LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » Il Saggiatore http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 CHIARA FENOGLIO con “Gli strumenti umani” di VITTORIO SERENI (Il Saggiatore) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/11/07/in-radio-con-chiara-fenoglio-su-vittorio-sereni/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/11/07/in-radio-con-chiara-fenoglio-su-vittorio-sereni/#comments Wed, 07 Nov 2018 16:14:30 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8009 Chiara Fenoglio con “Gli strumenti umani” di Vittorio Sereni (Il Saggiatore), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA SUL PULSANTE “AUDIO MP3″ (in basso), O CLICCA QUI

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Ospite della puntata: Chiara Fenoglio con cui abbiamo discusso della raccolta di poesie “Gli strumenti umani” di Vittorio Sereni (Il Saggiatore – Chiara Fenoglio ha scritto l’introduzione del volume).

Nella seconda parte della puntata Chiara Fenoglio ha letto qualche poesia tratta da “Gli strumenti umani”.

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Chi è stato Vittorio Sereni? Nell’ambito della produzione poetica di Sereni che ruolo occupa “Gli strumenti umani”? Quali sono “Gli strumenti umani” a cui fa riferimento Sereni? C’è una relazione tra quest’opera di Sereni e le esperienze delle neoavanguardie e quelle del Gruppo 63? Quali sono le sensazioni contrastanti (suscitate da “Gli strumenti umani”) già segnalate a suo tempo da Cesare Garboli? Come è strutturato “Gli strumenti umani”? Cosa possiamo evidenziare su ciascuna sezione dell’opera?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a Chiara Fenoglio nel corso della puntata

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Il libro (“Gli strumenti umani”)
La carrucola nel pozzo, la spola della teleferica nei boschi. I minimi atti, l’opaca trafila delle cose mute che cadono nel mondo, come una lenza buttata a vuoto nei secoli, un amo a precipizio nei millenni. Sono infiniti gli strumenti umani, e sono cosa da poco, sono cosa da nulla. La loro storia ingombra la vita dell’uomo, ma nella parabola dell’esistenza (visibile e invisibile) dura appena pochi istanti, lo scampolo di tempo che separa una curva di montagna dalla svolta successiva. Poi la memoria li inghiotte, il paesaggio li trascolora in una fotografia già vecchia, già perduta.

È questo, tra i molti, il sentimento che anima Gli Strumenti umani di Vittorio Sereni, terza raccolta di uno dei maggiori poeti italiani del Novecento, che ne segnò il ritorno editoriale, dopo il silenzio quasi ventennale da Diario d’Algeria. Una geografia esistenziale, quella puntellata dai versi degli Strumenti umani, in cui è necessario muoversi con passo bustrofedico, con il garbo dell’ospite indiscreto, eppure con la gioia ardente di chi scopre qualcosa che d’improvviso sente familiare da sempre. Una poesia sospesa tra l’erranza della materia e la rivelazione del vuoto, continuamente forata dai disvelamenti e dalle epifanie, dai segreti umbratili delle scorze dure che compongono il pianeta. E dai riverberi di una eco letteraria che si fa approssimazione e presenza nella lingua di Sereni, evocando oscuramente i purgatori di Dante e le rime in morte di Laura, la melma nera di Montale e la noja leopardiana, di cui Gli strumenti umani non sono la somma, ma la infiorescente decomposizione, stretta nella vite di una sizigia immortale.

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Vittorio Sereni - uno dei più grandi poeti del Novecento – è nato a Luino nel 1913 e morto a Milano nel 1983. Il Saggiatore ha pubblicato “Gli immediati dintorni” (2013), “Stella variabile” (2017) e “Gli strumenti umani” (2018).

Chiara Fenoglio – saggista, critico letterario e docente – collabora con La Lettura (supplemento culturale de Il Corriere della Sera). Oltre a numerosi saggi in riviste nazionali e internazionali, ha pubblicato le monografie “Un infinito che non comprendiamo. Leopardi e l’apologetica cristiana dei secoli XVIII e XIX” (Premio Tarquinia-Cardarelli opera prima di critica letteraria) e “La divina interferenza. La critica dei poeti nel Novecento.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: “Poesia” di Riccardo Cocciante; “Bluemoon”, versione di Frank Sinatra; “While my guitar gently weeps” dei Beatles.

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È possibile ascoltare le precedenti puntate radiofoniche di Letteratitudine, cliccando qui.

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I SEGRETI DELLA GIARA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/06/07/i-segreti-della-giara/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/06/07/i-segreti-della-giara/#comments Tue, 07 Jun 2016 17:42:39 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7169 letteratura-e-musicaNell’ambito del forum di Letteratitudine dedicato a “LETTERATURA E MUSICA“, ci occupiamo del volume “I segreti della giara”, di Alfredo Casella (il Saggiatore).

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Recensione di Claudio Morandini

I segreti della GiaraSi legge assai volentieri “I segreti della giara”, l’autobiografia che Alfredo Casella ha terminato nel 1938 e che opportunamente il Saggiatore ripubblica quest’anno a cura di Cesare De Marchi e con illuminante postfazione di Giovanni Gavazzeni (“Il nostro debito con Alfredo Casella”). Casella, compositore di temperamento, dalla vocazione europeista e modernista, ha in letteratura il gusto delle descrizioni vivide di ambienti e personalità. Certo, il testo soffre qua e là delle intenzioni auto-apologetiche: con quest’opera Casella doveva difendersi dall’ostilità dei rivali, dalle cortigianerie degli invidiosi, e mettere al riparo se stesso e la seconda moglie ebrea dai pericoli di una denuncia – l’anno della stesura è lo stesso delle famigerate leggi razziali – ed è per questo che si sente spinto a sottolineare la propria italianità, l’ispirato cattolicesimo di famiglia, la granitica fedeltà al fascismo – in questo non era insincero –, a esaltare le virtù dell’”Italia Littoria” concedendosi financo qualche antipatica stoccata che oggi ci suona razzista (la “qualità inferiore” dei “metèques” che ingolfano la Parigi del dopoguerra, la “congrega” di “elementi israeliti medieuropei” che influenzano in senso “anti-latino” le scelte delle associazioni internazionali della musica contemporanea).

