LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » elvira seminara http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 MAURIZIO DE GIOVANNI con “Cuccioli” e ELVIRA SEMINARA con “Atlante degli abiti smessi” a “Letteratitudine in Fm” http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/02/08/in-radio-con-maurizio-de-giovanni-e-elvira-seminara/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/02/08/in-radio-con-maurizio-de-giovanni-e-elvira-seminara/#comments Mon, 08 Feb 2016 17:50:24 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7047 MAURIZIO DE GIOVANNI con “Cuccioli” e ELVIRA SEMINARA con “Atlante degli abiti smessi” a “Letteratitudine in Fm” di lunedì 08 febbraio 2016 – h. 10 circa (e in replica nei seguenti 3 appuntamenti: giovedì alle h. 03:00 del mattino; venerdì alle h. 13:00; domenica alle h. 03:00 del mattino)

In Fm e in streaming su Radio Hinterland

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO

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È stato Maurizio de Giovanni l’ospite della prima parte della puntata di “Letteratitudine in Fm” di lunedì 8 febbraio 2016. Con Maurizio de Giovanni abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Cuccioli per i Bastardi di Pizzofalcone” (Einaudi Stile Libero).

Elvira Seminara è stata l’ospite della seconda parte della puntata. Con Elvira Seminara abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Atlante degli abiti smessi” (Einaudi).

Di seguito, le schede dei due libri.

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CuccioliCuccioli per i Bastardi di Pizzofalcone – di Maurizio de Giovanni (Einaudi Stile Libero)
Una neonata viene abbandonata accanto a un cassonetto della spazzatura. Una giovane domestica ucraina rimane presa in una morsa di avidità e frustrazioni. I piccoli animali randagi spariscono dalle strade. Cullata dall’aria frizzante di un giovane aprile, la città sembra accanirsi contro l’innocenza. Il compito di combattere un male più disumano del solito tocca a una squadra di poliziotti in cui pochi credono. Li chiamano i Bastardi di Pizzofalcone. In una società che si sgretola, dove il privilegio diventa sopraffazione, i poliziotti di Maurizio de Giovanni combattono non solo il crimine, ma anche l’indifferenza verso chi è più debole. Perché quando la violenza colpisce gli indifesi, a perdere siamo tutti.

Maurizio de Giovanni nasce nel 1958 a Napoli, dove vive e lavora. Nel 2005 vince un concorso per giallisti esordienti con un racconto incentrato sulla figura del commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Il personaggio gli ispira un ciclo di romanzi, pubblicati da Einaudi Stile Libero, che comprende Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore e Anime di vetro. Nel 2012 esce per Mondadori Il metodo del Coccodrillo (Premio Scerbanenco), dove fa la sua comparsa l’ispettore Lojacono, ora fra i protagonisti della serie dei Bastardi di Pizzofalcone, ambientata nella Napoli contemporanea e pubblicata da Einaudi Stile Libero (nel 2013 è uscito il secondo romanzo della serie, Buio, nel 2014 il terzo, Gelo, e nel 2015 il quarto, Cuccioli). Nel 2014, sempre per Einaudi Stile Libero, de Giovanni ha pubblicato anche l’antologia Giochi criminali (con Giancarlo De Cataldo, Diego De Silva e Carlo Lucarelli). In questo libro appare per la prima volta il personaggio di Bianca Borgati, contessa Palmieri di Roccaspina, sviluppato in Anime di vetro. Nel 2015 è uscito per Rizzoli il romanzo Il resto della settimana.
Tutti i suoi libri sono tradotti o in corso di traduzione in Francia, Germania, Inghilterra, Spagna, Russia, Danimarca e Stati Uniti. De Giovanni è anche autore di racconti a tema calcistico sulla squadra della sua città, della quale è visceralmente tifoso, e di opere teatrali.

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Atlante degli abiti smessi“Atlante degli abiti smessi” – di Elvira Seminara (Einaudi)
Eleonora è una donna eccentrica con un modo tutto suo di guardare il mondo. Ma è anche una donna impetuosa. E ora che l’ex marito è scomparso, il rapporto con la figlia Corinne si è strappato, «come un lenzuolo che ha subito troppi lavaggi, vestito troppi letti». È anche per questo che Eleonora lascia Firenze e si rifugia a Parigi, in cerca di solitudine e di chiarezza, perché certe fughe «non si organizzano, si subiscono e al massimo cerchi di perfezionarle ». Da lí, osserva il parco sotto casa e le abitudini bizzarre degli inquilini del suo palazzo – un «ottimo esercizio di equa e diffusa compassione» – e tesse nuove trame. Ma soprattutto scrive a Corinne, per ricucire il loro rapporto. Un giorno dopo l’altro compila un campionario sfavillante degli abiti lasciati nella casa di Firenze. Una sorta di vademecum per orientarsi fra il silenzio ostinato degli armadi e il frastuono dell’umanità. Il catalogo animato di Eleonora diventa cosí un modo di trasmettere l’esperienza del tutto singolare, «fuori dalle ante». Un vortice di parole febbrili, inventive, con una forza espressiva inesausta, che ci trascina senza sosta, lasciandoci alla fine la sensazione di avere vissuto una storia che ci riguarda molto da vicino.

Elvira Seminara, giornalista e pop artist, ha pubblicato per Mondadori L’indecenza (2008) e per nottetempo Scusate la polvere (2011) e La penultima fine del mondo (2013). I primi due romanzi sono stati messi in scena nel 2014 e nel 2015 dal Teatro Stabile di Catania. Suoi testi sono tradotti in diversi paesi. Vive ad Aci Castello. Per Einaudi ha pubblicato Atlante degli abiti smessi.

