LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » Marco Balzano http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 MARCO BALZANO con “Resto qui” (Einaudi) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/06/27/marco-balzano-con-resto-qui-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/06/27/marco-balzano-con-resto-qui-einaudi-in-radio-a-letteratitudine/#comments Wed, 27 Jun 2018 15:00:02 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7853 MARCO BALZANO con “Resto qui” (Einaudi), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)


In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA SUL PULSANTE “AUDIO MP3″ (in basso), O CLICCA QUI

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Ospite della puntata: Marco Balzano, autore di “Resto qui” (Einaudi): romanzo finalista al Premio Strega 2018.

Con Marco Balzano abbiamo discusso del romanzo e delle tematiche a esso legate.

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Quando arriva la guerra o l’inondazione, la gente scappa. La gente, non Trina. Caparbia come il paese di confine in cui è cresciuta, sa opporsi ai fascisti che le impediscono di fare la maestra. Non ha paura di fuggire sulle montagne col marito disertore. E quando le acque della diga stanno per sommergere i campi e le case, si difende con ciò che nessuno le potrà mai togliere: le parole.

L’acqua ha sommerso ogni cosa: solo la punta del campanile emerge dal lago. Sul fondale si trovano i resti del paese di Curon. Siamo in Sudtirolo, terra di confini e di lacerazioni: un posto in cui nemmeno la lingua materna è qualcosa che ti appartiene fino in fondo. Quando Mussolini mette al bando il tedesco e perfino i nomi sulle lapidi vengono cambiati, allora, per non perdere la propria identità, non resta che provare a raccontare. Trina è una giovane madre che alla ferita della collettività somma la propria: invoca di continuo il nome della figlia, scomparsa senza lasciare traccia. Da allora non ha mai smesso di aspettarla, di scriverle, nella speranza che le parole gliela possano restituire. Finché la guerra viene a bussare alla porta di casa, e Trina segue il marito disertore sulle montagne, dove entrambi imparano a convivere con la morte. Poi il lungo dopoguerra, che non porta nessuna pace. E cosí, mentre il lettore segue la storia di questa famiglia e vorrebbe tendere la mano a Trina, all’improvviso si ritrova precipitato a osservare, un giorno dopo l’altro, la costruzione della diga che inonderà le case e le strade, i dolori e le illusioni, la ribellione e la solitudine. Una storia civile e attualissima, che cattura fin dalla prima pagina. Il nuovo grande romanzo del vincitore del Premio Campiello 2015, già venduto in diversi Paesi prima della pubblicazione.

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Marco Balzano è nato a Milano nel 1978, dove vive e lavora come insegnante. Oltre a raccolte di poesie e saggi ha pubblicato tre romanzi: Il figlio del figlio (Avagliano 2010; Sellerio 2016, Premio Corrado Alvaro Opera prima), Pronti a tutte le partenze (Sellerio 2013, Premio Flaiano) e L’ultimo arrivato (Sellerio 2014, Premio Volponi, Premio Biblioteche di Roma, Premio Fenice Europa e Premio Campiello 2015). Per Einaudi ha pubblicato Resto qui (2018). I suoi libri sono tradotti in diversi Paesi.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: “My Foolish Heart” di Bill Evans; “La gente sta male” degli Afterhours; “The Two Lonely People” di Bill Evans.

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È possibile ascoltare le precedenti puntate radiofoniche di Letteratitudine, cliccando qui.

© Letteratitudine

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MARCO BALZANO vincitore del PREMIO CAMPIELLO 2015 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/09/14/marco-balzano-vincitore-del-premio-campiello-2015/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/09/14/marco-balzano-vincitore-del-premio-campiello-2015/#comments Mon, 14 Sep 2015 15:00:03 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6889

È stato MARCO BALZANO, con il romanzo “L’ultimo arrivato” (Sellerio), a vincere la 53^ edizione del Premio Campiello, ottenendo le maggiori preferenze dalla Giuria dei Trecento Lettori anonimi e superando gli altri quattro concorrenti: Paolo Colagrande con “Senti le rane” (Nottetempo), Vittorio Giacopini con “La Mappa” (Il Saggiatore), Carmen Pellegrino con “Cade la terra” (Giunti) e Antonio Scurati con “Il tempo migliore della nostra vita” (Bompiani).
Di seguito proponiamo:
- un video tratto dalla serata della premiazione, svoltasi il 12 settembre 2015 al Teatro “La Fenice” di Venezia e condotta da Geppi Cucciari e Neri Marcorè
- il contributo che Marco Balzano ha scritto appositamente per Letteratitudine, dove “racconta” il suo romanzo (vincitore, appunto, del Premio Campiello 2015).

