LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » gordiano lupi http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 MAMMA ROMA, di Pier Paolo Pasolini http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/01/22/mamma-roma-di-pier-paolo-pasolini/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/01/22/mamma-roma-di-pier-paolo-pasolini/#comments Wed, 22 Jan 2014 16:28:54 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5815 pellicole-italicheIl nuovo appuntamento della rubrica PELLICOLE ITALICHE da rivedere, curata da Gordiano Lupi, è dedicato a uno dei più grandi film girati da Pier Paolo Pasolini: “Mamma Roma” (con indimenticabile interpretazione di Anna Magnani).

Il post si presta per discutere del cinema di Pasolini e della figura della Magnani (di cui avevamo già avuto modo di occuparci in quest’altro post).

Di seguito, oltre all’articolo di Lupi, la locandina e la prima parte del film.

Massimo Maugeri

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MAMMA ROMA (1962) – di Pier Paolo Pasolini

recensione di Gordiano Lupi

Regia: Pier Paolo Pasolini. Soggetto e Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini. Consulente ai dialoghi: Sergio Citti. Fotografia: Tonino Delli Colli. Montaggio: Nino Baragli. Scenografia: Flavio Mogherini. Musiche: Carlo Rustichelli (rimaneggia Antonio Vivaldi). Aiouto Regia: Carlo Di Carlo.Assistente Alla Regia: Gianfrancesco Salma. Produttore: Alfredo Bini. Produzione: Arco Film (Roma). Distribuzione: Cineriz. Interni: Incir De Paolis (aprile – giugno 1962). Esterni: Roma, Frascati, Guidonia, Subiaco. Durata: 115’. Genere: Drammatico. Prima: XXIII Mostra di Venezia, agosto 1962. Premio Mostra di Venezia della FICC (Federazione Italiana Circoli di Cinema). Interpreti: Anna Magnani (Mamma Roma), Ettore Garofolo (Ettore), Franco Citti (Carmine), Silvana Corsini (Bruna), Luisa Orioli (Biancofiore), Paolo Volponi (il prete), Luciano Gonini (Zaccarino), Vittorio La Paglia (il signor Pellisser), Piero Morgia (Piero), Leandro Santarelli (Bengalo, il Roscio), Emanuele di Bari (Gennarino, il Trovatore), Antonio Spoletini, Nino Bionci, Roberto Venzi, Nino Venzi, Maria Bernardini, Santino Citti, Lamberto Maggiorani, Franco Ceccarelli, Marcello Sorrentino, Sandro Meschino, Franco Tovo, Pasquale Ferrarese, Renato Montalbano, Enzo Fioravanti, Elena Cameron, Maria Benati, Loreto Ranalli, Mario Ferraguti, Renato Capogna, Fulvio Orgitano, Renato Troiani, Mario Cipriani, Paolo Provenzale, Umberto Conti, Sergio Profili, Gigione Urbinati.

Pier Paolo Pasolini realizza il secondo film da regista e aggiunge un importante tassello al suo viaggio nell’umanità dolente delle borgate romane. Accattone (1961) mostra il mondo del sottoproletariato urbano della capitale visto dalla parte del maschio, con un grande Franco Citti, sublime interprete del ragazzo di vita pasoliniano. Pasolini continua l’adattamento cinematografico della sua opera letteraria (Ragazzi di vita, Una vita violenta, Il sogno d’una cosa, Poesia in forma di rosa…), definendo un discorso aperto da sceneggiature importanti come La notte brava (1959), di Mauro Bolognini, tratto proprio da Ragazzi di vita. Accattone narra la vita quotidiana dei ragazzi delle borgate romane, tra litigi, notti insonni, bravate, giornate all’osteria, piccoli furti e prostitute. La Borgata Gordiani viene messa in primo piano da sapienti movimenti di macchina, carrellate, poetiche panoramiche, primi piani e mirabili piani sequenza.
Mamma Roma gode della stessa ambientazione borgatara di Accattone, ma la protagonista è una donna, Anna Magnani nei panni di una prostituta romana che vuole cambiare vita per dedicarsi al figlio Ettore. Sergio Citti è fondamentale come consulente per i dialoghi in romanesco, recitati da attori dilettanti, a parte la grandissima Magnani. Le tematiche sono quelle care a Pasolini che accompagneranno tutta la sua vita artistica: gli emarginati, il sottoproletariato confinato in un ghetto di incomunicabilità con le altre classi sociali, la sconfitta del diseredato, l’impossibilità di affrancarsi da un destino di sofferenza. Anna Magnani non lega con il regista, le rispettive visioni del mondo non coincidono, ma nonostante tutto regala un’interpretazione memorabile. La sua Mamma Roma è una madre coraggio in pena per la sorte d’un figlio ribelle, in preda alle tempeste adolescenziali, che contraccambia il suo amore ma non lo sa esprimere. “Mia madre? A me che me frega di mia madre? In fondo credo di volerle bene, perché se morisse mi metterei a piangere”, confessa a Bruna, la ragazza che lo fa diventare uomo. Vediamo in breve la trama. Mamma Roma (Magnani) decide di abbandonare la vita da prostituta quando Carmine (Citti), il protettore, si sposa, liberandola da ogni obbligo. La donna decide di dedicarsi anima e corpo al figlio, Ettore (Garofolo), che non sa niente del suo mestiere ed è cresciuto nella vicina Guidonia. Mamma Roma si mette a vendere frutta e verdura, si trasferisce in un appartamento alla periferia di Roma, segue il figlio, cerca di indirizzarlo nelle scelte femminili e di trovargli un lavoro. Mamma Roma non vuole che il ragazzo faccia la sua fine, che si seppellisca nella periferia romana, ma sogna per lui un futuro di tranquillità, con un lavoro rispettabile. A un certo punto il protettore torna a cercare Mamma Roma e la riporta sulla strada, come il passato che non si può cancellare, l’ineluttabilità del destino. Ettore viene a sapere da Bruna quale sia la vera professione della mamma, per reazione comincia a delinquere, infine viene arrestato dopo per aver rubato una radiolina a un degente dell’ospedale. Finale melodrammatico: il ragazzo muore in carcere, legato a un letto di contenzione, in preda a un delirio febbrile.
Il film è dedicato allo storico dell’arte Roberto Longhi e certe rappresentazioni scenografiche sono pittoriche, grazie alla collaborazione di Flavio Mogherini, futuro regista di scuola pasoliniana. Il finale, con il ragazzo che muore legato al letto del carcere, ricorda un Cristo del Mantegna, una scena da struggente deposizione. Carlo Rustichelli compone una colonna sonora basata sulle musiche sinfoniche di Antonio Vivaldi che accompagna sequenze poetiche fotografate in un livido bianco e nero. Violino tzigano, di tanto in tanto, interrompe la musica barocca e porta in primo piano note di musica popolare. Il ritmo è lento, cadenzato, tra piani sequenza della periferia, panoramiche, dialoghi in romanesco. Puro cinema, una gioia per gli occhi vedere una Roma notturna e seguire le passeggiate logorroiche di mamma Roma che racconta episodi di vita mescolando fantasia e realtà. Pasolini narra per immagini un’umanità dolente che sogna un riscatto impossibile ma deve rassegnarsi a un destino infelice.

Il regista compie un grande lavoro figurativo, guida con bravura una straordinaria Anna Magnani che recita in mezzo a un gruppo di attori dilettanti. Pasolini ci tiene a sviscerare il complesso rapporto madre – figlio, secondo canoni psicanalitici, facendo capire la difficoltà di un adolescente a rivelare il suo amore per la madre. Un tema caro al poeta, anche per vicende biografiche, che lo vedono molto legato alla madre, anche se il loro è un amore borghese, non certo borgataro. Ricordiamo poesie come Ballata delle madri e Supplica a mia madre, contenute in Poesia in forma di rosa, che ricalcano identica tematica. L’educazione sentimentale di un adolescente è un altro tema caro a Pasolini che lo inserisce nella pellicola ricorrendo al personaggio di Bruna, la ragazza che introduce Ettore ai misteri del sesso. Non possono mancare i volti del sottoproletariato urbano, i ragazzi di vita che tanto interessano Pasolini, fotografati nelle espressioni naturali e nella sofferenza quotidiana. Il regista indugia sui campetti di calcio sterrati, inventati dai ragazzini di borgata, con le porte segnate da giacchetti e maglioni, simbolo di un modo di giocare tipico degli anni Sessanta. Anche i rapporti tra donne che fanno la vita, segnati da amicizia e spirito di colleganza, sono in primo piano. Le parole di denuncia di Mamma Roma: “E allora di chi è la colpa? Se avevano i mezzi erano tutti brave persone”, pesano come macigni, anche se il regista non interferisce con le immagini, non dà mai un giudizio morale o politico, ma si limita a fotografare la realtà. Fantastico il finale, vero che sembra uscito da un racconto di Cuore, ma vero anche che la rappresentazione del dolore materno e delle sofferenze del figlio è drammatica e commovente. La galera non è acqua che passa, ma dolore che resta, dolore infinito. La pellicola termina con la disperazione materna e la macchina da presa si ferma alcuni istanti su quel volto dolente, da Madonna straziata per la morte del figlio, senza dissolvenze o inutili lungaggini, per lasciare il posto alla parola Fine in campo bianco.
Accattone e Mamma Roma sono pellicole non ascrivibili a un genere, si tratta di lavori molto letterari dai quali scaturisce l’intera poetica del regista. Se mi è concessa una definizione personale, senza voler essere blasfemo, parlerei di neorealismo corretto da un pizzico di melodramma pascoliano e deamicisiano, due autori molto cari a Pasolini.
Alcune curiosità. Il debuttante Ettore Garofolo viene scoperto da Pasolini mentre fa il cameriere in una trattoria, e in alòcune sequenze del film lo vediamo all’opera nel suo vero mestiere, quando è assunto per servire ai tavoli di un ristorante. Lo scrittore Paolo Volponi, amico di Pasolini, interpreta il prete al quale Mamma Roma chiede un aiuto per trovare lavoro al figlio. Gli esterni del film sono girati alla periferia di Roma, al palazzo dei Ferrovieri di Casal Bertone, al villaggio INA – Casa del Quadraro, al Parco degli Acquedotti e a Tor Marancia. Altre scene sono girate a Frascati, Guidonia e Subiaco. Notiamo spesso sullo sfondo la cupola della Basilica di San Giovani Bosco, così come si vedono le borgate con le baracche dove vive la povera gente. Un piccolo escamotage di Pasolini riesce a far convivere recitazione impostata con interpretazione spontanea. Anna Magnani non recita quasi mai in diretta insieme a un attore dilettante, ma il dialogo viene realizzato ricorrendo a primi piani uniti in sala montaggio.
Rassegna critica. Paolo Mereghetti (tre stelle e mezzo): “Il tema dell’incoscienza, o della diversa coscienza, proletaria è al centro del secondo film di Pasolini, dove il regista nobilita i suoi personaggi con richiami alla pittura rinascimentale (il Cristo mori del Mantegna), e tocca vertici di pathos senza versare una lacrima: Mamma Roma rappresenta la femminilità dolente ma indistruttibile, mentre Ettore, scettico e prematuramente deluso dalla vita, è fratello ideale di Accattone, senza esserne una scialba replica. Quella della Magnani (che pure non s’intese con Pasolini, che la accusò di voler dare al personaggio tratti piccolo – borghesi) è una delle sue migliori interpretazioni”. Morando Morandini (tre stelle e mezzo per la critica, tre stelle per il pubblico): “L’esperimento di fondere la recitazione di Anna Magnani con quella dei ragazzi di vita è parzialmente riuscito, ma contro scompensi e intemperanze e zone sorde, il film ha momenti di coinvolgente vigore stilistico”. Tre stelle anche per Pino Farinotti, ma senza motivare. Il nostro giudizio, da pasoliniani convinti, raggiunge le quattro stelle, non trova difetti a un film riuscito, che unisce dramma psicologico a scene di vita quotidiana, recitazione spontanea a impostazione tecnica, sceneggiatura priva di difetti a dialoghi realistici.

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IL CAIMANO, di Nanni Moretti http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/11/06/il-caimano-di-nanni-moretti/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/11/06/il-caimano-di-nanni-moretti/#comments Wed, 06 Nov 2013 17:05:13 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5582 Il nupellicole-italicheovo appuntamento della rubrica PELLICOLE ITALICHE da rivedere, curata da Gordiano Lupi, è dedicato a uno dei più celebri film di Nanni Moretti: “Il caimano”.

Se vi va, potremmo cogliere l’occasione e approfittare di questo post per discutere del cinema di Moretti in generale.

Di seguito, oltre all’articolo di Lupi, la locandina e il trailer del film.

Massimo Maugeri

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IL CAIMANO (2006) – di Nanni Moretti

recensione di Gordiano Lupi

Regia: Nanni Moretti. Soggetto: Nani Moretti, Heidrun Schleefer. Sceneggiatura: Nanni Moretti, Francesco Piccolo, Federica Pontremoli. Fotografia: Arnaldo Catinari. Montaggio: Esmeralda Calabria. Musiche. Franco Piersanti. Scenografia: Giancarlo Basili. Costumi: Lina Nerli Taviani. Genere: Commedia, Drammatico, Politico. Durata: 112’. Produttore: Angelo Barbagallo e Nanni Moretti. Case di Produzione: Sacher Film, Bac Films, Stephan Films, France 3 Cinema, con la collaborazione di Wild Bunch, Canal+, Cinecinema. Distribuzione: Sacher Distribuzione. Interpreti: Silvio Orlando (Bruno Bonomo), Margherita Buy (Paola Bonomo/ Aidra), Jasmine Trinca (Teresa, la regista), Michele Placido (Michele Pulici/Silvio Berlusconi), Elio De Capitani (Silvio Berlusconi), Paolo Sorrentino (cammeo in Cateratte), Paolo Virzì (cammeo in Cateratte), Giuliano Montaldo (Franco Caspio, vecchio regista), Tatti Sanguineti (Beppe Savonese, il critico), Toni Bertorelli (Indro Montanelli), Lucia Arikò (Marica, la sceneggiatrice), Nanni Moretti (se stesso/Silvio Berlusconi), Jerzy Stuhr (Jerzy Sturovsky, produttore polacco), Matteo Garrone (direttore della fotografia), Luisa De Santis (Marisa, la segretaria di Bonomo), Anna Bonaiuto (Ilda Bocassini), Valerio Mastandrea (Cesari, il finanziere), Sofia Vigliar (baby-sitter), Cecilia Dazzi (Luisa), Carlo Mazzacurati (cameriere), Antonio Petrocelli (legale del caimano), Dario Cantarelli (critico gastronomico).

Locandina Il caimanoIl caimano è un film importante, tra i migliori realizzati da Nanni Moretti, non tanto per la feroce critica allo stile di vita incarnato dal modello berlusconiano, quanto per la piccola storia di fallimento esistenziale raccontata da uno straordinario protagonista. Silvo Orlando si cala con partecipazione nei panni di Bruno Bonomo, un produttore cinematografico che sta attraversando un periodo difficile, professionale e sentimentale. Negli anni Settanta faceva furore con il cinema trash, pellicole di genere dai titoli improbabili (Maciste contro Freud, Viterbo violenta, Violenza a Cosenza, Mocassini assassini, La vendetta di Aidra e il mitico Cateratte), la moglie (Buy) era al suo fianco e interpretava il ruolo di Aidra, eroina vendicatrice assetata di sangue. Adesso tutto è finito: la casa di produzione sta per fallire, il matrimonio va a pezzi, anche se il produttore è ancora innamorato della moglie, gli amici lo abbandonano, persino un vecchio collega (Montaldo) è stanco di lavorare per lui. A un certo punto si presenta una giovane regista (Trinca) con una sceneggiatura intitolata Il caimano, che lui scambia per cinema di genere, mentre si tratta di un film politico su Silvio Berlusconi. Bonomo dopo alcuni tentennamenti decide di fare il film, anche se in passato non ha mai voluto fare film impegnati, cerca un produttore polacco, un attore importante (Placido) e parte per l’avventura con una troupe di fedelissimi. Il mondo, intanto, gli crolla intorno, sua moglie vede un’altra persona, lui è costretto a incontrare i figli in uno squallido residence, il vecchio regista gli ruba un progetto su Cristoforo Colombo e persino l’attore importante abbandona il progetto Berlusconi. Bonomo è sull’orlo del fallimento, ma con i pochi soldi che gli restano gira un giorno della vita di Silvio Berlusconi: il processo al caimano, che si conclude con una profetica condanna a sette anni di reclusione e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Finale imprevedibile con Berlusconi (Moretti) che esce dal Palazzo di Giustizia tra gli applausi mentre il popolo si ribella ai magistrati e li colpisce con sassate e bombe molotov.

