LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » Coconino Press http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 LUNA DEL MATTINO di Francesco Cattani http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/11/07/luna-del-mattino-di-francesco-cattani/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/11/07/luna-del-mattino-di-francesco-cattani/#comments Tue, 07 Nov 2017 17:30:50 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7662 https://www.luccacomicsandgames.com/fileadmin/user_upload/Lucca_Comics___Games_2017_Poster.jpgLucca Comics & Games 2017: pubblichiamo il secondo contributo – da Lucca – del nostro inviato Furio Detti, collaboratore di Letteratitudine nell’ambito della rubrica “Graphic Novel e Fumetti- Fotocredits:  Coconino (pagina FB)

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# Alienazione, non alieni, sulla Luna di Cattani#
## La nuova graphic novel di Francesco CATTANI per Coconino Press-Fandango. Una storia di formazione e adulti che non crescono, presentata come novità a Lucca Comics&Games 2017 ##

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(LUCCA 04 novembre 2017) – Francesco CATTANI, classe 1980, bolognese, ha vinto a Napoli Comicon il premio Micheluzzi per la storia breve (2008) e il premio Nuove Strade (2010). Ha esordito nella graphic novel con *Barcazza*, edito da Canicola e tradotto poi in francese e castigliano. Ci dedica un’intervista molto meditata, con una poesia che sopravvive nonostante la rabbia e il dolore di crescere patito dai suoi personaggi. Parlando anche di Pazienza e delle grandi storie del Novecento.

LETT. **Per cominciare ci ha colpito molto il fatto che tu nella novità che presenti a Lucca, “Luna del Mattino”, sembri raccontare una storia su due se non tre piani narrativi. Il primo è quello dell’urbanizzazione umana, della confusione, del disagio; il secondo quello di una natura che, benché disturbata, offesa, ferita, va e viene, fa capolino fra le pieghe della storia sembrando ignorare del tutto i drammi dei tuoi personaggi; come nella figura dell’anatra coi suoi pulcini la quale ritorna di volta in volta (oltre che nella copertina) quasi come se nulla la toccasse davvero. È una chiave di lettura corretta?**
FC – Hai detto bene. Questa natura è il residuo dell’alienazione narrata nel libro, è forse l’unico momento di riposo che possiamo concederci nonostante il maltrattamento degli ambienti e dei momenti – e gli animali come l’anatra e altri ne sono il segno, così come altre visioni del fumetto. Non si capisce bene se tutto questo sia causa o conseguenza di questa alienazione, forse una fuga nel sogno. Che è rappresentata dalle sequenze oniriche, dalle visioni del protagonista.

LETT. - **Che storia è in sostanza questa di “Luna del Mattino”?**
FC – In realtà diciamo che questa è la storia di un personaggio che crescendo cerca di affermare il suo spazio, come succede a ognuno di noi. Un tema classico, però calato in un presente, quello delle nostre città, in cui gli adulti si comportano come bambini. Questo è già un aspetto entrato nella struttura della società, anzi stiamo vivendo le conseguenze delle conseguenze di un mondo di adulti i quali, comportandosi da bambini, hanno avuto una generazione di persone come loro, o ancora meno responsabili. L’ambiente ne risulta distonico, corrotto, e fa da cornice all’innocenza “animale” del bambino che cresce e che, come questa paperella coi cuccioli, si trova in un contesto degradato. Un contesto non fondamentalmente negativo, piuttosto è uno scenario che si pone di fronte a noi e ai protagonisti come un dato di fatto. C’è anche l’aspetto istintuale dello scontro fra crescita e realtà. Luna del Mattino è la storia di cinque personaggi che alla fine si incontrano nell’avventura conclusiva, che non sveliamo, ma che ha la sua quota di dramma. Vediamo le loro vite private che per caso fortuito finiscono in una specie di avventura urbana, spiazzante. La conclusione di questa avventura, pur vissuta in chiave onirica dal protagonista, è l’entrata nell’età adulta. Le visioni oniriche di cui parlo sono proprio la narrazione mentale di questa esperienza così umana e universale.

