LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » einaudi http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 L’ARMINUTA: il film, il romanzo http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/10/25/larminuta-il-film-il-romanzo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/10/25/larminuta-il-film-il-romanzo/#comments Mon, 25 Oct 2021 15:53:01 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8883 L’ARMINUTA: dal romanzo di Donatella Di Pietrantonio al film di Giuseppe Bonito

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La nuova puntata di Letteratitudine Cinema la dedichiamo al film “L’Arminuta” di Giuseppe Bonito, tratto dall’omonimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio pubblicato da Einaudi e vincitore del Premio Campiello 2017.

Di seguito: le dichiarazioni che Donatella Di Pietrantonio ha rilasciato in esclusiva a Letteratitudine e un articolo a cura della giornalista Alessandra Angelucci (che ha incontrato il cast del film per noi) con le risposte del regista Giuseppe Bonito, della protagonista Sofia Fiore e altri interpreti.

In chiusura riproponiamo “l’Autoracconto d’Autore” firmato dalla stessa Donatella Di Pietrantonio in occasione dell’uscita del romanzo dove l’autrice ci racconta la genesi di questa storia. Ne approfittiamo per ringraziare Patrizia Angelozzi per la collaborazione

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L’Arminuta che diventa film è l’ultima evoluzione di una storia nata nel chiuso di una stanza e condivisa da tanti lettori e ora dagli spettatori nelle sale”, ha detto Donatella Di Pietrantonio a Letteratitudine. “Credo che la sua forza stia nell’aver intercettato quelle parti ferite, danneggiate che ognuno di noi porta con sé, anche senza aver vissuto gli abbandoni ripetuti che toccano alla protagonista”.

“Giuseppe Bonito ha saputo trovare quel difficile equilibrio tra un’originalità solo sua e il rispetto del romanzo, guardando con una sensibilità particolare i personaggi, nelle loro cadute e inadeguatezze, nelle fragilità e nella resilienza. Ce ne restituisce tutta l’umanità”.

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L’Arminuta nel grande schermo per raccontare la maternità imperfetta

di Alessandra Angelucci

SPOLTORE - Ci sono dettagli che il lettore de L’Arminuta, scritto da Donatella Di Pietrantonio (Campiello 2017), non può dimenticare. Come l’incipit, che consegna una bambina davanti all’esperienza dell’abbandono: «A tredici anni non conoscevo più l’altra mia madre. Salivo a fatica le scale di casa sua con una valigia scomoda e una borsa piena di scarpe confuse».
E sono proprio le madri, biologiche e non, come le sorelle, le figure femminili attorno alle quali si apre una storia fatta di silenzi e abbandoni, di mani tese verso l’altro. Un’altalena di addii che fanno male, dentro a un volo che spesso non ha parole per dirsi.
Nell’Abruzzo degli anni Settanta, la piccola Arminuta dovrà fare i conti col suo passato per capire davvero chi è. Un compito troppo grave per una donna così giovane. E se scaviamo in fondo alle parole, forse nella voce della protagonista c’è anche la paura di ciascuno di noi: quella di essere abbandonati. È per questo che Donatella Di Pietrantonio ha commosso i lettori, perché ha consegnato una verità: la sua, la nostra. Una storia cucita intorno all’imperfezione dei rapporti umani, quelli che si dicono sottovoce perché troppo dolorosi. Quelli che, a volte, non si possono proprio dire.

Fedele al romanzo è la trasposizione cinematografica del regista Giuseppe Bonito, tanto attesa nelle sale cinematografiche, dopo il grande successo ottenuto alla 16^ edizione della Festa del Cinema di Roma.
Sabato 23 ottobre 2021 il film è stato presentato al Cinema l’Arca di Spoltore (PE) alla presenza di una parte del Cast, accolto da un pubblico numeroso e felice di vedere nel grande schermo il racconto di tante vite: de l’Arminuta, di Adriana e Vincenzo, delle madri che hanno generato o cresciuto, di Pat che gioca in spiaggia in una dimensione senza tempo.
Bonito ha mostrato sempre grande attenzione al mondo della famiglia e alle relazioni che in essa si intrecciano, sin dal progetto Figli, nato grazie a Mattia Torre, sceneggiatore e regista prematuramente scomparso. La sfida de L’Arminuta ha in sé questa radice e si innesta su un sentimento d’amore che il regista ha da subito provato per l’opera della Di Pietrantonio e per quei volti che sono nomi e radici, e poi luoghi d’infanzia. A volte drammi irreversibili. «Pur essendo una storia ambientata negli anni Settanta, come già era evidente nel libro, il film ha degli elementi di modernità e di stringente attualità proprio in questo: la maternità come valore assoluto, al di là del dato biologico». È proprio Giuseppe Bonito a dichiararlo, mettendo in luce come il tema del suo progetto sia la maternità imperfetta: «La famiglia di origine de l’Arminuta è sì un nucleo familiare numeroso ma in esso è presente la disgregazione dei sentimenti. Sono tutti come punti che non riescono a collegarsi mai. I momenti più forti del film, infatti, sono quelli in cui le persone si toccano o si sfiorano: in quegli istanti si diffonde una energia che le unisce idealmente ma di fatto mai. E l’Arminuta sta in mezzo a tutto ciò». Un progetto che racconta anche l’uso del dialetto, ponendo l’accento sull’importanza del luogo come matrice identitaria: «La lingua abruzzese è importante, sì. Il film non l’abbiamo girato in Abruzzo ma il mio lavoro sul paesaggio è stato molto particolare e laborioso, perché doverlo ricostruire in un luogo altro è sempre difficile. Al di là di questo, nel mio film il paesaggio umano è totalmente abruzzese ed è questa, secondo me, la cosa che conta di più».
A dare prova di questo è anche l’origine delle giovani protagoniste: Sofia Fiore, che interpreta l’Arminuta, è originaria di Vasto, e Carlotta de Leonardis, nei panni di Adriana, è di Spoltore. Potenti nel loro essere sorelle dentro una storia di mancanze. Sofia Fiore narra con maestria lo spaesamento di chi dovrà accettare e perdonare. Alla prima esperienza, esprime con eleganza i silenzi e i moti d’angoscia, in un volto quasi etereo che sa tradurre i non detti: «Ho provato tanta gioia ma anche un po’ di paura quando ho saputo che sarei stata proprio io l’Arminuta. Una bellissima esperienza e auguro a tutti coloro che hanno il sogno di diventare attori o attrici di provare, perché ne vale davvero la pena. Tra le scene più difficili ricordo il bagno al mare, perché faceva molto freddo quando abbiamo girato».

Carlotta De Leonardis è il talento dell’espressività, la voce dell’istinto e della ribellione. Commovente l’abbraccio alla ritrovata sorella nel gelo della notte: in quella stretta immortale ci siamo stati tutti per pochi attimi, perché tutti, forse, abbiamo desiderato almeno una volta essere cercati – e amati – con la stessa forza che Carlotta trasmette nel ruolo di Adriana. Anche lei confessa di essersi divertita a girare il film: «Mi è piaciuto tutto e per me è stato spontaneo anche recitare in dialetto, perché io a casa un po’ lo parlo. La scena che mi è piaciuta interpretare di più è quella finale e sicuramente anche quella dal macellaio».

Presenti al cinema di Spoltore anche l’attore Andrea Fuorto, che sta riscuotendo molto successo per l’interpretazione di Vincenzo, e Aurora Barulli (Pat), che ha svelato tutta l’emozione provata: «È stato un sogno. Di solito una ragazza quattordicenne vede i film nella sua stanza, analizza gli attori e si interessa della loro vita reale. A me questa esperienza ha stravolto la vita perché, seppur per una piccola parte, ho vissuto un momento di vita unico. Mettermi in gioco mi ha aiutata a superare la mia insicurezza e la cosa più bella è stata quando mi hanno comunicato che ero stata scelta per essere Pat. Ho fatto salti di gioia, ho abbracciato mamma e papà e sono stata orgogliosa».

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Come nasce un romanzo? Per gli “Autoracconti d’Autore” di Letteratitudine, DONATELLA DI PIETRANTONIO racconta il suo romanzo L’ARMINUTA (Einaudi)

romanzo vincitore del: Premio Selezione Campiello 2017 e del Premio “Alassio Centolibri 2017

Donatella di Pietrantonio ci parla de “L’Arminuta” offrendo a Letteratitudine un racconto inedito delizioso e toccante

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di Donatella Di Pietrantonio

Ero bambina, abitavo con la mia famiglia in un piccolo borgo del teramano, ai confini con la provincia di Pescara. Sopra di noi il Monte Camicia, così vicino da non poterne vedere la vetta. Era una contrada remota, non arrivava mai nessuno fin lì, il sentiero che portava alle case era battuto solo dai pochi abitanti. I parenti venivano in occasione della trebbiatura in estate e dell’uccisione del maiale in inverno. Erano quelli gli eventi più importanti dell’anno.

La sera, davanti alla fiamma vivace del camino, gli adulti raccontavano storie, ma vere. Nel debole chiarore del lume ad acetilene noi bambini ascoltavamo, seduti su bassi sgabelli di legno. Una volta li sentimmo parlare di una famiglia povera e numerosa che aveva ceduto l’ultimo nato a una coppia di parenti sterili. Dicevano che lu cìtile era fortunato perché quelli che lo avevano preso tenevano la roba. Molti ettari di terreno, numerosi capi di bestiame nelle stalle, il casolare rimesso a nuovo. Abitavano vicino al paese e gli avrebbero inzuccherato la bocca al piccolino, così diceva una mia zia acquisita.

“Stai attenta tu, con quella lingua lunga” ammonì poi voltandosi dalla mia parte.

Cosa intendeva, che potevo essere data pure io? Aveva suggerito più di una volta a mia madre di prendere provvedimenti nei miei confronti, “non sta bene che essa risponde”. Rispondere agli adulti equivaleva a mancargli di rispetto.

In estate conobbi un cugino di mio padre, molto più giovane di lui. Sembrava triste, sotto il cappello la fronte già segnata da una ruga profonda a forma di emme. Era venuto a trovarci insieme ai suoi genitori e non gli somigliava affatto. Loro molto scuri di carnagione e capelli, lui pallido e con la testa bianca, dietro gli occhiali le iridi di un azzurro così chiaro da sembrare trasparenti. Al mio stupore per quel suo aspetto gracile, da vecchietto precoce, mio padre rispose tranquillo:

“Non gli somiglia no agli zii, mica è il figlio. Gliel’hanno dato certi parenti alla lontana, quando teneva una decina d’anni. A essi le creature non gli venivano”.

La rivelazione mi tolse il sonno, trasformò ai miei occhi un evento eccezionale in pratica comune. Prima quel neonato di cui parlavano nelle sere d’inverno, poi il cugino Settimio.

Il suo nome raccontava quanti erano nati prima di lui nella famiglia che poi l’aveva ceduto, ma il suo soprannome era “occhi bianchi”. Mio padre non era legato a lui come agli altri cugini, che trattava quasi da fratelli. Settimio era considerato un diverso, un malato, uno che mai avrebbe potuto dare una mano nei campi. Pochi minuti di esposizione al sole erano sufficienti a ustionarlo. Veniva sempre lasciato a casa, sia nella prima che nella seconda famiglia, “sennò si coce”, dicevano. Era albino, ma non potevo saperlo. Sapevo invece che altri due fratelli erano nati dopo di lui, ma erano stati tenuti in famiglia. I suoi non l’avevano dato in quanto poveri o troppi, ma per la sua bianchezza e inabilità al lavoro. I genitori adottivi l’avevano preso lo stesso, erano già un po’ in là con gli anni e un figlio lo volevano a tutti i costi. Come bastone per la vecchiaia, diceva mia madre, sarebbe andato bene pure “occhi bianchi”.

Lo vedevamo di rado, Settimio, solo a qualche cerimonia che riuniva il parentado. Matrimoni, funerali. All’aperto portava sempre il cappello. Provavo pena per lui, con quella emme di tristezza indelebile sulla fronte. La storia sua e di quel neonato agitava i miei sonni. La condizione di figli non era sicura. Per restare figli occorrevano dei requisiti e io non ero più certa di possederli tutti. Ero troppo magra, per esempio. Un nostro vicino diceva che prima o poi il vento si sarebbe infilato sotto la mia gonna e sarei volata via, così leggera. Ma soprattutto l’eccessiva magrezza dava l’impressione che anch’io fossi troppo debole per aiutare nei lavori domestici.

“Tua figlia è buona solo per la scuola”, mio nonno paterno lo rinfacciava spesso a mia madre.

Sono trascorsi decenni da allora. Il vento non mi ha portata via e i miei genitori mi hanno sostenuta negli studi. Di tanto in tanto ho chiesto notizie di Settimio, che non incontravo quasi mai. Si era sposato e aveva avuto due figli, un maschio e una femmina. Deve averli molto amati, i parenti lo criticavano per questo: “sta sempre appresso a essi”. Solo al mare non poteva accompagnarli, anche con il cappello era troppo rischioso.

Nonostante tutte le attenzioni se n’è andato qualche tempo fa, per un tumore della pelle. La testa bianca era ormai giusta per la sua età e sulla fronte la ruga a emme si era distesa nella falsa serenità della morte. “L’Arminuta” è dedicata anche a lui.

(Riproduzione riservata)

© Donatella Di Pietrantonio

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La scheda del libro

Per raccontare gli strappi della vita occorrono parole scabre, schiette. Di quelle parole Donatella Di Pietrantonio conosce il raro incanto. La sua scrittura ha un timbro unico, una grana spigolosa ma piena di luce, capace di governare con delicatezza una storia incandescente.

«Ero l’Arminuta, la ritornata. Parlavo un’altra lingua e non sapevo piú a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza»

Ci sono romanzi che toccano corde cosí profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con L’Arminuta fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell’altra, suona a una porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia cosí questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all’altro perde tutto – una casa confortevole, le amiche piú care, l’affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l’Arminuta» (la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo.

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DONATELLA DI PIETRANTONIO con “Borgo Sud” (Einaudi) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/04/14/donatella-di-pietrantonio-con-borgo-sud-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/04/14/donatella-di-pietrantonio-con-borgo-sud-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/#comments Wed, 14 Apr 2021 15:33:23 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8764 DONATELLA DI PIETRANTONIO con “Borgo Sud” (Einaudi), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie).

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia, postproduzione e consulenza musicale: Federico Marin

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Ospite della puntata: la scrittrice Donatella Di Pietrantonio con il suo nuovo romanzo “Borgo Sud” (Einaudi), candidato all’edizione 2021 del Premio Strega da Nadia Fusini.

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La scheda del libro: “Borgo Sud” di Donatella Di Pietrantonio (Einaudi)

È il momento più buio della notte, quello che precede l’alba, quando Adriana tempesta alla porta con un neonato tra le braccia. Non si vedevano da un po’, e sua sorella nemmeno sapeva che lei aspettasse un figlio. Ma da chi sta scappando? È davvero in pericolo? Adriana porta sempre uno scompiglio vitale, impudente, ma soprattutto una spinta risoluta a guardare in faccia la verità. Anche quella piú scomoda, o troppo amara. Cosí tutt’a un tratto le stanze si riempiono di voci, di dubbi, di domande. Entrando nell’appartamento della sorella e di suo marito, Adriana, arruffata e in fuga, apparente portatrice di disordine, indicherà la crepa su cui poggia quel ma-trimonio: le assenze di Piero, la sua tenerezza, la sua eleganza distaccata, assumono piano piano una valenza tutta diversa. Anni dopo, una telefonata improvvisa costringe la narratrice di questa storia a partire di corsa dalla città francese in cui ha deciso di vivere. Inizia una notte in-terminabile di viaggio – in cui mettere insieme i ricordi –, che la riporterà a Pescara, e precisamente a Borgo Sud, la zona marinara della città. È lí, in quel microcosmo cosí impenetrabile eppure cosí accogliente, con le sue leggi indiscutibili e la sua gente ospitale e rude, che potrà scoprire cos’è realmente successo, e forse fare pace col passato. Donatella Di Pietrantonio torna dopo “L’Arminuta” con un romanzo teso e intimo, intenso a ogni pagina, capace di tenere insieme emozione e profondità di sguardo.

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Donatella Di Pietrantonio vive a Penne, in Abruzzo, dove esercita la professione di dentista pediatrico. Con L’Arminuta (Einaudi 2017, tradotto in piú di 25 paesi) ha vinto numerosi premi, tra cui il Premio Campiello, il Premio Napoli e il Premio Alassio. Per Einaudi ha pubblicato anche Bella mia (prima edizione Elliot 2014), con cui ha partecipato al Premio Strega 2014 e ha vinto il Premio Brancati, e Borgo Sud (2020).

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia, post produzione e consulenza musicale: Federico Marin

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È possibile ascoltare le precedenti puntate radiofoniche di Letteratitudine, cliccando qui.

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La colonna musicale della puntata (a cura di Federico Marin): brani in ordine di ascolto

sigla: Jason Shaw – BACK TO THE WOODS
licenza: https://creativecommons.org/licenses/by/3.0/us/

The Kyoto Connection – Hachiko (The Faithtful Dog)
licenza: https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/

Juanitos – Hey
licenza: https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0/fr/

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NICOLA LAGIOIA con “La città dei vivi” in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/11/26/nicola-lagioia-con-la-citta-dei-vivi-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/11/26/nicola-lagioia-con-la-citta-dei-vivi-in-radio-a-letteratitudine/#comments Thu, 26 Nov 2020 17:07:34 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8641 NICOLA LAGIOIA con “La città dei vivi” (Einaudi), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie).

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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Ospite della puntata: lo scrittore Nicola Lagioia con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “La città dei vivi” (Einaudi).

Nicola, come nasce “La città dei vivi”? Come commenteresti le citazioni scelte come epigrafi in apertura del libro (“Roma è l’unica città mediorientale che non possiede un quartiere europeo” di Francesco Saverio Nitti; “Non attribuiamo i guai di Roma agli eccessi di popolazione. Quando i romani erano solo due, uno uccise l’altro” di Giulio Andreotti)? Possiamo dire che questo libro è anche un’indagine letteraria su Roma? Chi sono i protagonisti di questa storia? Come hai affrontato la scrittura di questo testo (ci sono stati approcci narrativi differenti, rispetto agli altri tuoi libri)? Riprendiamo questo stralcio: «Tutti temiamo di vestire i panni della vittima. Viviamo nell’incubo di venire derubati, ingannati, aggrediti, calpestati. Preghiamo di non incontrare sulla nostra strada un assassino. Ma quale ostacolo emotivo dobbiamo superare per immaginare di poter essere noi, un giorno, a vestire i panni del carnefice?». Qual è la tua risposta a questa domanda? Roma è davvero definibile? È – in qualche modo – delimitabile? Esiste una sola Roma? Ne esistono tante? Considerato che Sciascia sosteneva che la Sicilia è la metafora del mondo, potrebbe dirsi qualcosa del genere anche su Roma? Da questo libro, sarà tratta una serie tv?  Cosa puoi dirci sul “fronte” Salone Internazionale del Libro di Torino (di cui sei il Direttore)?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a  Nicola Lagioia nel corso della puntata.

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La scheda del libro: “La città dei vivi” di Nicola Lagioia (Einaudi)

Nel marzo 2016, in un anonimo appartamento della periferia romana, due ragazzi di buona famiglia di nome Manuel Foffo e Marco Prato seviziano per ore un ragazzo piú giovane, Luca Varani, portandolo a una morte lenta e terribile. È un gesto inspiegabile, inimmaginabile anche per loro pochi giorni prima. La notizia calamita immediatamente l’attenzione, sconvolgendo nel profondo l’opinione pubblica. È la natura del delitto a sollevare le domande piú inquietanti. È un caso di violenza gratuita? Gli assassini sono dei depravati? Dei cocainomani? Dei disperati? Erano davvero consapevoli di ciò che stavano facendo? Qualcuno inizia a descrivere l’omicidio come un caso di possessione. Quel che è certo è che questo gesto enorme, insensato, segna oltre i colpevoli l’intero mondo che li circonda. Nicola Lagioia segue questa storia sin dall’inizio: intervista i protagonisti della vicenda, raccoglie documenti e testimonianze, incontra i genitori di Luca Varani, intrattiene un carteggio con uno dei due colpevoli. Mettersi sulle tracce del delitto significa anche affrontare una discesa nella notte di Roma, una città invivibile eppure traboccante di vita, presa d’assalto da topi e animali selvatici, stravolta dalla corruzione, dalle droghe, ma al tempo stesso capace di far sentire libero chi ci vive come nessun altro posto al mondo. Una città che in quel momento non ha un sindaco, ma ben due papi. Da questa indagine emerge un tempo fatto di aspettative tradite, confusione sessuale, difficoltà nel diventare adulti, disuguaglianze, vuoti di identità e smarrimento. Procedendo per cerchi concentrici, Nicola Lagioia spalanca le porte delle case, interroga i padri e i figli, cercando il punto di rottura a partire dal quale tutto può succedere.

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Nicola Lagioia è nato a Bari nel 1973. È direttore del Salone Internazionale del Libro di Torino e conduce Pagina 3, la rassegna stampa culturale di Radio Rai 3. Con minimum fax ha pubblicato Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj (2001), e con Einaudi Occidente per principianti (Supercoralli 2004), Riportando tutto a casa (ultima edizione ET Scrittori 2017; Premio Viareggio-Rèpaci, Premio Vittorini, Premio Volponi), La ferocia (Supercoralli 2014, Super ET 2016; Premio Strega 2015) e La città dei vivi (Supercoralli 2020).I suoi libri sono tradotti in 15 paesi.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

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Colonna sonora della puntata: “Riverman”, “Time Has Told Me”, “Day is Done” di Nick Drake.

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CRISTINA COMENCINI con “L’altra donna” (Einaudi) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/10/15/cristina-comencini-con-laltra-donna-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/10/15/cristina-comencini-con-laltra-donna-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/#comments Thu, 15 Oct 2020 14:47:11 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8597 CRISTINA COMENCINI con “L’altra donna” (Einaudi), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie).

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Ospite della puntata: la scrittrice e regista Cristina Comencini, con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolatoL’altra donna” (Einaudi).

Cristina, come nasce “L’altra donna”? Che tipo di donna è Elena, la giovane protagonista della storia? E Pietro, invece (protagonista maschile della storia… anche se rimane un po’ sullo sfondo), come lo descriveresti ai nostri ascoltatori? Tra Elena e Pietro c’è un distacco generazionale: cosa puoi dirci in proposito? Poi c’è Maria, l’ex moglie di Pietro: ci parleresti di lei? I primi veri incontri tra Maria ed Elena avvengono in maniera piuttosto particolare, senza peraltro che Elena ne abbia consapevolezza: cosa accade? Tra i temi forti del romanzo c’è quello della complicità e rivalità femminile (che possono innescarsi in situazioni come quella narrata in “l’altra donna”): cosa puoi dirci da questo punto di vista? E questo tipo di rivalità/complicità è rimasta, a tuo avviso, immutata nel tempo (con riferimento al tempo, per es., delle nostre madri, delle nostre nonne o ancora prima)… oppure è cambiata? Se ribaltassimo l’appartenenza ai generi… immaginando cioè l’incontro tra due uomini che hanno amato la stessa donna… a tuo avviso le dinamiche che potrebbero innescarsi sono le stesse? Che differenza c’è, a tuo avviso, tra la prospettiva femminile e quella maschile? Ci faresti entrare un nel tuo laboratorio di scrittura? Sei più una scrittrice “metodica” o “estemporanea”? Scrivi meglio in determinati momenti della giornata (per esempio la mattina o la sera) o quando ti è possibile? Quali sono le principali differenze tra la narrazione letteraria e quella cinematografica? Come racconteresti la copertina del romanzo?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a  Cristina Comencini nel corso della puntata.

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La scheda del libro: “L’altra donna” di Cristina Comencini (Einaudi)

Non è detto che quando gli amori si complicano ci sia sempre qualcuno destinato a perdere. E non è neppure vero che, se due donne hanno in comune lo stesso uomo, debbano per forza essere rivali. Un gioco di specchi che racconta guerre silenziose, feroci confronti generazionali e improvvisi gesti di dolcezza. Perché anche nel peggiore dei sabotaggi, in fondo, si può nascondere la chiave per salvarsi

Elena è giovane, Pietro è molto piú vecchio di lei. Ma si sono scelti, e dalla loro relazione hanno deciso di tener fuori le ferite della vita di prima: fanno l’amore con il gusto di chi scopre tutto per la prima volta, bevono caipirinha quando lui torna tardi, si concentrano sull’ebbrezza del quotidiano. Quando Maria, l’ex moglie di Pietro, riesce a conoscere Elena con un inganno, la vita si complica per tutti. Le due donne si raccontano, si confidano e confrontano, e poco per volta la figura di Pietro si trasforma per tutt’e due. La scrittura affilata e rivelatrice di Cristina Comencini torna a illuminare i vortici e le secche delle relazioni, scegliendo la prospettiva di due donne rivali che in comune sembrano avere soltanto lo stesso uomo. Una turbinosa e vitalissima riflessione sulla complicità e sulla rivalità femminile. E su quella stanza tutta per sé a cui gli uomini – con questo romanzo – possono avere accesso.

«La moglie aveva scoperto che viaggiava per lavoro con un’altra, che dormivano nella stessa stanza. L’aveva cacciato di casa e lui era andato a vivere con l’altra donna, la compagna di viaggio, e poi si erano lasciati. Ricordo benissimo che mentre me lo raccontava avevo pensato: ora l’altra sono io».

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Cristina Comencini è scrittrice, regista e drammaturga. Tra i suoi romanzi, pubblicati presso Feltrinelli, ricordiamo Le pagine strappate (1991 Premio Air Inter), Passione di famiglia (1994 Premio Rapallo), Il cappotto del turco (1997 Premio Nazionale Alghero Donna), Matrioska (2002), La bestia nel cuore (2004), L’illusione del bene (2007), Quando la notte (2009), Lucy (2013) e Voi non la conoscete (2014). Il suo film tratto da La bestia nel cuore ha ottenuto la nomination all’Oscar come migliore film straniero. Per Einaudi ha pubblicato Essere vivi (2016 e 2017), Da soli (2018 e 2019) e L’altra donna (2020).

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

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Colonna sonora della puntata: “Yellow” dei Coldplay; “Downtown Lights” di Annie Lennox; “Creep” dei Radiohead.

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CRISTINA CASSAR SCALIA con “La Salita dei Saponari” (Einaudi) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/07/16/cristina-cassar-scalia-con-la-salita-dei-saponari-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/07/16/cristina-cassar-scalia-con-la-salita-dei-saponari-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/#comments Thu, 16 Jul 2020 12:20:39 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8539 CRISTINA CASSAR SCALIA con “La Salita dei Saponari” (Einaudi Stile Libero), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie). Questa puntata è dedicata a Ennio Morricone e alla sua musica.

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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Ospite della puntata: Cristina Cassar Scalia con cui discutiamo del suo nuovo romanzo legato alla serie con protagonista il vicequestore Vanina Guarrasi, intitolato “La Salita dei Saponari” (Einaudi Stile Libero). Nella parte finale della puntata discutiamo di un altro libro appena pubblicato da Einaudi, scritto da Cristina Cassar Scalia a sei mani con Giancarlo De Cataldo e Maurizio de Giovanni; si intitola: “Tre passi per un delitto”.

Cara Cristina, come nasce ” La salita dei saponari “? Che tipo di donna è Vanina Guarrasi? Cosa puoi dirci sul passato sentimentale di Vanina e del suo rapporto con la città di Palermo? Perché in epigrafe hai scelto di citare le frasi finali de “Il fu Mattia Pascal” di Luigi Pirandello? Cosa puoi dirci su (un altro personaggio) Biagio Patanè, commissario in pensione? E su Carlo Alberto Colombo, ex collega di Vanina alla Mobile di Milano? Parlaci degli omicidi su cui si incentrano le indagini di Vanina: chi sono Esteban Torres e Roberta Geraci? Cosa puoi svelarci sulle modalità con cui vengono condotte le indagini? Le storie di Vanina Guarrasi diventeranno film o serie Tv? Cosa puoi dirci sul libro che hai scritto a sei mani con Giancarlo de Cataldo e Maurizio de Giovanni (“Tre passi per un delitto“) appena uscito per Einaudi? Come hai vissuto l’esperienza di scrittura a sei mani?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a Cristina Cassar Scalia nel corso della puntata.

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La scheda del libro:“La Salita dei Saponari” di Cristina Cassar Scalia (Einaudi. Stile Libero)

Solo un caso molto complesso può distogliere, anche se per poco, il vicequestore Vanina Guarrasi dalla caccia ai propri fantasmi e riportarla in azione. Anzi, qualcosa di piú di un caso: un intrigo internazionale all’ombra dell’Etna. Esteban Torres, cubano-americano con cittadinanza italiana e residenza in Svizzera, viene trovato morto nel parcheggio dell’aeroporto di Catania; qualcuno gli ha sparato al cuore. L’uomo ha un passato oscuro, e girano voci che avesse amicizie pericolose, interessi in attività poco pulite. Eppure le indagini sono completamente arenate: nessun indizio che riesca a sbloccarle. Questo finché a Taormina, dentro un pozzo nel giardino di un albergo, si scopre il cadavere di Roberta Geraci, detta «Bubi». Torres e Bubi si conoscevano. Molto bene. Con l’aiuto della sua squadra e dell’immancabile Biagio Patanè, commissario in pensione che non ha perso il fiuto, Vanina riporterà alla luce segreti che hanno origine in luoghi lontani. Ma non potrà dimenticare gli incubi che la seguono fin da quando viveva a Palermo. Questioni irrisolte che, ancora una volta, minacciano di metterla in pericolo.

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La scheda del libro: “Tre passi per un delitto” di Cristina Cassar Scalia, Giancarlo De Cataldo e Maurizio De Giovanni (Einaudi. Stile libero)

Una giovane bellissima, che lavora nel mondo dell’arte, viene uccisa nel proprio appartamento a Roma. Tre personaggi coinvolti per ragioni diverse nell’omicidio forniscono la loro interpretazione dei fatti. Chi nasconde la verità. Chi la manipola. Chi sembra non curarsene.

