LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » Mario Baudino http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 POESIA: Mario Baudino (La forza della disabitudine) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/05/20/poesia-mario-baudino-la-forza-della-disabitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/05/20/poesia-mario-baudino-la-forza-della-disabitudine/#comments Sun, 20 May 2018 12:37:41 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7796 Nel nuovo appuntamento dello spazio “POESIA” di Letteratitudine ospitiamo Mario Baudino autore di La forza della disabitudine (poesie scelte 1980-2018) (Aragno).

Ecco le risposte di Mario alle domande “ricorrenti” di questa rubrica dedicata alla poesia.

[Ne approfittiamo per segnalare questa intervista a Mario Baudino dedicata al suo saggio: "Lei non sa chi sono io" (Bompiani)].

A seguire, un estratto della postfazione di Giovanni Tesio.

* * *

- Mario Baudino, chi è poeta?
Mario BaudinoQuesta è una domanda davvero difficile, caro Massimo. Posso fornire una risposta tautologica: chi scrive poesie. Ed una un po’ più articolata: chi riesce a fare delle propria immaginazione e del linguaggio che gli è stato dato, in cui si trova o che ha scelto, una musica necessaria. Per usare le parole di Heidegger (a proposito di Rilke) è anche qualcuno che “arriva all’abisso”. Mi rendo conto che sono tutte definizioni e, appunto, hanno la debolezza di ogni de-finizione. E’ piuttosto arduo tracciare confini per ciò che è sconfinato, e i poeti appunto di questo tendono a occuparsi.

- Poeti si nasce o si diventa?
Se vale la prima risposta, non c’è dubbio che va scelta la seconda alternativa. Si diventa: la poesia è un genere letterario che ovviamente nasce dalle forme più o meno indistinte, spontanee, di espressione umana, quindi potenzialmente appartiene a tutti. Ma va costruita (o creata) e dunque è il risultato di una elaborazione

- Cos’è la poesia?
In qualche modo credo di avere già risposto. Aggiungo che per me è una modalità di espressione altamente formalizzata.

- A cosa serve la poesia?
A niente. A tutto. «Se abitiamo un lampo, è il cuore dell’eterno» ha scritto René Char.

- Che consiglio daresti a chi volesse avvicinarsi alla lettura della poesia?
Non saprei. Leggere a letto? La poesia più che altri generi letterari chiede una condizione di ascolto, di affidamento totale, di silenzio

- Cosa consiglieresti a un poeta esordiente che ha velleità di pubblicazione?
Di non aver fretta, di frequentare altri poeti, di discutere, di leggere molto e di non farsi troppe illusioni. Anche, non dico soprattutto, di leggersi magari i romanzi di Roberto Bolaño, soprattutto Detective selvaggi. Sono storie di poeti e anche straordinari ritratti del poeta da giovane.

- Parliamo di te. Come nasce il tuo amore per la poesia?
Dal liceo, dalle prime letture. E’ stato  un lungo amore con molti travagli, tradimenti, libertinaggi. Un amore privato

- Guardando all’intera storia della poesia, quali sono i poeti che consideri come tuoi punti di riferimento?
Faccio qualche nome ovvio? Leopardi, va da sé. TS Eliot, soprattutto per La terra desolata, uno dei primi libri che credo d’aver letto e compitato e perfino tradotto. Ariosto, Borges, Mario Luzi. Montale, Foscolo, alla rinfusa. La poesia è disordinata

- Quali sono i versi poetici che non ti stancheresti mai di rileggere?
“«Dammi tu il mio sorso di felicità prima che sia tardi»/
implora, in tutto simile alla mia, una voce bassa/ e fervida lungo i dedali del risveglio risonando”.  (Mario Luzi, Il pensiero fluttuante della felicità)

“Date candidi giorni a lei che sola/ da che più lieti mi fioriano gli anni/ m’arse divina d’immortale amore…” ec ecc ) Foscolo, Le Grazie

“Non so come stremata tu resisti/ in questo lago/ d’indifferenza ch’è il tuo cuore; forse/ ti salva un amuleto che tu tieni/ vicino alla matita delle labbra,/ al piumino, alla lima: un topo bianco/ d’avorio; e così esisti!” (Dora Markus, Montale)

“«O frate», disse, «questi ch’io ti cerno/ col dito», e additò un spirto innanzi, / «fu miglior fabbro del parlar materno”.
(Dante, Purgatorio, Canto XXVI)

