alle spalle, ma che è mosso da una passione che non viene compresa – o quanto meno assecondata – dai suoi familiari. Giacomo Crivelli ama il teatro. Incondizionatamente. Al punto da contravvenire agli indirizzi paterni su quello che dovrebbe essere il suo futuro e di unirsi a una compagnia di teatranti.
Nel corso del suo girovagare con l’Illustre Compagnia dei Comici Entusiasti, Crivelli incontra un uomo avanti negli anni e dal passato misterioso: Aristotele Cereri, (che viene assunto come scenotecnico all’interno della Compagnia). L’uomo rivela a Giacomo che la sua vita è votata a recuperare un tesoro molto particolare… e che questo compito gli è stato lasciato in eredità dal suo antico maestro: un filosofo nato a Roma nel 1583.
In seguito Aristotele rivela che il tesoro consiste in uno scritto… e che, secondo il suo maestro, nello scritto si cela un segreto, forse un diabolico incantesimo, in grado di sconvolgere l’ordinamento del mondo quale lo si conosce. Estremamente scettico, Giacomo – almeno all’inizio – non dà molto seguito a queste rivelazioni, sempre più determinato, invece, a perseguire la sua passione per il teatro e le teatranti. Perché – tra le altre cose – il protagonista del libro è… come dire… molto “sensibile” alle grazie femminili.
La compagnia però si sfascia e Giacomo si trova, giocoforza, costretto a seguire Aristotele nella sua ricerca (che li porterà in Francia, alla corte del Re Sole, e poi di nuovo in Italia, frequentando tanto salotti raffinati quanto umide e poco accoglienti stamberghe). Il tutto si complica per l’interesse che il manoscritto (un’antica commedia) suscita in più personaggi, anch’essi desiderosi di carpirne i contenuti che, se divenissero di pubblico dominio, potrebbero cambiare radicalmente le sorti del mondo. Insomma, a mano a mano che si procede nella lettura, il mistero si infittisce.
Questo romanzo è strettamente connesso al teatro per una serie di motivi: a) racconta le vicende di un gruppo di teatranti; b) il cuore del libro ha per oggetto la ricerca di un’antica commedia; c) il testo del romanzo offre, di tanto in tanto, stralci di commedia. In tal senso questo libro è un testo dotato di un’altissima valenza metaletteraria: un romanzo che guarda al teatro… che si rifà al teatro.
E Ballarini è bravo a mettere “in scena” (in questo caso il termine è azzeccatissimo) una storia ricca, complessa, con molti personaggi. Una storia lunga, ben gestita dall’inizio alla fine… nonostante la dimensione considerevole del testo. E lo fa con una scrittura sicura, efficace. Una prosa elegante, mai autoreferenziale.
Un libro che offre un piacevole e avventuroso viaggio tra i teatranti dell’Italia di fine 1600 e che – garantito! – consentirà al lettore di trovarsi in… buona compagnia.

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LA STRANA GIORNATA DI ALEXANDRE DUMAS di Rita Charbonnier
Edizioni Piemme, pagg. 374, euro 18,50

articolo di Salvo Zappulla

Rita Charbonnier è una di quelle donne predestinate al successo, ha nel sangue il dono dell’Arte e lo manifesta attraverso una personalità poliedrica ed esuberante, quale sia essa l’attività in cui si cimenta: il teatro, il cinema, la letteratura. Dopo il successo riportato con il romanzo “La sorella di Mozart” edito nel 2006 da Corbaccio, tradotto in ben dodici Paesi, si ripresenta con questo secondo avvincente romanzo (“La strana giornata di Alexandre Dumas“, Edizioni Piemme, pagg. 374, €18,50). Ancora una storia di donne strappate all’oblio e riconsegnate alla loro verità storica. Quasi un atto di giustizia sociale quello di Rita per ridare identità attraverso le sue opere letterarie a personaggi tenuti ingiustamente ai margini. Una storia scabrosa, un baratto di neonati per questioni di interessi che rischia di suscitare un terremoto nella Francia di fine Ottocento. Maria Stella Chiappini, la protagonista di questo romanzo, sembra permeata da un alone di magia, scaturita da una fiaba, o dalle radici del mondo; incanta con la sua eloquenza, incanta e seduce con la forza evocatrice delle parole. Incanta Alexandre Dumas che rimane ad ascoltare la sua straordinaria vicenda completamente rapito. Il grande scrittore trascorrerà con lei forse la giornata più intensa della sua vita. La stessa forza di narratrice che Rita Charbonnier trasmette al lettore, con una meticolosa descrizione dei costumi dell’epoca, il rapporto tra nobili e popolani, con particolare attenzione per il percorso psicologico e le azioni che danno slancio alla vicenda narrata. I suoi dialoghi, ora delicatamente ironici, ora drammaticamente lirici, affabulatori, nostalgici, malinconici. Le pagine dedicate all’incontro tra Maria Stella e la madre adottiva in punto di morte sono tra le più affascinanti, intense, coinvolgenti del romanzo. Così come anche le altre donne hanno un ruolo non indifferente nell’economia della storia, predominante rispetto agli uomini. Donne dotate di grande saggezza, un po’ compresse nel ruolo di semplici consorti, straripanti di personalità, desiderose di affermare la propria esistenza.