Il commissario Davide Brandi è un poliziotto molto abile, e molto ambizioso. È lui che conduce le indagini. A dargli la parola è Giancarlo De Cataldo. Marco Valerio Guerra è l’amante della vittima. Un uomo d’affari ricchissimo, potente, odiato. A dargli la parola è Maurizio De Giovanni. Anna Carla Santucci è la moglie di Guerra. Scoprire il tradimento del marito non l’ha stupita affatto. A darle la parola è Cristina Cassar Scalia. Le loro versioni non concordano. Ma tutte rappresentano un piccolo passo per arrivare alla soluzione del caso.

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Cristina Cassar Scalia è originaria di Noto. Medico oftalmologo, vive e lavora a Catania. Sabbia nera (Einaudi 2018 e 2019), il suo primo romanzo con protagonista il vicequestore Vanina Guarrasi, ha conquistato lettori e critici, un successo confermato da La logica della lampara (2019 e 2020). Nel 2020, il terzo romanzo con protagonista Vanina Guarrasi, La salita dei Saponari. I diritti di questi libri sono stati venduti all’estero ed è in progetto la realizzazione di una serie tv.

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Colonna sonora della puntata: la musica di Ennio Morricone: C’era una Volta il West; Nuovo Cinema Paradiso; The Mission (Main Theme)

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MELANIA G. MAZZUCCO racconta la copertina de “L’architettrice” (Einaudi) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/04/20/melania-g-mazzucco-racconta-la-copertina-de-larchitettrice/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/04/20/melania-g-mazzucco-racconta-la-copertina-de-larchitettrice/#comments Mon, 20 Apr 2020 16:38:50 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8468 MELANIA G. MAZZUCCO racconta la copertina del suo romanzo “L’architettrice” (Einaudi). L’elenco di tutte le puntate di “Scrittori raccontano copertine” è disponibile qui

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GIANRICO CAROFIGLIO con “La misura del tempo” (Einaudi) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/02/19/gianrico-carofiglio-con-la-misura-del-tempo-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/02/19/gianrico-carofiglio-con-la-misura-del-tempo-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/#comments Wed, 19 Feb 2020 20:32:39 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8412 GIANRICO CAROFIGLIO con “La misura del tempo” (Einaudi), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

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Ospite della puntata: Gianrico Carofiglio con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo La misura del tempo (Einaudi), romanzo candidato all’edizione 2020 del Premio Strega.

Come nasce “La misura del tempo”? Cosa puoi dirci sulla scelta di questo titolo così suggestivo? Come sta Guido Guerrieri? In che fase della sua vita si trova? Come lo ritrovano i lettori tra le pagine de “La misura del tempo”? Chi è Lorenza, questa donna che Guerrieri si trova un giorno nello studio? Come la descriveresti? E che tipo di meccanismo scatta in Guerrieri nel momento di questo incontro? Cosa puoi dirci sui collaboratori di Guerrieri? Che tipo di persona è Iacopo (il figlio di Lorenza che si trova in carcere con l’accusa di omicidio)? Qual è la situazione, la “sfida”, che Guerrieri si ritrova a dover fronteggiare dopo aver accettato l’incarico a occuparsi di questo caso? Poiché questo romanzo è anche un viaggio nel mondo processuale e giudiziario, cosa puoi dirci da questo punto di vista? Quali sono, tra gli altri, gli elementi che vengono maggiormente messi in evidenza? Come racconteresti la copertina di “La misura del tempo”? Quale brano musicale sceglieresti come possibile colonna sonora di questo romanzo?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a Gianrico Carofiglio nel corso della puntata.

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La scheda del libro: “La misura del tempo” di Gianrico Carofiglio (Einaudi)
Tanti anni prima Lorenza era una ragazza bella e insopportabile, dal fascino abbagliante. La donna che un pomeriggio di fine inverno Guido Guerrieri si trova di fronte nello studio non le assomiglia. Non ha nulla della lucentezza di allora, è diventata una donna opaca. Gli anni hanno infierito su di lei e, come se non bastasse, il figlio Iacopo è in carcere per omicidio volontario. Guido è tutt’altro che convinto, ma accetta lo stesso il caso; forse anche per rendere un malinconico omaggio ai fantasmi, ai privilegi perduti della giovinezza. Comincia cosí, quasi controvoglia, una sfida processuale ricca di colpi di scena, un appassionante viaggio nei meandri della giustizia, insidiosi e a volte letali.

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Gianrico Carofiglio ha scritto racconti, romanzi, saggi. I suoi libri, sempre in vetta alle classifiche dei best seller, sono tradotti in tutto il mondo. Ha creato il popolarissimo personaggio dell’avvocato Guido Guerrieri. Per Einaudi ha scritto il racconto La doppia vita di Natalia Blum raccolto nell’antologia Crimini italiani (Stile libero 2008), Cocaina, con Massimo Carlotto e Giancarlo De Cataldo (Stile libero 2013), Una mutevole verità (Stile libero 2014, Premio Scerbanenco), La regola dell’equilibrio (Stile libero 2014), Passeggeri notturni (Stile libero 2016), L’estate fredda (Stile libero 2016), Le tre del mattino (Stile libero 2017), La versione di Fenoglio (Stile Libero 2019) e… appunto…  La misura del tempo (2019).
Nel 2016 è stato insignito del Premio Vittorio De Sica per la letteratura e del Premio speciale alla carriera della XVII edizione del premio letterario Castelfiorentino di Poesia e Narrativa.

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Colonna sonora della puntata: “Time” dei  Pink Floyd; “Harvest” di  Neil Young; “Have You Ever Seen The Rain” dei Creedence Clearwater Revival.

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MELANIA G. MAZZUCCO con “L’architettrice” (Einaudi) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/01/22/melania-g-mazzucco-con-larchitettrice-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/01/22/melania-g-mazzucco-con-larchitettrice-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/#comments Wed, 22 Jan 2020 18:38:20 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8391 MELANIA G. MAZZUCCO con “L’architettrice” (Einaudi), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

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Ospite della puntata: Melania G. Mazzucco con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “L’architettrice” (Einaudi).

Come nasce “L’architettrice“? Cosa puoi dirci sulla citazione di Ortensia Mancini duchessa di Mazzarino scelta in epigrafe (che dice: “La gloria di una donna consiste nel non far parlare di sé”)? Cosa puoi raccontarci sull’immane lavoro di studio e ricerca propedeutico alla lettura? Com’è la Roma del Seicento in cui si trova a vivere l’architettrice? Cosa puoi dirci sulla struttura del romanzo (la storia narrata in prima persona da Plautilla ambientata nel corso del 1600 e i quattro “intermezzi” ambientati sempre a Roma ma nell’anno 1849)? Ci racconteresti qualcosa sulla famiglia di Plautilla e in particolare sulla figura paterna (ovvero su Giovanni Briccio)? Che tipo di donna è la Plautilla che cresce tra le pagine de L’architettrice? Quali sono, per esempio, le sue peculiarità caratteriali? Quali sono le difficoltà principali che Plautilla incontra nella sua crescita, sia come donna che come artista? Chi è Elpidio Benedetti? In che modo l’incontro con quest’uomo cambia la vita di Plautilla? Cosa puoi dirci sul progetto di costruzione di questa villa sul Gianicolo? Ci parleresti del corredo iconografico che arricchisce il romanzo? Come racconteresti la copertina de “L’architettrice“?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a Melania Mazzucco nel corso della puntata.

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La scheda del libro: “L’architettrice” di Melania G. Mazzucco (Einaudi)

Giovanni Briccio è un genio plebeo, osteggiato dai letterati e ignorato dalla corte: materassaio, pittore di poca fama, musicista, popolare commediografo, attore e poeta. Bizzarro cane randagio in un’epoca in cui è necessario avere un padrone, Briccio educa la figlia alla pittura, e la lancia nel mondo dell’arte come fanciulla prodigio, imponendole il destino della verginità. Plautilla però, donna e di umili origini, fatica a emergere nell’ambiente degli artisti romani, dominato da Bernini e Pietro da Cortona. L’incontro con Elpidio Benedetti, aspirante scrittore prescelto dal cardinal Barberini come segretario di Mazzarino, finirà per cambiarle la vita. Con la complicità di questo insolito compagno di viaggio, diventerà molto piú di ciò che il padre aveva osato immaginare. Melania Mazzucco torna al romanzo storico, alla passione per l’arte e i suoi interpreti. Mentre racconta fasti, intrighi, violenze e miserie della Roma dei papi, e il fervore di un secolo insieme bigotto e libertino, ci regala il ritratto di una straordinaria donna del Seicento, abilissima a non far parlare di sé e a celare audacia e sogni per poter realizzare l’impresa in grado di riscattare una vita intera: la costruzione di una originale villa di delizie sul colle che domina Roma, disegnata, progettata ed eseguita da lei, Plautilla, la prima architettrice della storia moderna.

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Melania G. Mazzucco è autrice di Il bacio della Medusa (1996), La camera di Baltus (1998), Lei cosí amata (2000, Super ET 2012), sulla scrittrice Annemarie Schwarzenbach, Vita (2003, Premio Strega, Super ET 2014), Un giorno perfetto (2005, Super ET 2017), da cui Ferzan Ozpetek trae l’omonimo film. Al pittore veneziano Tintoretto dedica il romanzo La lunga attesa dell’angelo (2008, Premio Bagutta), la monumentale biografia Jacomo Tintoretto & i suoi figli. Storia di una famiglia veneziana (2009, Premio Comisso) e il docufilm Tintoretto. Un ribelle a Venezia (2019), da lei ideato e scritto per Sky Arte, distribuito in tutto il mondo. Nel gennaio 2011 riceve il Premio letterario Viareggio – Tobino come Autore dell’Anno. Per Einaudi ha inoltre pubblicato: Limbo (2012, Premio Bottari Lattes Grinzane, Premio Elsa Morante, Premio Giacomo Matteotti); Il bassotto e la Regina (2012, Premio Frignano Ragazzi 2013); Sei come sei (2013); Il museo del mondo (2014), in cui racconta 52 capolavori dell’arte; Io sono con te (2016, Libro dell’anno di Fahrenheit, Radio 3) e L’architettrice (2019). Ha scritto per il cinema, il teatro e la radio e collabora con «la Repubblica». I suoi romanzi sono tradotti in 27 Paesi.

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Colonna sonora della puntata: musiche di Girolamo Frescobaldi (“Aria con variazioni” e “Aria di baletto”).

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VIOLA ARDONE con “Il treno dei bambini” (Einaudi) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/10/24/viola-ardone-con-il-treno-dei-bambini-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/10/24/viola-ardone-con-il-treno-dei-bambini-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/#comments Thu, 24 Oct 2019 20:52:22 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8306 VIOLA ARDONE con “Il treno dei bambini” (Einaudi), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

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Ospite della puntata: Viola Ardone con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato Il treno dei bambini (Einaudi).

Come nasce “Il treno dei bambini”? Che tipo di città è la Napoli del 1946? Come descriveresti il piccolo Amerigo ai nostri amici ascoltatori? Che bambino è? E Antonietta, la madre di Amerigo? Cosa puoi dirci di lei e del rapporto che la lega al figlio? Cosa si lascia, Amerigo, alle sue spalle? E cosa si trova dinanzi nel momento in cui sale su quel treno e inizia il suo viaggio? Cosa puoi dirci su Derna, che si troverà ad accogliere Amerigo? Chiacchieriamo un po’ anche sui tanti altri personaggi che popolano le pagine del libro? Cosa accade dopo che Amerigo, a un certo punto, scopre la passione per la musica? La voce narrante di Amerigo sei riuscita a trovarla subito? La storia è ambientata nel 1946… ma le tematiche che affronti (scelta, separazione, speranza di una vita migliore) sono anche molto attuali… cosa puoi dirci a riguardo? Viola, quali sono i tuoi riferimenti letterari? Ci sono scrittori del passato che consideri Maestri? Come vivi il tuo rapporto con la scrittura? Sei più una scrittrice estemporanea o metodica? Scrivi cioè più seguendo l’influsso di una ispirazione oppure quando inizi a scrivere una storia ti imponi dei tempi di scrittura rigidi? “Il treno dei bambini” sta beneficiando di un grande riscontro internazionale: da dove deriva questo successo anche a livello internazionale, a tuo avviso? Se dovessi scegliere un brano musicale come possibile colonna sonora di questo tuo nuovo romanzo, quale sceglieresti?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a Viola Ardone nel corso della puntata.

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La scheda del libro: “Il treno dei bambini” di Viola Ardone (Einaudi)

Il treno dei bambini - Viola Ardone - copertinaÈ il 1946 quando Amerigo lascia il suo rione di Napoli e sale su un treno. Assieme a migliaia di altri bambini meridionali attraverserà l’intera penisola e trascorrerà alcuni mesi in una famiglia del Nord; un’iniziativa del Partito comunista per strappare i piccoli alla miseria dopo l’ultimo conflitto. Con lo stupore dei suoi sette anni e il piglio furbo di un bambino dei vicoli, Amerigo ci mostra un’Italia che si rialza dalla guerra come se la vedessimo per la prima volta. E ci affida la storia commovente di una separazione. Quel dolore originario cui non ci si può sottrarre, perché non c’è altro modo per crescere.

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Viola Ardone (Napoli 1974) è laureata in Lettere e ha lavorato per alcuni anni nell’editoria. Autrice di varie pubblicazioni, insegna latino e italiano nei licei. Fra i suoi romanzi ricordiamo: La ricetta del cuore in subbuglio (2013) e Una rivoluzione sentimentale (2016) entrambi editi da Salani. Nel 2019 pubblica con Einaudi Il treno dei bambini.

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Colonna sonora della puntata: Hope Of Deliverance” di Paul McCartney;  – “ La leva calcistica della classe ‘68″ di Francesco De Gregori; “ Off The Ground” di Paul McCartney.

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MAURIZIO DE GIOVANNI con “Il pianto dell’alba” (Einaudi) e “Dodici rose a settembre” (Sellerio) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/09/26/maurizio-de-giovanni-con-il-pianto-dellalba-einaudi-e-dodici-rose-a-settembre-sellerio-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/09/26/maurizio-de-giovanni-con-il-pianto-dellalba-einaudi-e-dodici-rose-a-settembre-sellerio-in-radio-a-letteratitudine/#comments Thu, 26 Sep 2019 16:53:35 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8278 MAURIZIO DE GIOVANNI con “Il pianto dell’alba” (Einaudi) e “Dodici rose a settembre” (Sellerio), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

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Ospite della puntata: Maurizio de Giovanni con cui abbiamo discusso dei sue due nuovi romanzi intitolati, “Il pianto dell’alba. Ultima ombra per il commissario Ricciardi” (Einaudi) e “Dodici rose a Settembre” (Sellerio).

Cosa è stato e cosa è, per te, oggi, il commissario Ricciardi? Che anno è quello in cui viene ambientata questa ultima storia di Ricciardi, il 1934? Cosa puoi dirci sulla vita sentimentale di Ricciardi e sul suo rapporto con Enrica, questa donna che abbiamo imparato a conoscere (e a cui ci siamo affezionati) nel corso dei romanzi precedenti? Se avessi la possibilità di incontrare Ricciardi in quale storia, in quale romanzo, vorresti incontrarlo? E cosa gli diresti? Cosa puoi anticiparci sulla trama di questa ultima storia di Ricciardi? Cosa puoi dirci sull’altro romanzo “Dodici rose a settembre”? È l’inizio di una nuova saga? Come presenteresti ai nostri amici ascoltatori il personaggio di Mina Settembre? Che tipo di donna è? Com’è la sua vita?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a Maurizio de Giovanni nel corso della puntata.

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Il pianto dell'alba. Ultima ombra per il commissario Ricciardi - Maurizio De Giovanni - copertinaLa scheda del libro: “Il pianto dell’alba. Ultima ombra per il commissario Ricciardi” (Einaudi)

Tutto il dolore del mondo, è questo che la vita ha riservato a Ricciardi. Almeno fino a un anno fa. Poi, a dispetto del buonsenso e delle paure, un pezzo di felicità lo ha preso al volo pure lui. Solo che il destino non prevede sconti per chi è condannato dalla nascita a dare compassione ricevendo in cambio sofferenza, e non è dunque su un omicidio qualsiasi che il commissario si trova a indagare nel torrido luglio del 1934. Il morto è l’uomo che per poco non gli ha tolto la speranza di un futuro; il principale sospettato, una donna che lo ha desiderato, e lo desidera ancora, con passione inesauribile. Cosí, prima di scoprire in modo definitivo se davanti a sé, ad attenderlo, c’è una notte perenne o se ogni giorno arriverà l’alba con le sue promesse, deve ancora una volta, piú che mai, affrontare il male. E tentare di ricomporre, per quanto è possibile, ciò che altri hanno spezzato.

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Dodici rose a Settembre - Maurizio De Giovanni - copertinaLa scheda del libro: “Dodici rose a Settembre” (Sellerio)

Gelsomina – detta Mina – Settembre è una borghese napoletana in «trasferta» nei Quartieri Spagnoli; in possesso di una non comune sensibilità sociale, determinata a proteggere i deboli dalle prevaricazioni, anche a dispetto delle regole, Mina è guardata con sospetto dove lavora, perché è pur sempre una «signora». Le sue contraddizioni sembrano riflettersi sul suo corpo; 42 anni ben portati, aggraziata, ma con un fisico prosperoso che non accetta e che cerca di nascondere con maglioni sformati che le attirano pesanti reprimende dall’acida madre, con cui è tornata ad abitare suo malgrado dopo la separazione, e non la preservano dalle volgari attenzioni di Rudy, portinaio anziano ma tutt’altro che rassegnato all’età. Anche la sua vita sentimentale è una contraddizione vivente, sospesa com’è tra Claudio, ex marito magistrato, protettivo e un po’ grigio, ancora innamorato di lei, e Domenico, ginecologo imbranato e inconsapevole che lavora nel suo stesso consultorio. In uno strano mese di settembre in una Napoli luminosa e disperata Mina è alle prese con una penosa situazione di degrado sociale, innocenti da sottrarre alla prevaricazione di un delinquente protetto dalla solita falla legislativa; e una tempesta sentimentale da fronteggiare, con il bel Domenico che non si decide a corteggiarla e la madre, determinata a renderle la vita un vero inferno. Nel frattempo l’ex marito magistrato porta avanti con assoluta riservatezza un’indagine sull’Assassino delle Rose, un pazzo che ammazza gente senza un criterio dopo avergli fatto trovare in casa o sul posto di lavoro una rosa. Quello che Claudio non sa è che anche Mina riceve ogni giorno una rosa. Rossa, come il sangue.

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Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d’inverno, Il purgatorio dell’angelo e Il pianto dell’alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero). Dopo Il metodo del Coccodrillo (Mondadori 2012; Einaudi Stile Libero 2016; Premio Scerbanenco), con I Bastardi di Pizzofalcone (2013) ha dato inizio a un nuovo ciclo contemporaneo (sempre pubblicato da Einaudi Stile Libero e diventato una serie Tv per Rai 1 già alla seconda stagione), continuato con Buio, Gelo, Cuccioli, Pane, Souvenir e Vuoto, che segue le vicende di una squadra investigativa partenopea. Ha partecipato, con Giancarlo De Cataldo, Diego De Silva e Carlo Lucarelli, all’antologia Giochi criminali (2014). Per Rizzoli sono usciti Il resto della settimana (2015), I Guardiani (2017) e Sara al tramonto (2018). I libri di Maurizio de Giovanni sono tradotti in tutto il mondo. Molto legato alla squadra di calcio della sua città, di cui è visceralmente tifoso, de Giovanni è anche autore di opere teatrali.

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Colonna sonora della puntata: “Riffin’ The Scotch” di Billie Holiday; “Rose Rosse per te” di Massimo Ranieri; “Moonglow” di Duke Ellington.

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VALERIA PARRELLA con “Almarina” (Einaudi) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/09/18/valeria-parrella-con-almarina-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/09/18/valeria-parrella-con-almarina-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/#comments Wed, 18 Sep 2019 14:19:29 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8267 VALERIA PARRELLA con “Almarina” (Einaudi), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA SUL PULSANTE “AUDIO MP3″ (in basso), O CLICCA QUI

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Ospite della puntata: Valeria Parrella con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato “Almarina” (Einaudi).

Questo romanzo limpido e intenso forse è una piccola storia d’amore, forse una grande lezione sulla possibilità di non fermarsi. Di espiare, dimenticare, ricominciare.

Come nasce “Almarina“? Perché hai scelto, come epigrafe del libro, proprio questa citazione tratta dalle Lettera dal carcere di Antonio Gramsci? (“E io ti darò notizie di una rosa che ho piantato e di una lucertola che voglio educare.”). Ci parleresti di Nisida? Come descriveresti la protagonista del romanzo, Elisabetta Maiorano? Qual è il contesto in cui Elisabetta si trova a operare? Com’è la vita all’interno del carcere minorile di Nisida? Può una prigione rendere libero chi vi entra? Chi è Almarina? In che modo l’arrivo di Almarina determina un cambiamento rispetto al contesto della classe in cui insegna Elisabetta? Come si evolve il rapporto tra Elisabetta e Almarina? Che tipo di dinamiche si innescano? È davvero possibile ricominciare dopo un’esperienza di reclusione in carcere? Come racconteresti la copertina di questo romanzo?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a Valeria Parrella nel corso della puntata.

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La scheda del libro

Può una prigione rendere libero chi vi entra? Elisabetta insegna matematica nel carcere minorile di Nisida. Ogni mattina la sbarra si alza, la borsa finisce in un armadietto chiuso a chiave insieme a tutti i pensieri e inizia un tempo sospeso, un’isola nell’isola dove le colpe possono finalmente sciogliersi e sparire. Almarina è un’allieva nuova, ce la mette tutta ma i conti non le tornano: in quell’aula, se alzi gli occhi vedi l’orizzonte ma dalla porta non ti lasciano uscire. La libertà di due solitudini raccontata da una voce calda, intima, politica, capace di schiudere la testa e il cuore. Esiste un’isola nel Mediterraneo dove i ragazzi non scendono mai a mare. Ormeggiata come un vascello, Nisida è un carcere sull’acqua, ed è lí che Elisabetta Maiorano insegna matematica a un gruppo di giovani detenuti. Ha cinquant’anni, vive sola, e ogni giorno una guardia le apre il cancello chiudendo Napoli alle spalle: in quella piccola aula senza sbarre lei prova a imbastire il futuro. Ma in classe un giorno arriva Almarina, allora la luce cambia e illumina un nuovo orizzonte. Il labirinto inestricabile della burocrazia, i lutti inaspettati, le notti insonni, rivelano l’altra loro possibilità: essere un punto di partenza. Nella speranza che un giorno, quando questi ragazzi avranno scontato la loro pena, ci siano nuove pagine da riempire, bianche «come il bucato steso alle terrazze».

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Valeria Parrella è nata nel 1974, vive a Napoli. Per minimum fax ha pubblicato le raccolte di racconti mosca piú balena (2003) e Per grazia ricevuta (2005). Per Einaudi ha pubblicato i romanzi Lo spazio bianco (2008, 2010 e 2018), da cui Francesca Comencini ha tratto l’omonimo film, Lettera di dimissioni (2011), Tempo di imparare (2014), la raccolta di racconti Troppa importanza all’amore (2015), Enciclopedia della donna. Aggiornamento (2017) e Almarina (2019). Per Rizzoli ha pubblicato Ma quale amore (2010), ripubblicato da Einaudi nei Super ET nel 2014. È autrice dei testi teatrali Il verdetto (Bompiani 2007), Tre terzi (Einaudi 2009, insieme a Diego De Silva e Antonio Pascale), Ciao maschio (Bompiani 2009) e Antigone (Einaudi 2012). Per Ricordi, in apertura della stagione sinfonica al Teatro San Carlo, ha firmato nel 2011 il libretto Terra su musica di Luca Francesconi. Ha inoltre curato la riedizione italiana de Il Fiume di Rumer Godden (Bompiani 2012). Da anni si occupa della rubrica dei libri di «Grazia» e collabora con «Repubblica».

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

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Colonna sonora della puntata: “Inevitabilmente (Lettera dal carcere)” di Fiorella Mannoia; “Nisida” di Edoardo Bennato; “Canta appress’ a’ nuie” di Edoardo Bennato.

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PREMIO STREGA GIOVANI 2019: vince MARCO MISSIROLI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/06/11/premio-strega-giovani-2019-vince-marco-missiroli/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/06/11/premio-strega-giovani-2019-vince-marco-missiroli/#comments Tue, 11 Jun 2019 21:16:02 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8179 image Ascolta la puntata radiofonica di Letteratitudine dedicata a “Fedeltà” (cliccando qui): Marco Missiroli in conversazione con Massimo Maugeri

imageMarco Missiroli con il romanzo Fedeltà (Einaudi) è il vincitore della sesta edizione del Premio Strega Giovani, promosso dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e da Strega Alberti con il contributo della Camera di Commercio di Roma e in collaborazione con BPER Banca. La cerimonia di proclamazione si è svolta oggi pomeriggio a Palazzo Montecitorio (Sala della Regina) alla presenza del Presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico.

Quello di Marco Missiroli, con 55 preferenze su 408 voti espressi, è stato il libro più votato da una giuria composta da ragazze e ragazzi di età compresa tra i 16 e i 18 anni. Al secondo e al terzo posto si sono classificati ex aequo i libri di Marina Mander, L’età straniera (Marsilio), e di Nadia Terranova, Addio fantasmi (Einaudi), che hanno ottenuto 45 voti. I tre libri più votati dai ragazzi ricevono un voto valido per la designazione dei finalisti al Premio Strega.

La giuria è composta dagli studenti di circa 55 licei e istituti tecnici diffusi su tutto il territorio italiano e all’estero (Berlino, Bruxelles, Parigi). Come nella scorsa edizione hanno partecipato alla votazione i ragazzi del Carcere minorile di Nisida, rappresentati in sala dall’insegnante Maria Franco, e le scuole di Casal di Principe e di San Cipriano D’Aversa, che avevano incontrato i dodici candidati lo scorso 13 maggio.

Durante la cerimonia, condotta dalla scrittrice e giornalista di Radio Tre Loredana Lipperini, sono intervenuti Giovanni Soliminee Stefano Petrocchi, Presidente e Direttore della Fondazione Bellonci, Giuseppe D’Avino, Presidente di Strega Alberti Benevento, la scrittrice Lia Levi, vincitrice del Premio Strega Giovani 2018, e Ermanno Ruozzi, Direttore Area territoriale della Campania di Bper Banca, che ha assegnato il premio “Teen! Un premio alla scrittura” a Daniele Camagna dell’I.I.S. Celestino Rosatelli di Rieti, autore della recensione migliore a uno dei libri concorrenti. Lo studente vincitore riceverà una borsa di studio di 1.000 euro offerta dalla Banca.

Era presente fra gli ospiti Rosa Maria Dell’Aria, la docente dell’istituto tecnico Vittorio Emanuele III di Palermo che ha scelto di inserire la lettura del romanzo di Lia Levi premiato nella scorsa edizione, Questa sera è già domani, in un percorso tematico tra letteratura e storia a ottant’anni dall’introduzione in Italia delle leggi razziali.

Alla cerimonia è intervenuta la cantautrice e scrittrice Maria Antonietta, che ha eseguito i brani musicali Deluderti, Vergine,Questa è la mia festa e Saliva.

L’incontro è stato trasmesso in diretta streaming.

Gli autori concorrenti si ritroveranno presso il Tempio di Adriano – Camera di Commercio di Roma mercoledì 12 giugno alle ore 21 per l’annuncio dei finalisti al Premio Strega 2019. Il seggio sarà presieduto da Helena Janeczek, vincitrice del Premio Strega 2018.

Sarà possibile seguire lo scrutinio dei voti in diretta streaming su Rai Cultura, a partire dalle ore 20.30.

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EVELINA SANTANGELO con “Da un altro mondo” (Einaudi) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/11/14/evelina-santangelo-con-da-un-altro-mondo-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/11/14/evelina-santangelo-con-da-un-altro-mondo-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/#comments Wed, 14 Nov 2018 18:29:57 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8016 Evelina Santangelo con “Da un altro mondo” (Einaudi), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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Ospite della puntata: Evelina Santangelo con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo – intitolato “Da un altro mondo” (Einaudi) – e delle tematiche in esso affrontate.

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Come nasce il tuo rapporto con la scrittura? Puoi raccontarci qualcosa dei tuoi inizi? Dal punto di vista della lettura quali sono stati i tuoi punti di riferimento letterari? Come nasce questo tuo nuovo romanzo? Come mai il romanzo è dedicato «A chi non è arrabbiato»? Cosa ti ha spinta a conferire a questa storia alcuni connotati fantastici (parlando di fantasmi)? Perché hai scelto di ambientare la storia con riferimento temporale lievemente spostato in avanti (nel 2020)? Chi è Khaled, questo un ragazzino presumibilmente siriano, arrivato in Europa con il fratello e la promessa di un lavoro? Cosa puoi dirci di lui? E Karolina, che è alla ricerca affannosa e struggente del figlio Andreas, che tipo di donna è? Che ruolo ha, nell’economia della storia, questo trolley rosso da cui Khaled non si stacca mai? Può essere considerato alla stregua di un personaggio letterario? Cosa puoi dirci sul maresciallo Vitale e su Orso, altri personaggi letterari presenti nel romanzo? Potresti raccontarci qualcosa sulla fase propedeutica alla scrittura del romanzo (le ricerche, i viaggi intrapresi sui luoghi narrati)?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a Evelina Santangelo nel corso della puntata

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Il libro

Forse, per toccare il cuore della realtà, bisogna parlare di fantasmi. Forse ha senso trovare – oltre a una lingua, uno sguardo, una voce – una via diversa. È quello che ha fatto Evelina Santangelo in questo romanzo unico, feroce e contemporaneo, in cui i destini dei vivi e dei morti s’incrociano senza rumore. Cosí come le esistenze di chi cova la rabbia e di chi la subisce. Perché «il mistero dei bambini viventi» chiama in causa il nostro mondo e lo interroga con una forza politica rara: quella della letteratura quando ha il coraggio d’immaginare il presente e il futuro.