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La colonna sonora della puntata è composta dai seguenti brani musicali di Miles Davis: “Kind of blue”, “Time After Time” e “Mystery”.


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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa), con una serie di repliche nei giorni successivi. Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

È possibile ascoltare le puntate precedenti, cliccando qui.


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È online la puntata con ELVIRA SEMINARA ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 26 luglio 2013 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/07/27/in-radio-con-elvira-seminara/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/07/27/in-radio-con-elvira-seminara/#comments Sat, 27 Jul 2013 16:00:10 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5347 elvira-seminara-la-penultima-fine-del-mondoÈ online la puntata con ELVIRA SEMINARA ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 26 luglio 2013

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Ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 26 luglio 2013 è stata la scrittrice Elvira Seminara.

Abbiamo avuto modo di discutere del nuovo romanzo “La penultima fine del mondo” (Nottetempo) e delle tematiche da esso affrontato.

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il venerdì mattina (h.13 circa) e – in replica – il martedì sera (h. 20,30) e il mercoledì mattina (h. 11,00). Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

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SCUSATE LA POLVERE, di Elvira Seminara http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/08/01/scusate-la-polvere-di-elvira-seminara/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/08/01/scusate-la-polvere-di-elvira-seminara/#comments Mon, 01 Aug 2011 16:23:49 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=3482 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/files/2011/06/elvira-seminara-scusate-la-polvere.jpgAltre volte, qui a Letteratitudine, abbiamo affrontato il tema della morte. Vorrei riprenderlo in questo nuovo post, per discuterne da un punto di vista diverso.
Tema tutt’altro che estivo, direte. Be’, non è detto!

Parto subito con una domanda: c’è la possibilità di affrontare il tema della morte in maniera… ironica?
La risposta è affermativa. Dal punto di vista letterario ce ne fornisce un valido esempio il nuovo ottimo e divertente romanzo di Elvira Seminara (già ospite della puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” dell’1 luglio 2011): “Scusate la polvere”, edito da Nottetempo.
Il libro, raccontato in prima persona, comincia proprio da un particolarissimo incontro tra la protagonista (Coscienza, detta Enza, Enzima, Cosce, Zen, a secondo dei casi) e il fantasma del marito defunto (segue l’incipit del romanzo):
Quando mio marito Andrea mi si parò davanti in cucina, in piedi accanto alla lavastoviglie, con la polpa di fico spalmata in testa e le unghie sporche di fango, capii che non mi sbagliavo, veniva dal cimitero. Mentre lo calavano sottoterra, e io piangevo stretta fra Alice e Mia, avevo visto infatti un grande fico che si spingeva sulla bara come ad abbracciarlo, o forse sorreggerlo durante l’ultimo viaggio. Ed era pieno di frutti.
Ultimo no però, visto che quel giorno, martedì, me lo vidi davanti in cucina. Avevo il pentolino rosso in mano e stavo armeggiando da un po’ per farlo entrare nella lavastoviglie, avevo spostato i bicchieri ma non c’entrava lo stesso, nemmeno un buco per infilarlo. (…)
Potete leggere un generoso estratto del libro cliccando qui.

Insieme all’autrice discuteremo, dunque, di questo romanzo – che conferma il grande talento narrativo di Elvira Seminara, già apprezzato ne “L’indecenza” e ne “I racconti del parrucchiere” – e su alcuni dei temi da esso affrontati. Anticipo che, oltre all’approccio ironico sul tema della morte, “Scusate la polvere” offre molti spunti di riflessione (su alcuni tic e manie dei tempi moderni, ad esempio; oppure su alcune nuove forme di lavoro) e ci invita a diffidare dalle apparenze… perché non sempre le cose sono così come appaiono a prima vista.
Non aggiungo altro e vi rinvio alla bella recensione di Maria Rita Pennisi che trovate alla fine del post.

Prima, però, come al solito, pongo qualche domanda con l’intento di avviare la discussione.

1. L’ironia può, in qualche modo, favorire la cosiddetta elaborazione del lutto?

2. Sul rapporto ironia-morte, e più in generale nel rapporto con la morte, riscontrate differenze tra la nostra (cultura occidentale) e altre culture?

3. Quali sono le affinità tra sorriso e morte?

4. In che modo la leggerezza può meglio interpretare la fine? Come elaborazione, come ricostruzione, come indagine del passato, o semplicemente come contrappeso al dolore della perdita?

5. Spesse volte le apparenze ci portano a raggiungere conclusioni affrettate. Esiste un metodo per evitare che ciò accada, o siamo comunque sempre destinati a rimanere vittime del “ciò che sembra” (salvo ricredersi a seguito di approfondimenti)?

Di seguito, la recensione di Maria Rita Pennisi.

Massimo Maugeri

P.s. Tra i vari contributi dedicati a questo libro, segnalo quello offerto dall’amico Luigi La Rosa sul suo blog Verso il faro
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SCUSATE LA POLVERE di Elvira Seminara
Nottetempo, 2011 – pagg. 212 – euro 12

