LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » Mariolina Bertini http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 WANN-CHLORE, JANE LA PALLIDA di Honoré de Balzac (raccontato da Mariolina Bertini, traduttrice italiana del romanzo) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/04/08/wann-chlore-jane-la-pallida-di-honore-de-balzac/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/04/08/wann-chlore-jane-la-pallida-di-honore-de-balzac/#comments Wed, 08 Apr 2020 05:22:29 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8451 “Wann-Chlore, Jane la pallida” di Honoré de Balzac (raccontato da Mariolina Bertini, traduttrice italiana del romanzo)

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Il nuovo appuntamento dello spazio di Letteratitudine chiamato Vista dal traduttore (dedicato, per l’appunto, al lavoro delle traduttrici e dei traduttori letterari) è incentrato sul romanzo “Wann-Chlore, Jane la pallida” di Honoré de Balzac (Edizioni Clichy – traduzione di Mariolina Bertini ): uno dei romanzi meno noti di Balzac, mai pubblicato in italiano se non in forma edulcorata e introvabile dagli anni Trenta del Novecento, proposto adesso in una nuova traduzione di Mariolina Bertini e con un’introduzione di Alessandra Ginzburg.

Mariolina Bertini ha insegnato all’Università di Parma dal 1988 al 2017, ha studiato Proust e Balzac e ha pubblicato nel 2017 presso Pendragon Torino piccola. Una giovinezza del XX secolo e nel 2019 presso Carocci L’ombra di Vautrin. Proust lettore di Balzac.

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Honoré de Balzac, Wann-Chlore, Jane la pallida, ed. orig. 1825, trad. di Mariolina Bertini, introduzione di Alessandra Ginzburg, Clichy, Firenze, 2020, pp. 479

di Mariolina Bertini

Non è un’impresa che si affronti a cuor leggero, tradurre Balzac. Già i suoi contemporanei restavano spiazzati davanti al suo linguaggio in cui confluivano i gerghi di tutte le professioni, i neologismi alla moda, gli arcaismi mutuati dal suo amatissimo Rabelais. I giornalisti protestavano. La lingua dei suoi romanzi non era il bel francese chiaro, cartesiano dei classici: era “un ‘altra cosa”. I primi a capire che questa “altra cosa” era uno strumento meraviglioso per raccontare la modernità, furono il poeta Théophile Gautier e il critico Hippolyte Taine: oggi è un dato acquisito, che nessuno mette più in discussione. Ma per i traduttori, trasferire quel meraviglioso, sofisticato strumento da una lingua all’altra, è un’ardua prova.
L’ho affrontata volentieri, questa prova, per rimettere in circolazione un’opera misconosciuta di Balzac, il romanzo giovanile Wann-Chlore, la cui ultima versione era arrivata nelle librerie italiane cent’anni fa.  La traduzione è stata un costante esercizio di equilibrismo: evitare gli anacronismi, rendendo al tempo stesso la prosa balzachiana accessibile al lettore italiano d’oggi senza fatica, con naturalezza e piacere.  I lettori – sperando che ci siano – diranno se ci sono riuscita.
Wann-Chlore è, nell’improbabile inglese di Balzac, il nome dell’eroina del romanzo: all’inizio della storia, una quindicenne pallida e quasi fantasmatica, ma dal fascino irresistibile. Al tempo delle guerre napoleoniche, pur essendo inglese, vive con il padre adottivo a Parigi, in quella che è oggi Place des Vosges; con il suono incantato della sua arpa, affascina un giovane aristocratico, Horace Landon. Le melodie irlandesi di Thomas Moore, i suoi versi sugli amori degli angeli accompagnano la nascita di un amore intenso e puro; ma Horace deve partire per la Spagna con l’esercito di Napoleone, e l’idillio dovrà proseguire di lontano.  Horace affida Wann alle cure del suo più caro amico, l’italiano Annibal Salvati. Ma l’amico si invaghisce a sua volta del poetico pallore della giovane inglese e ordisce un perfido intrigo per separare i due innamorati. Tornato in Francia e convinto di essere stato abbandonato da Wann, Horace va a vivere in un villaggio, lontano da Parigi; qui, senza aver dimenticato il suo primo amore, è colpito dalla bellezza e dall’infelicità della dolce Eugénie d’Arneuse, vittima di una madre arrivista, civetta, gelida e autoritaria.  Dopo molte esitazioni, Horace decide di raccontare tutta la sua storia a Eugénie e di chiederla in moglie, mosso più da una fraterna compassione che da autentico amore. Eugénie invece prova per lui la prima, violentissima passione della sua vita, e accetta di sposarlo, pur comprendendo che l’ombra di Wann peserà sempre sulla loro unione.  La vicenda si complicherà con il suicidio di Salvati e la ricomparsa di Wann, che si è ritirata a vivere in un suggestivo ritiro all’ombra della cattedrale di Tours.  Trascinati dalla fatalità, Eugénie, Wann e Horace vivranno fino in fondo, ciascuno a suo modo, l’esperienza dell’amore romantico, in cui si confondono egoismo ed ebbrezza del sacrificio, erotismo e slanci mistici, sogni allucinati e crudeli ritorni alla realtà.
Balzac non incluse Wann-Chlore, scritto tra il 1822 e il 1825, nella Commedia umana, pur ristampandolo nel 1836.  Era troppo prossimo, con le sue eroine angeliche e con le inquietanti apparizioni del traditore Salvati, al mondo fantastico del romanzo gotico, che non poteva trovar posto nella sua fedele raffigurazione della civiltà contemporanea.  Ma proprio l’atmosfera così peculiare di quest’opera giovanile lontana dal realismo la rende oggi per noi particolarmente attraente e suggestiva.