Ma, si diceva, “I segreti della giara” è un’opera gustosa e illuminante per molti altri versi. Casella suddivide il testo in tre grandi momenti, corrispondenti alle tre città che più hanno contato nella sua formazione. Scorrono così, in ampi quadri fitti di dettagli, la Torino ottocentesca dell’infanzia e degli affetti familiari, città che in controtendenza rispetto al resto d’Italia preserva una solida tradizione strumentale e non pare attratta dal melodramma, a meno che non sia quello di nuovissimo conio e avanzato linguaggio di Wagner; la Parigi a cavallo tra Otto e Novecento, fucina cosmopolita di sperimentazioni artistiche ma anche di memorabili lotte tra “rivoluzionari” e passatisti, guastata da incomprensioni e gelosie logoranti, abitata da geni afflitti sempre, secondo Casella, da vezzi e debolezze – e da Parigi l’apertura verso il resto d’Europa, la Russia, la Germania, l’Inghilterra; infine la Roma del ventennio, in cui il ruolo e la personalità musicale di Casella si definiscono sia pure tra mille invidie.
L’apprendistato di Casella si nutre del confronto con metodi, scuole, culture diverse, praticato con curiosità intellettuale sin dagli anni torinesi e affinato durante il fertile soggiorno parigino: è come se attraverso lo studio del magistero di altri compositori, in apparenza diversissimi se non inconciliabili (Richard Strauss, Mahler, Debussy, i sinfonisti russi, Ravel, Stravinskij, che nella traslitterazione caselliana diventa Strawinski, e tanti altri), il giovane Casella imparasse, oltre al mestiere, anche a definire un suo stile personale (e, attraverso questo stile personale, lo stile di tutta una nazione, visto che l’autore pone se stesso come campione di italianità, sin dalle prime composizioni, sin da quella rapsodia intitolata “Italia” del 1907 che oggi rischia di suonare come un guazzabuglio kitsch e nazionalista di temi popolari e melense canzonette). Curiosamente, Casella non ci dice molto di sé come compositore: non lo vediamo quasi mai al lavoro su determinate composizioni, l’atto creativo non ci viene raccontato, se non per rari e sbrigativi accenni a questioni di orchestrazione o di alternanza di movimenti: le composizioni saltano fuori già fatte, magari irrisolte, ingenue, di precaria tenuta, ma già concluse; piuttosto il compositore ne segue le fortune concertistiche, riporta i giudizi dei colleghi o dei critici sui giornali o il plauso dei frequentatori delle sale da concerto. Ma, in un certo senso, Casella resta riservato, quasi pudico, a differenza, che so, di Stravinskij sempre prodigo di dettagli sulla genesi e lo sviluppo delle proprie idee musicali – eviteremo di cadere nel cliché attribuendo alle sue origini piemontesi questo riserbo. Per Casella, insomma, il racconto della musica è essenzialmente il racconto delle relazioni artistiche, del percorso dell’opera nel mondo, il riscontro del pubblico – la sua dimensione pubblica, insomma.
Nella terza sezione dei “Segreti”, intitolata “Roma (1915-1938)”, si alternano i dettagliati resoconti di tournée in giro per il mondo (Francia, Stati Uniti, Unione Sovietica) in cui Casella si impegna a diffondere composizioni proprie e di altri compositori italiani suoi contemporanei, e le fasi di fervida attività di promozione della musica contemporanea, italiana e internazionale, a Roma e in generale in Italia. Su questo punto è riconosciuto unanimemente da tutti coloro che conobbero Casella l’impegno infaticabile del compositore, sinceramente convinto che solo attraverso uno svecchiamento del linguaggio e il confronto con le correnti più avanzate della musica europea (Da Stravinskij a Schönberg, passando per Bartók e tutti i nomi più importanti) l’ambiente musicale italiano potesse liberarsi dal provincialismo e dal passatismo. In queste pagine dense di informazioni fino alla pedanteria, si sente ancora più chiaramente lo sforzo dell’autore di sbarazzarsi delle facili accuse di anti-italianità che i rivali gelosi gli gettavano addosso dai giornali. Casella che insiste nel far conoscere al pubblico romano o milanese degli anni trenta il “Pierrot lunaire” di Schönberg, “Les Noces” o “Oedipus” di Stravinskij sembra davvero voler fare apostolato di nuovi linguaggi musicali di cui l’Italia, ancora invischiata nel melodramma e nel verismo, aveva un gran bisogno (non era solo in questo il nostro Casella: anche Puccini, come ci viene ricordato, manifestò tale interesse nei confronti delle nuove musiche).
Le testimonianze di chi lo conobbe personalmente in quegli anni, ne fu allievo e fu aiutato da lui lo confermano: Casella era generoso di aiuti con chiunque fosse dotato di ingegno, seppure stilisticamente lontano (in questo senso sono particolarmente significativi gli esempi dei giovani Petrassi e Dallapiccola, soprattutto del secondo, attratto dal serialismo schönberghiano assai più sistematicamente di quanto a suo tempo il giovane Casella fosse stato dall’atonalismo del “Pierrot Lunaire”, che Casella chiama dodecafonia senza che lo fosse).
Per Casella non vi è contraddizione tra il suo impegno a favore delle correnti più avanzate in musica e l’adesione al fascismo; di questo ha voluto cogliere sin dagli inizi il lato più “rivoluzionario”, che sentiva coerente con un’arte a sua volta anticonvenzionale. Nel frattempo, curiosamente, lo stile di Casella andava in tutt’altra direzione: in nome dell’anti-verismo e dell’anti-romanticismo, la vena del compositore, affinandosi e liberandosi dall’ingerenza dell’atonalità e della politonalità praticate da giovane, andava scovando affinità nel repertorio barocco e pre-classico, nelle forme del concerto grosso e della sonata scarlattiana: si semplificava, si squadrava (rientrando così in quella vasta reazione alle vaghezze dell’impressionismo e ai residui del wagnerismo che va sotto il nome di “neo-classicismo”, nome che per la verità non piacque mai a nessuno dei compositori più dotati). Casella si emancipava, inoltre, dal ricorso a materiale folklorico, senza però smettere di alludere, attraverso il ricorso a danze, ninne-nanne e altre forme consimili, a una matrice popolare italiana (come avevano fatto o andavano facendo altrove colleghi ammirati quali De Falla o Bartók). Così, nel definire il suo stile maturo, Casella parla di “naturalezza e semplicità però che sono risultato di dolorose e faticate assimilazioni e rinunce e non espressioni oppure sfoghi di ingenuità e di dilettantismo” (e “naturalezza e semplicità” sono anche tra gli ingredienti alla base dell’enunciazione di un carattere nazionale, arduo impegno cui si dedica Casella nelle ultime pagine, intitolate, come in una di quelle forme tripartite care al compositore, “Constatazioni, idee e conclusione”).

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MARCEL PROUST – SAGGI: intervista a Mariolina Bertini http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/01/09/marcel-proust-saggi/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/01/09/marcel-proust-saggi/#comments Sat, 09 Jan 2016 08:06:49 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7008 MARCEL PROUST – SAGGI (Il Saggiatore)

edizione integrale curata da Mariolina Bongiovanni Bertini e Marco Piazza

di Massimo Maugeri

Il nuovo appuntamento della rubrica di Letteratitudine chiamata “Saggistica Letteraria” è incentrato su un bellissimo e corposo volume dedicato all’intera produzione saggistica di Marcel Proust. Il libro, edito da Il Saggiatore e intitolato “Marcel Proust – Saggi” (pagg. 974, euro 75), offre molteplici spunti di riflessione sulle svariate tematiche culturali e letterarie che l’autore della Recherce ha prodotto nel corso dell’esistenza in parallelo alla sua attività di romanziere.

Ne ho discusso con Mariolina Bertini (foto in basso), curatrice dell’opera (nonché, tra le altre cose, docente di Letteratura francese all’Università di Parma; curatrice delle edizioni delle principali opere di Proust presso Einaudi, Bollati Boringhieri e Suhrkamp; curatrice, nei Meridiani Mondadori, di una scelta in tre volumi della Commedia umana di Balzac: un estratto della prefazione del 3° volume è disponibile qui).