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LA PALUDE DEGLI EROI di Marco Salvador
Edizioni Piemme, pagg. 501, euro 20

articolo di Renzo Montagnoli

Avete presente quegli affreschi che nelle chiese si trovano nell’abside, che partono a sinistra dell’altare e in una serie di quadri successivi gli girano dietro per concludersi alla sua destra? Ecco, La palude degli eroi è strutturato così, come se Salvador fosse il pittore chiamato a celebrare la vita di un santo. E’ quindi tutta una serie di quadri, legati l’uno all’altro e che danno vita a un affresco di grande bellezza.
Se gli inglesi hanno avuto in Walter Scott con il suo Ivanohe il cantore del loro medioevo, mi sento tranquillamente di indicare l’autore pordenonese come il suo equivalente nel nostro paese.
In questo romanzo ci parla dei da Romano, quella famiglia che raggiunse l’apice della sua fama e fortuna con il condottiero Ezzelino, validamente coadiuvato dal fratello Alberico, ma la figura di questo personaggio, conosciuto, a torto o a ragione, come un sanguinario scompare quasi subito nella narrazione, poiché muore dopo la sconfitta subita a Cassano d’Adda per le gravi ferite riportate. Il fulcro invece di tutta la narrazione è costituito da uno straordinario personaggio, Guido da Romano, figlio adottivo di Alberico e figlio naturale di Ezzelino.
Non intendo raccontare la trama, che presenta in 501 pagine tanti fatti e accadimenti, una vera “summa” di questo protagonista, ultimo rimasto dei da Romano dopo la crudele esecuzione da parte dei papisti di Alberico e dell’intera sua famiglia. Non ci sarebbe infatti abbastanza spazio per una sintesi logica, né è mia intenzione privare il lettore di scoprire pagina dopo pagina il succedersi degli eventi.
Preferisco quindi scrivere di quello che ha suscitato in me questo romanzo, delle impressioni che ne ho ritratto, dell’emozione di cui è riuscito a pervadermi.
Ci troviamo davanti a una vera e propria opera d’arte, abbastanza fedele storicamente, e con tutta una serie di ceselli, che vanno dalla descrizione dei costumi per arrivare perfino alle abitudini alimentari, inseriti con abilità in modo non solo da soddisfare la curiosità, ma da consentire al lettore di immergersi progressivamente in un’epoca.
Fra l’altro, questo risultato è ottenuto in modo mai greve, tanto che il romanzo, se non fosse per la sua notevole lunghezza, si leggerebbe tutto d’un fiato.
Avevo già notato questa capacità di Salvador di avvincere in occasione della lettura del suo ciclo sui longobardi, ma in questo lavoro si è veramente superato, al punto che si ha l’impressione di essere presenti nella vicenda, come spettatori estasiati di un torneo o pavidi testimoni di una battaglia, di cui si ode lo scontro delle armi, si avverte il senso di paura e di follia che anima i contendenti e, perfino, sembra di fiutare l’odore dolciastro del sangue che inzuppa il terreno.
Ma questo, che pur è molto, non è nulla in confronto con la capacità di Salvador di rendere dinamiche le scene, così che si vedono i cavalli galoppare, giungere a contatto con quelli degli avversari, con campi lunghi e altri più ristretti, cogliendo particolari essenziali, proprio come in una pellicola cinematografica.
Adesso, quindi, potete capire il perché questo romanzo risulti particolarmente avvincente e il coinvolgimento è totale, nel senso che ci si dimentica di stare comodamente seduti su una poltrona, ma ci si vede accanto a Guido a duellare, oppure ad ascoltarlo quando si dichiara alla bella e umile Aurora. E questo alternarsi di scene cruente, di supplizi dolorosi, con immagini elegiache della campagna trevigiana, con stacchi incisivi su personaggi minori, che però sono funzionali al racconto, consente di trarre respiro, permette al lettore di abbassare il ritmo, pause indispensabili in una trama che galoppa come un cavallo selvaggio.
Non posso anche dimenticare l’abile caratterizzazione dei protagonisti, nessuno tutto buono o tutto cattivo, ma uomini con pregi e difetti, sia fra gli alleati di Guido che fra i suoi nemici. Se la figura di Ezzelino da Romano viene un po’ rivalutata, nel senso che la sua ferocia non era dissimile da quella dei potenti della sua epoca, un trattamento particolare viene riservato alla Chiesa di Roma, intrigante, superba, prepotente e sempre pronta a incrementare i suoi possedimenti. Per fortuna, però, esistono anche umili preti, che con il loro esempio, la loro fede e umanità consentono che una religione non venga identificata con la sua struttura politico-amministrativa; nel romanzo ne troviamo, ancore di salvezza in un mondo di lupi che si sbranano e in cui i potenti, come oggi, decidono delle sorti degli altri uomini.
Non mancano quindi anche motivi di riflessione che finiranno con l’emergere una volta ultimata la lettura, toccando argomenti che credevamo antichi e che invece sono ancora del tutto in corso. Questo è un altro dei pregi di questo lavoro ed è giusto sottolinearlo, perché la narrazione non è fine a se stessa e così riesce a coniugare la spettacolarità con la sostanza, compito questo in cui mi sembra che Salvador sia riuscito assai bene.
La palude degli eroi è un’opera d’arte, un romanzo di rara grande bellezza che vi consiglio di leggere, sicuro che alla fine rimarrete stupiti e soddisfatti.

