LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » Gallucci http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 NIDI DI NOTE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/09/14/nidi-di-note/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/09/14/nidi-di-note/#comments Mon, 14 Sep 2015 13:35:03 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6887 In collegamento con il forum di Letteratitudine dedicato a “LETTERATURA E MUSICA“, ci occupiamo del volume “Nidi di note – un cammino in dieci passi verso la musica” – Testo di Bruno TognoliniDisegni di Alessandro Sanna - Musiche di Sonia Peana e Paolo Fresu (Gallucci, 2012)

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Nidi di note – un cammino in dieci passi verso la musica

Testo di Bruno TognoliniDisegni di Alessandro Sanna - Musiche di Sonia Peana e Paolo Fresu
Gallucci, 2012

a cura di Claudio Morandini

Come avvicinare i bambini alla musica? Be’, non dovrebbe essere difficile: i bambini sono naturalmente attratti dalla musica, hanno però bisogno che questo loro interesse perduri, si rafforzi, maturi, diventi consapevole. Nato dall’esperienza diretta e concreta di un laboratorio didattico a Bologna che poi si è sviluppato in una serie di incontri e concerti, “Nidi di note”, attraverso le movenze della fiaba, con accenti poetici e un franco umorismo lavora proprio su ciò che la musica è e su ciò che può dare, al di là del semplice e accattivante abbinamento di ritmo e melodia.
Due bambini, Cirino e Coretta, poveri ma belli e soprattutto intelligenti, partono alla ricerca del Sole Suonatore e della Luna Cantante dal regno di Quandomai, la cui popolazione è afflitta da un Re e una Regina che istupidiscono i loro sudditi cantando dalla sera alla mattina, come sirene ingorde, come televisori sempre accesi sui peggiori programmi. Nella loro peregrinazione, i due bambini attraversano paesi-città che mancano tutti di qualcosa: Iniziò è fatto di niente e non è mai iniziato, Forsecè è abitato da persone che, colte da dubbi e paure, non osano mai fare nulla, Machiè da poveretti che hanno tutti lo stesso nome (Peppino) e chiamano con quel medesimo nome ogni cosa, un po’ come i Puffi ma peggio; nel paese di Fanonfà il tempo non scorre e si rimane in un eterno presente; in quello di Fortepià ogni cosa è portata all’eccesso, tutti urlano e nessuno conosce le sfumature. E ancora: nel paese di Giù gli abitanti non conoscono l’alto, ma solo il basso, a Menopiù tutti evitano di avvicinare gli altri per paura di scoprire i loro odori, i difetti; a Maconché si mangiano e si usano solo cipolle, per ogni cosa; a Suonoquì sono banditi i rumori del corpo, compresa la voce e il canto, e si comunica attraverso un gran via vai di foglietti. In tutti questi paesi Cirino e Coretta, dopo un primo attimo di stupore, sono ben accolti, e provocano, con la spontaneità propria del fanciullo (almeno del fanciullo delle fiabe), un salutare scossone, risolvendo così le paure e i problemi degli abitanti e uscendone come eroi, carichi di doni.
Dove sta propriamente la musica in tutto questo? Sta nel CD che accompagna il libro e che contiene le tracce ispirate a un jazz lieve, cantabile, ma non rinunciatario (perché la fiducia nel buon gusto dei piccoli ascoltatori-lettori non deve venir meno), in cui domina, pacata e affabile, la tromba di Fresu, alternate alle filastrocche recitate da Bruno Tognolini con una voce per nulla pargoleggiante. La musica sta, soprattutto, nella chiave di lettura che danno i sottotitoli ai diversi capitoli: così l’episodio di Forsecè è presentato come “I suoni esistono”; quello di Machiè come “I suoni sono diversi”; Fanonfà come “I suoni si alternano al silenzio”; Fortepià ovviamente come “I suoni possono essere forti o deboli” e Suegiù come “I suoni possono essere acuti o gravi”. Si passa poi, da Menopiù in poi, alla scoperta dei timbri appartenenti ai diversi strumenti, all’armonia prodotta da combinazioni di più strumenti, alla voce e a tutto ciò che è suono del corpo. Negli interludi meditativi e boscherecci i due bambini ascoltano i mille suoni della natura e imparano a distinguere le foglie, il vento, i versi animali, l’acqua: la loro conoscenza si affina, si rafforza la loro capacità di cogliere la varietà del mondo e di trasmettere agli altri, meno fortunati o solo più distratti, le conoscenze che hanno acquisito.
Dietro alla scoperta del mondo dei suoni c’è – e non è una sorpresa – la scoperta della bellezza e della necessità delle relazioni umane, della tolleranza e del sorriso, della curiosità e anche dell’incontentabilità: tutte virtù che chi segue dei corsi di musica d’assieme impara a conoscere, attraverso la pratica paziente, il divertimento e la disciplina, la collaborazione, l’attenzione. Conoscendo gli altri – pian piano, per gioco, i giochi sempre molto seri a cui si dedicano i bambini – si finisce per conoscere più in profondità se stessi.
Forti dell’esperienza maturata nel loro viaggio, i due bambini torneranno al loro paese. Non aspettatevi conclusioni definitive alla “Vissero felici e contenti”, perché questa è una fiaba contemporanea, e i tiranni della città sono troppo forti e invadenti. Piuttosto, nel finale aperto, con un ribaltamento ironico alla Pifferaio magico, Cirino e Coretta, divenuti ispirati e abili musicanti, si porteranno dietro tutti i bambini della città, verso altre esperienze che il libro non racconta ma che ogni piccolo lettore può a questo punto immaginare in un’ideale continuazione di “Nidi di note”.

