LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » Marvel http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 LUCCA COMICS 2019: incontro con Chris Claremont http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/10/31/lucca-comics-2019-incontro-con-chris-claremont/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/10/31/lucca-comics-2019-incontro-con-chris-claremont/#comments Thu, 31 Oct 2019 18:28:43 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8314 Lucca Comics & Games 2019

Il nostro primo articolo dedicato a LUCCA COMICS AND GAMES 2019, firmato dal nostro inviato a Lucca, Furio Detti, riguarda l’incontro con una vera e propria “leggenda vivente” del mondo dei comics: Chris Claremont

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Fa male. Ogni volta

Chris Claremont, il padre della saga degli X Men, parla di caratterizzazione, creazione di personaggi immortali e del ruolo fra attori, editor e scrittori al Press Café di LCG2019

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Furio DETTI per Letteratitudine
(Lucca 30 ottobre 2019)

Chris CLAREMONT, il “papà” degli X-Men, successo mondiale a nuvolette e, poi, nel cinema è ospite eccezionale oggi al Press Cafe di LCG2019. Detiene il record del fumetto più venduto negli Stati Uniti, X-Men n.1, con disegni di Jim Lee. Con John L. Byrne è entrato nella “Will Eisner Hall of Fame”, e finalmente adesso presente in diversi incontri durante questa edizione 2019. Claremont è come di consueto sottoposto al fuoco di batteria dei giornalisti presenti in discreto numero in sala, e se la cava come i suoi eroi… ma con uno spirito assai meno cupo, forte della sua esperienza come attore.

La domanda di LCG2019 – Il tema di questa edizione di LCG è la “comunità che abbraccia la diversità”, argomento principe della saga degli X-Men, e sempre più attuale oggi che allora: cosa ne pensa?
CLAREMONT – Sì, certo. Vedete, io lavoro a New York, una comunità in cui la diversità è totale: scendi in strada e, passando da un quartiere all’altro, fai praticamente il giro del mondo. Puoi mangiare cinese, francese, indiano, sudamericano, algerino, italiano (ovviamente – ride): ogni cucina e cultura è rappresentata. Parlando di cucina, l’unica cosa che non si trova a New York è la “Chicago Deep Ditch Pizza”, una pizza clamorosamente spessa, alta, ultrafarcita. John Stewart mi ha insegnato come mangiarla correttamente: ne prendi un trancio, lo ripieghi e te lo cacci in gola. Il sindaco di New York, che viene da Boston se la mangia con coltello e forchetta! Il punto è che per uno scrittore New York è l’accesso a ogni cosa: guardi le persone, le ascolti, sul tram, in metropolitana, per strada, nei locali. Come scrittore prendi tutta questa varietà umana, che toglie il fiato, e la usi! Sostanzialmente l’abilità dello scrittore consiste nel rubare qualsiasi cosa da tutto ciò che lo circonda e da chiunque gli stia vicino, quindi state attenti: ho con me un bloc note! [ridiamo] E non è uno scherzo.

LCG2019 – Vuoi parlarci un attimo delle tue ultime storie dedicate ai Nuovi Mutanti con Bill Sienkiewicz?
CLA- Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana… No, dai, non ridete, siamo tutti proprietà Disney e quindi oggi lo posso dire… Topolino indossa una cappa e ha in mano una spada laser. Quindi è ovvio che nascano nuovi eroi, come Minnie, che potrebbe diventare …”Black Widow”? Phew. Bene, trentasei anni fa ho creato con Bill questa serie, fantastica perché aveva uno stile del tutto inedito, surreale, astratto, era la cosa più lontana dall’idea di comics del momento. Poi Bill è andato per la sua strada e è diventato un brillante artista. Poi, per gli 80 anni della Marvel ci hanno chiesto di tornare insieme su questa storia; Bill “scioccamente” ha risposto “Sì, perché no!?!?” ed eccoci qua in lavorazione sul nuovo numero. Bill realizzava cose fantastiche, come le vecchie storie ma con un mucchio di cose nuove in più. Vedete bene, un tempo facevamo un numero al mese, oggi ci sono voluti 35 anni per la nuova uscita… È che non siamo più dei ragazzini! La cosa che più mi ha sopreso di tutta questa faccenda è l’entusiasmo di Bill nell’aver accettato il lavoro.

Claremont copre quindi con i giornalisti presenti un vasto raggio di argomenti.