LETT. - **Il titolo è bello, estremamente poetico, e contrasta con la storia, come mai?**
FC – Esattamente questo. Avrei potuto chiamare “Rabbia” questa storia ma… io, come altri, attraverso la divulgazione scientifica, se pur da non scienziato, mi sono reso conto che esistono degli spazi fisici, siderali. Un altro tema antico: il posto che l’uomo occupa nell’universo. Siamo perduti, infinitamente piccoli nella vastità, o siamo immensi quando prendiamo coscienza, per esempio, dell’infinito? Ecco che mi è venuto in mente di raccontare un momento di alienazione di uno dei personaggi, che fa il magazziniere all’IKEA, e che parla con un collega durante una pausa, la sigaretta, da un lavoro che non ama. Il collega, appassionato di astronomia, gli parla della luna e di come si sia formata. Da qui il titolo: la Luna si vede in modo speciale non nella sua cornice naturale, la notte, ma nelle prime ore del mattino, anche all’alba. Un momento marginale ma catartico. Ecco che questa luna è ugualmente una tregua dall’alienazione di vite che tentano di trovare risposte e un respiro più ampio.

LETT. - **All’inizio, leggendo il tuo libro, ci vedevo del pessimismo. Impressione che poi è cambiata. Ma, pensando alla tua formazione a Bologna, non ho fatto a meno di pensare a Andrea Pazienza e alla violenza delle sue storie; violenza che ritorna anche qui e forse finisci col chiederti ‘Ma non è cambiato nulla in tutto questo tempo?’ Cosa è rimasto fra quelle storie di Andrea e le tue, ovviamente diverse…?**
FC – Certamente c’è un legame con i personaggi di Andrea, specialmente la rabbia ingiustificata, o apparentemente ingiustificata, che scuote i personaggi. La differenza fra le mie storie e quelle di Pazienza – che considero un autore fondamentale, straordinario – è che la storia si svincola dalla costruzione a episodi delle storie di Pazienza, basate su una logica più teatrale. Io ho cercato di raccontare l’incidentale incontro fra le vite scollegate e alla deriva di queste persone disperse nell’imprevisto, i personaggi di Pazienza sono lì perché devono esserci assolutamente. A me interessava rendere il senso dell’imprevisto che può accadere fra persone abbandonate a se stesse.

LETT.- **Il premio Micheluzzi, che hai vinto, ce ne vuoi parlare?**
FC – La storia che ha vinto era il primo capitolo di *Barcazza*, poi pubblicata da Canicola Edizioni. Lì ho raccontato i contrasti sociali fra i membri di questo paese, in un momento di vacanza, la vita su un gommone. Mi piace descrivere gli aspetti legati alla classe sociale e l’alienazione che ne deriva ugualmente. Ci sono contrasti nella microsocietà dei vacanzieri, così come nel grande mondo. Forse in modo più amplificato tutto quello che ho raccontato in *Barcazza* è tornato amplificandosi nel tempo e oggi è molto più forte. Oggi i piani e la distanza sociale tra le persone si sono ulteriormente divaricati, purtroppo.

LETT. - **Abbiamo pensato a livello narrativo al fumetto francese, leggendoti, per esempio a “Povere Nullità” di BARU-PELOT, tolta la loro crudele ironia; c’è qualche tuo collegamento e con quali autori d’oltralpe a livello più di sceneggiatura che di grafica, poiché possiedi già uno stile caratteristico?**
FC – Non conoscevo quest’opera. Come fumetto è difficile trovare dei riferimenti. Ma a livello di narrazione mi piacciono Pasolini, Salinger, Cormac McCarthy. C’è realismo, conflitto, ma anche poesia.

LETT. - **Progetti per il futuro?**
FC – Ho molte opzioni aperte. Sto pensando a storie differenti, forse meno realistiche e quotidiane, ma più avventurose, forse storie di guerra anche con animali antropomorfi. Non dico di più ma sto lavorando già su più binari con storie molto differenti da questa e fra loro…

LETT. - **Se tu potessi andare avanti di cinquanta anni nel tempo e tornare a rimproverarti un errore che hai fatto, quale sarebbe, nel fare fumetti?**
FC – Avere fretta.

LETT. - **Concordiamo. A proposito: quanto ci hai messo a fare Luna del Mattino?**
FC – La prima parte mi ha impegnato per un paio d’anni, molto dilatata; l’ultima parte mi ha chiesto solo un anno. E non è stato l’unico lavoro che ho fatto.

LETT. - **Grazie davvero, a te a Coconino-Fandango, a Luca Baldazzi per l’ufficio stampa C-F. Complimenti ancora.**
FC – Grazie a voi, sicuramente. A presto.