Il caimano è cinema nel cinema, costruito tra continui flashback, con il film su Berlusconi che si interseca in maniera geniale alla piccola storia di Paolo Bonomo. Nanni Moretti sceglie di far interpretare Berlusconi da tre attori, per sottolineare quanto sia difficile descrivere monodimensionalmente il personaggio: Elio De Capitani (Bonomo legge la sceneggiatura e immagina la storia), Michele Placido (l’attore prescelto che ne dà un’interpretazione simpatica) e se stesso (il finale apocalittico). Il caimano è un lavoro metacinematografico zeppo di citazioni al cinema del passato, un vero e proprio omaggio al tanto vituperato cinema di genere italiano. Non credo che Moretti odi il nostro cinema di genere, come afferma certa critica. Orlando esprime in poche parole il pensiero del regista: “Il cinema d’autore e il cinema di genere erano soltanto due modi diversi di fare lo stesso lavoro”. Numerosi cammei di personaggi del cinema, a cominciare dalle prime sequenze – estratte da un inesistente Cateratte – con Paolo Virzì nei panni di un dirigente maoista e Paolo Sorrentino trafitto da un tridente di Aidra. Tatti Sanguineti interpreta se stesso nei panni di un critico cinematografico, tra l’altro è un cinefilo importante che nel corso del tempo ha cambiato spesso idea sul valore del nostro cinema popolare. Basti pensare che vituperava come pochi Franco & Ciccio, ma dopo la morte di entrambi passa il tempo in televisione a rivalutarli. Il regista Giuliano Montaldo è il vecchio regista Franco Caspio, collega di tante battaglie a fianco del produttore che finisce per tradirlo. Ricordiamo altri cammei di Carlo Mazzacurati, Renato De Maria, Stefano Rulli, Matteo Garrone, Antonello Grimaldi. Sono geniali i due spezzoni di cinema che vedono protagonista Aidra, girati con la tecnica delle vecchie pellicole di genere, eccessive e piene di sangue. Moretti cita il genere splatter a più riprese, in un frangente si prende anche la soddisfazione di far divorare un critico (gastronomico, ma fa lo stesso) da alcuni astici vivi, infine lo travolge con un pentolone di acqua bollente e lo fa sbudellare da Aidra. Dario Cantarelli è perfetto nella caratterizzazione eccessiva del critico, così come era straordinario nei panni del preside in Bianca. Il produttore utilizza le storie di Aidra come favole per far addormentare i figli, sono ricordi del suo passato che vuol condividere almeno con loro, visto che la moglie ha rinnegato il passato per dedicarsi alla musica. Silvio Orlando presta la sua maschera dolente per un personaggio straordinariamente riuscito, un uomo vero travolto dai problemi, inadeguato ad affrontare la realtà che lo circonda. Bonomo vive di ricordi, dorme nei suoi studi che i creditori gli stanno portando via, passeggia nella piscina priva di acqua dove ha girato l’ultimo film di pirati e le locandine del tanto amato cinema trash che i giovani ricercano per celebrarlo nel corso di inutili retrospettive. Il piano sequenza con Silvio Orlando che attraversa disperato il Lungotevere mostra – tra immagini stupende e musica suadente – la sconfitta definitiva di un uomo che non riesce ad affrontare la vita. Nanni Moretti gira con bravura un film che si rivide con piacere a distanza di tempo e interpreta con ironia la parte di se stesso: “È sempre il tempo di fare una commedia!”, dirà alla giovane regista. “Io non l’ho letta la tua sceneggiatura ma tanto lo so cosa c’è scritto: le solite cose che il pubblico di sinistra vuole sentirsi dire su Berlusconi. Io voglio fare una commedia, adesso!”. Bravo anche nella parte finale dove interpreta Berlusconi recitando le stesse parole pronunciate dall’ex premier. Alcuni spezzoni d’epoca completano il film politico, che si ricorda anche per alcune parti oniriche molto ben girate: i soldi che piovono dal cielo sfondando il soffitto, l’atterraggio dell’elicottero di Berlusconi in un campo sportivo. Un film che va oltre i generi, come ogni pellicola di Nanni Moretti: commedia, dramma esistenziale, film sociale e satira politica.

Il film scatenò molte reazioni perché uscì in periodo elettorale e molti politici chiesero con forza di posticiparne la programmazione. Ha ragione Moretti quando afferma che “Il caimano non è un film politico, ma un film intimista, la storia di una coppia che si sta separando, mentre la vicenda Berlusconi è il film nel film, quello che nella finzione si sta girando, e fa soltanto da cornice alla storia principale”. Tra l’altro Moretti non critica tanto Berlusconi, quanto il berlusconismo, vuol sottolineare il fatto che un certo modo di pensare e tanta brutta televisione abbiano cambiato in peggio gli italiani. “Volevate quella televisione grigia e triste con soltanto due canali e quelle ballerine vestite? Io vi ho dato la televisione piena di luci e colori, a ogni ora del giorno. È tutto merito mio”, dirà il Berlusconi al pubblico di uno show televisivo in mezzo a ballerine discinte. Berlusconi la prese con ironia: “Un ottimo regista italiano ha raccontato una fiaba e mi ha dato un soprannome che mi mancava: signori, io sono il caimano”.

Alcuni passaggi televisivi importanti: Sky Cinema Mania (27 aprile 2007), La7 (30 aprile 2011), Rai 3 (19 giugno 2011 – 12,97% di share, circa tre milioni di spettatori), infine di nuovo su La7 (4 ottobre 2013), programma Film Evento condotto da Enrico Mentana, come spunto per un dibattito politico sulla decadenza di Berlusconi da parlamentare, dopo la nota sentenza di condanna.

Ottima la colonna sonora di Franco Piersanti che torna a collaborare con Moretti a 23 anni di distanza, dopo il film Bianca. Assistenti alla regia sono Cosimo Messeri, figlio dell’attore Marco, e Alice Di Giacomo, figlia del direttore della fotografia Franco, che aveva collaborato ai primi tre film di Moretti. Tra le citazioni d’autore ricordiamo alcune sequenze de La città incantata di Hayao Miyazaki, premio Oscar 2001 come miglior film di animazione. Partecipa al film anche il Nuovo Coro Sinfonico Romano che esegue il Dixit Dominus di Händel. Molte analogie con la realtà per quel che riguarda la profetica parte finale, sia per lo svolgimento del processo che per la durata della pena inflitta dalla corte. La scena finale apocalittica, invece, dobbiamo augurarci che sia meno profetica. Tra gli attori la sola a convincere poco è la bella ma inespressiva Jasmine Trinca.

Rassegna critica. Paolo Mereghetti (tre stelle): “Moretti fa decantare le proprie ossessioni grazie all’interpretazione di Silvio Orlando, ma non rinuncia a un punto di vita personale per riflettere sull’Italia. Berlusconi diventa una specie di concreto esempio e di illuminante metafora della realtà, che Moretti racconta come un elemento interno e soggettivo che interagisce con la vita di chi vuole interessarsi a lui. La fallimentare vita privata di Bonomo diventa l’altra faccia di un paese che ha perso le sue certezze, mentre i diversi stili con cui è rappresentato il caimano sono esempi concreti della difficoltà di trovare un unico linguaggio per narrare e per spiegare l’Italia”. Troppo politico come giudizio. Preferiamo Morando Morandini (tre stelle per la critica, quattro stelle per il pubblico), che parla di cinema nel cinema: “Il caimano è anzitutto un film sul cinema, la storia di un film da fare. Disomogeneo fin che si vuole, ma è difficile negarne l’originalità. Dopo una mala partenza (col peggio di quella commedia all’italiana che Moretti ha sempre irriso) arriva al bersaglio con un duro finale fantapolitico di anticipazione. Un Silvio Orlando da premio”. Non siamo così convinti sul giudizio negativo di Moretti nei confronti del cinema popolare italiano che ci pare trattato con il massimo rispetto. Pino Farinotti concede due stelle, salva soltanto il segmento privato e non ama il compitino politico su Berlusconi, ma riconosce a Moretti la genialità del grande autore.

Il caimano riscuote molti premi prestigiosi. David di Donatello 2006: miglior film, regista, produttore, attore protagonista, musica, fonico in presa diretta. Nastro d’argento 2007: produttore, attori protagonisti. Ciack d’oro 2006: miglior film, regia, attori protagonisti, sceneggiatura, musica, produzione, montaggio e persino manifesto. Globo d’oro 2006. Nomination al Festival di Cannes e all’European Film Awards 2006.

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IN MEMORIA DI GIULIANO GEMMA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/10/09/in-memoria-di-giuliano-gemma/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/10/09/in-memoria-di-giuliano-gemma/#comments Wed, 09 Oct 2013 15:52:20 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5496 Il secondo appuntamento della rubrica PELLICOLE ITALICHE da rivedere, curata da Gordiano Lupi, abbiamo voluto dedicarlo all’attore Giuliano Gemma, che è scomparso pochi giorni  fa (il 1° di ottobre) a causa di un incidente automobilistico. Tutti coloro che vorranno intervenire lasciando commenti volti a ricordare Giuliano Gemma (con riferimenti a uno o più film in particolare) saranno i benvenuti.

Qui di seguito troverete un articolo di Gordiano Lupi e la recensione del film “Arrivano i Titani” (1961) di Duccio Tessari (Giuliano Gemma era nel cast nei panni di Crios). In coda, il video con la presentazione dello stesso Tessari e uno spezzone del film.

Ringrazio tutti in anticipo per la partecipazione.

Massimo Maugeri

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Giuliano Gemma, l’eroe della mia generazione

di Gordiano Lupi

Giuliano Gemma (1938 – 2013) rappresenta buona parte della mia infanzia. La prima volta che l’ho visto al cinema – in una saletta di terza visione nel quartiere operaio della mia città – vestiva i pani di Ringo e si faceva chiamare Montgomery Wood. Credevo che fosse americano, pure mio padre lo pensava, lui che disprezzava il western italiano, ma era andato in delirio per tutte le pellicole di Sergio Leone, convinto che fossero interpretate da attori d’oltreoceano. Magia degli pseudonimi, ma pure magia del ricordo d’un bambino che stringeva un pacchetto di semi, varcava le porte del Cinema Teatro Sempione (scomparso nella nebbia del tempo perduto) per andare a vedere un peplum, al tempo che manco sapeva cosa volesse dire peplum, come Arrivano i Titani. Da grande quel bambino avrebbe scoperto che sia i due Ringo (Una pistola per Ringo, Il  ritorno di Ringo) che il peplum erano opera di Duccio Tessari, un regista italiano che avrebbe usato spesso Giuliano Gemma (Kiss kiss… bang bang, Vivi o preferibilmente morti, Tex e il signore degli abissi), considerandolo un suo attore feticcio. Abbiamo trovato un ricordo di Giuliano Gemma che fa riferimento a quel periodo storico: “Il primo film che ho fatto con Tessari è Arrivano i Titani, un lavoro che smitizza il peplum dove recito con il mio vero nome. Il primo western che ho interpretato è Una pistola per Ringo (1965), film in cui nasce il mio pseudonimo, Montgomery Wood. Si trattava di una condicio sine qua non per fare il film, imposta dalla produzione che voleva venderlo come nordamericano. Era una moda. Mi obbligarono e lo pseudonimo lo scelse il produttore. A me andava bene tutto. Sono riuscito a usare il mio vero nome solo a partire dal terzo western come protagonista. Ho fatto due western della serie Ringo, entrambi con Tessari, tutti e due buoni lavori, ma fondamentalmente diversi l’uno dall’altro. Una pistola per Ringo è un film ironico, nelle corde di Tessari, girato con il suo inconfondibile stile. Il ritorno di Ringo è un film drammatico, ispirato all’Odissea. Il primo è più divertente, il secondo più serio. Sono due film coprodotti con gli spagnoli, girati nella penisola iberica, interpretati da Fernando Sancho, persona simpatica e grande mangiatore, che poi ho ritrovato in Arizona Colt (Michele Lupo, 1966, nda). Nel cast ricordo anche George Martin, un ginnasta spagnolo molto atletico con cui spesso mi allenavo. E che dire di Pajarito? Un personaggio inventato da Tessari, uno spagnolo che parlava in modo buffo e si occupava di produzione. Tessari lo utilizzò come attore dandogli il soprannome che aveva nella realtà. Una pistola per Ringo è un film ironico che anticipa il western comico di Barboni, alternativo al cinema di Leone, ma non meno violento, nonostante l’ironia. Nella mia carriera non ho mai interpretato personaggi cliché, né stereotipi. Pure nei due film della serie Ringo differenzio i personaggi. Nel primo sono un pistolero ironico e strafottente. Nel secondo sono un eroe cupo e represso che torna a casa dopo una lunga guerra, una sorta di Ulisse – Ringo. Vivi o preferibilmente morti è un altro western diretto da Tessari, sceneggiato niente meno che da Ennio Flaiano, nato dalla mia amicizia con Nino Benvenuti sin dai tempi del militare. Si sperava che andasse meglio, che la coppia Gemma – Benvenuti portasse più gente al cinema, che il debutto di Sidney Rome incuriosisse il pubblico. L’incasso non fu male, comunque, ma la critica distrusse il film. Ma il  vero insuccesso tra i lavori di Tessari da me interpretati fu Tex e il signore degli abissi (1985), una pellicola che non era western all’italiana e che non funzionò per niente. Credo che sia il peggior western di Tessari, nonostante ci fosse William Berger, un ottimo attore. La storia era sbagliata, servivano troppi soldi per realizzarla, ma noi disponevamo di un budget irrisorio. La produzione non aveva la possibilità di costruire un accampamento indiano di venti tende (ce n’erano soltanto tre) e neppure di affittare cinquanta cavalli (erano dieci). La storia di Tex venne scelta male perché troppo complessa e costosa da realizzare al cinema. Conoscevo bene i fumetti di Tex, un eroe della mia infanzia, ed ero orgoglioso di prestare il volto al ranger mezzo sangue. Ma avremmo dovuto sceneggiare una storia low-budget, stile spaghetti-western, non un soggetto ambizioso che finì per restare irrisolto. Persino Gianni Ferrio compose una musica anonima, in piena sintonia con il film. L’insuccesso fu così clamoroso che bloccò l’idea di girare una serie di ventuno film televisivi con protagonista Tex. Una pistola per Ringo resta il mio film preferito, comunque. Forse perché il primo western non si scorda mai…”. Abbiamo fatto ricordare al protagonista parte della sua carriera western, che è proseguita con Tonino Valerii e Giorgio Ferroni, ma Giuliano Gemma non è stato soltanto l’eroe buono, il castigamatti, il pistolero della mia generazione. Ha interpretato un intenso ruolo da protagonista ne Il deserto dei Tartari (1976) di Valerio Zurlini e Il prefetto di ferro (1977) di Pasquale Squitieri. E che dire dei ruoli comici ne Anche gli angeli mangiano fagioli (1973) di Barboni e Il bianco, il giallo, il nero (1974) di Sergio Corbucci? Impossibile citare tutto il suo grande lavoro nel cinema italiano, ma se vi interessa approfondire consigliamo la lettura di Roberto Poppi, che ha scritto un imperdibile libro sugli attori italiani, edito da Gremese. A noi piace ricordare Giuliano Gemma mentre cavalca nelle improbabili praterie dello spaghetti western, perché – come ha detto lui – il primo western non si scorda mai.