**Gli X Men e i film della saga (…e Patrick Stewart a Lucca)**
Claremont non sapeva dell’evento che vede l’attore shakespeariano nella città dei Comics, ma ricorda che nell’ambito della lavorazione dei film aveva conosciuto anche Sir Ian McKellen, avendo lavorato con entrambi gli attori, così come ha conosciuto anche Hugh Jackman. Essendo stato egli stesso da giovane un attore ricorda che li ammirava moltissimo, specialmente McKellen, nella sua caratteristica espressione “That was coooool!” racconta di essere stato entusiasta di incontrare i suoi miti del palco. McKellen lo aveva sorpreso dicendo di conoscere non solo lui ma anche il suo lavoro. “Noterete che non ho detto nulla dei film degli X Men: alcuni erano molto belli, come *Giorni di un futuro passato*, altri meno. …certo – [scherza] – mi sarebbe piaciuto avere il nome mio e di John Byrne a caratteri cubitali nei credits.” Di *Dark Phoenix* dice che è comunque un ottimo film e che le voci negative non possono certo essere colpa di Simon Kinberg, che ha realizzato un’ottima sceneggiatura e girato un ottimo film, nonostante sia stato criticato. “A qualsiasi altro sceneggiatore direi: ‘Benvenuto a Hollywood!’”

**Il pubblico è cambiato?**
Per Claremont no, anche perché non cambiano i personaggi, le loro motivazioni, i loro dilemmi morali. Il pubblico si appassiona sempre se le storie sono “vere” e entrano in contatto con lui. “Io non ho un pubblico di riferimento: voglio tutti, in tutto il mondo! Venendo qui, in Italia a Lucca, mi si è avvicinata una bambina di otto anni che mi ha chiesto di firmare una copia degli X Men. Questo è il pubblico ideale. Ho lavorato a questa serie per diciassette anni e quando ho iniziato l’attività dei fumettisti era governata dalle regole della Comics Code Authority, c’erano delle regole su quello che fosse appropriato per dei bambini. Questo non è mai stato un problema per noi, se scrivevamo in modo da avere ‘profondità’ nella storia. Se leggi una di queste storie ben scritte, a 12 anni ci vedi solo certe cose; quando ci torni sopra a 25, vedi aspetti che non avevi mai preso in considerazione; se ci torni ancora da adulto con figli, a 40 anni, ci trovi cose a cui non avresti mai pensato in precedenza. Cambiando la tua esperienza di vita cambia la profondità e il livello di lettura e comprensione della storia. A 12 anni non fai caso – leggendo fra i dialoghi, le situazioni e le immagini – a cose che intravedi per forza solo da adulto. Allo stesso tempo puoi passare ai tuoi figli, di 11-12 anni le stesse storie e così via… Quei limiti ci hanno insegnato, forzandoci la mano, a dover scrivere con sottigliezza e in profondità. Lo hanno fatto Miller, Samuelson e sono riuscito a farlo anche io.” In questo modo i fumetti sono accessibili ai bambini ma sono fruibili e godibili per tutti. “Per me adesso la cosa più divertente è guardare le vignette e immagnare cosa sta succedendo fra una vignetta e l’altra. Non ho bisogno di vedere Batman nudo, disegnato esplicitamente sulla tavola, mi basta immaginarlo. Ma questo ci porta dritti a un’altra storia e a un’ora di confessione con il prete…”

**Quanto è stato duro programmare scrittura degli episodi e uscite?**
“Non lo è stato. Considero tutto una sola storia, esattamente come la vita. Come la vita le storie cambiano, ma hanno un seguito, imprevisti inclusi, così come succederebbe nella vita vera. A volte svoltare a sinistra a un bivio può cambiare la tua esistenza. Se non fossi andato a lavorare per la Marvel a 18 anni ora sarei un attore, o un analista politico, o il commesso di una valigeria… chi può saperlo. Ho considerato anche le uscite dei numeri allo stesso modo: sì, ma anche no. Tu fai un piano, e la cosa può andare o non andare come pensavi. Così va la vita.”

