LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » mondadori http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 PAOLO DI PAOLO con “I desideri fanno rumore” (Giunti) in radio a Letteratitudine http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/11/10/paolo-di-paolo-con-i-desideri-fanno-rumore-giunti/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/11/10/paolo-di-paolo-con-i-desideri-fanno-rumore-giunti/#comments Wed, 10 Nov 2021 16:40:46 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8895 PAOLO DI PAOLO con “I desideri fanno rumore” (Giunti), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia, postproduzione e consulenza musicale: Federico Marin

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Ospite della puntata: lo scrittore Paolo Di Paolo.

Con Paolo Di Paolo discutiamo del suo nuovo romanzo intitolato “I desideri fanno rumore” (Giunti).

Nella seconda parte della puntata discutiamo del Meridiano mondadori dedicato a Dacia Maraini e intitolato “Romanzi e racconti  di Dacia Maraini”, a cura dello stesso Paolo Di Paolo e di Eugenio Murrali.

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La scheda del libro: “I desideri fanno rumore” di Paolo Di Paolo (Giunti)

I desideri fanno rumore - Paolo Di Paolo - copertinaCaterina ha vissuto la Grande Interruzione come una tempesta domestica. La Dad, le giornate monotone e complicatissime, i riti e i baci mancati. Passando il tempo tra cantine e terrazze condominiali, ha cercato di non dimenticare i suoi desideri. Una sera, dopo un blackout, si sente stranissima. E non ci mette molto ad accorgersi che – a proposito di desideri – sente quelli degli altri. Li sente senza che siano espressi. Si rivelano senza che lei lo voglia, e non può decidere quando. Sono desideri piccoli e a volte enormi. Quelli della prof di biologia. Quelli dei suoi genitori.
Quelli dei suoi coetanei. Quelli di Luca. Luca che la osserva, Luca che c’è. Adesso ha la certezza di piacergli, e la cosa non le dà fastidio. Ma questo “potere” la disorienta e la imbarazza: è come vedere nude le persone che ti vivono accanto. In una serata tra amici che finisce male, le accade di sentire un desiderio di Letizia, la ragazza più antipatica che conosca, e tutto si complica terribilmente. Non può fare finta di niente. E quando cominciano ad arrivarle misteriosi messaggi firmati _sconosciut*, la sua vita diventa un film impazzito, di cui è difficile prevedere il finale.
Un libro palpitante che, come le matrioske russe, racchiude al suo interno altre trame e altri personaggi di cui chi legge non potrà non innamorarsi, proprio come Luca si innamora di Caterina.

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“Romanzi e racconti  di Dacia Maraini” (Mondadori – Meridiani) a cura di Paolo Di Paolo e Eugenio Murrali

Romanzi e racconti - Dacia Maraini - copertinaQuesto Meridiano, a cura di Paolo Di Paolo e di Eugenio Murrali, ripercorre le tappe fondamentali della straordinaria carriera di narratrice di Dacia Maraini, tra romanzi e racconti, con alcuni testi mai raccolti in volume.

Scrittrice, drammaturga, saggista, poetessa, figura di spicco della cultura italiana dagli anni Sessanta a oggi, Dacia Maraini si è fatta interprete sensibilissima e originale dei mutamenti della nostra società, dimostrando con sempre maggiore evidenza una vocazione civile profonda. Le sue storie, spesso incentrate sul tema della condizione femminile, hanno appassionato intere generazioni di lettori e i suoi libri hanno riscosso un grande successo in Italia all’estero. Questo Meridiano ripercorre le tappe fondamentali della sua straordinaria carriera di narratrice, tra romanzi e racconti, con alcuni testi mai raccolti in volume. Il Meridiano è a cura dello scrittore e saggista Paolo Di Paolo e di Eugenio Murrali, che insieme firmano una appassionata e inedita Cronologia della vita dell’autrice.

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Paolo Di Paolo è nato a Roma nel 1983. Da bambino era indeciso se fare il prestigiatore o il cuoco, la sua prima vera passione è stata il disegno. Dai fumetti è passato ai libri e non li ha più lasciati. Ha scritto racconti, romanzi, testi teatrali, storie per bambini e ragazzi. A vent’anni è stato finalista al Campiello Giovani e al Premio Calvino. Con Mandami tanta vita (2013) è stato finalista al Premio Strega, con Lontano dagli occhi (2019) ha vinto il Premio Viareggio. Conduce su Rai Radio 3 la trasmissione sulla lingua italiana «La lingua batte» e scrive sul quotidiano «la Repubblica». Ogni volta che può, si mette in viaggio.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia, post produzione e consulenza musicale: Federico Marin

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È possibile ascoltare le precedenti puntate radiofoniche di Letteratitudine, cliccando qui.

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La colonna musicale della puntata (a cura di Federico Marin): brani in ordine di ascolto

sigla: Jason Shaw – BACK TO THE WOODS
licenza: https://creativecommons.org/licenses/by/3.0/us/

pavlove. – Forever Away
licenza: https://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/4.0/

Black Pudding Poetry – Hallways and highways
licenza: https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/

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DANIELE MENCARELLI con “Sempre tornare” (Mondadori) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/10/28/daniele-mencarelli-con-sempre-tornare-mondadori-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/10/28/daniele-mencarelli-con-sempre-tornare-mondadori-in-radio-a-letteratitudine/#comments Thu, 28 Oct 2021 16:44:21 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8885 DANIELE MENCARELLI con “Sempre tornare” (Mondadori), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

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Ospite della puntata: lo scrittore e poeta Daniele Mencarelli.

Con Daniele Mencarelli abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato Sempre tornare” (Mondadori).

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La scheda del libro: “Sempre tornare” di Daniele Mencarelli (Mondadori)

Sempre tornareÈ l’estate del 1991, Daniele ha diciassette anni e questa è la sua prima vacanza da solo con gli amici. Due settimane lontano da casa, da vivere al massimo tra spiagge, discoteche, alcol e ragazze. Ma c’è qualcosa con cui non ha fatto i conti: se stesso. È sufficiente un piccolo inconveniente nella notte di Ferragosto perché Daniele decida di abbandonare il gruppo e continuare il viaggio a piedi, da solo, dalla Riviera Romagnola in direzione Roma. Libero dalle distrazioni e dalle recite sociali, offrendosi senza difese alla bellezza della natura, che lo riempie di gioia e tormento al tempo stesso, forse riuscirà a comprendere la ragione dell’inquietudine che da sempre lo punge e lo sollecita. In compagnia di una valigia pesante come un blocco di marmo, Daniele si mette in cammino, costretto a vincere la propria timidezza per chiedere aiuto alle persone che incontra lungo il tragitto: qualcosa da mangiare, un posto in cui trascorrere la notte. Troverà chi è logorato dalla solitudine ma ancora capace di slanci, chi si affaccia su un abisso di follia, sconfitti dalla vita, prepotenti
Daniele Mencarelli ha scritto un romanzo vitale, picaresco e intimo, che ha dentro il sole di un’estate in cammino lungo l’Italia, l’energia impaziente dell’adolescenza e la lingua calibratissima e potente di uno scrittore al massimo della sua forma.

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Daniele Mencarelli è nato a Roma nel 1974. Vive ad Ariccia. È poeta e narratore. La sua ultima raccolta è Tempo circolare (poesie 2019-1997), Pequod, 2019. Del 2018 è il suo primo romanzo La casa degli sguardi, Mondadori (premio Volponi, premio Severino Cesari opera prima, premio John Fante opera prima). Tutto chiede salvezza, il suo secondo romanzo, è uscito nel 2020 e ha vinto il premio Strega Giovani. Con Sempre tornare si chiude un’ideale trilogia autobiografica iniziata con La casa degli sguardi.
Collabora, scrivendo di cultura e società, con quotidiani e riviste.

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sigla: Jason Shaw – BACK TO THE WOODS
licenza: https://creativecommons.org/licenses/by/3.0/us/

The Upsidedown – E-Love
licenza: https://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/3.0/us/

Paper Navy – Swan Song
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ROMANA PETRI con “La rappresentazione” (Mondadori) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/09/13/romana-petri-con-la-rappresentazione-mondadori-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/09/13/romana-petri-con-la-rappresentazione-mondadori-in-radio-a-letteratitudine/#comments Mon, 13 Sep 2021 14:22:51 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8845 ROMANA PETRI con “La rappresentazione” (Mondadori), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie).

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Ospite della puntata: la scrittrice Romana Petri.

Con Romana Petri discutiamo del suo nuovo romanzo intitolato “La rappresentazione” (Mondadori)

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La scheda del libro: “La rappresentazione” di Romana Petri (Mondadori)

La rappresentazione - Romana Petri - copertinaDopo il successo di Pranzi di famiglia, Romana Petri torna a raccontarci di Lisbona, le sue ombre, i suoi intrighi.

Lisbona. Dopo la mostra in cui la pittrice Albertini ha ritratto l’intera famiglia del marito, la coppia è costretta a trasferirsi a Roma. Gli “sgorbi” hanno divertito solo Rita (la figlia nata deforme e che la madre Maria do Ceu ha fatto rattoppare chirurgicamente più volte). La Albertini d’altro canto se ne frega: detestava i silenziosi pranzi di famiglia della domenica. Quando entra in gioco un abile gallerista di Milano è il successo, soprattutto a partire da una serie di quadri su santa Teresa d’Ávila. Non solo: i critici notano che – basta guardarli con attenzione – quei quadri prendono vita. Pittrice ormai ricca e famosa, la Albertini potrebbe finalmente vivere una bella vita con il marito Vasco, abituato, a differenza di lei, ad avere un patrimonio alle spalle. E tuttavia il rapporto coniugale si complica, innescando una sorta di conflitto che è al contempo torbida sfida e luminoso riscatto. È forse l’amore solo una “rappresentazione”? In un continuo, drammatico andare e venire tra Roma e Lisbona, la Albertini si prepara a combattere, a crescere, a guardare al di là dello specchio in cui ha rischiato di vedersi prigioniera: lo specchio dei glaciali, interminabili e quasi invincibili silenzi. Romana Petri si muove con insinuante agilità fra l’ottusità dei rituali famigliari, il teatro morbido e morboso della bellezza di Lisbona e il gesto rivelatore e magico dell’arte. Passione, scandaglio di anime, saga famigliare, La rappresentazione è un romanzo che esplora i suoi confini, e li supera.

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Romana Petri vive tra Roma e Lisbona. Editrice, traduttrice e critica letteraria, collabora con «ttl La Stampa», il «Venerdì di Repubblica», «Corriere della Sera» e «Il Messaggero».
Considerata dalla critica come una delle migliori autrici italiane contemporanee, ha scritto tra romanzi e raccolte di racconti nove libri. Ha ottenuto prestigiosi premi e riconoscimenti, tra i quali il Premio Mondello, il Rapallo-Carige e il Grinzane Cavour. È stata inoltre finalista due volte al Premio Strega.
Tra le sue opere ricordiamo Alle Case Venie (Marsilio, 1997), I padri degli altri (Marsilio, 1999), La donna delle Azzorre (Piemme, 2001), Dagoberto Babilonio, un destino (Mondadori, 2002), Esecuzioni (Fazi, 2005), Ovunque io sia (Cavallo di ferro, 2008), Ti spiego (Cavallo di ferro 2010), Tutta la vita (Longanesi 2011), Figli dello stesso padre (Longanesi 2013), Le serenate del Ciclone (Neri Pozza 2015, vincitore del premio Super Mondello 2016 e del Mondello Giovani), Il mio cane del Klondike (Neri Pozza 2017), Pranzi di famiglia (Neri Pozza 2019) e Figlio del lupo (Mondadori, 2020).

