LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » luciano comida http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 PER LUCIANO COMIDA… http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/05/23/per-luciano-comida/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/05/23/per-luciano-comida/#comments Wed, 23 May 2012 21:55:48 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=3299 Aggiorno questo post, per ricordare il nostro caro amico Luciano Comida scomparso un anno fa… il 20 maggio 2011.
Il pensiero di Luciano e le sue parole continuano a vivere in questo blog. Proprio oggi ho riletto un suo vecchio post pubblicato sulla rubrica “Michele Crismani secondo il mondo”.
Segnalo questo affettuoso articolo di Gordiano Lupi, pubblicato su LetteratitudineNews.
Ringrazio in anticipo chi vorrà ricordare Luciano nell’ambito di questo spazio a lui dedicato.
Massimo Maugeri

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Post del 22 maggio 2011

La mia foto

L’amico scrittore Luciano Comida ci ha lasciati il 20 maggio 2011. Oltre che per la sua rilevante produzione letteraria (incentrata soprattutto sulla letteratura per ragazzi, con pubblicazioni edite da Einaudi ragazzi e EL) e per i numerosi premi vinti, era noto per la militanza nella blogosfera con il suo Il ringhio di Idefix e per il suo contributo nel portare avanti magazine come Konrad.
Mi hanno sempre colpito la sua attenzione per la crescita culturale dei ragazzi, la sua voglia instancabile di incontrarli nelle scuole, il suo amore sconfinato per i libri, la sua passione trasversale per le letture… che lo portava a viaggiare dalle belle pagine di Ernesto Sabato (Luciano ha contribuito a far vincere all’autore sudamericano l’edizione 2010 del Letteratitudine Book Award, un gioco letterario condotto su questo blog) a quelle gotiche della letteratura dei vampiri (è stata determinante la sua partecipazione all’omonimo dibattito).
La notizia della sua scomparsa mi ha molto scosso, anche perché Letteratitudine nasce insieme ai commenti rilasciati da Luciano. Sono andato a controllare: il primo è datato 24 settembre 2006, nell’ambito di questo post.
Tempo fa avevamo aperto anche una sorta di rubrica intitolata: “Michele Crismani secondo il mondo”.
Michele Crismani è uno dei più importanti personaggi letterari creati da Comida. Lui lo presentava così, con l’umorismo tipico che sempre lo contraddistingueva: “Mi chiamo Michele Crismani, abito a Trieste, ho tredici anni e un problema: uno schifoso di nome Luciano Comida scrive, pubblica e fa tradurre in mezzo mondo dei bellissimi romanzi con me protagonista, arricchendosi così con lo sfruttamento del mio nome, della mia immagine e delle mie avventure”.

L’umorismo di Luciano – così come l’amore per i libri e per il prossimo – emerge da molti suoi scritti. È il caso – per esempio – del testo di questo suo intervento offerto nell’ambito di un convegno organizzato in una edizione del Festival della Letteratura di Mantova. Il tema è, per l’appunto, l’umorismo…