Le impronte sul mare sono le piú crudeli. A parte chi le lascia nessun altro le vede. Ora l’acqua vibra spinta dal vento in piccole onde bianche, a migliaia, verso il largo: e mentre si aspetta l’arrivo dell’anticiclone, strane apparizioni sconvolgono l’Europa. Ma a noi è dato seguire il destino di poche persone. Una donna, un ragazzo e un bambino. Da quando suo figlio è scomparso, Karolina è una madre disarmata, fa scorrere i giorni persa nell’attesa. Sistema il letto di Andreas come se lui dovesse rientrare a casa la sera, ma non lo vede da molto tempo, e sa che nel suo computer ruggiscono filmati estremisti che fanno tremare. Khaled è un ragazzino forse siriano, arrivato in Europa con il fratello e la promessa di un lavoro. Ora è rimasto solo e non ha piú niente di cui aver cura, a parte quel trolley rosso che non molla mai. Lí dentro tiene il suo segreto. Tra sbarchi di clandestini in massa e pattuglie della polizia che presidiano il Paese, una nuova inquietudine infesta i sonni della gente: torme di bambini evanescenti che occupano lo spazio in silenzio, con uno sguardo che fa paura. «Il mistero dei bambini viventi», lo definisce qualcuno. Ma tutti i personaggi del romanzo di Evelina Santangelo sono spiriti nascosti, fiammate bianche che arrivano dai roghi piú profondi. E hanno da raccontarci qualcosa d’importante che la forza della letteratura fa detonare, pagina dopo pagina, verso un finale sorprendente. Perché alla fine Da un altro mondo è anche un romanzo d’amore, di quel genere di amori che travalicano i confini ordinari dell’amore.

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Evelina Santangelo è nata a Palermo. Presso Einaudi ha pubblicato nel 2000 la raccolta di racconti L’occhio cieco del mondo (con cui ha vinto i premi Berto, Fiesole, Mondello opera prima, Chiara, Gandovere-Franciacorta), i romanzi La lucertola color smeraldo (2003), Il giorno degli orsi volanti (2005), Senzaterra (2008), Cose da pazzi (2012), Non va sempre cosí (2015) e Da una altro mondo (2018). Suoi racconti sono apparsi nelle antologie Disertori e Ragazze che dovresti conoscere (Einaudi Stile Libero, 2000 e 2004), Principesse azzurre 2 (Oscar Mondadori, 2004) e Deandreide (Rizzoli Bur, 2006). Con il racconto Presenze ha partecipato all’antologia L’agenda ritrovata. Sette racconti per Paolo Borsellino (Feltrinelli, 2017). Ha anche tradotto Firmino di Sam Savage, Rock’n'roll di Tom Stoppard, e curato Terra matta di Vincenzo Rabito.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: “Eleanor Rigby” dei Beatles; “A Trick of the Tail” dei Genesis; “Eleanor Rigby”, versione di Aretha Franklin.

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NADIA TERRANOVA con “Addio fantasmi” (Einaudi) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/10/24/nadia-terranova-con-addio-fantasmi-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/10/24/nadia-terranova-con-addio-fantasmi-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/#comments Wed, 24 Oct 2018 16:58:06 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7980 Nadia Terranova con “Addio fantasmi” (Einaudi), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

Libro finalista all’edizione 2019 del Premio Strega

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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Ospite della puntata: la scrittrice Nadia Terranova con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Addio fantasmi” (Einaudi).

Come nasce il rapporto di Nadia Terranova con la scrittura e con la lettura? Come sono stati i suoi inizi? Quali, i suoi punti di riferimento letterari? Nadia Terranova è più una scrittrice “estemporanea” (che scrive nei momenti in cui si sente più ispirata) o “metodica”? Come nasce questo suo nuovo romanzo, “Addio fantasmi”? Che tipo di donna è Ida, la protagonista della storia? E che tipo di conseguenze ha avuto sulla vita di Ida la scomparsa del padre? Che tipo di rapporto si è venuto a creare con la madre? Che ruolo hanno i ricordi all’interno della storia? Che differenza c’è tra scrivere storie per ragazzi e scrivere un romanzo come “Addio Fantasmi”?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a Nadia Terranova nel corso della puntata

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Il libro

Copertina del libro Addio fantasmi di Nadia TerranovaIda è appena sbarcata a Messina, la sua città natale: la madre l’ha richiamata in vista della ristrutturazione dell’appartamento di famiglia, che vuole mettere in vendita. Circondata di nuovo dagli oggetti di sempre, di fronte ai quali deve scegliere cosa tenere e cosa buttare, è costretta a fare i conti con il trauma che l’ha segnata quando era solo una ragazzina. Ventitre anni prima suo padre è scomparso. Non è morto: semplicemente una mattina è andato via e non è piú tornato. Sulla mancanza di quel padre si sono imperniati i silenzi feroci con la madre, il senso di un’identità fondata sull’anomalia, persino il rapporto con il marito, salvezza e naufragio insieme. Specchiandosi nell’assenza del corpo paterno, Ida è diventata donna nel dominio della paura e nel sospetto verso ogni forma di desiderio. Ma ora che la casa d’infanzia la assedia con i suoi fantasmi, lei deve trovare un modo per spezzare il sortilegio e far uscire il padre di scena.

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Nadia Terranova (Messina, 1978) vive a Roma. Per Einaudi Stile Libero ha scritto il romanzo Gli anni al contrario (2015, vincitore di numerosi premi tra cui il Bagutta Opera Prima, il Brancati e l’americano The Bridge Book Award) e Addio fantasmi (2018). Ha scritto anche diversi libri per ragazzi, tra cui Bruno il bambino che imparò a volare (Orecchio Acerbo 2012) e Casca il mondo (Mondadori 2016), È tradotta in francese, spagnolo, polacco, lituano. Collabora con «la Repubblica» e altre testate.

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La colonna sonora della puntata: “I Still Haven’t Found What I’m Looking For” degli U2; “Arabian song” di Franco Battiato; “I will follow” degli U2.

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PAOLO GIORDANO con “Divorare il cielo” (Einaudi) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/10/17/paolo-giordano-con-divorare-il-cielo-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/10/17/paolo-giordano-con-divorare-il-cielo-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/#comments Wed, 17 Oct 2018 16:50:27 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7971 Paolo Giordano con “Divorare il cielo” (Einaudi), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

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Ospite della puntata: lo scrittore Paolo Giordano con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Divorare il cielo” (Einaudi).

La scheda del libro
Le estati a Speziale per Teresa non passano mai. Giornate infinite a guardare la nonna che legge gialli e suo padre, lontano dall’ufficio e dalla moglie, che torna a essere misterioso e vitale come la Puglia in cui è nato. Poi un giorno li vede. Sono «quelli della masseria», molte leggende li accompagnano, vivono in una specie di comune, non vanno a scuola ma sanno moltissime cose. Credono in Dio, nella terra, nella reincarnazione. Tre fratelli ma non di sangue, ciascuno con un padre manchevole, inestricabilmente legati l’uno all’altro, carichi di bramosia per quello che non hanno mai avuto. A poco a poco, per Teresa, quell’angolo di campagna diventa l’unico posto al mondo. Il posto in cui c’è Bern. Il loro è un amore estivo, eppure totale. Il desiderio li guida e li stravolge, il corpo è il veicolo fragile e forte della loro violenta aspirazione al cielo. Perché Bern ha un’inquietudine che Teresa non conosce, un modo tutto suo di appropriarsi delle cose: deve inghiottirle intere. La campagna pugliese è il teatro di questa storia che attraversa vent’anni e quattro vite. I giorni passati insieme a coltivare quella terra rossa, curare gli ulivi, sgusciare montagne di mandorle, un anno dopo l’altro, fino a quando Teresa rimarrà la sola a farlo. Perché il giro delle stagioni è un potente ciclo esistenziale, e la masseria il centro esatto dell’universo.

Paolo Giordano è nato a Torino nel 1982. È autore di quattro romanzi: La solitudine dei numeri primi (Mondadori 2008, Premio Strega e Premio Campiello Opera Prima), Il corpo umano (Mondadori 2012), Il nero e l’argento (Einaudi 2014) e Divorare il cielo (Einaudi 2018). Ha scritto per il teatro (Galois e Fine pena: ora) e collabora con il «Corriere della Sera».

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La colonna sonora della puntata: “I Don’t Know”, “Come On To Me” e “Confidante” di Paul McCartney (dall’album “Egypt Station”, 2008)

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MARCO BALZANO con “Resto qui” (Einaudi) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/06/27/marco-balzano-con-resto-qui-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/06/27/marco-balzano-con-resto-qui-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/#comments Wed, 27 Jun 2018 15:00:02 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7853 MARCO BALZANO con “Resto qui” (Einaudi), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)


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Ospite della puntata: Marco Balzano, autore di “Resto qui” (Einaudi): romanzo finalista al Premio Strega 2018.

Con Marco Balzano abbiamo discusso del romanzo e delle tematiche a esso legate.

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Quando arriva la guerra o l’inondazione, la gente scappa. La gente, non Trina. Caparbia come il paese di confine in cui è cresciuta, sa opporsi ai fascisti che le impediscono di fare la maestra. Non ha paura di fuggire sulle montagne col marito disertore. E quando le acque della diga stanno per sommergere i campi e le case, si difende con ciò che nessuno le potrà mai togliere: le parole.

L’acqua ha sommerso ogni cosa: solo la punta del campanile emerge dal lago. Sul fondale si trovano i resti del paese di Curon. Siamo in Sudtirolo, terra di confini e di lacerazioni: un posto in cui nemmeno la lingua materna è qualcosa che ti appartiene fino in fondo. Quando Mussolini mette al bando il tedesco e perfino i nomi sulle lapidi vengono cambiati, allora, per non perdere la propria identità, non resta che provare a raccontare. Trina è una giovane madre che alla ferita della collettività somma la propria: invoca di continuo il nome della figlia, scomparsa senza lasciare traccia. Da allora non ha mai smesso di aspettarla, di scriverle, nella speranza che le parole gliela possano restituire. Finché la guerra viene a bussare alla porta di casa, e Trina segue il marito disertore sulle montagne, dove entrambi imparano a convivere con la morte. Poi il lungo dopoguerra, che non porta nessuna pace. E cosí, mentre il lettore segue la storia di questa famiglia e vorrebbe tendere la mano a Trina, all’improvviso si ritrova precipitato a osservare, un giorno dopo l’altro, la costruzione della diga che inonderà le case e le strade, i dolori e le illusioni, la ribellione e la solitudine. Una storia civile e attualissima, che cattura fin dalla prima pagina. Il nuovo grande romanzo del vincitore del Premio Campiello 2015, già venduto in diversi Paesi prima della pubblicazione.

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Marco Balzano è nato a Milano nel 1978, dove vive e lavora come insegnante. Oltre a raccolte di poesie e saggi ha pubblicato tre romanzi: Il figlio del figlio (Avagliano 2010; Sellerio 2016, Premio Corrado Alvaro Opera prima), Pronti a tutte le partenze (Sellerio 2013, Premio Flaiano) e L’ultimo arrivato (Sellerio 2014, Premio Volponi, Premio Biblioteche di Roma, Premio Fenice Europa e Premio Campiello 2015). Per Einaudi ha pubblicato Resto qui (2018). I suoi libri sono tradotti in diversi Paesi.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: “My Foolish Heart” di Bill Evans; “La gente sta male” degli Afterhours; “The Two Lonely People” di Bill Evans.

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PAOLO COGNETTI con “Le otto montagne” (Einaudi) vince il PREMIO STREGA 2017 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/07/07/paolo-cognetti-con-le-otto-montagne-einaudi-vince-il-premio-strega-2017/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/07/07/paolo-cognetti-con-le-otto-montagne-einaudi-vince-il-premio-strega-2017/#comments Thu, 06 Jul 2017 22:35:42 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7572 PAOLO COGNETTI con “Le otto montagne” (Einaudi) è il vincitore dell’edizione 2017 del PREMIO STREGA.

(Paolo Cognetti vincitore del LXXI Premio Strega ©Musacchio / Ianniello / Pasqualini)

Nel corso della serata sono stati trasmessi dei video in diretta dalla pagina Facebook di Letteratitudine

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Come da tradizione gli Amici della domenica si sono riuniti nel giardino del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia dove Edoardo Albinati, vincitore del Premio Strega 2016, ha presieduto il seggio di voto.

La somma dei voti elettronici e delle schede cartacee 545 su 660 aventi diritto, ha portato alla vittoria il romanzo di Paolo Cognetti Le otto montagne (Einaudi), con 208 voti. Seguono Teresa Ciabatti con La più amata (Mondadori), 119 voti; Wanda Marasco con La compagnia delle anime finte (Neri Pozza), 87 voti; Matteo Nucci, con È giusto obbedire alla notte (Ponte alle Grazie), 79 voti e Alberto Rollo con Un’educazione milanese (Manni), 52 voti.

Questo risultato comprende i voti dei 400 Amici della domenica, di 40 lettori forti selezionati da librerie indipendenti italiane associate all’ALI e di 20 voti collettivi provenienti da Biblioteche di Roma, scuole e università. Da quest’anno si sono aggiunti 200 voti espressi da studiosi, traduttori e intellettuali italiani e stranieri selezionati da 20 Istituti Italiani di cultura all’estero, per un totale di 660 aventi diritto.

Paolo Cognetti è andato anche il Premio Strega Giovani,  la targa è stata consegnata nel corso della serata.

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Di seguito, riproponiamo la puntata radiofonica di Letteratitudine in Fm, con ospite Paolo Cognetti, dedicata a “Le otto montagne” (Einaudi).

Subito dopo, l’Autoracconto scritto dallo stesso Cognetti

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In Fm e in streaming su Radio Hinterland

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO

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Con Paolo Cognetti abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato “Le otto montagne” (Einaudi) e delle tematiche a esso legate.

Paolo Cognetti, con “Le otto montagne“, ha anche vinto il Premio Strega Giovani 2017

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PAOLO COGNETTI racconta il suo romanzo LE OTTO MONTAGNE (Einaudi)

di Paolo Cognetti

paolo-cognettiHo cominciato a scrivere Le otto montagne un giorno di giugno del 2014, scendendo con il mio amico montanaro per una gola che chiamano Vallone della Forca. È un toponimo comune sulle Alpi: la forca o forcella è un passo particolarmente angusto, che noi avevamo appena superato per buttarci giù dall’altra parte. Ci lasciavamo alle spalle un posto a cui, per motivi diversi, siamo entrambi legati. Un sentiero interrotto da una frana, una conca in cui raramente s’incontra qualcuno, un grande lago dall’aria cupa, gli ultimi boschi, ruderi, pietraie. Il posto che poi è al centro di questo romanzo che ho scritto. Camminando io e il mio amico non parliamo molto, però ci piace ogni tanto indicare le cose e condividere con l’altro i ricordi che alle cose sono legati. Su quel sentiero c’è la baita col tetto di lamiera dove io ho passato una notte, anni fa, senza chiudere occhio sotto il temporale, e poco dopo l’alpeggio in cui la mamma del mio amico saliva da bambina, in groppa a un mulo che ragliava alla luna. C’è il punto in cui lui ha bivaccato in primavera, illudendosi di passare una notte romantica con la sua futura moglie furibonda, e quello in cui io a dodici anni ho piantato la tenda con mio padre, dopo aver fatto il bagno nel lago e cantato davanti al fuoco. Queste storie le conosciamo già, ce le siamo raccontate tante volte, ma camminando per quei posti non è noioso riascoltarle, è come veder riaffiorare nell’altro i ricordi e si è contenti di essere lì mentre succede, onorati di venire accolti in quel luogo così privato. Noi due ci stupiamo sempre di aver condiviso gli stessi sentieri in una vita precedente, ed è probabile che una volta o l’altra ci siamo pure incontrati – io un bambino di città che camminava davanti a suo padre, lui un ragazzo di montagna scontroso e solitario – senza poter immaginare che in un futuro lontano vent’anni saremmo diventati amici. Queste sono le cose che di solito ci diciamo, e ce le saremo ripetute anche quella mattina di giugno.
Poi avevamo superato il colle, la forca. Ecco un’altra sensazione che mi piace tanto in montagna: quegli ultimi metri prima dello spartiacque, il senso improvviso di apertura, il momento in cui puoi guardare di là e di colpo ti si stende davanti un mondo nuovo. Nessuno di noi due si era mai spinto in quel vallone. Non avevamo più racconti di là, niente più ricordi, niente più malinconia: prendevano il loro posto l’allegria della discesa e l’ebbrezza dell’esplorazione. L’altro versante era tutto diverso dal nostro, una gola sassosa che precipitava verso il fondovalle. In inverno aveva nevicato parecchio, così nel tratto più alto, anche se ormai era estate, ci buttammo giù scivolando per i nevai ghiacciati, il mio amico con la sua tecnica della raspa che più tardi gli sarebbe costata una caviglia, io a balzi perché non so sciare. In basso poi la neve finiva e cominciava un bosco secco, di larice e pino silvestre, con un sottobosco di erbe alte in cui il sentiero spesso si perdeva. Ma a noi piace quando in montagna si perde il sentiero, e te ne devi inventare uno. E a me personalmente piace essere quello che lo inventa, ma anche essere quello che segue l’inventore. Quella volta il mio amico andava avanti e io ero contento di seguire i percorsi tracciati da lui, perché dovevo pensare.
https://i2.wp.com/static.lafeltrinelli.it/static/frontside/xxl/5/7327005_2044687.jpgEcco a cosa stavo pensando: da tempo volevo scrivere una storia di montagna, di padri e figli e di amicizia maschile. Credo di avere appena spiegato perché questi temi nella mia testa sono tanto legati tra loro. Sapevo che ci sarebbe stata una montagna intorno alla mia storia, un padre all’inizio di tutto, e due amici al centro; e sapevo che il suo respiro sarebbe stato più ampio del solito, per i modelli che avevo in mente e per la scrittura che volevo ottenere. Ero in cerca del mio Due di due e del mio Narciso e Boccadoro, del mio In mezzo scorre il fiume e del mio Gente del Wyoming. E quel giorno, nel Vallone della Forca, andando dietro al mio amico fuori dal sentiero, mi ricordo di aver pensato: ma ce l’hai già, questa storia, è tutta qui, non la vedi? La devi solo raccontare. Hai i personaggi, i ricordi, i luoghi, non ti resta che mettere insieme i pezzi e trovare le parole. Soprattutto hai la cosa più importante, e cioè il sentire che questa storia è viva dentro di te, è vera, ti accompagna da sempre, e adesso che l’hai vista non puoi più pensare ad altro che a scriverla. Vai a casa e comincia. Di colpo c’ero già dentro fino al collo.
Poi me la sono presa comoda, perché ci ho messo due anni. Fosse stato per me, ne avrei impiegati anche tre o quattro. Io sarei come quei pittori che la mattina si alzano, si stiracchiano, guardano il quadro per un’ora o due, poi danno una pennellata e la giornata di lavoro è finita. Ma per fortuna con il lavoro bisogna anche guadagnarsi da vivere: dico che è una fortuna perché, per quelli come me, il morso della vita alle chiappe della scrittura fa un gran bene, aiuta a non stare troppo comodi e a non perdersi nei propri vizi. Ci ho messo due anni ma avrebbero potuto essere pochi mesi. Ho idea che non sarebbe cambiato nulla: questa storia è uscita così com’è, non ho riscritto quasi niente, non ho fatto prove ed errori, non ho buttato pagine su pagine, non mi sono mai sentito in crisi per non sapere dove andare, e a metà del lavoro ho addirittura abbandonato i miei amati quaderni perché non servivano più, potevo scrivere direttamente in bella. È una sensazione magnifica quando succede così. La scrittura esce dalle mani e non hai che da seguire la storia fino alla fine. Mi ricordo i giorni in cui scrivevo l’ultimo capitolo, di nuovo in giugno, lavorando per ore come non mi era mai successo, sentendo che non potevo permettermi di fermarmi, aspettare, perdere tempo, perdere il ritmo: uscivo a camminare, tornavo a casa e mi rimettevo a scrivere. Sono arrivato all’ultima frase negli stessi giorni dell’anno, dentro la stessa baita, sullo stesso tavolo dove avevo scritto la prima. Così come avevo pensato comincia!, ho pensato: ho finito. E adesso è questo libro. Non so se mi ricapiterà mai, è stata una gran bella avventura.

(Riproduzione riservata)

© Paolo Cognetti

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Il libro
«Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa».
La montagna non è solo neve e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio, tempo e misura.
Lo sa bene Paolo Cognetti, che tra una vetta e una baita ambienta questo potentissimo romanzo.
Una storia di amicizia tra due ragazzi – e poi due uomini – cosí diversi da assomigliarsi, un viaggio avventuroso e spirituale fatto di fughe e tentativi di ritorno, alla continua ricerca di una strada per riconoscersi.
Pietro è un ragazzino di città, solitario e un po’ scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico, un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia. I genitori di Pietro sono uniti da una passione comune, fondativa: in montagna si sono conosciuti, innamorati, si sono addirittura sposati ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. La montagna li ha uniti da sempre, anche nella tragedia, e l’orizzonte lineare di Milano li riempie ora di rimpianto e nostalgia.
Quando scoprono il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, sentono di aver trovato il posto giusto: Pietro trascorrerà tutte le estati in quel luogo «chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe che ne ostacola l’accesso» ma attraversato da un torrente che lo incanta dal primo momento. E lí, ad aspettarlo, c’è Bruno, capelli biondo canapa e collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si occupa del pascolo delle vacche.
Iniziano cosí estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri piú aspri. Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, «la cosa piú simile a un’educazione che abbia ricevuto da lui». Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito piú vero: «Eccola lí, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino». Un’eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà a Bruno.
Paolo Cognetti, uno degli scrittori piú apprezzati dalla critica e amati dai lettori, entra nel catalogo Einaudi con un libro magnetico e adulto, che esplora i rapporti accidentati ma granitici, la possibilità di imparare e la ricerca del nostro posto nel mondo.

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Paolo Cognetti (Milano, 1978) ha realizzato per minimum fax la serie Scrivere / New York, nove puntate su altrettanti scrittori newyorkesi, da cui è tratto il documentario Il lato sbagliato del ponte, viaggio tra gli scrittori di Brooklyn. La sua passione per New York si è concretizzata in due guide: New York è una finestra senza tende (Laterza 2010) e Tutte le mie preghiere guardano verso ovest (edt 2014). Per Einaudi ha curato l’antologia New York Stories (2015) e ha pubblicato il romanzo Le otto montagne (2016).
Il suo blog è paolocognetti.blogspot.it.

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PAOLO COGNETTI (con “Le otto montagne” – Einaudi) a “Letteratitudine in Fm” http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/06/21/in-radio-con-paolo-cognetti/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/06/21/in-radio-con-paolo-cognetti/#comments Wed, 21 Jun 2017 14:02:27 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7554 PAOLO COGNETTI (con “Le otto montagne” – Einaudi) ospite del programma radiofonico Letteratitudine in Fm di lunedì 19 giugno 2017 – h. 10 circa (e in replica nei seguenti 3 appuntamenti: giovedì alle h. 03:00 del mattino; venerdì alle h. 13:00; domenica alle h. 03:00 del mattino)

In Fm e in streaming su Radio Hinterland

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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Con Paolo Cognetti abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato “Le otto montagne” (Einaudi) e delle tematiche a esso legate.

Paolo Cognetti, con “Le otto montagne“, ha vinto il Premio Strega Giovani 2017 ed è tra i cinque finalisti dell’edizione in corso del Premio Strega.

Di seguito, informazioni sul libro.

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“Le otto montagne” di Paolo Cognetti (Einaudi)

Vincitore del Premio ITAS del Libro di Montagna 2017, Sezione Migliore opera narrativa, Vincitore del Premio Strega Giovani 2017, tra i cinque finalisti dell’edizione in corso del Premio Strega

Presentato da Cristina Comencini e Benedetta Tobagi.

La montagna non è solo neve e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio, tempo e misura. Lo sa bene Paolo Cognetti, che tra una vetta e una baita ambienta questo potentissimo romanzo.

«Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa.»

Pietro è un ragazzino di città, solitario e un po’ scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico, un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia. I genitori di Pietro sono uniti da una passione comune, fondativa: in montagna si sono conosciuti, innamorati, si sono addirittura sposati ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. La montagna li ha uniti da sempre, anche nella tragedia, e l’orizzonte lineare di Milano li riempie ora di rimpianto e nostalgia. Quando scoprono il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, sentono di aver trovato il posto giusto: Pietro trascorrerà tutte le estati in quel luogo “chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe che ne ostacola l’accesso” ma attraversato da un torrente che lo incanta dal primo momento. E li, ad aspettarlo, c’è Bruno, capelli biondo canapa e collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si occupa del pascolo delle vacche. Iniziano così estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri più aspri. Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, “la cosa più simile a un’educazione che abbia ricevuto da lui”. Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito più vero: “Eccola li, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino”. Un’eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà a Bruno.

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Paolo Cognetti (Milano, 1978) ha realizzato per minimum fax la serie Scrivere / New York, nove puntate su altrettanti scrittori newyorkesi, da cui è tratto il documentario Il lato sbagliato del ponte, viaggio tra gli scrittori di Brooklyn. La sua passione per New York si è concretizzata in due guide: New York è una finestra senza tende (Laterza 2010) e Tutte le mie preghiere guardano verso ovest (edt 2014). Per Einaudi ha curato l’antologia New York Stories (2015) e ha pubblicato il romanzo Le otto montagne (2016).
Il suo blog è paolocognetti.blogspot.it.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: “One Tree Hill” degli U2; “Society” di Eddie Vedder.

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa), con una serie di repliche nei giorni successivi. Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

È possibile ascoltare le puntate precedenti, cliccando qui.


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GIANRICO CAROFIGLIO (con “L’estate fredda” – Einaudi) e “Il mestiere dello scrittore” (di Murakami Haruki) a “Letteratitudine in Fm” http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/04/26/in-radio-con-gianrico-carofiglio-e-murakami-haruki/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/04/26/in-radio-con-gianrico-carofiglio-e-murakami-haruki/#comments Wed, 26 Apr 2017 13:54:52 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7491 GIANRICO CAROFIGLIO (con “L’estate fredda” – Einaudi) e “Il mestiere dello scrittore” (di Murakami Haruki) nel programma radiofonico Letteratitudine in Fm di lunedì 24 aprile 2017 – h. 10 circa (e in replica nei seguenti 3 appuntamenti: giovedì alle h. 03:00 del mattino; venerdì alle h. 13:00; domenica alle h. 03:00 del mattino)


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Con Gianrico Carofiglio abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato “L’estate fredda” (Einaudi)

Nella seconda parte della puntata, Massimo Maugeri ha introdotto il volume “Il mestiere dello scrittore” di Murakami Haruki (Einaudi)

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L'estate fredda“L’estate fredda” di Gianrico Carofiglio (Einaudi)

Siamo nel 1992, tra maggio e luglio. A Bari, come altrove, sono giorni di fuoco, fra agguati, uccisioni, casi di lupara bianca. Quando arriva la notizia che un bambino, figlio di un capo clan, è stato rapito, il maresciallo Pietro Fenoglio capisce che il punto di non ritorno è stato raggiunto. Adesso potrebbe accadere qualsiasi cosa. Poi, inaspettatamente, il giovane boss che ha scatenato la guerra, e che tutti sospettano del sequestro, decide di collaborare con la giustizia. Nella lunga confessione davanti al magistrato, l’uomo ripercorre la propria avventura criminale in un racconto ipnotico animato da una forza viva e diabolica; da quella potenza letteraria che Gadda attribuiva alla lingua dei verbali. Ma le dichiarazioni del pentito non basteranno a far luce sulla scomparsa del bambino. Per scoprire la verità Fenoglio sarà costretto a inoltrarsi in quel territorio ambiguo dove è piú difficile distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Ambientato al tempo delle stragi di Palermo, L’estate fredda offre uno sguardo pauroso sulla natura umana, ma ci regala anche un protagonista di straordinaria, commovente dignità. E, alla fine, un inatteso bagliore di speranza.

«Fenoglio sapeva benissimo che quel caso lo avrebbe ossessionato fino a quando non fossero riusciti a risolverlo. Il problema era: non esisteva nessuna certezza che sarebbero riusciti a risolverlo. Non esiste mai».

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Gianrico Carofiglio (Bari, 30 maggio 1961) ha scritto racconti, romanzi, saggi. I suoi libri, sempre in vetta alle classifiche dei best seller, sono tradotti in tutto il mondo. Ha inventato il popolarissimo personaggio dell’avvocato Guido Guerrieri, cui è stata dedicata una serie televisiva di successo. Per Einaudi ha scritto il racconto La doppia vita di Natalia Blum raccolto nell’antologia Crimini italiani, Cocaina, con Massimo Carlotto e Giancarlo De Cataldo (Stile libero 2013), Una mutevole verità (Stile libero 2014), La regola dell’equilibrio (Stile Libero 2014 e Super ET 2016), Passeggeri notturni (Stile Libero 2016) e L’estate fredda (Stile Libero 2016).

PREMIO SPECIALE alla carriera della XXVII edizione del premio letterario Castelfiorentino di Poesia e Narrativa 2016.

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Il mestiere dello scrittore“Il mestiere dello scrittore” (di Murakami Haruki)

Come si impara a scrivere? Esistono dei veri e propri esercizi per l’aspirante romanziere? Cosa determina l’originalità di un libro? È giusto assegnare ai premi letterari tanta importanza? Uno scrittore dove «trova» i personaggi da mettere in scena? La scuola prepara davvero alla vita o serve solo a rendere i ragazzi conformisti? Qual è l’importanza della forma fisica per un romanziere? E soprattutto: per chi si scrive? Con Il mestiere dello scrittore Murakami Haruki compie un gesto straordinario e inaspettato: fa entrare i suoi lettori nell’intimità del suo laboratorio creativo, li fa accomodare al tavolo di lavoro e dispiega davanti a loro i segreti della sua scrittura. Sono «chiacchiere di bottega», confidenze, suggerimenti, che presto però si aprono a qualcosa di piú: una riflessione sull’immaginazione, sul tempo e l’identità, sul conflitto creativo tra forma e libertà. In questo senso Il mestiere dello scrittore è anche un’autentica autobiografia letteraria di uno degli autori piú schivi del pianeta. È un libro pieno di curiosità e rivelazioni sul mondo di Murakami: dal fatto che la sua prima e piú importante editor è la moglie, che legge tutto quello che scrive e di cui lui ascolta tutti i consigli; a quando riscrisse Dance Dance Dance due volte: la prima a Roma, in una stanza d’albergo confinante con una coppia un po’ troppo focosa, la seconda a Londra quando si accorse che il dischetto su cui aveva salvato il file del romanzo si era cancellato – mesi dopo però, per le bizze a cui i computer ci hanno abituato, la prima versione rispunta fuori e Murakami deve ammettere che la seconda, che senza l’inghippo informatico non avrebbe mai scritto, è molto migliore della prima. Murakami regala ai suoi lettori un libro pieno di confidenze, dettagli biografici, ammissioni di passi falsi, insomma: di umanità.