“Perché il bello non è/ che il tremendo al suo inizio, noi lo possiamo reggere ancora,/ lo ammiriamo anche tanto, perché esso calmo, sdegna/ distruggerci. Degli Angeli ciascuno è tremendo”.
Rilke, Elegie Duinesi

- Qual è il filo conduttore di questa tua silloge intitolata “La forza della disabitudine”?
LA FORZA DELLA DISABITUDINETrattandosi di una raccolta che ripropone un certo numero di libri pubblicati negli anni, il filo conduttore è quello di una sorta di autobiografia poetica. Scegliendo e rileggendo i testi, mi sono accorto che non mancano di una certa coerenza

- Ti chiedo di scegliere alcuni tra i versi che consideri più rappresentativi di questa tua raccolta e di offrirceli in lettura qui di seguito…
Preferirei non essere io a scegliere. In ogni caso, sono ancora molto legato all’Aeropoema, il poemetto del 2006. Ti propongo questi versi, che magari fuori contesto suoneranno un po’ enigmatici, ma hanno una loro autonomia

* * *

Disse Venator la prima volta che entrai

nell’aereo sardonico e mi lasciai ingoiare

ero giovane e vidi i boschi di nuvole

contorcersi nella gran luce del giorno

il mio compito era semplice e banale

mai avuti di troppo complicati

strinsi un patto con gli dei dell’ozono

non me ne sono pentito

quegli alberi giganti

nessuno taglierà

piccoli mietitori intriganti

sulle vie dell’aldilà

hanno missioni diverse dalla mia

ognuno la sua, non so quale sia

dove porti e perché, le convenzioni

variano e si assottigliano nel ventre

perduto dei sofismi della mente

viaggiare è poco

forse viaggiare è niente

Disse Venator: dobbiamo essere

più moderni, assolutamente

* * *

- Per quale motivo hai considerato questi versi come i più rappresentativi della silloge?
Non c’è un vero motivo. Sono legato ad essi perché ho trovato nell’Aeropoema una tecnica narrativa che ancora mi pare interessante

- Come immagini il futuro della poesia?
Si parla molto di poesia “pop”, di poesia in rete, di poetry-slam e in qualche caso anche di best seller poetici. Sono convinto che, come diceva il vecchio McLuhan, il mezzo possa essere il messaggio (vero è che non va trascurato un commento, all’epoca, di Flaiano: d’ora in poi leggeremo il postino) e che il modello della rete possa influenzare molto l’idea del fare poetico. Come dicevo prima, però, sono convinto che il linguaggio poetico resti quello più altamente formalizzato e più consapevole della propria tradizione. Il resto mi pare un uso a volte virtuosistico di quella che i formalisti russi definirono a suo tempo la funzione poetica del linguaggio, ovvero il focalizzare l’attenzione del lettore sulle strutture linguistiche di quel che si dice (l’esempio tipico era il celebre slogan “I like Ike” durante la campagna elettorale di Eisenhower, se non ricordo male, o lo slogan fortunatissimo di una campagna pubblicitaria Fiat di qualche anno fa, “you are, we car”): è una parte consistente della comunicazione sociale, non solo nella pubblicità, dai titoli dei giornali ai dialoghi dei film, ai nomi che si danno agli oggetti di consumo. Ma la funzione poetica del linguaggio non è la poesia, che se pure ne condivide vari strumenti tecnici non mi pare aver nulla a che fare – in quanto tale – con essa; esattamente come il signor Bonaventura ricco ormai da far paura, nonostante i versi e la rima, non aveva nulla da spartire con Montale o Caproni. Detto questo, nel nuovo panorama influenzato dalla rete e dalla società dello spettacolo, ci sono sicuramente esperienze individuali di valore. Ma il futuro della poesia intesa come genere letterario altamente formalizzato, ricerca del senso attraverso il linguaggio, esperienza individuale che ingloba il mondo, mi pare destinato a una certa marginalità, a un agire segreto anche se non per questo meno efficace. Credo ancora, come scrisse P. B. Shelley, che i poeti siano i non riconosciuti legislatori del mondo; anche una asserzione del genere va interpretata, nel suo essere sublimemente ambigua – come del resto la poesia.