-Marcel Proust è universalmente noto per la sua Recherche. Nell’ambito della sua attività saggistica (raccolta in quest’opera monumentale pubblicata da “Il Saggiatore”) quali sono gli elementi che lo avvicinano e quali quelli che lo distanziano dalla sua attività di romanziere?
Una delle particolarità della Ricerca del tempo perduto è quella di essere un’opera nella quale sono confluite  tutta l’esperienza  e tutta la cultura del suo autore.  I critici si affannano a ripetere ai lettori comuni che la Ricerca non è un’autobiografia e che il personaggio che da un capo all’altro dei sette romanzi che la compongono dice “io”, non è Marcel Proust. Tuttavia  il lettore ingenuo, non prevenuto, che tende ad identificare Proust con il suo narratore , coglie una verità profonda dell’opera:  il fatto che dal 1908 al 1922 Proust ha lavorato a trasporre e rielaborare nel suo romanzo i propri ricordi, la propria conoscenza della società francese, il proprio pensiero sull’arte e sui rapporti tra l’arte e la vita. Dunque , nella Recherche c’è tutto Marcel Proust, l’inventore di personaggi ma anche il critico (vi troviamo pagine su Dostoevskij, su Balzac  e su altri scrittori), l’umorista, il sociologo, lo psicologo…  Una ricchezza senza fine. Attraverso i Saggi, è possibile seguire la genesi nel tempo di questa ricchezza di idee che caratterizza la Recherche : negli articoli  giovanili  emergono l’interesse per l’arte medioevale , ma anche la curiosità per la mondanità e per la moda, l’attenzione per le letture infantili, le riflessioni sulla creazione artistica. Leggere questi Saggi spesso  equivale dunque ad entrare nel laboratorio mentale da cui nasce la Ricerca , con tutti i suoi temi  e con lo sfondo della cultura fin de siècle vista da un testimone d’eccezione.

-Nel dedicarsi alla lettura di questi saggi qual è la sorpresa principale in cui potrebbe imbattersi il conoscitore di Proust romanziere?
Come dicevo prima, la Ricerca ha una forte dimensione autobiografica : mette in scena un narratore chiuso ermeticamente nelle proprie impressioni, nei propri desideri, nelle proprie fantasie. Dai Saggi viene fuori  invece – gradevole sorpresa per il lettore del grande romanzo- un Proust attento a tutto e curioso del mondo esterno, pronto a pronunciarsi polemicamente su una legge che non gli piace (la legge laicista che voleva trasformare le cattedrali in musei) o a commentare con accento dostoevskiani una tragedia di cronaca nera (Sentimenti filiali di un matricida).

-Se invece volessimo rivolgerci a coloro che non hanno mai letto nulla di Proust… quali opportunità offre questa raccolta di saggi?
Per chi non sia un frequentatore della Ricerca, questi saggi costituiscono comunque una via d’accesso privilegiata al mondo artistico e intellettuale europeo dell’epoca . Leggerli ci offre l’occasione di guardare la pittura di Gustave Moreau o  le cattedrali amate da Ruskin con gli occhi di un giovane colto vissuto tra la fine del XIX° secolo e l’inizio del XX°; un giovane che ha fatto a tempo a  conoscere personalmente Oscar Wilde ma che è anche tra i primi ammiratori di Picasso, in quel momento cruciale e contraddittorio che è l’ aurora della cultura modernista.

-Nel volume sono raccolti saggi, recensioni e cronache mondane che ricoprono un arco temporale molto ampio della vita dello scrittore (dagli anni del Collège fino al periodo successivo alla Prima guerra mondiale). Cosa puoi dirci in merito alla evoluzione della scrittura di Proust, con riferimento a questi suoi testi?
Proust conquista  presto una scrittura personale : già le pagine, inedite in vita, scritte sull’ispirazione e sulle leggi della poesia negli ultimi anni del XIX° secolo, annunciano la lunga frase sinuosa della Recherche, che cerca di far percorrere al lettore lo stesso cammino mentale  che lo scrittore intraprende per comunicargli le proprie impressioni. E’ interessante leggere, a questo proposito , il saggio Sulla lettura , del 1905 , in cui un Proust non ancora romanziere (ha alle spalle soltanto un tentativo non riuscito, l’autobiografico Jean Santeuil ) ci conduce nel mondo della sua infanzia, nel giardino di Illiers dove ha  fatto le sue prime esperienze di lettore. La Ricerca non è ancora stata concepita, eppure il suo tema centrale (quello della memoria “involontaria”, destata da sensazioni improvvise) comincia a profilarsi, in un contesto dal fascino singolarissimo. E  questo tema  esige una scrittura  che lo esprima con assoluta originalità: la scrittura che sarà della Ricerca, ma che vede la luce in queste pagine saggistiche del 1905.

-Per ciò che emerge da questi saggi, come si pone Proust rispetto ai principali scrittori e critici suoi contemporanei?
Proust, tra i suoi contemporanei, è piuttosto isolato; non ama i cenacoli simbolisti e nemmeno  i gruppi in cui si formulano i manifesti delle avanguardie. Quando Gallimard diventa il suo editore, nel 1918, la rivista di Gallimard, la “Nouvelle Revue Française”, gli apre le porte e pubblica due dei suoi più importanti saggi critici , quello su Baudelaire e quello su Flaubert. Agli occhi del pubblico, Proust è allora un autore targato “NRF”, come Gide ; ma lui non si sente affine né a Gide né ad altri suoi grandi contemporanei, come Claudel o Péguy.  Non sottovaluta i suoi “compagni di strada” e nella sua corrispondenza ha spesso parole incoraggianti nei confronti degli esordienti che gli chiedono consiglio, o di vecchi amici che hanno deciso di intraprendere la via della letteratura; ma rifugge da ogni impresa collettiva, attento alla specificità della sua estetica e totalmente assorbito dall’elaborazione della sua opera personale.

-Il volume apre con un saggio di particolare importanza intitolato “Contro Sainte-Beuve”. Quali sono gli elementi di principale interesse che offre questo testo?
Per il lettore italiano che prenderà in mano questo volume, la sorpresa più grande sarà certamente costituita  dal saggio del 1908-09 Contro Sainte-Beuve. Di questo saggio infatti, che Proust non portò mai a termine, sinora era stata tradotta in italiano soltanto la versione ricostruita da Pierre Clarac nel 1971. Era una versione composta di soli frammenti critici, nei quali Proust si sforzava di dimostrare che Sainte-Beuve – critico autorevolissimo scomparso qualche anno prima- aveva commesso un grande errore focalizzando le sue analisi sulla biografia degli scrittori studiati. L’io profondo che si manifesta nella creazione letteraria, per Proust, non può essere catturato con gli strumenti della biografia, ma va rintracciato nella dimensione stilistica e tematica dell’opera. Però i testi saggistici isolati da Pierre Clarac erano soltanto una piccola parte dell’opera magmatica, in costante divenire, cui Proust pose mano nel 1908-09. Nei quaderni dello scrittore, questi testi saggistici coesistevano con abbozzi narrativi nei quali cominciavano a far capolino i personaggi della futura Ricerca. La nuova edizione del Contro Sainte-Beuve contenuta nei Saggi e curata da un giovane studioso della filosofia di Proust, Marco Piazza, dà un’idea più realistica di qesta fase del lavoro di Proust, fase in cui il suo romanzo maggiore comincia ad emergere dalla riflessione critica, con cui è inizialmente intrecciato.