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“Arrivano i Titani” (1961) – di Duccio Tessari

recensione di Gordiano Lupi

Duccio Tessari (Genova, 1926 – Roma, 1994) è un autore a tutto tondo del nostro cinema di genere, prima prolifico sceneggiatore di pellicole mitologiche e documentarista, quindi regista di fiction capace di muoversi con disinvoltura tra peplum, western, commedia, poliziesco, melodramma, thriller, film d’avventura e di guerra. La sua cifra stilistica è l’ironia, che anticipa i lavori anni Ottanta del western comico interpretati da Bud Spencer e Terence Hill. Una pistola per Ringo e Il ritorno di Ringo sono due western del 1965 che si ricordano con piacere, ma è notevole anche il poliziesco La morte risale a ieri sera, ispirato a un romanzo di Scerbanenco con protagonista Duca Lamberti. La critica è unanime nel dire che il suo film più riuscito è Tony Arzenta (1973), un noir interpretato da Alain Delon. Tessari si dedica a smitizzare i generi, trattandoli con ironia, ma nell’ultima parte della carriera gira molti film televisivi affrontando argomenti più seriosi. Il suo unico errore è stato aver tentato di portare al cinema un mito come Tex nel poco riuscito Tex e il signore degli abissi (1985), interpretato da Giuliano Gemma.

Arrivano i Titani (1961) è il primo film da regista di Duccio Tessari, una parodia di un genere al quale ha dedicato tutta la prima parte della sua carriera. La pellicola anticipa il western all’italiana, che sarà un altro degli amori di Tessari, ma soprattutto il western comico e scanzonato di Enzo Barboni.

Soggetto e Sceneggiatura: Duccio Tessari ed Ennio De Concini. Musiche: Carlo Rustichelli. Montaggio: Maurizio Lucidi. Fotografia: Alfio Contini. Produttore: Franco Cristaldi. Interpreti: Pedro Armendáriz (Cadmo), Giuliano Gemma (Crios), Jacqueline Sassard (Antiope), Antonella Lualdi, Serge Nubret, Gérard Séty, Tanya Lopert, Ingrid Schoelle, Franco Lantieri, Monica Berger, Maria Luisa Rispoli, Isarco Ravaioli, Aldo Podinottì, Fernando Rey, Fernando Sancho, Alfio Caltabiano, Ileana Grimaldi ed Erika Spaggiari.

L’azione si svolge a Creta, governata dal folle tiranno Cadmo, che ha avuto una terribile profezia: perderà il trono se la figlia Antiope si innamorerà. Cadmo si autoproclama Dio, rende immortale anche la moglie, quindi rinchiude la figlia in una prigione dorata, privandola di contatti con l’esterno. Giove, che non sopporta miscredenti e tiranni dispotici, si adira con Cadmo e manda sulla Terra il Titano Crios con il compito di uccidere il signore di Creta. Al termine di una serie di avventure mirabolanti, Crios corona il suo sogno d’amore con Antiope e l’intervento degli altri Titani provoca una rivolta popolare contro il tiranno.

Duccio Tessari dopo aver sceneggiato molti peplum seriosi e avventurosi si dedica alla smitizzazione del genere, chiamando a interpretare la pellicola un insolitamente biondo Giuliano Gemma, alla prima prova come attore dopo anni di gavetta. La pellicola può dirsi riuscita anche per merito dell’interpretazione sopra le righe di un ottimo Giuliano Gemma. L’attore rende credibile un personaggio scaltro e acrobatico, che lotta per la libertà e per conquistare il suo amore. Il regista e lo sceneggiatore compongono un calderone di ricordi mitologici che vanno da Polifemo alle Parche, passando per la Gorgone, Plutone e il regno negli inferi, ma ben amalgamato e ancora oggi godibile in un contesto ironico e di pura azione. Le sequenze che vedono Giuliano Gemma e i suoi fratelli Titani impegnati in solenni scazzottate anticipano il clima da spaghetti – western e il cinema comico anni Ottanta di ambientazione western.

Arrivano i Titani è un interessante esempio di commistione dei generi, perché al suo interno troviamo il peplum classico rivisto alla lente dell’ironia tipica di Tessari, il melodramma, l’action – movie,  suggestioni horror, elementi di cinema fantastico e parti di puro romanticismo. Un film sperimentale, una provocazione a metà strada tra il mitologico e il melodramma sentimentale. Le scenografie sono spesso di cartapesta colorata, ma si segnalano ottimi esterni e parti suggestive girate all’interno di grotte che compongono una buona atmosfera infernale. Il clima da horror fantastico è evidente nelle scenografie cupe, nella discesa negli inferi e in alcune sequenze che vedono protagonisti ciclopi, esseri mitologici e divinità dell’Olimpo. Puro cinema fantastico quando Giuliano Gemma ruba l’elmo di Plutone che lo rende indivisibile ai soldati del signore di Creta. Le sequenze di azione sono spettacolari e Giuliano Gemma fa sfoggio di tutta la sua prestanza fisica e abilità di acrobata. Il messaggio politico è presente come in tutti i peplum, anche se molto sfumato: “Le parole di un uomo libero nessuno può imbrigliarle”, dice Giuliano Gemma in una delle prime sequenze.

Segnaliamo diversi falsi storici e commistioni di usanze che non hanno niente a che vedere con la Grecia, come quando il regista mette in scena una sorta di corrida tra tori e amazzoni, che sembra un inserto riempitivo prelevato da un’altra pellicola.

Il personaggio interpretato da Giuliano Gemma è un abile ribelle dalla lingua sciolta, che sfida il signore di Creta per amore e per compiere il volere di Zeus. Il suo messaggio è non violento e cavalleresco: “Basta vincere. Non c’è bisogno di uccidere”. Jacqueline Sassard è bella ed espressiva, perfetta nella parte della ragazza ingenua, sacrificata al volere di un dispotico padre. A un certo punto si intravede, molto sfumato, pure un seno nudo. Il massimo dell’erotismo per i tempi, insieme ad alcuni baci sensuali. Il finale vede la consueta sfida tra buono e cattivo con conseguente liberazione della bella in pericolo, ma anche un velato romanticismo con la storia d’amore che giunge a compimento. I Titani liberano Creta da un signore dispotico e si abbandonano alla consueta ironia: “Questa è stata proprio un’impresa titanica!”. Da riscoprire.

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IL PRIMO E L’ULTIMO FILM DI ALBERTO BEVILACQUA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/09/24/il-primo-e-lultimo-film-di-alberto-bevilacqua/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/09/24/il-primo-e-lultimo-film-di-alberto-bevilacqua/#comments Tue, 24 Sep 2013 20:22:11 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5456 Dedichiamo il primo appuntamento di PELLICOLE ITALICHE da rivedere, curato da Gordiano Lupi, a due film di Alberto Bevilacqua (scomparso recentemente): il primo (La califfa, 1970) e l’ultimo (Tango blu, 1987).

A fine post potrete vedere, “La califfa” (film completo) e “Tango blu” (prima parte) disponibili su YouTube.

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LA CALIFFA (1970)

di Alberto Bevilacqua

Regia: Alberto Bevilacqua. Soggetto e Sceneggiatura: Alberto Bevilacqua. Fotografia: Roberto Gerardi. Montaggio: Sergio Montanari. Musiche: Ennio Morricone. Scenografia: Giantito Burchiellaro. Costumi: Luciana Marinucci. Produzione: Mario e Vittorio Cecchi Gori. Casa di Produzione. Fair Film. Distribuzione: Titanus. Genere: Drammatico. Durata: 99’. Interpreti: Romy Schneider (doppiata da Rita Savagnone), Ugo Tognazzi, Marina Berti, Roberto Bisacco, Gigi Ballista, Guido Alberti, massimo Serato, Franco Ressel, Massimo Farinelli, Giancarlo Prete, Stefano Satta Flores, Gigo Reder, Gianni Rizzo, Nerina Montagnani, Eva Brun, Luigi Casellato, Enzo Fiermonte.

La califfa è il primo film di Alberto Bevilacqua, tratto dal suo terzo libro, edito nel 1964, un successo di vendite importante che anticipa la vittoria del Premio Campiello del 1966 con Questa specie d’amore. Romy Schneider è la sensuale interprete, che presta volto e corpo a Irene Corsini, la Califfa, vedova di un operaio ucciso dalla polizia, presentata con un intenso piano sequenza che tornerà nel drammatico finale. Ugo Tognazzi è l’imprenditore dal volto umano, innamorato della proletaria contestatrice, che per amore va incontro agli operai e lotta con loro per risolvere i problemi della fabbrica.
La califfa è ambientato a Parma, città natale di Bevilacqua, da lui immortalata in racconti, romanzi poesie e lungometraggi. Irene Corsini è la donna fortificata dal dolore, che si pone a capo di una protesta operaia scoppiata all’interno della fabbrica di Doberdò (Tognazzi), ma finisce per innamorarsi dell’industriale. Al suo fianco il magnate scopre una nuova realtà, capisce che esiste un modo diverso e più umano di fare impresa. Non riesce a farlo capire ai colleghi, che in un drammatico finale lo uccidono e gettano il suo cadavere accanto al muro della fabbrica. Sangue che scorre tra le mani di Irene, una nuova ferita della vita.
La califfa non gode di un grande budget, motivo per cui Bevilacqua sceneggia soltanto la seconda parte del romanzo e utilizza più volte le stesse sequenze per alcune sequenze oniriche. Non solo, certi personaggi vengono del tutto omessi, incentrando l’attenzione soltanto sui protagonisti principali. Mancano molti dialoghi, importanti per capire la relazione tra Doberdò e Irene, persino il finale è diverso, più cinematografico, perché il romanzo si conclude con la morte dell’imprenditore per cause naturali. Le location della pellicola sono Parma, Spoleto, Terni, Colleferro e Cesano di Roma. Stupenda la colonna sonora di Ennio Morricone, a tratti dotata di sonorità western, che accompagna situazioni riconducibili ai duelli e le rese dei conti nel cinema di genere. Ottima la fotografia di Roberto Gerardi. Bevilacqua è alla prima regia, ma mostra di saperci fare con i piani sequenza, usa un po’ troppo lo zoom (ma era un male del periodo storico), sceneggia con tono poetico le situazioni iperrealistiche di un film metaforico e didascalico. Gli attori sono straordinari. Ugo Tognazzi è un perfetto imprenditore figlio di contadini che, grazie all’amore, passa dal pragmatismo alla sfida romantica nei confronti del potere. Tognazzi non è nuovo a interpretare parti da imprenditore e da ricco borghese, ma Bevilacqua lo pone a confronto con un testo poetico. “Oggi il potere non ha più bisogno di eroi né di leoni. Oggi ha bisogno di poeti”, dirà. E riferendosi a un passato da povero: “Me ne sono andato per non vedere più quella macchia di umidità sopra la mia testa”. Romy Schneider è di una bellezza prorompente, fotografata in stupendi primi piani, tra le cariche della polizia e il sangue che scorre. Un personaggio adatto alle sue caratteristiche femminili, una donna forte e innamorata, disposta a mettersi in gioco. Bevilacqua è molto bravo a raccontare l’animo femminile e a comporre insoliti ritratti di donne sopra le righe. Tra i caratteristi Gigi Ballista è a suo agio come imprenditore, ruolo che ripeterà all’infinito nella commedia sexy, Stefano Satta Flores è un operaio che si vede lo spazio di una sequenza, Gigi Reder (il Fillini di Fantozzi) è un servile cameriere, Giancarlo Prete (il culturista dei postatomici) è l’amante sfruttato dalla califfa, Massimo Serato è l’industriale fallito che si suicida. Bevilacqua racconta la società italiana di fine anni Sessanta con gli imprenditori d’assalto, le fabbriche che chiudono, gli operai che occupano e chiedono rispetto per il lavoro. Vediamo le cariche della polizia, gli imprenditori suicidi dopo il fallimento, le proteste di piazza. Il quadro sociale è accompagnato da un’analisi spietata dei rapporti borghesi tra moglie e marito, la passione che si stempera, il tradimento, ma pure il contrasto generazionale padre – figlio non sfugge alla critica. “Se padre e figlio scappassero insieme per raggiungere non si sa quale meta, probabilmente non accadrebbe niente”, dice Tognazzi. Intensi ma a volte troppo retorici e ridondanti i discorsi del padrone agli operai, così come le immagini della lotta di classe risultano troppo stilizzate. Notevole l’immagine della fabbrica come un dio pagano dove gli operai si recano ogni giorno per rendere omaggio all’altare della produzione. Ricordiamo alcune sequenze oniriche: il fiore che blocca gli ingranaggi dell’azienda, la califfa che rinchiude il padrone in una stanza per farlo morire tra i miliardi… Le scene erotiche sono molto soft ma ben recitate dai due interpreti, credibili e convincenti; la Schneider buca lo schermo in alcune sequenze che la vedono sfoggiare plastici nudi a figura intera. Un difetto è l’eccesso di ideologia sessantottina, ma resta un prodotto del suo tempo e va storicizzato. L’operaia ribelle e l’imprenditore hanno in comune il coraggio, le origini umili, la voglia di credere in un progetto e l’illusione di cambiare il mondo. Ma sarà la cruda realtà a vincere sui loro sogni.

Rassegna critica. Morando Morandini (tre stelle di critica e di pubblico): “La sorpresa di questa commedia a sfondo sociale è un Tognazzi che dà prova della sua inesauribile versatilità di attore straordinariamente padrone delle sue reazioni e dei suoi toni. Come operaia Romy Schneider convince meno. Il fico migliore nel bigoncio di Bevilacqua da Parma”. Una recensione non condivisibile, a partire dalla conclusione, passando per i dubbi sulla Schneider, per finire con la definizione di commedia a un film drammatico e iperrealista. Paolo Mereghetti stronca senza pietà (una stella): “L’esordio di Bevilacqua, dal suo romanzo omonimo, è un ritratto femminile che si perde tra generici (e gratuiti) riferimenti alle tensioni sociali del periodo”. Pino Frainotti torna a concedere tre stelle, senza un giudizio critico, ma fornendo una valutazione condivisibile.

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TANGO BLU (1987)

di Alberto Bevilacqua

Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Alberto Bevilacqua. Produzione: Michele Janczarek e Giuseppe Giovannini per Be – Mer Film. Distribuzione: Columbia Pictures Italia. Produttore Rai: Roberta Cadringher per Rai Uno. Organizzatore Generale: Giorgio Morra. Scene: Lorenzo Baraldi. Costumi: Gianna Gissi. Fotografia: Pierluigi Santi. Operatore alla Macchina: Mario Cimini. Direttore di Produzione: Nicolò Forte. Montaggio: Nino Baragli. Musiche: Stelvio Cipriani. Aiuto Registi: Walter Italici, Inigo Lenzi. Teatri di Posa: Incir/De Paolis. Interni: Teatro dell’Opera (Roma), Discoteca Central Park (Milano). Interpreti: Franco Franchi, Maurizio Merli, Andrea Roncato, Gigi Sammarchi, Leo Gullotta, Antonella Ponziani, Armando Marra, Andrea Belfiore, Roberto De Marchi, Gloria Paul, Big Laura, Vic Poletti, Antonio Ballerio, Carlo Dapporto, Valentina Cortese, Ginella Vocca, Giuseppe Carlostella, Antonio Caffari. Partecipazione Speciale: Corpo di Ballo Cooperativa Culturale di Milano.