- Grazie mille, caro Mario. Auguriamo lunga vita a “La forza della disabitudine” e proponiamo, qui di seguito, la parte inziale della bella postfazione di Giovanni Tesio…

* * *

Estratto dalla Postfazione di Giovanni Tesio: Mario Baudino, un viaggio ininterrotto nella “debolezza” dell’amore e della poesia

Il motivo più profondo della poesia di Mario Baudino
è l’amore. L’amore che tutto orienta e tutto
accoglie, nelle sue storiche metamorfosi e nella sua
rinascente avventura d’utopia. L’amore che si consegna
al suo esilio e al suo scacco, o meglio l’amore che
nell’esilio e nello scacco trova la sua unica – assoluta
– forma di inconcussa resistenza utopica.
Della pattuglia “innamorata”, antologizzata da Pontiggia
e da Di Mauro (uscita nel 1978 come risposta al
terrorismo sperimentale della neoavanguardia, comprendendo
autori-guida come Giuseppe Conte e Milo
De Angelis), Baudino si caratterizza per una voce intinta
di raucedine e forse, di quella pattuglia, risulta
essere la presenza non dirò più discreta ma più “distante”
(come può essere distante una musica evocativa,
proveniente da segrete e misteriose percussioni).
Del resto occorre leggere il suo (ormai antico) libro
di saggi, Al fuoco di un altro amore (1986). Da Rougemond
a Barthes, da Lawrence a Miller, dal decisivo
magistero di Luzi alla poesia degli anni Settanta, si
tratta di un notevole e a tratti minuzioso tentativo di
cercare risposte ai nodi di una “storia”: quale rapporto
tra Eros e Amore, tra l’amore e il libro, tra il libro
e la parola, tra la parola e la letteratura? A quale intreccio
sorgivo, originario, può essere ricondotto quel
fuoco che chiamiamo poesia?
Se La parola innamorata tendeva a restituire alla poesia
la seduzione della retorica, restituirle la capacità
di stupore, recuperarne le energie più segrete, ritornando
ai temi dell’amore, del dono, della tenerezza,
della grazia, del mito (e, insomma, ai “valori” maciullati
dall’outrance neoavanguardistica), occorre pur dire
che i saggi scritti nel tempo e raccolti in quel libro
stanno a documentare un allineamento ben temperato,
un bisogno di chiarezza intellettuale, di scavo
dentro il senso di un’avventura che non può – contro
la centralità di un’antica presunzione dell’io – se non
farsi “marginale”.
E basterebbe citare a questo proposito quanto Baudino
scrive nel saggio su Henry Miller, Van Gogh e lo
scrittore immaginato
: “Una crescita marginale, una crescita
che si nutre di tutto ma anche e soprattutto di
tutto ciò che sta tra codice e codice, di ciò che non
è mai ‘centrale’, di ciò che è interstiziale, nascosto,
oscuro eppure preciso e inevitabile”. Come dire, giustappunto,
di quella segreta sinopia, di quella traccia
nascosta che guida la polifonia testuale.
In questo va cercata la sutura tra biografia e poesia,
tra vita e libro, quale sia mai la possibilità che si
dia alla parola esausta di riuscire ancora (e fin dove)
esatta, quantunque – secondo gli indici di una nuova
“debolezza” – mai totalmente esauriente. I confini,
insomma, della sua “probabilità”, della sua possibilità
di dirsi e di dire nell’accoglienza e nell’amore.
Tutto ciò rincorso – attraverso alcune voci vibranti,
ancora e diversamente vibranti – individuando le
ragioni della crisi, percorrendone le stazioni apparentemente
lontane e invece fortemente congiunte
e congiuntive.
Due le direttrici: della vita e della voce. E, tertium
datur
, dell’ascolto (della lettura). Ma il tutto, sempre,
sotto la guida e lungo il tracciato dell’“amore”, di cui
si discorrono le dinamiche e le variabili. Il che significa
quel che resta di una vicenda che nel sentimento
della perdita e nella condizione dell’esilio va alla ricerca
del suo riscatto o quanto meno della sua volontà
di incontro, di ritorno, di rimpatrio.
A tale riguardo diventa spontaneo convocare quanto
ha sottolineato una volta Milo De Angelis (senza
dimenticare i tanti altri riferimenti che Baudino rintraccia,
da Conte a Copioli): “La perdita non riguarda
ciò che da noi si allontana. Riguarda ciò che ci viene
incontro”. O, a proposito di ritorni, ancora: “Scrivere
è andare verso qualcosa che ti esige da sempre e di cui
la poesia ti fa percepire più netta la voce, la chiamata,
la chiamata a giudizio: e devi andare. E puoi solo dire:
eccoti, ti aspettavo!”. Molto altro potendosi citare, mi
fermo tuttavia qui: “È il ritorno, ogni volta, a sospingere
la prima parola, a far sì che noi rispondiamo”.
Non avanguardie, dunque (tanto meno neo), né
crepuscoli (tanto meno tramonti), ma invece – come
nel coevo alpinismo di quella specie di ispiratore che
fu Gian Piero Motti – un “nuovo mattino”, quantunque
poi riesca vano l’eventuale rincorsa a un gioco
(me ne rendo conto, un po’ peregrino) di strette affinità
tra quegli alpinisti del cosiddetto “gruppo selvaggio”
e questi poeti della cosiddetta “parola innamorata”,
per i quali Baudino preferisce parlare di comune
“orizzonte”.