-Tra le altre cose, cara Mariolina, sei la curatrice dei Meridiani Mondadori dedicati a Balzac… dunque non posso non chiederti di raccontarci qualcosa in merito al “ritratto” che Proust ci offre di Balzac. Cosa puoi dirci a tal proposito?
La commedia umana vol.3Con il suo grande predecessore Balzac,  Proust ha un rapporto complesso , e anche contraddittorio. Nelle pagine del Contro Sainte-Beuve esprime su di lui un giudizio severo : a differenza di Flaubert, che persegue la purezza e la perfezione assoluta dello stile, Balzac inserisce nei suoi racconti digressioni e riflessioni  di varia natura che compromettono  l’omogeneità della sua scrittura. Possiamo dire che  Il Proust del Contro Sainte-Beuve legge Balzac con gli occhi di Flaubert , che in una delle sue lettere aveva sospirato: “Che uomo sarebbe stato Balzac, se avesse saputo scrivere!”. Tuttavia, nel corso della lunga elaborazione della Ricerca, il modello balzachiano  esercita un ascendente forte su Proust : la grande figura del barone di Charlus, che nasconde la propria omosessualità e il proprio masochismo  dietro una facciata di intransigente virilità, deve molto a Vautrin, il genio criminale che in Papà Goriot e in Illusioni perdute impone la propria ambigua protezione ai giovani  verso cui lo orienta un irresistibile desiderio erotico.
Inoltre, Balzac è stato  tra i primi romanzieri a dare largo spazio a quello che Carlo Ginzburg ha definito il “paradigma indiziario” . Le sue descrizioni ossessivamente dettagliate hanno lo scopo di fornire al lettore gli indizi  per decifrare la realtà:  nell’arredamento di casa Grandet è scritta l’avarizia del padrone di casa;  l’abito grigio della principessa di Cadignan  esprime il  segreto desiderio di questa grande seduttrice di mostrarsi per una volta dimessa , riservata e quasi timida.  Sarà proprio Proust a ereditare – più di qualsiasi altro romanziere delle generazioni successive – questa  strenua volontà balzachiana di decifrare il reale, di leggere la realtà psicologica e sociale facendone emergere i significati nascosti.

-In definitiva, qual è – a tuo avviso – la principale eredità che Proust ci lascia con riferimento specifico all’attività di saggista e di critico?
Il fascino di questi saggi sta nella molteplicità degli stimoli che offrono: ci portano nei salotti degli anni Novanta dell’Ottocento  ma anche davanti alle sculture della cattedrale di Amiens, e nel parco di Illiers dove lo scrittore bambino sperimenta per la prima volta il sortilegio della lettura.  Per chi poi nutra interesse per la critica letteraria, i saggi del periodo che segue il primo conflitto mondiale sono davvero irrinunciabili. Proust vi espone la propria teoria dello stile,  “grande ossatura inconscia”  sottesa alle opere  , e la mette alla prova in analisi magistrali dello stile di Baudelaire e di Flaubert . E’ sicuramente in queste pagine, che ispireranno la critica stilistica di Curtius e di Spitzer, che sta la grande eredità del Proust critico, destinata a lasciare un segno profondo nella cultura del Novecento.

-Grazie mille per la tua disponibilità e per le belle risposte che ci hai offerto, cara Mariolina.

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La scheda del libro

Autore centrale del canone letterario novecentesco, ricordato per quella fluviale opera-mondo e insuperabile costruzione romanzesca che è Alla ricerca del tempo perduto, Marcel Proust ha accompagnato, lungo tutto l’arco della sua vita, l’attività narrativa a quella saggistica, consegnando alla posterità un’impressionante messe di recensioni, articoli, interventi di critica letteraria e del gusto, riflessioni teoriche legate al significato dell’arte, alla sua permanenza, alla sua possibilità di offrire – a chi legge come a chi, rapito, osserva una statua antica in cima a una colonna o una guglia contro il cielo del mattino – specchi in cui vedere e capire se stessi. Padrone di una lingua dalle risorse inesauribili e dotato di un’erudizione mai fi ne a se stessa e sempre impiegata per leggere in profondità il libro del mondo, Marcel Proust fonde in questiSaggi – che il Saggiatore presenta nell’edizione integrale curata da Mariolina Bongiovanni Bertini e Marco Piazza – cronaca e racconto, analisi e divagazione, engagementdivertissement, minando le tradizionali distinzioni di genere e registro. Una recensione di John Ruskin è allora l’occasione per un’evocazione immaginifica di Venezia, e la ricusa di uno dei critici più importanti dell’Ottocento francese – il famoso Contro Sainte-Beuve, qui arricchito di materiali finora inediti in Italia – si trasforma in uno dei più lucidi documenti di teoria letteraria del ventesimo secolo. Questa raccolta, che dai primi componimenti scolastici arriva fi no alle più compiute elaborazioni critiche della maturità – come quella, rimasta celebre, sullo stile di Gustave Flaubert –, è un prisma privilegiato attraverso cui guardare a Marcel Proust e, nel suo tracciarne la chiara parabola umana e artistica, si rivela uno strumento imprescindibile a chi ne voglia avvicinare con piena consapevolezza l’opera letteraria.

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Mariolina Bertini insegna Letteratura francese all’Università di Parma. Ha curato edizioni delle principali opere di Proust presso Einaudi , Bollati Boringhieri e Suhrkamp. Presso Bollati Boringhieri ha pubblicato nel 1996 “Proust e la teoria del romanzo”; presso Unicopli , nel 2010, “Incroci obbligati. Romanzo, ritratto, mélodrame”. Ha curato, nei Meridiani Mondadori, una scelta in tre volumi della Commedia umana di Balzac (1994- 2013) e Ritratti personaggi fantasmi di Giovanni Macchia (1997) . Ha diretto insieme ad Antoine Compagnon, Morales de Proust, n. IX-X dei “Cahiers de littérature française”, novembre 2010 e, insieme a Patrizia Oppici, il n. 64 di “Francofonia”, Du côté de chez Swann 1913/2013 , Primavera 2013. E’ vicedirettore de “L’Indice dei libri del mese”, membro del Consiglio direttivo del Groupe International de Recherches Balzaciennes, corrispondente per l’Italia dell’”Année Balzacienne” e membro corrispondente dell’Accademia delle Scienze.

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MEMORIALI SUL CASO SCHUMANN di Filippo Tuena http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/12/18/memoriali-sul-caso-schumann-di-filippo-tuena/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/12/18/memoriali-sul-caso-schumann-di-filippo-tuena/#comments Fri, 18 Dec 2015 14:30:37 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7004 Memoriali sul caso SchumannNell’ambito del forum di Letteratitudine dedicato a “LETTERATURA E MUSICA“, ci occupiamo del nuovo romanzo di Filippo Tuena intitolato Memoriali sul caso Schumann” (Il Saggiatore, 2015).