Alberto Bevilacqua (1934) è un romanziere di successo in prestito al cinema come sceneggiatore, regista per un pugno di pellicole, ma convince critica e pubblico soltanto per le prime opere: La califfa (1970), Questa specie d’amore (1971) e Attenti al buffone (1975), forse il suo miglior lavoro, interpretato da Nino Manfredi e Mariangela Melato. Tango blu (1987) è un film da solista di Franco Franchi, l’ultima occasione per vederlo al cinema. “Un insolito divertissement”, lo definisce il regista. Un film di invenzioni, sketch, personaggi avvolti in un’atmosfera sognante che ricorda Amarcord e Otto e mezzo di Federico Fellini. Il night milanese Tango blu riapre i battenti dopo molti anni e il nuovo gestore (De Marchi) premia con la chiave d’oro i figli dei personaggi che hanno reso immortale il locale. Franchi è un facchino del macello, Roncato un fotografo dongiovanni, Cortese una madre diva, Merli un poliziotto della buoncostume, Sammarchi un figlio stonato, Dapporto un rigoletto disperato, Gullotta è il poetico Fior da Fiore. Andrea Roncato si presenta con la canzone Io cerco la Titina e afferma: “Né io né il babbo l’abbiamo mai trovata”, il dramma della sua vita è la disperata ricerca di una donna ideale. Leo Gullotta, il romantico giardiniere soprannominato Fior da Fiore che coltivava le rose al Tango blu, entra in scena chiedendo “un suono di grazia”, aggiungendo che “la grazia non si spiega, è la grazia e basta”. Franco Franchi è un grottesco figlio di due padri (“I miei due padri amavano il caffè, lungo e amaro come la vita”), Maurizio Merli un poliziotto inetto (ironia del ruolo di una vita), Gigi Sammarchi un aspirante cantante incapace di azzeccare la nota giusta e Andrea Roncato un uomo innamorato di tutte le donne che pontifica il sesso sul seggiolino. Alla fine dell’esibizione di tango i quattro protagonisti cantano in coro “Ho un sassolino nella scarpa”. Il film procede sospeso tra la rievocazione romantica del passato, amori perduti, sognati, incompiuti, presentando i tradimenti del presente e i delitti di un killer ironico che si fa chiamare Tango blu, come il locale. L’assassino è tra gli ospiti, niente meno che Fior da Fiore, sarà lui stesso a confessare e a consegnarsi all’amico Merli, per fargli fare carriera. Il killer trucca le vittime come un quadro di Arcimboldo, si fa pubbliche beffe della polizia, è ironico quanto inafferrabile. A un certo punto compie un attentato alla centrale elettrica di Milano perché la città possa finalmente godersi una notte di luna piena. “Si può scoprire la bellezza della notte e ritrovare se stessi”, dice uno straordinario Leo Gullotta, interprete del personaggio più riuscito della pellicola. Molto bravo anche Franco Franchi, soprattutto quando interpreta una canzone siciliana sui pescatori di tonno, ma è poetico anche come marito tradito da una moglie orrenda e come operaio che guida la rivolta contro un dispotico padrone. Franchi: “Auguro a tutti voi gli amori dei tonni, che non si accorgono che le fiocine arrivano da ogni lato. In questo mondo di tonnare..”. Bellissimo. Pura poesia. Il pezzo gli vale una scrittura per la televisione dove pubblicizzerà il tonno in scatola. Antonella Ponziani è Silvia, figlia sordomuta di Gloria Paul, che Fior da Fiore tiene come la sola cosa preziosa del suo mondo. In realtà la ragazza non parla solo perché non vuole avere più niente a che fare con una madre dispotica. Carlo Dapporto è il padre di Gigi Sammarchi, tenta di insegnargli a cantare ma non ci riesce, rimpiange la sua Valentina Cortese, e finisce insieme a lei in una casa di riposo per artisti. Beviam nei lieti calici è il giusto coronamento del loro amore. Il film procede tra alti e bassi, non sempre diverte, ma possiede una sua cifra stilistica, sospesa tra il poetico e il grottesco, che si basa sull’interpretazione di ottimi attori. Il quartetto dei protagonisti, composto da Gigi Sammarchi, Andrea Roncato, Maurizio Merli e Franco Franchi è così insolito da risultare irresistibile e affascinante. La colonna sonora è stupenda. Stelvio Cipriani mixa pezzi di tango con brani di musica sinfonica e motivetti popolari che compongono uno spaccato poetico suadente.

Marco Giusti su Stracult racconta con dovizia di particolari la storia di questo film maledetto di Bevilacqua pensato per rappacificare il critico cinematografico con la Rai. Il regista concepisce il film come una sorta di Amarcord, un ritorno al varietà, a Milano, componendo un cast bizzarro e variegato. Tango blu non lo vede nessuno, nonostante la grande campagna pubblicitaria impostata da Rai Uno (produttrice del film insieme a Merli), e finisce presto dimenticato. Bevilacqua resta inattivo per dieci anni, ma dopo farà soltanto Gialloparma (1992) con Michela Miti. Il film ha fama di maledetto anche perché di lì a poco muoiono molti interpreti come Merli e Dapporto. Franco Franchi afferma: “Avendo fatto tanti film, circa 140, si sente il bisogno di fare qualcosa di diverso. Questa è un’esperienza nuova per me. È un film del cosiddetto cinema impegnato. Inoltre mi piaceva il fatto strano di lavorare con Bevilacqua: l’incontro tra il poeta e il popolano intelligente che cerca di comunicare nelle mani del poeta”. In ogni caso per Marco Giusti “il film è devastante, pieno di attori fuori ruolo, Merli su tutti, e neppure Franchi riesce a risollevarlo”. Pino Farinotti concede due stelle ma si limita a sintetizzare la trama di un film impossibile da riassumere in poche righe. Conferma le due stelle Morando Morandini, aggiungendo che per il pubblico una basta e avanza: “Un film di invenzioni, estri, personaggi. Il ritmo è a strappi con tendenze allo sketch. Franchi ha garbo. Cortese il birignao. Dapporto la gobba. Il tono? Quieta letizia con stacchi disperazione”. Paolo Mereghetti non ha rispetto neppure per Bevilacqua (una stella): “Scombiccherato tentativo di costruire una storia sospesa tra poesia e sogno: il risultato è una commedia grottesca francamente confusa (per non dire incomprensibile), eterogenea nel cast, ma monotona nello sviluppo”. Tango blu è una commedia grottesca, a tratti incomprensibile, sceneggiata male, confusa, frammentaria, teatrale, ma nelle sequenze migliori risulta un piacevole affresco in bilico tra poesia e sogno.

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LA CALIFFA (film completo)

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TANGO BLU (la prima parte del film)

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http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/09/24/il-primo-e-lultimo-film-di-alberto-bevilacqua/feed/ 25
CRONACHE DI INIZIO MILLENNIO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/10/11/cronache-di-inizio-millennio/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/10/11/cronache-di-inizio-millennio/#comments Tue, 11 Oct 2011 21:37:39 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=3598 cronache-di-inizio-millennioChe cosa rimane del decennio che ci stiamo lasciando alle spalle?

Qual è l’evento “caratterizzante” degli anni 2001-2011?

Se vi venisse chiesto di redigere una classifica degli eventi più importanti che si sono avvicendanti in questi dieci anni… come la stilereste? (per ordine di importanza…)

Quali eventi, a vostro giudizio, sono rimasti “in sordina” e meriterebbero, viceversa, maggiore risalto nella nostra memoria?

E come si differenzia il decennio che si sta per concludere da quelli che lo hanno preceduto?

Vi invito a rispondere a queste domande, ispirate dalla recentissima pubblicazione del volume “Cronache di inizio millennio” (Historica, 2011) curato dal duo letterario Laura Costantini e Loredana Falcone. Si tratta di una antologia che ha come sottotitolo “32 autori italiani raccontano gli anni 2001/2011” a cui ho partecipato anch’io con grande piacere, invogliato dallo scopo benefico del progetto (come meglio precisato di seguito).
Dalla scheda del libro: “Dieci anni densi di avvenimenti, cambiamenti, cataclismi climatici, politici e sociali che vale la pena raccontare per lasciarne traccia e, senza avere la pretesa di un’interpretazione sociale e antropologica, poter restituire il sapore degli anni che ci siamo trovati a vivere”.
Dicono le curatrici: “Quello che abbiamo chiesto agli autori che hanno aderito (32 tra famosi ed esordienti) è di raccontare uno di questi anni, di questi avvenimenti. Dalle Torri Gemelle all’avvento di Facebook, dallo Tsunami ai Mondiali di calcio 2006, dal G8 di Genova al terremoto dell’Aquila. Sono solo esempi nella massa di stimoli che il decennio ha potuto fornire a tutti noi che scriviamo esercitando la passione della memoria e della parola.”

Il ricavato delle vendite verrà devoluto all’A.V.S.I. per il progetto “Al lavoro! Attività di formazione professionale e avvio al lavoro per i giovani di Rio de Janeiro”.
Mi piacerebbe che partecipassero al dibattito tutti gli autori coinvolti nel progetto (magari potrebbero raccontarci perché hanno scelto proprio quella data e quell’evento).

Laura Costantini mi aiuterà ad animare e a moderare la discussione.
Di seguito, l’elenco degli autori che hanno aderito al progetto e la bella prefazione firmata da Marino Sinibaldi.

(Inutile aggiungere che siete tutti invitati a rispondere alle domande del post).

Massimo Maugeri

Hanno scelto di raccontare le “Cronache di inizio millennio”:
Danilo Arona (23 settembre 2001) – Maria Silvia Avanzato (10 gennaio 2005) – Remo Bassini (16 marzo 2010) – Alessandro Berselli (1 agosto 2003) – Daniele Bonfanti (26 dicembre 2004) – Alessandro Cascio (25 giugno 2009) – Vincenzo Ciampi (14 febbraio 2004) – Fabio Ciriachi (10 aprile 2006) – Fabrizio Contardi (23 gennaio 2004) – Laura Costantini – Loredana Falcone (25 gennaio 2011) – Maurizio De Giovanni (30 gennaio 2002) – Francesco Dell’Olio (9 luglio 2006) - Francesco Di Domenico (21 maggio 2008) - Barbara Garlaschelli (22 luglio 2001) – Enrico Gregori (18 aprile 2002) – Maria Giovanna Luini (21 febbraio 2001) – Gordiano Lupi (11 giugno 2010) – Andrea Malabaila (10 settembre 2008) – Stefano Massaron (15 maggio 2011) – Massimo Maugeri (2 aprile 2005) – Francesca Mazzucato (2 febbraio 2008) – Paolo Melissi (estate 2003) – Enrico Miceli (10 luglio 2007) – Patrizia Mintz (6 aprile 2009) – Gianluca Morozzi (10 gennaio 2005) – Enrico Pandiani (11 settembre 2001) – Niccolo’ Pizzorno (2 maggio 2011) – Simonetta Santamaria (27 novembre 2010) – Pierpaolo Turitto (28 settembre 2003) – Floriana Tursi (28 gennaio 2011)

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LA PREFAZIONE DI MARINO SINIBALDI
Semmai i secoli nascessero innocenti, il nostro la sua purezza infantile l’ha persa subito e di colpo: due torri sbriciolate, “tremila persone vaporizzate” che aleggiano come una colpa o una maledizione non solo nei racconti di questo progetto che si misurano con l’anno fatale 2001 ma in tutti gli altri di questo originale diario di un decennio che fugge. Come in un diario vero e proprio, infatti, qui si ricordano momenti e luoghi sepolti nella memoria, si riscoprono eventi dimenticati, si rievocano emozioni lontane. E si finisce stupiti di fronte a coincidenze che non avremmo dovuto rimuovere: davvero il delitto di Novi Ligure –quel domestico ground zero di inspiegabile ferocia – anticipava di pochi mesi uno di ben altra scala? E abbiamo mai capito cose significasse quella sorta di replica farsesca che mandò a infrangere un Rockwell sul pacifico Pirellone? Sono le increspature e gli scarti della memoria, questa facoltà insonnolita che facciamo sempre più fatica a ridestare. Ma va detto subito che l’intelligenza della sfida e la qualità dei racconti che l’hanno raccolta hanno intanto questo merito: non lasciarci svicolare nel comodo rifugio dei “non ricordo”. Ognuno degli autori di questi racconti ha affrontato un momento e un anno, un evento e le figure che lo hanno animato o subito; e ce li scaglia contro, con precisione ed emozione, con rabbia, a volte, fino a lasciarceli definitivamente infissi nella memoria.
Che sensazioni ci restano, infine? Del trauma originario di questi anni si è già detto qui –e altrove anche troppo. E l’11 settembre del decennale ci sta già saturando con una implacabile macchina memoriale-spettacolare. Ma è come se quelle macerie fossero un segno distintivo dell’epoca, reiterato in luoghi e forme diverse ma tutte riconoscibili e dolorose, come le pietre mai più rialzate delle strade dell’Aquila, come “il largo solco simile a una trincea enorme” scavato da chi? E dove? Nei mari solcati da carrette omicide, nell’epicentro di qualche terremoto, nelle spiagge dello tsunami? (Tsunami, parola seminuova di un decennio che ne ha adottate molte, spesso cambiando senso: “il tuo profilo” non è una silhouette da evocare con nostalgia ma qualcosa da esibire nei social network). Come i rifiuti inamovibili di comunità urbane che sembrano aver consumato la loro parabola secolare. Come la macerie sempre meno metaforiche di una economia globale che appare preda di un delirio psichico, tecnicamente schizofrenica, prigioniera di un balletto simile a quello fantastico che intrecciano tra loro le tre lettere dell’austera sigla Fmi nella rivisitazione irriverente e salutare che non potrà che farvi amaramente sorridere. Sorridere appena, però. Perché non si può pensare al disastro finanziario e alle sue conseguenze infinite senza infinitamente ripetersi le verità urlate e ignorate nelle strade del G8 di Genova. Per questo il trauma originario del primo anno di vita del nostro secolo è così difficile da ignorare: non si manifestò solo nello spazio aereo di un mattino americano ma nelle lunghe, tragiche giornate (e notti) vigliaccamente insanguinate di una nostra amata città. (Solo così il 2001 è davvero l’anno fatale che è stato: se alla memoria globale e imperiale delle Torri Gemelle si affianca la nostra colpa –e magari la nostra giustizia).
Ma questi anni sembrano non emettere sentenze davvero definitive. Sono anni incerti, inconclusi. Come nel topos immortale della tragedia greca, in queste pagine troverete salme insepolte, cadaveri senza pace: provengono dal dramma enorme che preme sulle nostre coste ma anche, più banalmente, da una grottesca vicenda funerario-televisiva. Appaiono comunque il segno di qualcosa che non è finito ancora, non è definito, non può essere sistemato. Segna i nostri tempi come un buco, un vuoto (eccolo lì lo spazio mai colmato di Ground Zero che ritorna come un mantra visivo). E non genera mai sentimenti facili: di gioia ce n’è poca, quasi niente. Nessun autore, mi sembra, ha scelto uno di quegli eventi brillanti che regalano ricordi smaltati anche agli anni più oscuri. Persino i mondiali di calcio, persino la vittoria che a volte inaspettatamente ci arride non può essere goduta in santa pace. E’ destino che un intralcio, una grande o piccola maledizione lo impedisca.
E’ così, un po’ a brandelli e nelle forme diverse che la diversità degli autori coinvolti felicemente implica, che leggendo questi racconti un’idea degli anni alle nostre spalle si fa progressivamente largo. Sono anni difficili perfino da siglare: “anni zero” forse, non solo per pedanteria aritmetica ma perché un senso di azzeramento politico, economico, mentale sembra intimamente segnarli. Ma il numero nullo implica inevitabilmente qualcosa da costruire o ricostruire. Imprese assai difficile da immaginare, anche uscendo dal recinto di queste brevi narrazioni. Sembra piuttosto di intravedere la paradossale coda lunga di un secolo breve. “Fine secolo” , con una formula inventata da Adriano Sofri, si intitolava un’impresa editoriale che alla vigilia del decennio precedente (i terminali anni Novanta) giocava con l’idea che qualcosa –i rifiuti ideologici del Novecento, per esempio- stesse per abbandonarci. Mi è capitato di lavorare a quell’impresa e di portare in eredità quel titolo a una trasmissione radiofonica che Radio3 ospitò dal 1992. Altro che fine, però: mentre lo sguardo superficiale dei contemporanei sembrava fisso su ciò che stava terminando, ci capitò di incontrare eventi del tutto nuovi, e giganteschi: le migrazioni mondiali, per esempio, e la nuova, altrettanto globale, economia –e il tramonto dell’illusione energetica, e la fine del lavoro, e i nuovi fanatismi paranoici e parareligiosi eccetera eccetera. Gli anni sono così, scivolano uno dentro l’altro, confondono eredità e tradizioni, appaiono immobili e mutano catastroficamente. Sono difficili da fissare. Con punti di vista diversi gli autori di questi diversi racconti ci hanno provato. E sfidano noi lettori sollecitando la nostra facoltà più addormentata e quella più atrofizzata: la memoria e l’immaginazione.
Marino Sinibaldi

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LA MARSIGLIA DI JEAN-CLAUDE IZZO, incontro con Stefania Nardini http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/04/16/la-marsiglia-di-jean-claude-izzo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/04/16/la-marsiglia-di-jean-claude-izzo/#comments Fri, 16 Apr 2010 21:35:17 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=1932 Dieci anni fa – il 26 gennaio del 2000 – moriva Jean-Claude Izzo: noto scrittore e sceneggiatore francese.
Parlare di Izzo equivale – per certi versi – a parlare di Marsiglia, la sua città natale (dove vide la luce il 20 giugno 1945).