L’esordio poetico (a parte sparse e disiecta membra
apparse su rivista) avviene con Una regina tenera
e stupenda
(1980), in cui a spiccare è la dissimulazione
delle presenze, che non s’accampano se non per
allusione. Tutto è avvolto in sogno, in indecifrabili
accostamenti, in corrispondenze fragili, in frammentate
congiunzioni, in tortuose e fluttuanti identificazioni,
ma anche intrusioni, introiezioni testimoniate
da componimenti come Tarmu o – più flagrantemente
– come Nero di cinema, che Renato Barilli accolse
nella sua antologia “intraverbale”, Viaggio al termine
della parola
, parlando di “coraggio della follia”, che riesce
a valorizzare “una scansione di cocci sillabici”, e
che io sono propenso a pensare piuttosto come infinibaudino.
to e ironico divertimento (una specie di parodica citazione,
un uovo di cuculo deposto in nido altrui…).
Tutt’insieme, un’imprendibile metamorfosi testuale,
che si dà per citazioni e inserzioni (plurime e disparate,
da Foscolo a Freud, da Virgilio a Baudelaire,
da Campanella a Campana, dal vangelo di Matteo a
Dante, da Hölderlin-Scardanelli a Mallarmé, fino
alla sezione delle “dedicate”, che convocano i poeti
affini), continui décalages, cambi di registro, moti di
filastrocca, miti d’ogni dove (dalla Grecia all’Ossezia
all’India), fili e filiazioni sorprendenti, squarci
riflessivi, persino filosofeggianti, sapienziali, suggestioni
(suggerimenti), slittamenti, scorrimenti, fluide
percussioni.
Ma anche più decise prese di posizione, che mi pare
di poter cogliere in un componimento esemplare
come questo, non titolato, interpretabile come sintesi
di una vera e propria descrizione di “poetica”: “La
mia acqua, povera acqua limpida / le mie conchiglie,
sassi / il paziente paguro bernardo / (la nuova difficile
casa) / le chiare incisioni del segno / l’aritmetica
dei rimandi // l’alto, il basso, le metaforiche / strade
per cui si passa, si centra, si / decentra: la mia acqua
variopinta, il mandala / (mi vesto di piume e sonagli,
denti da fiera / per amare di te la terra)”). O subito
dopo, nel componimento successivo: “[…] nasco /
nella definizione di una particolare retorica
/ in cui finisce
ciò che può avere un fine” (il corsivo è mio).
A me pare che davvero qui ci sia tutto: l’acqua come
emblema di liquidità, le conchiglie e i sassi che figurano
come simboli di circoscritta bellezza, il paziente
paguro, che fa la sua casa in simbiosi, le incisioni del
“segno” (ma non del “senso”), la trama dei richiami,
la topologia dei fondamenti, il transito metaforico
(ma anche la nascita a “una particolare retorica”), il
tema della centralità e del decentramento, l’emblema
dell’essenza cosmica (il “mandala”), i travestimenti
del mito e l’amore, ma anche (forse) l’abito del fool.
In tutto riconosco quanto ha osservato Roberto Carifi
introducendo l’antologia Anni ’80, a cura di Luca Cesari
per Jaka Book (1993): “[…] la spinta di un desiderio
che non afferra, non prende e tuttavia dispone
di una pronuncia felice che può riscattare l’angoscia
della mancanza”.