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IL RAPPORTO DI BRODECK http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/07/25/il-rapporto-di-brodeck/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/07/25/il-rapporto-di-brodeck/#comments Mon, 25 Jul 2016 18:52:26 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7228 BRODECK-01_custodiaOKLa nuova puntata della rubrica di Letteratitudine intitolata “Graphic Novel e Fumetti“è dedicata al volume Il Rapporto di Brodeck. Libro 1/2 – L’Altro” di Manu Larcenet (Coconino press – Fandango)

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Rapporto pesante

Recensione a Manu LARCENET, “Il Rapporto di Brodeck. Libro 1/2 L’Altro

di Furio Detti

Non conosciamo il romanzo di Philippe Claudel. Ci assumiamo quindi il rischio di una recensione “orba”, guercia. Forse, però, nel procedere possiamo rivendicare a parziale scusa la maggiore schiettezza che deriva dall’accostarsi a un’opera derivata senza il filtro dell’originale. Confidiamo che i fan di Claudel capiranno e ci auguriamo che possano trovare nuove fresche e inaspettate risonanze in questo commento alle chine di Manu LARCENET. Autore per cui abbiamo più di un debole… Se errori e dissonanze resteranno, ciò è di certo imputabile alla nostra ignoranza dell’opera in prosa, dovuta al solo contatto con la trasposizione effettuata dal fumettista.

Il Rapporto di Brodeck ci pare senza dubbio segnare un decisivo salto di qualità nell’opera di Emmanuel “Manu” Larcenet, autore pluripremiato e ormai miliare nel panorama d’Oltralpe. Tanto più che ogni dubbio in merito viene fugato da queste tavole. Larcenet, a partire da “Lo Scontro Quotidiano”, e ancor più con “Blast”, non è certo nuovo al racconto non autoconclusivo e alla serializzazione in più volumi. La scelta anche tipografica e di formato – orizzontale – de “Il Rapporto di Brodeck” si inserisce in questo filone con una forza comunque inedita. Non solo perché i paesaggi naturali spiccano, e quindi non solo per assecondare il soggetto; ma anche per la scelta, ci sembra, di segnare una faglia di discontinuità con la sua produzione precedente. La confezione con sovracoperta mostra una serietà accresciuta e la maturità di misurarsi anche nella stampa con un nuovo orizzonte espressivo, pienamente maturo.

Sfogliando poi il volume, graficamente parlando, al peggio, il Larcenet di questo nuovo romanzo grafico ci ricorda, nel tratteggio minuto, il pur bravo Ferdinando Tacconi, ma al meglio, e parecchie tavole lo dichiarano pienamente, siamo ai livelli di un Micheluzzi e, azzardiamo, siamo sulla strada per raggiungere un Sergio Toppi. Anche un Enrique Breccia, con più “forse”, ci starebbe bene nelle rimembranze di questo modo, che conserva ovviamente i temi cari allo stile ormai consolidato di Larcenet – specialmente nella combinazione fra tratteggio e campiture e nella resa anatomica delle fisionomie, nelle atmosfere allucinate, nelle situazioni tese fra i personaggi, nella “regia” che inquadra in scene e close-ups (è proprio la firma dell’autore) particolari anatomici o alcuni animali sorpresi nel loro esistere quotidiano, gatti e uccelli, specialmente. Come nella splendida tavola 29 in cui lo stormo di uccelli e la cenere dei villaggi distrutti si mescolano nel cielo. Eppure ne “Il Rapporto di Brodeck” si segna uno stacco netto rispetto alle scelte precedenti di Larcenet, in cui il testo era parte decisamente consistente e necessaria delle vicende e più di qualche volta travalicava anche il disegno; qui Larcenet cede la parola all’immagine più che ai dialoghi e il risultato, splendido, oscilla fra più universi o mondi, senza assomigliare compiutamente a nessuno di essi: ci troviamo certi film espressionisti tedeschi degli anni Venti per le inquadrature nette, sgorbiate, segate da tagli di luce arditi, per l’ambiente antropizzato allucinato, in cui gli edifici sembrano trattenersi a stento dal gridare l’angoscia che si cela dietro le loro pareti e per gli interni gravidi di minaccia. Brodeck, il protagonista, attraversa piazze e vicoli ostili, freddi, malati; entra in stanze segnate dalla brutalità e dalll’odio. Il villaggio è specchio della crudele umanità che lo popola, come in un film di Bergman o, meglio ancora, c’è l’atmosfera sinistra del film “Il Nastro Bianco” di Haneke o quella ottusa e ostile del “Jean de Florette” di Claude Berri, col soggetto di Pagnol. Poi però usciamo nell’altro mondo, quello dei boschi, della natura selvaggia, il mondo in armonia con Brodeck, e vi troviamo scene che sembrano, per il tono classico e la composizione, rubate a artisti del pennello come un Bruegel e a molti dei paesaggi toppiani. Tavole e paesaggi in cui vibra l’estranea vitalità del bosco. Così nobile e a-umana, non dis-umana come i campi di prigionia e i villaggi divorati dalle faide e oppressi da indicibili segreti. Una prova complessa, matura, coerente e autonoma nello stile, nonostante gli illustri richiami e le analogie, fedele nel servire una storia di violenza e paura. In questo senso possiamo anche considerare il “Rapporto di Brodeck” come il punto di arrivo di un modo di raccontare l’alienazione e la solitudine cominciato peraltro molto bene con “Blast”. Con il mondo selvatico come muto testimone ancora delle vicende dei protagonisti e di Brodeck, giunto come sopravvissuto e straniero dopo lo smantellamento del campo di sterminio, anche lui estraneo alla comunità di villaggio e alla deriva rispetto a quella umana. Questi sono i poli drammatici fra cui si dipana la trama della vicenda: la commissione di un resoconto, dal sapore amministrativo e Kafkiano, al guardaboschi Brodeck su un fatto di sangue nel villaggio, ossia l’omicidio dell’Anderer, il supervisore, o semplice visitatore straniero, fermatosi nel villaggio e qui linciato dai paesani.