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Un estratto del libro

[Il rifugio di Wann-Chlore a Tours e la cattedrale di Saint-Gatien]

Il luogo che Wann-Chlore aveva scelto per ritirarsi non era privo di fisionomia. I luoghi non hanno forse, come le persone, caratteri diversi? E poi, come l’amicizia si fonda soltanto su certi rapporti tra le anime, l’anima, che ha una sorta d’amicizia per le cose, non instaura sempre, con  istinto meraviglioso,  una segreta armonia tra se stessa e le realtà con le quali deve incessantemente confrontarsi? La nostra anima si tradisce così attraverso piccoli indizi che non sfuggono all’occhio dell’osservatore, e Wann-Chlore lasciava indovinare i suoi segreti pensieri attraverso il solo aspetto della sua dimora.
La cattedrale di Saint-Gatien è uno di quei grandi monumenti con i quali gli architetti del Medio Evo hanno abbellito la Francia.
Questa architettura ha la particolarità di riuscire a  unire l’abbondanza, la minuzia, perfino la bizzaria degli ornamenti alla grandezza, all’audacia dell’insieme: dov’è il vero Dio, sembra che là sia il sublime,  e che ci sia posto per le rappresentazioni più fantastiche delle creature. In effetti, se la vista, dopo esser salita sino al cielo con le piccole cupole delle guglie, si abbassa sulla basilica, allora i numerosi archi di sostegno che sembrano moltiplicarsi, i pilastri che raffigurano diversi alberi riuniti, incoronati dal loro fogliame a guisa di capitello,  e una  moltitudine di animali scolpiti, offrono all’occhio lo spettacolo di una foresta incantata . Ci sono tutte le creature sorte dal pensiero del Dio vivente, la loro folla è animata: alcune si arrampicano, altre strisciano, tutte giocano; questa non è più una pietra messa per respingere le acque del cielo, è un abitante del Nilo; tutte sono allineate con ordine, e par di indovinare che un pensiero bizzarro abbia dominato l’architetto  quando innalzò questo monumento.  Sembra perfino che la natura  si sia preoccupata di dare alla massa imponente di questo edificio un’espressione tutta romantica: nubi di corvi ne abitano continuamente le vette e il loro funebre canto  presta una voce terribile a questa dimora del Dio vendicatore.
Questa cattedrale,  cui il passaggio dei secoli ha lasciato in eredità una patina scura, è circondata da grandi edifici,  neri quanto i numerosi archi che proteggono le sue cappelle laterali . Nel luogo in cui, dietro il santuario, gli archi si riuniscono e abbondano, come a proteggere il santo dei santi, c’è  poi una piazzetta triste e silenziosa; l’erba vi cresce tra i sassi del selciato, è deserta come un luogo d’orrore …
Lì abitava Wann-Chlore, protetta da una duplice barriera di pace e di silenzio. A volte quella spaventosa solitudine era turbata, ma soltanto dalle mille voci del popolo, e i canti di terrore o di gioia, i canti religiosi, attraversando i muri, venivano a morire al suo orecchio come i rumori dei flutti del mondo abitato  giungono a un’anima che prende il volo verso i cieli.