(…)

[Riproduzione riservata]

© Aragano editore

* * *

La scheda del libro

LA FORZA DELLA DISABITUDINEAppartenendo all’attiva pattuglia della «parola innamorata» (avversa a ogni lirica e terroristica outrance), Mario Baudino s’è allevato al «fuoco di un altro amore», come recita il titolo di una sua raccolta di saggi, e ha proseguito nel suo cammino con una coerente e congeniale direzione di «margine», perseguendo ciò che non è mai centrale, ciò che è «interstiziale, nascosto, oscuro» ma ad un tempo «preciso e inevitabile». Dall’esordio poetico di Una regina tenera e stupenda (1980), dove tutto è avvolto in sogno, in indecifrabili accostamenti, in corrispondenze fragili, in frammentate congiunzioni, in tortuose e fluttuanti identificazioni, l’itinerario di Baudino si snoda per stazioni pausatissime, attraverso titoli come Grazie (1988), Colloqui con un vecchio nemico (1999), o al titolo più narrativo di Aeropoema (2006), la cui comunicabilità arriva a manifestarsi nei procedimenti tipici del parlato: zeppe, segnali discorsivi, avvisi d’attenzione, divagazioni, digressioni, ritorni, e persino chiacchiera, verbiage. Per giungere, infine, agli attuali inediti che toccano i mesi e i giorni più recenti. Attraverso continuità e discontinuità di toni, timbri, registri, ma sempre anche attraverso quel filo di raucedine vocale e di stridula – persino ludica – ironia mentale, che si annida nella disposizione prosodica, nelle frizioni sillabiche, nella viandanza ritmica, l’orchestrale pluralità degli esiti acconsente a una sempre maggiore chiarezza di dettato. In questo ormai lungo e non quieto percorso, i testi inediti costituiscono l’ultima prova di una speranza che si attenua, ma anche la documentazione più recente di una lunga fedeltà, mantenendo alla poesia di Baudino – insieme con il primato delle nuvole – il mai smentito privilegio della – per lui – ineludibile sprezzatura.

* * *

Mario Baudino vive a Torino dove fa il giornalista. Oltre alle raccolte di poesia (ha esordito nell’antologia La parola innamorata (1978), e pubblicato Una regina tenera e stupenda, Grazie – premio Montale –, Colloqui con un vecchio nemico – Premio Volterra e premio Brancati –, Aeropoema) è autore di romanzi: In volo per Affari (1994), Il sorriso della Druida (1998), Per amore o per ridere (2008), Lo sguardo della farfalla (2016). Tra i saggi: Al fuoco di un altro amore (1986), Voci di guerra, sette storie d’amore e di coraggio (2002), Il Mito che uccide (2004), Il Gran rifiuto, storie di autori rifiutati dagli editori (1991, 2009), Ne uccide più la penna (2010), dedicato ai detective bibliofili nella letteratura di genere, Lei non sa chi sono io (2017), sulla pseudonimia letteraria.

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MARIO BAUDINO ospite di “Letteratitudine in Fm” con “Lo sguardo della farfalla – “La guerra non ha un volto di donna” di SVETLANA ALEKSIEVIC http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/02/01/in-radio-con-mario-baudino-e-svetlana-aleksievic/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/02/01/in-radio-con-mario-baudino-e-svetlana-aleksievic/#comments Mon, 01 Feb 2016 18:24:05 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7043 MARIO BAUDINO con “Lo sguardo della farfalla” e “La guerra non ha un volto di donna” di SVETLANA ALEKSIEVIC a “Letteratitudine in Fm” di lunedì 01 febbraio 2016 – h. 10 circa (e in replica nei seguenti 3 appuntamenti: giovedì alle h. 03:00 del mattino; venerdì alle h. 13:00; domenica alle h. 03:00 del mattino)

In Fm e in streaming su Radio Hinterland

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO

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È stato Mario Baudino l’ospite della prima parte della puntata di “Letteratitudine in Fm” di lunedì 1 febbraio 2016. Con Mario Baudino abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Lo sguardo della farfalla” (Bompiani).

La seconda parte della puntata è stata dedicata al volume “La guerra non ha un volto di donna” (Bompiani) del Premio Nobel per la Letteratura 2015 Svetlana Aleksievic.

Di seguito, le schede dei due libri.

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Lo sguardo della farfalla“Lo sguardo della farfalla” di Mario Baudino (Bompiani)

La vita è piuttosto eccitante per Demi, Duccio e Matteo, librai di un paese di montagna del Piemonte. Ma lo diventa ancor di più quando ricevono l’incarico di valutare un’immensa biblioteca ereditata in modo alquanto misterioso da un professore universitario. A procurar loro un’avventura degna di un romanzo gotico – la villa sembrerebbe infestata da un fantasma – sono i misteri che affiorano durante il lavoro: la scomparsa di un libro dal titolo ambiguo, le indagini di una giornalista d’assalto, la curiosità sospetta di una imprevedibile cliente. In una caccia al tesoro che si consuma tra le pagine di libri antichi e fra le cronache del presente e del passato, Mario Baudino intreccia una trama piena di colpi di scena dove i tre improbabili investigatori verranno a capo di un lontano segreto legato agli anni di piombo. Ma come spesso accade, i segreti possono essere un po’ beffardi…

Mario Baudino (1952), giornalista della “Stampa”, ha pubblicato romanzi e saggi, tra i quali ricordiamo Voci di guerra (Ponte alle Grazie 2001), Il mito che uccide (Longanesi 2004), Per amore o per ridere (Guanda 2008) e Il gran rifiuto (Longanesi 1991, ripreso da Passigli nel 2009).

