LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » lingua http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 RECENSIONI INCROCIATE n. 10: Alessandro Cascio, Sergio Sozi http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/12/23/recensioni-incrociate-n-10-alessandro-cascio-sergio-sozi/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/12/23/recensioni-incrociate-n-10-alessandro-cascio-sergio-sozi/#comments Wed, 23 Dec 2009 06:22:18 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=1492 recensioni-incrociate.jpgQuesta nuova puntata de Le recensioni incrociate di Letteratitudine, trae origine da quest’altra che vedeva come protagonisti dell’incrocio Enrico Gregori e Francesco (Didò) Di Domenico. In quell’occasione promisi a Sergio Sozi e ad Alessandro Cascio un incrocio letterario (che avrà modo di svilupparsi – appunto - in questo post).
Devo dire che sono particolarmente lieto di questa combinazione, perché credo che Sergio Sozi e Alessandro Cascio siano molto diversi come approccio alla scrittura e come modo di scrivere. Ma quando le differenze diventano occasione di sano confronto – così come sarà nell’ambito di questa discussione -non possono che contribuire a una crescita comune.
I libri oggetto dell’incrocio sono “Menu” di Sergio Sozi (edito da Castelvecchi) e “Touch and splat” di Alessandro Cascio (edito da Historica).
Nemmeno a farlo apposta sembra che un libro faccia “il verso” all’altro (e viceversa). Se dal libro di Sozi emerge una sorta di condanna contro l’imbastardimento anglofono della lingua italiana (“parliamo una neolingua conosciuta come angloitalo“), il libro di Cascio risponde con un titolo in inglese (“Touch and splat“).
Colgo subito l’occasione, dunque, per introdurre i temi di discussione che vi propongo parallelamente a quello sui due libri.
Ecco le domande del post…

La lingua italiana rischia davvero di essere imbastardita dall’inserimento di termini provenienti da altre lingue?

Fino a che punto questa sorta di commistione può essere considerata contaminazione in senso negativo?

Qual è il discrimine e – soprattutto – chi (e come) dovrebbe decidere il limite entro cui tale commistione è arricchimento e normale evoluzione (superato il quale diventa, invece, svilimento della lingua)?

Certo, vedere la propria lingua perdere identità potrebbe generare anche rabbia…

E a proposito di rabbia (riferendomi al libro di Cascio) passiamo all’altro tema del post. E domando…

La società in cui viviamo è particolarmente rabbiosa? Più rabbiosa di quelle del passato?

Quale potrebbe essere un “giusto” antidoto contro la rabbia dilagante?

Seguono le recensioni incrociate di Alessandro e Sergio… più ulteriori recensioni dei due libri firmate da Salvo Zappulla (sul libro di Sozi) e Sacha Naspini (sul libro di Cascio).
Massimo Maugeri


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Il Menu” (Castelvecchi) di Sergio Sozi