(Riproduzione riservata)

© Edizioni Clichy

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Wann-Chlore. Jane la pallida - Honoré de Balzac - copertinaLa scheda del libro

Nel 1825 Honoré de Balzac, a 26 anni, pubblica anonimamente il più ambizioso dei suoi romanzi giovanili, “Wann-Chlore”. Si ispira nell’intreccio a un dramma giovanile di Goethe, “Stella”, che affronta il tema di un uomo diviso tra l’amore di due donne. È questa anche la situazione del protagonista di “Wann-Chlore”, un giovane ufficiale di nobile e ricca famiglia, Horace Landon. Durante le guerre napoleoniche, Horace vive un’intensa e romantica storia d’amore con una fanciulla inglese, Wann-Chlore. Credendosi però tradito da lei, in seguito a un complesso inganno ordito da un falso amico, sposa nel 1814 Eugénie, dolce e devota creatura martirizzata da una madre ambiziosa e durissima. Quando, troppo tardi, Horace scopre che Wann-Chlore non l’aveva mai tradito, abbandona Eugénie e torna da lei. Eugénie però non si rassegna: si fa assumere sotto falso nome al servizio della rivale e sviluppa verso di lei una sorta di complesso e tormentato odio-amore. La situazione precipiterà verso uno scioglimento tragico, che riunirà gli amanti in una «morte d’amore» simile a quella di Tristano e botta. Lungamente elaborato da Balzac tra il 1822 e il 1825, “Wann-Chlore” alterna episodi più realistici (come i rapporti di Eugénie con la madre) a parti dall’atmosfera fantastica e onirica, ispirate al romanzo gotico. Balzac lo ripubblicherà nel 1836, insieme ad altre opere giovanili, in un’edizione censurata e ridotta, con il titolo “Jane la Pale”.

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Tutte le puntate di “Vista dal traduttore” sono disponibili qui.

L’introduzione della rubrica è disponibile qui

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MARCEL PROUST – SAGGI: intervista a Mariolina Bertini http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/01/09/marcel-proust-saggi/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/01/09/marcel-proust-saggi/#comments Sat, 09 Jan 2016 08:06:49 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7008 MARCEL PROUST – SAGGI (Il Saggiatore)

edizione integrale curata da Mariolina Bongiovanni Bertini e Marco Piazza

di Massimo Maugeri

Il nuovo appuntamento della rubrica di Letteratitudine chiamata “Saggistica Letteraria” è incentrato su un bellissimo e corposo volume dedicato all’intera produzione saggistica di Marcel Proust. Il libro, edito da Il Saggiatore e intitolato “Marcel Proust – Saggi” (pagg. 974, euro 75), offre molteplici spunti di riflessione sulle svariate tematiche culturali e letterarie che l’autore della Recherce ha prodotto nel corso dell’esistenza in parallelo alla sua attività di romanziere.

Ne ho discusso con Mariolina Bertini (foto in basso), curatrice dell’opera (nonché, tra le altre cose, docente di Letteratura francese all’Università di Parma; curatrice delle edizioni delle principali opere di Proust presso Einaudi, Bollati Boringhieri e Suhrkamp; curatrice, nei Meridiani Mondadori, di una scelta in tre volumi della Commedia umana di Balzac: un estratto della prefazione del 3° volume è disponibile qui).