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Murakami Haruki è nato a Kyoto nel 1949 ed è cresciuto a Kobe. È autore di molti romanzi, racconti e saggi e ha tradotto in giapponese autori americani come Fitzgerald, Carver, Capote, Salinger. Con La fine del mondo e il paese delle meraviglie Murakami ha vinto in Giappone il Premio Tanizaki. Einaudi ha pubblicato Dance Dance Dance, La ragazza dello Sputnik, Underground, Tutti i figli di Dio danzano, Norwegian Wood (Tokyo Blues), L’uccello che girava le Viti del Mondo, La fine del mondo e il paese delle meraviglie, Kafka sulla spiaggia, After Dark, L’elefante scomparso e altri racconti, L’arte di correre, Nel segno della pecora, I salici ciechi e la donna addormentata, 1Q84, A sud del confine, a ovest del sole, Ritratti in jazz (con le illustrazioni di Wada Makoto), L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio, Sonno, Uomini senza donne, La strana biblioteca (con le illustrazioni di Lorenzo Ceccotti), Vento & Flipper, Gli assalti alle panetterie (illustrato da Igort) e Il mestiere dello scrittore.
Einaudi ha anche pubblicato in uniform edition nei Super ET, con le copertine di Noma Bar: L’arte di correre, L’elefante scomparso, L’uccello che girava le Viti del Mondo, Norwegian Wood, Dance Dance Dance, La ragazza dello Sputnik, Nel segno della pecora, Kafka sulla spiaggia, I salici ciechi e la donna addormentata, La fine del mondo e il paese delle meraviglie, Tutti i figli di Dio danzano, After Dark, Underground, A sud del confine, a ovest del sole, Uomini senza donne e L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: “Blue In Green” di Miles Davis; Cavalleria Rusticana (Intermezzo); “Round Midnight” di Miles Davis.

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa), con una serie di repliche nei giorni successivi. Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

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SANDRO CAMPANI (con “Il giro del miele” – Einaudi) e DOMENICO TRISCHITTA (con “Le lunghe notti” – Avagliano) a “Letteratitudine in Fm” http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/03/07/in-radio-con-sandro-campani-e-domenico-trischitta/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/03/07/in-radio-con-sandro-campani-e-domenico-trischitta/#comments Tue, 07 Mar 2017 18:13:27 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7452 SANDRO CAMPANI e DOMENICO TRISCHITTA ospiti del programma radiofonico Letteratitudine in Fm di lunedì 6 marzo 2017 – h. 10 circa (e in replica nei seguenti 3 appuntamenti: giovedì alle h. 03:00 del mattino; venerdì alle h. 13:00; domenica alle h. 03:00 del mattino)

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Sono stati Sandro Campani e Domenico Trischitta gli ospiti della puntata di Letteratitudine in Fm di lunedì 6 marzo 2017.

Con Sandro Campani abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato “Il giro del miele” (Einaudi).

Con Domenico Trischitta abbiamo discusso della sua raccolta di racconti “Le lunghe notti” (Avagliano)

Di seguito, informazioni sui libri protagonisti della puntata.

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Libro Il giro del miele Sandro CampaniSandro Campani – “Il giro del miele” (Einaudi)

Mentre una presenza si aggira per i boschi (è forse la lince di cui si vocifera in paese?), due uomini si confrontano in un singolare duello scandito dalle tacche su una bottiglia di grappa. Sono le loro vite che scorrono in questa lunga notte: l’amore che dura e quello che si perde, gli errori dei padri, gli errori dei figli, il dolce e l’amaro, il peso specifico di ciascun essere umano. Un bicchiere dopo l’altro, parlano fino all’alba. Intanto i ciocchi di legno scoppiettano nel camino e l’alcol brucia la gola, ed è come se l’autore si sedesse accanto al lettore a raccontare. Nessuno potrà muoversi finché la storia non sarà finita.

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Sandro Campani vive e lavora in un paese dell’Appennino tosco-emiliano, dove è nato nel 1974. Ha pubblicato È dolcissimo non appartenerti piú (Playground 2005), Nel paese del Magnano (Italic Pequod 2010) e La terra nera (Rizzoli 2013). Per Einaudi ha pubblicato Il giro del miele (2017).

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Libro Le lunghe notti Domenico TrischittaDomenico Trischitta – “Le lunghe notti” (Avagliano)

I personaggi de “Le lunghe notti” sono personaggi estremi – prostitute, alcolizzati, assassini – tutti legati dal male di vivere. Sono figure penitenziali alla ricerca di un senso. Esistenze infelici che vacillano sul baratro della notte più cieca. Decideranno di cambiare pagina, di dare una svolta alla loro vita miserabile. In un solo giorno, in una sola notte, nulla sarà più come prima. Forse li spinge il desiderio inconscio di espiazione di una colpa, un pentimento che però arriva troppo tardi, perché un destino già scritto alla fine deve compiersi. Storie di chi vive male e troppo in fretta.

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Domenico Trischitta, catanese, è scrittore e autore per il teatro. Ha pubblicato il romanzo Una raggiante Catania (Excelsior 1881), vincitore del Premio Martoglio. Nel 2016 è andato in scena il suo testo teatrale Sabbie Mobili, prodotto dal Teatro Stabile di Catania. Per Avagliano editore ha pubblicato il romanzo Glam City.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: “Well You” di John Coltrane & Thelonious Monk.

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa), con una serie di repliche nei giorni successivi. Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

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IL RUMORE DEL TEMPO di Julian Barnes http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/01/30/il-rumore-del-tempo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/01/30/il-rumore-del-tempo/#comments Mon, 30 Jan 2017 14:52:49 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7411 letteratura-e-musicaIl nuovo appuntamento del forum di Letteratitudine intitolatoLETTERATURA E MUSICAè dedicato al romanzo Il rumore del tempo” di Julian Barnes (Einaudi -  traduzione di Giuliana Basso)

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Julian Barnes – “Il rumore del tempo” – traduzione di Giuliana Basso
Einaudi, 2016

di Claudio Morandini

Il rumore del tempoDmitrij Šostakovič è un vero personaggio da romanzo: troviamo in lui grandezza e umiliazione, doppiezza e nobiltà, arte e compromesso, coraggio e paura. In effetti alcuni momenti della sua vita sono già diventati oggetto di romanzo. Per esempio, l’accattivante ma convenzionale “Sinfonia Leningrado” di Sarah Quigley (lo ha pubblicato Neri Pozza) ripercorre con puntiglio e scorrevolezza la storia di una sinfonia di Šostakovič, la Settima, e dei tentativi di farla eseguire proprio a Leningrado nel corso dell’assedio da parte delle truppe naziste; il vero eroe è il direttore Eliasberg, che in condizioni estreme dirigerà l’opera come imposto da Zdanov. Šostakovič spicca anche tra i personaggi storici che affollano il titanico “Europe Central” di William T. Vollmann (Mondadori Strade Blu), che ne fa un ritratto affascinante nell’impossibile sintesi tra ambiguità morale e grandezza della musica. Un quadro illuminante dell’uomo e del compositore, e della cupezza dei tempi in cui si trovò a vivere, si trova nel settimo capitolo (“L’arte della paura”) de “Il resto è rumore” di Alex Ross (Bompiani, 2009), lo splendido saggio sulla musica del Novecento che mostra come durante lo stalinismo ciò che ha subito Šostakovič fosse comune, e come a molti sia andata anche molto peggio, e delinea in Prokof’ev, nel suo stare in equilibrio nel turbinare del mondo attorno a lui, un’alternativa all’atteggiamento assunto da Šostakovič.

Brillante, accattivante ricostruzione di tre momenti cupi e angosciosi della vita di quello che è quasi unanimemente considerato il massimo compositore russo-sovietico del ‘900, “Il rumore del tempo” di Julian Barnes (Einaudi, 2016, precisa e limpida traduzione di Giuliana Basso) ci restituisce uno Šostakovič rimuginante, timoroso, livoroso, esperto via via, suo malgrado, dell’arte della dissimulazione, costantemente in bilico tra glorificazione e umiliazione, ostaggio di un gigantesco meccanismo burocratico e politico che considerava l’arte come un prodotto da incrementare secondo piani industriali e interveniva pesantemente su questioni di cui non capiva nulla.
Dettagliatissimo nel dosare le notizie biografiche in apparente disordine, nel distribuire secondo uno stile frammentario i pensieri di Šostakovič, il romanzo di Barnes mette in scena alcuni momenti cruciali: nel primo, in particolare, il compositore passa bruscamente dall’essere apprezzato e stimato a essere oggetto di pesanti attacchi da parte di tutti gli organi di regime; la sua musica, dapprima audace voce della rivoluzione, diviene d’improvviso “morbosa”, “inquieta e nevrastenica”, fatta di urla, spasimi, versi animali, non di melodie gradite al popolo; l’occasione, ben nota, è la rappresentazione della “Lady Macbeth” del 26 gennaio 1936, a cui pare abbia assistito, nascosto, Stalin stesso; il carattere oltraggioso, anticonvenzionale delle sue composizioni, effettivamente marcato nella prima fase della sua produzione, diventa insopportabile per il potere che non vi riconosce quell’ossequio, quella facilità collaborativa che le dittature hanno sempre voluto dalle arti, e in particolare dalla musica, la più sfuggente alle direttive, proprio perché la più astratta, la meno compromessa con la vita.
Šostakovič non smetterà del tutto di ricorrere ai sarcasmi: semplicemente, li camufferà, ne farà segnali criptati che possono essere letti anche come il loro contrario, come ostentazioni muscolari e trionfalistiche, come compunte condoglianze, come allegri segnali di ottimismo. Ci vuole ironia, certo, una virtù che Šostakovič non ha mai smesso di praticare del tutto: un’ironia però che possa convivere con il necessario corollario dell’ambiguità, che sia pronta a smentirsi, a smussarsi, a impoverirsi delle sue finezze anche, per non essere riconosciuta dagli zelanti e insidiosi censori, dalla rete di esaminatori e servi che, finché non cadranno essi stessi in disgrazia scomparendo così dalla scena, si affolleranno attorno a Šostakovič per imputargli errori e manchevolezze ideologiche e artistiche. Maestro di ironia e di ambiguità, Šostakovič attraversa così i decenni più cupi e pericolosi dello stalinismo, indenne ma in perenne allerta, in un clima di allarme generalizzato. Accomoderà in fretta lo sperimentalismo entusiasta dei primi anni in uno stile adeguato alle direttive, prenderà dolorosamente le distanze dalla produzione giovanile con autocritiche umilianti, come molti altri artisti in quegli anni, sopporterà di ritornare più e più volte sulla propria musica per modificarla, smussarne le asperità, farla suonare come sarebbe piaciuto a Stalin e ai suoi tirapiedi. Conserverà le recensioni negative di quella famosa rappresentazione, a perenne ricordo di cosa è davvero e non sa essere più: sono recensioni occhiute e incompetenti, che non si occupano davvero della sua musica, ma piuttosto della sua vita, dei suoi pensieri, e diventano quindi particolarmente insidiose. Stalin è ovunque, anche quando è nascosto è onnipresente: il nervosismo generato dal pensiero di cosa potrebbe dire Stalin rende i dialoghi artificiosi, irreali, la paura pasticcia le esecuzioni intorpidendo le dita dei musicisti, le giornate stesse trascorrono nell’attesa di una chiamata, o per meglio dire di un arresto di cui non si saprà mai il motivo.
Più di una volta, nel romanzo di Barnes, il protagonista definisce la musica come qualcosa di più facile, lineare, un mondo più semplice e sincero almeno in confronto al resto della vita. “Ma fuori dalla musica… era tutto talmente diverso”. E la musica, nel clima pensante del regime, nella tensione provocata dall’ossessione del complotto e del tradimento, si riduce a un “dettaglio della vita”.

Il confronto con altri compositori è anche illuminante. Il rimuginare astioso di Šostakovič non risparmia il povero Prokof’ev, una specie di Harold Lloyd malato di cosmopolitismo, descritto come un brillante e superficiale compositore capace di adeguarsi senza problemi perché tutto può essere ricondotto a una questione di stile, o meglio di stili, eppure sempre intempestivo, anche nel morire lo stesso giorno di Stalin; nemmeno Stravinskij, che pure rimane uno dei modelli più alti nel percorso artistico di Šostakovič, viene risparmiato dalle accuse di freddezza calcolata, di atteggiamento sprezzante; giganteggia, nella palude infetta creata dal regime durante e anche dopo lo stalinismo, la figura di Chrennikov, compositore-funzionario di regime, dall’ispirazione facile e adeguata a qualunque momento, che dall’alto della sua posizione di capo dell’Unione dei Compositori eserciterà un controllo spietato prima e poi, a stalinismo spento, untuoso sugli altri musicisti, pur non avendo niente della loro grandezza – e morirà riverito e coccolato ultranovantenne.

Barnes fa una scelta precisa: il suo Šostakovič privato non corrisponde in nulla alla figura dello Šostakovič pubblico. I suoi pensieri più riposti sono totalmente incompatibili con quanto pronunciato o scritto in occasioni ufficiali. Non c’è una parola di quelle conferenze, di quegli articoli, che Šostakovič possa sentire come propria, e infatti tutto è scritto da altri, a lui è chiesto solo di apporre la firma. Per debolezza, per distrazione, anche per viltà, o nella speranza che la sua adesione possa essere anche interpretata come ironica, Šostakovič accetta il compromesso umiliante, firma, legge discorsi in cui non si riconosce, accusa amici, accusa se stesso, assume posizioni che non assumerebbe mai in un altro contesto o da sobrio (l’alcol aiuta, in questa calata agli inferi). I diari, le lettere private, le confidenze agli amici più stretti forniscono all’autore, e prima che a lui ai musicologi su cui Barnes si è documentato, sostegno a questa visione. Il personaggio emerge come un grande sconfitto della vita, e non solo quando le accuse e le critiche lo costringono a ritirarsi, a fare ammenda e autocritica; anzi, la sconfitta è più amara proprio quando il momento sembra propizio, tutto sembra andare per il meglio, gli accusatori di un tempo (quelli rimasti in vita) diventano d’improvviso amici, le composizioni tornano a essere eseguite con successo.
Alla fine, anche se all’arte faticosa dell’ambiguità sono dedicate alcune pagine particolarmente riuscite, più che ambiguo, lo Šostakovič di Barnes è semplicemente scisso. L’unico vero Šostakovič è quello nascosto, privato, quello che parla sottovoce o allude ricorrendo a formule criptate nelle sue composizioni; l’altro Šostakovič, quello delle apparizioni ai grandi momenti ufficiali e collettivi, semplicemente non è lui, è un ruolo, una parte recitata malvolentieri, cucitagli addosso da altri. Quanto sia stato faticoso e doloroso interpretare quella parte per tutta una vita avendo inclinazione per tutt’altro ruolo, lo possiamo solo immaginare.

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Julian BarnesJulian Barnes è nato a Leicester nel 1946. Si è dedicato al giornalismo, scrivendo sul «New Statesman», sul «Sunday Times» e sull’«Observer». Tra le sue opere Einaudi ha in catalogo: Storia del mondo in 10 capitoli e 1/2, Amore, ecc. («Einaudi Tascabili»); Oltremanica, England, England («Supercoralli»), Amore, dieci anni dopo («Coralli» e «Einaudi Tascabili») e Arthur e George («Supercoralli»). Il senso di una fine (pubblicato nel 2012 nei «Supercoralli» e nel 2013 nei «Super ET») è risultato vincitore del piú importante premio letterario di lingua inglese, il Man Booker Prize 2011. Nel 2013 sono usciti, sempre per Einaudi, Livelli di vita (Supercoralli) e il racconto Evermore (Quanti), tratto dalla raccolta Oltremanica; nel 2014, Il pappagallo di Flaubert, nella nuova traduzione di Susanna Basso; nel 2015 Metroland, pubblicato nel 1980 in Inghilterra e vincitore del Somerset Maugham Award; nel 2016 Il rumore del tempo (Supercoralli). [Foto accanto: © Effigie]

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MELANIA G. MAZZUCCO con “Io sono con te. Storia di Brigitte” (Einaudi) a “Letteratitudine in Fm” http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/01/24/in-radio-con-melania-g-mazzucco-2/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/01/24/in-radio-con-melania-g-mazzucco-2/#comments Tue, 24 Jan 2017 18:30:15 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7412 MELANIA G. MAZZUCCO ospite del programma radiofonico Letteratitudine in Fm di lunedì 23 gennaio 2017 – h. 10 circa (e in replica nei seguenti 3 appuntamenti: giovedì alle h. 03:00 del mattino; venerdì alle h. 13:00; domenica alle h. 03:00 del mattino) con riferimento al volume “Io sono con te. Storia di Brigitte” (Einaudi)


In Fm e in streaming su Radio Hinterland

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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È stata Melania G. Mazzucco l’ospite della puntata di Letteratitudine in Fm di lunedì 23 gennaio 2017.

Nell’ambito della puntata, con Melania G. Mazzucco abbiamo discusso del suo nuovo libro intitolato Io sono con te. Storia di Brigitte(Einaudi).

Un estratto del libro è disponibile qui.

Di seguito, informazioni sul libro oggetto della conversazione radiofonica.

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Io sono con teMelania G. MazzuccoIo sono con te. Storia di Brigitte(Einaudi).

L’ha scelta fra mille possibili, come si apre una porta o si imbocca un sentiero. Perché è solo dentro gli occhi di ogni singola persona che si può vedere il mondo.

Brigitte arriva alla stazione Termini un giorno di fine gennaio. Addosso ha dei vestiti leggeri, ha freddo, fame, non sa nemmeno bene in che Paese si trova. È fuggita precipitosamente dal Congo, scaricata poi come un pacco ingombrante. La stazione di Roma diventa il suo dormitorio, la spazzatura la sua cena. Eppure era un’infermiera, madre di quattro figli che ora non sa nemmeno se sono ancora vivi. Quando è ormai totalmente alla deriva l’avvicina un uomo, le rivolge la parola, le scarabocchia sul tovagliolo un indirizzo: è quello del Centro Astalli, lí troverà un pasto, calore umano e tutto l’aiuto che le serve. Di fatto è un nuovo inizio, ma è anche l’inizio di una nuova odissea. Io sono con te è un libro raro e necessario per molte ragioni: è la storia di un incontro e di un riconoscimento, di un calvario e una rinascita, la descrizione di un’Italia insieme inospitale e accoglientissima, politicamente inadeguata e piena di realtà e persone miracolose. Melania Mazzucco si è messa in gioco a ogni pagina come essere umano e come scrittrice, scegliendo una forma flessibile e nuova, esatta, personale, carica di un’emozione trattenuta e dirompente. Se in Vita aveva narrato l’epopea dell’emigrazione italiana, ora ribalta la prospettiva: guardando negli occhi questi uomini e queste donne, specchiandoci nelle loro storie, non potremo non riconoscere l’energia disperata che ci accomuna tutti, quando la vita ci ha travolti e tentiamo di rimetterci in piedi.


https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/f/fa/Melania_Mazzucco.jpg/220px-Melania_Mazzucco.jpgMelania G. Mazzucco nasce a Roma nel 1966. Esordisce con il romanzo Il bacio della Medusa (1996), a cui fa seguito La camera di Baltus (1998). Del 2000 è Lei cosí amata, sulla scrittrice Annemarie Schwarzenbach, della quale poi cura e traduce la raccolta di racconti La gabbia dei falconi (2007). In Vita (2003, Premio Strega) reinventa la storia di emigrazione in America della sua famiglia all’inizio del Novecento. Il romanzo ha grande fortuna in Italia e all’estero. Nel 2005 pubblica Un giorno perfetto, da cui il regista Ferzan Ozpetek trae l’omonimo film. Al pittore veneziano Tintoretto Melania Mazzucco dedica il romanzo La lunga attesa dell’angelo (2008, Premio Bagutta) e Jacomo Tintoretto & i suoi figli. Storia di una famiglia veneziana (2009, Premio Comisso), biografia del maestro e dell’amatissima figlia Marietta, che ricostruisce centocinquant’anni di storia di Venezia. Nel gennaio 2011 riceve il Premio letterario Viareggio – Tobino come Autore dell’Anno e nel 2013 il Premio Ignazio Silone.
Per Einaudi ha pubblicato: Limbo (Supercoralli 2012 e Super ET 2013, Premio Bottari Lattes Grinzane, Premio Elsa Morante, Premio Giacomo Matteotti); Il bassotto e la Regina (L’Arcipelago 2012 e Super ET 2015, Premio Frignano Ragazzi 2013); Lei così amata (ultima edizione Super ET 2016); Sei come sei (Stile Libero 2013); Vita (Super ET 2014); Io sono con te (I coralli 2016). Nel 2013 ha raccontato 52 capolavori dell’arte nella rubrica domenicale Il museo del mondo sul quotidiano «la Repubblica» (poi divenuta un libro per Einaudi nel 2014). I suoi romanzi sono tradotti in 24 paesi.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: “I will survive” di Gloria Gaynor (versione live); “Other Side Of The Game” di Erykah Badu.  

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa), con una serie di repliche nei giorni successivi. Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

È possibile ascoltare le puntate precedenti, cliccando qui.


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NOTTURNI di Kazuo Ishiguro http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/09/29/notturni-di-kazuo-ishiguro/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/09/29/notturni-di-kazuo-ishiguro/#comments Thu, 29 Sep 2016 17:20:21 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7292 letteratura-e-musica

Il nuovo appuntamento del forum di Letteratitudine intitolatoLETTERATURA E MUSICAè dedicato ai racconti “Notturni. Cinque storie di musica e crepuscolo” di Kazuo Ishiguro (volume pubblicato da Einaudi e tradotto da Susanna Basso).

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Notturni“Notturni. Cinque storie di musica e crepuscolo” di Kazuo Ishiguro (traduzione di Susanna Basso – Einaudi, 2009)

recensione di Claudio Morandini

Sceglie la via della commedia agrodolce, Kazuo Ishiguro, nei racconti di ispirazione musicale che Einaudi ha pubblicato nel 2009 nella limpida, spigliata traduzione di Susanna Basso con il titolo “Notturni. Cinque storie di musica e crepuscolo”.
L’effetto complessivo, piuttosto lontano dalle atmosfere sottilmente, inquietantemente mélo di romanzi come “Quel che resta del giorno” o “Non lasciarmi”, è quello di un mondo di passioni, illusioni (composte) e conseguenti delusioni (mai davvero dolorose), che può ricordare, quanto a ritmo e situazioni, certe canzoni dei bei tempi andati tra il sentimentale e l’ironico, diciamo tra Noël Coward e Cole Porter: brio up-tempo, svenevolezze virgolettate, arguzie british e sottintesi tenuti sotto controllo. Nei dialoghi, nella predilezione per musiche dell’età dell’oro della canzone e del jazz, sembra a volte di trovarsi dalle parti del Woody Allen migliore, quello in cui l’umorismo (anche la comicità più disarmata) non esclude scivolate verso il dramma (che però qui, in Ishiguro, è sempre solo accennato, o per meglio dire eluso).
Lo humour perfettamente british di Ishiguro predilige toni meno farseschi (con l’eccezione del racconto intitolato “Come Rain Or Come Shine”, vera e propria comica slapstick al rallentatore), conversazioni più composte, in cui il non detto finisce per essere più importante delle parole, paradossi meno compiaciuti. Non è cinema, in effetti, è piuttosto teatro, anche nel taglio delle scene, e poco importa che alcuni racconti siano ambientati in luoghi esterni come i rii e le piazze di Venezia o le campagne inglesi.
La musica è raccontata attraverso le vite sempre in bilico di musicisti che vivono di essa: in cerca di riconoscimenti, di successo, anche solo di stabilità economica, questi musicisti (che sono esecutori, ma ambirebbero a essere qualcosa di più, ora compositori, ora grandi interpreti), si confrontano a volte con modelli illustri ma ormai in declino (in “Crooner”), o si trovano dinanzi ad altri colleghi che si sono rassegnati a ruoli di contorno (come nel sottilmente amaro “Malvern Hills”, in cui l’io narrante, chitarrista in cerca di riconoscimento, rivela a poco a poco il suo opportunismo un po’ egoista, l’idealismo ingenuo e velleitario). In “Violoncellisti”, l’ultimo racconto, ancora una volta di ambientazione veneziana, l’io narrante del musicista di turno (violoncellista di una delle tante orchestrine di piazza San Marco) è messo a confronto con la figura affascinante di una dotatissima violoncellista che però non ha mai più preso lezioni da quando era bambina – questo è anche l’unico racconto in cui si sfiora il repertorio classico e vengono fatti i nomi di Britten e Rachmaninov.
Talvolta la musica è in sottofondo, risuona da dischi (CD, o preferibilmente vecchi vinili), affonda nei ricordi di gioventù. Sembra allora che non se ne parli, che la musica sia stata dimenticata, invece è lì, nascosta tra le cose non dette, sedimentata nei rapporti di amicizia coltivati sin dalla gioventù, nei gusti musicali che rafforzano o appannano queste amicizie (in “Come Rain Or Come Shine”).
In tutti i racconti, insomma, le ambizioni dei personaggi vengono messe alla prova, le vite piene di speranza si avviano verso un declino morbido ma palpabile. I veri talenti stentano a essere riconosciuti, nel mondo tratteggiato da Ishiguro, ormai contaminato dall’industria dello spettacolo, mentre a contare sono piuttosto l’apparenza, l’esteriorità, la bella faccia: si pensi al talentuoso saxofonista di “Notturno”, spinto dal suo agente a farsi una plastica facciale per apparire più bello e arrivare quindi al successo, o al chitarrista di “Malvern Hills” che si vede rifiutare le proprie creazioni da ottusi esponenti del sottobosco pop e rock inglese.
Eccolo, il “crepuscolo” evocato nel sottotitolo, eccoli gli accordi in tonalità minori con cui si chiudono duetti e terzetti anche brillanti.

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Kazuo IshiguroKazuo Ishiguro è nato a Nagasaki nel 1954 e si è trasferito con la famiglia in Inghilterra nel 1960. Tutti i suoi romanzi sono tradotti in italia da Einaudi: Un pallido orizzonte di colline (1982), Un artista del mondo fluttuante (1986), Quel che resta del giorno (ultima edizione Super ET 2016), Gli inconsolabili (1995 e 2012), Quando eravamo orfani (2000), Non lasciarmi (ultima edizione Super ET 2016) e Il gigante sepolto (2015, ultima edizione Super ET 2016). Per Einaudi ha pubblicato anche la raccolta di racconti Notturni. Cinque storie di musica e crepuscolo (2009 e 2010). Da Quel che resta del giorno (Man Booker Prize 1989) è stato tratto un famoso film con Anthony Hopkins ed Emma Thompson. Nel 2008 il «Times» l’ha incluso fra i 50 più grandi autori britannici dal 1945.

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SIMONA VINCI con “La prima verità” (Einaudi Stile Libero) a Letteratitudine in Fm http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/07/05/in-radio-con-simona-vinci/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/07/05/in-radio-con-simona-vinci/#comments Tue, 05 Jul 2016 18:37:49 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7205 SIMONA VINCI autrice di “La prima verità” (Einaudi Stile Libero) in radio a Letteratitudine in Fm di lunedì 4 luglio 2016 – h. 10 circa (e in replica nei seguenti 3 appuntamenti: giovedì alle h. 03:00 del mattino; venerdì alle h. 13:00; domenica alle h. 03:00 del mattino)


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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

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È stata Simona Vinci l’ospite della puntata di Letteratitudine in Fm di lunedì 4 luglio 2016.

Con Simona Vinci abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “La prima verità” (Einaudi Stile Libero) – vincitore del Premio Selezione Campiello 2016.

Nella seconda parte della puntata, una lettura del libro.

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Il libro
La prima veritàTra gli abbandonati, i reclusi, i dimenticati Simona Vinci tesse il filo d’oro di una storia che arriva dal passato e viene fino a te, proprio a te che stai leggendo, qui e ora. È una storia scandalosa, perché non si può narrare senza rivelare anche i fantasmi di chi la sta scrivendo.
Ciò che Angela non può sospettare, quando decide di raggiungere l’isola maledetta, l’isola lager, è che il segreto sepolto tra quei bianchi enormi edifici sia piú sconvolgente di ogni immaginazione. E che spetti proprio a lei disseppellire quel segreto e affrontarlo a viso aperto. Costi quel che costi, per il bene di tutti. Ciò che Angela non ha assolutamente messo in conto, è che si apra per lei a Leros l’avventura della vita.
«Poi la serratura, improvvisamente docile, si sbloccò nella sua mano con un gemito e la porta si aprí».