recensione di Alessandro Cascio

Nel 2002, il visionario e geniale Kurt Wimmer, grande sceneggiatore ma regista di nicchia, scrisse e diresse Equilibrium, che narra le sorti di un’umanità priva di pensiero ed emozione, d’arte e cultura, confinata nella nazione della Libria. Il film in Italia non ebbe molto successo, ma solo perché la massa è balorda: se così non fosse ci sarebbe più gente ai musei che a teatro e forse, dopo tempo, i cross di Del Piero si ammirerebbero come fossero “arabesque et battement” di danza classica e sulle tribune del Petruzzelli nascerebbero schiere di Ultras che patteggiano per protagonisti e antagonisti con tanto di striscioni che inneggiano Romeo a lasciare quella calamità di Giulietta per la bella Rosalina. Io con i balordi ci sto bene, vivo in Sicilia, uno dei paesi più mafiosi del pianeta, ma a giudicare dal suo Il Menu, edito da Castelvecchi, lo scrittore Sergio Sozi non si limita soltanto a odiarli, ma ne delinea ironicamente ogni tratto, immaginandone la decaduta, tramutandoli in deficienti con comportamenti da primati, privi di alcuna attività mentale creativa. Per chi come me ama più il cinema che la letteratura, il paragone con Kurt Wimmer sarà un onorevole riconoscimento, perché credo che Il Menu sia un Equilibrium nostrano, in cui il primo segno del decadimento è la scomparsa della Pizza, che cede il passo agli Hamburger nel lento processo di americanizzazione che accompagnerà la nostra Italia fino alla formazione della nazione del Buruguay, con capitale Washington, in cui la vecchia Roma prende il nome di New Miami, Torino prende il nome di Bulltown e Milano di Mayland. Nel Buruguay del 2050 è proibito lo studio della Storia di cui tra l’altro non si sa molto perché gli ultimi testi tramandati dall’antica civiltà italiana, sono diventati del tutto incomprensibili. Per farvi capire il cammino dell’incomprensibilità che Sozi vuole mostrarci, pensate al fatto che un tempo, l’amore ci veniva spiegato da Shakespeare e la sua prosa e adesso, invece da Moccia. Se avete abbastanza cultura antica e moderna da poter fare un confronto, potrete notare che il saggio-commedia Il Menu, non ha nulla di così catastrofista, ma si limita ad anticipare i tempi, palesemente: che è come prevedere che un uomo in volo, gettatosi dal decimo piano, prima o poi arriverà al marciapiede.
Proprio in quella futuristica nazione, l’io narrante Lukin Philippucci scopre il diario del poeta scomparso Cesare Menicucci, che con le sue strofe, narra le gesta di quel popolo estinto dopo la chiusura dell’ultima biblioteca nel 2003. Ho letto che qualcuno ha definito “Il Menu” fantascienza. Credo che Asimov si sia rivoltato nella tomba, a meno che non l’abbiano cremato (allora si sarà scombinato nell’ampolla). Le basi del romanzo fantascientifico hanno come regola principale non scritta “evitare l’ironia, il futuro è una cosa seria”. Una cosa seria non è assolutamente il romanzo di Sozi, che sì, affronta temi seri come il cammino dell’esistenza e della cultura, ma lo fa da commediografo napoletano, anche se è nato a Roma, è cresciuto in Umbria e vive in Slovenia. Basta sfogliare il romanzo e imbattersi nel linguaggio usato nel 2050, per capire di cosa sto parlando

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Touch and splat” (Historica) di Alessandro Cascio

E l’Anticristo verrà dagli Stati Uniti?