**Come la vita, i personaggi… Caratterizzare**
“Prendete Nightcrawler, è stato a lungo uno dei miei personaggi preferiti. Ha l’aspetto di un demone ma è quello più profondamente religioso della serie. Per farla breve, la sua visione è: Io sono così perché l’ha deciso Dio. Chi sono io per discutere il volere di Dio? Se Dio è responsabile di ciò che sono, tanto vale godersela… Dal punto di vista dello scrittore, a quel paese il cliché, il personagio è fico. Mentre Byrne non capiva questo aspetto, a lui – essendo canadese – piaceva Wolverine, così per lui Logan doveva diventare – per dirla all’americana – ‘lo spaccaculi più cazzuto che ci fosse!’ un vero *Badass*. Poi è arrivato Miller, abbiamo parlato di Wolverine, delle cose che piacevano a entrambi e di come trattare il personaggio… Di nuovo potevamo ricadere nel cliché, nel luogo comune. Quando è stato creato aveva dei guanti artigliati, così che chiunque indossasse quei guanti poteva fare come lui. Insomma, i guanti stavano a Logan come l’armatura stava a Tony Stark. Chiunque la indossi diventa Iron Man. Per me era un problema, ma non riuscivo a trovare una via d’uscita. Nel numero 98 è apparso uno sketch con Wolverine i cui artigli fuoriuscivano direttamente dal suo corpo. Inizialmente ho reagito provando shock… La mia seconda reazione, quella giusta, è stata: That was cooooool!Awful but cool. Orribile, ma fichissimo! E se volete sapere come sta la faccenda, guardatevi la sequenza filmica in cui a Logan viene chiesto se ‘fa male’. Lui guarda lei, guarda la strada, riguarda il suo pugno, riguarda la strada e dice: ‘Ogni volta!’Quando ho visto alla première la scena, sono saltato in piedi in sala e ho gridato ‘Sì!’. Mia moglie mi ha dato un pugno e mi ha detto ‘Siediti!’ A me non importava, questo è stato il momento in cui, non solo il personaggio, ma anche Hugh Jackman si è caratterizzato come Wolverine“. È così che deve funzionare! Ogni volta che Wolverine usa la sua arma si pugnala da solo! Si tratta di un momento ogni volta cruciale, specifico, va tenuto sotto controllo e va tenuto distinto e riconoscibile nella storia come nel personaggio. Come quando nel western il pistolero estrae la pistola. Del resto, sotto sotto, Wolverine non è una brava persona!”

**Le influenze e gli editor, ricordando Stan Lee**
Sostanzialmente, fondamentalmente, le prendo dalla vita. Un detto che circola nel settore è che i buoni editor sono migliori degli scrittori. Nel momento in cui gli racconti la storia, capiscono già cosa funziona e cosa no. La coppia perfetta erano Stan Lee e Jack Kirby sui Fantastici 4. Jack aveva centinaia di idee e Stan guardava la storia e la potava regolarmente, tagliando un mucchio di cose in modo che tutto arrivasse direttamente al lettore. Jack detestava questa cosa. La prese sul piano personale, ma pensava pure che così facendo Stan gettasse via molte cose buone. Passò alla DC e si dedicò ai Nuovi Déi. Così quando nella prima uscita c’erano centinaia di idee fantastiche il pubblico fece Wow! Nel secondo numero le idee nuove erano migliaia, il ‘wow’ era più forte. Nel dodicesimo numero fece esplodere la DC comics e i lettori: non potevano stargli dietro… Per quanto tu sia un grande autore, nessun lettore poteva seguirlo e fu la fine della storia. Kirby tornò alla Marvel, ma grazie a quell’esperienza la DC sfruttò l’eredità di Kirby per 35 anni. Compito degli editor come Lee, Goodwin, Nocenti è prendere il talento degli scrittori e fare loro le domande giuste, focalizzarli su quello che conta, aiutarli a creare una coerente, potente storia. Come Danny O’Neil fece con Miller in *Daredevil*. Creare una buona storia è sinergia: la gente giusta, nel posto giusto, al momento giusto. È una cosa che non succede spesso. Il talento sta nel capirlo”.

**LA DOMANDA DI LETTERATITUDINE**
(La prima domanda della platea di giornalisti a cui Claremont ha risposto…)
Sappiamo che in passato hai sofferto di problemi relativi alla continuità e alla coerenza nelle storie relative alle vicende dei tuoi personaggi. Quali cambiamenti vorresti vedere nel pubblico, ma soprattutto nei colleghi e negli editori e editors per rendere meno spinosa la faccenda?
[Enorme risata] “È come chiedere: Chi avresti voluto che vincesse le elezioni presidenziali USA del 2016?” Si potrebbero dire moltissime cose e avere mille desideri, ma la realtà è un’altra. Il punto è che nel mondo dei comics americani si lavora su commissione. Che sia Marvel, DC o Disney, il materiale è di loro proprietà. Che tu sia Stan Lee o Jack Kirby, la Marvel è il boss. Nella mia carriera ho creato più di 500 personaggi, molti dei quali di primissimo piano, e se mentre scrivevo avevo il pieno controllo delle storie, in seguito la palla è passata a altre persone e quindi sono arrivate alre idee. Come scrittore ho una reazione, come impiegato ne ho un’altra. Questa è la realtà. E nella realtà dobbiamo viverci tutti. Così qualunque sentimento provi verso le storie realizzate, adesso la decisione è della Marvel. La decisione è sempre stata della Marvel.