recensione di Maria Rita Pennisi

http://cdn.libriebit.com/wp-content/uploads/2011/05/seminara.jpgRituali, per seppellire un dolore, nel nuovo romanzo di Elvira Seminara, “Scusate la polvere”, il cui titolo emblematico è tratto dall’epitaffio della scrittrice americana Dorothy Parker. La protagonista Enza, Coscienza all’anagrafe, che non riesce a trovarsi, l’amica Mia, che si cimenta in catering disgustosi, ma di grande effetto scenico, e l’altra amica Alice, architetto della psiche, che di continuo smarrisce la strada, sono una Trimurti perfetta. Profonda conoscitrice di Freud, Schopenhauer, Bergson, Realismo Magico e culture orientali, la Seminara, con questo romanzo ci vuole “divertire”, ma anche guidare tra gli strati più profondi della psiche umana, nelle anse più interne del cuore e verso la vita, i cui avvenimenti e incontri non sono mai casuali. La protagonista ha un nome pesante da portare, Coscienza, che il padre ha convertito in Enza. Le persone più intime, però, le danno altri nomi. Il marito la chiama Zen, come il quartiere degradato di Palermo; Alice invece Cosce, come per sottolinearne la sensualità; Mia, la chiama Enzima, appellativo dei catalizzatori dei sistemi biologici. Sua madre si ostina a chiamarla Coscienza, anzi Coscieeenza, come per riportarla di continuo alla realtà. Il nome è importante, per primo ce lo dice Dio nel libro della Genesi. Perché allora Enza, in verità, non ha un suo nome? Lo scopriremo leggendo.
Il romanzo inizia nella cucina di Enza, in maniera insolita e divertente, per poi spostarsi nelle strade di Parigi, belle, ariose e leggere, come lei, che respira ad ampi polmoni, in un giorno che sembra calzarle a pennello. La sua decisione di acquistare un abito H&M e la sua indecisione sulla taglia, mentre lo prova… e poi quella telefonata di Mia, che le comunica che il marito ha avuto un brutto incidente d’auto e lei deve tornare subito. Lo stordimento di Enza è tale, che fugge da
Parigi con addosso l’abito che stava provando. Solo l’indomani scoprirà che il marito, quando ha avuto l’incidente mortale, era con una donna. Prima lo stordimento e poi il sospetto del tradimento, si fa strada nella sua psiche. Di conseguenza la sua impossibilità di piangere e di concentrarsi su altro, chiari segnali di chi non può rassegnarsi all’evidenza. Ci chiediamo da subito: “Come mai il marito riusciva a non lasciare nessuna traccia dei sui tradimenti?” Questo aspetto giallo è seguito dall’autrice con grande maestria.
Il fantasma di Andrea, che ad Enza appare in cucina con la testa spalmata di polpa di fico e la terra sotto le unghie, non la sorprende affatto né la spaventa. Tutto nel suo mondo fiabesco ha un posto, un ordine. Lui vuole rivelarle qualcosa. Andrea, in vita, era stato un agronomo, che amava i frutti della terra e anche l’alito vitale, che ci differisce dal fango informe, mentre Enza, invece, sembra sospesa tra cielo e terra, deliziosamente incapace di scavare fino in fondo.
Forte questo romanzo di Elvira Seminara nella sua apparente levità, in cui ogni parola e ogni riferimento hanno un’importanza fondamentale. Soffuso di sottile ironia, pieno di citazioni colte e scritto con stile elegante. Affascinante il personaggio di Enza- Coscienza, le cui asserzioni non vanno prese alla lettera, perché proferite da un soggetto tendenzialmente nevrotico. Un grande esempio di opera aperta, questo romanzo, in cui il lettore è continuamente chiamato in causa, per accertare che le asserzioni della protagonista siano veritiere o rimodellate da lei a suo vantaggio. Un viaggio nella coscienza pieno di volute, anse e passaggi segreti, in cui noi possiamo raggiungere la luce, senza però evitare la polvere.

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L’E-BOOK E (È?) IL FUTURO DEL LIBRO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/06/20/ebook-e-il-futuro-del-libro/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/06/20/ebook-e-il-futuro-del-libro/#comments Mon, 20 Jun 2011 21:07:59 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=3368 Vorrei riprendere la discussione sull’e-book già avviata a partire da questo post, offrendo come spunto per ulteriori riflessioni (e per un approfondimento del dibattito) la pubblicazione di questo nuovo volumetto che ho realizzato per i tipi della piccola casa editrice “Historica” (disponibile, ovviamente, anche in formato elettronico). Il titolo è già un punto di domanda: “L’e-book e (è?) il futuro del libro”.
L’intento non è quello di fornire approfondimenti tecnici sull’e-book, ma di divulgare opinioni emotive sull’argomento. Per far ciò ho coinvolto alcuni tra i più rappresentativi addetti ai lavori del mondo del libro – scrittori, editori, editor, critici letterari, giornalisti culturali – che hanno gentilmente messo a disposizione il loro parere (da qui il sottotitolo…).
Ho chiesto loro di ragionare sul “fenomeno e-book” ed esprimere un’opinione facendo riferimento alle seguenti domande: Cosa ne pensa dell’e-book? Come immagina il futuro dell’editoria e della letteratura tenuto conto del “peso crescente” delle nuove tecnologie? E cosa ne sarà dei libri di carta? C’è il rischio che possano diventare “pezzi da collezione”?
Dopo una parte introduttiva sulla evoluzione del libro elettronico e sugli e-book readers, e dopo una sintetica analisi di mercato, questo piccolo volume offre le “opinioni emotive” sull’e-book fornite da: Roberto Alajmo, Marco Belpoliti, Gianni Bonina, Laura Bosio, Elisabetta Bucciarelli, Ferdinando Camon, Daniela Carmosino, Antonella Cilento, Paolo Di Stefano, Valerio Evangelisti, Vins Gallico, Chiara Gamberale, Manuela La Ferla, Nicola Lagioia, Filippo La Porta, Gianfranco Manfredi, Agnese Manni, Diego Marani, Dacia Maraini, Daniela Marcheschi, Michele Mari, Raul Montanari, Antonio Paolacci, Romana Petri, Antonio Prudenzano, Giuseppe Scaraffia, Elvira Seminara, Filippo Tuena, Alessandro Zaccuri.