Io ho la barba lunga e arruffata.
Ho la barba lunga e arruffata per molti motivi. Vi racconto quali: ho cominciato a farmela crescere appena mi sono spuntati sulla faccia i primi provvidenziali peli post-adolescenziali. Diventavo rosso in viso con imbarazzante facilità e la mia barbuzza mimetizzava la mia vergogna. Avevo (e ho tuttora) il viso grassottello e la barbuzza ingannava un po’. E poi c’era un’altra ragione: guadagnavo qualche mese in età e così, con la barbetta, aumentavano le mie possibilità di entrare al cinema dove si proiettava un film vietato ai minori di diciotto anni.
Adesso questi problemi li ho superati o perlomeno non costituiscono più un motivo di imbarazzo. E allora perché continuo ad avere la barba? Perché fa parte di me e perché la mattina, quando mi sveglio, vado in bagno, mi guardo allo specchio, mi vedo con la barba tutta storta e spettinata e allora accade un miracolo: mi faccio ridere da solo. E cominciare la giornata ridendo di sé stessi, mi sembra sempre un buon inizio.
Freud scrisse: “L’umorismo non è rassegnato ma ribelle, rappresenta il trionfo non solo dell’io, ma anche del principio di piacere, che qui sa affermarsi contro le avversità delle circostanze reali”.
Credo perciò che il primo punto sia questo: per essere legittimati a ridere degli altri e dell’intero mondo, dobbiamo prima di tutto essere capaci di guardarci allo specchio, per sorridere oppure per sghignazzare di noi stessi, dei nostri difetti, del nostro modo di essere.
È decisivo, per le nostre singole vite, imparare a farlo.
Vorrei fare un paragone azzardato: il confronto tra il popolo ebraico e gli adolescenti.
Il popolo ebraico è stato perseguitato, disprezzato, massacrato, sterminato e diffamato per secoli e secoli. Eppure, gli ebrei hanno sempre trovato la forza e l’intelligenza di ridere, prima di tutto di sé stessi. La stessa Bibbia, a leggerla con attenzione, è ricca di humour. Vorrei ricordare solo un passo, tratto dalla Genesi, capitolo 18, versetti 22-32, quando Dio sta per annientare la città di Sodoma e Abramo interviene, contrattando con Dio.
Sentiamo le parole di Abramo: “Davvero tu vuoi distruggere insieme il colpevole e l’innocente ? Forse in quella città ci sono cinquanta innocenti. Davvero tu li vuoi far morire ? Perché invece non perdoni a quella città per amore di quei cinquanta ?”
Dio acconsente: se troverà quei cinquanta, Sodoma sarà salva.
Ma Abramo insiste. Proprio come se fosse in un mercato levantino ad abbassare il prezzo del peperoncino: “Ecco, io oso parlare al Signore anche se sono soltanto un povero mortale. Può darsi che invece di cinquanta ve ne siano cinque di meno. E tu, per cinque di meno, distruggeresti tutta la città ?”
Ancora una volta, Dio accetta.
E ancora una volta, Abramo torna alla carica: “Può darsi che ve ne siano solo quaranta”.
Dio risponde: “Io non la distruggerò per amore di quei quaranta”.
Non citerò tutto l’episodio, ma Abramo va ancora avanti, sempre al ribasso: trenta, poi venti, infine dieci innocenti.
Rispettosamente dice a Dio: “Non offenderti, mio Signore… Insisto ancora, Signore… Non adirarti, Signore”. Rispettosamente, molto rispettosamente; ma intanto tira la corda.
Un po’ come fanno gli adolescenti con papà o mamma.
Questo è solo un esempio, ma se ne potrebbero raccontare decine e decine, di passi umoristici della Bibbia.
E anche solo un’antologia di libri e di film sull’umorismo ebraico occuperebbe intere biblioteche e cineteche.
Forse, il popolo ebraico è riuscito a sopravvivere alla sua tragica storia grazie anche al proprio senso del comico, alla propria ironia ed autoironia.
Vi è però un altro gruppo di persone che vivono da secoli e secoli una condizione difficile. Un gruppo di persone che bene o male sopravvive, ma che in genere non possiede né ironia né autoironia. Questo gruppo di persone sono gli adolescenti.
Anni fa, venne fatta a un vasto campione di ragazzini e ragazzine italiane una domanda: “quando ti guardi allo specchio, cosa vedi ?”
La maggioranza degli adolescenti dette una risposta che ci deve far riflettere a lungo e profondamente. Risposero: “vedo un mostro”.
Ora, c’è un antidoto prezioso contro la vergogna di sé.
Questo antidoto, lo avrete intuito, è l’umorismo, è l’autoironia. È il riuscire a guardare me e le mie confusioni con uno sguardo il più possibile esterno. E questo sguardo è impietoso, questo sguardo ride di me e delle mie contraddizioni, questo sguardo mi salva.
È un antidoto prezioso, un talismano che, se non mi garantisce da solo la felicità, almeno contribuisce, insieme a tante altre cose, a illuminarmi l’esistenza.
Ma di solito gli adolescenti questo talismano non l’hanno ancora trovato. E forse addirittura ignorano che esista.
Come aiutarli ad entrarne in possesso ?”

È così che vorrei ricordare Luciano Comida. Mettendo in luce il suo amore per i libri, l’apertura verso gli altri. Il suo umorismo.
Chiedo a voi, che lo avete incontrato anche solo sulle pagine di questo blog, di lasciargli un saluto. Mi piacerebbe, anche, che – nel tempo – questo spazio si traducesse nella fase iniziale di un progetto finalizzato alla valorizzazione delle opere di Luciano. In tal senso chiedo l’aiuto di tutti coloro che lo hanno conosciuto (o che lo conosceranno in seguito, attraverso i suoi scritti): gli amici, i lettori, gli scrittori, i critici letterari e i giornalisti culturali; nonché gli enti locali e le istituzioni culturali di Trieste (la sua città).

Uno scrittore non morirà, fino a che i suoi testi continueranno a essere letti.

Ciao, Luciano. Ciao, amico caro.

Massimo Maugeri

p.s. Aggiorno il post inserendo alcuni video dove Luciano Comida interagisce con i ragazzi di una classe

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AGGIORNAMENTO DEL 25 MAGGIO 2011

Aggiorno il post, inserendo questo testo scritto da Luciano Comida. Ringrazio Walter Chiereghin per averlo messo a nostra disposizione.
Ecco cosa ha scritto Walter, in premessa:
Sono un amico di Luciano da una vita. Non potete avere idea di come mi abbia commosso, continui a commuovermi questa straordinaria partecipazione di tutti voi, di tantissimi altri.
Allora vorrei farvi un regalo, se permettete.
Avevo prestato il mio netbook a Luciano, perché se ne servisse durante la degenza e, fin che ha potuto farlo, l’ha usato.
Ora Tatjana me l’ha restituito e sul desktop ho trovato un suo inedito, probabilmente gli appunti per un progetto di mini-racconti ispirati a sue riflessioni durante le ultime fasi della sua malattia.
Con il consenso di Tatjana, ecco a voi questo inedito
”.
Grazie, Walter. Grazie, Tatjana.
Massimo Maugeri

