LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » la stampa http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 L’ESTATE CHE PERDEMMO DIO, di Rosella Postorino http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/07/06/lestate-che-perdemmo-dio-di-rosella-postorino/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/07/06/lestate-che-perdemmo-dio-di-rosella-postorino/#comments Mon, 06 Jul 2009 18:04:32 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=934 lestate-che-perdemmo-dioChe vuol dire avere colpa, quando sono proprio le tue radici la causa del tuo male, ed è così difficile liberarsene?

Qual è il confine tra colpa e innocenza?

Sono queste alcune delle domande che aleggiano sulle pagine del nuovo romanzo di Rosella Postorino, giovane scrittrice già segnalatasi con il precedente “La stanza di sopra” (Neri Pozza, 2007) molto apprezzato dalla critica e vincitore del Premio Rapallo Carige Opera Prima.
Questo nuovo libro si intitola “L’estate che perdemmo Dio” (Einaudi, € 19, p. 230). Un titolo forte, accompagnato da un incipit graffiante. Una frase urlata che segna l’inizio di un’irreversibile tragedia familiare.
I temi affrontati sono quelli dell’esilio e della forza dei sentimenti. L’esilio di chi è dovuto fuggire dalle spire ferali della ‘ndrangheta; i sentimenti di chi prova a reinventarsi dentro e fuori di sé per continuare a vivere.
Comincia tutto con quella frase: “Chi focu chi ‘ndi vinni”. Caterina aveva otto anni quando la zia la pronunciò. Adesso ne ha dodici, ma quelle parole le sono rimaste addosso. Parole di sciagura. Solo che certe sciagure non possono essere combattute. Bisogna andarsene, scappare; ché la ‘ndrangheta uccide. Quattro, i fuggiaschi verso l’Altitalia: Salvatore, il padre; Laura, la madre; Caterina, la figlia maggiore; Margherita, la piú piccola. Quattro esseri umani costretti a voltare le spalle alle proprie radici e a cercare salvezza e libertà in luoghi distanti, che non sono i loro. Ma poi Salvatore deve tornare indietro. E nella vicenda si aprono nuovi squarci.
La Postorino consegna una storia dura, dolente; resa al lettore con stile sferzante e linguaggio fluviale, dal quale emerge la “voce” di una ragazzina che è dovuta crescere troppo in fretta.
Nonostante la giovanissima età, Caterina percepisce il peso delle proprie origini; ne sente quasi il marchio sulla pelle. Eppure non si rassegna: «Piú di tutti, di tutti quanti loro, di tutta la loro famiglia messa assieme, piú di chiunque altro, Caterina lo ha preteso. Il diritto di essere felice. Loro no, non ci avevano mai pensato. Come se la felicità includesse anche un prezzo da pagare, un prezzo raddoppiato, lì dove è nato il padre si vive nel solco di una disgrazia sempre in agguato, non per paura, non per senso di minaccia, per fatalismo piuttosto, non si è altro che pedine nelle mani di Dio, non si può osare chiedere di piú, non si può scegliere».
Vorrei approfondire la conoscenza di questo libro insieme a voi e all’autrice (che parteciperà al dibattito). E contestualmente vorrei discutere dei temi che esso tratta.
Per favorire la discussione, come al solito, tento di porre qualche domanda ripartendo da quelle che hanno aperto il post:

Che vuol dire avere colpa, quando sono proprio le tue radici la causa del tuo male, ed è così difficile liberarsene?

Qual è il confine tra colpa e innocenza?

E poi… fino a che punto è possibile liberarsi delle proprie radici, pur essendo radici malefiche?

Viceversa… è sempre giusto mantenere saldi i legami con la propria famiglia, a prescindere da tutto?

Che tipo di responsabilità ha la società (se c’è l’ha) nei confronti dei bambini appartenenti a famiglie legate alla criminalità organizzata?

Per una ragazzina che vive una situazione simile a quella della protagonista di questo romanzo è davvero possibile raggiungere la felicità? E in che modo?