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ACCORDI MINORI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/07/28/accordi-minori/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/07/28/accordi-minori/#comments Tue, 28 Jul 2015 17:00:49 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6862 In collegamento con il forum di Letteratitudine dedicato a “LETTERATURA E MUSICA“, ci occupiamo del volume “Accordi minori” di Grazia Verasani (Gallucci). Su LetteratitudineNews è disponibile uno stralcio del racconto su Kurt Cobain

[Ne approfittiamo per invitare i lettori ad ascoltare (o riascoltare) la puntata radiofonica di "Letteratitudine in Fm" con Grazia Verasani dedicata al suo romanzo "Mare d'inverno" (Giunti)]

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ACCORDI MINORI,  di Grazia Verasani

Gallucci, 2013

a cura di Claudio Morandini

“Strano, più muoio più mi applaudono.”

Grazia Verasani, nei brevi racconti-monologhi di “Accordi minori” (Gallucci, 2013), esplora con sensibilità partecipe quel particolare settore della musica (per lo più pop, con qualche scantonamento nel jazz) che in questi ultimi cinquant’anni ha fatto surf sull’onda lunga del maledettismo – lo diciamo senza preoccuparci di suonare irriverenti. È un mondo insieme colorato e umbratile, notturno anzi, in cui artisti di talento hanno vissuto la loro dedizione alla musica fino in fondo, fino agli esiti tragici. Incapaci di gestire il successo, la pressione, la fama, oppure logorati da ruoli che sono stati ritagliati loro addosso e in cui non si riconoscono, i musicisti coinvolti in questa dolente via crucis sono quasi tutti cantanti – fa eccezione Chet Baker, in rappresentanza di tutti gli infelici morti per autocombustione di cui è costellata la storia del jazz. Certo, alcuni di loro, oltre che interpreti, sono stati anche autori delle canzoni che li hanno portati al successo: ma nei racconti di Verasani compaiono come icone, come animali da palcoscenico oggetto di culto (di massa o di nicchia), e non li vediamo seduti a tavolino a scribacchiare versi, o intenti a comporre alla chitarra o al pianoforte, ma esposti a riflettori che ne rivelano le drammatiche debolezze, la stanchezza insostenibile, la profonda solitudine, gli abusi e l’alterazione. La musica, si direbbe, non ha rappresentato per loro una via di salvezza, ma piuttosto un’accelerazione verso la perdizione. Alla fine, «a vincere è solo la musica», come si legge nella conclusione di “Born to be kings” (Freddie Mercury): il che significa che la musica resta, anche dopo la morte dell’artista, ma anche, se vogliamo, che la musica vince su tutto, compresa la vita dell’artista.