101 SEGRETI CHE HO IMPARATO LOTTANDO CONTRO IL TUMORE

di Luciano Comida

Per ognuno un miniraccontino

luciano-comidaLe ideologie servono (e insidiosa è l’ideologia che nega le ideologie): una bussola per muoversi nel mondo senza sentirsi troppo smarriti
Accettare la propria (e altrui) fragilità
Davanti agli imprevisti (come il tumore) non si sa come reagiremo. E dunque non giudicare gli altri che reagiscono in un modo che non ci garba
Se oppure nonostante: col SE si costruiscono palazzi di sabbia che poi ci crollano addosso, col NONOSTANTE possiamo gustare ogni momento
Pagherei tutto l’oro del mondo: essere consapevoli che la situazione presente potremmo (in futuro) considerarla invidiabile. E dunque cercare di apprezzarla fin da adesso
Le critiche sono utili sempre e comunque: ci mettono davanti allo specchio e ci costringono a ripensare all’oggetto della critica. Che poi verrà modificato che la critica prevale oppure rafforzato se la critica non lo abbatte. Le critiche dunque devono essere distruttive
Parlar chiaro, “sì sì, no no”. Evitando il più possibile le ambiguità o le reticenze. Non vuol dire essere brutali ma sinceri
Dire solo ciò che si pensa ma non necessariamente dire tutto ciò che si pensa
Guardare nel proprio abisso, consapevoli che dentro di noi ci sono lati oscuri e insidiosi. Non nasconderlo sotto il tappeto né negarne l’esistenza
Ringraziare senza esitazione
Sputare via il veleno senza tenersi i rancori e le umiliazioni: il diario è uno dei mezzi per farlo. Così come scrivere l’elemento velenoso su un foglietto e poi distruggerlo
Dire che si ama: è inutile amare senza pastrocciar affettuosamente e coccolare esplicitamente questo amore
Rileggere e rivedere libri e film perché così acquistano spessore e noi con loro. E in più abbiamo l’evidenza di come cambiamo noi stessi
I libri ci leggono e i film ci guardano: ci dicono moltissimo di noi. Ecco perché ogni opera è diversa per ogni suo fruitore
E’ meno grave che se fosse peggio. E dunque (oltre un certo limite) piangersi addosso è inutile e controproducente
Nessun timore a piangere: è uno sfogo umano. Basta non abusarne
Costruirsi quotidiane oasi di serenità/piacere/rilassamento: sono aiuti nei momenti difficili.
Librerie dell’usato: il loro immenso fascino. Forse anche perché, non facendo il cacciatore di animali né il dongiovanni collezionista, gusto il piacere della ricerca
Diario: sfogo, punto della rotta, chiarire il nostro pensiero e sentire, a distanza di tempo ci fa vedere come cambiamo
Ridere di se stessi
Malattia e musica di Morricone: quando si affronta una malattia grave e si sta soli a guardare negli occhi il male, è come nei duelli nei film western quando parte la musica . Siamo soli, noi e la malattia. Non contano nulla i soldi o il potere ma solo la rete dei nostri affetti, che stanno attorno a noi
Non abbandonare le abitudini piacevoli anche (e soprattutto) quelle piccole: scandiscono ritmi, colmano le giornate, ci rafforzano, ci gratificano
Signore, dammi la forza di cambiare le cose che posso cambiare. Signore, dammi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare. E soprattutto, Signore, dammi la saggezza di distinguere tra esse
Alla fine dei tempi, Dio trionferà con la gioia e la vita eterna. Ma su questa terra, nei tempi della storia umana, Dio non è onnipotente.
70 volte 7: la fretta spesso (anche se non sempre) ci consiglia male.
Mantra per riaddormentarsi: ognuno si scelga il suo. Il mio è attaccarmi a una frase letta e ritoccarla, analizzarla, modificarla, riassaporarla…
Dire “ho sbagliato, è colpa mia…”. Non esitare mai ad ammettere le proprie colpe e responsabilità. Non esitare né davanti agli altri né davanti a noi stessi
Pagliuzza e trave: noi perdoniamo con indulgenza a noi mille e mille nefandezze. Perché dunque essere spietati col prossimo?
Scrivere subito le cose prima di dimenticarle: sono come i sogni e svaniscono.
Godere del piacere o gioia dati: non essere avari di se stessi e delle proprie azioni
La scuola serve: a stuzzicare la curiosità, a scoprire che tutti siamo infinitamente ignoranti, a non vergognarsi di non sapere, a non esitare a chiedere, a pretendere chiarezza, a imparare che è bellissimo imparare
Esibire i propri difetti o imbarazzi ci aiuta a sopportarli.