Di seguito, la recensione di Sergio Pent apparsa su Tuttolibri de La Stampa.

Massimo Maugeri

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Quando il sole è negato ai bambini
Una famiglia del Sud in fuga verso l’«Altitalia», dove nessuno possa ferirne il futuro

di SERGIO PENT

«I bambini ci guardano», recitava il famoso film di Vittorio De Sica. I bambini nutrono la vita e la giustificano, ma sono spesso gli adulti ad agire per primi sulla spinta delle emozioni istintive, degli impulsi selvaggi, dei raziocini maltrattati. I bambini hanno fatto la recente fortuna letteraria di Ammaniti – vittime inconsapevoli, miniature dell’eterno disagio adulto – e troviamo tracce di infanzie – più malmostose e infingarde, talvolta, ma sempre giustificabili – in certe belle storie di Simona Vinci, Diego De Silva, fino ai deliri rurali e goticheggianti di Eraldo Baldini.
Rosella Postorino è riuscita, già al secondo romanzo, a imporsi nella mente del critico-lettore come una scommessa vincente della nostra narrativa. Linguaggio scaltro e vigoroso, capacità introspettive assai più mature di quello che l’età – 29 invidiabili anni – lascerebbe supporre, senso del romanzo inteso come materia da modellare con abilità e gusto: tutto questo testimonia la presenza di una scrittrice vera, che racconta storie disagiate e strazianti dal punto di vista di una che sembra aver letto tutti i libri indispensabili. E alcuni anche li cita, in chiusura di romanzo, senza per questo averci tolto il gusto di ritrovarli, sulla pagina e nel cuore.
Sono omaggi necessari, poiché tutto ciò che amiamo ritorna, nel gioco sempre nuovo dei rimandi e degli accostamenti, delle sensazioni e delle riscoperte. Ma c’è – in più – la voglia di straziare il lettore con il senso di un disagio estremo, assoluto, in tempi di lotta sempre aperta con i tentacoli del Male.
Un male che allontana Caterina di nove anni e la sorellina Margherita di quattro – insieme ai genitori Salvatore e Laura – dal sole e dalla spensieratezza naturale di Nacamarina, il paese del Sud in cui, in un’estate degli Anni Ottanta, arriva un urlo che annuncia il «focu», la sciagura. In quella landa assolata e baciata dal mare, la guerra è ricominciata, ed è una guerra di adulti che si uccidono in tempo di pace, una guerra in cui anche gli amici muoiono o mettono in pericolo la loro famiglia.
Per questo Salvatore lascia il paese e porta la sua famiglia al sicuro, lontano, in «Altitalia», dove nessuno potrà ferire il loro futuro. Ma tre anni dopo Salvatore è costretto a tornare, per la tragica morte del cognato – N’toni – e per rimettere insieme ciò che resta del passato.
In questa odissea del distacco momentaneo, l’autrice riallaccia tutti i nodi della storia, dal punto di vista di Salvatore e Laura, della piccola e ancora inconsapevole Margherita, ma soprattutto di Caterina, che – ormai dodicenne – sogna un futuro sereno in cui possano trovare spazio i suoi desideri e la volontà di crescere senza paure.
E si incontrano, i sogni e la realtà, in un miscuglio di eroi dei cartoni animati e primi innamoramenti, memorie familiari e lettere a un ragazzo rapito proprio giù dalle sue parti – Cesare Casella – fino al ricordo di zio N’toni, lo zio pacato e sorridente, il padre di Lena e di Giacomo, ultima vittima di una guerra che i telegiornali chiamano in un altro modo.
La storia familiare si intreccia, nella solenne e mai faticosa lentezza del romanzo, con la storia di un Paese in cui l’onestà deve tramutarsi in fuga per sopravvivere, e lo spaesamento diventa rimpianto, rancore, ma anche voglia di riappropriarsi di una vita a cielo aperto.
Verga, Vittorini, grandi nomi che ritornano tra le pieghe di un libro sofferto e maturo, che non concede nulla al relax del lettore, ma lo sfida – e lo accoglie – nel calore unico delle narrazioni importanti, quelle a cui – senza tante discussioni e senza gossip da primedonne di un reame a corto di lettori – si dovrebbe assegnare a scatola chiusa qualcuno dei nostri premi nominalmente più prestigiosi.