Nel 1992 Angela, giovane ricercatrice italiana, sbarca sull’isola di Leros. È pronta a prendersi cura, come i suoi colleghi di ogni parte d’Europa, e come i medici e gli infermieri dell’isola, del perdurante orrore, da pochi anni rivelato al mondo dalla stampa britannica, del «colpevole segreto d’Europa»: un’isolamanicomio dove a suo tempo un regime dittatoriale aveva deportato gli oppositori politici di tutta la Grecia, facendoli convivere con i malati di mente. Quelli di loro che non sono nel frattempo morti sono ancora tutti lí, trasformati in relitti umani. Inquietanti, incomprensibili sono i segni che accolgono la ragazza. Chi è Basil, il Monaco, e perché è convinto di avere sepolto molto in alto «ciò che rimane di dio?» E tra i compagni di lavoro, chi è davvero la misteriosa, tenace Lina, che sembra avere un rapporto innato con l’isola?
Ogni mistero avrà risposta nel tesoro delle storie dei dimenticati e degli sconfitti, degli esclusi dalla Storia, nell’«archivio delle anime» che il libro farà rivivere per il lettore: storie di tragica spietata bellezza, come quella del poeta Stefanos, della ragazza Teresa e del bambino con il sasso in bocca.
Con
La prima verità che, fin dal titolo, da un verso di Ghiannis Ritsos, allude a una verità di valore assoluto oltre e attraverso le vicende del libro, che si svolgono in luoghi e tempi diversi, e delle vite dei personaggi che via via si presentano al lettore, Simona Vinci torna al romanzo dopo molti anni, e vi torna con una felicità e una libertà mai raggiunte prima

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Simona Vinci è nata a Milano nel 1970 e vive a Bologna. Il suo primo romanzo, Dei bambini non si sa niente (ultima edizione Einaudi Stile libero, 2009) ha riscosso un grande successo. Caso letterario dell’anno, è stato tradotto in numerosi altri paesi, tra i quali gli Stati Uniti. Sempre per Einaudi sono usciti la raccolta di racconti In tutti i sensi come l’amore («Stile libero», 1999) e i romanzi Come prima delle madri («Supercoralli», 2003 ed «Einaudi Tascabili», 2004), Brother and Sister («Stile libero», 2004), Stanza 411 («Stile libero Big», 2006), Strada Provinciale Tre («Stile libero Big», 2007) e La prima verità («Stile libero Big», 2016). Per i lettori più giovani ha pubblicato Corri, Matilda (E.Elle, 1998) e Matildacity (Adnkronos Libri, 1998). Ha scritto il racconto La più piccola cosa pubblicato nell’antologia Le ragazze che dovresti conoscere («Stile libero Big», 2004). Inoltre nel 2010 ha collaborato alla raccolta Sei fuori posto (Einaudi, Stile libero Big).

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: Comfortably Numb (versione live di David Gilmour); La danza di Zorba (Dalila); Alfonsina y el mar (Avishai Cohen)

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa), con una serie di repliche nei giorni successivi. Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

È possibile ascoltare le puntate precedenti, cliccando qui.


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MAURIZIO DE GIOVANNI con “Cuccioli” e ELVIRA SEMINARA con “Atlante degli abiti smessi” a “Letteratitudine in Fm” http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/02/08/in-radio-con-maurizio-de-giovanni-e-elvira-seminara/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/02/08/in-radio-con-maurizio-de-giovanni-e-elvira-seminara/#comments Mon, 08 Feb 2016 17:50:24 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7047 MAURIZIO DE GIOVANNI con “Cuccioli” e ELVIRA SEMINARA con “Atlante degli abiti smessi” a “Letteratitudine in Fm” di lunedì 08 febbraio 2016 – h. 10 circa (e in replica nei seguenti 3 appuntamenti: giovedì alle h. 03:00 del mattino; venerdì alle h. 13:00; domenica alle h. 03:00 del mattino)

In Fm e in streaming su Radio Hinterland

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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È stato Maurizio de Giovanni l’ospite della prima parte della puntata di “Letteratitudine in Fm” di lunedì 8 febbraio 2016. Con Maurizio de Giovanni abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Cuccioli per i Bastardi di Pizzofalcone” (Einaudi Stile Libero).

Elvira Seminara è stata l’ospite della seconda parte della puntata. Con Elvira Seminara abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Atlante degli abiti smessi” (Einaudi).

Di seguito, le schede dei due libri.

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CuccioliCuccioli per i Bastardi di Pizzofalcone – di Maurizio de Giovanni (Einaudi Stile Libero)
Una neonata viene abbandonata accanto a un cassonetto della spazzatura. Una giovane domestica ucraina rimane presa in una morsa di avidità e frustrazioni. I piccoli animali randagi spariscono dalle strade. Cullata dall’aria frizzante di un giovane aprile, la città sembra accanirsi contro l’innocenza. Il compito di combattere un male più disumano del solito tocca a una squadra di poliziotti in cui pochi credono. Li chiamano i Bastardi di Pizzofalcone. In una società che si sgretola, dove il privilegio diventa sopraffazione, i poliziotti di Maurizio de Giovanni combattono non solo il crimine, ma anche l’indifferenza verso chi è più debole. Perché quando la violenza colpisce gli indifesi, a perdere siamo tutti.

Maurizio de Giovanni nasce nel 1958 a Napoli, dove vive e lavora. Nel 2005 vince un concorso per giallisti esordienti con un racconto incentrato sulla figura del commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Il personaggio gli ispira un ciclo di romanzi, pubblicati da Einaudi Stile Libero, che comprende Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore e Anime di vetro. Nel 2012 esce per Mondadori Il metodo del Coccodrillo (Premio Scerbanenco), dove fa la sua comparsa l’ispettore Lojacono, ora fra i protagonisti della serie dei Bastardi di Pizzofalcone, ambientata nella Napoli contemporanea e pubblicata da Einaudi Stile Libero (nel 2013 è uscito il secondo romanzo della serie, Buio, nel 2014 il terzo, Gelo, e nel 2015 il quarto, Cuccioli). Nel 2014, sempre per Einaudi Stile Libero, de Giovanni ha pubblicato anche l’antologia Giochi criminali (con Giancarlo De Cataldo, Diego De Silva e Carlo Lucarelli). In questo libro appare per la prima volta il personaggio di Bianca Borgati, contessa Palmieri di Roccaspina, sviluppato in Anime di vetro. Nel 2015 è uscito per Rizzoli il romanzo Il resto della settimana.
Tutti i suoi libri sono tradotti o in corso di traduzione in Francia, Germania, Inghilterra, Spagna, Russia, Danimarca e Stati Uniti. De Giovanni è anche autore di racconti a tema calcistico sulla squadra della sua città, della quale è visceralmente tifoso, e di opere teatrali.

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Atlante degli abiti smessi“Atlante degli abiti smessi” – di Elvira Seminara (Einaudi)
Eleonora è una donna eccentrica con un modo tutto suo di guardare il mondo. Ma è anche una donna impetuosa. E ora che l’ex marito è scomparso, il rapporto con la figlia Corinne si è strappato, «come un lenzuolo che ha subito troppi lavaggi, vestito troppi letti». È anche per questo che Eleonora lascia Firenze e si rifugia a Parigi, in cerca di solitudine e di chiarezza, perché certe fughe «non si organizzano, si subiscono e al massimo cerchi di perfezionarle ». Da lí, osserva il parco sotto casa e le abitudini bizzarre degli inquilini del suo palazzo – un «ottimo esercizio di equa e diffusa compassione» – e tesse nuove trame. Ma soprattutto scrive a Corinne, per ricucire il loro rapporto. Un giorno dopo l’altro compila un campionario sfavillante degli abiti lasciati nella casa di Firenze. Una sorta di vademecum per orientarsi fra il silenzio ostinato degli armadi e il frastuono dell’umanità. Il catalogo animato di Eleonora diventa cosí un modo di trasmettere l’esperienza del tutto singolare, «fuori dalle ante». Un vortice di parole febbrili, inventive, con una forza espressiva inesausta, che ci trascina senza sosta, lasciandoci alla fine la sensazione di avere vissuto una storia che ci riguarda molto da vicino.

Elvira Seminara, giornalista e pop artist, ha pubblicato per Mondadori L’indecenza (2008) e per nottetempo Scusate la polvere (2011) e La penultima fine del mondo (2013). I primi due romanzi sono stati messi in scena nel 2014 e nel 2015 dal Teatro Stabile di Catania. Suoi testi sono tradotti in diversi paesi. Vive ad Aci Castello. Per Einaudi ha pubblicato Atlante degli abiti smessi.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata è composta dai seguenti brani musicali di Miles Davis: “Kind of blue”, “Time After Time” e “Mystery”.


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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa), con una serie di repliche nei giorni successivi. Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

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I nuovi romanzi di ORHAN PAMUK e JAVIER MARÍAS – “Letteratitudine in Fm” http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/12/22/i-nuovi-romanzi-di-orhan-pamuk-e-javier-marias/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/12/22/i-nuovi-romanzi-di-orhan-pamuk-e-javier-marias/#comments Tue, 22 Dec 2015 19:22:57 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7006 I nuovi romanzi di ORHAN PAMUK e JAVIER MARÍAS – “Letteratitudine in Fm” – lunedì 21 dicembre 2015 – h. 10 circa (e in replica nei seguenti 3 appuntamenti: giovedì alle h. 03:00 del mattino; venerdì alle h. 13:00; domenica alle h. 03:00 del mattino)


In Fm e in streaming su Radio Hinterland

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La puntata di Letteratitudine in Fm di lunedì 21 dicembre 2015 è incentrata sui nuovi libri di Orhan Pamuk e Javier Marías.

La prima parte della puntata è stata dedicata al nuovo romanzo di Orhan Pamuk intitolato “La stranezza che ho nella testa” (Einaudi). Nel corso della trasmissione, alcuni interventi di Pamuk sulla scrittura e sul nuovo libro (con la traduzione simultanea dall’inglese all’italiano).

La seconda parte della puntata è stata dedicata al nuovo romanzo di Javier Marías intitolato “Così ha inizio il male” (Einaudi). Nel corso della trasmissione, un breve intervento di Marías .

Nell’ambito della puntata, inoltre, abbiamo proposto una lettura delle prime pagine di entrambi i testi.

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La stranezza che ho nella testa“La stranezza che ho nella testa” – di Orhan Pamuk (Einaudi)
Un ragazzo ama una ragazza. Tutte le storie, anche quelle piú complicate, nascono da questa semplice, universale premessa. Mevlut l’ha incontrata una sola volta: i loro sguardi si sono incrociati di sfuggita al matrimonio di un parente a Istanbul. Eppure è bastato quell’attimo di perfezione e felicità a farlo innamorare. Süleyman, il cugino, gli ha detto che delle tre figlie di Abdurrahman, quella che ha visto Mevlut, quella di cui si è innamorato, è senz’altro Rayiha. Da allora non l’ha piú rivista ma, per tre anni, Mevlut le scrive le lettere piú appassionate che il suo cuore riesce a creare. Finché un giorno capisce che l’unico modo di coronare il suo sogno è scappare con Rayiha, di fatto rapendola dalla casa paterna in cui è rinchiusa. Cosí, una notte di tempesta, mentre Süleyman aspetta con un furgone in una strada poco lontana, Mevlut e la sua amata si riuniscono. Nulla potrà andare storto ora, nulla potrà piú dividerli, pensa lui. Poi un lampo illumina la scena e rivela il volto di Rayiha: quella non è la ragazza a cui Mevlut ha creduto di scrivere per tutto quel tempo, non è la ragazza di cui si è innamorato a prima vista tre anni prima! Chi ha ingannato Mevlut? E come si comporterà ora il nostro eroe? Questa è la sua storia, caro lettore: la storia di Mevlut Karataþ, venditore di boza (la bevanda, leggermente alcolica, tipica della Turchia), lavoratore indefesso, inguaribile ottimista (qualcuno direbbe ingenuo), sognatore, profondo conoscitore delle strade e dei vicoli di Istanbul. Perché questa è anche la storia di una città e del tempo che l’attraversa, una saga grandiosa e potente degli individui e delle famiglie che lottano, si alleano, si amano e si dividono per trovare il proprio posto nel mondo. Il premio Nobel Orhan Pamuk ha fatto della sua città, Istanbul, il personalissimo teatro in cui mettere in scena l’universale dei destini umani. Con La stranezza che ho nella testa ha saputo scrivere un romanzo rutilante in cui le storie piccole di uomini e donne comuni hanno la forza irresistibile della Storia di tutti.

Orhan Pamuk è nato nel 1952 a Istanbul. Nel 2006 ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura. Einaudi ha in corso di stampa tutte le sue opere e ha finora pubblicato Il castello bianco, La nuova vita, Il mio nome è rosso, Neve, La casa del silenzio, Istanbul, Il libro nero, La valigia di mio padre, Il Museo dell’innocenza, Altri colori, Il Signor Cevdet e i suoi figli, Romanzieri ingenui e sentimentali, L’innocenza degli oggetti e La stranezza che ho nella testa.

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Cosí ha inizio il maleCosì ha inizio il male” – di Javier Marías
Siamo nella Madrid degli anni Ottanta, una città in cui il ricordo della dittatura franchista è ancora dolorosamente vivo. Il giovane Juan De Vere, fresco di laurea, viene assunto da Eduardo Muriel per fargli da assistente. Muriel è un regista che vive in una grande casa nei quartieri alti della capitale insieme alla moglie, l’esuberante Beatriz Noguera, e i figli. I due avrebbero tutto per essere felici, eppure «il giovane de Vere» è colpito dalla freddezza e dallo sdegnoso contegno con cui il marito tratta la moglie. Perché si comporta cosí? Addirittura, una notte che passa nella casa dei Muriel, Juan assiste a una scena per lui del tutto inspiegabile: Beatriz che, vestita unicamente con un’impalpabile sottoveste, viene respinta e ricacciata nella sua stanza dal marito. Juan vorrebbe indagare i motivi di quel comportamento e del disamore che tiene in piedi il matrimonio, ma Muriel ha altri piani in mente per lui: lo incarica infatti di verificare se le voci che ha sentito su un suo amico, il dottor Van Vechten, sono fondate. Una donna gli ha fatto intendere che il dottore, durante gli anni della dittatura, si era comportato in modo indecente con una o piú donne, e che pertanto l’amicizia che Muriel gli tributava era mal riposta. Per il giovane Juan inizia cosí una discesa nelle tenebre degli anni della dittatura, e nelle ambiguità del matrimonio, che ha l’ineluttabile fatalità delle sabbie mobili. Cosí ha inizio il male è la storia intima di un matrimonio. Osservato con lo sguardo inconfondibile, ossessivo e inquisitore di Javier Marías che, tre anni dopo Gli innamoramenti, torna al romanzo con un’opera premiata come Libro dell’anno da «El País».

Javier Marías è nato a Madrid nel 1951. Della sua opera Einaudi ha pubblicato: Domani nella battaglia pensa a me, Tutte le anime, Un cuore cosí bianco, L’uomo sentimentale, Nera schiena del tempo, Malanimo, Quand’ero mortale, Selvaggi e sentimentali, Vite scritte, Traversare l’orizzonte, Interpreti di vite, la trilogia de Il tuo volto domani (Febbre e lancia, Ballo e sogno e Veleno e ombra e addio), Gli innamoramenti, i Territori del lupo (suo primo romanzo, pubblicato originariamente nel 1971), Il secolo (pubblicato originariamente in Spagna nel 1983 e uscito per la prima volta in traduzione italiana nel 2013), Mentre le donne dormono e Cosí ha inizio il male .


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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata è composta dai seguenti brani musicali: “The Word” dei Beatles; “All You Need Is Love” dei Beatles; “Imagine” di John Lennon; “Pipes of Peace” di Paul McCartney.


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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa), con una serie di repliche nei giorni successivi. Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

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MAURIZIO TORCHIO ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 2 giugno 2015 (Cattivi) – nella seconda parte della puntata: “PERFIDIA” di James Ellroy http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/06/02/in-radio-con-maurizio-torchio/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/06/02/in-radio-con-maurizio-torchio/#comments Tue, 02 Jun 2015 17:00:40 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6808 MAURIZIO TORCHIO ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 2 giugno 2015 – nella seconda parte della puntata ci occupiamo di : “PERFIDIA” di James Ellroy - h. 9:10 circa (e in replica nei seguenti 4 appuntamenti: venerdì alle h. 06:00 e alle h. 13:00, domenica alle h. 06:00, martedì alle h. 00:30)


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È Maurizio Torchio l’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 2 giugno 2015 (la puntata è già ascoltabile online cliccando sul pulsante audio)

Con Maurizio Torchio discutiamo del suon nuovo romanzo intitolato “Cattivi” (Einaudi) e delle tematiche a esso connesse (in primis quelle legate al carcere)

Nella seconda parte della puntata ci occupiamo del nuovo romanzo di James Ellory, intitolato “Perfidia” (Einaudi), anche attraverso una lettura delle prime pagine del libro

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Cattivi“Cattivi” di Maurizio Torchio (Einaudi)
«La cella è lunga quattro passi e larga un paio di braccia tese. Se mi alzo in punta di piedi tocco il soffitto. È uno spazio a misura d’uomo. A misura mia».

Quello che scorre in cella d’isolamento è un tempo puro, svuotato di eventi. Tanto da far sembrare i giorni di chi può vedere la luce del sole – seppure attraverso le sbarre – come un luogo di libertà, fantasticato per sentito dire. Il mondo di fuori è piú evanescente ancora, piú irreale del passato, o dei sogni. Cresce allora la tentazione di chiamare il carcere casa, e farlo abitare dai ricordi: «Se ti svegli con il batticuore, per fortuna la prigione è lí che ti aspetta. Ti tiene sollevato, separato da terra, inchiodato con la branda nel muro. Sente i tuoi movimenti. Mentre dormi, la prigione trattiene il fiato per ascoltare il tuo respiro». L’orizzonte si restringe un istante dopo l’altro, ma anche i desideri cambiano forma: l’amore per chi si prende cura di te – non importa quanto crudelmente – dà l’innesco a una Sindrome di Stoccolma universale. Un incrocio di solitudini che accomuna carcerati e carcerieri, fino a estendersi all’intera prigione, compreso chi è apparentemente escluso da ogni società e gerarchia. Cattivi è un romanzo di parole e sentimenti compressi, storpiati dalle cattività che li restringono. Ma anche una storia di sopravvivenza in condizioni estreme. Dando fiato a una voce che finisce per diventare l’essenza stessa della reclusione, Maurizio Torchio è riuscito nel miracolo di descrivere, senza mai giudicare, i fili invisibili che legano carnefici e vittime. Il cibo, il sesso, i rumori, l’attaccamento appassionato agli oggetti, servono a parlare di ogni spazio chiuso. A raccontare ogni attesa vana, ogni dolore ripetuto che nella ripetizione trova un balsamo. Fino all’ostinata irragionevole speranza nel dopo, perché «tutta la vita non consumata dev’essersi conservata, in qualche modo, da qualche parte. Dovrà arrivare. Non può essere evaporata semplicemente passeggiando, dormendo».

Maurizio Torchio è nato a Torino nel 1970. Ha pubblicato la raccolta di racconti Tecnologie affettive (Sironi 2004) e i romanzi Piccoli animali (Einaudi, 2009) e Cattivi (Einaudi, 2015). Il suo sito è www.mauriziotorchio.it

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Perfidia“Perfidia” di James Ellroy (Einaudi)
7 dicembre 1941. Il Giappone ha bombardato Pearl Harbor. Gli Stati Uniti sono a un passo dalla guerra e a Los Angeles scatta un’ondata di arresti. I cittadini nipponici sospettabili di alto tradimento finiscono dietro le sbarre. La bandiera dell’odio razziale sventola alta, perciò nessuno dovrebbe preoccuparsi quando i quattro membri di una famiglia giapponese vengono trovati morti dentro casa, tanto piú che potrebbe trattarsi di un suicidio rituale. Le indagini, però, partono ugualmente: proprio perché ci si prepara a distruggere e depredare una delle comunità straniere piú ricche e integrate della California, è necessario mostrarsi irreprensibili. Ellroy racconta con lucida ferocia ventitre giorni tra i piú drammatici della storia americana, chiamando in scena una folla di personaggi che i suoi lettori hanno già imparato ad amare o a odiare senza mezze misure: dal sergente Dudley Smith all’infiltrata Kay Lake; dagli sbirri Lee Blanchard e Buzz Meeks al gangster ebreo Mickey Cohen. Tutti di qualche anno piú giovani rispetto ai tempi di Dalia nera e L.A. Confidential, ma già immersi fino al collo in quell’intrico di verità e menzogna, idealismo e violenza dentro il quale batte il cuore nero dell’America.

James Ellroy è uno dei piú grandi autori di crime degli ultimi trent’anni e una delle voci piú originali e potenti della letteratura americana contemporanea. Tra le sue opere maggiori, la quadrilogia di Los Angeles (Dalia Nera, Il grande nulla, L.A. Confidential e White Jazz) e la trilogia «Underworld USA» (American Tabloid, Sei pezzi da mille, Il sangue è randagio), oltre al memoir I miei luoghi oscuri. Nel 2013 Einaudi Stile Libero ha pubblicato Ricatto e, nel 2014, La Dalia Nera (graphic novel ispirato al romanzo di Ellroy e adattato da Matz e David Fincher, con i disegni di Miles Hyman). Con Perfidia (Einaudi Stile Libero 2015) inaugura un nuovo Quartetto di Los Angeles, ambientato in California negli anni di Pearl Harbour.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata è composta dai seguenti brani musicali: “Jailhouse Rock” dei Blues Brothers; “Ghosts On Magnetic Tape” dei Bass Communion; “Don Raffaè” di Fabrizio De Andrè.


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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa), con una serie di repliche nei giorni successivi. Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

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RAUL MONTANARI ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 6 maggio 2015 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/05/06/in-raul-montanari-2/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/05/06/in-raul-montanari-2/#comments Wed, 06 May 2015 14:00:48 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6772 RAUL MONTANARI ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 6 maggio 2015 – h. 9:10 circa (e in replica nei seguenti 4 appuntamenti: venerdì alle h. 06:00 e alle h. 13:00, domenica alle h. 06:00, martedì alle h. 00:30)


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È stato Raul Montanari l’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 6 maggio 2015.
Abbiamo discusso del suo nuovo romanzo, “Il Regno degli amici” (Einaudi) e delle tematiche in esso trattate.
Nella seconda parte della puntata, Raul Montanari ha letto qualche pagina del libro.

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Il Regno degli amiciIl Regno degli amici” (Einaudi Stile Libero) di Raul Montanari

Quando hai sedici anni e gli amici sono tutto il tuo mondo, l’iniziazione alla vita non può che essere violenta. Come l’amore. O la scoperta del male.

È l’estate del 1982. L’Italia ha appena vinto i mondiali di Spagna e Milano è deserta. Demo, Elia e Fabiano trovano una casa abbandonata sul naviglio Martesana e decidono di farne il loro Regno. Un posto segreto dove è possibile fumare, ascoltare i Led Zeppelin, sfogliare i giornaletti porno, scoprire il confine sottile tra complicità e gelosia, tra emulazione e rivalità. Un posto, anche, dove accogliere i nuovi amici, come Ric. Poi incontrano Valli, ed è un’apparizione. Lei è selvatica, ha gli occhi verdi, i capelli lunghi, un corpo esile chiuso in una salopette; vive in un camper con la madre e ogni giorno pesca nel canale. Senza volerlo la ragazza rompe il goffo equilibrio maschile del Regno, insinuando nel gruppo quella tensione erotica che è per tutti la grande scoperta e il grande dolore dell’adolescenza. Ma che qui genera un danno capace, in una sola notte, di cambiare il destino dei protagonisti. Mentre la pioggia si porta via l’ultima estate della loro giovinezza.

«Vivessi mille anni non dimenticherò mai quell’apparizione, la prima volta che finalmente vedevo da vicino la misteriosa ninfa della Martesana. Ma sí: in tutti quei giorni, quando ero andato alla casa da solo, per prima cosa ero sceso fino al bordo del canale e avevo guardato da tutte le parti. L’avevo cercata senza trovarla. Pensavo che non l’avrei piú veduta, che forse se n’era andata in vacanza, o era partita, scomparsa nel nulla da cui era uscita come una spuma».

Un estratto del libro è disponibile cliccando qui.

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Raul Montanari (Bergamo, 1959) ha pubblicato dodici romanzi e tre libri di racconti. I piú noti: La perfezione (1994), Che cosa hai fatto (2001), Chiudi gli occhi (2004), L’esistenza di dio (2006), La prima notte (2008), Strane cose, domani (2009) e Il Regno degli amici (Einaudi Stile Libero, 2015). Piú di cento suoi racconti sono usciti in antologie, quotidiani e periodici. Con Aldo Nove e Tiziano Scarpa ha scritto Nelle galassie oggi come oggi (2001), insolito best seller nel campo della poesia. Ha firmato opere teatrali, sceneggiature e importanti traduzioni dalle lingue classiche e moderne. Dirige il festival letterario Presente Prossimo e, dal 1999, una delle piú note scuole italiane di scrittura creativa.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata è composta dai seguenti brani musicali: “Whole lotta love” dei Led Zeppelin; “Love, Reign o’er Me” degli Who; “Babe I’m Gonna Leave You” dei Led Zeppelin.


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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa), con una serie di repliche nei giorni successivi. Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

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NICOLA LAGIOIA ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 15 aprile 2015 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/04/15/in-radio-con-nicola-lagioia/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/04/15/in-radio-con-nicola-lagioia/#comments Wed, 15 Apr 2015 13:05:22 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6747 NICOLA LAGIOIA ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 15 aprile 2015 – h. 9:10 circa (e in replica nei seguenti 4 appuntamenti: venerdì alle h. 06:00 e alle h. 13:00, domenica alle h. 06:00, martedì alle h. 00:30)

nicola-lagioia

In Fm e in streaming su Radio Hinterland

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È stato Nicola Lagioa l’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 15 aprile 2015. Con Nicola Lagioia abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “La ferocia” (Einaudi) e delle tematiche in esso affrontate.
Nella seconda parte della puntata Massimo Maugeri ha letto le prime pagine del libro

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“La ferocia”, di Nicola Lagioia (Einaudi)
In una calda notte di primavera, una giovane donna cammina nel centro esatto della strada statale. È nuda e coperta di sangue. A stagliarla nel buio, i fari di un camion sparati dritti su di lei. Quando, poche ore dopo, la ritroveranno ai piedi di un autosilo, la sua identità verrà finalmente alla luce: è Clara Salvemini, prima figlia della piú influente famiglia di costruttori locali. Per tutti è un suicidio. Ma le cose sono davvero andate cosí? Cosa legava Clara agli affari di suo padre? E il rapporto che la unisce ai tre fratelli – in particolare quello con Michele, l’ombroso, l’instabile, il ribelle – può aver giocato un ruolo determinante nella sua morte? Le ville della ricca periferia barese, i declivi di ogni rapida ascesa sociale, le tensioni di una famiglia in bilico tra splendore e disastro: utilizzando le forme del noir, del gotico, del racconto familiare, scandite da un ritmo serrato e da una galleria di personaggi e di sguardi che spostano continuamente il cuore dell’azione, Nicola Lagioia mette in scena il grande dramma degli anni che stiamo vivendo. L’intensità della scrittura – mai cosí limpida e potente – ci avviluppa in un labirinto di emozioni, segreti e scoperte, che interseca le persone e il loro mondo, e tiene il lettore inchiodato alla pagina.

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Nicola Lagioia è nato a Bari nel 1973. Con minimum fax ha pubblicato Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj (2001), e con Einaudi Occidente per principianti (Supercoralli 2004), Riportando tutto a casa (Supercoralli 2009, Super ET 2011; Premio Viareggio-Rèpaci, Premio Vittorini, Premio Volponi) e La ferocia (Supercoralli 2014). www.minimaetmoralia.it

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata è composta dai seguenti brani musicali: “Do You Love Me” di Nick Cave; “One of These Things First” di Nick Drake; “New Order” dei Ceremony.

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa), con una serie di repliche nei giorni successivi. Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

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GIANRICO CAROFIGLIO ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 14 gennaio 2015 (La regola dell’equilibrio) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/01/13/in-radio-con-gianrico-carofiglio-2/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/01/13/in-radio-con-gianrico-carofiglio-2/#comments Tue, 13 Jan 2015 21:05:27 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6648 carofiglio-la-regola-dellequilibrioGIANRICO CAROFIGLIO ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 14 gennaio 2015 – h. 9 circa (e in replica nei seguenti 4 appuntamenti: venerdì alle h. 06:00 e alle h. 13:00, domenica alle h. 06:00, martedì alle h. 00:30)

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Protagonista di questa puntata, il nuovo romanzo di Gianrico Carofiglio: “La regola dell’equilibrio” (Einaudi)

Con Gianrico Carofiglio discutiamo del romanzo e delle tematiche da esso trattate, tra cui il tema della corruzione e quello del rapporto tra “regole formali e coscienza individuale”.

Nella seconda parte della puntata l’autore ha letto un brano del libro.

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La regola dell'equilibrioUn eroe restio. Un dubbio morale assoluto.

È una primavera strana, indecisa, come l’umore di Guido Guerrieri. Messo all’angolo da una vicenda personale che lo spinge a riflettere sulla propria esistenza, Guido pare chiudersi in sé stesso. Come interlocutore preferito ha il sacco da boxe che pende dal soffitto del suo soggiorno. A smuovere la situazione arriva un cliente fuori del comune: un giudice nel pieno di una folgorante carriera, suo ex compagno di università, sempre primo negli studi e nei concorsi. Si rivolge a lui perché lo difenda dall’accusa di corruzione, la peggiore che possa ricadere su un magistrato. Quasi suo malgrado, Guerrieri si lascia coinvolgere dal caso e a poco a poco perde lucidità, lacerato dalla tensione fra regole formali e coscienza individuale. In un susseguirsi di accadimenti drammatici e squarci comici, ad aiutarlo saranno l’amico poliziotto, Carmelo Tancredi, e un investigatore privato, un personaggio difficile da decifrare: se non altro perché è donna, è bella, è ambigua, e gira con una mazza da baseball.

«Quando chiudemmo il verbale e l’udienza, lo spiacevole sentore della parola calunnia aleggiava sul procedimento. Tutti sapevamo che in qualche modo sarebbe rimasto lí, e tutti sapevamo che la procura avrebbe dovuto trovare qualcosa di molto solido, se non voleva che quel fascicolo finisse nella discarica delle archiviazioni o dei proscioglimenti».

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Gianrico Carofiglio (Bari, 30 maggio 1961) ha scritto racconti, romanzi, saggi. I suoi libri, sempre in vetta alle classifiche dei best seller, sono tradotti in tutto il mondo. Ha inventato il popolarissimo personaggio dell’avvocato Guido Guerrieri, cui è stata dedicata una serie televisiva di successo. Per Einaudi ha scritto il racconto La doppia vita di Natalia Blum raccolto nell’antologia Crimini italiani, Cocaina, con Massimo Carlotto e Giancarlo De Cataldo (Einaudi Stile libero 2013), Una mutevole verità (Einaudi Stile libero 2014) e La regola dell’equilibrio(Einaudi Stile Libero 2014).