Nei prossimi giorni, su LetteratitudineNews, pubblicheremo un estratto del libro…

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Recensione di Claudio Morandini

Tuena è oggi, per me, uno dei migliori costruttori di storie; è artefice – ambizioso, com’è giusto in letteratura – di romanzi che ora si stendono come partiture, ora come mappe, o diari di bordo, o alberi genealogici, a seconda del tema, dell’ambientazione, delle passioni che vi si agitano. La struttura, nel suo caso, è importante quanto il soggetto – anzi, “è” il soggetto, ne è l’estensione, la proiezione. Il suo ultimo romanzo, “Memoriali sul caso Schumann”, conferma questo assunto: attorno alla figura complessa dell’ultimo Robert Schumann, afflitto da deliri e demenza, Tuena raccoglie (cioè in parte trascrive, in parte immagina) con meticolosità le testimonianze di coloro che lo hanno conosciuto, che ne hanno condiviso sofferenza e passioni, e che ne sono stati toccati fino al logoramento. Sotterranea, intanto, scorre una sensibilità musicale, che compone le parti del romanzo come sezioni di una vasta opera – cameristica, più che sinfonica, direi, visto l’esiguo numero di personaggi in gioco – in cui a prevalere, ancora una volta, come nella saga familiare delle “Variazioni Reinach” (di recente riviste per la nuova edizione Beat), è la forma della variazione. Il romanzo diventa polifonia di voci attorno allo stesso tema (la follia di Schumann): che ognuno dei personaggi declina a suo modo, attraverso punti di vista differenti, differenti distanze e livelli di comprensione, girando attorno al tema secondo dinamiche e giochi timbrici propri. A tutto ciò si inframmezza – in un modo che mi ha ricordato le abissali “lamentazioni oltremondane” in “Rosso Floyd” di Michele Mari, dedicato non a caso anch’esso a un caso di alienazione musicale, quello di Syd Barrett – una voce estranea, sgrammaticata, petulante, angosciosa, demoniaca, che all’inizio sembra una delle voci “sentite” da Schumann, ma diventa ben presto, tragicamente, la sua voce.
La variazione non è solo il mezzo attraverso cui si sviluppa e si articola l’indagine di Tuena: è anche una declinazione, insinuante e pervasiva, una sorta di rielaborazione a specchio dello stesso tema, cioè la follia ossessiva: non a caso, risuona in tutto il romanzo l’opera misteriosa e postuma di Schumann, quelle Geistervariationen, o Variazioni del Fantasma il cui tema, di struggente semplicità, sarebbe stato suggerito in sogno dallo spettro di Schubert.
Ecco, gli spettri: come è già stato notato, questa è una ghost story alla vecchia maniera, cioè secondo ritmi e dinamiche ottocentesche, che puntano sull’attesa e sull’economia di effetti, e dilatano atmosfere. In questo gioco di ombre, lo stesso Schumann è rievocato – come un fantasma – da distanze irraggiungibili, sia per lo stato che lo aliena dalla realtà chiudendolo in un mondo di allucinazioni e ossessioni, sia per l’impossibilità oggettiva di raggiungerlo nella clinica in cui è subito ricoverato dopo un tentativo di suicidio.
I fantasmi agitano le visioni di Schumann: ma per Schumann sono presenze reali, vivide, con loro ha un dialogo anche fecondo. Per curioso ribaltamento, sono gli esseri reali, gli amici che si preoccupano per lui e lo seguono da lontano, che Robert prende – forse – per apparizioni. È la prassi, nella clinica in cui è ricoverato: solo nascondendosi, e spiando non visti, i visitatori possono intercettare in un paziente segni di uno sperato miglioramento o di un temuto declino. Il vedere da lontano non visti è per lo più insoddisfacente e ingannevole, ma talvolta l’incertezza coglie frammenti di verità. «Quel suo modo di essere frammentario, nella parola, nella musica, nel fumare. Chissà se anche i suoi pensieri si disperdono nel vuoto.» Così, parafrasando Brahms, scrive Elise Junge sul suo diario. Ma le apparizioni contagiano un po’ tutti, nel romanzo di Tuena, al punto che ogni personaggio che sia stato vicino a Schumann prima o poi scorge un’ombra, sente parlare un fanciullo con la voce di un vecchio, vede animarsi angoli bui di una stanza.
Anche i temi musicali appaiono come spettri, nelle testimonianze circa la fine delle Variazioni del Fantasma: riemergono dopo anni di oblio, se ne scovano le tracce là dove non ci si aspetterebbe, anche in composizioni altrui, tornano a scomparire…
È racconto che turba e commuove proprio perché raccontato da lontano, per dettagli colti da amici e conoscenti, quello del precipitare nella demenza di Schumann: il dolore sempre composto dei parenti e degli amici trova sfogo nella fitta corrispondenza, come si usava allora. E diventa straziante quando si intravede la consapevolezza dello stesso Schumann dinanzi all’avanzare della malattia (le voci, le accuse immaginarie di non essere l’autore delle proprie musiche, la perdita di controllo delle mani sulla tastiera, l’aprirsi di voragini sempre più profonde nella memoria, e a correzione di tutto questo lo sforzo di apparire «presente a se stesso», di ricordarsi di tutto ciò che ha di più caro).
E ancora più straziante si fa il racconto quando scopriamo “il caso Schumann” duplicato nel monologare fitto e incoerente del figlio Ludwig, di cui si trascrivono pignolescamente i monologhi nel corso delle visite al manicomio di Colditz: e nelle sue parole la quotidianità in una casa di musicisti (con annesse sedute di spiritismo e visite di spettri, primo fra tutti “don Franzetto Sciubba”, cioè Franz Schubert) è riletta attraverso la lente distorta di una mente alienata, ancora capace però di distillare i dettagli veri che una mente lucida non saprebbe scorgere.
Come in un racconto gotico che si rispetti, si insinua il tema del doppio: il più consapevole sembra esserne Brahms, che con i doppi (gli pseudonimi) ha giocato a lungo, negli anni giovanili, in una moltiplicazione di identità (ne sa qualcosa Hélène Grimaud, che oltre a essere fine interprete pianistica ama cimentarsi nella letteratura, e nel “Ritorno a Salem”, pubblicato da Bollati Boringhieri nel 2014, immagina una sorta di thriller musical-filologico attorno a un manoscritto perduto di Brahms). Il Johannes Brahms di Tuena entra nella vita degli Schumann travolgendoli, vampirizzando Robert, in un continuo cimento, in una perenne emulazione che non si esaurisce nell’ambito musicale ma tracima in quello letterario e nel campo degli affetti. È interessante scoprire come, infine, non sia stato Brahms a vampirizzare Schumann ma piuttosto Schumann a “possedere” Brahms (così, almeno, sembra di leggere tra le righe del memoriale del vecchio Johannes, che conclude il romanzo mettendo un po’di ordine tra tutte le testimonianze). I due compositori sembrano davvero l’uno complementare all’altro – e il vecchio Brahms, nel suo “Memoriale”, ripensando agli errori passati, traccia le linee di queste due vite intrecciate, fino a mostrare come l’uno, Schumann, abbia finito per scrivere musica «titubante», balbettante, fragile e imperfetta, ma proprio per questo espressione di una lingua nuova e aperta verso l’avvenire, che spaventerà Clara, la quale reagirà nascondendo o distruggendo quelle pagine estreme; e l’altro, Brahms, si sia avviato verso una sorta di afasia musicale che ormai consente solo più forme brevi, composizioni di scarso respiro.