«Dirò “io”, come faccio nei miei rapporti, perché non so raccontare in nessun altro modo… ma vi avverto, “io” vorrà dire “tutti”… il paese, i casolari nei dintorni… i ricchi, i poveri, i giovani, i vecchi… noi tutti, insomma.»

Sembra a questo punto quasi superfluo l’orrore del lager, descritto in queste vicende; anche se in effetti la storia di Brodeck è una storia di sopravvivenza e di resistenza della ragione e dell’umanità alla pazzia umana e collettiva.

«Loro sono morti. Io sono vivo»

Il contrasto melodico è tutto qui: il singolo contro la folla, che sia pur quella minuscola e meschina di un villaggio perso in qualche regione del centro Europa. L’unica cosa che non condividiamo affatto è la bestializzazione grafica, la deformità teriomorfa degli aguzzini del lager. Certamente è bene ricordare che il tono della vicenda non è storico, ma simbolico e interiore. Gli animali sono su un piano superiore rispetto alle “bestie” umane, il cui massimo grado di deformazione espressionista è proprio quello dei soldati del campo. Pure questo ci sembra un eccesso un fuori scala rispetto al resto, e all’armonia dell’opera, in cui l’orrore è più forte e risulta narrativamente ben giustificato quando veste i panni dell’ordinario. Troverei comunque banale riferirmi alle vicende in sé, penso invece che la forza delle tavole di Larcenet sia non nell’ennesima riproposizione di un tema arcinoto, la Shoah (o comunque l’oppressione sterminatrice), ma nella riflessione intima, e proprio per questo più sinistra, sul male che ogni “comunità” umana è capace di compiere. Sull’alienazione del sociale. Portare tutto sulla linea della narrazione e narrativa olocaustica – come han fatto molti, fra cui Stefano Feltri per “Il Fatto Quotidiano” – ci sembra un non aver compreso che superficialmente la forza e la novità del fumetto di Larcenet, la rappresentazione artistica di una titanica lotta del singolo e della sua umanità contro la barbarie del collettivo. Lotta che si esprime nei ritratti, quasi da pittore fiammingo, e nei giochi di sguardi, altro segno distintivo larcenetiano. I personaggi, non la tragicità dell’evento “storico”, sono la chiave di lettura e la forza di questo fumetto (e immagino, pure del romanzo di Claudel). Brodeck, come gli animali e i boschi che ama, è un solitario, è un “homme-sauvage” unico, poiché la natura è sola nel suo farsi, sopravvivere, morire. In questo c’è un contrasto nitido, secco, tra il villaggio e i delitti che vi si compiono, centrale l’omicidio dell’”Anderer”, lo “Straniero” o supervisore finito lì per qualche kafkiana combinazione. Ecco che intorno a Brodeck si scatena il gioco dei personaggi – che rivestono ruoli fortemente archetipici e quasi proppiani, fiabeschi – da quelli positivi, come Marcus Stern, un “uomo dei boschi”, cacciatore ma sapiente e consistente con la natura, maestro di Brodeck; o la vecchia saggia Comare Pitz, letteralmente piegata in due da una vita di fatiche centenarie, quasi certamente analfabeta, ma capace di regalare a Brodeck magnifici libri illustrati sugli uccelli; o il più libresco e filosofico Diodème, tenero avamposto del razionalismo nel villaggio, anche lui inghiottito dalla violenza dei compaesani. A questi fanno da contrasto i minacciosi e ambigui potenti della comunità, come il padrone e allevatore di maiali Orschwir, il quale illustra le virtù dei suoi maiali al protagonista. Ci sono figure anche intermedie, mediatrici fra i due mondi, forse più deboli perché un attimo caricaturali o eccessive, come il parroco, Padre Peiper, ubriacone e schifato dal peso delle confessioni altrui. Un caso a parte è la faustiana Zeileniss, la moglie del comandante o direttore del Lager, la quale non si perdeva le impiccagioni quotidiane col neonato al seguito; unica figura disegnata come umana, e uccisa dagli internati nella splendida sequenza della tavola 122, durante lo smantellamento del campo.