Sin dal primo racconto, che raccoglie le esternazioni vaneggianti di Janis Joplin, i personaggi sono colti nella fase finale della loro parabola, nel momento in cui, crudelmente, il delirio ha la meglio sulla razionalità, ogni cosa è alterata da droghe alcol o follia e la deriva fatale dello spirito dionisiaco ha raggiunto un punto di non ritorno – alcuni di loro anzi ci parlano da un post mortem che non sembra migliore della vita precedente.

Le pagine più intense – quelle in cui la musica non entra come corredo di un atteggiamento da maudit, come arredo sonoro al bruciarsi di vite che si sarebbero bruciate comunque – ci rivelano anime inquiete, errori scontati in castigo per un’intera esistenza. Così in “La musica è finita”, la voce di Umberto Bindi narra senza troppo vittimismo la condanna al buio delle quinte che il mondo perbenista dello spettacolo ha decretato dopo il suo coming out, irreparabilmente in anticipo sui tempi.

Il loro confondere musica e vita (la musica è la vita, la vita è musica) a lungo andare ha isolato questi musicisti, li ha corrosi, li ha scollati. «Per me e per te» si legge in “Oh, ma belle”, dedicato a Giuni Russo, «l’arte è stata la vita intera, e anche nell’amore le abbiamo dato spazio. Abbiamo fatto musica e vita, insieme. Anche nelle malattie, nei fuori gioco». La musica permea quelle vite infelici al punto che nei monologhi si insinuano, con un certo virtuosismo, frammenti dei testi delle loro canzoni più celebri, e sembra quasi che i personaggi non sappiano distinguere più tra il mondo stilizzato concentrato in una canzone e la loro stessa vita – oppure significa, più probabilmente, che le canzoni, anche quelle più convenzionali, contengono in forma semplice e sintetica verità profonde, e che quello che accade nei tre minuti di una canzone è la trasfigurazione di quanto accade nella vita reale. Verasani incoraggia questa promiscuità tra vita e arte scrivendo pagine à la maniere de, in cui tono, registro, sostanza della scrittura sembrano di volta in volta imitare lo stile, le cadenze, perfino i manierismi dei dedicatari.

In questi racconti vi è comunque poca musica in senso tecnico: giusto qualche giro di accordi, all’inizio di “Grace”, dedicato a Jeff Buckley: «Ti ricordi come faceva Hallelujah, Keith? La quarta, la quinta, la caduta in minore, l’ascesa maggiore…» Per il resto, palchi, camerini, camere d’albergo. Un po’ spiace non sorprendere Tenco, Bindi, Buckley o Cobain nel momento della creazione artistica, al pianoforte o alla chitarra, intenti a trovare l’accordo giusto, la cadenza più adatta, a far combinare testo e melodia, e melodia e accordi. Ma questo lato diciamo artigianale non sembra interessare l’autrice, che invece preferisce estrapolare ciò che di noir emerge dal vissuto dei musicisti, fino a farne personaggi da noir a tutti gli effetti (di un noir immaginario in cui, temiamo, rivestirebbero tutti il ruolo di vittime).

Molti di quei nomi torneranno nel racconto finale, l’elegiaco “Cinque donne facili”, in cui l’io narrante, Angelo Catelli, pianista di pianobar che lavora al Cocorito e si dice privo di vero talento, ricorda le cinque donne della sua vita, tutte, in un modo o nell’altro, legate alla musica, e tutte – lo riconosce lo stesso Catelli – amanti della musica molto più di lui. Si respira un’aria piacevole di déjà-vu in queste pagine, anche per il fatto che lo stesso Catelli è figura grigia, modesta, priva di carattere e di gusti: di volta in volta si adatta al carattere e ai gusti delle donne con cui vive un’avventura, tra pop, jazz e cantautorato, esattamente come si adatta ai gusti e alle nostalgie dei clienti del Cocorito e suona standard che non gli dicono granché. Ma insomma – qui sta un motivo particolare d’interesse – le donne, sia pure presenze fugaci e spesso fraintese nella sua vita, in qualcosa lo cambiano, qualcosa gli lasciano: anche solo canzoni da suonare svogliatamente per sconosciuti, attraverso cui essere rievocate ed evocare un’idea di amore infelice che sembra non possa fare a meno della musica (della forma-canzone) per esprimersi.

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