recensione di Sergio Sozi

Allora. A prender il toro per le corna, dirò subito che ”Touch and splat” è un romanzo breve col quale il sottoscritto ha poco da condividere: stilistica e ambientazione umana e territoriale (ossia gli americani e gli U.S.A.), senso di fondo e scelte lessicali e sintattiche non appartengono in alcun modo, infatti, ai miei gusti, sia attuali che precedenti. Per i motivi che tutti sapranno se appena informati delle mie pubblicazioni – poche ma ”chiare e tonde”.
Tuttavia un critico è un professionista, non un qualsiasi cittadino che legge e giustamente scarta o apprezza senza dover render conto ad altri che non siano lui stesso delle proprie selezioni. Il critico ha il dovere di capire, paragonare e soprattutto affrontare: affrontare il toro-libro per le corna, scegliendo, fra le diverse tattiche di presa a sua disposizione, quella che egli reputi la piú confacente alla bisogna, al caso in sé, ma anche la tattica che gli consenta di restare moralmente ineccepibile. Il critico secondo me, appunto, deve avere una sua morale, ma non deve permettere che essa lo soffochi e ne pregiudichi il lavorio di analisi e comprensione di un testo. Cosí anche onestà, competenza ed intelligenza, nonché amore per la cultura e per l’uomo che ne sta dietro, sono il paradigma fondante di ogni uomo vero da sempre e per sempre – all’epoca di Platone come in quella di Petronio e di Moravia. A maggior ragione questa sia allora la ”bibbia” di un critichetto qualsiasi come il sottoscritto: che un libro sia sempre guardato oggettivamente, pur senza lesinare osservazioni anche d’ordine etico-morale o d’altra natura. Libertà di opinione all’interno dell’obbligo al rispetto per l’opera umana.
Dunque, dopo questa indispensabile premessa, direi che questo libro di Alessandro Cascio sia ben inquadrabile nello specchio della litote che ne cadenza una buona parte del filmico scorrere, questa: ”Quella rabbia non vi porterà nulla di buono”.
La litote è una figura retorica che afferma qualcosa negando il suo contrario. Dire che una cosa non ti fa bene equivale a esprimere in forma attenuata l’avviso che esplicitamente direbbe invece: ”la rabbia ti fa male”.
E appunto sulla rabbia dell’uomo (moderno e americano) e sullo psicotico evolversi di questo stato emozionale alterato in furia omicida è incentrato il romanzo breve di Alessandro Cascio, il quale pone un gruppo di giovani (o forse di quarantenni?) statunitensi nella scenografia, ormai dismessa, di una locazione nella quale vennero anni prima girate grandi pellicole western – ai tempi d’oro di produzione statunitense e poi, nella decadenza, con capitali e registi italiani o spagnoli: insomma Spaghetti Western, come da denominazione ormai stranota. In tale stralunato, obliquo e mortifero panorama di cartapesta, dunque, questi giovinastri mezzo suonati si affrontano nel gioco del ”touch and splat” (letteralmente: ”Tocca e spappola”). Si tratta di una finzione-divertimento piuttosto idiota, anzi direi demenziale e sottosviluppata culturalmente: questa gente – un branco di cosiddetti conoscenti – affitta l’area dal suo proprietario e si munisce di fucili a salve per liberarsi dagli istinti omicidi repressi nel corso della vita quotidiana sparandosi addosso scariche di proiettili di gomma colorati (che addolorano ma non ammazzano).
La cronaca dell’incontro conviviale di quei grezzotti (che dovrebbe avvenire, mi sembra di capire, in tempi attuali), ovviamente contempla una ricostruzione degli antefatti – ossia i rapporti esistiti precedentemente fra i protagonisti – e include la presentazione di un progetto sperimentale di ”riabilitazione carceraria” che lo psicologo Rupert Kensington compí nei primi anni Sessanta negli U.S.A.: l’EIR (acronimo italianizzato di Experiment of Hydrophoby and Rage-regression; appunto Esperimento di Idrofobia e Regressione della rabbia).
Cos’era?
Era l’attuazione nelle carceri statunitensi della teoria che l’uomo moderno (soprattutto quello in stato di detenzione, ma anche, si lascia intendere, quello sottoposto agli obblighi della normale vita sociale) non può prescindere da un connaturato impulso all’omicidio e all’aggressione fisica, insomma da una rabbia repressa che, se non sfogata in qualche modo, può solo esplodere in reali assassini (ossia al ritorno a delinquere per gli ex galeotti).
Perciò l’EIR venne applicato – dice il romanzo nelle sue precise digressioni – offrendo ai carcerati americani l’unico sfogo di un incredibile gioco di ruolo: delle giornate nelle quali i galeotti piú miti prendevano i panni delle vittime e i galeotti piú feroci li potevano angariare senza troppi danni reali:

”L’esperimento (…), consisteva nel munire un gruppo di carcerati (soggetti attivi) di fucili in plastica a pallettoni colorati e di creare un’atmosfera del tutto simile a quella della società esterna. Per far questo si travestivano i galeotti considerati più pacati (soggetti passivi) in cassieri di supermarket, mogli, datori di lavoro, padri violenti e ogni sorta di personalità tipo che potesse scatenare impulsi idrofobi.
Attraverso una riproduzione dettagliata di ambienti e situazioni, si creava quindi la circostanza che aveva portato il soggetto attivo al compimento dell’azione criminale e gli si permetteva di tramutare la “rabbia statica” in “rabbia dinamica” (Dynamic Rage) e di far venire fuori, attraverso l’uso delle armi finte, i propri fantasmi interiori per poi liberarsene definitivamente.”
(”Touch and splat”, pp. 49 e 50).