«Eri così diverso da tutti gli altri e non soltanto perché venivi da lontano… Sapevi andare oltre le cose.» Marcus Stern

«Quello che vorrei, Brodeck, è capire. [...] A me invece le domande piacciono fin da quando ero bambino, con tutte le strade che ci permettono di imboccare. Non sono le risposte quelle che contano, Brodeck. La vera soddisfazione sta nel compiere un cammino…» Diodème

«Forse Diodème è morto proprio per questo. Perché voleva capire tutto.» Brodeck

«Non lasciarti ingannare dal loro aspetto, Brodeck… Sono delle vere belve. Sembrano pacifici come balene, ma sono delle belve. Senza cuore, senz’anima, senza memoria. L’unica cosa che conta per loro è la pancia e hanno un solo obiettivo nella vita: riempirla. Sarebbero capaci di divorare i loro fratelli, di sbranare le loro stesse carni senza batter ciglio… [...] Capisci quello che ti sto dicendo, Brodeck? Loro non pensano… Non sanno cosa siano il rimorso né il passato. Si limitano a vivere. Non credi che abbiano ragione loro?» Orschwir

Restano fuori gli affetti intimi di Brodeck, Fedorine, la vecchia che lo salva da bambino sulle rovine del villaggio natio; la compagna Émelia e la figlia (di cui è ignoto il nome, credo). Loro sono silenziosi, adesi, consustanziali alla persona e all’estraneità di Brodeck, anche se rappresentano l’ultimo labilissimo legame con il consorzio umano, quello che mantiene Brodeck nella comunità. Pure sono anche loro, come lui, vittima di un’indifferenza ostile. La solitudine di Brodeck è tutt’uno con le sue immagini in cammino nella foresta (tav. 86), mentre va a segnare con una croce gli alberi da abbattere [1]

«Ti fa comodo, eh, fare finta che loro due non esistano?» Brodeck a Orschwir

Intorno a questi personaggi spicca naturalmente l’Anderer, il supervisore, che arriva da fuori e prende nota, sulle sue mappe e nei suoi fogli di ogni cosa: montagne, proprietà, fiumi, animali, case… aiutato raramente in questo dallo stesso Brodeck. I due, anzi, sono gli unici a trovare spontaneamente un’istintiva, naturale intesa, un dialogo civile in quella tremenda solitudine. Brodeck considera questo nuovo personaggio una specie di santo.

«Noi due ci assomigliamo» l’Anderer (a Brodeck)

«La santità è una cosa strana. Quando ti ci imbatti, la scambi spesso per indifferenza, scherno, arroganza, disprezzo. Ti sbagli, perdi il controllo e commetti l’irreparabile. È per questo che i santi finiscono sempre martiri.» Brodeck

Un volume che segna l’ingresso nella maturità artistica di Manu Larcenet, la prima parte di una graphic novel che merita ogni interesse e che ci lascia in sospeso con il silenzio di un notturno, un bosco sotto la tormenta. Decisamente non per chi ama vicende travolgenti o azione. Potremmo paragonare “Il Rapporto di Brodeck” a una triste leggenda kafkiana o Yiddish, o a un lungo, epico film in bianco e nero sulle profondità disumane dell’umanità e sulla pacifica dignitosa grandezza del mondo selvaggio… con l’eccezione, forse, delle volpi.