-Marcel Proust è universalmente noto per la sua Recherche. Nell’ambito della sua attività saggistica (raccolta in quest’opera monumentale pubblicata da “Il Saggiatore”) quali sono gli elementi che lo avvicinano e quali quelli che lo distanziano dalla sua attività di romanziere?
Una delle particolarità della Ricerca del tempo perduto è quella di essere un’opera nella quale sono confluite  tutta l’esperienza  e tutta la cultura del suo autore.  I critici si affannano a ripetere ai lettori comuni che la Ricerca non è un’autobiografia e che il personaggio che da un capo all’altro dei sette romanzi che la compongono dice “io”, non è Marcel Proust. Tuttavia  il lettore ingenuo, non prevenuto, che tende ad identificare Proust con il suo narratore , coglie una verità profonda dell’opera:  il fatto che dal 1908 al 1922 Proust ha lavorato a trasporre e rielaborare nel suo romanzo i propri ricordi, la propria conoscenza della società francese, il proprio pensiero sull’arte e sui rapporti tra l’arte e la vita. Dunque , nella Recherche c’è tutto Marcel Proust, l’inventore di personaggi ma anche il critico (vi troviamo pagine su Dostoevskij, su Balzac  e su altri scrittori), l’umorista, il sociologo, lo psicologo…  Una ricchezza senza fine. Attraverso i Saggi, è possibile seguire la genesi nel tempo di questa ricchezza di idee che caratterizza la Recherche : negli articoli  giovanili  emergono l’interesse per l’arte medioevale , ma anche la curiosità per la mondanità e per la moda, l’attenzione per le letture infantili, le riflessioni sulla creazione artistica. Leggere questi Saggi spesso  equivale dunque ad entrare nel laboratorio mentale da cui nasce la Ricerca , con tutti i suoi temi  e con lo sfondo della cultura fin de siècle vista da un testimone d’eccezione.

-Nel dedicarsi alla lettura di questi saggi qual è la sorpresa principale in cui potrebbe imbattersi il conoscitore di Proust romanziere?
Come dicevo prima, la Ricerca ha una forte dimensione autobiografica : mette in scena un narratore chiuso ermeticamente nelle proprie impressioni, nei propri desideri, nelle proprie fantasie. Dai Saggi viene fuori  invece – gradevole sorpresa per il lettore del grande romanzo- un Proust attento a tutto e curioso del mondo esterno, pronto a pronunciarsi polemicamente su una legge che non gli piace (la legge laicista che voleva trasformare le cattedrali in musei) o a commentare con accento dostoevskiani una tragedia di cronaca nera (Sentimenti filiali di un matricida).

-Se invece volessimo rivolgerci a coloro che non hanno mai letto nulla di Proust… quali opportunità offre questa raccolta di saggi?
Per chi non sia un frequentatore della Ricerca, questi saggi costituiscono comunque una via d’accesso privilegiata al mondo artistico e intellettuale europeo dell’epoca . Leggerli ci offre l’occasione di guardare la pittura di Gustave Moreau o  le cattedrali amate da Ruskin con gli occhi di un giovane colto vissuto tra la fine del XIX° secolo e l’inizio del XX°; un giovane che ha fatto a tempo a  conoscere personalmente Oscar Wilde ma che è anche tra i primi ammiratori di Picasso, in quel momento cruciale e contraddittorio che è l’ aurora della cultura modernista.

-Nel volume sono raccolti saggi, recensioni e cronache mondane che ricoprono un arco temporale molto ampio della vita dello scrittore (dagli anni del Collège fino al periodo successivo alla Prima guerra mondiale). Cosa puoi dirci in merito alla evoluzione della scrittura di Proust, con riferimento a questi suoi testi?
Proust conquista  presto una scrittura personale : già le pagine, inedite in vita, scritte sull’ispirazione e sulle leggi della poesia negli ultimi anni del XIX° secolo, annunciano la lunga frase sinuosa della Recherche, che cerca di far percorrere al lettore lo stesso cammino mentale  che lo scrittore intraprende per comunicargli le proprie impressioni. E’ interessante leggere, a questo proposito , il saggio Sulla lettura , del 1905 , in cui un Proust non ancora romanziere (ha alle spalle soltanto un tentativo non riuscito, l’autobiografico Jean Santeuil ) ci conduce nel mondo della sua infanzia, nel giardino di Illiers dove ha  fatto le sue prime esperienze di lettore. La Ricerca non è ancora stata concepita, eppure il suo tema centrale (quello della memoria “involontaria”, destata da sensazioni improvvise) comincia a profilarsi, in un contesto dal fascino singolarissimo. E  questo tema  esige una scrittura  che lo esprima con assoluta originalità: la scrittura che sarà della Ricerca, ma che vede la luce in queste pagine saggistiche del 1905.