Le sue opere sono tradotte in Olanda, Germania, Stati-Uniti, Inghilterra, Francia e Portogallo.

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La colonna musicale della puntata (a cura di Federico Marin): brani in ordine di ascolto

sigla: Jason Shaw – BACK TO THE WOODS

licenza: https://creativecommons.org/licenses/by/3.0/us/
Gnawledge – La Lengua del Rio
licenza: https://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/4.0/

Jeitos – A Minha Embala (Aline Frazão e César Herranz)
licenza: https://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/4.0/

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TEA RANNO con “Terramarina” (Mondadori) e “Musa e getta” (Ponte alle Grazie) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/04/02/tea-ranno-con-terramarina-mondadori-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/04/02/tea-ranno-con-terramarina-mondadori-in-radio-a-letteratitudine/#comments Fri, 02 Apr 2021 14:06:45 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8751 TEA RANNO con “Terramarina” (Mondadori), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie).

Image from LETTERATITUDINE (di Massimo Maugeri)

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Ospite della puntata: la scrittrice Tea Ranno, con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato Terramarina” (Mondadori).

Nella seconda parte della puntata abbiamo discusso della raccolta di racconti Musa e getta” (Ponte alle Grazie), che ha coinvolto sedici scrittrici (tra cui la stessa Tea Ranno).

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La scheda del libro: “Terramarina” di Tea Ranno (Mondadori)
È la sera della vigilia di Natale e Agata, che in paese tutti chiamano la Tabbacchera, guarda il suo borgo dall’alto: è un pugno di case arroccate sul mare che lei da qualche tempo s’è presa il compito di guidare, sovvertendo piano piano il sistema di connivenze che l’ha governato per decenni e inventandosi una piccola rivoluzione a colpi di poesia e legalità. Ma stasera sul cuore della sindaca è scesa una coltre nera di tristezza e “Lassitimi sula!” ha risposto agli inviti calorosi di quella cricca di amici che è ormai diventata la sua famiglia: è il suo quarto Natale senza il marito Costanzo, che oggi le manca più che mai. E, anche se fatica ad ammetterlo, non è il solo a mancarle: c’è infatti un certo maresciallo di Torino che, da quando ha lasciato la Sicilia, si è fatto largo tra i suoi pensieri. A irrompere nella vigilia solitaria di Agata è Don Bruno, il parroco del paese, con un fagotto inzaccherato tra le braccia: è una creatura che avrà sì e no qualche ora, che ha trovato abbandonata al freddo, a un angolo di strada. Sola, livida e affamata, ma urlante e viva. Dall’istante in cui Luce – come verrà battezzata dal gruppo di amici che subito si stringe attorno alla bimba, chi per visitarla, chi per allattarla, vestirla, ninnarla – entra in casa Tabbacchera, il dolore di Agata si cambia in gioia e il Natale di Toni e Violante, del dottor Grimaldi, di Sarino, di Lisabetta e di tutta quella stramba e generosa famiglia si trasforma in una giostra. Di risate, lacrime, amurusanze, tavole imbandite, ritorni, partenze e sorprese, ma anche di paure e dubbi: chi è la donna che è stata capace di abbandonare ai cani il sangue del suo sangue? Starà bene o le sarà successo qualcosa? Cosa fare di quella picciridda che ha già conquistato i cuori di almeno sette madri e cinque padri? Tea Ranno torna a percorrere i territori fiabeschi e solari dell’ Amurusanza con il suo stile che fonde dialetto siculo e poesia e si lascia contaminare dal realismo magico sudamericano. Il risultato è una narrazione corale ipnotica, un moderno presepe fatto di personaggi vitali e incandescenti, una generosa parabola di accoglienza e solidarietà.

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La scheda del libro: “Musa e getta. Sedici scrittrici per sedici donne indimenticabili (ma a volte dimenticate)”, a cura di Arianna Ninchi e Silvia Siravo (Ponte alle Grazie)

Sedici autrici di prim’ordine svelano altrettante donne meravigliose, offrendo a lettrici e lettori uno sguardo nuovo sul rapporto tra i sessi, l’identità femminile, la lotta per l’emancipazione.
In questa sorprendente raccolta, molte fra le più amate e apprezzate scrittrici italiane raccontano altrettante «muse»: donne sfrontate e bellissime o, al contrario, miti e riservate che, per lo spazio di una notte o per l’esistenza intera, hanno stretto relazioni complesse (e pericolose) con uomini di successo. Muse non sempre «gettate» ma per lo più misconosciute – dando così corpo all’odioso detto secondo cui «dietro ogni grande uomo c’è una grande donna» – che tornano dunque, finalmente, al centro del palcoscenico letterario. Le pioniere della psicanalisi e Kate Moss dalle cento copertine, Kiki regina di Montparnasse per una notte e Maria Callas la Divina per sempre, Nadia Krupskaja che lavora a realizzare il socialismo, Rosalind Franklin che scopre la struttura del DNA, le ispiratrici di pittori, musicisti, scrittori, filosofi: spaziando fra epoche e luoghi diversi, destini felici e infelici, Musa e getta giunge al cospetto di leggende viventi, persino sbarcate su Instagram, come Amanda Lear. Sedici autrici di prim’ordine svelano qui altrettante donne meravigliose, offrendo a lettrici e lettori uno sguardo nuovo sul rapporto tra i sessi, l’identità femminile, la lotta per l’emancipazione. (A cura di Arianna Ninchi e Silvia Siravo.)

Le scrittrici: Ritanna Armeni, Angela Bubba, Maria Grazia Calandrone, Elisa Casseri, Claudia Durastanti, Ilaria Gaspari, Lisa Ginzburg, Chiara Lalli, Cristina Marconi, Lorenza Pieri, Laura Pugno, Veronica Raimo, Tea Ranno, Igiaba Scego, Anna Siccardi, Chiara Tagliaferri.
Le muse: Lou Andreas-Salomé, Luisa Baccara, Maria Callas, Pamela Des Barres, Zelda Fitzgerald, Rosalind Franklin, Jeanne Hébuterne, Kiki de Montparnasse, Nadia Krupskaja, Amanda Lear, Alene Lee, Dora Maar, Kate Moss, Regine Olsen, Sabina Spielrein.

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Tea Ranno è nata a Melilli, in provincia di Siracusa, nel 1963. Dal 1995 vive a Roma. È laureata in giurisprudenza e si occupa di diritto e letteratura. Ha pubblicato per e/o i romanzi Cenere (2006, finalista ai premi Calvino e Berto e vincitore del premio Chianti) e In una lingua che non so più dire (2007). Nel 2012 è uscito per Mondadori La sposa vermiglia, vincitore del premio Rea, e nel 2014, sempre per Mondadori, Viola Fòscari. Nel 2018 ha pubblicato Sentimi (Frassinelli) e nel 2019 L’amurusanza (Mondadori).

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La colonna musicale della puntata (a cura di Federico Marin): brani in ordine di ascolto

sigla: Jason Shaw – BACK TO THE WOODS
licenza: https://creativecommons.org/licenses/by/3.0/us/

Ara Lee – Ara Lee-Mar 2016-LIVE
licenza: https://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/4.0/

Rose City Kings – Rose City Kings-Aug 2016-LIVE
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LA DIVINA COMMEDIA RACCONTATA AI BAMBINI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/03/10/la-divina-commedia-raccontata-ai-bambini/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/03/10/la-divina-commedia-raccontata-ai-bambini/#comments Wed, 10 Mar 2021 15:15:07 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8732 In questo nuovo post della rubrica “Giovanissima Letteratura” ci occupiamo del volume “La Divina Commedia raccontata ai bambini” di Annamaria Piccione (Mondadori), intervistata da Daniela Sessa

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Dante è una favola! Parola di Annamaria Piccione

di Daniela Sessa

Se chiedi alla scrittrice Annamaria Piccione di presentarsi, lei esordisce con un “Siciliana doc” e chi ha dimestichezza con il doc di Sicilia capisce subito di trovarsi davanti una donna che è un misto acutezza e ingegno, di orgoglio e di un realismo che fa suo persino il sogno. Vive tra Siracusa, città di origine, e Palermo: forse per questo incarna le due anime dell’isola, mite e frenetica insieme per dirla con Gesualdo Bufalino. Ama i gatti in maniera viscerale. Il gatto è per lei un’icona: non ci si stupirebbe di trovarlo rappresentato su una parete della sua casa come la Marilyn di Andy Wharol.

Ha gli occhi penetranti e sfuggenti insieme come un gatto, ma diversamente dai gatti ha un sorriso accattivante ed è un’abile conversatrice. E ha un dono: saper incantare i bambini. Il suo gioco di prestigio è l’uso di parole che sprizzano veloci e impettite dalla sua fantasia. Fervida fantasia grazie alla quale si è ritagliata una stanza tutta per sé nel mondo dell’editoria per l’infanzia. Ad Annamaria Piccione piace prendere in mano la letteratura dei grandi e raccontarla ai bambini. Lo ha fatto con i capolavori di Verga, dei tragici greci e di Plauto. Poteva non farlo con Dante, il poeta cui va il merito, tra gli innumerevoli altri, di aver dato all’Italia con “La Divina Commedia” anche l’archetipo del genere fantastico?  A noi lettori, prima adolescenti poi adulti, il viaggio di Dante, al netto dei patemi scolastici, è stato una fantasmagoria di colori, suoni, emozioni, sentimenti, facce, luoghi, mostri e prodigi. In quel mondo labirintico solo per le coscienze imperfette, i lettori di settecento anni hanno imparato che la scelta tra vizio e virtù non è una barbosa pausa tra le mille faccende della vita, ma può essere un volo verticale e avventuroso. Annamaria Piccione con la sua versione in prosa del capolavoro dantesco “La Divina Commedia raccontata ai bambini” prova a far prendere il volo pure ai più piccoli, quelli che hanno la fantasia stampata nel sorriso e negli occhi, quelli che devono imparare subito le mille sfumature dell’esistenza, perché Dante- per citare l’autrice- “rivolta come un calzino l’essere umano” . Annamaria Piccione mette in guardia i piccoli lettori sul messaggio del poeta fiorentino “comportati onestamente e conoscerai la gioia eterna, al contrario saranno cavoli amari, anzi amarissimi, soprattutto se sei attratto dalla ricchezza e dal potere”.  Il libro è il risultato di un’operazione raffinata di linguaggio. Annamaria Piccione sintetizza il poema a partire non solo dall’ovvia selezione di personaggi ed episodi ma anche e soprattutto dalle scelte di stile: una lingua media e mai scontata, ricca di ironia e di lemmi colti, capace di ricreare le sonorità del testo dantesco: dagli acuti dell’Inferno alle melodie ovattate del Purgatorio fino alla dolcezza cristallina del Paradiso. “La Divina Commedia” di Annamaria Piccione meriterebbe proprio per questo una versione in audiolibro.  La misura del linguaggio impedisce al libro di cadere nella trappola dell’aneddoto e di stringere con i piccoli lettori un patto: trattarli da grandi con la promessa (mantenuta) di non lederne l’ingenuità.