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LO STUPORE DEL MONDO di Cinzia Tani
Mondadori, pagg. 319, euro 19

articolo di Massimo Maugeri

Cinzia Tani non ha bisogno di presentazioni: giornalista e scrittrice, autrice e conduttrice di programmi televisivi e radiofonici. Ha pubblicato diversi volumi, tra romanzi e saggi, aggiudicandosi svariati premi.
L’otto marzo 2004 il Presidente della Repubblica Ciampi ha scelto Cinzia Tani insieme ad altre undici donne per conferirle l’onorificenza di Cavaliere dell’ordine “Al merito della Repubblica Italiana”. Il precedente romanzo “Sole e ombra” (Mondadori, oggi disponibile nella collana Oscar besteller) ha vinto il Premio selezione Campiello 2008.
Di recente è uscito un nuovo romanzo storico, sempre edito da Mondadori, ambientato a Roma nel 1201: “Lo stupore del mondo”, da dove emerge la figura di Federico II.
Ecco la trama…
Il piccolo Pietro si è appena abbandonato all’abbraccio della levatrice, quando un tuono improvviso irrompe su palazzo Graziani, la balia perde la presa e il primo dei due gemelli appena venuti alla luce le scivola dalle mani. In quel tuono inspiegabile, a ciel sereno, è racchiuso il cattivo presagio che condiziona il destino di Pietro: nel suo volto, irrimediabilmente deturpato dalla caduta, molti leggono un segno del demonio, gli altri vengono respinti dalla sua deformità. Con il tempo l’isolamento rende il ragazzo diffidente, cupo e determinato, almeno quanto suo fratello Matteo cresce fiducioso e remissivo, ben voluto da tutti. Solamente il sogno di diventare cavaliere sembra accomunarli, ma ciascuno per realizzarlo seguirà il proprio temperamento e i propri ideali, che li porteranno inevitabilmente a combattere su fronti opposti.
Lontano da Roma, dalle rovine dell’antico impero e dai rigori della Santa Sede, vivono invece gli altri protagonisti del romanzo, la bella Flora dagli occhi immensi, curiosa e indipendente, e il suo amato e sfuggente Rashid, il ragazzino arabo che sa parlare agli uccelli. Separati dai conflitti religiosi di una Sicilia assolata e rigogliosa, i due si ritroveranno nuovamente insieme, adulti, nella reggia pugliese dell’imperatore, a Foggia. Ed è proprio Federico II, lo svevo dai capelli fulvi e lo sguardo acuto, il poeta con la passione per le arti e le scienze naturali, l’uomo potente impegnato nei continui conflitti con il Papato e la Lega Lombarda, a muovere Pietro, Matteo, Flora, Rashid e tutti gli altri personaggi, a spingerli a congiungersi o scontrarsi seguendo l’amore e la gelosia, il tradimento e la vendetta. Fino al rogo della città di Victoria, alle porte di Parma, dove l’imperatore ha trasferito il tesoro, l’harem, i serragli con gli animali esotici e il suo prezioso trattato sulla caccia con il falcone. E dove ogni destino troverà compimento
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Per Francesco Fantasia Lo stupore del mondo (cfr. “Il Messaggero” pag. 21 dell’11-5-09), “è il romanzo più maturo di Cinzia Tani, che mette adesso il suo talento narrativo al servizio di una storia traboccante di calore e colore, ambientata in un Medioevo distante dai diffusi stereotipi. C’è sentimento, avventura, mistero, in questo libro corale in cui si incrociano i destini di una folla di personaggi che si amano, si odiano, si combattono, in una altalena di passioni e tradimenti che durerà mezzo secolo. (…) Cinzia Tani si immerge senza reticenze nei meandri della Storia, fa i conti con le debolezze e le ambiguità dell’umana natura. E quando si finisce di leggere il suo romanzo, non si vorrebbe ancora uscire da questo XIII secolo ricco di passioni e di miti religiosi: un mondo pullulante di vita che ci appare a tutta prima irrimediabilmente lontano e che scopriamo invece straordinariamente vicino”.
Motivo in più, quello evidenziato sopra, per immergersi nelle pagine di questo ottimo libro.