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa), con una serie di repliche nei giorni successivi. Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

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MELANIA MAZZUCCO ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 24 dicembre 2014 (il museo del mondo) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/12/24/in-radio-con-melania-mazzucco-2/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/12/24/in-radio-con-melania-mazzucco-2/#comments Wed, 24 Dec 2014 14:00:14 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6636 melania-mazzucco-il-museo-del-mondoMELANIA G. MAZZUCCO ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 24 dicembre 2014 – h. 9 circa (e in replica nei seguenti 4 appuntamenti: venerdì alle h. 06:00 e alle h. 13:00, domenica alle h. 06:00, martedì alle h. 00:30)

In Fm e in streaming su Radio Hinterland

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Protagonista di questa puntata natalizia, MELANIA G. MAZZUCCO con il suo nuovo libro “Il museo del mondo” (Einaudi). Cinquantadue capolavori per cinquantadue storie. Da Ad Parnassum di Paul Klee a Giove e Io di Correggio, da Black Iris di Georgia O’Keeffe al Cane di Francisco Goya, dalla Lattaia di Vermeer alle Cattive madri di Segantini, e via via attraverso Beato Angelico, Burne-Jones, Bacon, Van Gogh, Caravaggio, e altri. Fino ad arrivare ai piedi della scala, dai gradini luccicanti d’oro, della Presentazione di Maria al Tempio di Tintoretto. Un museo sempre aperto, pronto ad accogliere il lettore e a fargli incontrare quelle opere che diventano presenza, specchio di un pensiero, indelebile emozione, scintilla di significato del mondo.

Con Melania Mazzucco discutiamo del libro. Nel corso della puntata Melania commenterà due dei quadri ospitati nel “museo del mondo” (li vedete raffigurati qui in basso) e leggerà le prime pagine del libro.

Una conversazione sull’arte, sulla pittura e sulla letteratura.

AUGURI DI BUONE FESTE A TUTTI!

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Il museo del mondoOgni quadro, ogni opera, che sia stata vista in una chiesa, in un museo o esposta in una mostra, lascia qualcosa a chi la guarda. E ogni incontro fortuito può tramutarsi in un vero e proprio innamoramento, in una folgorazione o addirittura in una rivelazione. In ogni caso è l’inizio di un’avventura. Create per fede o per soldi, per mestiere o per amore, le opere d’arte che Melania Mazzucco non è mai riuscita a dimenticare abbracciano cinque continenti, dall’antichità ai giorni nostri. Concepite come amuleti, preghiere o bestemmie, da uomini e donne, cacciatori e stregoni, assassini e santi, illetterati e intellettuali, nessun museo reale riuscirebbe mai a contenerle. Un museo immaginario, invece, potrebbe dimostrarsi all’altezza dell’impresa. Concentrandosi in particolare sui dipinti piú amati (tavole, quadri, affreschi, tecniche miste) Mazzucco ne ha selezionati cinquantadue: scegliendo «solo opere di artisti coi quali vale la pena trascorrere del tempo». Ma ciò non vuol dire necessariamente i maestri piú celebrati o famosi, ci sono anche gli irregolari, gli anomali, quelli che non hanno fondato scuole, che non si lasciano etichettare e che magari hanno vissuto per concepire un solo capolavoro. Una selezione «crudele» (senza seguire un ordine cronologico, né geografico, né tantomeno un inutile canone) che è stata ospitata su «la Repubblica» in una rubrica settimanale: un’opera a settimana per un anno. Il museo del mondo riprende tutti e cinquantadue i testi e le immagini per raccontare le storie di quelle opere che diventano presenza, specchio di un pensiero, scintilla di significato. E per offrire al lettore la possibilità di scegliere come avventurarsi in questo museo ideale: un’opera a settimana? una al giorno? tutte insieme? Il museo è lí e le sue porte sono sempre aperte. E se alla fine del libro il lettore proverà il desiderio di vedere o rivedere una o piú opere raccontate, allora la magia avrà inizio, il museo esisterà e sarà nostro.

I DUE QUADRI COMMENTATI DA MELANIA MAZZUCCO

Ad Parnassum, 1932, di Paul Klee

Tintoretto, La presentazione di Maria al Tempio – olio su tela, 429×480 cm (1552-56) Venezia, chiesa della Madonna dell’Orto (in basso)

http://www.arte.it/foto/600x450/a9/2051-IMG_7974_m.jpg

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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FRANCESCO PICCOLO ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 27 giugno 2014 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/06/27/in-radio-con-francesco-piccolo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/06/27/in-radio-con-francesco-piccolo/#comments Fri, 27 Jun 2014 21:02:28 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6246 francesco-piccolo

FRANCESCO PICCOLO ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 27 giugno 2014 – h. 13 circa [e, in replica, il mercoledì successivo (h. 9 circa)]

In Fm e in streaming su Radio Hinterland

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È stato Francesco Piccolo l’ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 27 giugno 2014.

Con Francesco Piccolo abbiamo discusso del suo libro “Il desiderio di essere come tutti” (Einaudi) e dei temi da esso trattati.

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il venerdì mattina (h.13 circa) e – in replica – il mercoledì mattina (h. 11,00). Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

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VALERIA PARRELLA ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 14 marzo 2014 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/03/14/in-radio-con-valeria-parrella/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/03/14/in-radio-con-valeria-parrella/#comments Fri, 14 Mar 2014 21:00:03 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5983 valeria-parrella-tempo-di-imparareVALERIA PARRELLA ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 14 marzo 2014

In Fm e in streaming su Radio Hinterland

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

L’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 14 marzo 2014 è stata la scrittrice Valeria Parrella. Con lei abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Tempo di imparare” (Einaudi) e delle tematiche in esso affrontate: su tutte, quella della disabilità.

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il venerdì mattina (h.13 circa) e – in replica – il mercoledì mattina (h. 11,00). Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

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ROSELLA POSTORINO, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 14 febbraio 2014 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/02/15/in-radio-con-rosella-postorino/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/02/15/in-radio-con-rosella-postorino/#comments Sat, 15 Feb 2014 11:00:31 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5892 rosella-postorinoROSELLA POSTORINO, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 14 febbraio 2014

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

Rosella Postorino è stata l’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 14 febbraio 2014.

Abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Il corpo docile” (Einaudi Stile Libero).

Come sempre ne abbiamo approfittato per approfondire la conoscenza delle tematiche trattate nel libro. Nella fattispecie ci siamo occupati della questione delle nascite in carcere e delle problematiche che ne conseguono.

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il venerdì mattina (h.13 circa) e – in replica – il martedì sera (h. 20,30) e il mercoledì mattina (h. 11,00). Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

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JOE R. LANSDALE scrive a Letteratitudine (per “La foresta”) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/02/10/joe-r-lansdale-scrive-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/02/10/joe-r-lansdale-scrive-a-letteratitudine/#comments Mon, 10 Feb 2014 15:46:02 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5887 La forestaIl nuovo ospite diL’autore straniero racconta il libroè lo scrittore americano Joe. R. Landsdale, molto noto anche per i romanzi del ciclo di Hap & Leonard.

Joe R. Landsdale ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa di se stesso, della sua infanzia e di ciò che lo ha portato alla scrittura di “La foresta”: romanzo western appena edito da Einaudi Stile Libero (tradotto da Luca Brioschi).

Ringraziamo Joe per il contributo che ci ha inviato e per la nota di chiusura specificamente dedicata alle lettrici e ai lettori italiani. Di seguito, il pezzo tradotto in italiano e la versione in lingua originale.

Thanks a lot, Joe!

Massimo Maugeri

P.s. Nelle precedenti puntate abbiamo ospitato: Glenn Cooper e Ildefonso Falcones

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Joe Lansdale racconta di se stesso e delle storie che hanno ispirato il suo romanzo “La foresta”

di Joe R. Lansdale

Sono cresciuto con i film western. Negli anni Cinquanta e Sessanta ce n’erano a bizzeffe nelle sale  e in televisione. Gunsmoke, Have Gun Will Travel, Rawhide, Cheyenne, Maverick e tanti altri. Anche i racconti sul west narrati da mio padre e mia madre, esercitarono su di me una grande influenza. I miei erano già piuttosto anziani quando nacqui, e le loro esperienze erano diverse da quelle vissute dai genitori dei miei amici.

Mia nonna, che morì nel 1980 a quasi cento anni, quand’era bambina aveva visto Buffalo Bill e lo ricordava benissimo. Aveva viaggiato lungo il Texas sopra un carro. Se la memoria non mi inganna, era in un gruppo coinvolto nella corsa per l’accaparramento delle terre in Oklahoma, ma che poi si diresse in Texas. Mia nonna ha visto accampamenti indiani, ha assistito a scontri con animali selvatici e, come mio padre e mia madre, aveva parenti che avevano combattuto nella guerra civile. Mio nonno era un commerciante di cavalli e aveva due famiglie, una su ciascun lato dell’Ozarks. Nessuna di esse fu a conoscenza dell’esistenza dell’altra fino al 1970, quando conoscemmo la sorellastra di mia madre, che era quasi spiccicata a mia madre. Be’, questa è già una storia.

La mia era una famiglia di narratori. Tra i miei ricordi più belli, c’è questo: sono tutti seduti sotto un albero a raccontare storie, e io lì ad ascoltare, a godermi quei racconti che mi entravano dentro come buona pioggia su un terreno morbido. E continuano a scavarmi dentro ancora oggi.

Ricordo storie riguardanti famosi fuorilegge che i miei familiari avevano ascoltato da qualche parte e poi condiviso con me; e ancora, storie di vita di campagna e di vicende quotidiane. Mentre gli altri bambini andavano a caccia di lucciole, io tornavo sempre lì, a sedermi sotto l’albero, per ascoltare. Mi piaceva molto di più dei tipici giochi d’infanzia e… ragazzi, sono felice di averlo fatto. Ci ho costruito la mia vita, su quelle storie.

Più tardi, negli anni Settanta, cominciai a interessarmi alla letteratura western (non più solo film e storie orali). Prima di allora avevo letto ogni tipo di romanzi, ma poca narrativa western. Oggi non è cambiato granché. Quando trovo qualcosa che mi piace, ci esco pazzo; altrimenti rimango del tutto indifferente. Ho letto “The Shootist” di Glendon Swarthout, “True Grit” di Charles Portis, “Little Big Man” di Thomas Berger, “Last Reveille” di David Morrell, e un romanzo molto sottovalutato: “The White Buffalo” di Richard Sayles. Ho letto anche “Wild Times” di Brian Garfield, “Lonesome Dove” di Larry McMurtry , e certamente il romanzo di Alan Le May  “The Searchers”. C’è un po’ di Twain, lì dentro. Del resto Twain perseguita anche me, come un buon fantasma, nelle tante cose che scrivo.

Con riferimento a questo mio nuovo romanzo, posso dirvi che desideravo raccontare una storia nello stesso modo in cui la raccontavano i miei: con ritmo, dettagli e divagazioni interessanti. C’è un miscuglio di avventura e azione, alla base di “La foresta”.

Scrivere questo romanzo è stato come dare sfogo a un urlo primordiale. Spero che vi piacerà leggerlo.

Vorrei soffermarmi un attimo per dedicare un pensiero a tutti i miei lettori italiani e ringraziarli per il loro interesse. Lo apprezzo tanto. Avete dimostrato di essere lettori forti e di seguire con passione il mio lavoro. E di amare i libri in generale. So per certo che siete lettori di gran lunga più attenti di quelli del mio paese. È una cosa che ammiro molto. Spero che possiate continuare ad amare i libri in siffatto modo. Un buon libro è un’esperienza meravigliosa, e io sono davvero felice che tanti di voi abbiano apprezzato le esperienze vissute leggendo i miei romanzi. Spero possa essere così anche nel futuro.

(traduzione di Massimo Maugeri)

(Riproduzione riservata)

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Joe R. Lansdale tells about himself and the Stories that Inspired The Thicket

I grew up on Western movies and films. In the fifties and sixties they were as thick at the theater and on television as fleas on a stray dog. Gunsmoke, Have Gun Will Travel, Rawhide, Cheyenne, Maverick, and so many others. Another big influence were the stories my father and mother told about the Western era; they were older parents when I was born, so their experiences were different than the parents of my friends.

My grandmother who died in the 1980s at nearly a hundred years old had seen Buffalo Bill as a child and remembered it vividly. She had traveled to Texas by covered wagon, and if memory serves me, her folks had been involved in the Oklahoma land rush, but gave it up and came to Texas. She had seen Indian encampments, had run-ins with wild animals, and like my father and mother, had relatives who had fought in the Civil War. My grandfather was a horse trader and had two families, one on either side of the Ozarks, neither aware of the other until the 1970s when we met my mother’s half sister, who looked almost exactly like my mother. Now there’s a story.

My family were storytellers, and one of my fondest memories was them sitting under a tree telling stories, and me soaking it all up like soft ground under a good rain. I’m still mining those stories. There were also tales about famous outlaws they had heard and passed on to me, about country living, and day to day business. While the other kids chased fireflies, I kept coming back to sit under the tree and listen. I loved it far more then childish games, and boy, am I glad I did. I’ve made a living at it.

Later, in the seventies, I became interested in Western fiction, not just films, stories, and history. Before that, I read all manner of fiction, but very little Western fiction, and most of what I had read didn’t move me. I am still that way about Western fiction. When I like it I’m absolutely bonkers for it, but when I don’t, it leaves me as cold as a polar bear’s toes. I read The Shootist by Glendon Swarthout, True Grit by Charles Portis, Little Big Man by Thomas Berger, Last Reveille by David Morrell, and a very underrated novel, The White Buffalo by Richard Sayles. Later I read Wild Times by Brian Garfield, Lonesome Dove by Larry McMurtry, and certainly Alan Le May’s novel, The Searchers. I suppose Twain had something to do with it, as he haunts me like a happy ghost in so many things I write. But it was my main intention to tell a story the way my folks told stories, with pacing and detail and interesting asides. Toss in adventure and action, and you have all of the influences for The Thicket.

Writing it was like a satisfying primal scream. I hope you’ll love reading it.

I wanted to take a brief moment to think all my Italian readers for their dedication. It is appreciated. You have proven to be strong readers and carry and interesting point of view about my work, and books in general. I hear often that Italians don’t from Italians, but I know for a fact that you are far more dedicated readers than those in my country, which is beloved by me. I hope those of you who are dedicated to books continue to be so. A good book is a marvelous experience, and I am so glad that so many of you have liked the experiences you have had reading my books. I hope for and respect your continued readership.

Joe R. Lansdale

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(Riproduzione riservata)

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È online la puntata con MELANIA G. MAZZUCCO, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 24 gennaio 2014 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/01/24/in-radio-con-melania-mazzucco/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/01/24/in-radio-con-melania-mazzucco/#comments Fri, 24 Jan 2014 14:39:29 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5821 melania-mazzucco-sei-come-seiÈ online la puntata con MELANIA G. MAZZUCCO, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 24 gennaio 2014

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L’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 24 gennaio 2014 è stata la scrittrice Melania G. Mazzucco, con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Sei come sei” (Einaudi Stile Libero) e delle tematiche in esso affrontate.

Nella seconda parte della puntata Melania Mazzucco ha letto un estratto del romanzo.

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il venerdì mattina (h.13 circa) e – in replica – il martedì sera (h. 20,30) e il mercoledì mattina (h. 11,00). Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

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La Einaudi compie 80 anni http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/11/22/la-einaudi-compie-80-anni/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/11/22/la-einaudi-compie-80-anni/#comments Fri, 22 Nov 2013 06:00:15 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5640 © Letteratitudine LetteratitudineBlog / LetteratitudineNews / LetteratitudineRadio / LetteratitudineVideo ]]> La Einaudi compie 80 anni: buon compleanno da Letteratitudine


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DAVID FOSTER WALLACE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/09/12/david-foster-wallace/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/09/12/david-foster-wallace/#comments Thu, 12 Sep 2013 17:50:50 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/09/14/la-fine-di-david-foster-wallace/ Il 12 settembre 2008 moriva lo scrittore statunitense David Foster Wallace (nato il 21 febbraio 1962), autore di opere importanti come “La scopa del sistema“, “La ragazza con i capelli strani“, “Infinite Jest” (giusto per citarne qualcuna).
A cinque anni dalla scomparsa, vorrei ricordarlo riproponendo questo post.
Ne approfitto per segnalare quest’altro post, in tema, pubblicato su LetteratitudineNews.
Massimo Maugeri

* * *

Post del 14 settembre 2008
Il 12 settembre si è suicidato lo scrittore americano David Foster Wallace.
Aveva 46 anni. Si è ucciso impiccandosi nella sua abitazione di Claremont, in California. Il cadavere è stato rinvenuto dalla moglie, Karen Green, alle ore 21.30.
Foster Wallace è diventato un autore di culto (anche se non mancano i detrattori), soprattutto in seguito alla pubblicazione dell’opera monumentale “Infinite Jest” (più di mille pagine… qui in Italia pubblicato prima da Fandango e poi da Einaudi).
Un altro scrittore che si aggiunge alla lista degli artisti della penna che hanno deciso di spegnere l’interruttore dell’esistenza (e potremmo anche discutere sul tema difficilissimo del suicidio).
Tempo fa lo stesso Wallace ebbe modo di sostenere: “Succedono cose davvero terribili. L’esistenza e la vita spezzano continuamente le persone in tutti i cazzo di modi possibili e immaginabili” (da Brevi interviste con uomini schifosi).

Quella che segue, invece, è una citazione tratta da “Infinite Jest”:
La persona che ha una così detta “depressione psicotica” e cerca di uccidersi non lo fa aperte le virgolette “per sfiducia” o per qualche altra convinzione astratta che il dare e avere nella vita non sono in pari. E sicuramente non lo fa perché improvvisamente la morte comincia a sembrarle attraente. La persona in cui l’invisibile agonia della Cosa raggiunge un livello insopportabile si ucciderà proprio come una persona intrappolata si butterà da un palazzo in fiamme. Non vi sbagliate sulle persone che si buttano dalle finestre in fiamme. Il loro terrore di cadere da una grande altezza è lo stesso che proveremmo voi o io se ci trovassimo davanti alla finestra per dare un’occhiata al paesaggio; cioè la paura di cadere rimane una costante. Qui la variabile è l’altro terrore, le fiamme del fuoco: quando le fiamme sono vicine, morire per una caduta diventa il meno terribile dei due terrori. Non è il desiderio di buttarsi; è il terrore delle fiamme. Eppure nessuno di quelli in strada che guardano in su e urlano “No!” e “Aspetta!” riesce a capire il salto. Dovresti essere stato intrappolato anche tu e aver sentito le fiamme per capire davvero un terrore molto peggiore di quello della caduta.

Rattristato dalla notizia della morte mi piacerebbe ricordare David Foster Wallace, il suo talento letterario e la sua opera principale: “Infinite Jest“, appunto. Qualcuno di voi ha letto questo libro?

Di seguito potrete leggere l’estratto di un’intervista – pubblicata su Repubblica del 23 dicembre 2000 – che Foster Wallace rilasciò ad Antonio Monda.
Massimo Maugeri

____________

da Repubblica — 23 dicembre 2000
di Antonio Monda

La consacrazione culturale del grande talento di David Foster Wallace avvenne con un ritratto sul New York Times pubblicato in occasione dell’uscita negli Stati Uniti di Infinite Jest. La dimensione monumentale del libro aveva sorpreso chi si aspettava in piena epoca minimalista un nuovo capitolo irridente dell’affresco americano iniziato con The Broom of the system (La scopa del sistema) ma l’uso entusiasta del termine “genio” usato ripetutamente da Esquire e i paragoni con Joyce suggerito dalla Midwest Book Review e con Poe dal New York Times Book Review, aprirono le porte ad una celebrazione mediatica nella quale venne proclamata la nascita del «piu’ eccitante e interessante talento della sua generazione». Ad incontrarlo oggi, Wallace appare un ragazzo dallo sguardo ferito, che vive con sospetto lo straordinario successo critico e non nasconde le sbandate di una vita irregolare che sembra aver trovato un po’ di pace nel ritiro nel piccolo centro di Bloomington, nell’Illinois. La sua ironia cela sempre il dolore, il suo giudizio tagliente una malinconia venata di incertezza, il racconto affascinato di personaggi più grandi della vita una concezione dell’esistenza che ha ben poco di grande, e che trova nell’aurea mediocritas una possibile risposta al mistero del vivere. Ha deciso di non scrivere saggi e articoli per almeno due anni, ma rivela di sentirne già la mancanza…

Lei crede al potere di redenzione dell’arte?
«Certamente, ma esito sempre nell’identificare pubblicamente le opere che hanno avuto un tale effetto su di me. E’ una forma di pudore, ma anche una constatazione: esistono libri, quadri, brani musicali o film che riescono a svolgere un determinato ruolo soltanto in particolarissimi momenti».

Quali sono i libri che l’hanno influenzata come scrittore?
«La lista sarebbe lunghissima. Le cito due romanzi di Manuel Puig che hanno avuto un ruolo fondamentale: Il bacio della donna ragno e Il tradimento di Rita Hayworth».

Lei si e’ ritirato in un piccolo centro che è difficile non definire «in the middle of nowhere». In questo lei è simile a Salinger, De Lillo, Pynchon… Come mai molti dei piu’ importanti scrittori americani hanno deciso di vivere in un isolamento quasi assoluto?
«Ogni caso ovviamente e’ differente, ma la mia impressione è che ci sia una crescente cautela, e a volte una reazione netta, nei confronti dell’esposizione pubblicitaria. Sempre più spesso si rischia di cambiare geneticamente il senso ultimo di una scelta di vita artistica. Per uno scrittore l’espressione artistica è una necessità, e ciò che lui crea è un fine, non un mezzo. Ho l’impressione che questo fenomeno sia soprattutto statunitense perché l’America è il paese dove è più evidente la cultura della celebrità, e dove è più smaccata la confusione tra apparenza e sostanza. Io provo nei confronti degli eventi sociali lo stesso tipo di reazione che ho quando viene scattata una foto con il flash: non riesco a vedere bene, mentre gli altri mi vedono sotto una luce falsa».

Come mai mescola costantemente personaggi reali come il presidente Johnson ad altri puramente immaginari?
«Molti di questi personaggi nascono da una conoscenza televisiva, quindi indiretta, se non addirittura irreale. Ricordo ad esempio che da bambino vedevo Johnson in televisione: si trattava di una presenza costante, della quale conoscevo le espressioni, la cadenza, i modi di muoversi. Ero affascinato dalla sua personalità, tuttavia non potevo certo dire di conoscerlo. Ritengo che non sia possibile fare una vera e propria distinzione, ma nello stesso tempo ciò ci deve portare a riflettere su cosa consideriamo realtà, e su quello che ci viene propinata come tale. Sempre più spesso assistiamo ad azioni o dichiarazioni fatte ad uso e consumo dei media, che pretendono di acquistare la dignità della realtà».

Ritiene che il linguaggio televisivo sia dannoso anche per la letteratura?
«Terribilmente, ma si deve estendere il discorso anche a realtà più nuove come Internet. Io insegno letteratura inglese, ed è deprimente vedere come ogni anno si registri meno passione, meno cultura, e conseguentemente una minore qualità nella scrittura».

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È online la puntata con GIANCARLO DE CATALDO e MASSIMO CARLOTTO, ospiti di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 19 aprile 2013 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/04/21/in-radio-con-giancarlo-de-cataldo-e-massimo-carlotto/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/04/21/in-radio-con-giancarlo-de-cataldo-e-massimo-carlotto/#comments Sun, 21 Apr 2013 21:50:52 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5147 È online la puntata con GIANCARLO DE CATALDO e MASSIMO CARLOTTO, ospiti di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 19 aprile 2013

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Ospiti della puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 19 aprile 2013 sono stati gli scrittori Giancarlo De Cataldo e Massimo Carlotto. Con loro abbiamo discusso del volume “Cocaina” (Einaudi), contenente tre racconti firmati dagli stessi De Cataldo, Carlotto e da Gianrico Carofiglio.

Ne abbiamo approfittato per discutere delle problematiche legate alla cocaina. Inoltre abbiamo chiesto agli scrittori ospiti di anticiparci qualcosa sui loro “lavori letterari in corso”.

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il venerdì mattina (h.13 circa) e – in replica – il martedì sera (h. 20,30) e il mercoledì mattina (h. 11,00). Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

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È online la puntata con MAURIZIO DE GIOVANNI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 29 marzo http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/04/02/in-radio-con-maurizio-de-giovanni/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/04/02/in-radio-con-maurizio-de-giovanni/#comments Tue, 02 Apr 2013 20:00:46 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5094 maurizio-de-giovanni-guarire-dalla-corruzioneÈ online la puntata con MAURIZIO DE GIOVANNI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 29 marzo

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L’ospite della puntata di venerdì 29 marzo (puntata pre-pasquale) di Letteratitudine in Fm” è stato lo scrittore napoletano Maurizio de Giovanni, con cui abbiamo discusso del suo nuovo libro Vipera. Nessuna resurrezione per il commissario Ricciardi” (Einaudi Stile Libero)… romanzo ambientato nella settimana prepasquale della Napoli del 1932.

Nella seconda parte della puntata, Massimo Maugeri ha letto uno stralcio del volume Guarire dalla corruzione” di Jorge Mario Bergoglio (Papa Francesco), edito da Emi

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È online la puntata con DARIA BIGNARDI, ospite di “Letteratitudine in Fm” dell’11 gennaio 2013 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/01/12/in-radio-con-daria-bignardi/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/01/12/in-radio-con-daria-bignardi/#comments Sat, 12 Jan 2013 13:40:58 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4825 daria-bignardi-philip-rothÈ online la puntata con DARIA BIGNARDI, ospite di “Letteratitudine in Fm” dell’11 gennaio 2013

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L’ospite di venerdì 11 gennaio (h. 13 circa) è stata Daria Bignardi con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “L’acustica perfetta” (Mondadori). In chiusura abbiamo accennato alle novità della nuova edizione de “Le invasioni barbariche“.
Nel corso della puntata, Daria ha letto una pagina tratta dal suo romanzo.

Nella seconda parte della trasmissione ci siamo occupati del romanzo di Philip RothQuando lei era buona” (Einaudi), ripubblicato con una nuova traduzione. Massimo Maugeri ha letto uno stralcio del libro.

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È online la puntata con MELANIA G. MAZZUCCO, ospite di “Letteratitudine in Fm” del 21 dicembre 2012 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/12/22/in-radio-con-melania-g-mazzucco/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/12/22/in-radio-con-melania-g-mazzucco/#comments Sat, 22 Dec 2012 11:10:02 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4783 È online la puntata con MELANIA G. MAZZUCCO, ospite di “Letteratitudine in Fm” del 21 dicembre 2012

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L’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 21 dicembreè stata la scrittrice Melania G. Mazzucco con cui abbiamo discusso della sua favola pubblicata da Einaudi e intitolata “Il bassotto e la Regina“. La Mazzucco ha anche letto, in radio, una pagina della sua favola.

Nella seconda parte della puntata, sempre con Melania Mazzucco, abbiamo avuto modo di discutere del romanzo “Limbo” (Einaudi).

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L’ESTRANEO. Incontro con Tommaso Giagni http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/06/20/lestraneo-incontro-con-tommaso-giagni/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/06/20/lestraneo-incontro-con-tommaso-giagni/#comments Wed, 20 Jun 2012 19:39:19 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4172 L'estraneo Tommaso Giagni, giovane scrittore romano, classe 1985, ha già al suo attivo partecipazioni a varie antologie, tra cui: Voi siete qui (minimum fax 2007), Il lavoro e i giorni (Ediesse 2008), Ogni maledetta domenica (minimum fax 2010). Di recente è uscito il suo primo romanzo: L’estraneo (Einaudi 2012). Un romanzo che affronta il tema dell’estraneità approfondendo il rapporto difficile tra periferia e centro, che ci guida tra due ambientazioni speculari della Roma post duemila e che presenta – al tempo stesso – un approccio linguistico originale… come evidenzia Walter Siti nella sua recensione pubblicata su “Tuttolibri” de “La Stampa” di sabato 16 giugno: “Con L’estraneo di Tommaso Giagni ci troviamo di fronte al romanzo di un giovane che fa sentire vecchi, talmente è impastato nel presente e capace di spiazzare. (…) Ma quel che fa la novità del libro è la lingua: una lingua composita, molto curata ma nello stesso tempo alla ricerca di un’identità almeno quanto il protagonista. Una lingua che passa da preziosismi esibiti e ingenui da opera prima a un romanaccio puramente magnetofonico, in disfacimento, ridotto a cadenza; neologismi espressionisti si alternano a troncature dialettali non del personaggio ma dell’autore, in un gioco che è più voglia di mimetizzarsi che indiretto libero”.
Su “Il Corriere della Sera” del 13 giugno, Giorgio Montefoschi, riferendosi a L’estraneo scrive: “al di là anche delle ragioni «interiori» che appaiono nella descrizione che il personaggio-narratore fa di se stesso, al di là di questo, la tragica e definitiva incapacità di immergersi nel reale, di combattere con il proprio prossimo, di accettare il proprio prossimo e il peso di esistere, affonda in una oscurità davvero tragica, davvero devastante per le sue deboli e modeste forze nei confronti delle quali non potremmo che provare una immensa pietà, o dobbiamo pensare che basta il semplice contingente, basta la «gente», basta il semplice volto superficiale della giornata a impedire a chi narra di vivere la vita? Questa è la domanda che rimane senza risposta in conclusione del romanzo di Tommaso Giagni. (…) Era dall’epoca di Pasolini che non si leggevano pagine così crude e sconvolgenti sulle periferie romane”.