D. Collodi traduttore confessa: “Nel voltare in italiano i Racconti delle fate m’ingegnai, per quanto era in me, di serbarmi fedele al testo francese. Parafrasarli a mano libera mi sarebbe parso un mezzo sacrilegio. A ogni modo, qua e là mi feci lecite alcune leggerissime varianti, sia di vocabolo, sia di andatura di periodo, sia di modi di dire. Peccato confessato: mezzo perdonato”. Raccontare Dante è un po’ tradurlo. Tu hai qualcosa da confessare?
R. Ho cercato il più possibile di rimanere fedele all’intreccio narrativo della Commedia, sebbene abbia dovuto scegliere cosa e chi privilegiare nella variegata e inesauribile sequenza di eventi e personaggi.  Ho accentuato, forse, il lato ironico di Dante e mi sono presa poche libertà, forse solo una davvero eclatante: sorridere ai suoi ripetuti svenimenti, già stigmatizzati ai tempi del Liceo quando durante un’interrogazione dichiarai che il Poeta era “una mammoletta”, suscitando le bonarie proteste del mio amato professore di italiano, Pietro Grillo. Lui era un grande ammiratore di Dante e per gli esami di maturità mi regalò i suoi appunti personali della Commedia, che conservo come reliquie.

A pensarci bene, ho però un segreto da confessare. Mentre scrivevo, non potevo fare a meno di osservare le persone intorno a me e, di volta in volta, le destinavo al cerchio, cornice o cielo che mi sembravano più adatti a loro. Mi sono divertita a costruire un aldilà personale ma, ultimata la scrittura, questo “gioco del Giudizio” è finito, per fortuna.

D. Quest’anno è l’anno di Dante. Le librerie pullulano di libri sul poeta. Perché i bambini dovrebbero conoscere Dante? Cosa, a tuo parere, colpirà di più i bambini che leggeranno il tuo libro?
R. La letteratura per ragazzi sta omaggiando Dante in molti modi: è appena uscita un’introduzione poetica alla Divina Commedia a firma di Daniele Aristarco e ho trovato spassosissimo Vai all’Inferno, Dante! di Luigi Garlando, per citarne solo due. La mia versione in prosa è però globale, raccontata come una sorta di avventura che ricalca la struttura essenziale del racconto fiabesco: inizio con difficoltà, sviluppo travagliato, finale lieto. Ai ragazzi e ragazze piacerà il movimento, la varietà, i continui colpi di scena, la stravaganza di molti personaggi, draghi, mostri, giganti: Dante è un’inesauribile fonte di ispirazione anche per un romanzo fantasy. Ad attrarli sarà però un motivo molto semplice: Dante ha raccontato una bella storia e le belle storie piacciono a tutti, a qualsiasi età.

D. Ritengo la tua “Divina Commedia” anche un libro per adulti, un libro che sfida le età e questo grazie a una di sintesi meditata tra scelte linguistiche e tematiche. Ed è un libro appassionato.  Chi è Dante per Annamaria Piccione?
R. Una guida. Lui ebbe bisogno di guide per spostarsi nei regni ultraterreni, ma è diventato a sua volta stella polare di noi viventi e, in quanto tali, mortali. Chi legge attentamente la Commedia realizza subito che il fine di Dante non è raccontare un fatterello, per quanto accurato e scritto in modo sublime, ma mostrare una via. Sotto molti aspetti la Commedia ricorda un libro rivelato, più che inventato, che ci sembra dire: “Attento, bipede implume! Se non cambi rotta e non volgi lo sguardo in alto, cadrai per l’eternità”.
Quando scrive la sua opera straordinaria, Dante è un perseguitato, un reietto per i suoi concittadini. Conosce sulla propria pelle cosa sia l’arrogante ingiustizia del potere, ma sconosce la soggezione dei vinti. Non si arrende, non si piega, manda a quel paese chi gli offre il ritorno a Firenze a scapito della propria dignità.
Ecco perché lo amo tanto, perché è un combattente. Se non svenisse tanto, sarebbe il mio uomo ideale.

D. Anche con il volto paffuto disegnato dall’illustratore barcellonese Francesc Rovira? Il libro ha tavole di illustrazioni molto particolari, anche per la fisionomia data a Dante diversa dal volto tramandato. Quanto è importante l’illustrazione in un libro per bambini?
R. L’illustrazione è il lato artistico di un libro, squisitamente pedagogico perché educa alla bellezza e all’armonia, colora le parole, le valorizza e nutre dopo essersene nutrito. Io penso che tutti i libri avrebbero bisogno di questo arricchimento, non solo quelli per i piccoli. Ammetto che mi sono commossa quando ho visto per la prima volta le illustrazioni di Francesc Rovira e più le guardo, più mi rallegro. Francesc Rovira è un artista completo, le sue opere sollevano a dimensioni altre e alte, come se fluttuassero. Questo Dante vestito di rosso ricorda un bambino pieno di stupore che scopre i misteri della vita. Dovremmo seguirlo, per essere migliori.

D. Il libro rispetta la tripartizione come le tappe del viaggio di Dante, con un’irrinunciabile maggiore ampiezza data alla prima cantica. Pertanto, non puoi sfuggire alla domanda di rito: quale cantica preferisci?
R. Difficile sceglierne una sola. Cito invece tre canti, uno per ogni regno. Nel XIII canto dell’Inferno mi ha profondamente commosso la figura di Pier della Vigna, trasformato in pianta perché suicida. Ha subito un’ingiustizia, è stato vinto dalla disperazione, dunque si è tolto la vita, meritandosi la dannazione eterna. A differenza di Dante, io non riesco a condannarlo e provo pietà per lui, quindi mi piace ricordarlo.
Anche del Purgatorio è il XIII il mio canto preferito. La scena degli invidiosi con gli occhi cuciti è impressionante, ma significativa con riferimento al contrappasso: vedere gli altri con malevolenza ti toglierà la vista.
I canti che sento più miei sono quelli del Cielo del Sole nel Paradiso, dove splendono gli spiriti sapienti. Irresistibile la voglia di scaldarsi e danzare nella loro luce.

D. Ci sono due passi nel libro che colpiscono per la forza della rappresentazione: l’uscita dei pellegrini dall’Inferno con il volo all’incontrario sul corpo di Lucifero e i rimbrotti di Beatrice a Dante nel Purgatorio. In entrambi i casi forte è la componente ironica: per Lucifero c’è il vero rovesciamento di tecnica letteraria e di immagine; nel secondo caso c’è, oltre alla fedeltà al dettato dantesco, una sorta di rilettura dei personaggi femminili. Penso a Francesca e Piccarda cui hai dato poco spazio, mentre hai raccontato Matelda. C’è una tua idea di donna in questa scelta che vorresti trasmettere ai bambini?
R. Nelle scelte importanti sono stati naturalmente i miei gusti personali, i miei valori, l’indole non proprio accomodante. L’uscita di Dante dall’Inferno è un rovesciamento di prospettiva, un ribaltamento del percorso esistenziale. Perché si realizzi bisogna però vedere il Male in faccia, toccarlo, scalarlo e superarlo, per poi iniziare nuove salite con il peggio alle spalle.
In quanto alla rampogna di Beatrice, è uno dei momenti più divertenti dell’intera opera. Dante piagnucola perché Virgilio è sparito e lei, invece di consolarlo, lo tratta da bambino viziato, suscitando la riprovazione degli stessi angeli. Questa Beatrice è assai diversa dalla fanciulla angelicata, “gentile e onesta”, della Vita Nova: è la rappresentazione della Teologia, la più nobile delle discipline, che compensa i limiti della ragione e ci unisce a Dio. Dante rinnova la sua concezione della donna, da creatura da proteggere a protettrice. Non a caso la sua salvezza dipende dall’intervento iniziale di tre donne, Beatrice, Santa Lucia e la Madonna, e in seguito tante sono le figure femminili memorabili.
I canti di Francesca e Piccarda sono noti grazie agli splendidi versi, a me però interessava di più la narrazione. E Matelda mi ha conquistato: lei è la purificatrice, che immerge Dante nelle acque per mondarlo dal peccato. Il suo è un ruolo sacerdotale che richiama il battesimo, rituale riservato ai maschi. Dante in questo va persino oltre il nostro presente.

D. Più Vanni Fucci che Ulisse, grande spazio a Cacciaguida e un bellissimo ritratto di Brunetto Latini. Manca Maometto. Con quale criterio hai selezionato i personaggi?
R. Dante precorre sì i tempi, ma in alcuni casi è legato indissolubilmente al proprio contesto. Maometto per lui è un nemico da combattere, una concezione oggi inaccettabile, non solo per i ragazzi. Dunque, ho preferito non citarlo, per non generare questioni troppo spinose per una mente in boccio. In quanto ai vari personaggi, ho provato a dare spazio ai racconti più curiosi, divertenti e, perché no, esemplari.
Vanni Fucci è il dannato più blasfemo dell’Inferno, senza decoro, non a caso il suo soprannome è Bestia. In quanto a Ulisse, nel suo stesso capitolo in cui richiamo le “virtute e canoscenza” dei celebri versi, ho dato spazio a Guido da Montefeltro, di cui ho trovato simbolica la lite per la sua anima, subito dopo il trapasso, tra un diavolo e san Francesco. Non potevo tralasciare poi la figura di Cacciaguida, avo di Dante, anzi sua radice, poiché è un episodio chiave per capire l’intero pensiero dantesco. Mi sono fermata su Brunetto Latini perchè ho voluto dimostrare che, persino in un luogo orrendo come l’Inferno, è possibile non perdere la dignità.
Uno dei personaggi che mi hanno colpito di più è però frate Alberigo: Dante è convinto che sia ancora vivo, ma l’altro gli confessa di aver commesso un peccato così grave da essere scaraventato subito all’Inferno e al suo posto tra i vivi ora c’è un diavolo. Il nesso con la realtà è istintivo: quante volte, di fronte alle perfidie di qualcuno, ci siamo chiesti come abbia potuto commetterle. Ebbene, forse non si tratta di un essere umano, ma di un diavolo camuffato.

D. Raccontare i classici ai bambini è una sfida o un dovere?
R. Per me è divertimento puro. Quando ero piccola ho letteralmente divorato i riassunti dei classici riportati sull’Enciclopedia della donna in auge negli anni Sessanta, venti volumi con l’ambizioso intento di creare una “perfetta signora”. Se da quel lato ho miseramente fallito l’obiettivo, ho comunque imparato a memoria le trame di molti classici che poi ho letto da adolescente, proprio perché li conoscevo. Ecco perché oggi tento di avvicinare i piccoli alle belle storie: spero che le leggeranno per intero da grandi.

D. La Divina Commedia non è una favola ma del meccanismo fiabesco contiene tanti elementi, che ne hanno permesso la riproduzione in mille modi diversi: dai fumetti ai videogiochi. Molti tuoi colleghi si cimentano nella riscrittura dei classici e delle favole con l’intento di farne spesso manifesti civili o di calcare sull’ interpretazione psicanalitica. Ti faccio due esempi: Emma Dante con “E tutte vissero felici e contente” e Michael Cunningham con “Il cigno selvatico”. Cosa distingue la narrativa per l’infanzia dalla narrativa con l’infanzia?
R. Le operazioni di Emma Dante e di Michael Cunningham si pongono come obiettivo principale il superamento degli stereotipi, fine acclarato di tutta la letteratura per ragazzi contemporanea. Più che nelle distinzioni, io credo però che un buon libro di narrativa debba arrivare a più lettori possibile e non solo a una categoria circoscritta a una determinata età. Io ho sempre letto i libri per ragazzi, anche quando non scrivevo per loro, ma mi capita spesso di sentirmi dire: “Non ti leggo perché sono fuori età”. Senza neppure provarci, quasi che leggermi fosse una diminutio o, peggio, una perdita di tempo. Credo che uno stereotipo da contrastare sia proprio pensare i libri per ragazzi come letteratura a sé stante. Certo, ci sono dei libri che, per scrittura o argomenti, sono graditi più ai ragazzi che agli adulti. Però questo è un ostacolo facilmente superabile, se si vincono i pregiudizi.