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MARCO BALZANO racconta il suo romanzo L’ULTIMO ARRIVATO (Sellerio) – vincitore del PREMIO CAMPIELLO 2015. Le prime pagine del libro sono disponibili qui

La storia di un bambino e di un viaggio, le avventure e le disavventure di un piccolo emigrante con la testa piena di parole. «Balzano mostra come la letteratura sappia, e possa, parlare del mondo che ci circonda» (Marco Belpoliti, l’Espresso).

di Marco Balzano

C’è un paese che confina con quello dove abito io e questo paese si chiama Baranzate. È una piccola città alle porte di Milano. Una volta, dopo i tagli della riforma Gelmini, ci sono pure finito a fare qualche giorno di supplenza. In classe c’erano due italiani e una ventina di stranieri. Un odore denso aleggiava tra i banchi, come se fossimo a un mercato indiano. Non che io sia stato mai da quelle parti, ma il mio olfatto lo immagina così, con l’aroma troppo umano di quella prima media di Baranzate. E poi ci sono passato per nove mesi, per i controlli di routine che Anna doveva fare in gravidanza. Nei reparti dell’ospedale Sacco i cartelli hanno sempre la scritta in arabo, cinese e spagnolo. Altro che l’internazionalità dell’inglese. Poi, poco più avanti, c’è il campo nomadi, da cui venivano tre o quattro dei ragazzetti che avevo in classe.
Da alcuni studi risulta che Baranzate sia il terzo comune d’Europa per immigrazione. Un’immigrazione che, per altro, si addensa in una sola parte della città, e principalmente nella famosa via Gorizia. In quella via ci ha vissuto anche mia madre, emigrata a 14 anni con zio Nicola, suo fratello maggiore. Due terroni, che in quella via avranno ritrovato compaesani o almeno corregionali. Gente che si piazzava lì, giusto il tempo di avviarsi una vita dall’altra parte dello stivale. Poi, una volta che la vita si era avviata, se ne andava e non ci tornava più. Anche chi ci abita oggi fa così. Anche loro riconoscono chiaramente un posto arrangiato e non hanno intenzione di farselo andare bene per troppo tempo. Via Gorizia è da sempre la via degli ultimi arrivati. Con i palazzoni affacciati sulla strada e le fabbriche intorno che da qualche anno, se non hanno già chiuso, faticano molto più di ieri o hanno lasciato il posto ad altro. Adesso lì dentro non ci trovi più i terroni ma cinesi, arabi, peruviani, nordafricani. Ecco, se dovessi dire da dove nasce l’idea primordiale del romanzo, risponderei che comincia dalla contemplazione di via Gorizia. Dalla metaforicità di questo luogo, che trova molti analoghi alle porte delle città del triangolo industriale.
Poi qualcuno, non mi ricordo chi, mi ha raccontato che negli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta ci arrivavano anche bambini, che scappavano dalla fame e da un futuro che non poteva riservare nessuna sorpresa o speranza di miglioramento. Dunque mia madre lì dentro non si sarà potuta sentire nemmeno la più piccola. La notizia mi ha colpito e in fretta mi sono messo a studiare l’argomento. Ho letto saggi sociologici, anche molto datati ma che mi restituivano la percezione di allora: alcuni aneddotici, altri statistici, altri ancora di interviste. La conclusione era chiara, dell’emigrazione infantile non se n’è parlato molto. E se n’è raccontato ancora meno. Poi ho intervistato questi bambini emigranti, oggi più o meno settantenni. Un signore mi rimandava a un altro. Un ex compagno di fabbrica, di partito, un vicino di casa, un parente… Mentre facevo le interviste la storia non mi era ancora chiara, ma avevo capito che volevo scrivere sia del bambino che dell’adulto, uno solo non mi bastava. Sarebbe stato celebrativo il bambino, riduttivo l’anziano. E così nella storia si sente prima la voce del “picciriddu”, un Ninetto pelleossa di dieci anni che fa fagotto e se ne va da San Cono col cuore stretto, e un Ninetto pelleossa sessantenne che scorrazza per Milano in bicicletta cercando di rifarsi una vita. Lasciare la palla al bambino è stato divertente: la sua voce ha spazzato via tutte le paure di scivolare nella retorica. I bambini trovano il tutto nel nulla, gli adulti il nulla nel tutto, dice Leopardi. Ed è verissimo. Potevo farlo parlare come volevo, farlo saltellare di qua e di là come un passero. I suoi occhi potevano descrivere in presa diretta l’esplorazione, la sua mente doveva essere impegnata a vivere e non a pensare di vivere. Così lo spettro di finire nel sociologico e nel resoconto si è allontanato. Altrimenti avrei buttato tutto. Sì perché io volevo raccontare una storia, una vita: certo, realistica, ma il realismo deve complicare il