Non mollare mai: come nelle partite di calcio, il risultato può ribaltarsi in pochi minuti dallo 0-2 al 3-2
Posso morire tra due minuti e dunque ogni istante è preziosissimo
Nella storia non c’è mai stato né mai ci sarà un altro essere umano come me, che essendo unico sono preziosissimo. Ma (analogamente) ciò vale per ogni altra persona. E devo comportarmi di conseguenza
Non sono solo ma in mezzo a una rete di relazioni che si arricchisce di continuo
Non scherzare col fuoco dell’attrazione sessuale: il miglior modo per non tradire è non fare nemmeno il primo passo
L’amore è una pianta che va nutrita accudita bagnata protetta coccolata ogni giorno e ogni giorno
Le cose più belle (amore, stima, amicizia, fantasia, humour) sono gratis
Non guardare la tv accesa: una sfida per sconfiggere il suo potente richiamo
La prevenzione fisica è (banalmente) importante. Purtroppo ce ne accorgiamo solo quando è tardi
Una parola alla volta (disse Stephen King a chi gli chiese come fa a scrivere libri così lunghi). Lo stesso è per noi, in ogni cosa che facciamo
Dire BASTA e non subire ancora perché si è cominciato a subire
Peggio fare un torto che subirlo: il male fatto torna su come un boccone mal digerito
E’ peggio il silenzio degli onesti delle azioni degli uomini malgavi (disse Martin Luther King)
Guardare con gli occhi degli altri ci insegna a vedere che il nostro punto di vista non solo non è unico ma può anche essere sbagliato. Comunque, limitato
Nessun timore di non sapere e di ammettere la nostra ignoranza/incompetenza
Nessun timore a non capire: chiedere sempre spiegazioni e pretenderle
Abbracciare è un grande gesto di accoglienza e condivisione
Concedersi qualcosa, ogni giorno. Farsi dei piccoli regali
Arrabbiarsi con Dio è salutare anche per un credente: quella con Dio è una relazione vera e propria
Meditare aiuta a rilassarsi, a entrare dentro di noi, a sentirsi parte dell’Universo
Cucinare senza ricetta è piacevole, una continua scoperta sensoriale
Libertà ed eretici: come disse Cioran, interessa solo a loro. Per molti, la libertà è fonte di angoscia
Non conta solo il detto ma chi lo ha detto (Karl Kraus)
Molte persone non vogliono star meglio perché sono terrorizzate dal cambiamento e/o perché non pensano di meritare i miglioramenti
Giustizia e libertà e accoglienza, insieme: separati generano mostri e mostriciattoli
Mezzi e fini non devono essere separati: i mezzi ci dicono moltissimo sui fini
Basta un nonnulla per farsi male o morire: attenzione sempre, senza ossessioni ma con saggia prudenza
I rimorsi sono peggio dei rimpianti
Dalla colpa si esce come Giuda o come Pietro, schiacciati dal proprio passato oppure partendo da esse
Votare sempre: se no, lasciamo spazio ai peggiori
Il dissenso non va tollerato ma fomentato (come diceva John Stuart Mill)
La gloria tra quattro mura supera lo splendore degli imperi (Cioran)
Svegliarsi e sorridere è meglio che svegliarsi col muso
Il comportamento a specchio: spessi ci trattano come noi li trattiamo. O comunque abbiamo fatto il possibile
Ci vuol più coraggio a dire “ho paura” che a fare pericolose fesserie perché si è terrorizzati ad ammettere al gruppo che abbiamo paura
Riso allo zafferano (a casa di Lalla) e dunque dire la verità, garbatamente ma chiaramente
Crescere non è rinnegare il se bambino, ma inglobarlo in noi e farlo vivere in una “struttura” più ampia e matura
Il punto di vista (Italia-Francia e i gol vissuti in modo opposto dai rispettivi tifosi) degli altri va sempre accolto
Domande stupide? Esistono solo risposte stupide
Il primo scopo di uno scrittore è costringere il lettore a voltar pagina (Maugham)
Non vergognarsi di vergognarsi
L’album delle preziose figurine (affetti, libri, film, musiche, gesti…) da custodire e incrementare dentro di noi. Anche per poterlo sfogliare e utilizzare nei momenti difficili
Addestrarsi all’ambidestrità: a facoltà diverse e opposte
Dare cinque felicità al giorno agli altri
Ringraziare sempre chi lo merita
Non giudicare i poveri di spirito (hanno poco e quel poco lo utilizzano)
Stolti e poveri di spirito (furbetti e sempliciotti)
Darsi obiettivi precisi ma realistici: nei momenti difficili aiuta avere un traguardo chiaro e raggiungibile
Guardare in faccia la realtà, anche di una brutta malattia