D. Per raccontare ai bambini e ai ragazzi occorre di più, secondo te, la leggerezza del Perseo di Calvino o l’essenzialità di Saint- Exupery?
R. Per raccontare ai ragazzi e alle ragazze occorre trattarli da soggetti pensanti. Con rispetto e dignità. Secondo me, i libri – non solo per ragazzi – dovrebbero suscitare sentimenti sì forti, ma riuscire anche ad armonizzarli. Commuovere e divertire, irritare e placare, ma soprattutto stimolare tanti interrogativi. I libri non servono a darci risposte ma a farci porre innumerevoli domande.

D. Scrivere per un pubblico non adulto, vuol dire conservare in sé un’eterna fanciullezza? Quanto c’è in te di Peter Pan? O preferisci sentirti come Alice tra Bianconiglio e la Regina di cuori?
R. So di non essere più una bambina, ma dai piccoli imparo più di quanto insegno: per questo mi piace osservarli ed essere loro amica. Ne apprezzo la sincerità, la spontaneità, il senso di giustizia. Anche Dante, seguendo il dettame evangelico, sostiene che i bambini sono più vicini a Dio. Chi sento più simile tra i personaggi fantastici? Be’, io sono la Gatta con gli stivali. Non ho paura di sfidare gli orchi e, se è proprio necessario, riesco anche a sconfiggerli. Di solito preferisco però farmeli amici, perché anche il più crudele degli orchi possiede un briciolo di umanità ed è su quella che focalizzo il mio impegno. In fondo, anche un pentimento tardivo fa guadagnare la salvezza. Me lo ha insegnato Dante.

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TERESA CIABATTI con “Sembrava bellezza” (Mondadori) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/03/04/teresa-ciabatti-con-sembrava-bellezza-mondadori-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/03/04/teresa-ciabatti-con-sembrava-bellezza-mondadori-in-radio-a-letteratitudine/#comments Thu, 04 Mar 2021 17:54:57 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8727 TERESA CIABATTI con “Sembrava bellezza” (Mondadori), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie).

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia, postproduzione e consulenza musicale: Federico Marin

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Ospite della puntata: la scrittrice Teresa Ciabatti con cui abbiamo discusso del suo romanzo “Sembrava bellezza” (Mondadori), candidato all’edizione 2021 del Premio Strega su proposta di Sandro Veronesi.

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La scheda del libro: “Sembrava bellezza”di Teresa Ciabatti (Mondadori)

Ad accoglierci tra le pagine di questo romanzo è una donna, una scrittrice, che dopo essersi sentita ai margini per molti anni ha finalmente conosciuto il successo. Vive un tempo ruggente di riscatto, che cerca di tenersi stretto ma ogni giorno le sfugge un po’ di più. Proprio come la figlia, che rifiuta di parlarle e si è trasferita lontano.
Combattuta tra risentimento e sgomento per il tempo che si consuma la coglie Federica, la più cara amica del liceo, quando dopo trent’anni torna a cercarla. E riporta nel suo presente anche la sorella maggiore Livia – dea di bellezza sovrannaturale, modello irraggiungibile ai loro occhi di sedicenni sgraziate -, che in seguito a un incidente è rimasta prigioniera nella mente di un’eterna ragazza.
Come accadeva da adolescenti, i pensieri tornano a specchiarsi, a respingersi e mescolarsi. La protagonista perlustra il passato alla ricerca di una verità, su se stessa e su Livia, e intanto cerca di riafferrare il bandolo della propria esistenza ammaccata: il lavoro, gli amori.
Livia era e resta un mistero insondabile: miracolo di bellezza preservata nell’inconsapevolezza? O fenomeno da baraccone? Avvolti nelle spire di un’affabulazione ammaliante, seguiamo la protagonista in un viaggio che è insieme privato e generazionale, interiore e concreto. E mentre lei aspira a fermare l’attimo per non perdere la gloria, la sorte di Livia è lì a ricordare cosa può succedere se la giovinezza si cristallizza in un presente immobile: una diciottenne nel corpo di una cinquantenne, una farfalla incastrata nell’ambra.
Sembrava bellezza è un romanzo sull’impietoso trascorrere del tempo, e su come nel ripercorrerlo si possano incontrare il perdono e la tenerezza, prima di tutto verso se stessi. Un romanzo di madri e di figlie, di amiche, in cui l’autrice, con una scrittura che si è fatta più calda e accogliente, senza perdere nulla della sua affilata potenza, mette in scena con acume prodigioso le relazioni, tra donne e non solo. Un romanzo animato da uno sguardo che innesca la miccia del reale e, senza risparmiare nessun veleno, comprende ogni umana debolezza.

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Teresa Ciabatti, nata e cresciuta a Orbetello, vive a Roma. Tra i suoi romanzi: Il mio paradiso è deserto (Rizzoli), Tuttissanti (Il Saggiatore), Matrigna (Solferino). Con La più amata (Mondadori) è stata finalista al premio Strega nel 2017. Collabora con il “Corriere della Sera” e con “la Lettura”.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia, post produzione e consulenza musicale: Federico Marin

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È possibile ascoltare le precedenti puntate radiofoniche di Letteratitudine, cliccando qui.

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La colonna musicale della puntata (a cura di Federico Marin): brani in ordine di ascolto

sigla: Jason Shaw – BACK TO THE WOODS
licenza: https://creativecommons.org/licenses/by/3.0/us/

Ketsa – Ascend-dub
licenza: https://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/4.0/

Barcelona Afrobeat International Orchestra – Barcelona Afrobeat 07
licenza: https://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/3.0/us/

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SANREMO TRA I LIBRI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/03/03/sanremo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/03/03/sanremo/#comments Wed, 03 Mar 2021 16:00:28 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/02/16/sanremo-e-linfinita-notte-di-alessandro-zaccuri/ Il post “annuale” di Letteratitudine dedicato al Festival di Sanremo

Che piaccia o no, il Festival di Sanremo ha scandito il nostro tempo… a partire dal lontano 1951, anno del suo inizio, fino a oggi.

Vorrei dedicare questa pagina di Letteratitudine al Festival della canzone italiana e a qualcuno dei libri da esso ispirati.
Come ha scritto Giovanni De Luna su Tuttolibri del 5 febbraio 2011, “Sanremo cominciò nel 1951, con una «tre giorni musicale» (29-30-31 gennaio) trasmessa alla radio. L’orchestra la dirigeva il maestro Angelini e i cantanti erano solo due (Nilla Pizzi e Achille Togliani), con il supporto del Duo Fasano. Tutto qui. Pure, un Festival nato in sordina, senza «lanci» e «promozioni», riuscì a far diventare famose in una sola sera (e con un solo «passaggio» radiofonico!) molte canzoni, non solo quella vincitrice. La serata conclusiva fu seguita da circa 25 milioni di ascoltatori. Oggi quella data è diventata storica tanto da dare l’impressione che raccontare le vicende del festival sia un po’ come scrivere pagine importanti del nostro passato, quasi che anno dopo anno le sue canzoni abbiano composto la colonna sonora della nostra quotidianità”.

Il riferimento è al volume pubblicato da Carocci e scritto da Serena Facci e Paolo Soddu, intitolato: “Il festival di Sanremo. Parole e suoni raccontano la nazione”.

Il festival di Sanremo. Parole e suoni raccontano la nazioneEcco la scheda del libro: “Il 30 gennaio 1964 Gigliola Cinquetti, accollata in un abitino acqua e sapone e lanciando occhiate maliziosamente candide, debuttò a Sanremo: “Non ho l’età”, ideata da professionisti di lungo corso come Nisa, Panzeri e Colonnello, non era solo l’efficace confezione melodica di un testo esile con un buon attacco. Era il frammento di un più complessivo discorso sulla nazione e in questo caso una delle risposte alla sfida dell’autodeterminazione femminile e della libertà sessuale. Quella serata non è che un tassello di una foto di famiglia lunga 60 anni nella quale riconosciamo volti e voci diventati monumenti nazionali incontestati (da Nilla Pizzi a Domenico Modugno, da Mina a Vasco Rossi) discussi (da Claudio Villa a Orietta Berti fino a Toto Cutugno), alcuni dimenticati, altri ancora freschissimi. La tradizione era iniziata nel 1951: l’Italia non riusciva a rielaborare le ferite del recente passato e preferiva alludere a sé stessa ricomponendo come poteva, con leggerezza quasi frivola, reminiscenze da melodramma o realismo da chansonnier, pezzi di una nazione che aspirava alla democrazia e alla modernità. Il Festival è arrivato indenne, sorvolando mille traversie, fino a questi giorni: non è solo audience, kermesse, dietrologie e pettegolezzi, noia o passione; è anche uno dei momenti in cui una fibrillante democrazia occidentale si racconta e si interroga”.

Gli amici della redazione di Fahrenheit, che hanno invitato in trasmissione uno dei due autori del libro citato, Paolo Soddu (docente di storia contemporanea alla facoltà di Musicologia dell’Università di Pavia), si domandano…

1. Quali sono le ragioni della lunga durata e dell’eco che ha avuto e continua ad avere la gara che dal 1951 si svolge annualmente a Sanremo?

2. Ragionare su Sanremo può aiutare a decifrare l’evoluzione della cultura nazionale-popolare nell’Italia repubblicana?

3. Esiste un nesso tra l’appuntamento annuale e l’evoluzione storica del paese?

Aggiungo altre domande, per favorire una possibile discussione sull’argomento e sul Festival della canzone italiana in corso quest’anno:

4. Più in generale: cosa ne pensate del Festival di Sanremo?

5. Fino a che punto ha contribuito, nel tempo, alla crescita e alla diffusione della canzone italiana?

6. Ritenete che abbia contribuito anche alla internazionalizzazione della cultura italiana e dell’immagine dell’Italia nel mondo?

7. A vostro avviso, contribuisce di più il Festival di Sanremo allo sviluppo della canzone italiana o i Festival letterari (vedi Mantova) alla crescita della nostra letteratura?

8. E questo Festival? Vi sembra all’altezza dei precedenti? Meglio? Peggio?
Su quale canzone puntereste?

9. Anzi, domanda secca: chi vincerà?

Come sempre, grazie per l’attenzione e la partecipazione.

Massimo Maugeri

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UN ROMANZO SU SANREMO

Un bel romanzo ambientato al Festival di Sanremo lo ha scritto Alessandro Zaccuri: si intitola Infinita notte (Mondadori, pagg. 272, euro 18,50).
Col precedente, Il signor figlio (Mondadori, 2007), a Zaccuri era stato tributato il premio Selezione Campiello.
Infinita notte è un romanzo su Sanremo ambientato a Sanremo, zeppo di svariati personaggi (dirigenti Rai, rapper, fan, cantanti, manager, conduttori, giornalisti) messi in scena attingendo a piene mani dalla realtà. Di seguito potrete leggere la recensione di Ranieri Polese, pubblicata sul Corriere della Sera del 13 gennaio (da cui capirete meglio il plot).