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AGGIORNAMENTO DEL 27 LUGLIO 2009

Aggiorno il post con questo video dove Cinzia Tani, Rita Charbonnier e Leda Melluso discutono del rinnovato interesse per il romanzo storico. Conduce l’intervista Elisabetta Bucciarelli. Il video è stato registrato il 16 maggio 2009 per Booksweb.tv in uno studio all’interno della XXII Fiera Internazionale del Libro di Torino.

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AGGIORNAMENTO DEL 31 LUGLIO 2009

Aggiorno il post per presentare e invitare due nuovi autori di romanzi storici. Premetto che nel corso della discussione è intervenuto lo scrittore Filippo Tuena – firma autorevole – che è già stato ospite di Letteratitudine in altre circostanza (qui e qui).

In questo momento trovate in libreria “I diari del Polo”, volume curato – appunto – da Filippo Tuena.

Adesso ho il piacere di presentarvi due scrittori che pubblicano con la Newton Compton: Andrea Frediani e Giulio Castelli.

Andrea Frediani vive e lavora a Roma, dove è nato nel 1963. Laureato in Storia medievale, pubblicista, è stato collaboratore di numerose riviste di carattere storico, tra cui «Storia e Dossier», «Medioevo» e «Focus Storia». Tra i suoi libri ricordiamo: “Il sacco di Roma”, “Costantinopoli, l’ultimo assedio e Attila”. Con la Newton Compton ha pubblicato “Gli assedi di Roma”, vincitore nel 1998 del premio «Orient Express» quale miglior opera di Romanistica, “Le guerre dell’Italia unita”, “Gli ultimi condottieri di Roma”, “Le grandi battaglie di Roma antica”, “Le grandi battaglie di Napoleone”, “Guerre e battaglie del Medioriente nel xx secolo”, “I grandi generali di Roma antica”, “Le grandi battaglie di Giulio Cesare”, “Le grandi battaglie di Alessandro Magno”, “Le grandi battaglie dell’antica Grecia”, “I grandi condottieri che hanno cambiato la storia”, “Le grandi battaglie del Medioevo” e i due romanzi di grande successo “300 guerrieri” e “Jerusalem”. (Ulteriori informazioni, qui).

Giulio Castelli, romano, narratore e saggista, è cultore e studioso di storia medievale e tardoantica. Giornalista professionista, ha coordinato i servizi culturali di due quotidiani e ha condotto trasmissioni radiofoniche. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo il romanzo “Il fascisti bile” e il pamphlet “Il leviatano negligente”. (Ulteriori informazioni qui)

A settembre usciranno due loro nuovi libri: “I 101 segreti che hanno fatto grande l’impero romano” di Andrea Frediani e “Gli ultimi fuochi dell’impero romano” di Giulio Castelli (trovate le immagini di copertina in basso).
Avremo modo di parlare dei suddetti libri nel corso della discussione.