-Per ciò che emerge da questi saggi, come si pone Proust rispetto ai principali scrittori e critici suoi contemporanei?
Proust, tra i suoi contemporanei, è piuttosto isolato; non ama i cenacoli simbolisti e nemmeno  i gruppi in cui si formulano i manifesti delle avanguardie. Quando Gallimard diventa il suo editore, nel 1918, la rivista di Gallimard, la “Nouvelle Revue Française”, gli apre le porte e pubblica due dei suoi più importanti saggi critici , quello su Baudelaire e quello su Flaubert. Agli occhi del pubblico, Proust è allora un autore targato “NRF”, come Gide ; ma lui non si sente affine né a Gide né ad altri suoi grandi contemporanei, come Claudel o Péguy.  Non sottovaluta i suoi “compagni di strada” e nella sua corrispondenza ha spesso parole incoraggianti nei confronti degli esordienti che gli chiedono consiglio, o di vecchi amici che hanno deciso di intraprendere la via della letteratura; ma rifugge da ogni impresa collettiva, attento alla specificità della sua estetica e totalmente assorbito dall’elaborazione della sua opera personale.

-Il volume apre con un saggio di particolare importanza intitolato “Contro Sainte-Beuve”. Quali sono gli elementi di principale interesse che offre questo testo?
Per il lettore italiano che prenderà in mano questo volume, la sorpresa più grande sarà certamente costituita  dal saggio del 1908-09 Contro Sainte-Beuve. Di questo saggio infatti, che Proust non portò mai a termine, sinora era stata tradotta in italiano soltanto la versione ricostruita da Pierre Clarac nel 1971. Era una versione composta di soli frammenti critici, nei quali Proust si sforzava di dimostrare che Sainte-Beuve – critico autorevolissimo scomparso qualche anno prima- aveva commesso un grande errore focalizzando le sue analisi sulla biografia degli scrittori studiati. L’io profondo che si manifesta nella creazione letteraria, per Proust, non può essere catturato con gli strumenti della biografia, ma va rintracciato nella dimensione stilistica e tematica dell’opera. Però i testi saggistici isolati da Pierre Clarac erano soltanto una piccola parte dell’opera magmatica, in costante divenire, cui Proust pose mano nel 1908-09. Nei quaderni dello scrittore, questi testi saggistici coesistevano con abbozzi narrativi nei quali cominciavano a far capolino i personaggi della futura Ricerca. La nuova edizione del Contro Sainte-Beuve contenuta nei Saggi e curata da un giovane studioso della filosofia di Proust, Marco Piazza, dà un’idea più realistica di qesta fase del lavoro di Proust, fase in cui il suo romanzo maggiore comincia ad emergere dalla riflessione critica, con cui è inizialmente intrecciato.

-Tra le altre cose, cara Mariolina, sei la curatrice dei Meridiani Mondadori dedicati a Balzac… dunque non posso non chiederti di raccontarci qualcosa in merito al “ritratto” che Proust ci offre di Balzac. Cosa puoi dirci a tal proposito?
La commedia umana vol.3Con il suo grande predecessore Balzac,  Proust ha un rapporto complesso , e anche contraddittorio. Nelle pagine del Contro Sainte-Beuve esprime su di lui un giudizio severo : a differenza di Flaubert, che persegue la purezza e la perfezione assoluta dello stile, Balzac inserisce nei suoi racconti digressioni e riflessioni  di varia natura che compromettono  l’omogeneità della sua scrittura. Possiamo dire che  Il Proust del Contro Sainte-Beuve legge Balzac con gli occhi di Flaubert , che in una delle sue lettere aveva sospirato: “Che uomo sarebbe stato Balzac, se avesse saputo scrivere!”. Tuttavia, nel corso della lunga elaborazione della Ricerca, il modello balzachiano  esercita un ascendente forte su Proust : la grande figura del barone di Charlus, che nasconde la propria omosessualità e il proprio masochismo  dietro una facciata di intransigente virilità, deve molto a Vautrin, il genio criminale che in Papà Goriot e in Illusioni perdute impone la propria ambigua protezione ai giovani  verso cui lo orienta un irresistibile desiderio erotico.
Inoltre, Balzac è stato  tra i primi romanzieri a dare largo spazio a quello che Carlo Ginzburg ha definito il “paradigma indiziario” . Le sue descrizioni ossessivamente dettagliate hanno lo scopo di fornire al lettore gli indizi  per decifrare la realtà:  nell’arredamento di casa Grandet è scritta l’avarizia del padrone di casa;  l’abito grigio della principessa di Cadignan  esprime il  segreto desiderio di questa grande seduttrice di mostrarsi per una volta dimessa , riservata e quasi timida.  Sarà proprio Proust a ereditare – più di qualsiasi altro romanziere delle generazioni successive – questa  strenua volontà balzachiana di decifrare il reale, di leggere la realtà psicologica e sociale facendone emergere i significati nascosti.