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TECNICHE DI RESURREZIONE, di Gianfranco Manfredi http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/10/14/tecniche-di-resurrezione/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/10/14/tecniche-di-resurrezione/#comments Thu, 14 Oct 2010 19:37:13 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=2538 Sul precedente libro di Gianfranco Manfredi – “Ho freddo” – sulle pagine di Tuttolibri de La Stampa, Sergio Pent ha scritto: “Un romanzo che avvince e instilla dubbi sul fascino dei miti popolari, sulle suggestioni esercitate dai potenti, sui tentativi della medicina di risolvere mali che nascono dal profondo di psicologie ataviche, radicate nel dolore e nella paura. Davvero, se Stephen King avesse occasione di leggerlo, potrebbe sicuramente esclamare «ma perché non l’ho scritto io?»”.

Per Ernesto Ferrero, invece, “con verve divertita e provocatoria, Manfredi mescola temi, ambienti, linguaggi, reinventa documenti e carteggi, incrocia personaggi autentici con le fantasie più arrischiate del romanzo gotico e della horror story, miti industriali e dimore di fantasmi, culti arcaici […]e sperimentazioni […], effetti da Grand Guignol e fenomeni extrasensoriali”.

tecniche_di_resurr-cover-bisGianfranco Manfredi è tornato di recente in libreria con un nuovo romanzo, anche questo pubblicato da Gargoyle, intitolato “Tecniche di resurrezione” (dove riprende le vicissitudini dei tre personaggi che animavano il precedente “Ho freddo”, pur mantenendo una struttura narrativa del tutto autonoma).
I riscontri positivi non mancano nemmeno per questo libro. Ranieri Polese, sulle pagine culturali de Il Corriere della sera del 26 settembre 2010 scrive: “Manfredi alterna la riproposta dei suoi titoli di ieri con una nuova produzione di «romanzi filosofici» in cui personaggi e storie d’invenzione si mescolano a fatti e figure storiche e rigorosamente documentate”.

Nell’introduzione al libro, Carlo Bordoni scrive: “Tecniche di resurrezione è un vero capolavoro settecentesco ricreato al giorno d’oggi: del romanzo gotico riprende il tema e la morbosa attenzione per la vita dopo la morte; del romanzo filosofico mette in evidenza i problemi morali, la vivace discussione intellettuale e le contraddizioni del tempo; del romanzo storico ha l’attenzione puntuale per gli eventi narrati e la ricostruzione dei personaggi reali; del romanzo fantastico ha il fascino dell’orrido e il richiamo agli elementi insondabili che sono alla base del mistero della vita”.

I temi affrontati e gli spunti di riflessione offerti da Tecniche di resurrezione sono molteplici, tra cui quello della ossessiva attenzione per la vita dopo la morte e quello dell’ansia di progresso della scienza che, talvolta, trascura remore morali e rispetto per gli uomini (nel romanzo si stigmatizza l’uso spropositato da parte di medici dei cadaveri della povera gente fatta morire in anticipo negli ospedali per poterne studiare il corpo).
Troverete maggiori informazioni nel corso del dibattito, a cui parteciperà anche l’autore (che, oltre a essere “figura carismatica” della letteratura gotica italiana, è animatore instancabile del dibattito sulla letteratura dei vampiri e di altri orrori proposto su questo blog).

Discuteremo del romanzo e dei temi da esso affrontati. Per favorire la discussione, pongo le seguenti domande.

- Avete mai letto il romanzo “Frankenstein” di Mary Wollstonecraft, sposa del poeta romantico Percy Bysshe Shelley? Se sì, cosa ne pensate? Che sensazioni ha suscitato in voi?

- Se grazie a una sorta di sperimentazione tecnologica vi venisse offerta la possibilità di “vivere per sempre” (a voi e solo a voi)… accettereste?  Se sì, a quali condizioni?
A prescindere da qualunque considerazione di natura religiosa… sarebbe “morale” accettare?

- Ci sono limiti oltre i quali la scienza medica non dovrebbe spingersi?

Di seguito: il booktrailer del libro, l’articolo di Luciano Comida (che mi darà una mano a animare e a moderare la discussione) e l’introduzione al volume firmata da Carlo Bordoni.

Massimo Maugeri

P.s. Ne approfitto per segnalare su La poesia e lo spirito l’intervista a Claudio Vergnani su “Il 36° giusto” (Gargoyle, 2010)

TECNICHE DI RESURREZIONE di Gianfranco Manfredi
Gargoyle, 2010 – euro 18 – pagg. 489

recensione di Luciano Comida

gianfranco-manfrediStanotte, alle due passate, ho finito “Tecniche di resurrezione”. Non c’è niente da fare: certe persone non impareranno mai a essere furbi. E se hanno sessantadue anni, ogni speranza è perduta. Prendiamo Gianfranco Manfredi (nella foto), nato a Senigallia nel 1948. Negli anni Settanta andava di moda la canzone politica seriosa e lugubre da incrociar le dita e toccar ferro? E lui fece dischi beffardi che, oltre a raccontare con ironia e passione un’epoca, restano di sorprendente attualità. Ecco per esempio:
Ma non è una malattia“  o la splendida e censuratissima “Ma chi ha detto che non c’è“, uno dei gioielli segreti della musica italiana. Negli anni Ottanta l’horror era considerato roba da mentecatti? E lui nel 1983 pubblicò da Feltrinelli “Magia rossa” (ripubblicato da Gargoyle), un romanzo che mescolava con fantasia colta e stregonesca la lotta di classe e i brividi del gotico. Negli anni Novanta il western era un genere morto e sepolto? E lui nel 1997 si mise a scrivere un fumetto western fantastico, storico e di sinistra come “Magico Vento”, arrivato a 130 episodi e 13.000 pagine. Qualche anno fa molti furbetti guadagnavano un sacco di soldi con i corsi di scrittura creativa? E lui mise on line un ottimo manuale gratuito di sceneggiatura e scrittura. Adesso vanno di moda i vampiri e basta buttar giù una storia draculesca per vedersela comprata da migliaia di adolescenti? E lui, che sui vampiri ha scritto eccellenti libri (primo fra tutti “Ho freddo”), esce con “Tecniche di resurrezione” dove dei vampiri non c’è manco l’ombra.