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AGGIORNAMENTO DEL 24 AGOSTO 2009
Aggiorno il post segnalando la partecipazione al dibattito di due ulteriori scrittori di romanzi storici: Giorgia Lepore (autrice della Fazi editore) e Rino Cammilleri (autore Rizzoli).

giorgia-leporeGiorgia Lepore (nella foto) vive in Puglia, a Martina Franca. E’ archeologa e insegnante di storia dell’arte nelle scuole superiori. Dopo la laurea di Lettere con tesi in Archeologia Cristiana presso La Sapienza, ha conseguito presso la stessa sede il dottorato di ricerca in Archeologia e Antichità postclassiche, la specializzazione in Archeologia Medievale, e infine è stata assegnista di ricerca presso l’Università di Bari, nell’ambito del progetto di ricerca “L’insediamento medievale di Lama d’Antico a Fasano: l’abitato e la chiesa in grotta. Rapporti con altri insediamenti rupestri del territorio e con il sopraterra”. Ha insegnato presso la sede di Taranto del corso di Laurea in Beni culturali e collabora con la cattedra di Archeologia e Storia dell’Arte Paleocristiana e Altomedievale presso l’Università di Bari.
Ha al suo attivo varie coordinazioni di scavi in siti archeologici di tutta Italia e pubblicazioni in riviste specializzate e atti di convegni. Le sue attività di ricerca si incentrano soprattutto sull’altomedioevo italiano, specie pugliese e meridionale; sull’archeologia degli elevati e sullo studio delle strutture murarie; negli ultimi anni ha portato avanti e pubblicato vari lavori sugli insediamenti rupestri e sull’assetto del territorio nel medioevo.
L’abitudine al sangue” è il suo primo romanzo:
“II tuo futuro non è oggetto di discussione, né ora né mai. Il mese prossimo verrai avviato alla carriera militare”: crollano così i sogni di Giuliano, figlio dell’imperatore di Bisanzio, posto dal padre a capo dell’esercito. Il giovane, incapace di sopportare la perdita di vite umane, la vista e l’odore del sangue, grazie anche all’amore della prostituta Eucheria troverà il coraggio di ribellarsi al ruolo impostogli. La vendetta paterna sarà feroce: Giuliano, ridotto a schiavo e torturato fin quasi alla morte, è rinnegato e rinchiuso in un monastero. Da qui ha inizio il lento percorso interiore del protagonista, il suo confronto con il dolore per la perdita della donna amata e l’abbandono da parte di Dio e del padre, fino al raggiungimento della pace nell’epilogo del romanzo.

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Rino Cammilleri (nella foto) è nato a Cianciana (Ag) il 2.11.1950, dopo il liceo ad Agrigento si è laureato in Scienze Politiche a Pisa. Ha esordito come assistente di Diritto Diplomatico e Consolare nella stessa facoltà per poi dirottarsi sull’insegnamento di materie giuridiche ed economiche nelle scuole secondarie. Dopo aver lasciato il mondo della scuola, oggi fa esclusivamente lo scrittore, l’editorialista e il conferenziere. Attualmente collabora con varie testate nazionali. Come romanziere Cammilleri predilige il giallo storico, nel quale si è più volte cimentato (vedi la sezione sui libri). Non solo. Un altro dei suoi campi di attività è il fumetto: per le Edizioni ReNoir ha ideato una serie che si intitola «Gli Sconfitti». Il suo nuovo romanzo si intitola “Il crocifisso del samurai“:
1637: GIAPPONE
La grande rivolta dei samurai cristiani.

È l’alba quando la giovane Yumiko viene prelevata dalle guardie dello Shogun e torturata pubblicamente. La sua unica colpa è essere figlia di Kayata, samurai cattolico che non ha potuto pagare le tasse alle autorità, i cui uomini ormai da anni umiliano i cristiani di Shimabara con una violenza cieca e annientatrice. Ma nonostante la miseria e il sangue fatto scorrere per fiaccare la loro volontà, gli abitanti del villaggio si raccolgono attorno al simbolo di cui nessuno può privarli: il crocifisso di Cristo. Lo stesso al quale i primi cristiani giapponesi venivano inchiodati dalle guardie dello Shogun. La violenza su Yumiko è la scintilla che spinge uomini e donne alla ribellione estrema: rifugiati nel castello di Hara si oppongono al giogo persecutorio e a un destino ineluttabile. L’assedio da parte degli uomini dello Shogun dura cinque interminabili mesi, senza cibo e possibilità di scampo, ma quel “branco di contadini”, guidati dall’Inviato del Cielo, da Kayata e dal suo discepolo Kato, resistono, aggrappandosi alla speranza incrollabile nella resurrezione. Perché solo la fede può superare ogni sopraffazione e dare linfa vitale a un popolo in lotta.
Il crocifisso del samurai, l’opera forse più ambiziosa di un autore che ha trascorso la vita a indagare la storia della cristianità, è uno struggente romanzo storico capace di toccare le corde più profonde dell’anima esplorando le radici del concetto stesso di fede. L’epica ribellione dei samurai cristiani di Shimabara nel 1637 – dopo la quale per due secoli il Giappone si chiuse a ogni contatto con l’esterno – rivive in un affresco crudo e realistico, denso di azione e di colpi di scena, che testimonia l’eroismo di chi è morto per non rinnegare il proprio credo.