È notevole il modo in cui la musica è raffigurata nel romanzo di Tuena. In certe testimonianze (la citata Elise Junge, ad esempio) i musicisti vengono presentati come dotati di un’inquietante capacità di estraniarsi dai dolori e dalle angosce della vita reale attraverso la musica: questa capacità di «allontanarsi dal contingente» e ritirarsi in un mondo olimpico, «lunare», che è creato dalla stessa musica e si nutre del «piacere profondo di essere in accordo», è un dato che sembra accomunare Clara Schumann e il giovane Brahms, mentre invece la musica di Schumann va in tutt’altra direzione, conduce verso abissi di sofferenze e inquietudini di cui è la trasfigurazione. «Dice altro, dice di onde e di tempeste», chiosa il giovane amico Christian Reimers.
In Schumann la musica – su questo le diverse testimonianze concordano – è un viaggio o il sogno di un viaggio verso territori sconosciuti, è forse – come i percorsi astrusi che traccerà ossessivamente sugli atlanti – percorso sciamanico verso altri tempi e altri luoghi, «sentiero di sogni», «strada dei canti»: «Il sistema è temperato e dunque asimmetrico e c’è uno scartamento nella direzione della bussola di cu occorre tener conto perché re diesis non corrisponde a mi bemolle e si diesis e do bemolle sono note addirittura inesistenti dunque questo è un sentiero inesplorabile ancorché è proprio su questa traccia che mi trovo quando mi rivolgo al nord» come si legge nel delirio sinestesico della seconda seduta sciamanica in Australia raccontata da un contagiato Reimers in uno dei suoi diari.
Ma c’è dell’altro. La perdita di contatto con la musica da parte di Schumann nel ricovero di Endenich sta non solo e non tanto nella perdita di agilità manuale o di capacità tecnica, e nemmeno nella confusione crescente in cui sprofonda l’atto del suonare e del comporre, sostituito da surrogati come giochi matematici, compulsazione di atlanti e soprattutto dal domino, che da gioco diventa codice cifrato; sta, probabilmente, nella perdita di ogni contatto con il “tempo”, nel rallentamento del tempo fino all’immobilità (lo nota, in una sua lettera, il solito Christian Reimers); un sintomo del degrado mentale di Schumann stava, già prima del ricovero, nel rallentamento dei tempi fino all’estenuazione; ora tutto, nella clinica, a confronto con lo scorrere naturale del tempo nelle vie attorno, «si arresta, in attesa della guarigione, della follia conclamata o della morte». La musica di Schumann muore così, nel dilatarsi insopportabile del tempo fino alla stasi definitiva.

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La scheda del libro
Memoriali sul caso SchumannIl 27 febbraio 1854, in piena crisi artistica ed esistenziale, Robert Schumann esce dalla propria abitazione di Düsseldorf e si butta nelle fredde, nere acque del Reno. Salvo per miracolo, viene affidato alle cure del dottor Richarz e internato nel manicomio di Endenich, dove rimarrà fino alla morte, perseguitato da voci incorporee che lo accusano di non essere l’autore della sua musica e solo occasionalmente visitato da allievi e protetti, fra cui il prodigioso Johannes Brahms. Non rivedrà mai più l’amata moglie Clara e i figli.
Intorno a questa follia – e alle enigmatiche “Variazioni del fantasma”, che Schumann sosteneva gli fossero state dettate dallo spettro di Franz Schubert – Filippo Tuena costruisce un romanzo a incastro dalla presa magnetica, un congegno narrativo che dissimula la finzione come un raffinato trompe l’oeil ottocentesco e sfrutta sei punti di vista diversi – da un’anziana amica di Robert e Clara a Ludwig Schumann, affetto dallo stesso male del padre – per sondare il mistero che ancora circonda gli ultimi anni di Schumann e i suoi rapporti con la moglie e con Brahms, l’allievo dal volto angelico arrivato nella vita della coppia sei mesi prima del tentato suicidio e destinato a giocare un ruolo centrale non solo nella vita del Maestro, ma anche nella storia della musica.
Abilissimo come sempre nel mescolare verità storica e rielaborazione immaginifica, Filippo Tuena utilizza lettere, stralci di diari, partiture per raccontare una storia di arte e pazzia che ha i toni foschi di un romanzo gotico, e che attraverso la vicenda emblematica di Schumann esplora i rapporti della civiltà europea con la morte e l’aldilà, con la religione e la scienza, e da ultimo con la musica, «corpo spirituale del mondo», suo pensiero in scorrimento . Il risultato è un romanzo che si legge con la voracità di “Dracula” o “L’abbazia di Northanger”, una storia di fantasmi la cui scoperta più spaventosa è l’impossibilità di capire fino in fondo l’altro.

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SPECIALE PREMIO CAMPIELLO 2015 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/09/11/speciale-premio-campiello-2015/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/09/11/speciale-premio-campiello-2015/#comments Fri, 11 Sep 2015 14:44:42 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6879 SPECIALE PREMIO CAMPIELLO 2015

Sabato 12 settembre verrà decretato il vincitore della 53^ edizione del prestigioso premio letterario tra i seguenti cinque finalisti: Marco Balzano, Paolo Colagrande, Vittorio Giacopini, Carmen Pellegrino, Antonio Scurati. Sul post, i contributi speciali di Letteratitudine

Concorrono per la vittoria finale della 53^ edizione del Premio Campiello Marco Balzano con L’ultimo arrivato (Sellerio), Paolo Colagrande con Senti le rane (Nottetempo), Vittorio Giacopini con La Mappa (Il Saggiatore), Carmen Pellegrino con Cade la terra (Giunti) e Antonio Scurati con Il tempo migliore della nostra vita (Bompiani).

I CONTENUTI SPECIALI DI LETTERATITUDINE

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L'ultimo arrivato

Marco Balzano - L’ultimo arrivato (Sellerio)

Negli anni Cinquanta a spostarsi dal Meridione al Nord in cerca di lavoro non erano solo uomini e donne pronti all’esperienza e alla vita, ma anche bambini a volte più piccoli di dieci anni che mai si erano allontanati da casa. Il fenomeno dell’emigrazione infantile coinvolge migliaia di ragazzini che dicevano addio ai genitori, ai fratelli, e si trasferivano spesso per sempre nelle lontane metropoli. Questo romanzo è la storia di uno di loro, di un piccolo emigrante, Ninetto detto pelleossa, che abbandona la Sicilia e si reca a Milano. Come racconta lui stesso, “non è che un picciriddu piglia e parte in quattro e quattr’otto. Prima mi hanno fatto venire a schifo tutte cose, ho collezionato litigate, digiuni, giornate di nervi impizzati, e solo dopo me ne sono andato via. Era la fine del ‘59, avevo nove anni e uno a quell’età preferirebbe sempre il suo paese, anche se è un cesso di paese e niente affatto quello dei balocchi”. Ninetto parte e fugge, lascia dietro di sé una madre ridotta al silenzio e un padre che preferisce saperlo lontano ma con almeno un cenno di futuro. Quando arriva a destinazione, davanti agli occhi di un bambino che non capisce più se è “picciriddu” o adulto si spalanca il nuovo mondo, la scoperta della vita e di sé. Ad aiutarlo c’è poco o nulla, forse solo la memoria di lezioni scolastiche di qualche anno di Elementari. Ninetto si getta in quella città sconosciuta con foga, cammina senza fermarsi, cerca, chiede, ottiene un lavoro. E tutto gli accade come per la prima volta…

LEGGI su LetteratitudineNews l’autoracconto di MARCO BALZANO (dedicato a “L’ultimo arrivato” – Sellerio)

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Senti le ranePaolo Colagrande - Senti le rane (Nottetempo)