Ora qualcuno vi dirà che “Tecniche” è un romanzo troppo lungo, qualcuno che è troppo corto, un Terzo che è troppo lento, un altro che ci sono troppi personaggi, Tizio che a volte fa ridere e a volte è orrido, Caio che mescola troppi generi (giallo, macabro, storico, filosofico, epistolare, satirico, teologico, sociale…), Uno che non si capisce dove va a parare, Secondo che a tratti è inverosimile, Sempronio che è troppo realistico, qualcun altro che è troppo fantastico, XY che è troppo collegato al precedente “Ho freddo”, Calpurnia che è troppo poco legato al precedente “Ho freddo”, tutti vi diranno che è un romanzo strano ma nessuno vi dirà che è un “romanzo fatto con lo stampino dei libri tutti uguali”…La trama? A grandissime linee è questa: nel 1803, attorno a una suggestiva e misteriosa ipotesi medico-scientifica le cui radici affondano nel remoto passato dell’umanità, si addensano molti interessi. Di più non vi dirò perché sarebbe criminale svelare troppo e chi legge non sa mai dove il libro lo condurrà, così non può adagiarsi in una di quelle letture sonnacchiose e prevedibili. Ogni tanto (soprattutto quando Manfredi ci conduce nei meandri nella Londra miserabile e inquinata, formicolante di poveri e malati, sfruttati ed emarginati, scuole pubbliche degradate e assistenza sanitaria precaria) ci diciamo: “si sta forse parlando di noi?” E il brivido che ci corre lungo la schiena non è dovuto solo ai sapienti colpi di scena ma all’orrida sensazione che, forse, il nostro futuro potrebbe somigliare al nostro passato. Ancora qualche accenno alla piccola folla di personaggi, come sempre nelle opere di Manfredi riuscitissimi, dai principali ai comprimari. Ecco allora i due gemelli Valcour e Aline de Valmont, aristocratici libertini francesi (già protagonisti di “Ho freddo”), medico gay lui ed esperta di chimica lei col cuore infranto per l’amore perduto nel precedente romanzo. Poi infelici nobildonne inglesi e camerieri saccenti, chirurgi ambiziosi e militari arroganti, attori di teatro e Napoleone in persona, politici e re Giorgio II, il filosofo Jeremy Bentham e mercanti ghiottoni, farabutti e pastori protestanti, in un ricco quadro dipinto con colori che vanno dal comico al tragico, dal thrilling al grottesco. Perché l’ambizione di Manfredi è molto semplice e molto grande: prendere il genere “horror”, depurarlo della sua componente più esibizionistica e fecondarlo con ogni altro genere possibile. “Vi piace lo stile gotico?” chiede a pagina 471 un personaggio. Gli rispondono (ma forse è proprio Manfredi): “È un grido lanciato al cielo, dagli oscuri labirinti e dalle infinite storture della vita terrena”

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Prefazione a Tecniche di resurrezione