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13 dicembre 2009

AdrianoPetta.gifAdriano Petta - amico di Letteratitudine di antica data - è nato a Carpinone (IS) nel 1945. Romanziere, studioso di storia della scienza e medievalista, ha dedicato parte degli ultimi vent’anni alle ricerche per i suoi romanzi storici. Nel 1995 ha tradotto dal castigliano il racconto di Clarín La duchessa del trionfo (EDIS, La Collanina-Classici in breve, 1995), facendolo precedere da un piccolo saggio sull’Arte del romanzo («Nel rogo del calamaio»). Oltre alla produzione di romanzi, negli ultimi anni è stato collaboratore del quotidiano Il Manifesto con articoli d’interesse storico legati soprattutto al Medioevo e all’Inquisizione. Collabora con l’inserto letterario del settimanale Rinascita. Suoi racconti ed interventi di carattere storico sono stati pubblicati su svariate riviste e webzine (Carmilla-on-line etc.)
Tra i suoi romanzi pubblicati, ricordiamo: Ipazia, vita e sogni – di una scienziata del IV secolo (La Lepre Edizione, ottobre 2009); Assiotea – la donna che sfidò Platone e l’Accademia (Stampa Alternativa, novembre 2009); Eresia pura: dissidenza e sterminio dei catari (Stampa Alternativa, Viterbo, 2001), romanzo storico.

La sua pubblicazione più recente è “Assiotea – la donna che sfidò Platone e l’Accademia”: Fliunte, Ellade, 350 a.c. – un misterioso assassino uccide per impossessarsi di un antico codice. Forse nel grande ordinamento di Leucippo si nasconde un terribile segreto. E mentre nelle miniere d’oro della Tracia gli schiavi rinvengono statuette dal bel volto di fanciulla che elevano a simbolo di libertà, nell’accademia platonica di Atene, l’astronomo Eudosso di Cnido con quelle statuine sta costruendo una strana mappa. Assiotea, inconsapevole eroina, si ritrova al centro di un intrico che farà di lei la prima donna ammessa all’accademia. Aiutata da personaggi eccezionali come Iperide, Diogene e Focione e avversata da giganti come Aristotele e Platone, lotta per far abolire la schiavitù e mutare la disumana condizione della donna, e nello stesso tempo per svelare il mistero delle statuine e dell’antico codice di Leucippo. Ma un implacabile guardiano vigila affinché il segreto non venga svelato, uccidendo chiunque si avvicini troppo all’arcano della casa del cielo.
Ho invitato Adriano Petta a discutere con noi di questo suo nuovo libro e del romanzo storico in generale.

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AGGIORNAMENTO del 17 febbraio 2010

Aggiorno il post introducendo altri tre scrittori di romanzi storici: Giulio Leoni, Alfredo Colitto e Jasmina Tešanović.
Ne approfitterò per discutere dei loro nuovi romanzi e invitare gli autori a partecipare al dibattito.