reale, non riferirlo. E infatti Ninetto è prima di tutto un uomo, con la sua unicità: ha un gusto tutto suo per la parola, ha sogni ricorrenti strampalati, una concezione di Dio che glielo fa immaginare come una mano grande e invisibile che lo sostiene e non lo fa cadere. Anche se poi cadrà. Lo vediamo sul treno del sole – così si chiamava il convoglio che portava al Nord gli emigranti in quegli anni – che cerca di fare amicizia, poi a Milano dove lavora come galoppino di una lavanderia e matura giorno dopo giorno una progressiva insofferenza per il paesano Giuvà, il contadino con cui emigra perché la sua famiglia non può partire insieme a lui. Gliene combina di tutti i colori, a Giuvà (sì, certo, il nome è un omaggio a Fontamara di Silone, il romanzo dei poveri cristi): gli mozzica il pollicione del piede mentre dorme, gli ride dietro, lo sfotte davanti a tutti e poi lo abbandona scappando su un tram. Finalmente libero. E finalmente solo. Dopo arriva la vita in locanda con una squadra di muratori abruzzesi e poi la vita in una baracca di legno con altri muratori, calabresi questa volta. Qui conoscerà Maddalena, che sposerà con la fuitina. Insomma è tutta un’avventura: fino a quando compie quindici anni. Allora, come praticamente tutti gli emigranti con quella storia, entra in fabbrica. A scandire il tempo, da quel giorno, ci pensa la catena di montaggio, che espelle la varietà del mondo in nome della stabilità economica e della fine della fame. Nemmeno sposarsi con Maddalena – allegra, gioviale, capace di metterlo in riga – scaccia una malinconia che si infiltra sempre più dentro. La vivacità della vita in strada è un ricordo che rotola indietro e anche se Maddalena è un’ottima cuoca e vorrebbe aprire una trattoria sul mare la routine della fabbrica soffoca tutto, anche i sogni. Restano le paure più profonde e un’esistenza che sembra scorrere a prescindere.
L'ultimo arrivatoTutto questo ricorda Ninetto quando se ne sta con le mani dietro la nuca, sdraiato sulla branda del carcere di Opera. Non sa dire invece perché ha usato il coltello che l’ha portato in cella per dieci anni. Ora non è più il 1960, siamo nel 2007, e tra poco sarà libero. Potrà ritornare da Maddalena, che l’ha odiato ma l’ha aspettato. A casa lui e lei vorrebbero dirsi tante cose ma dopo dieci anni non è facile: così lui fuma alla finestra e lei cucina o guarda la televisione. La complicità tra marito e moglie fa capolino solo qualche giorno, quando ci si sfiora per sbaglio una mano o un lembo di vestito. Niente è più uguale, nemmeno Milano, che pure Ninetto gira in bicicletta col naso in aria, fermandosi a fumare sulle panchine del parco Sempione. La crisi si vede: sono spuntati i grattacieli dell’Expo, il bar sotto casa se lo sono comprati i cinesi, gente che non sa nemmeno preparare un caffè decente. Lui ai nuovi immigrati non riconosce quasi niente, non la fatica, non i traumi che sono stati suoi. Ci gira alla larga. Eppure a furia di pedalare finisce col parlarci, addirittura due marocchini gli offrono il lavoro di consegna-pizze mentre tutti gli altri gli chiedono di compilare su internet il curriculum europeo. E rieccolo ancora galoppino, ancora in giro per Milano. Come se il tempo fosse un eterno ritorno.
In tutto questo vuoto si fa strada un desiderio che già in carcere, nello squallore della cella, Ninetto avvertiva: raccontare la sua storia a chi può custodirla. Questo scrigno innocente è la nipotina mai vista. Si chiama Lisa, figlia della sua unica figlia, che ha deciso di non fargliela conoscere per dimostrargli il disprezzo per ciò che ha fatto. Ninetto da quando è nata la immagina: fantastica di portarla in giro, prenderle la mano, proteggerla dal mondo, che è sempre prudente affrontare con un coltello in tasca. La sua storia è l’unica cosa che gli è rimasta, tutto il resto si è perso per strada. Ad essere capace di scrivere l’avrebbe lasciata sul diario che gli aveva regalato il suo idolo, il maestro Vincenzo della scuola di via dei Ginepri, a San Cono, che gli faceva imparare i versi di Pascoli a memoria e gli aveva messo voglia di diventare poeta o maestro elementare anche lui. Però quella pagina è rimasta sempre bianca, la mano si irrigidiva ogni volta che impugnava la penna. Invece, quando vedrà la bambina che gioca con nonna Maddalena, e quando la strapperà da lei per qualche ora portandola in via Gorizia, in una sorta di viaggio agli inferi in cui lui veste i panni di un poco saggio Virgilio, Ninetto sentirà di non meritare perdono, ma di aver riscattato almeno parzialmente la paura di vivere senza lasciare traccia.