«Ripensandoci alle tue volpi… Gli uomini le odiano tanto perché sono simili a loro… cacciano per mangiare, certo… ma sono capaci anche di uccidere per puro piacere. [...] Non le ho dovute ammazzare, le ho trovate morte nella posizione che mi hai descritto. Non posso certo dire di essere nella loro testa… ma in questa guerra sono morti così tanti uomini… tu, poi, lo sai meglio di me… Chissà, forse le volpi ci stanno solo imitando.» Marcus Stern

[1] Ci piace anche vederci un ricordo delle comiche, autobiografiche vicende di “Ritorno alla Terra”, in cui l’alter ego di Larcenet si chiede se per caso le croci sugli alberi non abbiano a che fare con il culto dei morti…

Manu LARCENET, “Il Rapporto di Brodeck. Libro 1/2 L’Altro”, Coconino Press, coll. Fandango (2016)

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IO LE PAGO, di Chester Brown (in appendice: La “Partitura” di Madame Turquoise) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/12/17/io-le-pago-di-chester-brown/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/12/17/io-le-pago-di-chester-brown/#comments Tue, 17 Dec 2013 21:00:52 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5730 Io le pagoGRAPHIC NOVEL E FUMETTI: l’introduzione di Massimo Maugeri

IO LE PAGO, di Chester Brown (in appendice: La “Partitura” di Madame Turquoise)

Il Puttaniere Filosofico

Chester Brown e le ragazze-squillo, per una rivoluzione contro l’amore romantico.

di Furio Detti

Mi piace pensare a Io le pago, dettagliata e stimolante esplorazione del sesso mercenario per la penna di Chester Brown, come al pronipote pacifico dei pamphlet filosofici del Settecento, in particolare della letteratura sadista; benché il sadismo non c’entri assolutamente.

Il libro edito da Coconino Press, con la sapida prefazione di Robert Crumb, non avrebbe forse bisogno di ulteriori convenevoli: non solo è una lettura di spessore, ma è una lettura soprattutto onesta, diretta, schietta, lucida sulla società e sulle necessità sessuali dell’individuo. Proprio per questo non solo è piacevolmente discutibile fra adulti, ma risulta particolarmente fresco e appropriato in un’epoca che apparentemente ha sdoganato ogni possibile tabù – a eccezione della professione di nazismo e della pedofilia – e che sembra ormai tutto sommato convivere con prostitute e “puttanieri”.

In Italia probabilmente c’è chi ancora indulgerebbe alla malizia del comico nel presentare un simile argomento, credendo a torto di rendere più simpatico un testo forte; ma dal “freddo” Canada anglofrancese Chester – “Chet” – Brown ci offre un approccio non solo molto rigoroso e, a suo modo, sostanzialmente coerente (sostanzialmente: ci sarà più di una sbavatura su questo fronte, come vedremo), ma un contenuto profondo, del tutto in linea con uno stile grafico secco, didascalico – senza noia – essenziale, documentaristico. In questo senso Io le pago potrebbe persino essere accostato, se non per intensità, sicuramente per tipologia, al celebre graphic journalism di autori come Art Spiegelman, Guy Delisle, Joe Sacco, per dire i più famosi – ricordando anche un bravo e altrettanto asciutto Flavio Montelli (Goodbye Bukowski).

Io le pago è la storia di un amore quietamente finito e di una soluzione dura, ma possibile, al dilemma delle relazioni uomo-donna (1): la scelta del sesso mercenario.

Chet Brown ci racconta la sua carriera di “puttaniere” e soprattutto ci mette a parte delle sue considerazioni umane, sociali e politiche. In una gabbia immutabile di otto vignette per tavola, fotogrammi rigorosi di un film d’interni con qualche passeggiata nel parco, osserviamo, spettatore partecipe ma mai invadente, la vita amorosa, relazionale, affettiva di un cliente di prostitute. A dispetto del luogo comune che presuppone la vacuità del sesso a pagamento Chet Brown non solo descrive non senza una fredda e quasi invisibile ironia le reazioni sconvolte e meravigliate di amici e parenti, ma anche una realtà vibrante, viva, umana, spesso taciuta, come quella delle case-appuntamento con squillo. La delicatezza e il rispetto con cui Brown, da vero documentarista, tratta il suo “materiale umano” risalta proprio nella scelta di non “inquadrare” in viso le prostitute. L’unico volto messo a nudo è quello del protagonista-autore. Che ci mette veramente la faccia (p. 281) a riprova della sua “certezza d’innocenza”. Per quanto il segno stilizzatissimo di Brown possa rendere davvero opinabile il riconoscimento e ogni fisiognomica, la scelta è una precisa richiesta della controparte. Per questo rispetto, termine mai così etimologicamente calzante, il viso inespressivo di Brown non solo si fa maschera per riflessioni intime, ma raccoglie e trasmette come un testimone fedele le parole e le confidenze delle prostitute con cui si intrattiene. Il protagonista diventa canale di trasmissione di qualcosa di più vasto delle sue magnagne sentimentali, amorose, relazionali. Il chiaroscuro netto, quasi inciso, fa sembrare Io le pago un film neorealista e l’apparente mancanza di emozioni, espressioni e di espressionismo della storia, unitamente al didascalsimo di certe conversazioni, è largamente compensata dalla profondità tensiva della scoperta di un modo alternativo di concepire il sesso e i bisogni fondamentali. Occorre solo la pazienza di non limitarsi alla confezione.