Ecco la scheda del romanzo:
Un ventenne figlio della periferia ma esportato a piazza Fiume, la Roma bene da cui si è sempre sentito rifiutato, entra definitivamente in crisi quando termina la sua storia d’amore con Alba, ragazza di Cinecittà che vedeva in lui un’emancipazione e che per emanciparsi ha trovato un altro amore. Guardando per la prima volta in faccia la propria estraneità al mondo che abita, decide di cambiare vita. Affitta una stanza nella Roma di Quaresima, l’estrema periferia. Il coinquilino nonché proprietario dell’appartamento occupato, Andrea, si tira le sopracciglia nello specchio dell’ascensore e si prostituisce con le tardone borghesi, ma il mercato è in recessione perché gli zingari fanno prezzi stracciati. Nella Quaresima il protagonista si mescola con gente che sta in fissa con la palestra, festeggia il Sabato del Fuoco, dove davanti al quartiere riunito i neodiciottenni fanno un falò delle cose che desideravano da minorenni, va in pellegrinaggio al Circo Massimo per commemorare l’”eroe e martire” Luciano Liboni detto Lupo, e si innamora dell’aspirante coatta Marianna, una che “quando si scopa non si ride”. Ma se è proprio quella la Roma che suo padre gli ha inscritto nel DNA, e da cui voleva affrancarlo col suo impiego da portinaio in centro, d’altro canto non è detto che osservare la città da questa nuova angolazione ribalti la prospettiva. E salvi dal fallimento.

Vorrei approfondire la conoscenza de L’estraneo, invitando l’autore a discuterne con noi nell’ambito di un dibattito organizzato su questo romanzo e sui temi che esso affronta. Come sempre pongo qualche domanda per favorire la discussione…

1. Nella società odierna, quali significati assume il termine “estraneo”?

2. Chi è che oggi può dirsi più “estraneo” di altri? E poi… estraneo a chi? Estraneo a cosa?

3. In generale, che tipo di rapporto lega il centro e le periferie delle metropoli?

4. Questo rapporto è cambiato negli ultimi decenni? Che percezione avete?

5. Com’è definireste il rapporto fra centro e periferia nelle vostre città?

Vi ringrazio in anticipo per la partecipazione.

Massimo Maugeri

Vi invito a seguire LetteratitudineNews e Letteratitudine Radio

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UN FATTO UMANO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/01/09/un-fatto-umano/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/01/09/un-fatto-umano/#comments Mon, 09 Jan 2012 20:51:11 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=3795 Un fatto umanoNon molto tempo fa, qui a Letteratitudine, abbiamo dedicato un ampio spazio al rapporto tra letteratura e fumetti attraverso un dibattito che si è poi trasformato in una sorta di post permanente (una pagina sempre aperta).
Questo nuovo post può dunque considerarsi come una costola del più ampio dibattito su “letteratura e fumetti, letteratura a fumetti”… ma ci dà anche la possibilità di divulgare la narrazione di una “storia vera”… e di approfondire la conoscenza di un “fenomeno umano” (o “fatto umano”) che – forse – non è sufficientemente noto a tutti (dando peraltro luce a un’arte antica legata all’esperienza del racconto: quella del “cunto”).
Al centro della discussione ci sarà un volume particolarissimo, uscito di recente per i tipi di Einaudi Stile Libero: un libro a fumetti, bello e ambizioso, che si pone come obiettivo quello di raccontare la storia del pool antimafia e, di conseguenza, di quel “fatto umano” di cui parlava Giovanni Falcone (celeberrima, ormai, quella sua frase: La mafia non è invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha avuto un inizio e avrà anche una fine).
Il volume si intitola, per l’appunto, Un fatto umano. Storia del pool antimafia. Lo scopriremo in dettaglio nel corso di questa discussione on line a cui parteciperà anche uno degli autori: Manfredi Giffone (che è a vostra disposizione per eventuali domande legate alla realizzazione dell’opera). Gli altri due autori sono: Fabrizio Longo e Alessandro Parodi.

Avevo tredici anni durante gli anni delle stragi”, ci dice Manfredi. “Quando ho deciso di mettermi al lavoro, mi resi conto che non sapevo nulla. Scrivere è stato un modo per auto-sensibilizzarmi e se siamo riusciti a portarlo in fondo, è stato perché la passione del pool per il proprio lavoro risulta ancora contagiosa”.
Come avremo modo di evidenziare, la peculiarità narrativa di questo volume a fumetti deriva da alcune scelte ben precise: quella di “affidare” il racconto a Mimmo Cuticchio (celebre puparo e cuntista palermitano) e quella di rappresentare i personaggi con sembianze animali.

Ulteriori informazioni, sul sito “un fatto umano”. Inoltre segnalo che il libro è stato pubblicato con il patrocinio della Fondazione Progetto Legalità Onlus in memoria di Paolo Borsellino e di tutte le vittime della mafia.
Di seguito, il booktrailer del libro (a fine post, invece, troverete una “tavola”)…

Ciò premesso, questo post ha anche chiari intenti divulgativi e ci consentirà di conoscere un po’ di più alcuni dei protagonisti che hanno combattuto questo “fatto umano”. Al tempo stesso, ancora una volta, avremo modo di interrogarci sulle potenzialità della narrazione a fumetti e sulla sua capacità di raccontare attraverso l’uso di immagini e parole. Infine, mi piacerebbe dare spazio e visibilità a un’antica forma d’arte tipicamente siciliana: quella legata alla cosiddetta “opera dei pupi”.
Nel corso della discussione, avremo modo di sviluppare i suddetti temi.
Intanto, come sempre, ecco a voi qualche domanda volta ad avviare il dibattito…

1. Che tipo di rapporto avete con la narrazione a fumetti?
2. Avete mai letto un “graphic novel”?
3. Quali sono, a vostro avviso, le potenzialità del racconto a fumetti rispetto a quello “ordinario”?
4. Conoscete la storia del pool antimafia? Avete mai avuto modo di approfondirne la conoscenza?
5. Conoscete l’opera dei pupi? Avete mai avuto la possibilità di assistere a una rappresentazione “pupara”?

Come sempre, questa discussione avrà senso e possibilità di sviluppo solo grazie alla vostra collaborazione. Grazie in anticipo, dunque, a tutti coloro che riusciranno a partecipare al dibattito.

Massimo Maugeri

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HOMO INTERNETICUS. QUANDO INTERNET DIVENTA UNA DROGA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/09/19/homo-interneticus-quando-internet-diventa-una-droga/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/09/19/homo-interneticus-quando-internet-diventa-una-droga/#comments Mon, 19 Sep 2011 15:28:07 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=3524 Continua la nostra navigazione tra i pro e i contro di Internet…
Dopo aver discusso – negli anni e nei mesi scorsi – del colosso Google, di rivoluzione Internet, della responsabilità legale della scrittura in rete, del tema scottante della pedofilia on line, degli aspetti positivi e negativi di Facebook, vorrei concentrare la mia e la vostra attenzione su altre problematiche connesse alle nostre vite “sempre più on line”, cogliendo gli stimoli forniti da due libri molto interessanti.

http://img3.libreriauniversitaria.it/BIT/795/9788806207953g.jpgIl primo, è un libro pubblicato da Einaudi e intitolato “Quando internet diventa una droga. Ciò che i genitori devono sapere” di Federico Tonioni (ricercatore universitario per il settore scientifico-disciplinare di psichiatria che afferisce all’Istituto di Psichiatria e Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e in qualità di dirigente medico presso il Day Hospital di Psichiatria e Tossicodipendenze del Policlinico Gemelli). Si tratta di un testo che si pone come obiettivo principale quello di fornire risposte sul tema della “dipendenza da Internet” (vera e propria patologia).
Per darvi un’idea più precisa sui contenuti del libro, vi riporto la scheda:
Federico Tonioni in questo volume spiega e svela con estrema chiarezza le patologie che, soprattutto nel mondo degli adolescenti, sono legate alla straordinaria diffusione di internet. Il libro è cosí uno strumento prezioso per aiutare i genitori che, appartenendo a generazioni «pre-digitali», spesso non sono abituati all’uso del computer e alla navigazione in rete, e si scoprono impreparati alla comprensione dei disturbi che internet può arrecare ai loro figli. Allo stesso modo viene trattata la dimensione on-line del gioco d’azzardo e dei siti per adulti, patologie compulsive che coinvolgono persone di ogni età. Quando internet diventa una droga rappresenta cosí una guida chiara ed efficace sui rischi della dipendenza da internet.
Scrive l’autore: «Mi occupo di dipendenze patologiche da diversi anni e nel corso del mio lavoro ho avuto modo di ascoltare e condividere storie sofferte, rivelazioni sconcertanti, idee deliranti; ma qualche ringraziamento autentico e spontaneo ha reso improvvisamente leggero il peso delle responsabilità che sono chiamato a sostenere. Ho imparato che chi manifesta una dipendenza patologica non vuole soffrire per forza ma vuole soffrire di meno, e che la droga per il tossicodipendente, come la cioccolata per la bulimica o il video poker per il giocatore d’azzardo, non sono desideri ma bisogni, che a volte travalicano la forza di volontà e la logica del pensiero».

http://www.maremagnum.com/extimages/immdef/978889666531.jpgIl secondo, è un libro pubblicato da Piano B edizioni e intitolato Homo Interneticus. Restare umani nell’era dell’ossessione” di Lee Siegel (saggista e critico culturale per il “New York Times”, “Harpers”, “The New Republic” e “New Yorker). Si tratta di un volume uscito negli States all’incirca tre anni fa, dove l’autore (forse “condizionato” anche da ragioni personali, come vedremo) assume una posizione molto critica – quasi “ostile” – nei confronti della rete e dei suoi effetti.
La versione italiana è tradotta da Alessandra Goti e contiene una lunga e succosa prefazione firmata da Luca De Biase.
Riporto, di seguito, la scheda:
Incalzante, lucido, provocatorio, Homo Interneticus prova a mettere in discussione il mezzo tecnologico più esaltato e venduto degli ultimi dieci anni: Internet. La retorica di democrazia e libertà che circonda la Rete viene sfidata nelle sue questioni fondamentali: che tipo di interessi nasconde la Rete? Come e quanto sta influenzando la cultura e la vita sociale? Come stiamo imparando a relazionarci agli altri on line? Qual è il costo psicologico, emotivo e sociale della nostra affollata solitudine high-tech?
Homo Interneticus non è un manifesto contro Internet, ma un’analisi tagliente su come la quotidianità della Rete ha cambiato il ritmo delle nostre vite e il modo in cui percepiamo noi stessi e gli altri. Per Siegel, il lato oscuro della Rete sta rivoluzionando radicalmente la nostra società: il dissolvimento del confine fra pubblico e privato, la trasformazione da cittadino a utente e da utente a prosumer, la mercificazione di privacy e tempo libero, la libertà di consumare confusa con la libertà di scegliere, la riduzione della propria vita a bene da esporre, promuovere, impacchettare e vendere.
Prosumerismo, blogofascismo, il passaggio da cultura popolare a cultura della popolarità, la riduzione della conoscenza a informazione e dell’informazione a chiacchiera, l’autoespressione confusa con l’arte. I molti temi toccati dalle duecento pagine di Homo Interneticus riescono a porre questioni, temi e domande che attendono ancora di essere discusse. Al di là dell’entusiasmo incondizionato che circonda apriori tutto ciò che è Internet e web 2.0, Siegel prova a centrare l’attenzione sui reali interessi che circondano l’enorme massa di nuovi clienti da informare, consigliare e a cui vendere oggetti o stili di vita. Ricco di punti di vista originali e pieni di genio,
Homo Interneticus ci obbliga a riflettere sulla nostra cultura e sull’influenza del web in un modo completamente nuovo.

Vorrei discutere con voi delle tematiche affrontate dai due libri (che, per certi versi, si intrecciano). Proverò a coinvolgere nel dibattito anche i citati Federico Tonioni e Luca De Biase.
Per favorire la discussione vi propongo alcune domande estrapolate (o ispirate) dalle schede dei due libri. Come sempre, vi invito a fornire le “vostre” risposte.

1. Vi è mai venuto il dubbio di essere affetti da una sorta di dipendenza da Internet?
2. Conoscete qualcuno che risente di una vera e propria dipendenza dalla rete?
3. A vostro avviso internet può, in un modo o nell’altro, danneggiare il cervello?
4. Come comportarsi con i figli che passano troppe ore davanti al computer? È necessario fissare limiti di tempo? Bisogna staccare la spina del pc? È opportuno controllare i siti visitati? E, in definitiva, è meglio lasciare la disponibilità del computer o toglierlo con la forza?

5. Che tipo di interessi nasconde la Rete?
6. Come e quanto sta influenzando la cultura e la vita sociale?
7. Come stiamo imparando a relazionarci agli altri on line?
8. Qual è il costo psicologico, emotivo e sociale della nostra affollata solitudine high-tech?

Queste, le domande. Provate a rispondere!
Nel corso del dibattito pubblicherò l’introduzione di Federico Tonioni (con riferimento al libro pubblicato da Einaudi), la prefazione di Luca De Biase e l’introduzione di Lee Siegel (con riferimento al libro pubblicato da Piano B Edizioni).
Molta carne al fuoco, dunque. Una discussione che ci terrà impegnati, spero, per diversi giorni.
Come sempre, la vostra partecipazione è indispensabile.
Ci conto!
Grazie in anticipo.

Massimo Maugeri

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LIBERTÀ di Jonathan Franzen http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/04/18/liberta-di-jonathan-franzen/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/04/18/liberta-di-jonathan-franzen/#comments Mon, 18 Apr 2011 20:13:38 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=3192 La parola “libertà” è insita nel Dna e nell’immaginario collettivo degli Stati Uniti d’America. Basti pensare a uno dei più noti simboli nazionali americani e, per certi versi, del mondo intero: La libertà che illumina il mondo (in inglese, Liberty enlightening the world), ovvero la “Statua della Libertà”.
Ed è proprio sul concetto di libertà che vorrei ragionare, partendo dalla formulazione di alcune domande.

Cosa deve intendersi esattamente per libertà?

Il concetto di libertà è uguale ovunque e in ogni tempo?

Essere liberi, equivale a essere felici?

Esiste una relazione tra libertà e responsabilità?

Il concetto di libertà coincide più con un’esigenza realizzabile o con un’utopia a cui tendere?

È più punto d’arrivo o punto di partenza?

Quali sono i suoi pro e contro?

Fino a che punto la libertà può essere circoscrivibile, comprimibile… e continuare a ritenersi tale?

E ancora… Esistono schiavitù mascherate da libertà? Fino a che punto ci si può ritenere davvero liberi?

Sono queste le domande del post (a cui vi invito a rispondere).
L’input ce lo fornisce il nuovo romanzo dello scrittore americano Jonathan Franzen, intitolato – appunto – “Libertà” (Einaudi, 2011, traduzione di Silvia Pareschi).
Vi propongo il seguente brano estrapolato dal libro, a supporto del tema oggetto della discussione.

“La gente è venuta in questo Paese o per il denaro o per la libertà. Se non hai denaro, ti aggrappi ancora più furiosamente alle tue libertà. Anche se il fumo ti uccide, anche se non hai i mezzi per mantenere i tuoi figli, anche se i tuoi figli vengono ammazzati da maniaci armati di fucile. Puoi essere povero, ma l’unica cosa che nessuno ti può togliere è la libertà di rovinarti la vita nel modo che preferisci.”

Quella che segue, invece, è la scheda del romanzo (la riporto che capire meglio di cosa stiamo parlando). Walter e Patty erano arrivati a Ramsey Hill come i giovani pionieri di una nuova borghesia urbana: colti, educati, progressisti, benestanti e adeguatamente simpatici. Fuggivano dalla generazione dei padri e dai loro quartieri residenziali, dalle nevrosi e dalle scelte sbagliate in mezzo a cui erano cresciuti: Ramsey Hill (pur con certe residue sacche di resistenza rappresentate, ai loro occhi, dai vicini poveri, volgari e conservatori) era per i Berglund una frontiera da colonizzare, la possibilità di rinnovare quel mito dell’America come terra di libertà “dove un figlio poteva ancora sentirsi speciale”. Avevano dimenticato però che “niente disturba questa sensazione quanto la presenza di altri esseri umani che si sentono speciali”. E infatti qualcosa dev’essere andato storto se, dopo qualche anno, scopriamo che Joey, il figlio sedicenne, è andato a vivere con la sua ragazza a casa degli odiati vicini, Patty è un po’ troppo spesso in compagnia di Richard Katz, amico di infanzia del marito e musicista rock, mentre Walter, il timido e gentile devoto della raccolta differenziata e del cibo a impatto zero, viene bollato dai giornali come “arrogante, tirannico ed eticamente compromesso”. Siamo negli anni Duemila, anni in cui negli Stati Uniti (e non solo…) la libertà è stata come non mai il campo di battaglia e la posta in gioco di uno scontro il cui fronte attraversa tanto il dibattito pubblico quanto le vite delle famiglie”.

Vi invito a discutere del concetto di libertà, dunque; ma anche ad approfondire la conoscenza di Jonathan Franzen e di questo suo nuovo romanzo, che è stato da più parti additato come il caso letterario del decennio.
Lo sto iniziando a leggere solo adesso, per cui – per il momento – non posso esprimere un parere. Non ho alcuna difficoltà, però, nel dire che il precedente romanzo (“Le correzioni”) mi ha entusiasmato.
In America, a Franzen, è stato offerto il trono riservato ai grandissimi. Come ci ha ricordato Antonio Monda (sulle pagine di Repubblica), Il Time ha dedicato a Franzen la copertina (privilegio riservato in passato solo ad autori del calibro di Joyce, Nabokov, Updike, Salinger e Toni Morrison) con il titolo “Great American Novelist”; il New York Magazine ha parlato dell’”opera di un genio”, e il New York Times Book Review lo ha definito “un capolavoro”. Persino la temutissima Michiko Kakutani – ci ricorda Monda – lo ha definito “indimenticabile”, e Obama lo ha indicato come propria lettura estiva. L’unica eccezione autorevole è rappresentata da Harold Bloom, che ha parlato di un autore sopravvalutato dalla critica.
Capolavoro assoluto, dunque?
In Italia non sono mancate le lodi, ma nemmeno le perplessità. Nel corso del dibattito vi segnalerò – per par condicio – le opinioni positive del già citato Antonio Monda (la Repubblica), Paolo Giordano (Corriere della Sera), Masolino D’Amico (La Stampa – Tuttolibri); e quelle negative di Tim Parks (“Domenica” del Sole24Ore), Nicola Lagioia (“Domenica” del Sole24Ore), Gian Paolo Serino (“Il Giornale”).

Francesco Pacifico invece (“Domenica” del Sole24Ore) ha cercato di trovare un punto di equilibrio tra sostenitori e detrattori.

Sul concetto di libertà segnalerò inoltre il pezzo di Sandra Bardotti pubblicato su Wuz.

Coinvolgerò nella discussione anche la citata Silvia Pareschi (la brava traduttrice di Franzen), che interverrà da San Francisco.

Qui di seguito, a fine post, trovate un video: è un estratto della chiacchierata tra Jonathan Franzen e Fabio Fazio a “Che tempo che fa”.

A voi, cari amici, il compito di riempire questa pagina di ulteriori contenuti con le vostre risposte, le vostre opinioni e contributi di vario genere.
Grazie in anticipo.

Massimo Maugeri

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http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/04/18/liberta-di-jonathan-franzen/feed/ 173
ACCABADORA, di Michela Murgia (Premio Campiello 2010) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/11/30/accabadora-di-michela-murgia/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/11/30/accabadora-di-michela-murgia/#comments Tue, 30 Nov 2010 21:00:20 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=1045 AGGIORNAMENTO DEL 30 novembre 2010

Ho riportato in evidenza questo post perché c’è un nuovo contributo: l’intervista che Michela Murgia ha rilasciato a Sergio Sozi (pubblicata su “Il Giornale dell’Umbria” del 22.11.2010).
La trovate alla fine del post.
Massimo Maugeri

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Michela Murgia vince il Premio Campiello 2010

http://4.bp.blogspot.com/_IlEcNXJYuek/S_jOaWZ8S1I/AAAAAAAAAGE/Bc7vhEbF3Yk/s1600/premio%2Bcampiello.jpgHo chiamato Michela venerdì mattina, al cellulare. Era appena atterrata a Venezia. Ed era emozionata. Le ho detto: “ho una sensazione positiva… vincerai il Campiello”. Lei mi ha ringraziato (magari avrà fatto gli scongiuri… chissà). Ma ciò che conta è che il Premio è andato a un libro assolutamente meritevole, di cui – peraltro – avevamo avuto modo di discutere l’estate scorsa proprio qui a Letteratitudine, con la partecipazione della stessa autrice.
Complimenti, Michela! Cento di questi Premi… e di questi libri.

Massimo Maugeri
5 settembre 2010

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Faccio i migliori auguri a Michela Murgia (nella foto) per aver vinto – sabato, 22 maggio – il Premio letterario SuperMondello 2010 e aver ricevuto contestualmente la comunicazione di far parte della cinquina dei finalisti del Premio Campiello di quest’anno (aggiudicandosi, dunque, il Premio Selezione Campiello). Il libro premiato si chiama “Accabadora” (Einaudi) e riconfermo le parole di elogio espresse nel post del 24 agosto 2009. Un libro bello e importante che, ancora una volta, consiglio di leggere.
Di seguito, il citato post pubblicato la scorsa estate.
Massimo Maugeri
24 maggio 2010

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Post del 24 agosto 2009

accabadora«Acabar», in spagnolo, significa finire. E in sardo «accabadora» è colei che finisce. Agli occhi della comunità il suo non è il gesto di un’assassina, ma quello amorevole e pietoso di chi aiuta il destino a compiersi. È lei l’ultima madre.
Sono queste le parole che si leggono sulla quarta di copertina del romanzo di Michela Murgia intitolato, appunto, “Accabadora” (Einaudi); un romanzo che – per quanto mi riguarda – è uno dei migliori che ho letto nel primo semestre del 2009.
Una storia forte, quella della Murgia; impreziosita da una scrittura di alta qualità (lirica, densa, ma molto efficace; da grande narratrice) e dal fascino di un’ambientazione riuscita (quella della Sardegna degli anni Cinquanta). Una storia che affronta tematiche complesse e attualissime quali: l’adozione (o l’affidamento), l’accompagnamento alla morte (eutanasia?), ma anche le contraddizioni e i taciti patti che possono interessare comunità organizzate come un unico organismo.

La giovane protagonista del romanzo, Maria, all’età di sei anni diventa «figlia d’anima» (fill’e anima) dell’anziana Bonaria Urrai. Cosa significa «figlia d’anima»? Significa – nella fattispecie – che la piccola Maria diventa figlia acquisita dell’anziana donna secondo l’uso campidanese che consente alle famiglie numerose di compensare le sterilità altrui attraverso una adozione sulla parola; il patto tacito è che la figlia acquisirà lo status di erede, ma in cambio promette di prendersi cura della madre adottiva nei bisogni della vecchiaia.

Bonaria Urrai fa la sarta. Questo è quello che sa Maria. Ma c’è dell’altro. Nell’oscurità l’anziana donna svolge un ulteriore compito: entra nelle case per porre fine alle sofferenze degli agonizzanti e portare una morte pietosa. È un atto ossimorico, quello dell’ultima madre: ferale e amorevole.
Maria la scopre dopo, questa realtà. E la scoperta la sconvolge, la travolge. Perché la giudica inaccettabile. Perché discende dal crescente scarto tra l’etica millenaria di una società morente e i nuovi valori che l’incalzano. Anche se – alla fine – un monito della stessa Bonaria aleggia nell’aria, penetra nelle orecchie: “non dire mai:di quest’acqua io non ne bevo”.

Vi invito ad approfondire la conoscenza di questo romanzo interagendo con l’autrice (che parteciperà alla discussione).
Contestualmente vi propongo di discutere sulle tematiche affrontate dal libro.
Come sempre, per favorire la discussione, pongo alcune domande.

1. (Maria diventa «figlia d’anima» di Bonaria Urrai)
Fino a che punto l’amore di una madre acquisita può superare o eguagliare quello di una madre naturale?
Siamo più figli di chi ci genera o di chi ci alleva?

2. (Bonaria Urrai pratica la «accabadura»)
Esiste un limite oltre il quale è possibile – o addirittura “giusto”, “auspicabile” – porre fine alle sofferenze di un agonizzante? E chi, eventualmente, dovrebbe stabilire il limite?

Di seguito, potrete leggere la recensione di Bruno Quaranta pubblicata su Tuttolibri del 20 giugno 2009. Consiglio, inoltre, l’ascolto dell’intervista rilasciata alla trasmissione radio Fahrenheit.

Massimo Maugeri

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Da La Stampa, Tuttolibri, del 20 giugno 2009

ACCABADORA di Michela Murgia (Einaudi, 2009)

recensione di Bruno Quaranta

foto di Gianfranco Mura - tutti i diritti riservatiSi può ragionare anche così intorno alla letteratura italiana dei nostri giorni. Le occorrerebbe uno sguardo presbite per raggiungere o, almeno, sfiorare la riva. Là dove guardare, vedere lontano, significa – alla lettera – andare a’ rebours, scavare nel tempo, calare il secchio nel pozzo. Quando sussisteva l’identità geografica e storica, rispetto all’odierno apolide errare. Non si tratta di essere ossessionati dalle tradizioni e dalla storia, come lamenta un musicista di Ishiguro. Ma l’ambizione di approdare a un mondo, sia pure in fieri, e di riconoscerlo, questo sì. Come il Renzo manzoniano, a cui «il lume del crepuscolo fece vedere il paese d’intorno». Il paese è Soreni, in Sardegna (immaginario il paese, reale la Sardegna degli Anni Cinquanta, ammantata di un atavismo su cui già incombevano o volteggiavano i tempi moderni: i jeans, la televisione, il tailleur pied-de-poule a insidiare le lunghe gonne e lo scialle sulle spalle. Il lume lo regge Michela Murgia (nella foto), trentasettenne, originaria di Cabras, al secondo passaggio einaudiano dopo aver modellato Undici percorsi nell’isola che non si vede, il primitivismo che sfarina i paesaggi di cartapesta, spezzetta le cartoline, cestina le megalomanie hollywoodiane. Voce tra le voci che l’isola ha nelle ultime stagioni allevato, Michela Murgia. Ma con un timbro nitido, al riparo del vento imitatorio. Stilisticamente, almeno (e per esempio), la sua officina è assai lontana dalla Barbagia di Salvatore Niffoi. La lingua che cuce Accabadora non è oracolare (o, se lo è, lo è carsicamente), né le si chiede lo spasimo del mimetismo, l’avvoltolamento smisurato nei suoni indigeni. L’Accabadora – una sarta, Bonaria Urrai – è la parca che nottetempo recide il filo della vita con un filo di fumo, mai, o quasi, dubitando «di non essere capace di distinguere tra la pietà e il delitto». Una figura mitica tra le diverse di Michela Murgia (come Chicchinu Bastiu, il vecchio cieco che «sentiva nell’aria l’odore dell’uva pronta a far mosto»), una «musa notturna» di Esiodo, un traghetto acheronteo verso il luogo dei «senza nome». Non c’è peccato nel suo agire, è al di là del bene e del male, semplicemente spalanca la via alla dignità che è il medicamentoso oblio di sé. Di metafora felice in grano sapienziale, verso «le implicanze oscene della verità» avanza Accabadora. Perché, infine, Maria, fillus de anima, figlia adottiva di Tzia Bonaria, vedova di un promesso sposo morto in guerra, capirà quale creatura fatale l’aveva accolta. Inseguendo quindi un’ulteriore vita come bambinaia a Torino, là, dove «nessuno si sarebbe preso la briga di disegnare strade così dritte, se non avesse avuto molta paura», meritando la confidenza di un terribile segreto che la restituirà alla Sardegna. D’altronde, si interrogherà, interrogherà: «Me ne sono andata mai?». Al capezzale di Bonaria Urria colpita da «un’ittus», Maria si scoprirà – diverrà – carnalmente «fillus» , aureolata dalla verità (dalla necessità) «che ci sono cose che si fanno e cose che non si fanno». Leggi scritte e leggi non scritte (come il sofocleo dare sepoltura): un’altalena, una tenzone, una casistica millenaria, sino ad Accabadora. «Quel che deve avvenire – come sapeva (e rispondeva) lo scrittore e giurista Salvatore Satta, conterraneo di Michela Murgia -, avviene senza rimedio, senza che Dio ci possa fare nulla». Si vorrà forse credere che siano onnipotenti, onniscienti, i codici umani?

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Intervista a Michela Murgia

di Sergio Sozi

In genere sono diffidente dei premi letterari famosi, che considero spesso per nulla rappresentativi della qualità di un’opera. Pertanto non ho letto ”Accabadora” di Michela Murgia sulla spinta del Campiello 2010 che il romanzo ha vinto poco fa, ma solo perché l’aveva acquistato mia moglie per sé e un affermato blog letterario mi aveva precedentemente stimolato la curiosità tramite i numerosi consensi dei forti lettori che ivi si erano espressi a riguardo (mesi prima che fosse assegnato il premio veneto).
Ecco, ora devo, alla luce di tutto ciò, ammettere che la giuria del Campiello stavolta ci ha visto bene, scegliendo un romanzo per niente confacente alle mode; un romanzo, ”Accabadora”, dalla lingua estremamente filtrata, i cui lemmi (altrettanto mirati) si fondono ad una sintassi e ad una retorica pienamente letterarie. Insomma si tratta di un romanzo vero, ossia di un’opera d’arte letteraria che ignora qualsiasi compromesso, sia con l’oralità televisiveggiante adottata dai piú che con la contorta letterarietà delle operazioni di nostalgico recupero delle tradizioni. Niente a che fare, poi, fortunatamente, con la vulgata postmodernista o con quella inconsapevolmente globalizzata degli antiglobalisti e degli odierni strapaesani – fenomeni spesso affratellati, ohibò, da un comune spregio delle nostre tradizioni letterarie nazionali.
Murgia, appunto, riesce ad essere stilisticamente personale e appieno romanzesca senza cadere in nessuna imitazione, altresí evitando di intortarsi in uno qualsiasi dei generi attuali o di cedere alla tentazione del gaddismo – con questo termine mi permetto di definire lo slancio innovativo e al contempo espressivo di chi dia un’estetica linguistica stravolta, sibillina o addirittura oracolare ai propri inimitabili sentimenti (e proprio il plurilinguismo gaddiano, sappiamo, con la sua furia espressionistica, diede la stura ad uno sdoganamento degli inserti dialettali nelle opere narrative in lingua). Gadda, appunto, se fa sentire la propria ombra, resta comunque fuori dall’orizzonte di questo romanzo, parlando da un punto di vista linguistico, poiché la sarda Michela Murgia punta alla purificazione e alla disambiguazione della lingua italiana senza voler rinunciare alla verità del proprio messaggio – affidato a dei personaggi che non potrebbero nascere in altro luogo che non sia la Sardegna ove la storia in buona parte si svolge ma che, essendo latori di messaggi forti, non temono di indossare i panni, perfettamente credibili, di un italiano ammirevole per precisione e vastità terminologica, morfologica e, come già dicevamo, retorica. Il tutto con, qua e là, pennellate di gradevoli costrutti poetizzanti.
Ciò nonostante, la storia di Maria e di Bonaria Urrai raccontata in ”Accabadora” non lesina punti concettuali oscuri o irrisolti, sufficienti per motivare l’intervista di chiunque, come il sottoscritto, desideri parlare con un autore per acclarare ipotesi interpretative nonché dubbi vari, sorti in itinere o posteriormente rispetto alla lettura.
Questo colloquio, dunque, sarà incentrato solo su ”Accabadora”, evitando tutto quel che non concerna direttamente il libro stesso, per cui ritengo utile fornire al lettore qualche cenno aggiuntivo sul romanzo – a iniziare dal titolo.
Per farlo, riportiamo un breve estratto della quarta di copertina:
«Acabar», in spagnolo, significa finire. E in sardo «accabadora» è colei che finisce. Agli occhi della comunità il suo non è il gesto di un’assassina, ma quello amorevole e pietoso di chi aiuta il destino a compiersi. (…) Maria e Tzia Bonaria vivono come madre e figlia (…), la vecchia sarta ha visto Maria rubacchiare in un negozio, e siccome nessuno la guardava ha pensato di prenderla con sé.
La storia del romanzo, ambientata negli anni Cinquanta nel paese sardo (inventato) di Soreni, è appunto quella della convivenza fra la madre adottiva Bonaria e la ragazzina Maria, la quale, per via dell’adozione, ha acquisito la definizione popolare sarda di fill’e anima dell’anziana e benestante vedova.