(Riproduzione riservata)

© Marco Balzano

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Marco Balzano è nato a Milano nel 1978, dove vive e lavora come insegnante di liceo. Ha esordito nel 2007 con la raccolta di poesie Particolari in controsenso (Lieto Colle, Premio Gozzano). Nel 2008 è uscito il saggio I confini del sole. Leopardi e il Nuovo Mondo (Marsilio, Premio Centro Nazionale di Studi Leopardiani). Il suo primo romanzo è Il figlio del figlio (Avagliano 2010, finalista Premio Dessì 2010, menzione speciale della giuria Premio Brancati-Zafferana 2011, Premio Corrado Alvaro Opera prima 2012), tradotto in Germania presso l’editore Kunstmann. Con Sellerio ha pubblicato Pronti a tutte le partenze (2013) e L’ultimo arrivato (2014, Premio Campiello 2015).

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© Letteratitudine

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SPECIALE PREMIO CAMPIELLO 2015 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/09/11/speciale-premio-campiello-2015/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/09/11/speciale-premio-campiello-2015/#comments Fri, 11 Sep 2015 14:44:42 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6879 SPECIALE PREMIO CAMPIELLO 2015

Sabato 12 settembre verrà decretato il vincitore della 53^ edizione del prestigioso premio letterario tra i seguenti cinque finalisti: Marco Balzano, Paolo Colagrande, Vittorio Giacopini, Carmen Pellegrino, Antonio Scurati. Sul post, i contributi speciali di Letteratitudine

Concorrono per la vittoria finale della 53^ edizione del Premio Campiello Marco Balzano con L’ultimo arrivato (Sellerio), Paolo Colagrande con Senti le rane (Nottetempo), Vittorio Giacopini con La Mappa (Il Saggiatore), Carmen Pellegrino con Cade la terra (Giunti) e Antonio Scurati con Il tempo migliore della nostra vita (Bompiani).