Autore: Rosella Postorino
Titolo: L’estate in cui perdemmo dio
Edizioni: Einaudi
Pagine: 344
Prezzo: euro 19

(fonte: Tuttolibri, in edicola sabato 30 maggio)

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TOPOLINO COMPIE SESSANT’ANNI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/04/03/topolino-compie-sessantanni/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/04/03/topolino-compie-sessantanni/#comments Fri, 03 Apr 2009 16:47:09 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/04/03/topolino-compie-sessantanni/ Il celebre Mickey Mouse ideato da Walt Disney debuttò il 18 novembre 1928 al Colony Theatre di New York, nel cortometraggio Steamboat Willie: opera vagamente ispirata allo Steamboat Bill di Buster Keaton, celebre attore del cinema muto.
Da noi in Italia, il topo più famoso del mondo è stato ribattezzato con il nome di Topolino; e proprio in questi giorni ha festeggiato il suo sessantesimo compleanno. Il primo vero italico fumetto del simpatico topo dalle grandi orecchie nere uscì proprio nell’aprile del 1949 (pubblicato da Mondadori). Ho pensato di dedicare un post (extraletterario… ma fino a un certo punto) a questo personaggio che un po’ tutti amiamo e abbiamo amato.
Intanto vi chiedo di fargli gli auguri, magari dedicandogli un pensiero. E poi mi piacerebbe allargare la discussione al fumetto in generale.
Così vi domando:
- che rapporti avete (o avete avuto) con il celebre Topolino ideato da Walt Disney?
- che rapporti avete (o avete avuto) con i fumetti in generale?
- quali sono (o sono stati) i vostri preferiti?
- qual è, a vostro giudizio, la valenza culturale dei fumetti?
- li considerate “cultura” o “sottocultura”?

Di seguito avrete la possibilità di leggere due articoli pubblicati su Il Giornale (a firma di Marco Lombardo) e su La Stampa (a firma di Guido Tiberga).

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Da IL GIORNALE del 1° aprile 2009