Però il giochetto non funzionò e negli anni Settanta venne fermato dalle Autorità perché i detenuti-vittima, una volta scontata la pena, presero ad inseguire ed uccidere per le strade i delinquenti che si rendevano colpevoli di omicidi e violenze sessuali. Si erano immedesimati nella parte della vittima cosí tanto da assumere il ruolo di giustizieri.
Come, dunque, commentare nel 2009 questa colossale americanata psicotico-sperimentale? Cosí: credo che il risultato fosse ovvio (Cascio mi darà ragione, penso), poiché l’assunto del signor Kensington era del tutto erroneo, per non dir folle tout court: se si permette ai piú cattivi di esprimere la propria brutalità sui piú deboli, i deboli incattiviscono odiando i loro persecutori mentre i cattivi restano tali. La rabbia del violento, infatti, mica è come l’aria negli pneumatici, che se la lasci uscire affloscia il tubo di gomma: la violenza genera violenza. Chi semina vento raccoglie tempesta. E l’assunto di Kensington era del tutto erroneo.
Ma…
…ma questo lo consideriamo ovvio, poiché tutto ciò è stato inventato di sana pianta dal bravo Alessandro Cascio, effettivamente geniale nel creare l’intero alfabeto del suo racconto, oltre che nel tessere una storia che ha sicuramente il merito di metterci al riparo da chi voglia considerare l’uomo come uno pneumatico. Un libro, allora, ”Touch and splat”, che vorrei possedesse le valenze che meno gli si potrebbero addossare: quelle consistenti nell’avvisarci di certe teorie bislacche e postmoderneggianti. Un libro in fondo violentemente nonviolento. E mi si perdoni l’ossimoraccio.

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IL MENU di Sergio Sozi (Castelvecchi)
recensione di Salvo Zappulla

Sergio Sozi è letterato autentico, i classici sono la sua passione (Dante, Petrarca, Boccaccio i maestri a cui si ispira), l’integrità morale la sua ossessione. Integrità che a volte sconfina nella rigidità ma non vi è dubbio che il personaggio sia un puro, la stessa purezza che trasmette nelle sue opere di narrativa. E non è poco riuscire a mantenere un simile candore in un mondo in cui il successo è spesso frutto di compromessi. Questo romanzo pubblicato da Castelvecchi (Il menù, pagg. 106, €. 13,00) ci dà la conferma della sua vena istrionica, la facilità di scrittura, la fantasia scoppiettante che sconfina nel divertissement irriverente e beffardo. Sergio guarda con nostalgia al passato, pretende rispetto per la lingua italiana. Fustigherebbe volentieri quanti scrivono senza possedere gli strumenti del mestiere. I congiuntivi bisogna azzeccarli. Tutti. Le tradizioni e la storia vanno salvaguardate, nella loro interezza. Quasi un’operazione pedagogico-patriottica la sua, una chiamata alle armi in pieno spirito risorgimentale. In questo romanzo, utilizzando la brillante idea di un diario appartenente al vecchio poeta Cesare Menicucci, ci offre lo spaccato di un’Italia smarrita, senza identità, diventata satellite degli Stati Uniti, vittima di un lento ma inevitabile processo di americanizzazione. La pizza cede il passo agli hamburger. Gli eleganti abiti da sera si inchinano dinanzi a un paio di sdruciti, rozzi e scoloriti paio di jeans. La nostra amata lingua rischia di essere sostituita da quella inglese. Il progresso ha prodotto imbarbarimento. Dio ci liberi dagli avanguardisti, sperimentalisti occasionali, confusionisti e manipolatori arbitrari della nostra grammatica. Alcune riflessioni filosofiche di Sergio sono degne del miglior De Crescenzo. “Il menù” che ci offre è gustosissimo, ci invita a sorridere ma anche a riflettere con malinconia, appartiene al filone delle opere fantasatiriche e Sergio Sozi è un personaggio tutto da scoprire, per conoscerlo, amarlo o, se è il caso… evitarlo.
da ‘’La Sicilia’’ il 15 ottobre 2009

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TOUCH AND SPLAT di Alessandro Cascio (Historica)
recensione di Sacha Naspini