I CONTENUTI SPECIALI DI LETTERATITUDINE

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L'ultimo arrivato

Marco Balzano - L’ultimo arrivato (Sellerio)

Negli anni Cinquanta a spostarsi dal Meridione al Nord in cerca di lavoro non erano solo uomini e donne pronti all’esperienza e alla vita, ma anche bambini a volte più piccoli di dieci anni che mai si erano allontanati da casa. Il fenomeno dell’emigrazione infantile coinvolge migliaia di ragazzini che dicevano addio ai genitori, ai fratelli, e si trasferivano spesso per sempre nelle lontane metropoli. Questo romanzo è la storia di uno di loro, di un piccolo emigrante, Ninetto detto pelleossa, che abbandona la Sicilia e si reca a Milano. Come racconta lui stesso, “non è che un picciriddu piglia e parte in quattro e quattr’otto. Prima mi hanno fatto venire a schifo tutte cose, ho collezionato litigate, digiuni, giornate di nervi impizzati, e solo dopo me ne sono andato via. Era la fine del ‘59, avevo nove anni e uno a quell’età preferirebbe sempre il suo paese, anche se è un cesso di paese e niente affatto quello dei balocchi”. Ninetto parte e fugge, lascia dietro di sé una madre ridotta al silenzio e un padre che preferisce saperlo lontano ma con almeno un cenno di futuro. Quando arriva a destinazione, davanti agli occhi di un bambino che non capisce più se è “picciriddu” o adulto si spalanca il nuovo mondo, la scoperta della vita e di sé. Ad aiutarlo c’è poco o nulla, forse solo la memoria di lezioni scolastiche di qualche anno di Elementari. Ninetto si getta in quella città sconosciuta con foga, cammina senza fermarsi, cerca, chiede, ottiene un lavoro. E tutto gli accade come per la prima volta…

LEGGI su LetteratitudineNews l’autoracconto di MARCO BALZANO (dedicato a “L’ultimo arrivato” – Sellerio)

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Senti le ranePaolo Colagrande - Senti le rane (Nottetempo)

Al tavolino di un bar, Gerasim racconta a Sogliani la storia di un terzo amico seduto poco più in là, ed è una storia molto avventurosa. Ebreo convertito al cattolicesimo per chiamata divina, Zuckermann prende i voti e diventa “il prete bello” di Zobolo Santaurelio Riviera, località balneare di “fascia bassa”: agli occhi dei fedeli passa per un santo, illuminato, alacre e innocente. Ma un pomeriggio di fine estate, mentre intorno al suo nome diventano sempre più insistenti le voci di miracoli, a Zuckermann si offre la visione della Romana, la figlia diciassettenne di due devoti parrocchiani. Da lì in poi, fra pallidi tentativi di espiazione, passioni e gelosie, cui fanno da contrappunto le vaneggianti digressioni di Gerasim e Sogliani, dall’Uomo vitruviano agli etologi fiamminghi, dagli asceti di Costantinopoli all’Ikea, da Rossella O’Hara all’olio di nespolo babilonese, lentamente si consuma una tragedia sentimentale che travolge l’intera comunità e trova il suo epilogo in riva a un fosso…

LEGGI su LetteratitudineNews l’autoracconto di PAOLO COLAGRANDE (dedicato a “Senti le rane” – Nottetempo)

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La mappaVittorio Giacopini - La mappa (Il Saggiatore)

Monti, laghi, colline, forre, fortilizi e contrafforti, borghi, strade, slarghi: vedere tutto, come se si fosse per aria, e tutto rappresentare in una mappa, con dettagli minuti, badando a distanze, rilievi, proporzioni: squadrare il mondo, illuminarlo, dargli ordine. E questo l’obiettivo di Serge Victor, ingegnere-cartografo al seguito di Napoleone durante la Campagna d’Italia. Figlio esemplare dei Lumi, nemico di fole balzane e superstizioni, adepto dell’”Encyciopédie” di Diderot e d’Alembert – alle cui parole si aggrappa con una devozione non lontana dal fideismo che la Rivoluzione si era incaricata di smantellare -, Serge Victor riceve l’ordine dal Generale in persona di riprodurre i corsi e i ricorsi della Campagna, di fermare su carta e nel tempo i nuovi confini d’Italia, che il demiurgo Napoleone, N., l’Imperatore, va ridisegnando e riplasmando, sempre più a suo piacimento. Così, mentre il còrso conquista la penisola e, non pago, invade l’Egitto, Serge lavora alla sua magnum opus, in compagnia di uno scalcinato poeta tutto sdegno e fervore e dell’ammaliatrice Zoraide, la sua Maga, che della ragione rappresenta il doppio, il sonno, e prefigura l’assedio portato ai Lumi dalle sotterranee pulsioni che, nella Storia come nell’animo dell’uomo, non conoscono sopore.