Ed è questo l’obiettivo della discussione che vi propongo: aprire una finestra su uno scrittore e sulla sua città (tutto il contrario di una città per turisti, perché la sua bellezza non si fotografa, si condivide). Lo spunto ce lo offre la nuova opera di Stefania Nardini, intitolata ”Jean Claude Izzo. Storia di un marsigliese” ed edita da Perdisa Pop nell’ambito della nuova collana diretta da Luigi Bernardi: Rumore Bianco.

Avremo senz’altro modo di discutere della trilogia che ha come protagonista il più noto personaggio letterario creato da Izzo: Fabio Montale (Casino totale, Chourmo, Solea); ma anche dei romanzi Marinai Perduti e Il sole dei morenti. “Cinque libri” – leggiamo nella scheda del saggio della Nardini – “che hanno conquistato migliaia di lettori in Francia e in molti paesi europei. Solo cinque libri perché Jean-Claude Izzo a 55 anni se ne è andato, lasciando un segno, non solo nella città a lui cara, Marsiglia, ma in tutti coloro che nei suoi testi hanno ritrovato sensazioni, emozioni, verità“.

Per narrare di Izzo, l’autrice di questo saggio ha trascorso un po’ di tempo a Marsiglia. Ecco cosa scrive nella nota finale al libro: “Andai a Marsiglia. Dovevo restarci due settimane. Ci sono rimasta quattro anni“. Ed è così che Marsiglia è diventata una delle “città elettive” di Stefania Nardini (l’altra è Napoli).

Alcune domande per favorire la discussione…

Conoscete Jean-Claude Izzo? Avete mai letto qualcosa di suo?

Qual è l’eredità principale che ha lasciato Izzo?

Che tipo di contributo ha dato, nell’ambito della narrativa europea e mondiale, la trilogia marsigliese che ha per protagonista Fabio Montale?

Avete mai avuto modo di visitare Marsiglia? Che ricordo ne conservate?

E quale città (diversa da quella dove siete nati) eleggereste a vostra “città elettiva”? E per quale ragione?

Vorrei approfittarne anche per invitare Luigi Bernardi a raccontarci del progetto editoriale Perdisa Pop (e delle varie collane che dirige).

Di seguito, la recensione firmata da Gordiano Lupi e l’articolo che Sandra Petrignani ha pubblicato sul quotidiano L’Unità.

Massimo Maugeri

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“JEAN CLAUDE IZZO. Storia di un marsigliese” di Stefania Nardini
Perdisapop – pp. 180 – Euro 14

recensione di Gordiano Lupi

Parte alla grande la nuova collana Rumore bianco diretta da Luigi Bernardi, ispirata al capolavoro di Don DeLillo e intenzionata a cercare uno squarcio di luce nel quotidiano. La grafica è a dir poco perfetta: libri agili, maneggevoli, belli da guardare, da sfogliare e da collezionare. Badate bene: non è un spot, non li so fare, è soltanto la prima cosa che viene in mente appena tocchiamo un volume. Caratteri di stampa ben leggibili, illustrazioni di Ivana Stoyanova che fanno respirare il testo, copertina – vivace ed elegante – che incoraggia l’acquisto. Un bel prodotto editoriale, non c’è che dire.
Il testo vibrante e partecipe di Stefania Nardini su Izzo e il suo rapporto con Marsiglia non poteva costituire miglior scelta per inaugurare la collana. A ogni pagina apprezziamo il legame intenso tra la scrittrice e la città francese, così come la narrativa di Izzo è inscindibile dalla realtà cittadina e non è possibile conoscere la sua opera se non si affondano le radici nel territorio dove ha vissuto. Stefania Nardini traduce molte poesie di Izzo e le utilizza per raccontare uno scrittore noto come autore della trilogia noir che vede protagonista l’ispettore Fabio Montale. Ci descrive un uomo nato in una città di frontiera, figlio di emigranti, immerso in una realtà meticcia e cosmopolita, ci fa capire che è impossibile raccontare Jean-Claude Izzo senza parlare di Marsiglia, una città consacrata dal mito, nata dall’incontro di un marinaio della Focide con la principessa ligure Gipsy, un’invenzione partorita da quell’incontro. Si vede che la Nardini ha amato Izzo, perché racconta la sua vita con passione e trasporto, narra di amori infelici, di solitudine estrema, del coraggio con cui è riuscito ad affrontare un male terribile. Il libro narra la passione politica di Izzo, il suo essere comunista e libertario, pacifista e sempre schierato dalla parte della povera gente, a fianco degli umili. Dove c’è rivolta c’è rabbia. Dove c’è rabbia c’è vita…, Izzo lo sa bene, si lascia travolgere dal maggio francese, dalla temperie sessantottina, dai movimenti di protesta e riesce a essere comunista, pure se il PCF – come il PCI – non vede di buon occhio chi passa tropo tempo sui libri. Alla lunga non potrà che arrivare la crisi tra Izzo e il partito, perché la sua intelligenza non può accettare verticismo e stalinismo. Resta un uomo libero, di sinistra, legato a ideali di libertà e democrazia, che fa il giornalista, un mestiere che considera umano e importante, perché ci si devono sporcare le mani con la realtà. Scrive una pièce teatrale su Angela Davis, ambasciatrice di un grido di dolore che veniva dalla terra della libertà, per mettere in primo piano il dramma dei neri e il problema razzista. Scrivere è il mio mestiere/ solitario con te morte solitaria nell’ignoto delle parole… scrive il poeta mentre vive la sua Marsiglia, ebbra di una povertà ancestrale, tutto il contrario di una città per turisti, perché la sua bellezza non si fotografa, si condivide. Per Izzo è importante l’atmosfera della città di confine, così come sono decisivi gli abitanti, individui portatori di sogni e cultura. La sua trilogia noir è il culmine di una grande opera che porta nei libri un intero mondo, una città con i suoi odori, il cibo, i profumi intensi, gli aromi che provengono dall’infanzia e i personaggi presi dal quotidiano. Sono cresciuto in mezzo all’odore del basilico come tutti i bambini del Sud… morirà in mezzo agli odori di un porto, malato di cancro ai polmoni, dopo una lunga lotta, scrivendo e soffrendo, perché scrivere era il suo mestiere.
Brava Stefania Nardini che ci fai capire cosa significa essere un vero scrittore. Izzo e Marsiglia: un binomio indissolubile che l’autrice comprende fino in fondo, perché si nota con chiarezza che anche tra lei e la città francese è nato un legame indissolubile.

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Jean-Claude Izzo e Marsiglia: misteri, allegria, disperazione
di Sandra Petrignani

Parigi non sarebbe quello che è se Simenon non l’avesse descritta come ha fatto nei suoi Maigret. Marsiglia, almeno la Marsiglia contemporanea, deve molto a uno scrittore dalla velocissima parabola e dalla scrittura ferma ed essenziale dei nostri giorni, oserei dire dei nostri giorni noir, Jean-Claude Izzo. Figlio di un nabo, un immigrato napoletano, mentre la madre era di famiglia spagnola, Izzo era dunque un rital, marsigliese figlio di immigrati, soprattutto era figlio del Panier, «il quartiere che spunta sulla collina e domina il porto, considerato un covo di ribelli… Un groviglio di vicoli in cui s’intrecciano storie, codici, misteri, allegria, disperazione». Così descrive la Marsiglia del 1945, data di nascita di Izzo, Stefania Nardini, giornalista culturale che viene dalla cronaca e che ha già fatto incursioni nel romanzo ( Matrioska e Gli scheletri di via Duomo, editi da Pironti). Jean-Claude Izzo. Storia di un marsigliese racconta un uomo e una città (quasi una doppia biografia) ed è in libreria il 7 di aprile, edito da Perdisa. Cinquantacinque anni – Izzo è morto nel 2000 per un cancro ai polmoni – pieni di storie, di amori, di ribellioni. Lo ricordo magrissimo e attraente a un convegno di scrittori in Provenza, già molto malato. Ricordo che mi colpì la sua serietà, un rigore che attraversava le sue parole, ma anche il suo modo di muoversi, di camminare. E ricordo l’aura che lo circondava, dovunque andasse era subito raggiunto da amici e fan, soprattutto giovani. Ora lo ritrovo nel racconto di Stefania Nardini con la sua parte d’ombra, di senso di colpa, di irresolutezza: un’umanità contorta e appassionata solo in parte riversata nel suo personaggio più famoso, il poliziotto Fabio Montale, protagonista della trilogia Casino totale, Chourmo, Solea (editi da e/o). Lo ritrovo giovane e innamorato della futura madre dell’unico figlio, Sébastien, che inizia con lei un percorso politico rigoroso, mentre scrive poesie non d’amore, ma sempre impegnate. Ha il mito di Rimbaud e nell’andare a Gibuti e ad Harar, a visitare la casa del poeta, scopre una realtà ancor più sconvolgente di quella miserabile degli operai e disoccupati di Marsiglia: la povertà totale, i lebbrosari. Sceglie una professione al servizio degli sfortunati, il giornalismo di denuncia. Politica, pacifismo, poesia. «E la poesia è nella strada come un senzatetto» dice un suo verso che potrebbe essere il suo manifesto. «Marsiglia non è una città per turisti». «Marsiglia, una verità alla luce del sole…». È sempre questa città a fare da sottofondo, a parte una parentesi parigina, alla sua narrativa come alla sua vita. Ma la narrativa arriva tardi e per caso. Un giorno pubblica un racconto di una ventina di pagine, Marseille, pour finir, su una rivista. Lo notano alla Gallimard e gli chiedono di farne un romanzo. Sarà Casino totale. Un inaspettato successo, l’inizio di una carriera di narratore (molto più interessante del poeta che credeva di essere) che non aveva programmato. Era il 1995. Aveva cinquant’anni: non era più iscritto al partito da tanto tempo, aveva macinato amori soffrendo della sua incapacità a essere fedele, lui così fedele ai suoi ideali, alla sua città. Cominciava una nuova avventura che lo avrebbe imposto anche fuori di Francia. Ma aveva poco tempo, pochissimo. Solo cinque anni per confermare un talento, che gli fu ampiamente riconosciuto da lettori e critica e che rimbalzò nelle trasposizioni cinematografiche e televisive. Nei suoi romanzi ritorna la sua esperienza personale, il suo impegno politico. Riflette in Solea: «L’attività criminale è strettamente associata, per l’opinione pubblica, al crollo dell’ordine pubblico. Vengono evidenziati i misfatti della piccola delinquenza, mentre il ruolo politico ed economico e l’influenza delle organizzazioni criminali internazionali restano invisibili». L’ultimo romanzo, Il sole dei morenti, parla di un clochard, un uomo che insieme all’amore ha perso tutto. Al funerale fu accompagnato dalla musica che preferiva, Aznavour, Ferré, Miles Davis. E «le sue ceneri furono gettate in mare», conclude Nardini. Il mare da cui era arrivato a Marsiglia suo padre, senza altra dote che la forza delle braccia.

7 aprile 2010
pubblicato sul quotidiano L’Unità (pag. 40) nella sezione “Culture”

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http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/04/16/la-marsiglia-di-jean-claude-izzo/feed/ 131
YOANI SÁNCHEZ e UNA TERRIBILE EREDITÁ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/01/07/yoani-sanchez-terribile-eredita/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/01/07/yoani-sanchez-terribile-eredita/#comments Thu, 07 Jan 2010 18:17:16 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/04/18/cuba-libre-vivere-e-scrivere-allavana-di-yoani-sanchez/ Rimetto in primo piano questo post dedicato alla blogger cubana Yoani Sánchez e – contestualmente – ne approfitto per presentare il nuovo romanzo di Gordiano Lupi (che è anche il traduttore del volume “Cuba libre” della Sánchez): “Una terribile eredità” (Perdisa Pop, 2009, p. 128, € 12).
Mi piacerebbe che Gordiano ci aggiornasse sulle condizioni di Yoani e che ci raccontasse qualcosa su questo suo nuovo libro (molti di voi ne avranno già sentito parlare… magari l’avranno anche letto). Anticipo che si tratta un romanzo a metà strada fra horror e reportage, che attinge a Cuba, ma anche alle inquietudini più profonde della natura umana.
La storia nasce nel cuore della guerra in Angola: i soldati cubani sono costretti a vivere un tormento assurdo e privo di logica, nel cuore di un’Africa selvaggia, tra mangiatori di scimmie, ritualità macabre e violenza efferata. Tra quei soldati c’è il protagonista del libro: un cittadino comune che si ritrova immerso in un incubo, mentre la moglie incinta lo aspetta a casa… all’Avana… insieme a un destino di follia. Un incubo che dura cinque anni, il suo (che tocca perfino l’esperienza del cannibalismo), e che si trasforma in un rinnovato incubo allorquando l’uomo torna a casa: la spersonalizzazione causata dalla guerra e le tragedie vissute, sommate alla crudeltà del regime, faranno di lui un disumano assassino.
Rimasto vedovo, l’uomo brancolerà tra le strade povere dell’Avana per dare la caccia alle vittime innocenti della sua mente devastata; eppure, paradossalmente, non verranno meno la sua sensibilità di base, l’amore per il figlio, il senso di colpa.
Una storia che si alterna tra macabro, follia, amore e morte in una terra che resta ancora da scoprire.

Questo libro di Gordiano offre vari spunti di riflessione. Uno di questi è quello della fragilità dell’uomo resa “estrema” di fronte alla guerra.
Per favorire un possibile dibattito, ho pensato di proporvi la seguente domanda: le devastazioni della guerra – a vostro avviso – agiscono più a livello collettivo o più a livello individuale? E con quali conseguenze?

Ne approfitto per evidenziare che “Una terribile eredità” è edito dalla piccola, ma prestigiosa, casa editrice Perdisa Pop nell’ambito della collana Walkie Talkie diretta da Luigi Bernardi. Il volume sarà presentato a ROMA, venerdì 15 gennaio 2010 – ore 16,30 – presso la SALA DEL CARROCCIO – CAMPIDOGLIO. Con Gordiano Lupi ci sarà Giovanni De Ficchy.

Vi ringrazio in anticipo per la partecipazione.
Segue il post originario dedicato a Yoani Sánchez.
Massimo Maugeri

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CUBA LIBRE. Vivere e scrivere all’Avana, di Yoani Sánchez
(18 aprile 2009)

Avevamo già avuto modo di parlare di Yoani Sánchez. Ne parliamo nuovamente in occasione dell’uscita in Italia del suo “CUBA LIBRE. Vivere e scrivere all’Avana“, appena edito da Rizzoli, collana 24/7 (p. 237, euro 17), e tradotto e curato da Gordiano Lupi.
Yoani Sánchez è un strana dissidente – leggiamo nella scheda del volume – : non denuncia, non attacca, non contesta. Semplicemente racconta nel suo blog cosa significa vivere oggi nel regime comunista di Cuba.
Il suo blog è stato oscurato, ma – nonostante tutto – è riuscito a sopravvivere all’estero grazie a Internet. “Per noi che viviamo in questa Isola, nella quale per molti anni l’informazione è stata monopolio esclusivo dello Stato, Internet ha prodotto una crepa nel muro della censura che sembra molto difficile da chiudere“, racconta Yoani. “Anche se Cuba ha uno degli indici di connessione più bassi del pianeta, le persone cercano il modo di accedere alle notizie che compaiono in rete. Come abbiamo un mercato nero per gli alimenti, che ci fornisce tutto ciò che non possiamo comprare nel mercato razionato o nel mercato in pesos convertibili, così esiste un rifornimento illegale e alternativo di informazione. Con la creatività che ci caratterizza abbiamo imparato a distribuire le pagine web su memory flash e in dischi a centinaia di persone interessate, che non sono mai potute entrare su Internet. Con questo identico sistema circolano il mio blog e altri siti che si producono sull’isola, oltre ad altri siti web che vengono amministrati all’estero“.
Il blog di Yoani ha fatto il giro del mondo. E questa coraggiosa ragazza, che ha pure un figlio da crescere, continua la sua battaglia pacifica raccontando ciò che vede… ciò che vive.