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OMAGGIO A STAN LEE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/11/13/omaggio-a-stan-lee/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/11/13/omaggio-a-stan-lee/#comments Tue, 13 Nov 2018 18:09:38 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8013 graphic-novel-e-fumettiIl nuovo post della rubrica di Letteratitudine intitolata “Graphic Novel e Fumetti” lo dedichiamo a un Grande del mondo dei fumetti: Stan Lee, pseudonimo di Stanley Martin Lieber (New York, 28 dicembre 1922 – Los Angeles, 12 novembre 2018): fumettista, editore, produttore cinematografico e televisivo statunitense, noto per essere stato presidente e direttore editoriale (Editor in Chief) della casa editrice di fumetti Marvel Comics, per la quale ha sceneggiato moltissime storie.

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di Massimo Maugeri

Stan Lee è un inventore di mondi, più o meno allo stesso modo in cui lo fu Walt Disney. La maggior parte dei più celebri supereroi sono nati dalla sua vena creativa e immaginifica. Giusto per fare qualche nome: Spiderman (altresì noto come L’Uomo Ragno), I Fantastici Quattro, Hulk, Thor, Iron Man, gli X-Men. Personaggi materializzatisi sulla carta dalle penne talentuose di disegnatori del calibro di Steve Ditko (padre grafico di Spiderman), John Romita Sr, Gene Colan… ma soprattutto grazie al contributo e alle illustrazioni di Jack Kirby (che può essere considerato, a tutti gli effetti, come vero e proprio co-fondatore dell’universo Marvel avendo fornito identità visiva a moltissimi dei supereroi immaginati da Lee).
Stan Lee ebbe un grande merito (un’intuizione) che, probabilmente, primeggia sugli altri: quello di aver conferito una “complessità umana” a questi esseri dotati di superpoteri… perché si può essere superuomini, ma il fatto di possedere qualità superiori non  sempre semplifica la vita; anzi, semmai è al contrario; perché, come ripete tra sé – come un mantra – il giovane Peter Parker (l’alter ego di Spiderman), “da un grande potere derivano grandi responsabilità”. Parliamo dunque (per utilizzare un altro celebre slogan) di “supereroi con superproblemi” (anche “esistenziali”, come si accennerà più avanti). Per molti di loro, in effetti, questi superpoteri costituiscono una sorta di maledizione. È il caso de “La Cosa” dei Fantastici Quattro: un uomo (Ben Grimm) trasformatosi in una mostruosità difficilmente definibile (da qui il nome “La Cosa”); o quello di Bruce Banner (l’alter ego di Hulk) che – ogni volta che si trasforma – perde del tutto il controllo di sé, come se un’altra entità prendesse possesso del suo corpo. E poi ci sono i perseguitati, i mutanti (come gli X-Men), che rappresentano i diversi, coloro che vanno combattuti perché ritenuti pericolosi per il genere umano, per i cosiddetti normali. Loro ci sono proprio nati con questa maledizione che qualcuno chiama superpotere: una mutazione genetica che li ha marchiati sin dalla nascita. Per altri, l’acquisizione dei superpoteri deriva da un incidente: un ragno radioattivo pizzica Peter Parker (e nasce Spiderman), due uomini e due donne – nel corso di una missione spaziale – subiscono una sovraesposizione ai raggi cosmici (ed ecco I Fantastici Quattro). Certo, la casistica è varia. Qualcuno, per esempio – ed è il caso di Tony Stark, alter ego di Iron Man -, ha come superpotere un’ingente quantità di denaro che gli consente di costruirsi un’armatura supertecnologica (in tal senso Tony Stark è la risposta della Marvel al Batman della Dc Comics) capace di tenere a bada anche problemi di natura cardiologica. Qualcuno (come Capitan America) diventa supereroe per scelta. Qualcun altro viene da mondi diversi dal nostro, come Thor (figlio di Odino, che però acquisisce anche un’identità umana).
In generale quasi tutti questi superuomini desiderebbero una vita normale. E però, dato che una vita normale non si può avere, tanto vale usare questi poteri speciali per il bene dell’umanità.
Ma c’è dell’altro. Al di là delle precedenti considerazioni, infatti (oltre cioè alle difficoltà connesse alla gestione dei superpoteri), gli eroi di Stan Lee vivono problematiche comuni a tutti gli esseri umani (intrise di gioie e dolori, di successi e insuccessi, di relazioni sentimentali più o meno travagliate) in un filone narrativo senza soluzione di continuità di modo che la storia contenuta in ogni singolo fumetto diventi anello di congiunzione tra i fatti narrati nelle “puntate precedenti” e quelli di cui si racconterà in quelle future (cosa che oggi può esser considerata come “normale” ma che, allora, quando nacque l’universo Marvel, ebbe un impatto rivoluzionario sul pubblico dei lettori).
Negli ultimi vent’anni, poi, l’universo Marvel è divenuto ancora più “reale” grazie all’evoluzione degli effetti speciali nel mondo del cinema (famosi i “cameo” di Stan Lee in quasi tutti i film della Marvel).