LEGGI su LetteratitudineNews l’autoracconto di VITTORIO GIACOPINI (dedicato a “La mappa” – Il Saggiatore)

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Cade la terraCarmen Pellegrino - Cade la terra (Giunti)

Alento è un borgo abbandonato che sembra rincorrere l’oblio, e che non vede l’ora di scomparire. Il paesaggio d’intorno frana ma, soprattutto, franano le anime dei fantasmi che Estella, la protagonista di questo intenso e struggente romanzo, cerca di tenere in vita con disperato accudimento. Voci, dialoghi, storie di un mondo chiuso dove la ricchezza e la miseria sono impastate con la stessa terra nera. Capricci, ferocie, crudeltà, memorie e colpe di un paese condannato a ritornare alla terra. Come tra le quinte di un teatro ecco aggirarsi un anarchico, un venditore di vasi da notte, una donna che non vuole sposarsi, un banditore cieco, una figlia che immagina favole, un padre abile nel distruggerle. Con Carmen Pellegrino l’abbandonologia diviene scienza poetica. E questo modo particolare di guardare le rovine, di cui molto si è parlato sui giornali e su internet, ha finalmente il suo romanzo.

ASCOLTA, cliccando sul pulsante “audio”, la puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” con CARMEN PELLEGRINO (dedicata a “Cade la terra” – Giunti)

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Il tempo migliore della nostra vitaAntonio Scurati - Il tempo migliore della nostra vita (Bompiani)

Leone Ginzburg rifiuta di giurare fedeltà al fascismo l’8 gennaio 1934. Pronunciando apertamente il suo “no”, imbocca la strada difficile che lo condurrà a diventare un eroe della Resistenza. Un combattente mite, integerrimo e irriducibile che non imbraccerà mai le armi. Mentre l’Europa è travolta dalla marcia trionfale dei fascismi, questo giovane intellettuale formidabile prende posizione contro il mondo servile che lo circonda e la follia del secolo. Fonderà la casa editrice Einaudi, organizzerà la dissidenza e creerà la sua amata famiglia a dispetto di ogni persecuzione. Questa è la sua storia vera dal giorno della sua cacciata dall’università fino a quello in cui è ucciso in carcere. Nel racconto rigoroso e appassionato con il quale Scurati le rievoca, accanto a quella di Leone e Natalia Ginzburg, scorrono però anche le vite di Antonio e Peppino, Ida e Angela, i nonni dell’autore, persone comuni nate negli stessi anni e vissute sotto la dittatura e le bombe della Seconda guerra mondiale. Dai sobborghi rurali di Milano convertiti all’industria ai vicoli miserabili del “corpo di Napoli”, di fronte ai fucili spianati, le esistenze umili di operai e contadini, artisti mancati e madri coraggiose entrano in risonanza con le vite degli uomini illustri. Accostando i singoli ai grandi eventi, attraverso documenti, fotografie e lettere, ricordi famigliari e memoria collettiva, Antonio Scurati resuscita il nostro passato.

ASCOLTA, cliccando sul pulsante “audio”, la puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” con ANTONIO SCURATI (dedicata aIl tempo migliore della nostra vita” – Bompiani)

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Altre informazioni sulla 53^ edizione del PREMIO CAMPIELLO

Per la prima volta la finale del Premio Campiello verrà trasmessa in diretta sul satellite. La cerimonia conclusiva della 53^ edizione del concorso letterario promosso da Confindustria Veneto andrà in onda sabato 12 settembre a partire dalle ore 20.05 sul canale 832 di Sky e Tivùsat.