Mi piacerebbe discutere con voi del caso di Yoani Sánchez, del suo blog e di questo libro. Ma anche di come Internet abbia “rivoluzionato” la possibilità di essere dissidenti in contesti di altissima censura.

Parteciperà alla discussione Gordiano Lupi, che è il traduttore italiano di Yoani (oltre che un esperto sulla realtà cubana).

Renzo Montagnoli mi darà una mano a moderare e animare la discussione.

Di seguito troverete la scheda del libro, un articolo di Gordiano Lupi e un’intervista rilasciata dalla Sánchez.

Massimo Maugeri
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CUBA LIBRE. Vivere e scrivere all’Avana – Rizzoli – p. 237 – euro 17 – traduz. Gordiano Lupi

La scheda del libro

Yoani Sánchez è un strana dissidente: non denuncia, non attacca, non contesta. Semplicemente racconta nel suo blog cosa significa vivere oggi nel regime comunista di Cuba: la difficoltà di fare la spesa e la fame cronica, l’arte di ripararsi gli elettrodomestici guasti, la lotta per leggere le vere notizie tra le righe del giornale di partito, la paura del ricovero in ospedale dove manca anche il necessario per sterilizzare, la convivenza forzata con la propaganda che si insinua nei media, nelle piazze e nelle scuole, il panico quando arrivano le convocazioni della polizia, la preoccupazione per gli amici in carcere, la nostalgia per i tanti che sono fuggiti e la delusione per tutti quelli che hanno smesso di credere al futuro. Ma soprattutto sfata il falso mito dell’efficienza castrista e descrive, tra tenerezza e rabbia, la frustrazione per le potenzialità inespresse e i sogni perduti di chi, come lei, è nato nella Cuba degli anni Settanta e Ottanta e si ritrova rinchiuso in un’utopia che non gli appartiene. Di questa generazione Yoani è diventata l’inconsapevole portavoce, e il suo blog, che ha fatto il giro del mondo è ora un libro.

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La vita di Yoani
di Gordiano Lupi

Yoani è laureata in filologia, vive all’Avana, è appassionata di informatica e lavora nella redazione telematica della rivista indipendente Desde Cuba. Il suo blog fa discutere perché racconta le frustrazioni quotidiane e le ordinarie mancanze di una Cuba al di là delle ideologie. L’autrice definisce Generación Y come “un blog ispirato a gente come me, con nomi che cominciano o contengono una y greca. Nati nella Cuba degli anni Settanta – Ottanta, segnati dalle scuole al campo, dalle bambole russe, dalle uscite illegali e dalla frustrazione”.
Yoani nasce a Cuba nel 1975. Nel 1995 si specializza in letteratura spagnola, filologia ispanica e letteratura latinoamericana contemporanea, nonostante la nascita di un figlio. Dimostra un caratterino niente male discutendo una tesi incendiaria dal titolo Parole sotto pressione. Uno studio sulla letteratura della dittatura in Latinoamerica. Terminata l’università, comprende che il mondo degli intellettuali e dell’alta cultura non è cosa per lei, ma soprattutto non ha la minima intenzione di fare la filologa. Nel 2000 si impiega presso la Editorial Gente Nueva e comprende che con il salario di Stato non può mantenere una famiglia. Decide di continuare il lavoro statale ma si mette dare lezioni (illegali) di spagnolo ai turisti tedeschi che visitano L’Avana. Non è la sola. Molti ingegneri preferiscono guidare un taxi che fare il loro mestiere, alcune maestre tentano di impiegarsi negli alberghi e nei negozi per turisti puoi essere servito da un neurochirurgo o da un fisico nucleare. Nel 2002 Yoani decide di emigrare in Svizzera, ma dopo due anni torna in patria, forse per la nostalgia della sua terra, anche se amici e familiari sconsigliano il rientro. Nel 2004 fonda, insieme a un gruppo di cubani che vivono sull’isola, la rivista di cultura e dibattito Consenso. Tre anni dopo lavora come webmaster e giornalista del portale Desde Cuba. Yoani vive all’Avana insieme al giornalista Reinaldo Escobar e con lui divide la sua esistenza da oltre quindici anni. Può dirsi più informatica che filologa, ma la sua cultura letteraria è molto utile nel 2007, quando comincia l’avventura del Blog Generacion Y, definito come “un esercizio di codardia”, perché è uno spazio telematico dove può raccontare la sua realtà e dire ciò che è vietato sostenere nella vita di tutti i giorni.
I suoi brevi racconti sono dei bozzetti a metà strada tra la metafora e il realismo più crudo, immersi nella vita quotidiana delle due anime di Cuba, ricchi di riferimenti a scrittori del passato dimenticati dalla cultura ufficiale, come Padilla, Cabrera Infante, Arenas e Lima. Yoani sogna una Cuba trasformata in un luogo dove ci si possa fermare a un angolo e gridare: “In questo paese non c’è libertà di espressione!”. Perché vorrebbe dire che le cose sono cambiate e si può cominciare a pronunciare la parola libertà. Si dichiara disponibile a scambiare gli alimenti somministrati con la tessera del razionamento alimentare per una cucchiaiata di diritti civili, una libbra di libertà di movimento e due once di libera iniziativa economica. Percorre le strade di due città diverse, quella dei membri del partito, dei generali, dei dirigenti di Stato e quella della povera gente che vive nella desolazione dei quartieri periferici, nelle casupole cadenti e nei rifugi costruiti per i senza tetto. Vive un’utopia che non è più la sua e non vorrebbe lasciarla in dote ai suoi figli, analizza le contraddizioni di chi fatica a mettere insieme il pranzo con la cena ma sogna vestiti di marca e profumi. Assiste alle fughe di personaggi famosi e di semplici cittadini esasperati, critica il governo per le promesse disattese, ricorda il passato e analizza lo stato deplorevole della cultura di regime. Yoani si scaglia contro il doppio sistema monetario e narra la realtà del mercato nero, unica fonte di sostentamento, perché la maggioranza dei cubani vive di ciò che i venditori informali portano nelle loro case. L’informazione di regime è un altro bersaglio da colpire, perché non è vero che tutto è sotto controllo e che i problemi vengono sempre superati da una rivoluzione solida e forte. Il libro – blog di Yoani Sánchez è uno spaccato di vita che rappresenta con realismo la Cuba contemporanea, lontano da condizionamenti ideologici, ma dalla parte del cittadino che giorno dopo giorno è costretto a inventare il modo per sopravvivere.
Yoani Sánchez è un’eroina della nuova Cuba, esponente di una generazione Y che può dar vita a un nuovo esercito ribelle del cyberspazio, zona franca sicura e inaccessibile che può trasformarsi in una nuova Sierra Maestra. La guerra delle idee può dare buoni frutti, perché i dittatori temono chi pensa con la propria testa e non possono rinchiudere le idee in una galera.

Gordiano Lupi
 www.infol.it/lupi
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INCONTRO CON YOANI SÁNCHEZ

Una piccola blogger che mette in crisi i fratelli Castro

di Gordiano Lupi

con la collaborazione di Fabio Izzo

Yoani Sánchez rischia di far tremare il trono dei fratelli Castro, perché questa ragazza di appena 33 anni (l’età di Cristo, che pericolosa analogia!) lancia critiche ironiche e veritiere da un blog molto frequentato come Generacion Y. Yoani è laureata in filologia, vive all’Avana, è appassionata di informatica e lavora nella redazione telematica del portale Desde Cuba  http://www.desdecuba.com/), rivista indipendente ostacolata dal regime.  Il suo blog  www.desdecuba.com) – adesso tradotto pure in italiano  http://desdecuba.com/generaciony_it/) – fa discutere perché è controcorrente. Si autodefinisce “un blog ispirato a gente come me, con nomi che cominciano o contengono una y greca. Nati nella Cuba  degli anni Settanta – Ottanta, segnati dalle scuole al campo, dalle bambole russe, dalle uscite illegali e dalla frustrazione”.

yoani-y-reinaldo.jpgYoani nasce a Cuba nel 1975. Si specializza in letteratura spagnola, filologia ispanica e letteratura latinoamericana contemporanea, nel 1995, nonostante un figlio nato nello stesso anno. Dimostra un caratterino niente male discutendo una tesi incendiaria dal titolo Parole sotto pressione. Uno studio sulla letteratura della dittatura in Latinoamerica. Yoani termina l’università, comprende che il mondo degli intellettuali e dell’alta cultura non fa per lei, ma soprattutto non ha la minima intenzione di fare la filologa. Nel 2000 si impiega presso la Editorial Gente Nueva e si convince – come la maggior parte dei cubani – che con il salario di Stato non può mantenere una famiglia. Decide di continuare il lavoro statale ma comincia a dare lezioni (illegali) di spagnolo ai turisti tedeschi che visitano L’Avana. In quel periodo (come ancora oggi!) molti ingeneri preferiscono guidare un taxi che fare il loro mestiere, alcune maestre tentano di impiegarsi negli alberghi, e nei negozi per turisti ti può servire un neurochirurgo o un fisico nucleare.

Nel 2002 Yoani decide di emigrare in Svizzera, ma nel 2004 torna in patria, forse per la nostalgia della sua terra, anche se amici e familiari sconsigliano il rientro. Scopre la professione di informatica, lavoro che fa ancora oggi, si rende conto che il codice binario è più trasparente di quello intellettuale e spera di avere maggior fortuna con il linguaggio html di quanta ne ha avuta con il latino. Nel 2004 fonda insieme a un gruppo di cubani che vivono sull’isola la rivista di cultura e dibattito Consenso. Tre anni dopo lavora come webmaster, articolista e editorialista del portale Desde Cuba. Nell’aprile del 2007 comincia l’avventura del Blog Generacion Y, definito come “un esercizio di codardia”,  perché è uno spazio telematico dove può dire quello che è vietato sostenere nella vita di tutti i giorni. Yoani vive all’Avana insieme al giornalista Reinaldo Escobar, con il quale divide la sua vita da quindici anni, e adesso può dirsi più informatica che filologa.

Yoani è un’eroina della nuova Cuba, esponente di una generazione Y che può dar vita a un nuovo esercito ribelle del cyberspazio, senza bisogno di nascondersi tra le montagne della Sierra Maestra. La guerra delle idee può dare buoni frutti, perché i dittatori temono chi pensa con la propria testa e poi non possono rinchiudere le idee in una galera.

Abbiamo avvicinato Yoani Sánchez per sentire dalla sua voce alcune impressioni sull’attuale situazione di Cuba e sulle prospettive future.

Nel mondo esiste ancora la censura e la libertà di stampa non è un diritto acquisito. Tu hai la tua libertà su internet ma l’hai pagata a caro prezzo. Sappiamo che il tuo blog vive all’estero. Non puoi vederlo quando scrivi ma continui ad aggiornarlo. Come vivi questa condizione di blogger cieca?

yoani.JPGDall’ultima settimana di marzo 2008, il governo cubano ha inserito un filtro che impedisce l’accesso a tutto il portale Desdecuba – dove è inserito il mio blog – dalle connessioni a internet nei cyber caffè, dagli hotel, dai centri di studio e dalla maggior parte dei centri di lavoro. Quando è accaduto questo ho pensato che sarebbe stata la fine del mio sito e che non mi sarei ripresa dal colpo di non poter amministrare Generación Y. Tuttavia, attorno al mio blog si era prodotta una vera comunità virtuale ed è proprio da quella che è nata l’idea di aiutarmi a pubblicare ogni nuovo testo.

Grazie alla solidarietà cittadina di persone che vivono in diversi paesi, posso inviare i miei post per e-mail e loro si occupano di pubblicarli nella pagina web. Al tempo stesso sono usciti fuori molti amici virtuali che traducono in quattordici lingue ciò che scrivo e altri mi inviano, tramite posta elettronica, i commenti che lasciano i lettori. In questo modo Generación Y è diventato una rete cittadina nella quale ognuno di noi ha una piccola responsabilità e ci unisce il desiderio di espressione, la necessità di dibattito e un certo tema chiamato Cuba. Nel mio blog non cala mai il sole, perché durante le ventiquattro ore del giorno c’è sempre gente che discute e il fatto di essere censurato a Cuba lo ha reso ogni volta più attraente per i miei compatrioti.

Internet è uno strumento per la libertà di pensiero?

Per noi che viviamo in questa Isola, nella quale per molti anni l’informazione è stata monopolio esclusivo dello Stato, Internet ha prodotto una crepa nel muro della censura che sembra molto difficile da chiudere. Anche se Cuba ha uno degli indici di connessione più bassi del pianeta, le persone cercano il modo di accedere alle notizie che compaiono in rete. Come abbiamo un mercato nero per gli alimenti, che ci fornisce tutto ciò che non possiamo comprare nel mercato razionato o nel mercato in pesos convertibili, così esiste un rifornimento illegale e alternativo di informazione.

Con la creatività che ci caratterizza abbiamo imparato a distribuire le pagine web su memory flash e in dischi a centinaia di persone interessate, che non sono mai potute entrare su Internet. Con questo identico sistema circolano il mio blog e altri siti che si producono sull’isola, oltre ad altri siti web che vengono amministrati all’estero.

Raúl e Obama sono i leader del presente. La storia può cambiare senza Fidel e Bush? Abbiamo qualche speranza?

Sono d’accordo che Obama è un leader del presente, ma Raúl Castro per me rappresenta il passato. Si tratta di un uomo che ha ereditato il potere per diritto di sangue e sta tentando di mantenerlo senza compiere cambiamenti significativi. Mi rattrista che i cubani abbiano riposto le loro speranze in ciò che può fare il presidente nordamericano, nella influenza che la sua gestione possa avere a Cuba. Questo significa che la gente qui si rende conto che dall’interno non è possibile provocare cambiamenti. Avrei preferito che la speranza venisse riposta in ciò che possiamo fare dall’interno dell’Isola, ma purtroppo la società civile cubana è eccessivamente frammentata e censurata per aver la forza di abbattere il muro.

A Cuba non possono leggere il tuo blog, ma tu parli di Cuba al mondo. Secondo te com’è il mondo?

Anche se sono nata e ho vissuto in un’Isola, sento di appartenere a una  nazionalità più ampia che mi fa essere abitante di questo pianeta. Cerco di mantenermi informata su ciò che accade in ogni parte del mondo. Grazie ai giornali che mi portano amici che vengono a Cuba, riesco a tenermi aggiornata su quel che succede. Anche quando mi collego a Internet cerco di copiare pagine informative e le distribuisco a decine di amici. Questo è un lavoro importante, perché a volte noi cubani ci sentiamo l’ombelico del mondo e ciò è dovuto – in parte – all’ignoranza di come sono gli altri paesi e le altre culture.

Grazie a Internet il mondo si è trasformato in un villaggio che possiamo visitare senza alzarci dalla sedia. Nonostante questo ho molto desiderio di poter uscire dal mio paese e arricchirmi con altre esperienze. Il periodo che ho vissuto in Svizzera è stato uno dei più intensi di tutta la mia vita, perché ho potuto interagire con persone di molti paesi. Noi cubani avremmo molto bisogno di questo incontro di diverse culture, lingue e religioni per alimentare e beneficiare la nostra stessa identità.

Non ti hanno lasciata venire in Italia per il Pisa Book Festival. Il regime cubano vuole mantenere cieca la tua scrittura. Il tuo blog – tradotto da Gordiano Lupi – in Italia ha sempre più lettori. Quale idea ti sei fatta della situazione italiana?

So che in Italia molte persone applaudono ogni azione che compie il governo cubano. Per loro questa Isola è un paradiso dove regna l’eguaglianza e la speranza. Mi spiace deluderli, ma non è così. Credo che persino molti di coloro che pensano che noi cubani abitiamo nel miglior sistema possibile, non sopporterebbero due settimane di code, mercato razionato e proibizioni. Il grande problema è che molti di coloro che sostengono l’attuale situazione cubana, vengono qui solo come turisti e da un hotel sembra tutto molto gradevole. Raccomando loro di fermarsi a vivere come un cubano, con la moneta nazionale che non serve per comprare la maggior parte delle cose necessarie, il trasporto collassato e i periodici che non rispecchiano la realtà. Forse dopo una terapia come questa comincerebbero a pensare in un altro modo.