Vorrei coinvolgere nello sviluppo della discussione anche voi, proponendo come sempre alcune domande (e invitandovi a fornire la vostra risposta, se potete)…

1. L’e-book è davvero il futuro del libro?

2. Se sì, fino a che punto?

3. Che cos’è un libro: un supporto cartaceo, o il suo contenuto? O entrambi?

4. Tra un volume rilegato di fogli bianchi e un romanzo leggibile su un e-book reader, quale dei due è… più libro?

5. Come immaginate il futuro dell’editoria e della letteratura tenuto conto del “peso crescente” delle nuove tecnologie?

6. Cosa ne sarà dei libri di carta? C’è il rischio che possano diventare “pezzi da collezione”?

7. Una diffusione “significativa” dell’e-book  potrebbe favorire l’incremento della lettura?

La discussione on line proseguirà – per chi potrà partecipare – alla Feltrinelli Libri e Musica di Catania (via Etnea, n. 285 ) giovedì 30 giugno 2011, alle h. 18.

Vi aspettiamo!

Massimo Maugeri

P.s. Ne approfitto per segnalare questo post di Lipperatura incentrato sull’attuale crisi dell’editoria determinata dal decremento della vendita dei libri (il post riprende un articolo pubblicato su Repubblica, con dichiarazioni di Marco Polillo – presidente dell’Aie – anche sul “fenomeno e-book”)

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METTERE IN PIEGA UNA STORIA. “I racconti del parrucchiere” di Elvira Seminara http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/06/04/mettere-in-piega-una-storia/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/06/04/mettere-in-piega-una-storia/#comments Thu, 04 Jun 2009 08:10:46 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/06/04/mettere-in-piega-una-storia/ Che caratteristiche deve avere un racconto breve per “funzionare”?
L’incipit di questo post coincide con una domanda (ovviamente vi invito a rispondere). Lo spunto per la discussione ce lo offre la nuova opera narrativa di Elvira Seminara: “I racconti del parrucchiere” (Gaffi, 2009). [Peraltro siete tutti invitati alla libreria Giunti, di Piazza Duomo, a Catania (giorno 5, intorno alle h. 18,30) dove la stessa Elvira, insieme al sottoscritto e a Luigi La Rosa offrirà una sorta di workshop sul racconto presentando - contestualmente -"I racconti del parrucchiere"].

In questi racconti l’autrice dimostra di essere eclettica: la scrittura e lo stile si trasmutano da racconto in racconto – da voce in voce – mantenendo una qualità narrativa molto elevata e mettendo in scena un campionario umano completo, complesso e perfetto nella sua differenziazione.
C’è una sciampista dotata di poteri arcani di cui non era consapevole e che le consentono di carpire i pensieri delle clienti ogni volta che, per fare lo shampoo, tocca con le sue dita l’altrui cuoio capelluto. C’è un’extra comunitaria che decide di farsi bionda e che immola la lunga e nera treccia – curata per anni sotto il burqa – sull’altare dell’integrazione in un mondo che è diversissimo da quello d’origine (il taglio della treccia può essere visto come metafora della recisione delle proprie radici). C’è un poeta transessuale che decide di tagliarsi i capelli e di cambiarne la tinta: (E poi perché ci chiamano trans? Vuol dire attraverso, l’ho cercato sul dizionario. Attraverso cosa, la materia e lo spirito, gli ormoni e il silicone? E allora perché non chiamarci mutanti, sconfinanti, o che ne so. Vivere sul bordo, sulla linea, sul margine, vivere in punta di piedi facendo un fracasso del diavolo. In modo furtivo e smaccato). C’è il marito che si apposta poco fuori la bottega del parrucchiere per fare una sorpresa alla moglie. C’è la figlia di un detenuto che scrive la propria storia per inviarla a una rivista (qui lo stile e la scrittura della Seminara si trasfigurano per uniformarsi a quello del personaggio a cui si presta la voce… in questo caso la penna, caratterizzata dalla punteggiatura un po’ bizzarra). C’è una donna che una mattina si risveglia con gli occhi di colore viola e che vive, con leggerezza, una sorta di provvisorio risveglio kafkiano (la donna asseconderà il cambiamento tagliando i capelli cortissimi e tingendoli di rosso; ma la mattina dopo gli occhi torneranno a essere castani). C’è una giovane suora, dalla fervida immaginazione, che – prima di entrare in convento – decide di passare dal parrucchiere: (Ho capelli castani lunghi, né belli né brutti. Ma per ficcarli tutti sotto il velo, e tenere la testa pulita senza perdere tempo e fantasia, devo per forza tagliarli).
C’è il racconto struggente di un padre separato che, in compagnia del figlio (che non riesce più a vedere ogni giorno come vorrebbe), attende in macchina l’ex moglie che sta per uscire dalla bottega del parrucchiere.
E c’è altro. Molto altro. Perché i capelli hanno anche un forte valore simbolico e, in fondo, esprimono noi stessi. La nostra personalità, la nostra cultura, le nostre origini. E attorno ai capelli e al parrucchiere si accavallano e si alternano storie, caratteri, esistenze, destini. Voci che si mischiano e confluiscono fino a formare un unico particolarissimo coro.
Di seguito potrete leggere la recensione di Sabina Corsaro, direttore editoriale del magazine Lo Schiaffo (chiedo a Sabina collaborazione per animare e moderare il post relativamente ai racconti di Elvira).
Invito Luigi La Rosa ad aiutarmi per portare avanti la discussione sui racconti in generale.
Naturalmente interverrà anche l’autrice della raccolta.

In coda al post potrete leggere una storia tratta da “I racconti del parrucchiere”. L’ho scelta perché è una delle più dolenti… e anche perché proverò a “interpretarla” alla libreria Giunti (Piazza Duomo, Catania) giorno 5. Vi aspettiamo!