Massimo Maugeri

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ALESSANDRO ZACCURI Infinita notte MONDADORI PP. 280, euro 18

di Ranieri Polese (Corriere della Sera del 13/01/2009)

Un romanzo con il titolo di una canzone inventata (Infinita notte) e 23 capitoli ciascuno intitolato con una canzone, vera, che ha vinto Sanremo (da «Grazie dei fiori» ad «Angelo»): dopo il Leopardi de Il signor figlio, Alessandro Zaccuri (nella foto) fa un bel salto. E dai complessi rapporti del poeta con il padre Monaldo (nel libro del 2007 si immaginava Giacomo scampato al colera di Napoli e rifugiato sotto falso nome a Londra) passa a raccontarci le storie che si intrecciano all’ombra del Festival, le strategie della tv, l’agitato popolo dei giornalisti, i sospetti casi di corruzione, i tipi più o meno curiosi che per disparate ragioni si ritrovano nella settimana fatidica a due passi dall’Ariston. «Ma poi tanta distanza fra Leopardi e Sanremo non c’è» scherza Zaccuri, 45 anni, giornalista di Avvenire, scrittore, e conduttore de «Il grande talk» su Sat2000, dedicato all’analisi dei linguaggi e dei programmi televisivi. «Intanto, sono due icone dell’ italianità. Poi, il Leopardi che tutti conoscono a memoria è un Leopardi sanremizzato, zuccheroso, donzellette e passeri solitari, molto diverso dal pensatore crudele, difficile che in realtà era». Sì, però, Sanremo… «È una realtà importante, con una lunga storia alle spalle, resta ancora lo spettacolo numero uno per cui si mobilitano giornali radio e tv. È il dolce tradizionale italiano che tale rimane anche se gli ingredienti della torta sono mutati». Colto ma non per questo viziato da snobismi, Zaccuri guarda a Sanremo come la nostra Nashville, il tempio della musica country americana. «E per il romanzo mi è servito molto rivedere il film di Robert Altman, con il suo mosaico di microstorie che si compongono intorno alle esibizioni dei cantanti e ai loro refrain». Così, senza perdere di vista il lavoro degli autori dei testi e dei responsabili Rai, con un occhio puntato sul non-luogo per eccellenza, la sala stampa che sta all’ultimo piano del Teatro Ariston, Zaccuri congegna tre storie che si snodano su quello sfondo di fiori e canzonette. C’ è l’autore outsider, Raffaele Maria Ferri, già collaboratore dei programmi di Funari e ora scrittore bestseller di un libro-reportage (Tassì Draiv, 800 mila copie) su quello che i tassisti dicono: da Roma gli arrivano notizie belle e brutte, la moglie gli dice che aspetta un bambino, il padre invece è ricoverato senza più speranza. Vorrebbe scappare ma sa che lì si sta giocando qualcosa di molto importante. Poi c’è il rapper SliverG, che si fa chiamare anche Gabo, è arrivato da Roma all’insaputa di un padre molto importante: una sua canzone («Il punto G») è stata rifiutata, ma lui bombarda le strade intorno all’Ariston con un’altra sua composizione, «Infinita notte» (da qui il titolo), che resta nella mente. Infine, del tutto estraneo alla grande kermesse, c’ è anche Miles De Michele, manager italo-americano che si lascia fregare da un mafioso russo in un giro di danaro sporco al Casinò; a portarlo in questo imbroglio è Jeanne, una bellissima ragazza di Mauritius che lo fa innamorare parlandogli della sua omonima Jeanne d’Arc. Infinita notte (Mondadori) è uscito in libreria il 16 gennaio, un mese prima dell’inizio del Festival numero 59 (17-21 febbraio), che segna il ritorno di Paolo Bonolis. E che già occupa i giornali con polemiche a non finire, per un testo sui gay, per il rifiuto di una canzone firmata Sgarbi ecc. «L’ unico Sanremo che ho seguito interamente, in sala stampa con tutti gli altri, è stato quello del 2005, il primo di Bonolis – ricorda Zaccuri -. Forse nel personaggio del Conduttore c’è qualcosa di lui, ma non solo. Il libro l’avevo già scritto a febbraio del 2008, non volevo fare pronostici. Del resto il Sanremo di cui racconto è il numero 60, quello che ci sarà nel 2010». Sì, però ci sono figure molto bene identificabili, tre giornalisti per esempio: lo Stregatto, la Regina di cuori e il Presidente emerito della Sala stampa: ovvero, Mario Luzzatto Fegiz («Corsera»), Marinella Venegoni («Stampa»), Paolo Zaccagnini («Messaggero»). «Sì, sono loro, ma sono anche i pilastri di quel luogo, e ho voluto render loro un omaggio». Su altre figure si gioca più di fantasia: per esempio, Miriam Cascella, eminenza Rai che conosce e manovra i delicati equilibri del potere. O sulla super-ospitata di Britney Spears, convertita da Madonna alla spiritualità della cabala. Intanto il rapper Gabo tappezza le porte del teatro con scritte che tutti ritengono pericolose minacce eversive; la cosa passa su You Tube, l’atmosfera si riscalda, nel giro entrano Fancy e Vanessa, due ragazzine di Torino calate in Riviera per vedere i cantanti, che subito s’innamorano del cantante di strada. E poi c’è la «nuova proposta» Sarah X, già pornostar, inevitabile scandalo da prima serata. Anche se fiction, questo Sanremo di Alessandro Zaccuri è terribilmente verosimile. Resta da chiedersi, da chiedergli, che cos’è veramente Sanremo. «Negli anni ‘50 – ‘60 è stato veramente il grande romanzo popolare italiano, lo specchio in cui la gente poteva proiettare i propri sogni. Poi, superata la crisi degli anni ‘70 (la Rai per anni si limitò a trasmettere in tv solo la finale), il Festival ha cambiato pelle e sostanza. È diventato un grande evento televisivo, ospiti internazionali di richiamo, comici, intrattenimento, tutto pensato per l’Auditel, con le canzoni che perdevano la loro centralità. Certo, seppure con tutti questi condizionamenti, Sanremo è l’unico momento in cui la tv si occupa di musica italiana. Prima, per lunghissimi anni, era l’unico Festival, “il Festival”. Ora i festival si sono moltiplicati (Mantova, Roma, Modena eccetera, letteratura, cinema, filosofia). E certe regole – il divismo, le passerelle – si sono diffuse anche in altri contesti. Però Sanremo rimane un grande campionario di umanità, sarebbe sbagliato giudicarlo come un format, un clone di qualche reality. Realmente qui succede qualcosa, ci sono persone che ci mettono i loro sogni, le loro capacità. Non ci sono solo i personaggi. Un romanzo questo deve fare: scoprire la persona dietro il personaggio».
Ranieri Polese

da Corriere della Sera del 13 gennaio 2009, pag. 42

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LIBRI PUBBLICATI ALLA VIGILIA DI SANREMO 2020

70 Sanremo. Ediz. illustrata - copertina“70 Sanremo. Ediz. illustrata” di John Vignola (Rai Libri)

Un volume ricco di dichiarazioni di repertorio e testimonianze dei grandi protagonisti delle diverse edizioni dal 1951 a oggi (da Mike Bongiorno a Pippo Baudo e Fabio Fazio, da Gianni Morandi, Romina Power e Al Bano a Giorgia ed Elisa), che ripercorre, decade dopo decade, la lunga vita del Festival della canzone. A ogni decade sarà dedicata una scheda tecnica ricca di momenti epici e apicali, foto degli interpreti e curiosità, restituendone i colori, il folklore e i cambiamenti. Perché Sanremo, da sempre, rappresenta da un lato un grande momento di aggregazione familiare e dall’altro un ritratto della cultura popolare, di cui la Rai è sempre stata il medium catalizzatore e il grande narratore.

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Il festival di Sanremo. 70 anni di storie, canzoni, cantanti e serate - Eddy Anselmi - copertina“Il festival di Sanremo. 70 anni di storie, canzoni, cantanti e serate” di Eddy Anselmi (De Agostini)

Un viaggio nel tempo, nella musica, nella storia, nei ricordi e nelle emozioni di tutti noi: 70 anni di storie, canzoni, cantanti e serate.

Dall’esordio nel 1951 all’edizione 2019. Tutto – ma proprio tutto – quello che c’è da sapere sul festival più amato dagli italiani: le serate, le canzoni, gli autori, gli interpreti, le classifiche, le curiosità, i vincitori e i vinti, la televisione, i presentatori e i dietro le quinte. E quel “Sanremo d’Europa” che è l’Eurovision Song Contest.

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Almanacco del festival di Sanremo. Storia del festival alla vigilia della 70ª edizione - Marino Bartoletti,Lucio Mazzi - copertina“Almanacco del festival di Sanremo. Storia del festival alla vigilia della 70ª edizione” di Marino Bartoletti e Lucio Mazzi (Gianni Marchesini Editore)

Marino Bartoletti, massimo conoscitore della storia del Festival, racconta edizione per edizione la più importante manifestazione canora italiana. Il libro vanta la prefazione di Renzo Arbore, Pippo Baudo e Carlo Conti. Per ogni edizione si trovano i dati essenziali, la cronaca e le serate, le classifiche, le foto, la canzone vincente e quella simbolo, i dischi più venduti in Italia e nel mondo, gli eventi di quell’anno in Italia e nel mondo. E le analisi di Marino Bartoletti.

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PAOLO DI PAOLO con “Svegliarsi negli anni Venti” (Mondadori) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/01/22/paolo-di-paolo-con-svegliarsi-negli-anni-venti-mondadori-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2021/01/22/paolo-di-paolo-con-svegliarsi-negli-anni-venti-mondadori-in-radio-a-letteratitudine/#comments Fri, 22 Jan 2021 06:00:14 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8691 PAOLO DI PAOLO con “Svegliarsi negli anni Venti. Il cambiamento, i sogni e le paure da un secolo all’altro” (Mondadori), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie).

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia, postproduzione e consulenza musicale: Federico Marin

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Ospite della puntata: lo scrittore Paolo Di Paolo con cui discutiamo del suo nuovo libro intitolato Svegliarsi negli anni Venti. Il cambiamento, i sogni e le paure da un secolo all’altro (Mondadori).

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La scheda del libro: Svegliarsi negli anni Venti. Il cambiamento, i sogni e le paure da un secolo all’altro” di Paolo Di Paolo (Mondadori)

Un secolo fa, con una guerra mondiale e una grande epidemia alle spalle, il mondo ruggiva festoso, ignaro delle nubi che si addensavano all’orizzonte. Gli anni Venti arrivavano carichi di promesse e di minacce. Ecco che tornano, in un paesaggio stravolto e indecifrabile. Le decadi, diceva Hemingway, finiscono ogni dieci anni, mentre le epoche possono finire in qualsiasi momento. Contare il tempo è una questione tutta umana e i calendari non sono altro che lo specchio delle nostre attese, del nostro bisogno di archiviare e progettare. Ma che cos’è un passaggio d’epoca? Come si riconosce? Chi lo decreta? Fra Monaco e Copenaghen, Vienna e Pechino, Paolo Di Paolo ci conduce in una sorta di corridoio spazio-temporale tra due secoli, in compagnia di scrittori e artisti che hanno colto lo spirito e le inquietudini del tempo, gli istanti in cui si intravede la nascita del futuro o gli ultimi bagliori di un mondo che tramonta. I protagonisti sono uomini e donne alla prova del cambiamento, in una società che reinventa valori e confini, alimentando eterni desideri. I maniaci dei selfie che affollano Rue Crémieux a Parigi, esasperando i residenti, non sono forse gli epigoni di una giovane fotografa, Claude Cahun, che cent’anni prima realizzava autoscatti provocatori? E quei «conflitti insensati», le reazioni «furibonde e sguaiate» che avvenivano ogni giorno «sotto gli occhi delle autorità» nel sanatorio raccontato da Thomas Mann, non riflettono esattamente ciò che accade sui social? Franz Kafka lamentava il «rapporto spettrale» fra gli individui, ma non è mai stato su WhatsApp. In questo libro, tra futuristi e futurocrati, feste dell’Età del Jazz e odierni aperitivi, fra esplosioni di rabbia sociale e intelligenze artificiali, le storie e le domande rimbalzano da un secolo all’altro. Ci dicono tutta l’ansia e la meraviglia di svegliarsi negli anni Venti. E di vivere il proprio tempo, nonostante tutto, come un’avventura irripetibile.