Giulio Leoni (Roma, 12 agosto 1951), narratore e autore di testi poetici e critici, si laurea in Lettere Moderne con tesi sui linguaggi della poesia visiva. Oltre a collaborare con saggi e testi creativi alle maggiori pubblicazioni specializzate, negli anni ‘80 fonda e dirige la rivista Symbola, dedicata all’analisi della poesia e della letteratura sperimentali. Attualmente insegna Teoria e tecniche della scrittura creativa presso la Sapienza di Roma. A questa sua attività si accompagna nel tempo un crescente interesse per la narrativa, cui si dedica realizzando una serie di romanzi e racconti del mistero per lo più ambientati in epoche passate e basati su suggestivi enigmi storici, come nel ciclo dedicato alle avventure investigative di Dante Alighieri.
In altri scritti affronta poi temi più decisamente legati al giallo, l’avventura, la fantascienza e l’orrore, esplorando pressoché tutto il campo del fantastico. Tra gli autori italiani di genere più conosciuti all’estero (sue opere sono state tradotte in una quarantina di paesi), alla produzione maggiore affianca una serie di romanzi per ragazzi in cui rielabora i suoi temi in forme adatte a un lettore giovanile. Collabora inoltre con Il Falcone Maltese, rivista dedicata al noir, dove cura la rubrica dedicata ai prodromi della narrativa poliziesca.
Nel 2000 vince il Premio Tedeschi per il romanzo “Dante Alighieri e i delitti della Medusa”, e nel 2006 il Premio Lunigiana per la narrativa giovanile. Con lo pseudonimo di J.P. Rylan ha scritto alcuni romanzi fantasy.

Il nuovo romanzo di Giulio Leoni si intitola “La regola delle ombre” (Mondadori, 2009, pagg. 415, euro 19).
Un incendio illumina la sera invernale di Firenze, devastando la prima stamperia a caratteri mobili della città. Con la vita del tipografo, le fiamme cancellano anche l’opera promessa a Lorenzo de’ Medici: un libro segreto e meraviglioso, impresso con il “carattere perfetto”. Accorsi sul posto, il Magnifico e l’amico Pico della Mirandola si rendono conto che non si tratta di un incidente: il corpo del tipografo pende dalla macchina per la stampa, la testa imprigionata nel torchio. A complicare il quadro del delitto, l’apparizione nei paraggi di una donna misteriosa che sembra essere la bellissima Simonetta Vespucci, morta anni prima nel fiore dell’età. Chi mai potrebbe averla richiamata tra i vivi? Pico è scettico. Si chiede se l’opera distrutta non sia l’oscura Regola delle Ombre, come sembra credere Lorenzo de’ Medici: l’antichissimo rituale che dischiude i cancelli del sepolcro. Un manoscritto passato per le mani di Leon Battista Alberti e scomparso dopo la sua morte. C’è un solo modo per scoprirlo: indagare a Roma sulle tracce lasciate dal grande architetto. Su incarico di Lorenzo, Pico parte per la città eterna deciso a servirsi del suo acume e della sua prodigiosa memoria per trovare una spiegazione razionale a delitti e apparizioni.
Ho invitato Giulio Leoni a intervenire in questa discussione sul romanzo storico.

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Alfredo Colitto scrive e traduce, soprattutto thriller, per alcune delle maggiori case editrici italiane. Il thriller storico Cuore di Ferro, primo volume di una trilogia ambientata nel XIV secolo, è uscito per Piemme a febbraio 2009 ed è stato venduto anche in Spagna e in Germania. Nel 2009 ho pubblicato anche Il candidato, noir di ecomafia per la collana Verdenero (Edizioni Ambiente). Altri suoi romanzi sono: Aritmia Letale (incluso nel Giallo Mondadori n. 2977 con il titolo Medicina Oscura), Duri di Cuore (Perdisa), Café Nopal (alacrán) e Bodhi Tree (Crisalide).
Ho partecipato a numerose antologie di racconti, tra cui: Killers & Co. (Sonzogno), Fez, struzzi e manganelli (Sonzogno), Il ritorno del Duca (Garzanti), History & Mystery (Piemme), Anime Nere Reloaded (Mondadori).
Insegna scrittura creativa presso la scuola “Zanna Bianca” di Bologna.

È appena uscito il suo nuovo romanzo: “I discepoli del fuoco” (Piemme, 2010, pagg. 429, euro 20).