Solo un avvertimento: “Rilassatevi: quella rabbia non vi porterà nulla di buono.” È così che Touch and Splat di Alessandro Cascio vi attacca. Di petto, come uno spintone che ti rimette a sedere sulla poltrona, dove pensavi di andare? Quel che succede da lì in poi, non è che te lo scordi così in fretta. Touch and Splat è un western moderno? È una beffa al genere? È un’evoluzione? È un tributo a certo cinema? È… Difficile dirlo. Forse tutto questo, forse no. Forse è altro ancora. Quel che è vero, è che Alessandro Cascio mangia cinema e lo rigetta sulla pagina formulando una storia che ti fa sbalzare di qua e di là come su una strada a sterro affrontata col pedale a palla. Salti temporali e pagine come fucilate che ti fanno fare capriole da ottovolante, arrivi alla fine del giro e ti ritrovi di fronte di nuovo a quel cartello di avvertimento: “Rilassatevi: quella rabbia non vi porterà nulla di buono”. Il fatto è che se prima ce l’avevi sepolta, adesso la rabbia ti abbaia dentro come un animale. Touch and Splat è il nuovo lavoro di Alessandro Cascio. Quello che dovete fare è solo aprire questo volume, e ci lasciate le penne. Vi porta via, dalla prima pagina. Ve lo sparate in un paio d’ore e quando tornerete, per qualche minuto, non sarete più quelli di prima. Quello che vorrete, sarà ricevere una busta. Un invito che vi avverte che domenica, al vecchio West Golden Paradise, ci sarà un Touch and Splat. Unico suggerimento: “Non ammazzate nessuno, fino a quel giorno”.

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SCRITTURA SENZA GENERE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/04/15/scrittura-senza-genere/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/04/15/scrittura-senza-genere/#comments Wed, 15 Apr 2009 13:52:10 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/04/15/scrittura-senza-genere/ no-gender-in-the-language.JPGL’Unione europea ha sempre avuto a cuore il tema delle pari opportunità, anche – e soprattutto - tra i generi. Di recente, il Gruppo di alto livello sulla parità di genere e la diversità del Parlamento europeo ha pubblicato un opuscolo che sta facendo discutere, giacchè si parla di bandire ogni riferimento sessista dalle lingue europee.
Come mi scrive Diego Marani in una mail: “queste direttive linguistiche sono unicamente interne, rivolte ai parlamentari e ai funzionari. E hanno suscitato pesanti critiche proprio di un gruppo di eurodeputate italiane”.
Tuttavia il segnale lanciato è importante e significativo.
Il Domenicale del Sole24Ore del 22 marzo 2009 fa ha dedicato la prima pagina all’argomento con due articoli firmati da Diego Marani (già citato) e Giuseppe Scaraffia. Intrigante, il sottotitolo: la Ue vuole cancellare le differenze di genere nelle lingue europee. Cosa accadrà ai personaggi della letteratura, dalla Bovary a Maigret?
“Dovremo abolire qualche dottoressa e non potremo più fare un complimento a una tardona chiamandola signorina”, scrive Marani. “Anzi, perderemo anche la tardona e addio sogni erotici adolescenziali. Ma per il resto usciremo quasi indenni dalla castrazione linguistica europea. L’inglese invece avrà vita dura. Ogni fireman dovrà trasformarsi in fireperson, a portare le lettere sarà il postperson, e nella city saranno tutti businesspersons. La First Lady sarà degradata a First Woman e chissà come la si metterà con la girlfriend”.
Giuseppe Scaraffia va oltre e immagina l’applicazione delle suddette regole in letteratura. La versione purgata del più celebre romanzo di Flaubert si dovrebbe intitolare Bovary. “Tutto fila liscio”, scrive Scaraffia: Spesso, quando Bovary era fuori, Bovary andava a prendere nell’armadio il portasigari di seta verde. Lo guardava, lo apriva, annusava perfino l’odore della fodera che sapeva di verbena e di tabacco. A chi apparteneva?. Certo, se arretriamo di qualche riga, la situazione si complica. Infatti Bovary ha appena raccolto il portasigari e ha detto: Ci sono dentro due sigari. Andranno bene per questa sera dopo cena. Al che Bovary ha ribattuto: Ma come, tu fumi?, facendosi rispondere, sempre da Bovary: Qualche volta, quando capita l’occasione”.
Come ho scritto in premessa, l’orientamento del Gruppo di alto livello sulla parità di genere e la diversità del Parlamento europeo in tema di parità di genere nelle lingue sta facendo discutere.
Mi piacerebbe conoscere la vostra opinione in proposito.
Cosa ne pensate?
Fino a che punto, a vostro avviso, la diversità di genere nelle lingue andrebbe combattuta?

E poi… annullare il genere nelle lingue può davvero favorire le pari opportunità?
È possibile immaginare una scrittura – anche letteraria – senza genere?