-In definitiva, qual è – a tuo avviso – la principale eredità che Proust ci lascia con riferimento specifico all’attività di saggista e di critico?
Il fascino di questi saggi sta nella molteplicità degli stimoli che offrono: ci portano nei salotti degli anni Novanta dell’Ottocento  ma anche davanti alle sculture della cattedrale di Amiens, e nel parco di Illiers dove lo scrittore bambino sperimenta per la prima volta il sortilegio della lettura.  Per chi poi nutra interesse per la critica letteraria, i saggi del periodo che segue il primo conflitto mondiale sono davvero irrinunciabili. Proust vi espone la propria teoria dello stile,  “grande ossatura inconscia”  sottesa alle opere  , e la mette alla prova in analisi magistrali dello stile di Baudelaire e di Flaubert . E’ sicuramente in queste pagine, che ispireranno la critica stilistica di Curtius e di Spitzer, che sta la grande eredità del Proust critico, destinata a lasciare un segno profondo nella cultura del Novecento.

-Grazie mille per la tua disponibilità e per le belle risposte che ci hai offerto, cara Mariolina.

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La scheda del libro

Autore centrale del canone letterario novecentesco, ricordato per quella fluviale opera-mondo e insuperabile costruzione romanzesca che è Alla ricerca del tempo perduto, Marcel Proust ha accompagnato, lungo tutto l’arco della sua vita, l’attività narrativa a quella saggistica, consegnando alla posterità un’impressionante messe di recensioni, articoli, interventi di critica letteraria e del gusto, riflessioni teoriche legate al significato dell’arte, alla sua permanenza, alla sua possibilità di offrire – a chi legge come a chi, rapito, osserva una statua antica in cima a una colonna o una guglia contro il cielo del mattino – specchi in cui vedere e capire se stessi. Padrone di una lingua dalle risorse inesauribili e dotato di un’erudizione mai fi ne a se stessa e sempre impiegata per leggere in profondità il libro del mondo, Marcel Proust fonde in questiSaggi – che il Saggiatore presenta nell’edizione integrale curata da Mariolina Bongiovanni Bertini e Marco Piazza – cronaca e racconto, analisi e divagazione, engagementdivertissement, minando le tradizionali distinzioni di genere e registro. Una recensione di John Ruskin è allora l’occasione per un’evocazione immaginifica di Venezia, e la ricusa di uno dei critici più importanti dell’Ottocento francese – il famoso Contro Sainte-Beuve, qui arricchito di materiali finora inediti in Italia – si trasforma in uno dei più lucidi documenti di teoria letteraria del ventesimo secolo. Questa raccolta, che dai primi componimenti scolastici arriva fi no alle più compiute elaborazioni critiche della maturità – come quella, rimasta celebre, sullo stile di Gustave Flaubert –, è un prisma privilegiato attraverso cui guardare a Marcel Proust e, nel suo tracciarne la chiara parabola umana e artistica, si rivela uno strumento imprescindibile a chi ne voglia avvicinare con piena consapevolezza l’opera letteraria.

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Mariolina Bertini insegna Letteratura francese all’Università di Parma. Ha curato edizioni delle principali opere di Proust presso Einaudi , Bollati Boringhieri e Suhrkamp. Presso Bollati Boringhieri ha pubblicato nel 1996 “Proust e la teoria del romanzo”; presso Unicopli , nel 2010, “Incroci obbligati. Romanzo, ritratto, mélodrame”. Ha curato, nei Meridiani Mondadori, una scelta in tre volumi della Commedia umana di Balzac (1994- 2013) e Ritratti personaggi fantasmi di Giovanni Macchia (1997) . Ha diretto insieme ad Antoine Compagnon, Morales de Proust, n. IX-X dei “Cahiers de littérature française”, novembre 2010 e, insieme a Patrizia Oppici, il n. 64 di “Francofonia”, Du côté de chez Swann 1913/2013 , Primavera 2013. E’ vicedirettore de “L’Indice dei libri del mese”, membro del Consiglio direttivo del Groupe International de Recherches Balzaciennes, corrispondente per l’Italia dell’”Année Balzacienne” e membro corrispondente dell’Accademia delle Scienze.

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