Al tavolino di un bar, Gerasim racconta a Sogliani la storia di un terzo amico seduto poco più in là, ed è una storia molto avventurosa. Ebreo convertito al cattolicesimo per chiamata divina, Zuckermann prende i voti e diventa “il prete bello” di Zobolo Santaurelio Riviera, località balneare di “fascia bassa”: agli occhi dei fedeli passa per un santo, illuminato, alacre e innocente. Ma un pomeriggio di fine estate, mentre intorno al suo nome diventano sempre più insistenti le voci di miracoli, a Zuckermann si offre la visione della Romana, la figlia diciassettenne di due devoti parrocchiani. Da lì in poi, fra pallidi tentativi di espiazione, passioni e gelosie, cui fanno da contrappunto le vaneggianti digressioni di Gerasim e Sogliani, dall’Uomo vitruviano agli etologi fiamminghi, dagli asceti di Costantinopoli all’Ikea, da Rossella O’Hara all’olio di nespolo babilonese, lentamente si consuma una tragedia sentimentale che travolge l’intera comunità e trova il suo epilogo in riva a un fosso…

LEGGI su LetteratitudineNews l’autoracconto di PAOLO COLAGRANDE (dedicato a “Senti le rane” – Nottetempo)

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La mappaVittorio Giacopini - La mappa (Il Saggiatore)

Monti, laghi, colline, forre, fortilizi e contrafforti, borghi, strade, slarghi: vedere tutto, come se si fosse per aria, e tutto rappresentare in una mappa, con dettagli minuti, badando a distanze, rilievi, proporzioni: squadrare il mondo, illuminarlo, dargli ordine. E questo l’obiettivo di Serge Victor, ingegnere-cartografo al seguito di Napoleone durante la Campagna d’Italia. Figlio esemplare dei Lumi, nemico di fole balzane e superstizioni, adepto dell’”Encyciopédie” di Diderot e d’Alembert – alle cui parole si aggrappa con una devozione non lontana dal fideismo che la Rivoluzione si era incaricata di smantellare -, Serge Victor riceve l’ordine dal Generale in persona di riprodurre i corsi e i ricorsi della Campagna, di fermare su carta e nel tempo i nuovi confini d’Italia, che il demiurgo Napoleone, N., l’Imperatore, va ridisegnando e riplasmando, sempre più a suo piacimento. Così, mentre il còrso conquista la penisola e, non pago, invade l’Egitto, Serge lavora alla sua magnum opus, in compagnia di uno scalcinato poeta tutto sdegno e fervore e dell’ammaliatrice Zoraide, la sua Maga, che della ragione rappresenta il doppio, il sonno, e prefigura l’assedio portato ai Lumi dalle sotterranee pulsioni che, nella Storia come nell’animo dell’uomo, non conoscono sopore.

LEGGI su LetteratitudineNews l’autoracconto di VITTORIO GIACOPINI (dedicato a “La mappa” – Il Saggiatore)

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Cade la terraCarmen Pellegrino - Cade la terra (Giunti)

Alento è un borgo abbandonato che sembra rincorrere l’oblio, e che non vede l’ora di scomparire. Il paesaggio d’intorno frana ma, soprattutto, franano le anime dei fantasmi che Estella, la protagonista di questo intenso e struggente romanzo, cerca di tenere in vita con disperato accudimento. Voci, dialoghi, storie di un mondo chiuso dove la ricchezza e la miseria sono impastate con la stessa terra nera. Capricci, ferocie, crudeltà, memorie e colpe di un paese condannato a ritornare alla terra. Come tra le quinte di un teatro ecco aggirarsi un anarchico, un venditore di vasi da notte, una donna che non vuole sposarsi, un banditore cieco, una figlia che immagina favole, un padre abile nel distruggerle. Con Carmen Pellegrino l’abbandonologia diviene scienza poetica. E questo modo particolare di guardare le rovine, di cui molto si è parlato sui giornali e su internet, ha finalmente il suo romanzo.

ASCOLTA, cliccando sul pulsante “audio”, la puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” con CARMEN PELLEGRINO (dedicata a “Cade la terra” – Giunti)

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Il tempo migliore della nostra vitaAntonio Scurati - Il tempo migliore della nostra vita (Bompiani)

Leone Ginzburg rifiuta di giurare fedeltà al fascismo l’8 gennaio 1934. Pronunciando apertamente il suo “no”, imbocca la strada difficile che lo condurrà a diventare un eroe della Resistenza. Un combattente mite, integerrimo e irriducibile che non imbraccerà mai le armi. Mentre l’Europa è travolta dalla marcia trionfale dei fascismi, questo giovane intellettuale formidabile prende posizione contro il mondo servile che lo circonda e la follia del secolo. Fonderà la casa editrice Einaudi, organizzerà la dissidenza e creerà la sua amata famiglia a dispetto di ogni persecuzione. Questa è la sua storia vera dal giorno della sua cacciata dall’università fino a quello in cui è ucciso in carcere. Nel racconto rigoroso e appassionato con il quale Scurati le rievoca, accanto a quella di Leone e Natalia Ginzburg, scorrono però anche le vite di Antonio e Peppino, Ida e Angela, i nonni dell’autore, persone comuni nate negli stessi anni e vissute sotto la dittatura e le bombe della Seconda guerra mondiale. Dai sobborghi rurali di Milano convertiti all’industria ai vicoli miserabili del “corpo di Napoli”, di fronte ai fucili spianati, le esistenze umili di operai e contadini, artisti mancati e madri coraggiose entrano in risonanza con le vite degli uomini illustri. Accostando i singoli ai grandi eventi, attraverso documenti, fotografie e lettere, ricordi famigliari e memoria collettiva, Antonio Scurati resuscita il nostro passato.

ASCOLTA, cliccando sul pulsante “audio”, la puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” con ANTONIO SCURATI (dedicata aIl tempo migliore della nostra vita” – Bompiani)

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Altre informazioni sulla 53^ edizione del PREMIO CAMPIELLO

Per la prima volta la finale del Premio Campiello verrà trasmessa in diretta sul satellite. La cerimonia conclusiva della 53^ edizione del concorso letterario promosso da Confindustria Veneto andrà in onda sabato 12 settembre a partire dalle ore 20.05 sul canale 832 di Sky e Tivùsat.

La serata verrà inoltre trasmessa in diretta sul digitale terrestre dalle tv del Consorzio Reti Nord Est, che comprende Telenuovo, Telechiara, TVA Vicenza ed Antennatre, a copertura di tutte le province del Veneto, del Trentino Alto Adige, del Friuli Venezia Giulia e delle province di Mantova e Brescia per la Lombardia, Ferrara per l’Emilia Romagna. La cerimonia sarà visibile anche in streaming sul sito delle televisioni del Consorzio Reti Nord Est.

Per il terzo anno consecutivo lo spettacolo sarà condotto da Geppi Cucciari e Neri Marcorè, che torneranno sul palco della Fenice a proporre un connubio tra momenti d’intrattenimento, approfondimento culturale e dialogo con gli autori finalisti. La serata finale sarà organizzata dalla casa di produzione ITV MOVIE, che tra le principali produzioni televisive ha realizzato Italialand con Maurizio Crozza, G’Day con Geppi Cucciari, Glob spread con Enrico Bertolino e Volo in diretta con Fabio Volo.

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La vita prodigiosa di Isidoro SifflotinIl vincitore del Premio Campiello Opera Prima è Enrico Ianniello La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin (Feltrinelli).