PRIMA DI FRANKENSTEIN
di Carlo Bordoni

Quando si pensa a Frankenstein, si pensa al primo romanzo in cui si tratta della vita dopo la morte o, meglio, della resurrezione post-mortem per effetto di una tecnologia umana. Una sorta di apoteosi dell’uomo che, grazie alla scienza, è in grado di ridare la vita a un corpo inerte; l’uomo che riesce a realizzare il suo sogno più profondo, quello di appropriarsi del potere divino di dare la vita. Ci avevano provato gli antichi con la magia, la cabala e la stregoneria, non riuscendo ad andare oltre il Golem ebraico.
È vero che Frankenstein è un GUB (acronimo di Great Unread Book), cioè uno di quei libri che sono più citati che letti, più conosciuti per le riduzioni cinematografiche, televisive o fumettistiche che per la frequentazione testuale, ma è pur sempre il cult per antonomasia del genere. Anche se il nome dello scienziato ha “fagocitato” quello della sua creatura ed è divenuto così popolare da oscurare persino quello della sua autrice, Mary Wollstonecraft, sposa del poeta romantico Percy Bysshe Shelley, che nella fatidica notte del 16 giugno 1816, nella villa Diodati sul lago di Ginevra, scommise con i suoi compagni di “grand tour” (lo stesso Shelley, lord Byron e il dottor Polidori) di scrivere la più terrificante storia sui morti che ritornano.
Frankenstein è divenuto il simbolo moderno della resurrezione, delle opportunità di una tecnologia sempre più complessa di compiere miracoli; l’antesignano di successive e fantasmagoriche soluzioni “scientifiche” che, partendo dalla fisica elementare, di volta in volta si sono appellate all’ultimo ritrovato capace di eccitare più la fantasia che i corpi irrigiditi dal rigor mortis, dal fulmine all’energia atomica, fino al computer.
Frankenstein si guadagna così il titolo di “moderno Prometeo”, come recita il sottotitolo del romanzo della Shelley; ma è solo quello, tra i tanti tentativi di quel periodo, ad essere entrato stabilmente nell’immaginario collettivo.
Eppure Frankenstein è solo la parte emergente di una vasta e sentita “cultura mortuaria” e di una speciale sensibilità per il soprannaturale e l’orrido, che segna la cultura europea (Italia compresa, visto che molti romanzi gotici sono ambientati nel nostro paese) e che, come accade ai fenomeni culturali di grande portata, finisce per spingere le sue propaggini anche nel secolo successivo.
Per comprendere lo straordinario successo della sensibilità gotica e l’attenzione, persino morbosa, per i temi della morte, coniugata in tutte le sue sfumature, è necessario risalire agli anni a cavallo tra il Seicento e il Settecento, proprio nel periodo in cui più forte si va affermando il principio di ragione e la Rivoluzione industriale sconvolge i rapporti sociali ed economici con l’introduzione della macchina. Ma è essenzialmente la sensibilità settecentesca, quella dell’Illuminismo, della messa in discussione dei dogmi, della prevalenza del dubbio, del ricorso alla ricerca sperimentale (dall’empirismo di John Locke in poi), a manifestare un’attenzione speciale per il mistero della vita e della morte, coniugandolo con l’intelligenza della macchina.
L’Europa era stata attraversata da una psicosi collettiva, conosciuta come la “peste del vampirismo”, che aveva portato a conseguenze letali sul piano dell’igiene e della salute pubblica.
Sull’onda emotiva del terrore suscitato dai revenants e dalla loro presunta intenzione di vendicarsi dei vivi, gli anni tra la seconda metà del XVII secolo e la prima metà del XVIII, vedono diffondersi la pratica del disseppellimento di cadaveri sospettati di essere vampiri. Le salme sono oggetto di mutilazioni – più spesso il taglio della testa o l’impalamento del cuore – al fine di impedire loro di “tornare”. Così frequente e passibile di creare terribili epidemie che la pratica del disseppellimento dovette essere vietata da severe leggi, come quella di Maria Teresa d’Austria del 1755.
Ma il Settecento è anche il secolo dello sviluppo dell’anatomia e della fisiologia umana, la cui pratica richiede cadaveri da sezionare, per effettuare esperimenti o anche solo per tenere lezioni di anatomia. Il che comporta una richiesta che non può essere soddisfatta se non col ricorso al trafugamento delle salme dai cimiteri. Tanto è diffusa la pratica del disseppellimento da dare origine a una speciale categoria di “lavoratori” che vive ai margini della legalità, i resurrection men: l’ironia contenuta nel loro nome lascia trapelare lo sconcerto di fronte ai sepolcri vuoti. Sono profanatori professionali di tombe, che provvedono i rifornire i gabinetti anatomici e gli istituti scientifici della materia prima; questa volta non per l’irrazionale paura dei vampiri, ma per servire la scienza.
Di pari passo, l’introduzione dell’energia elettrica dà origine alla seconda Rivoluzione industriale: nasce qui e si afferma una nuova figura di scienziato, il demiurgo che riunisce in sé le caratteristiche dell’intellettuale e del mago, ammantandosi di un fascino misterioso che lo rende il prototipo dell’eroe moderno. Colui che può interporsi tra l’uomo e Dio, grazie all’appropriazione di un sapere straordinario, il potere di controllare la macchina.
Gli esperimenti di Giovanni Aldini, lo scienziato italiano che tenta di applicare il galvanismo alla medicina, si spingono a testare sui cadaveri gli effetti dell’elettricità, che provoca la reazione riflessa dei muscoli delle braccia e della gambe, lasciando intravedere la plausibilità di un ritorno alle funzioni vitali anche dopo la morte.
Aldini è al centro di una febbrile attività scientifica che vede nell’utilizzo dell’elettricità un mezzo straordinario per liberare la creatività umana. Si costruiscono macchine per l’elettroterapia (fino all’elettroshock nei pazienti afflitti da problemi mentali) e sofisticati strumenti che dovrebbero curare la vita oppure causare la morte: una morte orribile, come nel caso della sedia elettrica, inventata nel 1888 e subito adottata dagli Stati Uniti per le esecuzioni capitali.