Certo, come ricorda lo stesso Brown in citazione, Io le pago non è un fumetto facile. Intanto perché va a scalzare parecchi ciottoli fermi sotto cui si muove un sottobosco di convinzioni radicate, personali e spesso impantanati pregiudizi. Lo fa non solo con amici e fidanzata – memorabile è il personaggio di Seth, voce del buonsenso non sempre accolta con favore dal protagonista – ma anche e soprattutto col lettore, senza ipocriti infingimenti anche con le sue stesse ninfe ispiratrici.

Qui il dialogo è davvero uno strumento filosofico a cui il disegno è organicamente asservito. Non scomoderemo Platone, ma Io le pago rende onestamente omaggio a questo modello speculativo e formativo.

Del resto le sorprese non finiscono quando il fumetto – un fumetto che si era aperto col più tempestoso e problematico “Possiamo parlare?” della propria fidanzata – si conclude dopo 227 tavole con la “morale” del protagonista: “Quindi far sesso a pagamento non è un’esperienza vuota, se paghi la persona giusta.”

Io le pago infatti ospita a seguire un minuzioso trattatello sulla legalizzazione della prostituzione. È adesso che riprendiamo l’analogia con la trattatistica del Settecento per andare a sviscerare quella che per noi è la parte migliore dell’opera: la Postfazione e le Appendici. Brown, come fece De Sade, approfitta del tema caldo per affrontare di petto la politica e la società, la visione delle relazioni umane: propugna la completa depenalizzazione della prostituzione, rifiutando ogni intervento esterno regolatore della società come dello stato – nel più puro stile libertarian – e si fa alfiere di un mondo alternativo, futuribile, in cui non solo la prostituzione sarà accettata, ma sarà ritenuto comune e normale il sesso a pagamento come forma di socializzazione tra adulti consenzienti. Uno per uno i capisaldi e le obiezioni che ruotano intorno al sesso mercenario – autodeterminazione, schiavismo, sciovinismo, maschilismo, oggettivazione sessuale, retorica Gay, femminismo, bigotteria, tabù sessuali e sanitari, problemi religiosi, aspetti socioeconomici e diritti civili sono smantellate, o perlomeno affrontate di petto dall’autore, non sempre da capisaldi rigorosi (particolarmente debole come impianto è la sua critica all’obiezione sulla “commercializzazione del sacro”, p. 248) ma di certo mediamente stimolanti. Il trattatello riprende certo le conversazioni affrontate a mo’ di siparietti – o intermezzi “filosofici” – ampliandole e corredandole di un certo apparato critico e bibliografico.

Se come è ovvio la critica di Brown va a colpire la tesi del divieto di prostituzione, più interessanti risultano i confronti con altre realtà, altrettanto considerate negativamente da Brown, in cui la prostituzione è regolamentata e normata dalla legge, come il Nevada (pag.248). Più specifica è l’obiezione di Brown anche alla tassazione della prostituzione, qualora legalizzata: nessuna ingerenza dello Stato. Da notare che qui Brown adduce a parziale giustificazione la sacralità dell’atto sessuale, altrove contestata (altro punto debole della sua trattazione). Rigorosa è anche l’attenzione dedicata da Brown agli amici-interlocutori, fra cui l’illustratore Seth (Gregory Gallant) e alle loro considerazioni, non sempre concordanti con l’autore. Ultima chicca: la serie di “note” al fumetto che illustrano e specificano con dovizia di particolari e narrazioni accessorie quanto non leggibile nelle vignette. Una sorta di “commento del regista”. Non sarà accessorio dire che la Coconino ha svolto un’egregia opera di adattamento, traduzione e cura editoriale, a partire dal titolo italiano (l’opera originale ha un titolo concettualmente più ambiguo: Paying For It).

A dirla tutta e concludere, non sarà accademicamente ineccepibile, eppure Io le pago non sfigurerebbe affatto nella bibliografia di qualche corso “intelligente” di sociologia e diritto. Magari anche solo per accendere un dibattito pubblico, sereno, aperto, contributivo e specifico sul tema del consumo/mercato sessuale.

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Chester “Chet” Brown

Io le pago. Memorie a fumetti di un cliente di prostitute.

Introduzione di Robert Crumb.