Muore il grande Stan Lee, dunque… ma rimangono i suoi supereroi… i quali – grazie a Hollywood – non sono mai stati così “vivi” (e noti al grande pubblico) come in questi ultimi anni.

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Approfondimenti su: la Repubblica, Il Corriere della Sera, Il Sole 24Ore, La Stampa, Il Messaggero, Il Giornale, Ansa

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(Di seguito: approfondimenti da Wikipedia Italia)

Conosciuto anche come L’Uomo (The Man) e Il Sorridente (The Smilin’), Stan Lee ha introdotto per la prima volta, insieme con diversi artisti e co-creatori, in special modo Jack Kirby e Steve Ditko, personaggi di natura complessa e con personalità sfaccettate all’interno dei comic book supereroistici. Il suo successo permise alla Marvel di trasformarsi da piccola casa editrice in una grande azienda di stampo multimediale.

Stanley Martin Lieber è il figlio primogenito di Jack e Celia Lieber, immigrati ebrei di origine romena, che dopo aver ottenuto la cittadinanza si erano trasferiti a New York. Da ragazzo, Lee cominciò a lavorare come addetto alle copie per Martin Goodman presso la Timely Comics, azienda che più in là sarebbe diventata la Marvel Comics. Il suo primo lavoro, una pagina di testo firmata con lo pseudonimo di Stan Lee, fu pubblicato come riempitivo su un numero di Capitan America del 1941.

Fu presto promosso dal ruolo di scrittore di riempitivi a quello di sceneggiatore di fumetti completi, diventando così il più giovane editor nel campo, all’età di 17 anni. Dopo la seconda guerra mondiale, alla quale partecipò come membro dell’esercito statunitense, Lee ritornò alla sua occupazione presso quella che poi sarebbe diventata la Marvel Comics. A quel tempo, una campagna moralizzatrice portata avanti dallo psichiatra Fredric Wertham e dal senatore Estes Kefauver aveva accusato gli albi a fumetti di corrompere le menti dei giovani lettori con immagini di violenza e sessualità ambigua.

Le case editrici risposero alle accuse dotandosi di una regolamentazione interna particolarmente severa, che portò poi alla creazione del cosiddetto Comics Code. Andò però a finire che verso la fine degli anni quaranta le vendite delle testate supereroistiche cominciarono a calare, e al 1952 solamente le testate di Superman, Batman e Wonder Woman, tutte appartenenti alla DC Comics, venivano ancora pubblicate regolarmente. Rimanendo alla Timely/Marvel nel corso degli anni cinquanta, Lee si occupò di molte testate di generi diversi. Alla fine del decennio, tuttavia, cominciò a sentirsi insoddisfatto del proprio lavoro, e prese in considerazione l’idea di abbandonare il campo fumettistico.

Verso la fine degli anni cinquanta, la DC Comics diede nuova linfa al genere supereroistico e sperimentò un buon successo con il supergruppo Justice League of America. In risposta, Martin Goodman assegnò a Lee il compito di creare un nuovo gruppo supereroistico. La moglie lo spinse a cimentarsi con le storie che preferiva, dal momento che la minaccia del licenziamento era senza senso. Lee seguì il suo consiglio, e di colpo la sua carriera cambiò completamente.

Il gruppo di supereroi che Stan Lee e il disegnatore Jack Kirby idearono fu la “famiglia” di eroi che compone i Fantastici Quattro, pubblicati per la prima volta nel 1961. L’immediato successo di questa testata portò Lee e gli illustratori della Marvel a cavalcare l’onda, producendo in pochi anni immediatamente successivi una moltitudine di nuovi titoli: nacquero Hulk (1962), Thor (1962), Iron Man (1963) e gli X-Men (1963) dalla collaborazione con Kirby, Devil (nell’originale Daredevil, 1964) con Bill Everett e il Dottor Strange (1963) con Steve Ditko, dalla cui collaborazione era nato anche il personaggio Marvel di maggior successo, l’Uomo Ragno, nel 1962.