Dunque: discuteremo sia di questi racconti della Seminara che dell’arte del racconto in generale.
Vi ri-formulo la domanda: Che caratteristiche deve avere un racconto breve per “funzionare”?
E aggiungo questa (in tema): che rapporto avete con i vostri capelli?
A voi!
Massimo Maugeri

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I racconti del parrucchiere di Elvira Seminara (Gaffi)
recensione di Sabina Corsaro

Cosa mai avranno in comune un libro di racconti sui capelli e la pittura di Edward Hopper? Al primo impatto nulla. Eppure dei riferimenti esistono.
Elvira Seminara (che aveva già catturato lo scorso anno l’attenzione del lettore e della critica con L’indecenza, edito dalla Mondadori), ci propone una serie di racconti accomunati dall’unica tematica rappresentata dai capelli. I protagonisti di questi racconti sono legati da questo destino comune: il loro rapporto inevitabile con i loro capelli.
Ma perché Hopper?
Nei dipinti del pittore le figure umane sembrano più essere delle comparse, mentre i protagonisti reali sono gli spazi all’interno dei quali essi si muovono. Gli edifici lungo la strada, la ferrovia nelle zone di periferia, le stanze degli uffici in Hopper sono i soggetti concreti e voluti e le figure umane vi si trovano inserite quasi casualmente.
La prospettiva è il risultato di uno sguardo che si alterna tra spazi chiusi e aperti; tra interni ed esterni. Ma sono le finestre e le vetrate a rendere accessibile lo sguardo del pittore; uno sguardo estraneo, distaccato, da voyeur: spazi non resi nella loro interezza, ma mediante tagli, tesi a cogliere la gente comune nello svolgimento dei suoi atti quotidiani.
Allo stesso modo nei racconti di Elvira Seminara vengono descritti spazi chiusi (l’interno dell’auto, di una sala, di una stanza) e in modo ridondante tornano finestre, vetri, tende, come se i personaggi dei racconti vedessero sempre attraverso un filtro e come se questi personaggi venissero osservati dall’autrice negli interni dei loro appartamenti e colti, a loro insaputa, in quei loro atti meccanici.
Così vediamo muovere i personaggi in luoghi familiari, rappresentati ora dalla sala del parrucchiere, ora da una stanza d’appartamento, in ogni caso sempre alle prese con il loro rapporto conflittuale col tempo e la realtà. E’ proprio il tempo uno degli elementi più significativi: ne I racconti del parrucchiere esso si traduce in attesa, rimpianto, memoria, speranza, quasi mai in presente. Ed è questo a miscelarsi con uno spazio rappresentato anche dal paesaggio: l’incertezza dei personaggi si esplica attraverso l’incertezza meteorologica; in molti racconti c’è l’attesa della pioggia come liberazione da uno stato di ansia, di inquietudine ma anche come riflesso di una luce cupa ed evanescente che si cela nell’animo dei protagonisti.
Sono personaggi da cui trapela una dirompente solitudine: il trans, l’insegnante zitellona, il padre separato dal figlio e altri. I personaggi si sentono a disagio nei loro spazi abituali e cercano una via di fuga nel tempo: passato o futuro che sia.
Il rapporto del personaggio col tempo è spesso lacunoso, riflesso della frattura nei confronti della vita che sta fuori dallo spazio in cui è rinchiuso.
E’ presente per intero la concezione che Norbert Elias aveva del tempo: “Simbolo di una sintesi sociale appresa” e non quindi un dono della ragione innata. La protagonista di Diario, ad esempio, non è in grado di scandire in modo corretto il suo tempo perché non è più in grado di comunicare col mondo, avendo spezzato il filo di quell’apprendimento delle sintesi sociali. Ma ecco che viene in soccorso la scrittura, che diviene necessaria nel tentativo di una riconciliazione tra individuo e ritmo del mondo. La scrittura come terapia, cura: c’è per intero Zeno Cosini. Sia per lui che per la protagonista del racconto la scrittura-terapia è imposta dall’elemento dell’autorità (il medico), è una costrizione al pari di un medicinale somministrato.
Il personaggio quindi si riconosce nella figura di un paziente, di un malato.
Quello della malattia, si sa, è un tema ricorrente che abbraccia la letteratura di una buona parte del Novecento: da Saba (con la sua paura di essere uomo tra gli uomini) a Pirandello (con la sua consapevolezza della frammentarietà dell’identità); da Joyce (con i suoi flussi di coscienza come riflesso della psicanalisi che in quegli anni varcava nuovi confini dell’inconscio nell’uomo moderno) a Proust (con la sofferta accettazione della natura debole e peccatrice dell’animo umano). Fino a comprendere Svevo (con il suo pericolo di esser uomo) e il critico narratore Debenedetti (con l’aver compreso che l’identità non può essere definibile poiché nasce plastica).
La malattia quindi è un elemento che riveste la funzione di minimo comune denominatore tra i vari fattori tematici della letteratura e nell’autrice di questi racconti la descrizione della malattia resta fedele a quel contesto tradizionale da cui proviene.
La diversità è messa in primo piano, ma una diversità che tenta disperatamente di non tramutarsi in silenzio, in assenza di comunicazione e che invece pone la necessità del richiamo alla coppia di termini che ne deriva: scrittura-esistenza.
La protagonista di Diario per riappropriarsi del tempo del mondo annota le sue azioni, i suoi pensieri. C’è in lei il timore di perdere la cognizione di questo tempo e quindi di se stessa; c’è la paura più grande di non essere percepita.
La scrittura crea memoria e quindi colma un vuoto. L’assenza di memoria coincide con l’assenza di vita, di esistenza: IO SONO QUA. E’ racchiuso in questa frase della protagonista tutta l’essenza della scrittura, e quindi della Letteratura: letteratura come testimonianza dell’esistere; letteratura come conferma dell’esistere.:
“Ed ora che cosa sono io? Non colui che visse ma colui che descrissi! L’unica parte importante della vita è il raccoglimento. Quando tutti lo comprenderanno con la chiarezza ch’io ho tutti scriveranno. La vita sarà letteraturizzata… Ognuno leggerà se stesso” (Svevo, Il vegliardo).