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Paolo Di Paolo è nato nel 1983 a Roma. È autore, fra l’altro, dei romanzi Dove eravate tutti (2011, Premio Mondello), Mandami tanta vita (2013, finalista Premio Strega) e Lontano dagli occhi (2019, Premio Viareggio-Rèpaci). Ha scritto libri per bambini, fra cui La mucca volante (2014, finalista Premio Strega Ragazze e Ragazzi), testi teatrali e saggi come Vite che sono la tua. Il bello dei romanzi in 27 storie (2017). Collabora con «la Repubblica» e conduce su Rai Radio3 «La lingua batte».

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia, post produzione e consulenza musicale: Federico Marin

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La colonna musicale della puntata (a cura di Federico Marin): brani in ordine di ascolto

sigla: Jason Shaw – BACK TO THE WOODS
licenza: https://creativecommons.org/licenses/by/3.0/us/

U.S. Army Blues – Stardust.ovw
licenza: https://creativecommons.org/publicdomain/mark/1.0/

Cullah – Moonlove Funk
licenza: https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/

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DANIELE MENCARELLI con “Tutto chiede salvezza” (Mondadori) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/06/18/daniele-mencarelli-con-tutto-chiede-salvezza-mondadori-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/06/18/daniele-mencarelli-con-tutto-chiede-salvezza-mondadori-in-radio-a-letteratitudine/#comments Thu, 18 Jun 2020 19:10:19 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8513 DANIELE MENCARELLI con “Tutto chiede salvezza” (Mondadori), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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Ospite della puntata: Daniele Mencarelli con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Tutto chiede salvezza” (Mondadori), vincitore del Premio Strega Giovani e finalista all’edizione 2020 del Premio Strega.

Caro Daniele, come hai vissuto le fasi delle “restrizioni” adottate per contrastare l’epidemia da Covid-19? Il cosiddetto “lockdown”? Come hai vissuto l’esperienza delle frasi preliminari del Premio e quella della vittoria del Premio Strega Giovani? Come nasce “Tutto chiede salvezza“? Da quale idea, spunto, esigenza o fonte di ispirazione? Che tipo di situazione trova Daniele, il protagonista del romanzo, appena giunge presso la stanza di questo reparto di psichiatria dove sarà sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio? Chi sono gli altri personaggi del romanzo? Cosa puoi dirci su come, all’interno di questo reparto di psichiatria, si consolidano i rapporti umani (tra pazienti, tra pazienti e personale sanitario… e anche rispetto ai parenti di Daniele? Perché tra gli ospiti del reparto si sviluppa questo forte senso di fratellanza? Come hai vissuto il passaggio dalla poesia alla prosa? Qual è, a tuo avviso, la differenza del rapporto tra “parola e poesia” e tra “parola e prosa”? Nel libro curi moltissimo la veridicità dei dialoghi… mettendo in risalto, per esempio, l’accento (e il dialetto) romanesco. Cosa puoi dirci da questo punto di vista? E il titolo del libro? Come nasce? Chi lo ha scelto? E come lo commenteresti?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a Daniele Mencarelli nel corso della puntata.

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La scheda del libro: “Tutto chiede salvezza” di Daniele Mencarelli (Mondadori)

Ha vent’anni Daniele quando, in seguito a una violenta esplosione di rabbia, viene sottoposto a un TSO: trattamento sanitario obbligatorio. È il giugno del 1994, un’estate di Mondiali.
Al suo fianco, i compagni di stanza del reparto psichiatria che passeranno con lui la settimana di internamento coatto: cinque uomini ai margini del mondo. Personaggi inquietanti e teneri, sconclusionati eppure saggi, travolti dalla vita esattamente come lui. Come lui incapaci di non soffrire, e di non amare a dismisura.
Dagli occhi senza pace di Madonnina alla foto in bianco e nero della madre di Giorgio, dalla gioia feroce di Gianluca all’uccellino resuscitato di Mario. Sino al nulla spinto a forza dentro Alessandro.
Accomunati dal ricovero e dal caldo asfissiante, interrogati da medici indifferenti, maneggiati da infermieri spaventati, Daniele e gli altri sentono nascere giorno dopo giorno un senso di fratellanza e un bisogno di sostegno reciproco mai provati. Nei precipizi della follia brilla un’umanità creaturale, a cui Mencarelli sa dare voce con una delicatezza e una potenza uniche.

Dopo l’eccezionale vicenda editoriale del suo libro di esordio – otto edizioni e una straordinaria accoglienza critica (premio Volponi, premio Severino Cesari opera prima, premio John Fante opera prima) -, Daniele Mencarelli torna con una intensa storia di sofferenza e speranza, interrogativi brucianti e luminosa scoperta. E mette in scena la disperata, rabbiosa ricerca di senso di un ragazzo che implora salvezza: “Salvezza. Per me. Per mia madre all’altro capo del telefono. Per tutti i figli e tutte le madri. E i padri. E tutti i fratelli di tutti i tempi passati e futuri. La mia malattia si chiama salvezza”.

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Daniele Mencarelli è nato a Roma nel 1974. Vive ad Ariccia.
Le sue principali raccolte di poesia sono: I giorni condivisi, poeti di clanDestino, 2001; Bambino Gesù, Tipografie Vaticane, 2001, Nottetempo, 2013; Guardia alta, Niebo – La vita felice, 2005; Figlio, Nottetempo, 2013. Sempre nel 2013 è uscito La Croce è una via, Edizioni della Meridiana, poesie sulla passione di Cristo. Nel 2015, nella collana gialla del Festival pordenonelegge, è stato pubblicato Storia d’amore. La sua ultima raccolta è Tempo circolare (poesie 2019-1997), Pequod, 2019.
Del 2018 è il suo primo romanzo La casa degli sguardi, Mondadori (premio Volponi, premio Severino Cesari opera prima, premio John Fante opera prima).
Collabora, scrivendo di cultura e società, con quotidiani e riviste.

Con il romanzo “Tutto chiede salvezza” (Mondadori) ha appena vinto il Premio Strega Giovani ed è tra i finalisti dell’edizione 2020 del Premio Strega.

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Colonna sonora della puntata: “Wish You Were Here” e “Shine on you crazy diamond (part I)” dei Pink Floyd.

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ROMANA PETRI con “Figlio del lupo” (Mondadori) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/04/03/romana-petri-con-figlio-del-lupo-mondadori-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/04/03/romana-petri-con-figlio-del-lupo-mondadori-in-radio-a-letteratitudine/#comments Fri, 03 Apr 2020 06:29:24 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8448 ROMANA PETRI con “Figlio del lupo” (Mondadori), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

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Ospite della puntata: Romana Petri con cui abbiamo discusso del suo nuovo libro “Figlio del lupo” (Mondadori)

Come nasce “Figlio del lupo”? Come commenteresti le citazioni di Omar Khayyam e di tuo padre, Mario Petri, che hai scelto come epigrafi del libro? Che tipo d’uomo è stato Jack London? Cosa puoi dirci sul contesto famigliare in cui è nato e cresciuto? Chi sono state le donne rilevanti nella vita di Jack London? Proviamo a passare in rassegna il rapporto di Jack London con queste donne? Quali sono stati i libri di London che hai amato di più sin da subito? E quali quelli che, magari, hai avuto modo di scoprire successivamente? Se dovessi scegliere un brano musicale come possibile colonna sonora di questo tuo nuovo romanzo, quale sceglieresti?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a Romana Petri nel corso della puntata.

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La scheda del libro: “Figlio del lupo” di Romana Petri (Mondadori)

Romana Petri ha raccolto una delle sfide più fascinose che una scrittrice poteva intravvedere: quella di raccontare la furia di vivere di un uomo che ha fatto il pugile, il cacciatore di foche, l’agente di assicurazioni, il cercatore d’oro, che ha amato l’ombra azzurra delle foreste e la smagliante solarità dei mari, che ha guardato, ceruleo d’occhi e di pensieri, l’anima dei popoli in lotta e il cuore delle donne. E qui le donne sono il vero motore del racconto: la fragranza piccolo-borghese di Mabel, la concretezza di Bessie, il fascino intellettuale di Anna Strunsky, la determinazione di Charmian (“essere molte donne in una”), l’insostituibilità della sorella Eliza. Eppure Romana Petri non ha scritto una biografia: Figlio del lupo è un romanzo che srotola il filo di una storia vera, così come è vera la storia dei personaggi che abbiamo amato. E allora ecco sciorinate le vicende di un uomo sospeso fra il rovello ispirato del grande narratore e la voce dispiegata del socialista che vuol parlare, da rivoluzionario, a sette milioni di lavoratori ma non rinuncia a farsi allacciare le scarpe perché non ha tempo da perdere, sospeso fra il gioco dell’amore promesso, vissuto, tradito sempre ad alte temperature e il tormento di un fallimento incombente, malgrado il clangore del mondo e il fuoco alto della fama.

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Romana Petri vive a Roma. Tra le sue opere, Ovunque io sia (2008), Ti spiego (2010), Le serenate del Ciclone (2015, premio Super Mondello e Mondello Giovani), Il mio cane del Klondike (2017), Pranzi di famiglia (2019, premio The Bridge). Traduttrice e critico, collabora con “Io Donna”, “La Stampa”, “Il Venerdì di Repubblica” e il “Corriere della Sera”. È tradotta in Inghilterra, Stati Uniti, Francia, Spagna, Serbia, Olanda, Germania e Portogallo (dove ha lungamente vissuto).

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

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Colonna sonora della puntata: un brano della colonna sonora del film “Martin Eden”; due versioni del brano popolare “Blow The Man Down”

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LA BAMBINA E IL NAZISTA di Franco Forte e Scilla Bonfiglioli http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/01/21/la-bambina-e-il-nazista-di-franco-forte-e-scilla-bonfiglioli/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/01/21/la-bambina-e-il-nazista-di-franco-forte-e-scilla-bonfiglioli/#comments Tue, 21 Jan 2020 16:57:51 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8389 La nuova puntata della rubrica di Letteratitudine intitolata “A botta e risposta (un tandem letterario conversando di libri) è dedicata al romanzo “La bambina e il nazista” di Franco Forte e Scilla Bonfiglioli (Mondadori): un romanzo sulla memoria e sugli orrori dell’olocausto, in una storia triste ma coraggiosa, in cui il desiderio della vita prevale sulla mostruosità dello sterminio.

Franco Forte è nato a Milano nel 1962. Scrittore, sceneggiatore e giornalista, per Mondadori ha pubblicato, tra gli altri, Roma in fiamme, Cesare l’Immortale e il fortunato Romolo.

Scilla Bonfiglioli è nata a Bologna nel 1983. Attrice e regista teatrale, oltre che scrittrice, ha pubblicato racconti in diverse antologie e nel Giallo Mondadori.

Abbiamo invitato i due coautori del romanzo a partecipare al “tandem letterario” di Letteratitudine.