Com’è cambiata la tua vita dopo aver acquistato notorietà?

Per un verso è cambiata molto ma per altri aspetti continuo a essere più o meno la stessa. Ora mi sento più responsabile delle cose che dico, perché so che il mio blog è letto da centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo. Ho sempre meno tempo durante la giornata, perché molte persone vogliono intervistarmi o filmare qualcosa sul mio lavoro. Tuttavia, ho cercato di mantenere la mia famiglia al riparo da tutte queste agitazioni della stampa e di continuare a dedicare alla mia casa, a mio marito e a mio figlio il tempo necessario per conservare l’affetto. Molte persone mi riconoscono per strada e mi salutano, ma i mezzi informativi ufficiali del mio paese tacciono sulla mia persona. Continuo  a vivere nella stessa casa, non ho un’auto, il mio ascensore è rotto da tre mesi, non ho dei collaboratori che mi aiutano a rispondere alle migliaia di mail che ricevo ogni settimana, né posso uscire dal mio paese. Continuo a essere una cittadina e questo mi rallegra.

Come ti piacerebbe il futuro di Cuba? Hai un’idea politica?

Quello che mi piacerebbe di più per la mia Isola è che un giorno potesse riunire tutti i cubani, senza segregazioni di carattere politico o ideologico. Una Cuba pluralista e tollerante, nella quale i miei nipoti non vengano classificati con epiteti come “vermi” solo per il fatto di avere opinion critiche. Questo è il mio sogno. Bada bene, questo agognato paese non è dietro l’angolo, dovremo lavorare molto per ottenerlo. Il disastro economico, l’apatia generalizzata, l’emigrazione costante e la sfiducia che esiste in ogni membro di questa società, sono molto difficili da superare. Ci attendono anni molto duri e per uscirne fuori dovremo tornare a sentire che l’Isola ci appartiene e che non è un feudo di poche persone chiamate a decidere tutto per noi. Io cercherò di svolgere il mio ruolo dalla società civile, non da una tribuna.

A Cuba esiste un movimento di opinione per il cambiamento?

Mi piacerebbe pensare di sì, ma ancora la gente sta molto attenta a dire in pubblico ciò che pensa realmente sulla situazione politica, economica e sociale. Nella intimità delle case e tra amici, si ascoltano voci di cambiamento, desideri che lo status quo in cui viviamo lasci il posto a una società più partecipativa. Sebbene a Cuba il risveglio della società civile proceda lentamente, posso assicurare che negli ultimi due anni ha fatto passi più lunghi che nelle trascorse decadi. L’assenza di Fidel Castro ha significato la fine di un’ipnosi collettiva realizzata dalla sua figura. Dal giorno in cui codesto grande ipnotizzatore non ha più potuto prendere il microfono e fare un discorso di tre ore, la gente ha cominciato lentamente a risvegliarsi e a parlare.

Ci sono molti giovani blogger cubani. Questo fenomeno può portare qualcosa di positivo?

La blogosfera prodotta dall’interno dell’Isola è ancora a uno stadio embrionale. Cospirano contro la sua crescita sia la difficoltà di accesso a internet che il timore di esprimere opinioni. Nonostante tutto, negli ultimi mesi abbiamo visto nascere nuovi siti e – cosa più sorprendente – i loro autori non si nascondono più sotto uno pseudonimo. Non credo che la blogosfera possa fare da sola ciò che dovrebbe essere compito di tutta la società: riscattare il diritto alla libera espressione. Questo fenomeno virtuale deve essere accompagnato anche dal lavoro dei giornalisti indipendenti, degli intellettuali, che con la loro opera mostrino la realtà senza il trionfalismo che caratterizza i periodici ufficiali, e dei cittadini che abbiano il coraggio di indicare a voce alta le cose che non vanno. Se la necessità di esprimere opinioni non è sentita da tutti, la blogosfera cubana non può cambiare da sola l’atmosfera di censura imposta durante questi cinquanta anni.

Una domanda letteraria. Il tuo blog è molto interessante e presto diventerà un libro. Non pensi di scrivere romanzi, racconti o poesie sulla Cuba di oggi?

Il vortice che rappresenta il mio blog mi assorbe molte energie e tempo, tuttavia trovo sempre un momento di pace per scrivere racconti o intraprendere progetti letterari di maggior importanza. Sinceramente, dico che scrivere per la rete è un’esperienza incredibile e credo che poco a poco la cyber letteratura si imporrà anche nei gusti dei lettori. Mi piacciono quelle pennellate impressioniste, molto brevi, che posso pubblicare su Generación Y.

Cosa credi che succederà il giorno che morirà Fidel Castro?

Se mi avessero fatto questa domanda tre anni fa, avrei detto che sarebbe cambiato tutto. Malgrado ciò, nel tempo trascorso da quel 31 luglio 2006 – quando è stata annunciata la malattia di Fidel Castro – fino a oggi, il governo cubano si è dato da fare per preparare i cittadini alla notizia della sua morte. Abbiamo visto spegnersi la figura dell’“invincibile” Comandante in capo, come in uno di quei film dove il protagonista si allontana per un lungo cammino fino a perdersi dalla nostra vista. In questo periodo sono in molti a pensare che sia già morto e che ha perso molta importanza nella vita politica del paese. Nonostante tutto, alla scomparsa del simbolo che rappresenta la sua persona, moti cubani penseranno che è terminata un’intera epoca.

Alcuni si sentiranno alleviati e forse le vendite di rum andranno alle stelle in tutta Cuba, mentre altri piangeranno in pubblico e davanti alle telecamere. Entrerà nel nostro passato e un giorno quando i miei nipoti mi sentiranno parlare di Fidel Castro, non sapranno se si trattava di un politico, di una stella della musica tradizionale o di un giocatore di baseball. Quel giorno, sentirò che finalmente avremo superato il suo enorme peso verde olivo sulle nostre vite.

In attesa di quel giorno continuiamo a seguire il blog di Yoani Sánchez e i suoi commenti ironici, graffianti, malinconici, ma soprattutto critici e calati nella realtà quotidiana. Il vero volto della nuova Cuba si può trovare soltanto tra le pagine telematiche di una Generación Y che è destinata a dare soltanto buoni frutti.

Gordiano Lupi

www.infol.it/lupi

con la collaborazione di Fabio Izzo

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AGGIORNAMENTO DEL 20 APRILE 2009

Aggiorno il post segnalando il sito 24/7 della Rizzoli che ha linkato il nostro dibattito.
Di seguito troverete la scansione a un paio di articoli pubblicati nei giorni scorsi sul quotidiano Repubblica.
Massimo Maugeri

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http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/01/07/yoani-sanchez-terribile-eredita/feed/ 251
L’INADEMPIENZA (e PAGANO) di Gianfranco Franchi http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/10/20/pagano-di-gianfranco-franchi/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/10/20/pagano-di-gianfranco-franchi/#comments Mon, 20 Oct 2008 16:30:18 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/09/12/pagano-di-gianfranco-franchi/ Conosco Gianfranco Franchi dai tempi di “Pagano” (edizioni “Il Foglio”).
Gianfranco è un intellettuale di quelli che ci crede davvero. Di quelli disposti a mettere in gioco la propria vita per seguire il sacro fuoco della letteratura.
È appena uscita, sempre per le edizioni Il Foglio, una sua silloge di poesie.
Si intitola “L’inadempienza” ed è il suo libro primo e ultimo di poesia: 12 anni di versi; un atto postumo compiuto in vita.
Ne parliamo qui con i contributi di Marco Fressura, Patrick Karlsen, Nicola Vacca e Angela Migliore.
Invito Gianfranco qui a Letteratitudine per discutere di questa sua nuova fatica letteraria.
In coda al post anche troverete i riferimenti a “Pagano”.
Massimo Maugeri

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Gianfranco Franchi, “L’inadempienza”, Edizioni Il Foglio, Piombino 2008. Pag. 280.

Vivere in cerca di orientamento;
altrimenti sprofondare
nel non senso.
Che non ho.
Io non è.
Niente.

(GF)

«Gianfranco Franchi nasce poeta e tuttavia qui, nell’Inadempienza, come scrittore di poesie volontariamente muore. Il lettore infatti è davanti a una raccolta che si prefigge di risultare conclusiva. Quasi un atto postumo compiuto in vita. Eppure Franchi è nato, è, e malgrado lui stesso continuerà a essere poeta, perché ha sempre inteso la letteratura come ricerca, frastagliata e coerente a un tempo, rivolta all’interiore e all’esteriore, e come luogo di massima adesione alla vita. (…) Non c’è personaggio della modernità letteraria italiana che assomigli al triestino Franchi più del triestinissimo Slataper (…) Ma Slataper non è la sola suggestione delle origini che è possibile captare nel testo, se è vero che prima o poi dovremo pur affrontare la questione dell’espressionismo della lirica franchiana — ciò che non può fare a meno di rimandare più che al “solito” Campana alla visionaria vena di Srečko Kosovel: lo sloveno del Carso che è stato uno dei grandi cantori della novecentesca autodistruzione europea, prima che la sua voce così immaginifica si spegnesse ancora giovanissima». (Marco Fressura e Patrick Karlsen)

«Gianfranco Franchi è uno scrittore guerriero che non rinuncia a impugnare la parola come un’arma e ad usarla per pugnalare il proprio tempo. (…) La morte della bellezza è il segno devastante della decadenza che avanza. Davanti a questa triste realtà il poeta chiede aiuto anche alla dimensione spirituale del silenzio. Dalla interrogazione sublime del silenzio nascono i versi migliori di Franchi. Siamo davanti a un meraviglioso alfabeto di emozioni e sensazioni che sanno catalogare il disordine nel quale l’uomo è miseramente piombato. Franchi con la sua poesia non ha la pretesa di curare le ferite sanguinanti del pianeta Terra, ma consapevolmente invoca il sentire acceso della parola poetica, necessità interiore che ci fa pensare solo per un attimo “di sfiorare la vita”. Nel tempo incolore e freddo, nei campi inariditi di questa terra desolata, la poesia è un punto di vita dal quale bisogna sporgersi per guardare l’Inferno» (Nicola Vacca).

«Come rughe. A increspare sorrisi e pianti silenti, consumatisi in dieci anni di versi. “Anni di buio, di scrittura scontrosa, disperato studio”. Anni di notti-rifugio, di ombra, e fuoco e sogni. Simbiosi di carta e pelle, di cui L’Inadempienza costituisce sigillo. Perché questa raccolta è nodo che vincola Franchi alla menzogna della poesia. È il moderno “Canzoniere” di chi si riconosce “uomo d’ideale, cavaliere d’arte e d’amore” e dolorosamente conscio, intorpidisce le chiare, fresche e dolci acque di petrarchesca memoria, per sprofondare nel gorgo della propria “miseria di carne e spirito”. (…) “Domani non esiste”, domani non è. Piuttosto prevale il desiderio di regressione, a quel prima indefinito, quando “innocenza era sgomento”, quando ancora non si era valicato il confine. Perché la “giovinezza corrompe, deruba la poesia” e “si schianta l’ideale, defraudato”. Allora la preghiera è un sonno che difenda dal domani, distolga dalla coscienza e abbandoni all’amore. Mentre l’imperativo è “resistere, resistere: nel nome di utopia”». (Angela Migliore).

«Ecco il prezzo da pagare: nel cuore del labirinto c’è un segreto per rovesciare il sole e il suo canto è Babilonia. Colui che cerca la parola prima – la droga più infame – non sa ancora pronunciare quel nome: equazione irrisolta, costellazione caduta, cigno nero, moglie, madre e dea. Amichevoli suicidi? Magari sognando in alta definizione se una radio spenta, avamposto del nulla, infiamma la notte del mondo, il tramonto della notte (misteriosa inadempienza), la notte che non torna perché nessun Dio resiste. È tempo di incantare l’Ade aspettando l’ultima battaglia dell’angelo e dell’assassino: presto tutto potrà tacere. E mentre sorrido ricordo la mia storia». (Stefano Scalich).

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Post del 12 settembre 2007

Vi segnalo un libro che ha tutta l’aria di essere di… interesse. Un libro forte, polemico, capace di suscitare dibattiti. Si tratta di Pagano, nuova opera letteraria di Gianfranco Franchi (Il Foglio, 2007, pag. 150, euro 10).

Vi propongo, di seguito, un estratto della recensione della mia “dirimpettaia” Francesca Mazzucato e la prefazione di Gordiano Lupi .

Massimo Maugeri

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“Antiromanzo, certo, ma anche summa di tutta la letteratura passata e anticipazione visionaria di quella che verrà, nel suo sotteso scoramento raccontato con uno stile superbo, Pagano ci scuote dal nostro piccolo torpore polveroso, e ci scuote con uno schiaffo. Anzi. Con una serie di schiaffi e di accerchiamenti. È bellissimo ed è anche terribile, è il nostro tempo precario appeso a un filo già mezzo tagliato rivisto attraverso il caleidoscopio non consolatorio di un letterato che ha fatto sue le considerazioni di Samuel Beckett sul fallire e sulle rovine. (…) Questo è un romanzo che solo un miope, un prevenuto, un corporativo consorte di qualche potentato d’accatto non può non riconoscere come fondamentale. A che cosa, a quale tempo (e a quale ritmo) può essere solo il lettore a dirlo, come sempre, quando si parla di letteratura, come sempre quando un libro ha iniziato il suo viaggio (o meglio il suo camminare sul filo, il suo volo obliquo, il suo arrancare, il suo pellegrinaggio, o anche messa a nudo, apoteosi, preghiera laica, esaltazione, via crucis di soste e attese, telematiche risoluzioni e presidi di amici, di estimatori silenziosi e attoniti, esattori di rimasugli incancreniti dei frantumi passati, detrattori ammutoliti, sudori, pacche sulle spalle, mani che agganciano, sudore, sangue e altra scrittura, subito, tutto in agguato). Licenziate (pre)giudizi e conformità alle scenografie del banale e tenete caro questo libro dopo, come vi ho suggerito, almeno una seconda lettura”. (Francesca Mazzucato).

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Una Vita agra contemporanea

Conosco Gianfranco Franchi dai tempi in cui dirigeva le riviste universitarie Ouverture e Der Wunderwagen, ho collaborato con le sue creature e con il portale culturale Lankelot che ospita stimolanti interventi critici. Tra me e lui ci sono ben diciotto anni, ma nonostante questo gap generazionale abbiamo tante idee e progetti in comune. Sarà perché chi lotta per produrre opere letterarie che vogliono scuotere le coscienze trasmette sulla stessa lunghezza d’onda e quindi è facile entrare in sintonia. Franchi ha già pubblicato con Il Foglio l’interessante Disorder, una raccolta di racconti che denuncia l’appiattimento della vita quotidiana. Adesso è la volta di Pagano, antiromanzo esistenziale che racconta il disagio giovanile nella società contemporanea. Pagano è un testo che non può essere incasellato in un genere letterario, ma è un lavoro importante, irrinunciabile per chi ha deciso di pensare con la propria testa. Franchi guarda fuori dal vetro dei suoi giorni e trova pensieri bruciacchiati, scrive come suonerebbe un piano, è un’isola che non si lascia popolare, legge opere importanti, ascolta musica che fa ragionare e odia la televisione. Franchi ha trent’anni e nessuna certezza, scrive libri e si schiera con i deboli, fonda riviste e case editrici, lancia accuse e si sbatte per comunicare idee forti. Ha una sola certezza, quella che da un po’ di tempo a questa parte non si vuole più ammazzare. Franchi ci racconta i fatti suoi, ma lo fa con grande eleganza e con superbo stile letterario, soprattutto si comprende che i fatti suoi sono comuni a una generazione nata dalla crema dei sessantottini che ha cancellato i diritti dei lavoratori a vantaggio dei padroni. Franchi costruisce un testo politico che non è schierato con nessun partito, ma rappresenta un manifesto anarchico di grande spessore. La sua alternativa al vuoto che ci circonda è chiamarsi fuori, restare laterali e dilettanti, studiare, scrivere e combattere, anche se la sconfitta è l’unico risultato possibile. Pagano ricorda La vita agra di Luciano Bianciardi, attualizzata ai nostri giorni, in chiave antiberlusconiana, anticapitalistica e anticomunista. Franchi è uno degli ultimi samurai che pretende la rivoluzione degli intellettuali, guarda avanti e non si piega al conformismo, non si fa comprare e non scende a compromessi, cerca di sopravvivere al suo destino. Franchi è uomo di destra, ma di una destra sociale che non esiste più, si ispira a Evola più che alle costruzioni partitiche e non crede a un surrogato di democrazia capitalistica. Mi sono sempre detto uomo di sinistra, ma confesso che leggendo il testo di Franchi spesso sono stato in pieno accordo con le sue considerazioni. E anche quando non lo ero mi dicevo che si trattava di argomenti che meritavano di essere discussi. Non ho mai pensato che questo libro non andasse pubblicato per motivi ideologici perché in una democrazia culturale non può esistere una censura delle idee. Ben vengano libri forti e polemici come questo, di qualunque impostazione essi siano. E allora forse è vero che esiste una politica degli intellettuali, un modo d’intendere la realtà contemporanea tipico di chi ama la letteratura. Sarà per questo che io e Franchi ci sentiamo culturalmente vicini, nonostante le diverse esperienze, forse siamo accomunati da una medesima anarchia letteraria. Siamo due cavalieri dell’utopia, samurai in via di estinzione che lottano sino alla fine solo perché convinti di doverlo fare. E poi dicono che perdere ogni tanto c’ha il suo miele e se dicono che vinco stan mentendo, cantava qualcuno un po’ di tempo fa. E pure lui mica era di destra.