Ringrazio Diego Marani e Giuseppe Scaraffia per avermi inviato gli articoli citati (li potrete leggere di seguito) e la redazione di Domenica del Sole24Ore per avermi autorizzato a pubblicarli.
Ne approfitto per segnalare i due nuovi libri di Marani e Scaraffia (entrambi hanno a che fare con le donne):
L’amico delle donne” di Diego Marani (Bompiani)
Cortigiane. Sedici donne fatali dell’Ottocento” di Giuseppe Scaraffia (Mondadori).

Massimo Maugeri


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Addio, zitelle e mammoni
di Diego Marani

L’opuscolo pubblicato dal Gruppo di alto livello sulla parità di genere e la diversità del Parlamento europeo è perentorio. D’ora in poi ogni riferimento sessista deve essere bandito dalle lingue europee e sarà estirpato da ogni direttiva, da ogni regolamento comunitario. Con questo traguardo, come ogni dittatura, anche quella del politicamente corretto raggiunge perfino la lingua, credendo di piegare alla sua stupidità anche il pensiero. Bisogna dire che l’italiano soffrirà poco per le nuove regole sessolinguistiche. Da noi ancora si parla come si mangia. Dovremo abolire qualche dottoressa e non potremo più fare un complimento a una tardona chiamandola signorina. Anzi, perderemo anche la tardona e addio sogni erotici adolescenziali. Ma per il resto usciremo quasi indenni dalla castrazione linguistica europea. L’inglese invece avrà vita dura. Ogni fireman dovrà trasformarsi in fireperson, a portare le lettere sarà il postperson, e nella city saranno tutti businesspersons. La First Lady sarà degradata a First Woman e chissà come la si metterà con la girlfriend. Quanti gay saranno presi per semplicemente allegri! Fin qui tutto soltanto patetico. Le cose si complicano quando bisognerà bandire la fratellanza a favore della sorellanza, per non parlare degli effemminati che l’UNESCO in un suo analogo prontuario propone di definire delicati o languidi. Che ne sarà dell’uomo della strada? E la signora delle Camelie? Si metterà ancora in scena il Misantropo? Con Madame Bovary bisognerà stare attenti a dove mettere le corna. Addio pasionarie, muchachas e carmencite. Sarà vietato donneggiare anche alle donne. Una volta per descrivere la mia professoressa di latino bastava la formula “vecchia zitella”, adesso toccherà dire qualcosa come donna-non-sposata-inacidita-da-solitudine-e-non-facilitata-da-neo-peloso-su-labbro. Anche l’impareggiabile scapolone italiano ha i giorni contati. O si sposa o si chiamerà uomo-che-abita-con-la-mamma. Perderemo perfino il mammone, che sarà bambino-oltremodo-affezionato-ai-genitori-soprattutto-uno. Ci verrà strappato anche il figlio di papà, assieme alla paternale e al donnaiolo. Il primo passo dell’uomo sulla luna sarà da spartire con la donna, anche se lei non c’è mai stata. Non si potrà più castrare il gatto, ancor meno evirarlo. Bisognerà forse renderlo-genitalmente-opportuno. Ma noi sessisti avremo ancora diritto di sapere il sesso dell’urologo con cui stiamo per prendere appuntamento? O toccherà farci palpare la prostata dal primo essere-umano-esperto-di-minzione che passa?

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Madame Bovary?
di Giuseppe Scaraffia