Questo romanzo contiene una gran messe di spunti, pur ruotando attorno ad un pugno di questioni derivate da quella principale del rapporto fra l’uomo e la vita – e non dico del rapporto fra l’uomo e la morte perché in Accabadora dopotutto, a vederla con gli occhi della piccola Maria, la morte non è altro che un nemico della vita umana, ossia un convitato di pietra che a volte sta a capotavola senza che nessuno ce lo abbia messo, non una presenza costante ed ovvia come per Bonaria, la quale sembrava che «fosse invecchiata d’un balzo per sua decisione e ora aspettasse paziente di esser raggiunta dal tempo in ritardo»: ed aspettava tranquilla, Bonaria, forse anche perché «era vecchia da quando era giovane».
La diversa percezione della morte fra Bonaria e Maria, mi chiedo, è questione che potrebbe essere approfondita in un colloquio come il nostro, signora Murgia?

Per Bonaria la morte è presenza, è il prolungamento della presenza che in quel tipo di comunità accompagna ogni individuo dalla culla alla tomba, passando per tutti gli snodi della vita. Per Maria la morte è il contrario, è assenza costante, percepita con la certezza che dell’assenza possono avere solo i figli nati orfani e segnati da una infanzia in cui l’assenza di chi è già andato conforma la vita di chi è rimasto. Negli anni 50 i figli delle vedove crescevano associando la morte non solo alla sventura, ma soprattutto alla povertà.

Molto raffinate, soprattutto dal punto di vista della formulazione linguistica, sono anche le considerazioni riguardanti la sensibilità – per molti versi comune – delle due donne: per esempio, da quando ebbe preso con sé Maria, «Bonaria Urrai non fece mai l’errore di invitarla a sentirsi a casa propria, né aggiunse altre di quelle banalità che si usano per ricordare agli ospiti che in casa propria non si trovano affatto», piuttosto «si limitò ad aspettare che gli spazi rimasti vuoti per anni prendessero gradualmente la forma della bambina». Questa del lasciare ambientare da sola la persona amata è una legge capitale della pedagogia, ma anche e soprattutto dell’amore profondo e perciò delle persone che veramente concedano spazio intimo a chi il cuore comandi loro di concederlo…
Bonaria cosí, in quanto donna che ama profondamente, può permettersi di svolgere le proprie vere mansioni senza troppi crucci etici?

Non è l’amore la chiave di un rapporto riuscito, ma il rispetto. L’amore è un sentire ambiguo che ha spesso a che fare con l’aspettativa di una contropartita, o con il possesso. Gli assassini che hanno ucciso per amore non si contano nelle cronache, mentre non se ne ricorda uno che abbia ucciso per rispetto della vittima. Bonaria ha un altissimo concetto del rispetto per l’altro, ed è questo che la rende capace di allargare la casa come una madre naturale farebbe con il ventre, che cresce al crescere della sua creatura. È sempre la dimensione del rispetto che la fa agire sull’agonia di perfetti estranei, in un gioco di rapporti in cui l’amore nemmeno viene nominato.

Un particolare importante mi sfugge: la tipologia in cui si potrebbe inquadrare la religiosità di Bonaria che, si precisa nel romanzo, possedeva in casa un’«acquasantiera con santa Rita disegnata dentro e l’agnello mistico di gesso, riccio come un cane randagio, feroce come un leone», un sacro cuore «col dito puntato», dei «quadretti a soggetto religioso» ed una «palma benedetta della settimana santa»… oltre a dei paganissimi nastri verdi e pezzi di corno posti «a guardia degli spiriti» i quali forse faranno la differenza con l’ortodossia cattolica post-Concilio di Trento…

Il cristianesimo ha sempre avuto l’intelligenza politica di affiancarsi ai culti che trovava, preferendo risemantizzarli piuttosto che espiantarli violentemente. La religiosità di Bonaria è il frutto di questa riprogrammazione del simbolo, dentro alla quale il volto di un santo assume il carattere amuletico che prima poteva avere un corno di capro o una pietra intagliata con simboli di culti precedenti. Chi guardasse con superiorità a questo processo di adeguamento delle risposte religiose alle domande esistenziali rischierebbe di dimenticare che a tutt’oggi insospettabili borghesi laureati continuano a recarsi dal mago a farsi togliere i malocchi.

L’episodio torinese del rapporto fra Piergiorgio e Maria è una piccola ed intensa storia incastonata nel fiume principale del binomio Maria-Bonaria, ma non è particolare da poco in Accabadora, poiché ci riporta un’interessante disamina della diversa immagine che di un sentimento condiviso possa avere chi lo senta in prima persona e chi lo osservi dall’esterno. Una profonda condivisione, appunto, lega a filo doppio i due giovani: è sentimento di solidarietà, è unione di solitudini, è patto fra brutalizzati (in diversa maniera ma sempre brutalizzati)? O trattasi di altro che mi è sfuggito?

Maria proviene da un mondo rigido ma non chiuso, che per il singolo è tanto rassicurante quanto condizionante, con così pochi modelli vivibili che basta la minima infrazione a fare di te un emarginato. In quel mondo Maria poteva vivere solo rapporti passivi: figlia, ma sempre per scelta altrui, amata, ma non amante. Varcare il mare le da l’opportunità di scoprire ruoli di sé che non supponeva, invertendo il suo rapporto con l’altro. Lei per Piergiorgio sarà madre e amante allo stesso tempo, perché ne avrà cura come se ne ha di un figlio e, pur sublimandolo, scoprirà in sé il potere dell’attrazione naturale tra uomo e donna. Senza questo essenziale passaggio di consapevolezza, non sarebbe mai stata capace di tornare a casa con le forze necessarie per decidere che posto prendere nell’economia della sua comunità. Dopo il mondo in cui tutti sapevano tutto degli altri e la presenza del vicino era cosa scontata, l’incontro con la Torino dei silenzi familiari e delle piccole ipocrisie borghesi le permette la scelta del rientro consapevole.

Perché Maria rubava sin da piccola? Cosa rubava? O meglio: è legge ineluttabile che il mondo sottragga alle persone piú sensibili, cioè ai bimbi (o ai bambini dentro), delle cose per riavere le quali i derubati non possono fare altro che prenderle in giro nascostamente?

In quella pagina è scritto che le colpe sono come le persone: cominciano ad esistere solo se qualcuno se ne accorge. Che Maria abbia capito che nella sua stessa esistenza è inscritta una colpa non perdonabile è evidente: la madre non la chiama nemmeno per nome quando la presenta, e negare il nome proprio di qualcuno equivale a negarne l’esistenza. La morte del padre mentre lei era ancora nel ventre della madre ha tramutato la sua vita in un errore permanente, la cui evidenza è percepibile solo se colpa e bambina si presentano insieme nel gesto del furto. Rubare è il solo modo che Maria conosca per dire: io esisto.

Nicola Bastíu… un approfondimento della sua inquietudine e magari anche del patto che lui riesce a far accettare a Bonaria – meglio se parlando di entrambi i personaggi.

Nicola interpreta al massimo livello il modello virile della sua comunità. È un uomo che potremmo definire di qualità eccellente rispetto al contesto: forte, deciso, autosufficiente, volitivo. Almeno in apparenza, perché quando le condizioni in cui il modello si esercita si modificano, Nicola rivela la fragilità degli stereotipi troppo rigidi, incapaci di trovare risposte creative a domande inattese. In quella rigidità il modello che non evolve è destinato a spezzarsi, ed è esattamente questo il senso della richiesta che il ragazzo fa alla vecchia: sancire la già avvenuta morte sociale del suo modello virile con la morte fisica, richiesta consapevolmente come supremo atto volitivo. Bonaria non dovrebbe mai accettare una richiesta simile, non ci sono i criteri perché il suo operato possa venire messo in atto. Eppure accetta, perché ha un morto insepolto nell’anima e lo riconosce negli occhi di quel giovane che le chiede una fine complice. Lui morirà con l’idea irreformabile di sé, lei seppellirà il suo morto. Ma non senza conseguenze.

Avrebbe qualche fondamento compiere una lettura delle figure di Maria e di Bonaria osservandole secondo le evidenti differenze generazionali…

La scelta di collocare la narrazione degli anni 50 è volutamente legata alla necessità di mettere in scena la crisi non solo dei personaggi, ma di due generazioni che sono state conflittuali come poche altre. In quegli anni i mondi lenti del secolo precedente si muovono con una accelerazione impressionante, determinando nella stessa generazione differenze culturali che prima si accumulavano nell’arco di secoli. Inevitabile il conflitto tra le nuove domande e le vecchie risposte.

Quando, dopo aver parlato con Andría, Maria inizia a sospettare qualcosa della faccenda fra Nicola e la matrigna, a pagina 112, cioè all’inizio del dialogo risolutorio fra la ragazza e Bonaria, Maria osserva Bonaria percependola cosí: «le parve vecchia nel senso comune che le persone dànno alla parola, vicina al suo termine come le promesse mantenute». Lo trovo un passo oscuro: cosa avrebbe promesso Bonaria che starebbe per realizzarsi?

Immagino che nel parlato moderno si direbbe che Bonaria è una donna “risolta”, che non si porta appresso quella scia di incompiute – consapevoli o meno – che fanno sembrare la morte non un compimento, ma una prematura interruzione.

Sergio Sozi (15 – XI – 2010)

[pubblicato su Il Giornale dell'Umbria del 22.11.2010]

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MANCA SEMPRE UNA PICCOLA COSA, di Alessandro Defilippi http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/06/03/manca-sempre-una-piccola-cosa-di-alessandro-defilippi/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/06/03/manca-sempre-una-piccola-cosa-di-alessandro-defilippi/#comments Thu, 03 Jun 2010 20:33:29 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=2180 Ho letto con particolare trasporto questo nuovo libro di Alessandro Defilippi, “Manca sempre una piccola cosa” (Einaudi): a mio avviso, uno dei migliori romanzi usciti negli ultimi mesi.
Il protagonista del libro, Giorgio Aguirre, è uno studente di medicina che non ha nessuna voglia di seguire le orme dei genitori (entrambi medici).
Giorgio vuole fare altro nella (e della) sua vita. E questo altro è in qualche modo legato a un “qualcosa in più” (una qualità?) che lo porta a diventare radiologo industriale in un’officina che produce fiancate per elicotteri. Questo “qualcosa in più” è una sorta di occhio assoluto capace di cogliere i difetti che nessun altro occhio umano sarebbe capace di individuare.
Ma fino a che punto questa caratteristica è “dono”? Non sarebbe meglio chiamarla, in qualche caso… “maledizione”?
Perché la facoltà percettiva di Giorgio va ben oltre il mero aspetto visivo… e talvolta diventa davvero scomodo gestire certe situazioni. E la capacità di individuare i difetti, ti si può anche ritorcere contro. Per questo, forse, Giorgio cerca di sfuggire a se stesso e agli altri andando in giro per il mondo, facendosi attraversare da relazioni amorose che – nella maggior parte dei casi – non gli lasciano addosso impronte tangibili.
Alle sue spalle, il Rospo: un uomo incontrato nel corso di un’esperienza lavorativa, che gli trasmette il mestiere e molto altro: una intera filosofia di vita. Il Rospo diventa l’amico per la pelle, una sorta di padre a cui fare riferimento, ma pure – a volte – un figlio da accudire… fino all’ultimo giorno.
Con una scrittura di alta qualità capace di inglobare efficacemente trama, personaggi e dialoghi – e che attraversa la Storia del nostro paese, dall’omicidio di Moro ai nostri giorni -, Defilippi narra una storia vibrante dove anche il possedere un “qualcosa in più” rischia di trasformarsi in inevitabile mancanza. Perché, alla fine, guardando dentro e fuori di noi bisogna forse rassegnarsi al fatto che manca sempre una piccola cosa.

Sono molto lieto di discutere di questo libro (e dei temi da esso trattati), approfittando della presenza e della disponibilità dell’autore (che vi presenterò meglio nell’ambito della discussione).

Per favorire la discussione provo, come sempre, a porre qualche domanda.

La precisione, la pignoleria, lo scrupolo… sono sempre pregi? Quand’è che rischiano di trasformarsi in difetti?

Dire a ogni costo “le cose come stanno”… è sempre utile?

Raccontare “verità scomode”, che rischiano di mettere in cattiva luce chi le proferisce, è sempre un dovere? Quand’è che – viceversa – il “tacere” può essere considerato una sorta di diritto a tutelare se stessi?

Sulla copertina del libro leggiamo questa frase: “Così si proteggeva dalla sofferenza, nell’unico modo che gli umani conoscono”.
Qual è – a vostro avviso – il modo (l’unico) che gli umani conoscono per proteggersi dalla sofferenza?

Vi invito a rispondere alle domande. Sull’ultima, Alessandro Defilippi ci fornirà la sua risposta alla fine della discussione.

Di seguito, la recensione del libro pubblicata su Tuttolibri e firmata da Lorenzo Mondo.

Massimo Maugeri

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da Tuttolibri – LA STAMPA
del 10 aprile 2010

recensione di Lorenzo Mondo

alessandro-defilippiGiorgio Aguirre si laurea in medicina, ma non intende seguire la professione di entrambi i genitori. Decide infatti di trasferire dall’uomo alle macchine la sua speciale inclinazione, diventerà radiologo industriale: «Non fratture ma rotture» è il suo programma. C’entra nella scelta la ripugnanza provata alle esercitazioni di anatomia, rafforzata forse dalla notizia di un atroce fatto di sangue, il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, assassinato dalle Brigate rosse.
Giorgio è il protagonista di un romanzo di Alessandro Defilippi (nella foto), che prende il suo titolo da una citazione di Pessoa, Manca sempre una piccola cosa.
Un personaggio assolutamente originale, dotato di una vista acutissima, quasi una preveggenza, che gli permette di scoprire nelle lastre lattiginose le minime, inafferrabili imperfezioni dei materiali. Così, fin dal suo primo lavoro in una fabbrica di elicotteri, riesce a evitare disastri, suscitando nei colleghi, insieme all’ammirazione e all’invidia, un vago senso di paura. Si sente invece spronato dal vecchio Rospo, «un tecnico magro e lunare», una sorta di gnomo affettuoso e filosofeggiante, che pretende una dedizione assoluta al Mestiere, inteso come una ricerca delle Ombre, attraverso le quali occorre passare «per non restare bestie, per andare oltre».
Incalzato da una fredda irrequietezza, Giorgio lascia Torino (individuata con affettuosa aderenza in luoghi deputati e nei quartieri operai) e si trasferisce prima in Belgio e poi in Alaska, a divinare falle nelle fiancate di aerei e nei condotti petroliferi. Soltanto materne o imperiose figure di donne sembrano scuotere, nell’accensione dei sensi, la sua atonia, senza compromettere il suo disimpegno, il suo oscuro desiderio di libertà.
Il racconto di Defilippi ci consegna graffianti ritratti, nitide aperture su luoghi e paesaggi agli estremi confini del mondo, attraverso un sapiente e concitato dialogare, effettivo e mentale. E colpisce inoltre la sua confidenza, frutto di accurata documentazione, con tecniche e mestieri inusitati. Scopriremo intanto che le portiere di un aereo o le piastrelle di uno shuttle rappresentano per lui un inutile diversivo rispetto alla detestata medicina, perché la sua vista è portata inevitabilmente a individuare anche le magagne fisiche e morali degli uomini. Si spiega con questo il suo andare ramingo, la sorda chiusura agli affetti, l’egoismo che risulta con ogni evidenza autoprotettivo: «Come se delle cose, delle persone, lui non vedesse che i difetti, la mortalità. E non gli importasse che questo». Vedere dappertutto la rovina e la morte è il peccato che gli rimprovera il Rospo. Ma questa disposizione «viziosa», a quanto sapremo, è dovuta a una latente malattia degli occhi che ha acuito paradossalmente la sua vista.
Giorgio rientrerà a Torino in seguito alla morte del padre, accudirà la madre inferma, mediterà sulla lezione del Rospo, che lo esorta a un universale sentimento di pietà e alla serena accettazione dell’«infinito oscillare delle cose e delle vite», a una conclusione che è anche un inizio, mentre sul passare degli evi e delle generazioni «scivola l’ombra di Dio».
Qualcuno, più provveduto, sentirà correre nel sottofondo la speciale cultura dell’autore, che professa la psicoanalisi di scuola junghiana. Di certo, la mutazione di Giorgio è propiziata dall’amore per una donna; così forte che resiste, in una inattesa propensione al perdono, a un provvisorio, cocente disinganno (e in questa vicenda, nella sua oltranza, a noi, pur dotati di vista mediocre, sembra di avvertire una piccola falla). Ma conta anche nel rinnovamento la sua ribellione alle lusinghe di loschi speculatori edilizi, incuranti della perdita di vite umane; perfino, sintomo di guarigione in un lavacro di umiltà, il suo scacco nel prevedere una sciagura che non ci sarà. Quasi il dissiparsi di un dono che era diventato una maledizione.
Manca sempre una piccola cosa è un bel romanzo, denso di riferimenti culturali, che riesce tuttavia a essere affabile e coinvolgente. Degno, per l’uno e l’altro motivo, di attenzione e consenso.

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È MORTO SALINGER http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/01/28/e-morto-salinger/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/01/28/e-morto-salinger/#comments Thu, 28 Jan 2010 19:01:28 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=1648 jd-salingerJerome David Salinger è morto oggi, 28 gennaio 2010, a Cornish, nel New Hampshire. Aveva 91 anni. Era nato a New York il 1° gennaio del 1919.
Celebre per il suo romanzo di formazione “Il giovane Holden” (The Catcher in the Rye), pubblicato nel 1951 (e divenuto libro-simbolo di diverse generazioni), Salinger era noto anche per la sua vita caratterizzata dal grande isolamento volontario (una sorta di “auto-reclusione”, secondo qualcuno). Una vita, la sua, sempre tenuta lontana dalle luci dei riflettori.
Pochissime le immagini disponibili, altrettanto rare le interviste rilasciate nel corso della sua particolarissima carriera da scrittore.
Il suo ultimo scritto - un racconto – apparve sul “New Yorker” nel 1965. Da allora, più nulla.
Secondo una specie di leggenda metropolitana, Salinger avrebbe lasciato, in una cassaforte, diversi dattiloscritti di romanzi inediti che avrebbero dovuto vedere la luce dopo la sua morte.

Vi domando:
Avete mai letto “Il giovane Holden”?
Che ricordo ne conservate?

Dedico questo spazio, alla memoria di questo grande e peculiare scrittore.
A voi, se volete, il compito di riempirlo con commenti, pensieri, notizie e considerazioni.
Massimo Maugeri

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AGGIORNAMENTO DEL 1° febbraio 2010

Vorrei approfondire i temi tracciati su questo post…
Nei giorni scorsi vi avevo chiesto di riempirlo con commenti, pensieri, notizie e considerazioni (e vi ringrazio per l’ampia partecipazione). Adesso, invece, vorrei soffermarmi sulle ragioni del successo de “Il giovane Holden“.
Mi chiedo (e vi chiedo)
Perché, a vostro avviso, questo romanzo è penetrato in maniera così forte nell’immaginario collettivo di intere generazioni?

Poi vi riporto questa frase di Antonio Scurati, estrapolata da questo articolo pubblicato su “La Stampa“: “non ho mai trovato molti motivi per appassionarmi al Giovane Holden ma ho, invece, avuto numerose occasioni di soffrirne gli eredi. Certo, l’epigonia è da tempo un problema universale, e non si può imputare agli archetipi i loro epigoni, ma con i maestri della levità il problema degli epigoni si fa particolarmente pesante“.
Cosa ne pensate?

Sull’inserto Domenica de Il Sole 24Ore di ieri (cfr. pag. 34), Rick Moody sostiene che “l’ultima parte del lascito di Salinger è sicuramente il suo silenzio. (…) Per alcuni questo silenzio è stato irritante, ma dal mio punto di vista è stato parte della spiritualità che contrassegna la sua opera più recente. È stato rispettoso, esteticamente coerente e riservato.”
Che ne pensate?

E – rimanendo al domenicale del Sole – dal suo contrappunto, Riccardo Chiaberge domanda: “Salinger sarebbe mai diventato un autore di culto, un’icona del Novecento, se avesse pubblicato non uno, ma dieci o venti romanzi come John Updike o García Márquez?”
Secondo voi?

Qui in basso, il servizio di Federica Borrelli su Rai Tre.

Massimo Maugeri

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L’ESTATE CHE PERDEMMO DIO, di Rosella Postorino http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/07/06/lestate-che-perdemmo-dio-di-rosella-postorino/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/07/06/lestate-che-perdemmo-dio-di-rosella-postorino/#comments Mon, 06 Jul 2009 18:04:32 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=934 lestate-che-perdemmo-dioChe vuol dire avere colpa, quando sono proprio le tue radici la causa del tuo male, ed è così difficile liberarsene?

Qual è il confine tra colpa e innocenza?

Sono queste alcune delle domande che aleggiano sulle pagine del nuovo romanzo di Rosella Postorino, giovane scrittrice già segnalatasi con il precedente “La stanza di sopra” (Neri Pozza, 2007) molto apprezzato dalla critica e vincitore del Premio Rapallo Carige Opera Prima.
Questo nuovo libro si intitola “L’estate che perdemmo Dio” (Einaudi, € 19, p. 230). Un titolo forte, accompagnato da un incipit graffiante. Una frase urlata che segna l’inizio di un’irreversibile tragedia familiare.
I temi affrontati sono quelli dell’esilio e della forza dei sentimenti. L’esilio di chi è dovuto fuggire dalle spire ferali della ‘ndrangheta; i sentimenti di chi prova a reinventarsi dentro e fuori di sé per continuare a vivere.
Comincia tutto con quella frase: “Chi focu chi ‘ndi vinni”. Caterina aveva otto anni quando la zia la pronunciò. Adesso ne ha dodici, ma quelle parole le sono rimaste addosso. Parole di sciagura. Solo che certe sciagure non possono essere combattute. Bisogna andarsene, scappare; ché la ‘ndrangheta uccide. Quattro, i fuggiaschi verso l’Altitalia: Salvatore, il padre; Laura, la madre; Caterina, la figlia maggiore; Margherita, la piú piccola. Quattro esseri umani costretti a voltare le spalle alle proprie radici e a cercare salvezza e libertà in luoghi distanti, che non sono i loro. Ma poi Salvatore deve tornare indietro. E nella vicenda si aprono nuovi squarci.
La Postorino consegna una storia dura, dolente; resa al lettore con stile sferzante e linguaggio fluviale, dal quale emerge la “voce” di una ragazzina che è dovuta crescere troppo in fretta.
Nonostante la giovanissima età, Caterina percepisce il peso delle proprie origini; ne sente quasi il marchio sulla pelle. Eppure non si rassegna: «Piú di tutti, di tutti quanti loro, di tutta la loro famiglia messa assieme, piú di chiunque altro, Caterina lo ha preteso. Il diritto di essere felice. Loro no, non ci avevano mai pensato. Come se la felicità includesse anche un prezzo da pagare, un prezzo raddoppiato, lì dove è nato il padre si vive nel solco di una disgrazia sempre in agguato, non per paura, non per senso di minaccia, per fatalismo piuttosto, non si è altro che pedine nelle mani di Dio, non si può osare chiedere di piú, non si può scegliere».
Vorrei approfondire la conoscenza di questo libro insieme a voi e all’autrice (che parteciperà al dibattito). E contestualmente vorrei discutere dei temi che esso tratta.
Per favorire la discussione, come al solito, tento di porre qualche domanda ripartendo da quelle che hanno aperto il post:

Che vuol dire avere colpa, quando sono proprio le tue radici la causa del tuo male, ed è così difficile liberarsene?

Qual è il confine tra colpa e innocenza?

E poi… fino a che punto è possibile liberarsi delle proprie radici, pur essendo radici malefiche?

Viceversa… è sempre giusto mantenere saldi i legami con la propria famiglia, a prescindere da tutto?

Che tipo di responsabilità ha la società (se c’è l’ha) nei confronti dei bambini appartenenti a famiglie legate alla criminalità organizzata?

Per una ragazzina che vive una situazione simile a quella della protagonista di questo romanzo è davvero possibile raggiungere la felicità? E in che modo?

Di seguito, la recensione di Sergio Pent apparsa su Tuttolibri de La Stampa.

Massimo Maugeri

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Quando il sole è negato ai bambini
Una famiglia del Sud in fuga verso l’«Altitalia», dove nessuno possa ferirne il futuro

di SERGIO PENT

«I bambini ci guardano», recitava il famoso film di Vittorio De Sica. I bambini nutrono la vita e la giustificano, ma sono spesso gli adulti ad agire per primi sulla spinta delle emozioni istintive, degli impulsi selvaggi, dei raziocini maltrattati. I bambini hanno fatto la recente fortuna letteraria di Ammaniti – vittime inconsapevoli, miniature dell’eterno disagio adulto – e troviamo tracce di infanzie – più malmostose e infingarde, talvolta, ma sempre giustificabili – in certe belle storie di Simona Vinci, Diego De Silva, fino ai deliri rurali e goticheggianti di Eraldo Baldini.
Rosella Postorino è riuscita, già al secondo romanzo, a imporsi nella mente del critico-lettore come una scommessa vincente della nostra narrativa. Linguaggio scaltro e vigoroso, capacità introspettive assai più mature di quello che l’età – 29 invidiabili anni – lascerebbe supporre, senso del romanzo inteso come materia da modellare con abilità e gusto: tutto questo testimonia la presenza di una scrittrice vera, che racconta storie disagiate e strazianti dal punto di vista di una che sembra aver letto tutti i libri indispensabili. E alcuni anche li cita, in chiusura di romanzo, senza per questo averci tolto il gusto di ritrovarli, sulla pagina e nel cuore.
Sono omaggi necessari, poiché tutto ciò che amiamo ritorna, nel gioco sempre nuovo dei rimandi e degli accostamenti, delle sensazioni e delle riscoperte. Ma c’è – in più – la voglia di straziare il lettore con il senso di un disagio estremo, assoluto, in tempi di lotta sempre aperta con i tentacoli del Male.
Un male che allontana Caterina di nove anni e la sorellina Margherita di quattro – insieme ai genitori Salvatore e Laura – dal sole e dalla spensieratezza naturale di Nacamarina, il paese del Sud in cui, in un’estate degli Anni Ottanta, arriva un urlo che annuncia il «focu», la sciagura. In quella landa assolata e baciata dal mare, la guerra è ricominciata, ed è una guerra di adulti che si uccidono in tempo di pace, una guerra in cui anche gli amici muoiono o mettono in pericolo la loro famiglia.
Per questo Salvatore lascia il paese e porta la sua famiglia al sicuro, lontano, in «Altitalia», dove nessuno potrà ferire il loro futuro. Ma tre anni dopo Salvatore è costretto a tornare, per la tragica morte del cognato – N’toni – e per rimettere insieme ciò che resta del passato.
In questa odissea del distacco momentaneo, l’autrice riallaccia tutti i nodi della storia, dal punto di vista di Salvatore e Laura, della piccola e ancora inconsapevole Margherita, ma soprattutto di Caterina, che – ormai dodicenne – sogna un futuro sereno in cui possano trovare spazio i suoi desideri e la volontà di crescere senza paure.
E si incontrano, i sogni e la realtà, in un miscuglio di eroi dei cartoni animati e primi innamoramenti, memorie familiari e lettere a un ragazzo rapito proprio giù dalle sue parti – Cesare Casella – fino al ricordo di zio N’toni, lo zio pacato e sorridente, il padre di Lena e di Giacomo, ultima vittima di una guerra che i telegiornali chiamano in un altro modo.
La storia familiare si intreccia, nella solenne e mai faticosa lentezza del romanzo, con la storia di un Paese in cui l’onestà deve tramutarsi in fuga per sopravvivere, e lo spaesamento diventa rimpianto, rancore, ma anche voglia di riappropriarsi di una vita a cielo aperto.
Verga, Vittorini, grandi nomi che ritornano tra le pieghe di un libro sofferto e maturo, che non concede nulla al relax del lettore, ma lo sfida – e lo accoglie – nel calore unico delle narrazioni importanti, quelle a cui – senza tante discussioni e senza gossip da primedonne di un reame a corto di lettori – si dovrebbe assegnare a scatola chiusa qualcuno dei nostri premi nominalmente più prestigiosi.

Autore: Rosella Postorino
Titolo: L’estate in cui perdemmo dio
Edizioni: Einaudi
Pagine: 344
Prezzo: euro 19

(fonte: Tuttolibri, in edicola sabato 30 maggio)

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