La figura di Aldini non è di secondaria importanza: nel 1807 pubblica, proprio a Londra, uno studio sul galvanismo (An account of the late improvements in Galvanism), dove sostiene la possibilità di riportare in vita un cadavere mediante stimoli elettrici, guadagnandosi così il merito di aver ispirato Mary Shelley.
La tecnologia si dimostra già da questo momento il più potente strumento al servizio dell’uomo, l’unico a permettergli di espandere la sua sete di conoscenza oltre i limiti finora imposti dalla religione e dall’etica. Se si escludono certi “contes philosophiques” e, soprattutto, lo scandaloso L’homme machine (1747) di Julien Offray de La Mettrie, scritto in forma di saggio, non esistono dunque antecedenti letterari del Frankenstein.
A riempire questa lacuna provvede ora Gianfranco Manfredi con uno straordinario romanzo, che potrebbe benissimo essere stato scritto attorno alla fine del secolo dei lumi e rappresentare il necessario prodotto letterario della cultura del tempo, tanto è immedesimato, calato in quell’atmosfera, così ben costruito nel ritmo, nelle descrizioni, nei dialoghi, nella psicologia dei personaggi e nei riferimenti storici, da risultare l’anello mancante tra i due “estremi” gotici, il Castello d’Otranto di Horace Walpole (1764) e, appunto, il Frankenstein (1818), che del romanzo gotico inglese è, allo stesso tempo, l’apoteosi e il superamento.
Tecniche di resurrezione è un romanzo a più voci: in primo piano Valcour de Valmont e sua sorella Aline (trasparente riferimento all’opera del Marchese de Sade) e le loro avventurose vicissitudini tra America, Francia e Inghilterra. Sono gli stessi protagonisti del precedente romanzo di Manfredi, Ho freddo (2008), ambientato nel New England, dove alla fine del Settecento esplodono, come in Europa, casi di psicosi collettiva legati al vampirismo.
Il New England non era nuovo a eventi del genere, visto che un secolo prima, proprio a Salem nel Massachusetts, c’era stato il più grave caso di caccia alle streghe dell’epoca moderna.
I due romanzi di Manfredi sono uniti dalla comune matrice del post-mortem, ma mentre in Ho freddo è il vampirismo a prevalere e costituire la chiave interpretativa di un’irrazionale psicosi collettiva, in cui si nasconde una vena di misoginia, che investe la comunità di Rhode Island, in Tecniche di resurrezione è la ricerca sui cadaveri, per scoprire il segreto della vita, a fornire il destro alla vicenda.
Il sepolcro violato è comune a entrambi; questa volta sulla sfondo di una Londra oscura e minacciosa, in cui avvengono misteriosi delitti e si muovono ambigui personaggi, protetti dal potere politico.
Qui la figura grandguignolesca del dottor Ending, che pratica una personale forma di eutanasia e sembra precorrere le gesta del più noto Jack lo Squartatore, che terrorizzerà la Londra vittoriana, è la chiave per interpretare le spinte conoscitive verso la modernizzazione, che, come spesso succede, si muove per strade perverse e anomale, imponendo sacrifici umani.
Se Valcour, il protagonista di Tecniche di resurrezione, rappresenta il principio di razionalità e di positiva considerazione di fronte ai problemi etici che la scienza impone – di fatto permettendo al lettore medio di riconoscersi in lui – il dottor Ending è invece il lato oscuro della scienza, la minaccia tangibile di un progresso che, nell’ansia di raggiungere i suoi obiettivi, perde di vista i valori morali e il rispetto per l’umanità.
L’atmosfera che prevale è quella plumbea e immobile delle istituzioni chiuse, luoghi in cui si è assoggettati a norme speciali, limitative della libertà personale: ospedali, carceri, caserme e officine, in cui vige la regola ferrea di “sorvegliare e punire” (per citare Foucault), non tanto per mantenere l’ordine, quanto per stabilire un dominio. Non a caso, tra i personaggi storici di Tecniche di resurrezione c’è quel Jeremy Bentham, inventore del “Panopticon” (1791), raffinato sistema di sorveglianza psicologica, realizzato per le prigioni, ma applicabile anche alle fabbriche e ai luoghi di cura.
In una Londra chiusa e impenetrabile come la nebbia che l’avvolge, dove l’unico spazio pubblico è il teatro: luogo franco, dove tutto può dirsi ed essere rappresentato in forma metaforica. Il teatro dove va in scena la vita, cui corrisponde un altro teatro, quello anatomico, dove va in scena la morte. Su queste due forme di spettacolarità pubblica si giocano i destini dei personaggi di Manfredi.
Tecniche di resurrezione è un vero capolavoro settecentesco ricreato al giorno d’oggi: del romanzo gotico riprende il tema e la morbosa attenzione per la vita dopo la morte; del romanzo filosofico mette in evidenza i problemi morali, la vivace discussione intellettuale e le contraddizioni del tempo; del romanzo storico ha l’attenzione puntuale per gli eventi narrati e la ricostruzione dei personaggi reali (come Lord Grenville, Carpue, Josephine Bonaparte e lo stesso Napoleone); del romanzo fantastico ha il fascino dell’orrido e il richiamo agli elementi insondabili che sono alla base del mistero della vita.
Non tutto ciò che Manfredi racconta è vero, ma si potrebbe ugualmente dire che non tutto ciò che scrive è frutto della sua immaginazione. Questo senso di ambiguità, questa sospensione dell’incredulità tra la fantasia e la realtà, sono ciò che lo rendono più simili a un’opera letteraria del passato, a un vero e proprio documento storico ritrovato.
Dopo aver letto Tecniche di resurrezione, Frankenstein non sarà più lo stesso. Lo vedremo in una luce diversa. Questo è, in verità, l’effetto perverso di quello che Borges ha definito l’anacronismo deliberato: “che cosa succederebbe se l’Odissea fosse posteriore all’Eneide?”. Tecniche di resurrezione ci fornisce una prima inquietante risposta.

Copyright © 2010 by Carlo Bordoni

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