La serata verrà inoltre trasmessa in diretta sul digitale terrestre dalle tv del Consorzio Reti Nord Est, che comprende Telenuovo, Telechiara, TVA Vicenza ed Antennatre, a copertura di tutte le province del Veneto, del Trentino Alto Adige, del Friuli Venezia Giulia e delle province di Mantova e Brescia per la Lombardia, Ferrara per l’Emilia Romagna. La cerimonia sarà visibile anche in streaming sul sito delle televisioni del Consorzio Reti Nord Est.

Per il terzo anno consecutivo lo spettacolo sarà condotto da Geppi Cucciari e Neri Marcorè, che torneranno sul palco della Fenice a proporre un connubio tra momenti d’intrattenimento, approfondimento culturale e dialogo con gli autori finalisti. La serata finale sarà organizzata dalla casa di produzione ITV MOVIE, che tra le principali produzioni televisive ha realizzato Italialand con Maurizio Crozza, G’Day con Geppi Cucciari, Glob spread con Enrico Bertolino e Volo in diretta con Fabio Volo.

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La vita prodigiosa di Isidoro SifflotinIl vincitore del Premio Campiello Opera Prima è Enrico Ianniello La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin (Feltrinelli).

Sulla caviglia dello stivale Italia, là dove sta l’osso pezzillo, nasce il nostro eroe, Isidoro Sifflotin. Nella casetta di Mattinella, che sta su da trecento anni e “non crollerà mai”, il prodigioso guagliunciello Isidoro affina una dote miracolosa, ricevuta non si sa come da Quirino, il padre strabico, poetico e comunista, e da Stella, la mamma pastaia. Qual è questa dote? La più semplice: Isidoro sa fischiare, e fischia in modo prodigioso. Con il suo inseparabile merlo indiano Alì dagli sbaffi gialli, e l’aiuto di una combriccola stralunata, crea una lingua nuova, con tanto di Fischiabolario, e un messaggio rivoluzionario comincia magicamente a diffondersi. Proprio quando il progetto di un’umanità felice e libera dal bisogno sta per prendere forma, succede qualcosa che mette sottosopra l’esistenza di Isidoro. “Tutto quello che cresce si separa”: con addosso questo insegnamento di mamma Stella, Isidoro, ormai ragazzo, scopre Napoli e si imbatte, senza neanche rendersene davvero conto, in un altro linguaggio prodigioso e muto: quello dell’amore.

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Il Premio Fondazione il Campiello è stato invece assegnato a Sebastiano Vassalli per la sua opera narrativa di grande spessore etico e storico; purtroppo la recentissima scomparsa dello scrittore costringerà gli organizzatori a una consegna per interposta persona di tale premio, che Vassalli aveva accettato con grande soddisfazione rilasciando una dichiarazione che verrà riprodotta nel libretto di sala della cerimonia finale.

Su LetteratitudineNews abbiamo dedicato uno speciale in OMAGGIO A SEBASTIANO VASSALLI.

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Il vincitore verrà scelto dalla Giurati dei Trecento Lettori anonimi. I Giurati vengono selezionati su tutto il territorio nazionale in base alle categorie sociali e professionali, cambiano ogni anno e i loro nomi rimangono segreti fino alla serata finale.

Il Premio Campiello, istituito nel 1962 dagli Industriali del Veneto, è promosso e gestito dalla Fondazione Il Campiello, composta dalle sette Associazioni Industriali del Veneto e dalla loro Confindustria regionale. E’ la più importante iniziativa in campo culturale promossa da Confindustria Veneto e rappresenta uno dei pochi casi di successo in Italia di connessione concreta e strategica tra mondo dell’impresa e della cultura. Nel corso degli anni il Premio ha raggiunto il vertice delle competizioni letterarie italiane.

La 53^ edizione del Premio Campiello è realizzata sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali; riceve il patrocinio e il sostegno della Regione del Veneto ed è resa possibile grazie al concorso di: Banca Popolare di Vicenza, Eni, Manpower Group, Assicurazioni Generali, Gruppo Save, Fiera di Vicenza, Anthea, Permasteelisa Group, Adacta Studio Associato, Fiamm, SUM; in collaborazione con MUVE – Fondazione Musei Civici Venezia e Grafiche Antiga.

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© Letteratitudine

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