Sulla caviglia dello stivale Italia, là dove sta l’osso pezzillo, nasce il nostro eroe, Isidoro Sifflotin. Nella casetta di Mattinella, che sta su da trecento anni e “non crollerà mai”, il prodigioso guagliunciello Isidoro affina una dote miracolosa, ricevuta non si sa come da Quirino, il padre strabico, poetico e comunista, e da Stella, la mamma pastaia. Qual è questa dote? La più semplice: Isidoro sa fischiare, e fischia in modo prodigioso. Con il suo inseparabile merlo indiano Alì dagli sbaffi gialli, e l’aiuto di una combriccola stralunata, crea una lingua nuova, con tanto di Fischiabolario, e un messaggio rivoluzionario comincia magicamente a diffondersi. Proprio quando il progetto di un’umanità felice e libera dal bisogno sta per prendere forma, succede qualcosa che mette sottosopra l’esistenza di Isidoro. “Tutto quello che cresce si separa”: con addosso questo insegnamento di mamma Stella, Isidoro, ormai ragazzo, scopre Napoli e si imbatte, senza neanche rendersene davvero conto, in un altro linguaggio prodigioso e muto: quello dell’amore.

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Il Premio Fondazione il Campiello è stato invece assegnato a Sebastiano Vassalli per la sua opera narrativa di grande spessore etico e storico; purtroppo la recentissima scomparsa dello scrittore costringerà gli organizzatori a una consegna per interposta persona di tale premio, che Vassalli aveva accettato con grande soddisfazione rilasciando una dichiarazione che verrà riprodotta nel libretto di sala della cerimonia finale.

Su LetteratitudineNews abbiamo dedicato uno speciale in OMAGGIO A SEBASTIANO VASSALLI.

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Il vincitore verrà scelto dalla Giurati dei Trecento Lettori anonimi. I Giurati vengono selezionati su tutto il territorio nazionale in base alle categorie sociali e professionali, cambiano ogni anno e i loro nomi rimangono segreti fino alla serata finale.

Il Premio Campiello, istituito nel 1962 dagli Industriali del Veneto, è promosso e gestito dalla Fondazione Il Campiello, composta dalle sette Associazioni Industriali del Veneto e dalla loro Confindustria regionale. E’ la più importante iniziativa in campo culturale promossa da Confindustria Veneto e rappresenta uno dei pochi casi di successo in Italia di connessione concreta e strategica tra mondo dell’impresa e della cultura. Nel corso degli anni il Premio ha raggiunto il vertice delle competizioni letterarie italiane.

La 53^ edizione del Premio Campiello è realizzata sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali; riceve il patrocinio e il sostegno della Regione del Veneto ed è resa possibile grazie al concorso di: Banca Popolare di Vicenza, Eni, Manpower Group, Assicurazioni Generali, Gruppo Save, Fiera di Vicenza, Anthea, Permasteelisa Group, Adacta Studio Associato, Fiamm, SUM; in collaborazione con MUVE – Fondazione Musei Civici Venezia e Grafiche Antiga.

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SALVATORE SILVANO NIGRO e GUGLIELMO PISPISA ospiti di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 15 ottobre 2014 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/10/15/in-radio-con-silvano-nigro-e-guglielmo-pispisa/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/10/15/in-radio-con-silvano-nigro-e-guglielmo-pispisa/#comments Wed, 15 Oct 2014 13:00:49 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6540 SALVATORE SILVANO NIGRO e GUGLIELMO PISPISA ospiti di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 15 ottobre 2014 – h. 9 circa (e in replica nei seguenti 4 appuntamenti: venerdì alle h. 06:00 e alle h. 13:00, domenica alle h. 06:00, martedì alle h. 00:30)


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SALVATORE SILVANO NIGRO è stato l’ospite della prima parte della puntata di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 15 ottobre 2014.
Con Silvano Nigro abbiamo discusso del suo nuovo libro “Il portinaio del diavolo. Occhiali e altre inquietudini” (Bompiani) e delle temativhe da esso trattate.

Il portinaio del diavolo. Occhiali e altre inquietudini“Cominciai ad avvertire l’inquietudine che quegli occhiali mi avevano seminato nel momento in cui, nella mia camera, mi ritrovai a disegnarli. Più volte, sullo stesso foglio; sicché ne venne un campo di occhiali come di meloni: grandi, piccoli, appena accennati, vuoti di lenti, con le lenti [...]. Uno strano disegno, tra quelli che faccio di solito: e chi lo vedesse senza conoscere queste pagine, forse penserebbe sia venuto fuori in margine a una lettura di Spinoza, che fabbricava occhiali di quel tipo; o che fossi rimasto impressionato degli occhiali di don Antonio de Solis, in quel ritratto che adorna il frontespizio della edizione settecentesca della sua ‘Istoria della conquista del Messico’; o che avessi studiato di illustrare i versi di quel poeta arabo-siculo sulle lenti. Ed ecco che in questo momento, mentre scrivo, il fatto di ricordare queste immagini (immagini vere e proprie e immagini di parole) mi sorprende e aggiunge inquietudine all’inquietudine. Com’è che così nitidamente vedo Spinoza nella sua bottega di ottico, l’ombra della sera, le lenti come piccoli laghi in un paesaggio di manoscritti, tra le selve delle parole scritte [...]; che così nitidamente ricordo il ritratto di don Antonio, e i versi di Ibn Hamdis? Non c’è qualcosa, nelle lenti, negli occhiali, che mi suscita, remoto, imprecisabile, un senso di stupore e insieme di apprensione?”

(Leonardo Sciascia, “Todo modo”, 1974)

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GUGLIELMO PISPISA è stato l’ospite della seconda parte della puntata di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 15 ottobre 2014
Con Guglielmo Pispisa abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Voi non siete qui” (Il Saggiatore)


Voi non siete quiWalter Chiari, avvocato messinese, non è parente di Walter Chiari, attore di origini pugliesi. Non gli assomiglia neppure; d’altronde, dovrebbe? Walter Chiari – l’avvocato, s’intende – aveva una passione per la letteratura, ma ha ciso di studiare giurisprudenza perché, bravo figlio degli anni ottanta, è stato allevato nel culto del denaro. Oggi Walter Chiari ha un impiego noioso una moglie frustrata, un figlio incline ai silenzi risentiti: una vita piatta. Un giorno, però, tutto cambia. Walter torna dalle vacanze, perde il lavoro, conosce una donna sensuale e misteriosa, erede di una famiglia altolocata, e la sua esistenza si trasforma; o meglio si deforma, e Walter si trova invischiato prima in un’irrequieta relazione extraconiugale – nata letteralmente ai bordi di una strada – e poi in un piano losco e intricatissimo in cui, fra polticanti corrotti e compiacenti frammassoni, rischia di essere l’unico con una coscienza. Che è subito pronto a mettere a tacere. Eppure qualcosa non quadra. Chi è il criptico seccatore che mette in guardia Walter atttraverso Facebook? E che cosa c’entrano i massoni con un delicato sistema di comunicazioni satellitari messo a punto dall’esercito americano? le date si confondono, si aggrovigliano, si scambiano e nella Russia degli oligarchi, degli alberghi di lusso, delle prostitute in limousine Walter Chiari si trova a camminare sull’orlo dell’abisso.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa). Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

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