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Tergicristallo

da “I racconti del parrucchiere” di Elvira Seminara

Tic tac. Tic tac. Guarda come piove. Ascoltami, ti prego, conviene restare qui, non scendere dalla macchina.
Restiamo così, a guardare il mondo che s’inzuppa e sbriciola come un biscotto.
Vieni qui, vicino a me.
Attento al freno a mano, ti sei fatto male? Facciamo finta che è una magia: noi siamo nascosti, nel buio, e nessun pirata ci può trovare, perché ci sono le tende sui vetri, è la pioggia che le ricama.
Questa è una nave fantasma, e nessuno ci può vedere.
No, che non è notte, è pomeriggio. In autunno è così, fa buio talmente presto. Non te lo ricordi più?
Se vuoi ti racconto una storia. C’è tutto il tempo, davvero, credi a papà. Non lo sai che quando piove l’orologio s’incanta? E anche le stelle, guarda là. Non si muovono da lì, dietro quel campanile. Io ne ho contate sette, e tu?
Ho capito, a te i numeri non vanno giù.
Non piagnucolare, ti prego. Mezz’ora è tantissima per stare insieme quando piove. Tic tac, se lo guardi, il tergicristallo è un dito gigante che fa sì e no, è un piccolo corvo che impara a volare.
Senti, una volta è successo così. C’era un bambino come te che piangeva perché il suo palloncino era volato in cielo, e piangeva dal suo balcone, tutto solo, guardando il sole che se ne stava per i fatti suoi.
Nessuno lo consolava e le sue lacrime cadevano sotto, sulla biancheria stesa nei fili, e sulle macchine per strada.
Quante lacrime! Il bambino non riusciva a smettere, e in poco tempo la strada divenne un lago. Fu così che tutta la gente accese in macchina i tergicristalli, e tutti i finestrini all’improvviso si misero a fare tic tac sotto il sole, e il bimbo si divertì tanto a quello spettacolo che rimase imbambolato a guardare, senza pensare più al suo pallone. E non è finita. Il sole, guardando quella scena buffa, cominciò a ridere a crepapelle, e sbuffando sbuffando spinse giù il pallone, che volteggiando ritornò a casa dal bambino.
E adesso che fai, non parli più? Certo che te lo compro un palloncino, la prossima volta.
Tic e tac, splish e splash. Contiamo insieme i rintocchi, anzi giochiamo alla tabellina del tre. L’hai ripassata, questa settimana?
Ok, cambiamo gioco. Guarda l’acqua che si rotola laggiù sotto la grondaia, è la luna che fa le bolle di sapone.
Abbiamo ancora più di venti minuti, ma tu non chiedermelo più. Ti prego, non tirare fuori le lacrime, stavolta non si può fare quella magia del balcone, perché piove già.
E poi ci sono io con te. Guarda quel lampione, non sembra muoversi nel buio? Forse c’è una lucciola imprigionata nel raggio, che spinge su e giù per liberarsi. E il coperchio del cassonetto fa bum, perché la pioggia lo picchia e rimbalza, insomma. È una grande battaglia navale, e noi restiamo invisibili, al sicuro.
Tic e tac, tu apri gli occhi e li chiudi. Sei stanco, hai ragione, è una giornata che siamo in giro. Ma allo zoo è stato bello, ricordi l’elefante che faceva la pipì…
Anch’io sono stanco, anche la pioggia dev’essere stanca, scende furiosa da un’ora.
Ecco, adesso ti vedo meglio, avevo gli occhiali appannati, hai ragione, anche gli occhiali dovrebbero avere i tergicristalli, ma guarda che non sto mica piangendo, i papà non piangono mai.
Apri quel cassetto, ci sono delle caramelle alla menta.
Certo che puoi portarle a casa, sono per te.
Adesso sono nove, guarda. Come “che cosa?” Le stelle.
Tic e tac, splish e splash, ti metto una musica che ti piacerà. Lo senti, questo è il flauto… Sei andato martedì
scorso a lezione?
Tic e tac, un sabato sì e uno no. Non sono io che decido, lo sai, ma l’avvocato. Domenica sì o domenica no.
Tic tac, il cuore che batte o la pioggia sui vetri.
Tic tac. Apri gli occhi e li chiudi, ti sei addormentato.
Abbiamo ancora quindici minuti per farci cullare da questa pioggia, ora spengo il tergicristallo, così potremo
naufragare. Dormi qui, sulla mia spalla, così.
Dieci minuti.
Cinque.
Tre.
Devo farlo per forza. È così. Io ti devo svegliare.
Andiamo. Sei un poco sudato, dove è finita la sciarpa.
Forza, su, in piedi. La mamma avrà già finito col suo parrucchiere, è lì che ti aspetta, dietro quell’insegna azzurra, quella illuminata, non te la ricordi più?
Certo che ti accompagno io, adesso attraversiamo insieme, ma tu devi fare un salto se no ti bagni tutti i piedi.
Un balzo e abbandoni la nave, così.
Un attimo, vieni qui che ti abbottono. Le hai prese le caramelle? Guarda che domenica prossima ti verrò a prendere prima, devi svegliarti presto, andremo al lago.
E ci sarà il sole, te lo prometto. Ma non dimenticare il cannocchiale.
Hai visto, ha smesso di piovere. Attento a quella pozzanghera.
Bravo.
Ok, adesso guardami negli occhi.
Ciao capitano. Buona notte.