Inoltre, Stan Lee rispolverò e rinnovò alcuni dei supereroi ideati da altri autori negli anni trenta e quaranta, come Namor e Capitan America. Questi personaggi contribuirono a reinventare il genere supereroistico, secondo la formula dei “supereroi con superproblemi”. Lee diede ai suoi personaggi una umanità sofferta, un cambiamento rispetto all’ideale di supereroe scritto tradizionalmente per i ragazzini. I suoi eroi avevano un brutto temperamento, apparivano malinconici ed erano vanitosi e avidi. Litigavano fra di loro, erano preoccupati dai conti da pagare e dall’impressionare le loro ragazze, e qualche volta si ammalavano pure.

Prima di Lee, i supereroi erano persone idealmente perfette senza problemi e senza difetti: Superman era così potente che nessuno avrebbe potuto ferirlo, e Batman era un miliardario nella sua identità segreta (in seguito – soprattutto con la cosiddetta “British Invasion“, cioè l’ingresso in scena di molti autori di origine britannica sulla scena statunitense – negli anni ottanta, anche in casa DC si puntò molto sull’umanizzazione dei personaggi, segno che la lezione di Lee era stata, se non apprezzata, accettata quasi come ineludibile). I supereroi di Lee catturarono l’immaginazione della giovane generazione che faceva parte della popolazione frutto del “baby-boom” successivo alla seconda guerra mondiale, e le vendite si impennarono.

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Negli ultimi anni Lee è diventato per la Marvel una figura di prestigio e la sua immagine pubblica fa apparizioni alle convention (riunioni, convegni) di fumetti in giro per gli Stati Uniti, intervenendo e partecipando a dibattiti. Si è anche trasferito nel 1981 in California per sviluppare le proprietà televisive e cinematografiche della Marvel. Non ha abbandonato completamente la carriera di scrittore sceneggiando fra le altre cose le strisce per i quotidiani dell’Uomo Ragno, iniziate nel 1977, insieme con John Romita Sr., che prosegue a scrivere tutt’oggi.

Ha pubblicato il romanzo di fantascienza The Alien Factor. Nel 1992 promuove la linea Marvel 2099, un futuro “ufficiale” dell’universo Marvel, di cui scrive anche una delle collane (Ravage 2099). Durante il boom delle dot-com, Lee prestò il suo nome e la sua immagine a StanLee.Net, una compagnia multimediale online amministrata da altri. Ciò nel tentativo di miscelare animazioni internet con le tradizionali strisce a fumetti, ma sfortunatamente la compagnia acquisì una brutta reputazione per la cattiva gestione e la dubbia contabilità, fallendo in breve tempo.

Nel 2000, Stan Lee realizzò il suo primo lavoro per la DC, lanciando la serie Just Imagine… (in parte tradotta in italiano dalla Play Press), in cui reinventa numerosi supereroi DC, compresi Superman, Batman, Wonder Woman, Lanterna Verde e Flash. Lee ha creato la serie supereroistica osé a cartoni animati Stripperella per Spike TV, e nel 2004 progetta di collaborare con Hugh Hefner su una serie simile di supereroi con la partecipazione delle “conigliette” di Playboy.

Nell’agosto del 2004, Lee annuncia il lancio di Stan Lee’s Sunday Comics ospitato da Komicwerks.com, dove gli abbonati mensili possono leggere un nuovo fumetto ogni domenica. In aggiunta, Stan’s Soapbox appare qui come rubrica settimanale che affiancherà le strisce domenicali. Recentemente la VIZ Media ha annunciato che la loro partner Shueisha pubblicherà il prologo di Karakuri dôji Ultimo, scritto da Stan Lee e Hiroyuki Takei.

Lee conduce insieme a Daniel Browning Smith il programma televisivo Stan Lee’s Superhumans, che viene trasmesso in Italia sul canale History Channel su Sky. In questa serie Lee manda Daniel in giro per il mondo alla ricerca di superuomini con poteri straordinari, a volte eseguendo su di loro misurazioni e esperimenti scientifici.

Il 12 novembre 2018 Lee muore all’età di 95 anni al Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles, California, dopo essere stato trasportato d’urgenza in ambulanza il giorno stesso a causa di un malore.

