LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » il rischio di raccontare http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 IL RISCHIO DI RACCONTARE di Antonella Cilento http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/10/21/il-rischio-di-raccontare-di-antonella-cilento/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/10/21/il-rischio-di-raccontare-di-antonella-cilento/#comments Mon, 20 Oct 2008 22:38:18 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/10/21/il-rischio-di-raccontare-di-antonella-cilento/ Ecco una nuova puntata della rubrica “L’ombra e la penna” di Antonella Cilento.
Antonella è alle prese con un nuovo romanzo che uscirà nei prossimi mesi. Un romanzo iniziato ben dieci anni or sono e che vedrà la luce tra qualche mese.
Come si dovrebbe porre uno scrittore nei confronti della propria opera? (Soprattutto, aggiungo, in un caso come questo; quando la scrittura esige un impegno decennale).
Antonella scrive: “ogni volta si ha la sensazione di aver perso la visione d’insieme, ogni volta si crede di aver fatto il più grosso errore della propria vita, ogni volta si desidera buttare tutto e lasciar perdere. E le stesse sensazioni le raccontano tutti gli scrittori di ogni tempo, salvo quelli che preferiscono mentire e vantare un’inaffondabile sicurezza. Per contrario, ogni scrittore e ogni scrittrice si gettano nella mischia con il loro ultimo nato a dispetto di queste sensazioni e lo difendono a spada tratta, cercando di non esaltarne i difetti ma solo i pregi, come del resto fa ogni genitore con i propri figli. Ma non bisognerebbe, a volte mi chiedo, essere più cattivi con i propri libri piuttosto che con i propri figli?”
Ecco, giro a voi la domanda di Antonella.
Non bisognerebbe, a volte , essere più cattivi con i propri libri?
Oppure, lo scrittore ha l’obbligo morale – nei confronti della propria creatura letteraria - di proteggerla… sempre e comunque?
Che ne dite?
Poi, aggiunge Antonella: “un romanzo è un rischio (…). E chi non si prende rischi scrive tranquilli romanzi di mantenimento. (…) Ma se smettiamo di rischiare qual è il senso di scrivere?
Già…
Se smettessimo di rischiare quale sarebbe il senso di scrivere?

Di seguito, l’intero articolo della Cilento.
Massimo Maugeri


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IL RISCHIO DI RACCONTARE di Antonella Cilento