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L’INDECENZA di Elvira Seminara: una moglie, un marito, una colf straniera http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/06/11/lindecenza-di-elvira-seminara-una-moglie-un-marito-una-colf-straniera/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/06/11/lindecenza-di-elvira-seminara-una-moglie-un-marito-una-colf-straniera/#comments Wed, 11 Jun 2008 05:33:10 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/06/11/lindecenza-di-elvira-seminara-una-moglie-un-marito-una-colf-straniera/ Elvira Seminara fa la giornalista e vive ad Aci Castello (in provincia di Catania). È docente di Storia e tecnica del giornalismo nella facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania. Ha curato diverse trasmissioni radiofoniche per la Rai ed è redattrice del quotidiano “La Sicilia”. Ha pubblicato il racconto lungo Bayt al-rih – Casa del vento (Siciliano, 2004) e Sensi. Donne sull’orlo dell’isola (Sanfilippo, 2005), un libro-inchiesta sulle donne siciliane.
Ho il piacere di presentarvi Elvira Seminara qui a Letteratitudine in occasione dell’uscita del suo romanzo d’esordio L’indecenza (Mondadori, 2008, pag. 181, € 17).
Una moglie e un marito abitano in una villa circondata da un giardino rigoglioso dove, in lontananza, si vede “l’Etna che si staglia contro il cielo limpido e il mare scintillante”. A un certo punto una ragazza dagli occhi azzurri e le trecce bionde suona alla porta: è Ludmila, la nuova colf ucraina. Giovane, innocente, piena di speranze, Ludimila vivrà con loro e diventerà parte della famiglia.
Questi i personaggi.
Per capirne di più potrete leggere, di seguito, la recensione realizzata in esclusiva da Sabina Corsaro e un’intervista, pubblicata su Repubblica, che l’autrice del libro ha rilasciato a Silvana Mazzocchi.
Avrete modo di ascoltare l’incipit del libro, e saggiare gli effetti della bella penna della Seminara, collegandovi a Radio Alt (una volta aperta la pagina cliccate su su “ascolta l’incipit”).
Il libro affronta diversi temi.
C’è il tema della follia, di cui abbiamo discusso altre volte. C’è il tema della precarietà degli equilibri famigliari. E poi c’è il tema dell’ambivalenza: come sostiene la stessa Seminara nell’intervista, si tratta di ambivalenza “non solo del genere umano. Viviamo in un mondo sempre più ibridato, mescolato, contaminato. Ambivalenti sono i nostri sentimenti, ma anche la natura intorno, sempre più irriconoscibile, malata, insidiata dai virus della contaminazione, e non solo simbolica purtroppo”.
E poi si innesta l’argomento “colf straniere”.
Insomma, potremmo affiancare alla discussione sul libro una serie di dibattiti collaterali.
Per esempio…
Ritenete che, oggi, gli equilibri famigliari siano più precari rispetto a un tempo?
Viviamo davvero in un mondo sempre più ambivalente, ibridato, mescolato, contaminato?
E come fare per uscire dal circuito dell’ambivalenza?
E poi… avendo la necessità di beneficiare dei servizi di una colf… sarebbe meglio assumerne una italiana o una straniera? E perché?

Vi ringrazio anticipatamente per l’attenzione e per la cordialità che riserverete a Elvira Seminara, che parteciperà a questo dibattito.
Sabina Corsaro mi darà una mano a moderarlo.
Massimo Maugeri

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L’INDECENZA di Elvira Seminara

recensione di Sabina Corsaro (nella foto)

sabina-corsaro.jpgL’indecenza può essere intesa come una lunga e graduale involuzione verso la non comunicabilità; il contatto della protagonista con il mondo oggettivo subisce una graduale alterazione attraverso un viaggio su binari costantemente in bilico tra sensazioni elegiache e stati d’animo cupi. L’alternarsi dei sentimenti e delle emozioni della protagonista si riflettono nel graduale alternarsi delle stagioni, con descrizioni minute, rese impeccabili da una scrittura ‘pittorica’. Lo sguardo di Elvira Seminara è attento, acuto; uno sguardo che si posa senza remore sui pensieri ingarbugliati, sull’animo imperscrutabile e insondabile. Le idiosincrasie della protagonista, le sue allucinazioni esistenziali, il confine tra l’opacità e la trasparenza in cui è posto il suo animo inquieto, emergono lentamente attraverso un linguaggio che si amplia e intensifica con climax, enfasi psicologiche e danno vita ad una spirale espressiva che risucchia i personaggi e i lettori in un unico vortice.

Le stagioni vengono descritte attraverso il linguaggio delle cose, dello spazio, con espressioni umanizzate, mediante una continua osmosi tra aggettivi e sensazioni, tra oggetti e stati d’animo: “C’era un silenzio, ad esempio, che tessevamo come un filo, trasparente e teso, come quello della biancheria. Ci appendevamo i nostri pensieri ad asciugare al sole, a sventolare” oppure: “Erano a volte pensieri umidi e vecchi, specialmente i miei, un poco mesti come calzini spaiati, oppure sfatti come stracci”. Le stagioni, il tempo, si personificano: “Ci eravamo distratti. Mentre pioveva, l’autunno si era stabilito a casa nostra con tutti i suoi bauli”.

La violenta passionalità che aleggia nell’animo della protagonista è inizialmente latente e solo alla fine del libro si intuisce che essa era celata dietro un presagio: la descrizione della scena della gabbia dentro la quale i piccoli criceti si mostrano col capo mozzato, perchè appena divorato dalla mamma criceto. L’inquietante scena della gabbia dei criceti preannuncia un’altra tragedia che si compirà; la microrealtà dei piccoli esseri irromperà oltre le sbarre della gabbia e si amplierà fino ad innescare nuovi tragici ingranaggi nelle esistenze delle due spettatrici inebetite.