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LUCCA COMICS 2016: JOHN CASSADAY E GABRIEL HERNÁNDEZ WALTA (disegnatori Marvel) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/10/31/lucca-comics-2016-cassaday-e-walta/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/10/31/lucca-comics-2016-cassaday-e-walta/#comments Mon, 31 Oct 2016 13:38:04 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7337 Risultati immagini per lucca comics & games 2016

È in corso l’edizione 2016 di Lucca Comics & Games (qui il programma – qui gli ospiti): dal 28 ottobre al 1 novembre.

È a Lucca, per conto di Letteratitudine, il nostro inviato Furio Detti che collabora con noi nell’ambito della rubrica “Graphic Novel e Fumetti(qui di seguito il contributo di Furio Detti, da Lucca, dedicato ai due disegnatori Marvel John Cassaday e Gabriel Hernandez Walta).

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[Articolo a cura di Furio Detti]

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Press Café 002

JOHN CASSADAY E GABRIEL HERNÁNDEZ WALTA: MONDO MARVEL, PRANZI PAGATI E SUPEREROI

Due autori per una colazione in un clima molto rilassato e disteso. Benché si giochi nel campo dei giganti (Marvel). Cassaday stesso incoraggia i giornalisti a farsi avanti: “Don’t be shy!”, “Non siate timidi.”

(Lucca, 29 ottobre 2016) – La prima domanda viene dall’Ufficio Stampa di Lucca Comics and Games – Lavorare entrambi in Marvel: quali aspetti apprezzate e invidiate l’uno dell’altro? Per Hernandez Walta il lavoro di Cassaday è ovviamente un notevole lavoro di storytelling, e la sua narrazione per immagini – a parte la qualità intrinseca a livello grafico e tecnico – emersa già ai tempi di *Planetary* è raramente superata da altri. Cassaday replica ricambiando i complimenti e riconoscendo al collega un’uguale abilità nello storytelling da *The Vision* e ricorda che entrambi hanno lavorato per la prima volta con Jeff Mariotte, verso cui entrambi hanno un debito di gratitudine a livello narrativo. Entrambi lavorano in Marvel ma su testate diverse: Avengers e X-Men, con una storia autoriale molto lunga: le differenze?
Lavorare sugli X-Men, mondo in continua evoluzione, facilita paradossalmente il lavoro e aiuta ogni autore a imprimere il proprio marchio caratteristico sui personaggi. Per esempio Hernandez Walta (nella foto accanto, n.d.r.) ricorda che c’era la volontà di portare le vecchie storie degli X-Men e riproporlo, raffinandolo con un tratto personale, con l’affetto individuale per i personaggi. Il personaggio preferito di Cassaday è Capitan America, ma negli X-Men vede anche lui uno sviluppo diverso. Walta ricorda che il suo personaggio favorito è… qualsiasi personaggio, anzi forse si è molto divertito a lavorare su *The Vision* perché non era il suo personaggio preferito, potendo disegnare senza fare le battaglie con il fan che è in lui. Diverso sarebbe stato lavorare su Wolverine, per esempio, come il Wolverine di Cassaday. Sul loro rapporto fra sceneggiatura e realizzazione visiva delle tavole, Hernandez Walta può parlare per *The Vision* e precisa che gli autori sanno che i disegnatori sono narratori a loro volta, narratori visuali, ma narratori essi stessi. E che lasciano ai disegnatori grande libertà. “Abbiamo sceneggiature scritte da autori che rispettano la nostra creatività e la lasciano libera di articolarsi.”
Cassaday (nella foto accanto, n.d.r.) pensa che tutto dipenda dal rapporto con l’autore, conferma che è necessario un lavoro di empatia e di squadra che valorizzi la libertà narrativa da entrambi i lati: “In *Planetary* avevo per il primo numero una narrazione/sceneggiatura molto descrittiva, poi l’autore mi ha lasciato meno indicazioni, fidandosi di me. E io di lui. Chiaramente devi sapere con chi hai a che fare. Alcuni autori sono molto descrittivi, ma io non mi trovo a loro agio con questo tipo di sceneggiatura. Non posso lavorare sotto dettatura e non amo le sceneggiature iperdettagliate. Voglio essere parte creatrice di quel mondo e descriverlo a mia volta. Con me la sceneggiatura maniacale non funziona.” Cassaday passa poi a Star Wars, all’universo espanso e conferma che ha come riferimento per il suo lavoro la Marvel e non le serie “espanse” di Dark Horse, anche quando era ragazzo. Interrogati sul fatto di lavorare per un colosso come Marvel e su cosa questo abbia significato per loro a livello personale, artistico e emotivo la prima volta, Cassaday e Hernandez Walta ritengono rispettivamente che la cosa sia arrivata in modo imprevisto, ma non così repentino da sconvolgersene e che lo stupore per la propria fortuna artistica si ripropone nel tempo, semmai, lavorando concretamente. “Tutti siamo cresciuti leggendo le serie Marvel (o DC) e amando i loro supereroi. Quando ci sono arrivato ci sono comunque arrivato per gradi e con serie periferiche, sperimentali, western, e altri lavori come *Planetary*, senza affrontare le serie storiche da subito – come gli X-Men su cui lavoro attualmente; è stato tutto molto graduale, inaspettato, ma decisamente modulato nel tempo. Ero diventato del resto così pieno di impegni da non avere troppo tempo per pensare che ‘Wow, sono un autore Marvel, adesso. Lo *sto facendo.*‘. In sei mesi ero passato dal proporre il mio portfolio al ComiCon di SanDiego alla Dark Horse e altri, a avere così tanto lavoro per i prossimi dieci o vent’anni da non riuscire a connettere sul serio. In questi frangenti devi necessariamente acquisire un certo distacco professionale, a guardare tutto da fuori.” (Cassaday); “Io amo essere in Marvel. Ma più ancora amo disegnare. Per me essere un autore Marvel è parte del tutto, non potrei mai separare l’essere un autore Marvel dal lavoro come un ‘qualunque’ fumettista. Per me sarebbe lo stesso. Mi piace fare fumetti, che lo faccia a Lucca (amo Lucca e sono felice di essere con voi, qui!), per Marvel o per me stesso, è abbastanza marginale rispetto al piacere di disegnare per disegnare. Certo, una volta, che stavo colorando la cintura di uno dei personaggi – con l’inconfondibile Logo X – mi son detto: “Accidenti! Sto *davvero* disegnando gli X-Men”. Ci sono questi piccoli momenti in cui ti arriva questa consapevolezza di colpo. A quel punto il fan salta fuori e si entusiasma. Però sono momenti, molto molto premianti, ma in una routine lavorativa di 14 ore giornaliere sono anche molto fugaci. Mia figlia ama il mio lavoro in Marvel, ma sono momenti.” (Hernandez Walta). Sul ruolo fra tecnologie e lavoro personale, sull’impatto che hanno avuto i nuovi media e metodi lavorativi i due hanno un punto di vista diverso.
Cassaday: “Io vivevo a New York. E quando un tempo portavo la pila dei miei disegni all’editore o in redazione, si complimentavano e finivo a pranzo con loro. C’era un contatto diretto, umano, che portava a pranzo insieme. Ora che scansiono e spedisco tutto via Internet, mi trovo bene ugualmente. Si complimentano sempre come prima, però ho perso i pranzi pagati! (ridiamo)”
Hernandez Walta: “Per quanto riguarda la tecnica, io disegno ancora tradizionalmente a matita, io vivo in Spagna, quindi ringrazio di poter spedire tutto via web e interfacciarmi velocemente via email con gli editori (dopo almeno averli incontrati di persona una volta) e di non dover mandare tutto in bustoni via corriere come faceva – e mi raccontava – Carlos Pacheco. Per me va molto bene, con la tecnologia.”