Coconino Press, 2012

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In appendice:

Intervista a un’esordiente dell’erotismo a fumetti italiano

La “Partitura” di Madame Turquoise

Il sesso degli angeli ha un’interprete gentile

Per Letteratitudine intervistiamo Madame Turquoise, una fumettista sotto pseudonimo che ha pubblicato la sua prima storia lunga a fumetti esordendo con un erotismo completamente diverso dal solito e un tratto particolarmente fresco. Una piccola crisi di coppia si risolve con un aiuto soprannaturale, con sorpresa incrociata. Quando la tenerezza racconta l’erotismo senza perdere di sapore.

- Ci ha colpiti, senza troppi giri di parole, l’erotismo tenero e quotidiano del vostro fumetto: tu e André Delattre siete riusciti a sprigionare, liberare, un erotismo senza esibizion(ismo), privo persino della più leggera ironia ma non per questo meno fresco, naturale e complice; come ci siete riusciti, come è nata l’idea?

Ho voluto disegnare Partitura notturna su sceneggiatura di André, cercando da subito un’intenzione comune. C’era sintonia tra me e lo sceneggiatore. L’idea iniziale invece è nata nel modo più banale: André ha avuto fra le mani un mio disegno, non proprio erotico, ma femminile e ammiccante, neppure troppo sfacciato. È rimasto colpito e mi ha proposto di realizzare qualcosa insieme. Così è nata l’idea di una storia sexy e molto gentile.

- L’erotismo è un genere nuovo per te? Qual è stato il tuo percorso nei comics?

Breve e recentissimo, perché io nasco come illustratrice e pittrice e non avevo mai affrontato prima di adesso un’opera lunga a fumetti – in fondo parliamo di un volume di 50 pagine per 47 tavole. Partitura è stata letteralmente la mia prima storia lunga a fumetti. Ho trovato quindi molto bello cimentarmi con una storia del genere anche se c’è stata da parte mia un po’ di resistenza all’idea, almeno inizialmente. [Ride] Posso parlare di “esordio lungo”?

- Hai affrontato il tema del sesso con imprevedibile eleganza… Hai mai avuto richieste in tal senso dall’editoria?

Grazie. Ho cercato di rappresentare la sessualità con un approccio sentimentale, che non ho mai trovato nel fumetto erotico o glamour finora edito, tantomeno nella pornografia, per quanto non intenda certo denigrare alcuno di questi generi. Se parli di Slowcomix, ossia il nostro editore, posso garantirti che è stato solo per merito di questa casa editrice che Partitura – in quanto volume praticamente autoprodotto – ha visto la luce. Si è trattata di una scelta coraggiosa anche perché Slowcomix ha deciso di esordire col cartaceo senza aspettare di sondare il terreno con media meno economicamente rischiosi, intendo il web. Lavorare da subito con un autore mi ha fatto sentire come una modista, impegnata a trovare l’eleganza attraverso un laborioso processo di “taglia e cuci”. In questo senso Slowcomix, che ha – a differenza di me – una lunga esperienza nel fumetto, è stata professionale e sensibile: in redazione e altrove ho incontrato tante persone che mi hanno elargito consigli preziosi.

- Te la sentiresti di cambiare genere? Hai altri progetti in vista? Che genere di storie vorresti raccontare adesso?

Oddio, non so. Vediamo… anche se non mi sento pronta per una vera e propria graphic novel, mi tenterebbe un’altra storia lunga: di pirati, per esempio; oppure un racconto intimista sul concetto romantico di “viaggio”, un approccio sentimentale e psicologico al tema ma senza trascurare anche l’aspetto fisico, avventuroso, come nelle storie di Hugo Pratt. Con Partitura di certo ho superato il mio “blocco del fumettista”. Certo è prematura per me l’idea di lanciarmi in una graphic novel, perciò non so proprio cosa mi riserbi il futuro, anche a breve termine.

- Quali sono state le tue fonti di ispirazione come autrice? Hai parlato di Pratt…

Beh ovviamente non penso assolutamente di poter arrivare a tanto: come pittrice e illustratrice comunque mi ispiro a un po’ di tutto. Cerco sempre di non fermarmi a un solo stile, ma provo a sperimentare, cambiare. A costo di dirti un’eresia, non sono mai stata una fan di Pratt. Mi piacciono molto i suoi acquerelli, ma qui si ferma il mio interesse, pur ritenendolo un maestro del fumetto.

Grazie per questa rapida chiacchierata.

Grazie a voi.

———–

André Delattre – Madame Turquoise

Partitura notturna

Prefazione di Erika Lust

Slowcomix, 2013


(1) , Senza escludere ogni possibile combinazione, comunque.

© Letteratitudine

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