Ed ecco comparire le ombre: “Ci sono ombre che a loro volta fanno ombra, oppure si mescolano tra loro… ombre in movimento, più svelte delle cose da cui nascono, ombre a grappolo, trappole, che sembrano ombre di cose invisibili. Ombre spezzate, ma originate da cose intere… Le cancellavo con lo straccio, quelle per terra, e ricomparivano”. E mentre la luminosità dell’estate accoglie la ‘bambina’ dai grandi occhi azzurri, l’autunno sprigiona la viscida infelicità, da tempo compressa, entro la quale poco per volta annegano i personaggi.

L’indecenza assume diverse sembianze: ora quelle di ciò che non è adeguato socialmente, ora del non corretto linguisticamente: “incedente”. Ma l’indecenza è, paradossalmente, nella complessità del libro, soprattutto lo scontro tra lo stato innocente della ragione e la sua parte forzata che diviene accondiscendente alle norme della vita. Può essere inoltre l’istintività smaliziata di Ludmila, macchiata dall’adattamento alle regole quotidiane ed esistenziali all’interno di una casa che mostra crepe profonde.

La lettura è resa accattivante da un linguaggio che oltrepassa i caratteri del genere noir e trascina il lettore in un affascinante gioco di forme e pensieri. Scrittura pittorica dicevo, perché il linguaggio descrittivo dell’autrice pone i riflettori sull’essenza delle cose, sullo spazio e ne umanizza le immagini che in esso si generano.
Sabina Corsaro

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Intervista su Repubblica
di Silvana Mazzocchi

Elvira SeminaraUNA donna che rimane prigioniera del dolore per il suo bambino mai nato. E un marito che non riesce a dissolvere la rabbia e la sofferenza che consumano un amore ormai alla fine. Tra loro Ludmila, una ragazzina con trecce bionde e occhi blu. E con un’innocenza più destabilizzante di un uragano. Ludmi è ucraina, arriva in Sicilia, non è abile nei lavori domestici, non sa fare nulla con professionalità. Ma basta che lei appaia con la sua svagata bellezza per riempire la casa e il giardino di nuova vita. La sua è una presenza che innesca calore dove c’era freddo, luce dove c’era ombra. E, con lei, nulla sarà più come prima. Un noir intimo, tessuto di sensualità e grazia.
E’ L’indecenza, il romanzo d’esordio di Elvira Seminara (nella foto), in libreria per Mondadori.

Un romanzo ha sempre un perché?
“Non so per gli altri, per me sì. Più che nell’ispirazione, io credo nella cospirazione. A un certo punto della vita, è come se tutto congiurasse perché tu scriva quella storia, un albero, una certa luce che ci sbatte sopra, un fiume di parole che devi arginare e incanalare in ragionamenti o immagini, se no rischi di esserne travolta, e sragionare. Ma questo è il perché a monte, diciamo fisiologico. Poi c’è un perché più strutturale, e di solito lo ritrovi dopo, alla fine del romanzo. Alla parola fine, ho pensato di aver scritto questa storia perché da un po’ sono coinvolta e impaurita dal tema dell’ambivalenza. Non solo del genere umano. Viviamo in un mondo sempre più ibridato, mescolato, contaminato. Ambivalenti sono i nostri sentimenti, ma anche la natura intorno, sempre più irriconoscibile, malata, insidiata dai virus della contaminazione, e non solo simbolica purtroppo”.

Ludmila, la protagonista, è luce, eppure crea ambiguità
“Lei è multiforme, come gli altri, e per questo crea ambiguità. Anche la sua bellezza è pericolante, insidiosa, e la sua grazia è instabile. Oscura. E’ insieme prodigio e sgomento. Anche i suoi sentimenti per l’uomo e la donna sono ambigui, carichi di innocenza e malizia. E’ un’adolescente, impara presto a esercitare potere sulla coppia grazie alla sua giovinezza, ma lei stessa è ignara del suo potenziale di rischio. Di fronte alla sua ambivalenza naturale, affiorano ed esplodono le inquietudini della coppia che la ospita. E’ ambivalente la donna, che guarda a lei confusa e intimorita, con un sentimento fatto di eros e tenerezza materna, è ambivalente l’uomo che la vuole proteggere sino, forse, a possederla. Ambivalente è la casa, insieme trappola e nido. Ambivalente è l’amore senza più corpo fra marito e moglie, fatto di silenzi senza abbandono, di ricordi senza più forme, di colpe senza imputazioni, di amore senza più amore”.

Qual è L’indecenza richiamata dal titolo?
“Questa parola la pronunciano tutti e tre i personaggi, ma ciascuno in un senso diverso, e addirittura Ludmi lo fa sbagliando. Indecente è la natura ma anche la casa, che qui è un personaggio a tutti gli effetti, è un organismo che soffre, geme, si spoglia, si infetta. Indecente è il dolore quando non gli dai un nome, è il nostro difetto di comunicazione, è la perdita della fiducia, dell’armonia”.

Quanta Sicilia c’è nel libro?
“C’è l’Etna che ricopre tutto, uomini e cose, con un sudario di polvere nera che toglie l’aria e i contorni. E’ una metafora ma anche un fenomeno “naturale”. C’è un mare che fa perdere i sensi a Ludmila, c’è una natura feroce ed eccessiva, cannibalesca, che insidia le fondamenta stessa della casa, con le radici che spingono sotto il pavimento, e i rampicanti che premono per entrare. Una natura fortemente erotica ma ambivalente, fatta di piante che si incrociano sino a produrre improbabili innesti. Una natura carica di una vitalità furiosa ed esorbitante, che tuttavia non genera vita e slancio, ma piuttosto morte e detriti”.

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