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“La guerra non ha un volto di donna” di Svetlana Aleksievic (Bompiani)

La guerra  non ha un volto  di donnapremio nobel per la letteratura 2015

Se la guerra la raccontano le donne, quando prima l’hanno raccontata solo gli uomini… se a farla raccontare è Svetlana Aleksievi?c… se le sue interlocutrici avevano in gran parte diciotto o diciannove anni quando, perlopiù volontarie, sono accorse al fronte per difendere la patria e gli ideali della loro giovinezza contro uno spietato aggressore… allora nasce un libro come questo. 22 giugno 1941: l’uragano di ferro e fuoco che Hitler ha scatenato verso Oriente comporta per l’urss la perdita di milioni di uomini e di vasti territori e il nemico arriva presto alle porte di Mosca. Centinaia di migliaia di donne e ragazze, anche molto giovani, vanno a integrare i vuoti di effettivi e alla fine saranno un milione: infermiere, radiotelegrafiste, cuciniere e lavandaie, ma anche soldati di fanteria, addette alla contraerea e carriste, genieri sminatori, aviatrici, tiratrici scelte. La guerra “al femminile” – dice la scrittrice – “ha i propri colori, odori, una sua interpretazione dei fatti ed estensione dei sentimenti e anche parole sue”. Lei si è dedicata a raccogliere queste parole, a far rivivere questi fatti e sentimenti, nel corso di alcuni anni, in centinaia di conversazioni e interviste. Cercava l’incontro sincero che si instaura tra amiche e quasi sempre l’ha trovato: le ex combattenti e ausiliarie al fronte avevano serbato troppo a lungo, in silenzio, il segreto di quella guerra che le aveva per sempre segnate. E a mano a mano che raccoglie le loro confidenze e rimorsi e afflizioni Svetlana Aleksievi?c si convince di una cosa: la guerra “femminile” è nella percezione delle donne anche più carica di sofferenza di quella “maschile”. Per colei che dona la vita dispensare la morte non può mai essere facile; e se, come ovvio, celebra con i commilitoni la Vittoria e la fine dell’incubo bellico, nella sua memoria restano incise, più sensibilmente delle eroiche imprese, vicende che parlano di abnegazione, compassione e amore negato.

Svetlana Aleksievic è nata in Ucraina nel 1948, da padre bielorusso e madre ucraina, entrambi insegnanti nelle scuole rurali. Giornalista e scrittrice, è nota soprattutto per essere stata cronista, per i connazionali, dei principali eventi dell’Unione Sovietica della seconda metà del XX secolo. Fortemente critica nei confronti del regime dittatoriale in Bielorussia, è stata perseguita dal regime del presidente Aleksandr Lukašenko e i suoi libri sono stati banditi dal paese. Dopo dodici anni all’estero, ora è tornata a Minsk. Ha pubblicato libri tradotti in oltre quaranta lingue. Ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura 2015 per la “sua polifonica scrittura nel raccontare un monumento alla sofferenza e al coraggio dei nostri tempi”. Ha ricevuto numerosi altri riconoscimenti internazionali, tra cui il Premio per la pace degli editori tedeschi alla Fiera di Francoforte (2013), il Prix Médicis essai (2013) e il Premio Masi Grosso d’Oro Veneziano (2014). Di Svetlana Aleksievi?c sono usciti in Italia: Preghiera per C?ernobyl’ (2002), Ragazzi di zinco (2003), Incantati dalla morte (2005), Tempo di seconda mano (Bompiani 2014, miglior libro del 2013 secondo la rivista “Lire”).

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO

La colonna sonora della puntata è composta dai seguenti brani musicali: “Beethoven Moonlight Sonata op 27” di Valentina Lisitsa; “Satyagraha – 01 Act 1” di Philip Glass;


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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa), con una serie di repliche nei giorni successivi. Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

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