Negli anni bui del medioevo una palla di fuoco apparve a Ildegarda di Bingen e si rivolse a lei chiamandola: “Homo”, uomo. Ildegarda non dubitò per un istante che la palla si stesse rivolgendo a qualcun altro.
Vogliamo mettere con la brutta abitudine maschilista di rivolgersi alle donne chiamandole signora o signorina? La nuova legge europea che sopprime questi termini si ispira a precedenti – alla lettera – sacrosanti. Lo diceva anche il Vangelo di Tommaso: “Che la donna diventi uomo, se vuole entrare nel regno dei cieli”.
Finalmente alle donne, assurte all’empireo del potere, verranno attribuiti epiteti sessualmente neutri. Là dove non fosse possibile, basterà sopprimerli e usare il solo cognome. Al bando anche tutti i sostantivi declinabili soltanto al maschile.
A fregarsi le mani dalla contentezza sono non solo tutte le donne europee, ma anche, se non soprattutto, gli editori. Pochi sanno infatti che entro due mesi tutti i libri in circolazione saranno ritirati, pena pesanti ammende [per i contravventori, sicuramente maschi e maschilisti], e verranno sostituiti da versioni europoliticamente corrette. [Un’innovazione importante che cambierà anche il nostro antiquato modo di leggere.]
I più intelligenti tra i geni del passato ci avevano già pensato. Shakespeare ad esempio non aveva intitolato la sua tragedia “Lady Macbeth”, ma semplicemente, secondo i corretti dettami dell’UE, “Macbeth”. Mentre cosa dovevamo aspettarci da quel rozzo campagnolo di Gustave Flaubert, che non viveva nemmeno a Parigi, ma in un buco di provincia? Ma non è mai troppo tardi. Apriamo a caso la versione purgata del suo più celebre romanzo, che ora si intitola “Bovary”. Tutto fila liscio: “Spesso, quando Bovary era fuori, Bovary andava a prendere nell’armadio il portasigari di seta verde. Lo guardava, lo apriva, annusava perfino l’odore della fodera che sapeva di verbena e di tabacco. A chi apparteneva?”. Certo, se arretriamo di qualche riga, la situazione si complica. Infatti Bovary ha appena raccolto il portasigari e ha detto: “Ci sono dentro due sigari. Andranno bene per questa sera dopo cena”. Al che Bovary ha ribattuto: “Ma come, tu fumi?”, facendosi rispondere, sempre da Bovary: “Qualche volta, quando capita l’occasione”. Ma non lasciamoci prendere dallo sconforto, guardiamo le cose dal lato positivo: “Bovary” è un passo importante verso il monologo interiore, Svevo e Joyce per intenderci.
Passiamo ai “Tre moschettieri” di Alexandre Dumas, diventati ovviamente “Tre portamoschetto”. D’Artagnan non incontra più la fatale Milady ma il neutro, ancorché biondo, Winter. D’altronde il primo a capirlo è stato La Fère (Athos): “Questa creatura non ha niente di una donna!”. Se lo dice lui che l’ha sposata/o!.
Secondo alcuni studiosi, Conan Doyle è stato un silente pioniere della riforma UE. Dietro al dottor Watson si nasconderebbe infatti la dottoressa Watson, un homo sapiens di media statura, di corporatura robusta, mascella quadrata e collo taurino. Ecco perché quel macho di Holmes continua a punzecchiarla: “Elementare, Watson!”, proprio come il Dr.House punzecchia la Cuddy.
In alcuni casi vengono addirittura sciolti degli enigmi. Restava incomprensibile perché Francesco (Petrarca) fosse stato rifiutato da Laura (al secolo Laure de Sade). Ma basta applicare la norma UE per capire che de Sade poteva solo rifiutare sadicamente il dolciastro corteggiatore.
Con Proust la normativa UE arriva al virtuosismo. Tutti sanno che lo scrittore travestiva da donne i suoi amori maschili. Che sollievo, nella versione purgata della Recherche, dimenticare Charles e Odette e avere a che fare con Swann e Crécy! E poi finalmente capiremo perché Crécy fa tanto soffrire Swann andando a letto con (la) Verdurin.
In altri casi la cautela esegetica si impone. Prendiamo le “Relazioni pericolose” di Laclos. Merteuil non ne vuole più sapere di Valmont. [Come direbbe il cantautore Povia, “Merteuil era gay ma non lo è più!”.] Per distrarre Valmont impone all’ex-amante di conquistare due prede, Tourvel (baciapile) e Volanges (vergine). Con Tourvel alla fine si capisce che c’è un marito, ma con Volanges è più difficile. Certo, ha un fidanzato, ma l’adolescenza, si sa, è un’età incerta. Poi c’è la storia un po’ ambigua della lettera al fidanzato di Volanges che Valmont scrive appoggiandosi sulle terga nude di Volanges. Insomma, si resta sul filo del rasoio fino al momento in cui veniamo a sapere che Volanges – ma sarebbe più giusto chiamarlo Volage – è incinto.
In definitiva i romanzi ci guadagnano in suspense e tengono il lettore inchiodato fino all’ultimo o lo lasciano pieno di promettenti interrogativi.
Pochi però sanno che si tratta solo di una fase preparatoria. Infatti il 17 settembre 2011, anniversario della morte di Bingen, l’Unione Europea uscirà dal purgatorio linguistico per entrare in una nuova, definitiva, paradisiaca fase. Troppo facile limitarsi a cancellare il maschile. Ogni essere vivente verrà, da allora, denominato al femminile, affinché non debba diventare “homo” (o “omo”) per entrare nel regno dei cieli.
Ancor maggiori guadagni si prospettano per l’editoria in crisi. Infatti tutti i volumi appena ristampati verranno nuovamente ritirati dalla circolazione e sostituiti con una versione ulteriormente emendata. I fanatici vorranno ribattezzare “Il rosso e il nero”, il capolavoro di Stendhal, in “La rossa e la nera“. Effettivamente, perché i colori dovrebbero essere maschili? Tornerà invece all’originario titolo femminile “La certosa di Parma”, trasformata dalla riforma precedente ne “Il certosino di Parma”. Il Mostro di Firenze diventerà, più culturalmente, la Mostra di Firenze. Qualunque declinazione vorrà ipotizzarsi per i nomi Garibaldi e Cavour, le alunne nelle scuole non parleranno più di Risorgimento Italiano, ma della Resurrezione d’Italia. Gli uffici studi dell’UE avranno un solo problema: come regolarsi col mito UE de “la ratta d’Europa”?