Gordiano Lupi

www.infol.it/lupi

lupi@infol.it

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http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/10/20/pagano-di-gianfranco-franchi/feed/ 142
AVANA KILLING, YOANI SÁNCHEZ E LA SITUAZIONE CUBANA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/10/02/avana-killing-yoani-sanchez-e-la-situazione-cubana/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/10/02/avana-killing-yoani-sanchez-e-la-situazione-cubana/#comments Thu, 02 Oct 2008 19:53:17 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/10/02/avana-killing-yoani-sanchez-e-la-situazione-cubana/ avana-killing.jpgÈ appena uscito “Avana Killing”, il nuovo romanzo di Gordiano Lupi (Sered, euro 5,90, 2008) disponibile, dal 18 settembre, presso tutte le edicole italiane.
Lara Crinò ne ha parlato così:
È una Cuba sotterranea e inquietante, la grande protagonista di Avana Killing (Sered edizioni) di Gordiano Lupi. Edito da una piccola casa editrice che pubblica inediti italiani e i cui libri si trovano nelle edicole, racconta con realismo una storia che si tinge di nero pagina dopo pagina. La storia si apre con un quadro familiare: Isabel, una quarantenne single dalla bellezza non ancora sfiorita veglia in ospedale il suo unico figlio, Roberto, un bel ragazzo che non disegna la compagnia delle turiste straniere per piacere e per denaro. Dopo una notte di baldoria, il ragazzo è entrato in coma senza un’evidente spiegazione medica. È l’infermiera che lo segue, Azela, a suggerire alla madre disperata di incontrare un potente Santero, Sebastian, per chiedere la guarigione del figlio. Isabel, inizialmente scettica, decide di incontrare Sebastian nella misera baracca in cui vive, e di accettare lo strano ’scambio di anime’ che può salvare Roberto; ancora non sa che la sua decisione provocherà una catena di morti violente, sveglierà i demoni dormienti di un’Avana misera e misteriosa, e metterà in allarme l’ispettore Abril.
Lupi, profondo conoscitore di Cuba e traduttore della giovane blogger cubana Yoani Sanchez (che doveva accompagnare a Pisa per il Pisa Book Fest ma a cui è stato negato il visto di uscita da Cuba) in questo romanzo condensa il suo amore per la gente dell’isola e la sua capacità di coglierne la vita quotidiana, lontano da ogni stereotipo tropicalista
.”

Mi piacerebbe strutturare questo post in tre parti

1. Dibattito sul romanzo “Avana Killing”: con l’autore e tutti coloro che hanno già letto il libro
2. Discussione sulla situazione cubana post-Fidel
(A proposito, qual è la vostra personale percezione di Cuba?)

3. Presentazione di Yoani Sánchez

Di seguito vi propongo un’intervista rilasciata da Gordiano Lupi, in merito a questo suo romanzo; e un articolo dello stesso Lupi sulla Sànchez.
Mi raccomando… partecipate.
Massimo Maugeri

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Intervista a Gordiano Lupi

Gordiano Lupi, che tipo di libro è “Avana Killing”?
- E’ ancora un libro su Cuba. Non è cambiato molto… Questa volta racconto Cuba con lo strumento della fiction, ma il lettore accorto si renderà conto che mi interessa ancora raccontare Cuba, la sua gente, i problemi del quotidiano e i modi per inventare il futuro … Avana Killing nella stesura originale si chiamava “Scambio di teste” ed era un romanzo horror. La cucina editoriale della Sered l’ha trasformato in un thriller (forse è meglio dire un giallo) con finale a sorpresa. Magia dell’editing…

Come sono nati i personaggi che popolano questo romanzo?
- I personaggi mi vengono di getto e spesso li prendo dalla realtà, da persone che ho conosciuto, certo li stravolgo, li modifico… L’ispettore Abril è un orientale che proviene da Guantanamo, dove al massimo arrestava ladri di polli. All’Avana si trova a lottare contro uno spietato serial killer. Inoltre ci sono complicazioni magiche, a un certo punto della storia fa la sua comparsa la santeria e riveste un ruolo importante. Non dico altro perché le sorprese sono molte. Nel libro ci sono molti riferimenti all’attualità politica e ai problemi del quotidiano, ma sono tutti espliciti e mai sotto metafora.

Due domande provocatorie. Perché i lettori dovrebbero interessarsi a questo romanzo? In cosa consiste la sua originalità?
- La storia è avvincente, pure se non starebbe a me a dirlo. A mio parere l’originalità del romanzo sta nell’ambientazione. Quanti italiani hanno scritto un giallo – horror ambientato a Cuba? Soprattutto – scusa l’immodestia – quanti ce lo saprebbero ambientare? Mi sento per metà cubano e ho sempre detto che riesco a scrivere storie solo ambientate a Cuba o a Piombino. Ne ho scritti tanti di romanzi ambientati a Cuba. Ne uscirà un altro prima della fine del 2008, questa volta in libreria, con un piccolo (ma serio) editore: Eumeswill – Settevoci.

Cosa è Cuba per Gordiano Lupi?
- Tutto… meno che una terra dove andare a viaggiare, perché il governo non mi concederebbe mai il visto per entrare. Potenza della democrazia. Sono considerato un amico degli imperialisti. Tu pensa come è strano il mondo. Ho votato sempre a sinistra in vita mia. A questo punto credo – come Yoani Sanchez – che destra e sinistra siano categorie superate. Esiste la gente, esiste il popolo, esistono i cittadini con i loro bisogni. Solo questo conta.

C’è chi sostiene che a Cuba non esiste la delinquenza. L’idea del serial killer a l’Avana trova appigli nella realtà?
- Il fenomeno degli omicidi seriali è tipico delle civiltà industrializzate e Cuba – per ora – non lo conosce. Tutta fantasia, dunque. Non è vero però che a Cuba non esista la delinquenza e non ci siano fatti di sangue. Vero è che i giornali di regime non ne parlano. La cronaca nera è vietata. Da noi – in compenso – se ne abusa, ci si fanno trasmissioni e palinsesti. Est modus in rebus, direbbero i latini.

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YOANI SÁNCHEZ
di Gordiano Lupi

Ecco una vera rivoluzionaria, una donna eroica come soltanto le donne sanno esserlo, quando credono in quello che fanno. Ecco una donna della tempra di Haidée Santamaria e Celia Sánchez, cubane d’un tempo che hanno avuto la forza di sovvertire un regime.
Le parole di Yoani rischiano di far tremare il trono dei fratelli Castro, perché questa ragazza di appena 33 anni (l’età di Cristo, che pericolosa analogia!) lancia critiche ironiche e veritiere da un blog molto frequentato come Generacion Y.
Yoani è laureata in filologia, vive all’Avana, è appassionata di informatica e lavora nella redazione telematica del portale Desde Cuba, rivista indipendente ostacolata dal regime. Il suo blog fa discutere perché è controcorrente, si autodefinisce “un blog ispirato a gente come me, con nomi che cominciano o contengono una y greca. Nati nella Cuba degli anni Settanta – Ottanta, segnati dalle scuole al campo, dalle bambole russe, dalle uscite illegali e dalla frustrazione”.
Yoani nasce a Cuba nel 1975. Si specializza in letteratura spagnola, filologia ispanica e letteratura latinoamericana contemporanea, nel 1995, nonostante un figlio nato nello stesso anno. Dimostra un caratterino niente male discutendo una tesi incendiaria dal titolo Parole sotto pressione. Uno studio sulla letteratura della dittatura in Latinoamerica. Yoani termina l’università, comprende che il mondo degli intellettuali e dell’alta cultura non fa per lei, ma soprattutto non ha la minima intenzione di fare la filologa. Nel 2000 si impiega presso la Editorial Gente Nueva e si convince – come la maggior parte dei cubani – che con il salario di Stato non può mantenere una famiglia. Decide di continuare il lavoro statale ma comincia a dare lezioni (illegali) di spagnolo ai turisti tedeschi che visitano L’Avana. In quel periodo (come ancora oggi!) molti ingegneri preferiscono guidare un taxi che fare il loro mestiere, alcune maestre tentano di impiegarsi negli alberghi e nei negozi per turisti ti può servire un neurochirurgo o un fisico nucleare.
Nel 2002 Yoani decide di emigrare in Svizzera, ma nel 2004 torna in patria, forse per la nostalgia della sua terra, anche se amici e familiari sconsigliano il rientro. Scopre la professione di informatica, lavoro che fa ancora oggi, si rende conto che il codice binario è più trasparente di quello intellettuale e spera di avere maggior fortuna con il linguaggio html di quanta ne ha avuta con il latino. Nel 2004 fonda insieme a un gruppo di cubani che vivono sull’isola la rivista di cultura e dibattito Consenso. Tre anni dopo lavora come webmaster, articolista e editorialista del portale Desde Cuba. Nell’aprile del 2007 comincia l’avventura del Blog Generacion Y, definito come “un esercizio di codardia”, perché è uno spazio telematico dove può dire quello che è vietato sostenere nella vita di tutti i giorni. Yoani vive all’Avana insieme al giornalista Reinaldo Escobar, con il quale divide la sua vita da quindici anni, e adesso può dirsi più informatica che filologa.
Yoani Sánchez è un’eroina della nuova Cuba, esponente di una generazione Y che può dar vita a un nuovo esercito ribelle del cyberspazio, senza bisogno di nascondersi tra le montagne della Sierra Maestra. La guerra delle idee può dare buoni frutti, perché i dittatori temono chi pensa con la propria testa e poi non possono rinchiudere le idee in una galera.

Riferimenti on line:
http://desdecuba.com/generaciony_it/
Traduzione di Gordiano Lupi – www.infol.it/lupi
Amministrazione tecnica di Sacha Naspini – www.sachanaspini.eu
In italiano news da Cuba e post di Yoani anche su www.tellusfolio.it – Oblò cubano

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http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/10/02/avana-killing-yoani-sanchez-e-la-situazione-cubana/feed/ 115
NUOVI NARRATORI ITALIANI (di Gordiano Lupi) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/09/18/nuovi-narratori-italiani-di-gordiano-lupi/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/09/18/nuovi-narratori-italiani-di-gordiano-lupi/#comments Tue, 18 Sep 2007 20:32:43 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/09/18/nuovi-narratori-italiani-di-gordiano-lupi/ Pochi giorni fa Gordiano Lupi mi ha inviato una mail con un titolo intrigante: Nuovi narratori italiani.

“Nuovi narratori italiani”, ho pensato. “E che sarà mai?”

Ve lo dico subito: è il titolo di una nuova rubrica che Gordiano gestirà per Tellusfolio e che ha come scopo quello di far conoscere ai lettori del web qualche giovane autore interessante che meriterebbe di pubblicare con case editrici medio – grandi.

Scopo ambizioso, vero?

Ma non è tutto. Gordiano mi ha domandato: “Saresti disponibile a mettere a disposizione un tuo racconto per inaugurare la rubrica?”

“Ne sarei onorato” gli ho risposto. “Ma fammi capire”, gli ho chiesto io, “non è una rubrica dedicata agli under trentacinque? Io ne ho trentanove.”

“Sì, ma per te faccio un’eccezione.”

Doppio onore, dunque. Non solo inauguro, ma sono pure ospite d’eccezione.

Mica da tutti!

Poi però ho pensato: “Un attimo. Ma che vuol dire che sono ospite d’eccezione? Che non sono più giovane? Ma non dicono che in Italia uno scrittore si dice giovane fino a cinquant’anni?”

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Scherzi a parte, ringrazio moltissimo Gordiano. Il racconto che gli ho proposto si intitola MUCCAPAZZA ed ha segnato il mio esordio letterario. Apparse nel 2003 su Lunarionuovo, rivista letteraria creata e magistralmente diretta dallo scrittore e poeta Mario Grasso (su Lunarionuovo si sono avvicendate firme importanti, tra cui: Giuseppe Pontiggia Giovanni Raboni, Leonardo Sciascia, Gesualdo Bufalino, Giorgio Bàrberi Squarotti, Giuliano Gramigna, Giovanni Giudici, Andrea Zanzotto, Maria Luisa Spaziani, Vittorio Sereni, Italo Calvino, Sebastiano Addamo).

È un racconto scritto in prima persona. La voce narrante è quella di un magistrato, una persona colta, erudita; una di quelle che prima di parlarci è meglio munirsi di vocabolario. Il tono, dunque, è piuttosto aulico. Lo capirete da voi leggendo qui.

Poi però tornate. E lasciate un commento (non prima di aver letto l’introduzione di Gordiano, però).

(Massimo Maugeri)

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Comincio con entusiasmo questa mia nuova collaborazione con TELLUSFOLIO e spero di poter contribuire a far conoscere ai lettori del web qualche giovane autore interessante che meriterebbe di pubblicare con case editrici medio – grandi. Non ho la pretesa di fare il talent-scout, ma solo di segnalare al pubblico qualche nome nuovo per invogliare a decidere in autonomia, senza i soliti condizionamenti televisivi e della grande editoria. Sono convinto che in Italia esiste un sottobosco di narratori underground molto fertile e produttivo, giovani autori che hanno molto da dire ma che non trovano spazio nei canali ufficiali. Conduco da anni una battaglia contro la narrativa del niente, senza sangue, contro i libri sfiniti, esausti, privi di nerbo, frutto di ricerca stilistica e voglia di trasgredire. Vorrei ospitare su queste pagine telematiche autori preferibilmente under 35 (ma faremo delle eccezioni) che abbiano storie da raccontare e messaggi da lanciare. Potete inviare i racconti rigorosamente inediti all’indirizzo: lupi@infol.it.

Non pubblicherò tutto in maniera acritica, ma solo dopo attenta valutazione e selezione, mentre altri autori saranno da me invitati a scrivere un inedito per questa rubrica. Vedremo tra un po’ di tempo se sarà il caso di produrre anche un’antologia cartacea edita con la collaborazione di Edizioni Il Foglio (http://www.ilfoglioletterario.it/).

L’autore che presento per inaugurare la rubrica è il siciliano Massimo Maugeri che ci regala un racconto affascinante dotato di ritmo e costruito su sensazioni che si susseguono con grande tensione narrativa. Siamo teatranti in festa con la morte nel cuore è una definizione troppo bella per non essere ricordata ed è il leitmotiv che il lettore si porta dentro al termine della lettura. Muccapazza come Godot, in un’attesa eterna, sperando che tutto non sia come sembra, ma che resti soltanto finzione… Leggete questo racconto, confrontatevi con la profondità dei concetti e con lo stile di scrittura. Inviate il vostro solo se siete perfettamente sicuri che i requisiti di contenuto e forma reggano il paragone.

Gordiano Lupi

www.infol.it/lupi

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