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Scilla: Scrivere a quattro mani con Franco è stata un’esperienza intensa ed emozionante. Mi ha telefonato una mattina dicendomi: “Senti, ho questa idea in testa da molto tempo, vuoi scriverla con me?” e mi ha raccontato di un soldato nazista che di punto in bianco vede la sua vita rovesciarsi dopo la tragica morte di sua figlia. La vicenda del nostro Hans Heigel inizia da lì. Sarei stata entusiasta all’idea di scrivere qualsiasi storia con Franco, che per me è stato un maestro e lo è ancora, ma questa mi ha conquistato fin dalle prime parole: i temi sono molto forti e crudi, era necessario approcciarsi con grande sensibilità alle vite dei protagonisti di cui abbiamo narrato. Anche se sono personaggi inventati, ricalcano da vicino le tragedie delle persone che hanno vissuto sulla loro pelle uno dei drammi più feroci della storia umana. Ma da dove viene l’idea dietro “La Bambina e il Nazista”?

Franco: Come è nata l’idea di scrivere questo libro? L’avevo già in testa da un po’ di tempo, dal giorno in cui ho trovato la notizia autentica di un ufficiale nazista che salvò una bambina ebrea dall’inferno dei campi di concentramento. Non sono più riuscito a ritrovarla, ma l’immagine mi è rimasta dentro insieme alla necessità di raccontarne la vicenda. Così ho chiesto a Scilla di scriverla insieme a me e di andare a fondo in un periodo storico nero, cercando di raccontare i fatti ma, soprattutto, le emozioni, le motivazioni e i sentimenti che si nascondono negli eventi della Storia.
Sono un autore di romanzi storici, ma questo può essere considerato un romanzo storico?

Scilla: Gli anni del nazismo, il ricordo della Seconda Guerra Mondiale e delle barbarie perpetrate in quel periodo in nome di ideali assurdi sono ancora abbastanza vicini a noi per farcene sentire il peso. Allo stesso tempo, però, è un periodo che si sta allontanando troppo in fretta, soprattutto dalla memoria. E per ricordare sono necessarie le storie. Un poeta brasiliano diceva che “narrare è resistere” e noi abbiamo cercato, raccontando, di dare il nostro contributo per non dimenticare. Nel romanzo ci siamo sempre rifatti a eventi reali e a informazioni autentiche, ma forse questo libro ha un respiro più ampio di un romanzo storico, è più letterario. L’abbiamo scritto con l’intento di rendere più difficile la dimenticanza, per conservare il ricordo e impedire che tragedie come questa si ripetano ancora. Credi che Hans sia un personaggio adatto per adempiere a questo compito?

Franco: Credo proprio che lo sia. Abbiamo deciso di affrontare questa storia partendo da un punto di vista scomodo, quello di un soldato nazista. Forse la figura in assoluto più difficile con cui empatizzare. Eppure, quello di Hans Heigel è il punto di vista migliore. Il nostro tenente è un uomo che non ha in simpatia il Reich, eppure abbassa la testa e fa quello che deve fare, lavorando come burocrate in un ufficio lontano dalla guerra. Non è coraggioso, non è un combattente e di certo non è un eroe. Finge di non vedere quello che succede purché tutto il male che inonda il mondo non tocchi il suo personale angolo di paradiso: la sua casa, sua moglie, sua figlia Hanne. Questa era la situazione in cui molti si sono trovati a vivere durante l’ascesa del regime ed è la situazione in cui spesso ci si trova anche oggi davanti alle ingiustizie più grandi. Per questo siamo partiti da lui, per seguire la strada di un uomo che, messo con le spalle al muro, scopre dentro di sé un coraggio del tutto umano e una forza che non avrebbe immaginato di possedere. Abbiamo parlato del nazista. E della bambina, cosa mi dici?

Scilla: Che non ce ne è solo una. Le bambine di questa storia sono due. Una è la piccola Leah, l’altra protagonista del romanzo: una bambina ebrea gettata con i suoi sette anni nell’inferno più atroce e che diventa per Hans la luce in cui combattere in mezzo alle tenebre che circondano entrambi. Ma c’è anche un’altra bimba, Hanne, la figlioletta di Hans che muore all’inizio della storia e sconvolge la vita perfetta che lui ha cercato di proteggere fino a quel momento. Sono due bambine distinte, con storie diverse e vite che non si somigliano, due piccole che non si sono mai viste e che non si vedranno mai. Eppure sono una cosa sola. Ma ci sono tanti altri personaggi che hanno storie terribili e interessanti. Qual è il tuo preferito? E quello che odi di più?

Franco: Penso che uno dei personaggi migliori sia Franz Meyer, il superiore di Hans a Osnabrück. Meyer è un mentore che, nella vita del tenente Heigel, svolge quasi il ruolo di un padre e che avrà un arco narrativo interessante. Sul lato opposto della medaglia c’è il maggiore Vossel. Un uomo bellissimo e crudele che incarna il Reich in tutta la sua cupezza. E i tuoi quali sono?

Scilla: Io ho un particolare amore per Larysa, una guardia ucraina del campo di Sobibór alle dipendenze dei soldati nazisti o almeno così pare: una combattente che avrà un ruolo particolare nella nostra storia. Il personaggio che ho odiato di più in fase di scrittura è stata Alida Haller, una terrificante ausiliaria tedesca per la quale ci siamo ispirati alla figura storica di Ilse Koch, la “strega di Buchenwald” e alla criminale austriaca Hermine Braunsteiner-Ryan. Entrambe hanno saputo guadagnarsi una fama fin troppo sinistra. E per quanto riguarda i luoghi in cui abbiamo ambientato la vicenda, si può dire che siano altrettanto terribili?

Franco: Non si può fare una classifica dell’orrore, ma i campi di concentramento costruiti dal Reich in Polonia sono stata una delle pagine più nere di un capitolo della Storia già oscuro di per sé. Abbiamo cercato di gettare una luce su degli eventi che spesso vengono lasciati a margine, basti pensare che gran parte della documentazione esistente non è mai stata tradotta dal polacco.
Il campo di Majdanek portava i prigionieri alla disumanizzazione prima che alla morte con un’organizzazione tanto precisa da riuscire a svolgere le sue attività praticamente sotto agli occhi dei cittadini di Lublino senza destare troppe preoccupazioni. Le informazioni arrivate da Majdanek restituiscono un quadro dell’orrore che ammutolisce, fatto di torture e aberrazioni e che abbiamo cercato descrivere con la massima lucidità. Quasi completamente distrutto, questo campo non ha lasciato l’enorme mole di testimonianze atroci che ci sono arrivate da altri lager e questa è stata l’unica ragione per cui Majdanek non è stato scelto come simbolo delle atrocità del Reich, triste titolo passato al campo di Auschwitz. Perché abbiamo scelto di ambientare parte del romanzo a  Sobibór, invece?

Scilla: Abbiamo scelto il campo di Sobibór perché stato teatro di una celebre ribellione. Spesso non si racconta di quante ce ne siano state, di rivolte che hanno finito per destabilizzare il Reich nel momento delicato in cui era impegnato in guerra su più fronti. Da quella del ghetto di Varsavia, che doveva risolversi in pochi giorni e invece ha costretto i nazisti a impiegare più forze del previsto per contrastarla, a quella del campo di Treblinka che ha terrorizzato gli ufficiali e fatto stringere il pugno di ferro. La rivolta di  Sobibór diventa famosa perché colpisce al cuore il regime dall’interno, in un momento in cui il Reich comincia a perdere colpi sui fronti internazionali. Purtroppo non sono molti i prigionieri che riescono a guadagnarsi la libertà, ma quell’atto di enorme coraggio meritava di essere raccontato. Nel romanzo, i personaggi che tirano le fila di questi eventi sono di fantasia, ma sono ispirati molto da vicino al soldato ucraino Aleksandr Pečerskij e all’ebreo Leon Feldhendler, che seppero organizzare la ribellione del ‘43. Dopo tutto questo, ti faccio un ultima domanda. Visti tutti questi eventi così cupi, perché i lettori dovrebbero leggere il nostro romanzo?

Franco: Proprio perché questi eventi vanno ricordati, lo dico ancora una volta. E perché raccontiamo una storia di speranza, che mostra come una luce, per quanto piccola, possa rischiarare le tenebre. “La Bambina e il Nazista” è un libro in cui la lotta di uomo diventa la lotta di tutti.

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La scheda del libro: “La bambina e il nazista” di Franco Forte e Scilla Bonfiglioli (Mondadori)

La bambina e il nazista - Franco Forte,Scilla Bonfiglioli - copertinaGermania, 1943. Hans Heigel, ufficiale di complemento delle SS nella piccola cittadina di Osnabrück, non comprende né condivide l’aggressività con cui il suo Paese si è rialzato dalla Prima guerra mondiale; eppure, il timore di ritorsioni sulla propria famiglia e la vita nel piccolo centro, lontana dagli orrori del fronte e dei campi di concentramento, l’hanno convinto a tenere per sé i suoi pensieri, sospingendolo verso una silenziosa convivenza anche con le politiche più aberranti del Reich. Più importante è occuparsi della moglie Ingrid e, soprattutto, dell’amatissima figlia Hanne.
Fino a che punto un essere umano può, però, mettere da parte i propri valori per un grigio quieto vivere?
Hans lo scopre quando la più terribile delle tragedie che possono capitare a un padre si abbatte su di lui, e contemporaneamente scopre di essere stato destinato al campo di sterminio di Sobibór.
Chiudere gli occhi di fronte ai peccati terribili di cui la Germania si sta macchiando diventa d’un tratto impossibile… soprattutto quando tra i prigionieri destinati alle camere a gas incontra Leah, una bambina ebrea che somiglia come una goccia d’acqua a sua figlia Hanne.
Fino a che punto un essere umano può spingersi pur di proteggere chi gli sta a cuore? Giorno dopo giorno, Hans si ritrova a escogitare sempre nuovi stratagemmi pur di strappare una prigioniera a un destino già segnato, ingannando i suoi commilitoni, prendendo decisioni terribili, destinate a perseguitarlo per sempre, rischiando la sua stessa vita… Tutto, pur di non perdere un’altra volta ciò che di più caro ha al mondo.

Ispirandosi a fatti drammatici quanto reali, Franco Forte e Scilla Bonfiglioli ci trasportano nelle tenebre profondissime di una pagina di Storia che non si può e non si deve dimenticare – soprattutto oggi – mostrando però che persino nella notte più nera possono accendersi luci di speranza, a patto di vincere le nostre ipocrisie e lasciarci guidare dall’unica che ci accomuna tutti: la nostra umanità.

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BENEDETTA CIBRARIO con “Il rumore del mondo” (Mondadori) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/07/02/benedetta-cibrario-con-il-rumore-del-mondo-mondadori-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/07/02/benedetta-cibrario-con-il-rumore-del-mondo-mondadori-in-radio-a-letteratitudine/#comments Tue, 02 Jul 2019 17:13:07 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8203 BENEDETTA CIBRARIO con “Il rumore del mondo” (Mondadori), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

Libro finalista all’edizione 2019 del Premio Strega

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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Ospite della puntata: Benedetta Cibrario con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo: “Il rumore del mondo” (Mondadori), finalista all’edizione 2019 del Premio Strega.

Come nasce “Il rumore del mondo”? Cosa puoi dirci sull’attività di studio e ricerca propedeutiche alla scrittura del romanzo? Ci parleresti del periodo storico in cui è ambientato il romanzo? Cosa puoi dirci sulla citazione di Dickens inserita come epigrafe del libro? Tra i temi del romanzo c’è anche quello legato alla difficoltà che si prova quando si sceglie di vivere in un paese diverso dal proprio. Cosa puoi dirci da questo punto di vista? Chi è Anne Bacon, la protagonista del romanzo? Come la racconteresti ai nostri ascoltatori? Cosa puoi dirci su Theresa Manners, compagna di viaggio di Anne? Cosa cambia nella vita di Anne quando il suocero Casimiro la invita a occuparsi del Mandrone, la proprietà in campagna della famiglia? Cosa puoi dirci sulla forte componente “epistolare” di “Il rumore del mondo”? Come racconteresti la copertina del romanzo?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a Benedetta Cibrario nel corso della puntata.