La nostra domanda:
Per Cassaday: Hai lavorato su una storia di terrore e violenza chiamata *Io sono legione*, ambientata nel passato e durante la II Guerra Mondiale. Chi potrebbe oggi dire “Io sono Legione”?
“Legione è la storia del controllo sulla massa di persone che obbediscono passivamente per sostenere un disegno malvagio. Chi potrebbe vincere oggi la gara del cattivo? Sarebbe facile dire: ‘Forse i sostenitori di Trump?’ (risate) Ma potrebbero essere i media, l’economia… Oh beh, che ho detto? Beh: i supporter di Trump.”

Per Hernandez Walta: Hai lavorato in diverse produzioni: quale è la difficoltà nel collaborare con tante case editrici e nel mercato internazionale? Quale è la difficoltà? Ti sei mai pentito di qualche scelta a livello editoriale?

“Sono sempre andato piuttosto d’accordo con gli editori. Quando mi presento a un editore lo faccio sempre col mio portfolio, quindi loro sanno cosa aspettarsi da me. E’ tutto molto trasparente, in questo senso. Quanto alle scadenze, beh, lavorare come professionista per grandi realtà come la Marvel che ha un sistema produttivo collaudato ma consistente, stretto e tirato, è parte del mestiere: sai che sarà dura e sai cosa aspettarti in termini di ritmo di lavoro. Non è certo una sorpresa.”

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