I 60 anni di Topolino: ecco come nacque
di Marco Lombardo

L’antenato di Topolino? Il Corriere dei Piccoli, almeno qui in Italia, il giornale cioè dove le storie disneyane provenienti dall’America trovarono maggiore spazio per farsi conoscere al pubblico di casa nostra. Un inizio difficile, ma un successo inesorabile se si pensa al marchio che dal 1949 oggi è diventato nel campo dei fumetti la storia del topo di Walt, che da noi domani festeggia appunto i 60 anni: i 60 anni di Topolino.
Ecco insomma il compleanno del fumetto più conosciuto al mondo, che in Italia ha vissuto e vive di luce propria grazie a una scuola di disegnatori che ci invidiano perfino gli americani. Su tutti, naturalmente, il progenitore: Romano Scarpa, classe 1927, morto nel 2005, l’uomo che ha inventato Topolino in Italia e soprattutto alcuni personaggi inediti come Trudy, Atomino Bip Bip, Codino, Bruto, Filo Sganga, Sgrizzo Papero e Paperetta Yè Yè. Il maestro, insomma, che già agli albori del giornalino cominciò a imprimere a Topolino un’impronta tutto made in Italy: «Ho sempre pesato che il successo di Topolino come giornale e come storie – ha detto in passato – dipendesse dal fatto che non voleva essere pedantemente istruttivo». Infatti.
Ed ecco appunto allora perché – giusto 60 anni fa – avvenne il grande scisma (oggi lo chiamerebbero spin-off) che ha creato un successo. Il Corriere dei Piccoli infatti, già dal 1908 era dedicato a un pubblico di bambini ai quali insegnare morale ed educazione attraverso le tavole disegnate. L’arrivo di Mickey Mouse dall’America scombinò il giornale: da una parte le tradizionali storie in rima, dall’altra trame ricche di azione e umorismo che divennero piano piano pane per i patiti dei «comics» americani, anche se in quei tempi la parola era vietatissima. Topolino in realtà esordì nel Natale del 1932, quando nelle edicole italiane arrivò edito da Giuseppe Nerbini.
Nell’agosto del 1935 il passaggio alla Mondadori, ma è solo dopo la guerra e con la rinascita alle viste, che si sentì l’esigenza di pubblicare Topolino con l’attuale formato e in maniera seriale, creando così un dualismo che tenne ancora per almeno tre decenni, fini al tramonto del vecchio Corrierino. Così ecco Topolino, anno appunto 1949: «Il Corriere dei Piccoli – ha detto ancora Scarpa – non ha mai contrastato il passo a Topolino proprio perché era pedagogico. Ma un ragazzo quando è andato a scuola e ha imparato non vuole leggere un fumetto per studiare ancora. Vuole ancora divertirsi». E così fu, da quell’aprile del ‘49 che diede alla luce un prodotto che stupì perfino la casa madre: storie adattate alla realtà di tutti i giorni secondo il motto dell’«impossibile plausibile» e firmate da disegnatori d’eccezione e totalmente autonomi dall’America. Unico obbligo, per i primi anni, quello di siglare tutte le tavole «Walt Disney» e fu per questo che la scuola italiana di Topolino fu conosciuta solo più tardi, quando insomma l’arte di casa nostra potè staccarsi dagli obblighi imposti dalla casa americana.
Oggi, a 60 anni dal numero 1, Topolino festeggia con un concorso che ha portato dodici storie ad essere le finaliste: saranno i lettori infatti – sia via giornale che on line – a decretare le migliori 5. Che a settembre usciranno su un «Topolino Gold» che diventerà anche un «Topolino Gold on-demand» per chi invece non si accontenterà della classifica finale e se la vorrà fare personalmente. Insomma, per il giornalino che ha fatto crescere milioni di italiani, sarà una vera festa.

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Da LA STAMPA del 30/3/2009
L’Italia vista da Topolino

Dalla Guerra fredda a Brunetta, sessant’anni di cronaca nelle pagine del settimanale
di GUIDO TIBERGA

L’ingenuo ottimismo degli Anni Cinquanta, l’euforia del boom economico, la contestazione giovanile, l’Italia da bere, il riflusso, la deriva tecnologica, la fine delle grandi ideologie. Niente riesce a raccontare un paese che cambia come la raccolta di un giornale, i suoi temi, le sue immagini, le sue pubblicità. Succede sempre, anche quando meno te lo aspetti. Anche quando il giornale si rivolge ai bambini, anche quando si chiama «Topolino».
Sessant’anni fa, nell’aprile del ’49, arrivava nelle edicole il giornalino che conosciamo oggi: piccolo, tascabile, figlio di un’economia prudente che non lasciava nulla al caso. Arnoldo Mondadori aveva appena preso i diritti per «Selezione del Reader’s Digest», il mensile più venduto dei tempi. Una rivista che sembrava un libretto aveva bisogno di macchine da stampa particolari, il cui costo andava ammortizzato dall’uso. E così, nei tempi lasciati liberi da «Selezione», Mondadori decise di stampare il nuovo «Topolino», che fino a quel momento era uscito in formato grande, su carta opaca, appena qualche centimetro in meno dei quotidiani di oggi.
Da allora niente è cambiato per cambiare tutto: stessi personaggi, stesso mondo infantile fatto di orecchie giganti, becchi arancioni e cani parlanti. Ma storie e situazioni profondamente diverse.