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IGNORANTI A PIENO TITOLO? http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/02/07/ignoranti-a-pieno-titolo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/02/07/ignoranti-a-pieno-titolo/#comments Thu, 07 Feb 2008 22:25:01 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/02/07/ignoranti-a-pieno-titolo/

Su Repubblica del 6 febbraio è stato pubblicato un articolo di Michele Smargiassi dal titolo: “Nell’Italia dei laureati che non sanno scrivere”. Un articolo amaro che mette in evidenza una realtà piuttosto scoraggiante: un laureato su cinque ha difficoltà a scrivere. Pare però che gli “ignoranti titolati” non si preoccupino più di tanto.

Tullio De Mauro considera il problema come un’emergenza nazionale. Ecco cosa dichiara: “Per il futuro economico del nostro paese migliorare l’italiano degli imprenditori, dei professionisti, dei politici, è perfino più vitale e urgente che migliorare i salari dei dipendenti.”

Però dallo stesso articolo apprendiamo che “il laureato analfabeta non fa necessariamente più fatica a trovare lavoro rispetto ai suoi quattro colleghi più letterati. Le imprese non sembrano granché interessate a selezionare i propri quadri dirigenti sulla base delle competenze linguistiche di base.”

E allora? Che fare? Che dire? Chi ha ragione?

E chi è che, oggi, usa l’italiano vero (che non è quello di Toto Cutugno)?

Secondo Stefano Bartezzaghi “non lo usano certo i personaggi televisivi (la tv, in Italia, è oggi un canale di diffusione di dialetti). I dirigenti d’azienda, gli amministratori, i politici, i ricchi? Non scherziamo. I professori universitari? I giornalisti? Gli scrittori? I medici? Gli avvocati? Nemmeno loro, se non in una quota irrilevante”.

Bartezzaghi vi sembra un po’ supponente? Avete l’impressione che faccia troppo lo Smargiassi?

Io credo che abbia ragione.

E voi?

(Massimo Maugeri)

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AGGIORNAMENTO del 9 febbraio 2008

Provo a rilanciare il dibattito con alcune domande/riflessioni.
1. Secondo voi la “scrittura rapida” tipica dei commenti dei blog può essere considerata come una via di mezzo tra la lingua parlata e quella scritta (considerate in senso tradizionale)?
2. La suddetta “scrittura rapida” ha una valenza negativa (rispetto all’argomento oggetto di questa discussione)?
3. L’ideale della perfezione linguistica è più difficile da raggiungere “oggi” rispetto a “ieri”? (Mi viene in mente la titanica operazione manzoniana di “risciacquatura in Arno”).
4. Siete a conoscenza di opere del passato – divenuti classici – che contengono “errori marchiani” dal punto di vista linguistico?
4. Rispetto al passato, la lingua parlata di oggi “detta” i cambiamenti di quella scritta in misura superiore o inferiore?
5. Quando un errore nella lingua parlata diviene “generalizzato”, può “imporsi” nella lingua scritta al punto tale da divenire “regola” ? Potete fare qualche esempio?

(Massimo Maugeri)

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