Bologna, autunno 1312. Mondino de’ Liuzzi, medico anatomista, viene incaricato dal podestà di far luce su una morte strana e orribile: un membro del Consiglio degli Anziani è stato ritrovato carbonizzato in casa sua, eppure nella stanza nulla fa pensare a un incendio. Perfino la poltrona su cui l’uomo era seduto è rimasta quasi integra, mentre il corpo è bruciato in modo irregolare. I piedi sono illesi, un braccio è interamente ustionato, tutto il resto è ridotto in cenere. Mondino fa trasportare il cadavere nel suo studio per esaminarlo. Non riesce a svelare come è morto, ma sollevando con il coltello da dissezione la pelle bruciata del braccio scopre i resti di un tatuaggio: un mostro alato, con la testa di leone e il corpo avvolto nelle spire di un serpente. La mattina seguente il cadavere scompare. Qualche tempo dopo, un frate francescano viene ritrovato morto nel quartiere dei bordelli. In tasca ha un disegno molto simile al tatuaggio scoperto da Mondino. L’indagine sui due morti rivela l’esistenza di una setta di adoratori di Mithra, dio persiano del sole e del fuoco, adorato anche dai romani sotto il nome di Sol Invictus. Con l’aiuto di Gerardo da Castelbretone, un ex templare con cui ha stretto amicizia, Mondino viene a sapere che la setta si propone di salvare l’intera città per mezzo del fuoco purificatore: un grande incendio rituale in cui le anime di quelli che moriranno si riuniranno con Mithra.

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Jasmina Tešanović (Cirillico: Јасмина Тешановић) è una scrittrice, giornalista, traduttrice e regista serba. È l’autrice di “Normalità. Operetta morale di un’idiota politica“, un diario di guerra scritto durante il conflitto del 1999 in Kosovo. Da allora ha pubblicato tutti i suoi lavori, diari, racconti e documentari su blog e altri media, sempre legati ad Internet.

Di recente Jasmina Tešanović ha pubblicato il romanzo “Nefertiti. L’amore di una regina eretica nell’antico Egitto” (Stampa alternativa, 2009, euro 13, pagg. 125)

Nasce da un’ossessione questa rievocazione di un’antica regina egiziana. L’ossessione per un’eresia fallita, quella di Nefertiti che vuole abbattere la tradizione usando la bellezza, il rispetto e l’arte. Ma un’altra eresia fallita è quella vissuta dall’autrice: yugoslava prima di essere serba, ha respirato l’esaltazione e poi la caduta di un movimento che non voleva allinearsi al blocco sovietico né farsi colonizzare dall’Occidente. Così Nefertiti, condannata lei stessa come eretica, diventa il simbolo di un mondo ancestrale più che mai attuale caratterizzato da lotte di potere, invidie, donne sottomesse all’oligarchia patriarcale ed emarginazione. Questo romanzo sfonda la barriera del tempo per restituirci una sovrana tanto lontana quanto moderna. Perché “Nefertiti è qui”. (Prefazione di Bruce Sterling)

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AGGIORNAMENTO del 26 marzo 2010

La ragazza dal volto d’ambradi Leda Melluso
Piemme, 2009 – pagg. 364 – euro

Palermo, 1221. La Sala Verde, con le sue danze voluttuose, la musica e le conversazioni filosofiche, è l’unico luogo in cui Federico II di Svevia ami stare. Negli ultimi tempi, infatti, pare che fuori da quelle quattro mura gli sia impossibile trovare pace. Ci sono le richieste insistenti del Papa che necessita del suo aiuto e delle sue truppe per una nuova crociata in Terra Santa, la misteriosa scomparsa del suo medico e consigliere, Andrea Filangieri, morto probabilmente per avvelenamento, e lo strano comportamento di alcuni dei suoi uomini più fidati.
Quella sera, però, alla debole luce delle candele, Federico è riuscito a dimenticare gli oneri del sovrano e si è lasciato sedurre dai movimenti lenti e sinuosi di una delle danzatrici. È splendida. E a un tratto ha osato avvicinarsi con un’audacia che lui aveva visto solo in battaglia, e gli ha parlato.

L’imperatore non può rimanere indifferente di fronte a una sfida così allettante e vuole con sé la donna, nella propria stanza, stregato da tanta temerarietà. Ma la mattina seguente, dopo averla cercata invano a palazzo, Federico scopre la vera identità della sua amante: è Amina, la figlia del più acerrimo dei suoi nemici, l’emiro Muhammad ibn ‘Abbad, e molto probabilmente è una spia.
Capirà che la donna è solo un’esca e che a minare il suo potere è un segreto che viene tenuto nascosto dal giorno della sua nascita, un segreto torbido e spaventoso che qualcuno vuole usare per ucciderlo.

Leda MellusoLeda Melluso è nata nel 1947 ad Arezzo, ma vive a Palermo, dove ha insegnato letteratura italiana e latina nei licei. È autrice di testi scolastici per la scuola media superiore e di numerosi saggi sulla storia della Sicilia. La ragazza dal volto d’ambra è il suo primo romanzo.

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