I comunisti
L’Italia che si affaccia ai Cinquanta è divisa tra le proprie chiusure e la voglia di guardare lontano. Il mondo non ha dimenticato la guerra ma la pace riconquistata è fragile. «Topolino» è a mezza via tra l’Italia e l’America, tra i giovani autori nostrani e le grandi firme del fumetto yankee.
Guido Martina, un professore di lettere che da Carmagnola si era spostato presto verso la capitale, sfida l’ira degli intellettuali e mette in scena una Commedia in salsa Disney: Topolino è Dante, Pippo è Virgilio. Lo scopo è insegnare divertendo, facendo ridere i bambini che leggono e sorridere i padri che scuciono le sessanta lire per portarsi a casa le 96 paginette di «Topolino».
Le storie americane tradotte parlano di cose truci. I marines invadono la Corea, scoppia la Guerra fredda, e i ragazzini italiani si leggono «Eta Beta e il tesori di Mook», una storia di Floyd Gottfredson (lo stesso che negli Anni Trenta deliziava i figli di Mussolini) dove il Topo dalle grandi orecchie si ritrova catapultato in un paese che sembra proprio la Russia. Anzi, è la Russia: carri armati per le strade, generali da parata carichi di medaglie. E poco importa che i tank siano di cartone e la gente costretta a sorridere dai «ganci tira bocca» che il governo obbliga tutti a indossare. I comunisti italiani del tempo hanno cose più importanti da fare e lasciano correre. Quarant’anni più tardi, a Muro di Berlino caduto, una parodia tutta italiana del film di Lubitsch «Ninotchka», con Minnie al posto della Garbo e Mickey Mouse nei panni di Melvyn Douglas, feroce nelle sue accuse a un fantomatico «partito egualista», provocherà proteste, polemiche e interrogazioni parlamentari. Sono i cambiamenti della vita quotidiana che più degli altri emergono dalle pagine di «Topolino», nelle rubriche redazionali o nelle storie scritte dagli autori italiani: la prima televisione, l’epopea di Lascia e Raddoppia, i Festival televisivi. Agli albori degli Anni Sessanta, mentre il Paese si riempie di Fiat Seicento, il settimanale pubblica la storia «Paperino alla scoperta dell’Italia», dove l’intera tribù dei paperi scorrazza sulle autostrade appena inaugurate.
Qualche anno più tardi un personaggio nuovo, Paperetta Ye Ye, rappresenta sulle pagine del giornale le bistrattate ragioni dei beatnik, fino a quel punto presi allegramente per i fondelli in più di una storia. Ancora qualche tempo e l’austerity delle domeniche a piedi farà la sua comparsa anche nelle città di paperi e topi, con Archimede Pitagorico pronto a inventarsi ingegnose soluzioni per viaggiare senza consumare petrolio.

Berlusconi
La progressiva crescita degli autori italiani trascina sulle pagine di «Topolino» i nomi più illustri del Paese, prima in forma mascherata, poi senza più remore. Nel ’90, Bruno Concina e Giovanni Battista Carpi s’inventano un incontro a Parigi tra Zio Paperone e una coppia di straricchi italiani. Il primo è elegantissimo con una cravattona rossa a pois neri e un’automobilina legata al dito, il secondo in blu d’ordinanza con i biscione di Canale 5 stampato sul cilindro: Gianni Agnelli e un non ancora sceso in campo Silvio Berlusconi.
Sono i primi di una serie infinita: cantanti, calciatori, giornalisti televisivi. Alcuni neppure troppo conosciuti dai bambini. «E’ il principio della doppia lettura – spiega Valentina De Poli, direttore del settimanale -. I padri che leggevano Topolino da piccoli lo riprendono in mano e vedono qualche rimando al loro mondo di adulti. Quello che non capiscono i ragazzini, lo capiscono i genitori…». L’ultimo caso arriva nel numero del sessantesimo compleanno. Macchia Nera minaccia Topolino e lo chiama «Ficcanaso tascabile». Tascabile, proprio come il ministro energumeno che qualche mese fa ha fatto infuriare Massimo D’Alema.

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