antonella-cilento.jpgSe i libri sono manifestazioni dei nostri incubi, delle nostre malattie, proiezioni salvifiche o meno della nostra ombra, allora – riflettevo in questi giorni – alcuni miei libri sono come infiammazioni, luoghi di riacutizzazione che proietto all’esterno. Sarà che da alcuni anni, ormai, lavoro attorno a una struttura narrativa che fatico a mettere a fuoco e che in certi giorni mi appare limpida come un lago e in altri rispecchia le mie agitazioni, le mie inquietudini. Insomma, questo romanzo, tante volte scritto e riscritto dal ’98 ad oggi, inizia a somigliare a un’operazione di spurgo, tanto è vero che questo articolo lo scrivo in una stazione termale, fra anziani ex atleti che si massaggiano la pancia, coppie trappane di sagliuti (la neo-neo-borghesia napoletana che nelle terme entra con l’ipod e il cellulare acceso, facendo casino in dialetto e fregandosene dell’obbligo al silenzio), immersa nell’acqua calda e avvolta nell’esalazioni muffose che vengono dalla sauna.
Potrei dire, però, che ogni romanzo che ho scritto abbia avuto un simile processo: la memoria parla chiaro, ogni volta si ha la sensazione di aver perso la visione d’insieme, ogni volta si crede di aver fatto il più grosso errore della propria vita, ogni volta si desidera buttare tutto e lasciar perdere. E le stesse sensazioni le raccontano tutti gli scrittori di ogni tempo, salvo quelli che preferiscono mentire e vantare un’inaffondabile sicurezza. Per contrario, ogni scrittore e ogni scrittrice si gettano nella mischia con il loro ultimo nato a dispetto di queste sensazioni e lo difendono a spada tratta, cercando di non esaltarne i difetti ma solo i pregi, come del resto fa ogni genitore con i propri figli. Ma non bisognerebbe, a volte mi chiedo, essere più cattivi con i propri libri piuttosto che con i propri figli?
Un romanzo è un rischio, come scrive La Capria paragonandolo ai tuffi, che più sono difficili più espongono il tuffatore al fallimento o alla morte. E chi non si prende rischi scrive tranquilli romanzi di mantenimento, cosa che per altro, se si ha fortuna, porta avanti la casa e ci lascia vivere più tranquilli. Ma se smettiamo di rischiare qual è il senso di scrivere?
Si può rischiare l’infamia di chi si sente offeso da ciò che si è scritto, la svalutazione di chi ti aspetta al varco contando il numero di copie e che si finge amico battendoti la mano sulla spalla, il rifiuto di chi legge in serie e non si accorge nemmeno più del rischio letterario, preso com’è dal rischio economico. Rischi comuni, contemperati ogni volta dall’esistenza di persone che ci incoraggiano, che credono in quel che facciamo, che ci spingono a continuare, non ultimi noi stessi, senza i quali si fa davvero poco.
Per un po’ ho guardato a questa struttura che inventavo come a due parti di un corpo che si stampellavano a vicenda: si sostenevano, ma forse si impedivano anche l’un l’altra di imparare a camminare. E ascoltavo i fautori dell’una e i fautori dell’altra, a disagio nel ripetersi di quest’eterna dicotomia in cui vive il pensiero (e anche i pensierini) occidentale. Così, una volta davo un colpo a una parte e la sostenevo di più, la volta dopo davo un colpo all’altra.
E’ andata così per anni, fino a che ho cominciato a chiedermi perché continuavo a guardare a questa storia in termini di bianco e nero, di separazione, di maschile e femminile, di realtà e invenzione, ecc… E mi sono detta che se curo il mio corpo in modo olistico, a maggior ragione dovrei guardare in questi termini anche ai corpi che invento: allora, le due parti non sarebbero più state in competizione, due lati che si contendono l’attenzione e decretano il mio fallimento narrativo in base all’assenza di un taglio che soddisfaccia comprensioni esterne e senza rischi, ma un insieme, un organismo, fatto di parti più belle, più brutte, ma tutte funzionali. Non dicotomico, ma organico.
In effetti, il romanzo mi metteva di fronte a me stessa in modo ancora più forte del solito, o forse solo più consapevole, dicendomi: e va bene, sei una narratrice di finzione ma anche una narratrice di realtà, sei legata all’identità e ai luoghi, all’arte ma anche ai nuclei emotivi. Devi per forza scegliere solo un lato di te stessa per far felice il marketing aziendale dell’editoria, per rendere più vendibile il loro prodotto? Per gratificarti sentendoti dire: stai vendendo? E ti interessa che si venda o di esserti realizzata con autenticità? Con tutti i difetti e i meriti del caso?
Cominciare a vedersi narrativamente per quel che si è, anche se pochi intorno a te ti vedono – l’umanità è molto impegnata a rispecchiare se stessa negli altri, ha poca voglia di vedere l’altro – è almeno un primo passo. Prima, per sette libri e una pila di racconti, ti ponevi solo il problema di raccontare quel che urgeva? E ora perché vuoi porti i problemi degli altri? Sono un’insegnante di scrittura oltre che una scrittrice e quindi indico alle persone tutti i giorni i falsi problemi che la scrittura e noi stessi poniamo davanti alla creazione, quindi devo anche dirmi se una cosa funziona oppure no. Ma posso riconoscere con me stessa che a volte le cose funzionano anche con meccanismi diversi dal consueto, che può succedere qualcosa di nuovo e che ogni rischio implica il fallimento? Sì, credo che potrò.
La scrittura è responsabilità personale. E non è detto poi che chi ti legge non decreti una riuscita, una comprensione. Oggi vi ho raccontato la mia ombra di questi giorni, di questi ultimi anni, che convive e si alimenta con la molla inesauribile che porta alla scrittura e che ogni mattino mi fa svegliare con in testa un personaggio, un’immagine, un sogno o mi fa osservare per strada le persone perché dietro di loro si nasconde un mistero. Questo è l’impulso narrativo che rende vive dalle dita cose che uscirebbero dalla bocca: a volte mi dico che starò davvero per morire solo il giorno in cui questa stimolazione – più forte delle malattie e dei dolori, più attiva della noia – finirà. Solo allora mi scioglierò nel tutto e ridiventerò.
Antonella Cilento

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