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[La scheda di "Il rumore del mondo"]

L’ufficiale piemontese Prospero Carlo Carando di Vignon, di stanza a Londra, sposa Anne Bacon, figlia di un ricco mercante di seta. Quando, dopo essere stata vittima del vaiolo, arriva a Torino, Anne è molto diversa. La vita coniugale si annuncia come un piccolo inferno domestico, ma il suocero Casimiro la invita a occuparsi della proprietà del Mandrone, il cui futuro soltanto a lui – conservatore di ferro – sembra stare a cuore. Tra i due si stabilisce un’imprevedibile complicità e Anne matura amore e dedizione per la vita appartata e operosa che vi conduce. La storia della famiglia Vignon si intreccia ai fili dello spirito del tempo, e non di meno a quelli della seta. Anne Bacon scopre come conquistarsi un posto nella storia di un paese non ancora nato, di un orizzonte ideale che infiamma il mondo. Progressisti e conservatori, al di là degli schieramenti politici, si trovano davanti alla necessità di rispondere al cambiamento e lo fanno agendo – nell’economia, nel costume, nella morale, nella cultura. E l’Italia appare, vista da lontano (complici anime migranti come Anne, e il suo entourage femminile), vista come utopia e come sfida.
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Benedetta Cibrario è nata a Firenze nel 1962, da padre torinese e madre napoletana. Vive a Londra. Nel 2007 esordisce con il romanzo Rossovermiglio (Feltrinelli, premio Campiello 2008). Rossovermiglio viene tradotto e pubblicato in diversi paesi, tra cui la Germania, l’Olanda, il Portogallo, la Grecia. Nel 2009 esce Sotto cieli noncuranti (Feltrinelli, premio Rapallo Carige 2010) e, successivamente, Lo Scurnuso (Feltrinelli, 2011).

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: “Tutto il rumore del mondo” di Simona Molinari; “Va, pensiero” di Giuseppe Verdi;  “Povera piccola Italia” di Simona Molinari.

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TEA RANNO con “L’amurusanza” (Mondadori) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/05/15/tea-ranno-con-lamurusanza-mondadori-in-radio-a-letteratitudine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2019/05/15/tea-ranno-con-lamurusanza-mondadori-in-radio-a-letteratitudine/#comments Wed, 15 May 2019 17:22:39 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8158 TEA RANNO con “L’amurusanza” (Mondadori), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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Ospite della puntata: Tea Ranno, con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato “L’amurusanza” (Mondadori).

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Come nasce “L’amurusanza”? Ci racconteresti qualcosa sul luogo in cui è ambientato il romanzo? Qual è il significato della parola “amurusanza? Ci parleresti della coppia di coniugi, Costanzo e Agata, che hanno la tabaccheria in paese? Che tipo d’uomo è il sindaco del paese soprannominato  “Occhi Janchi”? Cosa accade, dopo la morte di Costanzo? Perché il sindaco si vuole impossessare della Saracina, questo rigoglioso terreno coltivato ad aranci e limoni (che appartiene ad Agata e Costanzo)? Qual è la reazione di Agata in seguito a questo tipo di comportamento (e dopo la morte di Costanzo)? Puoi dirci qualcosa sugli altri personaggi del romanzo (per esempio: il professor Scianna, Lisabetta, Lucietta, ecc.)? Nella copertina del romanzo leggiamo questa frase: “Cambiare il mondo a colpi di poesia: non era questo il vostro motto?” Si può davvero cambiare il mondo a colpi di poesia? Vuoi aggiornarci sulla tua attività di scrittrice di libri per ragazzi? Ci parleresti del progetto “Scrivere per guarire”?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a Tea Ranno nel corso della puntata.

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La scheda del libro

L' amurusanza - Tea Ranno - ebook

Siamo in un piccolo borgo siciliano che, dall’alto di una collina, domina il mare: una comunità di cinquemila anime che si conoscono tutte per nome. Su un lato della piazza sorge la tabaccheria, un luogo magico dove si possono trovare, oltre alle sigarette, anche dolciumi e spezie, governato con amore da Costanzo e da sua moglie Agata. Sull’altro lato si affaccia il municipio, amministrato con altrettanto amore (ma per il denaro) dal sindaco “Occhi Janchi” e dalla sua cricca di “anime nere”, invischiata in diversi affari sporchi. Attorno a questi due poli brulica la vita del paese, un angolo di paradiso deturpato negli anni Cinquanta dalla costruzione di una grossa raffineria di petrolio.
Quando Costanzo muore all’improvviso, Agata, che è una delle donne più belle e desiderate del paese, viene presa di mira dalla cosca di Occhi Janchi, che, oltre a “fottere” lei, vuole fotterle la Saracina, il rigoglioso terreno coltivato ad aranci e limoni che è stato il vanto del marito. Ma la Tabbacchera non ha intenzione di stare a guardare. Attorno a lei si raccoglie, prima timida poi sempre più sfrontata, una serie di alleati: il professor Scianna, che in segreto scrive poesie e cova un sentimento proibito per la figlia di un amico, l’erborista Lisabetta, capace di preparare pietanze miracolose per la pancia e per l’anima, Lucietta detta “la piangimorti”, una zitella solitaria che nasconde risorse insospettate, e poi Roberto, Violante, don Bruno… una compagnia variopinta e ribelle di “anime rosse” che decide di sfidare il potere costituito a colpi di poesia, di gesti gentili e di buon cibo: in una parola, di amurusanze. Tra una tavolata imbandita con polpettine e frittelle afrodisiache e una dichiarazione d’amore capace di cambiare una fede, le sorti dei personaggi s’intrecciano sempre più, in un crescendo narrativo che corre impetuoso verso la deflagrazione…

Tea Ranno ha scritto il suo romanzo più solare, magico e sensuale: ha dato vita a una Dona Flor siciliana e l’ha calata in un’atmosfera fiabesca alla Chocolat; allo stesso tempo, con l’aiuto di un pizzico di realismo magico, ha raccontatouna parabola attualissima di coraggio ed emancipazione, di una donna e di una comunità.

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Tea Ranno è nata a Melilli, in provincia di Siracusa, nel 1963. Dal 1995 vive a Roma. È laureata in giurisprudenza e si occupa di diritto e letteratura. Ha pubblicato per e/o i romanzi Cenere (2006, finalista ai premi Calvino e Berto e vincitore del premio Chianti) e In una lingua che non so più dire (2007). Nel 2012 per Mondadori è uscita La sposa vermiglia, vincitore del premio Rea, e nel 2014, sempre per Mondadori, Viola Fòscari. Nel 2018 con Frassinelli ha pubblicato Sentimi. Per Curcio, ha scritto tre libri per bambini, l’ultimo è Le ore della contentezza.

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La colonna sonora della puntata: “The Word” dei Beatles; “La Gatta” di Gino Paoli; “Main Title” dalla colonna sonora del film Chocolat

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Come nasce “Di chi è questo cuore”? Questo libro affronta varie tematiche. Intanto c’è sicuramente la tematica del corpo e del rapporto con il proprio corpo e con i limiti con cui a volte bisogna fare i conti. Quanto è importante riuscire a fare i conti con questi limiti? Un’altra tematica, connessa a quella precedente, è determinata dal rapporto con la propria fragilità e dalla consapevolezza della fine dell’esistenza (e qui torniamo all’immagine, quasi ossessiva, o forse più che all’immagine… all’idea) del ragazzo caduto, o forse lasciato cadere, da una finestra di un albergo di Milano durante una gita scolastica. Quanto è importante e fino a che punto riusciamo a fare i conti con quest’altra tematica? E come si pone, nei confronti di questa tematica, il protagonista del romanzo? Che differenze ci sono tra il Mauro Covacich personaggio letterario e protagonista del romanzo, e il Mauro Covacich che vive al di fuori delle pagine di “Di chi è questo cuore”? Sono tanti i personaggi del romanzo (personaggi che, peraltro, come scrivi nella nota finale, sono persone). Su tutti ne spiccano due: Susanna, la tua compagna, e tua madre. Che cosa ti hanno detto Susanna e tua madre dopo aver letto il libro? Tra i personaggi che spiccano ce n’è uno che, in un certo senso, svolge il ruolo di “personaggio-cornice” della narrazione. Mi riferisco all’uomo grasso. Ti andrebbe di descriverlo? Chi è l’uomo grasso? Come lo racconteresti ai nostri ascoltatori?

- Altri elementi importanti della narrazioni sono i luoghi. Ce n’è soprattutto uno che è ricorrente: Il villaggio Olimpico. Che tipo di luogo è? Come emerge tra le pagine di “Di chi è questo cuore”? Ti andrebbe di descriverlo ai nostri ascoltatori?

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CARLO D’AMICIS con “Il gioco” (Mondadori) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/05/03/in-radio-con-carlo-damicis/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/05/03/in-radio-con-carlo-damicis/#comments Thu, 03 May 2018 17:15:33 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7779 CARLO D’AMICIS con “Il gioco” (Mondadori), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

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Con Carlo D’Amicis abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato “Il gioco” (Mondadori) – candidato al Premio Strega 2018 – e delle tematiche trattate (di seguito, la scheda del libro).

Con straordinaria finezza e altissima qualità letteraria, Carlo D’Amicis dà vita a un intreccio ironico e tragico, morboso e lieve, costruito su un trio di personaggi indimenticabili.

La cosa più affascinante del sesso non è il sesso, ma tutto ciò che gli ruota attorno: in una sola parola, la vita. È per questo che Leonardo, Eva e Giorgio, dovendo parlare di sesso, raccontano le rispettive esistenze (audaci e innocenti allo stesso tempo) a un intervistatore che vorrebbe scrivere un libro sul piacere, e che invece si ritrova in continuazione a fare i conti con il loro dolore. Del resto, nel gioco erotico, tutto è così terribilmente intrecciato: non solo il piacere e il dolore, ma anche la trasgressione e le regole, la libertà e il possesso, l’eccitazione e la noia, l’io e la maschera. Quelle che i nostri eroi indossano in questo romanzo corrispondono ai tre ruoli chiave del gioco: Leonardo (nome in codice: Mister Wolf) è il bull, maschio alfa che applica al sesso seriale la disciplina e la meticolosità degli antichi samurai, Eva (la First Lady) è la sweet, regina e schiava del desiderio maschile, Giorgio (il Presidente) è il cuckold, tradito consenziente che sguazza nella sua impotenza ma non rinuncerebbe mai a manovrare i fili. Insieme formano il triangolo più classico e scabroso dell’intera geometria erotica, quello in cui l’ossessione maschile di possedere e offrire l’oggetto del proprio desiderio s’incastra con l’aspirazione della donna ad appartenere, finalmente, solo a se stessa. Recitano dei ruoli, Mister Wolf, la First Lady e il Presidente. Ma quanto più il corpo è il loro abito di scena, tanto più la loro anima si denuda, rivelando ai nostri occhi l’umanità struggente, tenera, e talvolta esilarante, di tre protagonisti fuori dagli schemi, eppure così simili a ciascuno di noi.

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Carlo D’Amicis (Taranto, 1964) vive a Roma. È autore del programma di Rai 3 “Quante Storie” e del programma di Radio 3 Rai “Fahrenheit”.

I suoi ultimi romanzi sono: “Escluso il cane” (2006), “La guerra dei cafoni” (2008), “La battuta perfetta” (2010), “Quando eravamo prede” (2014), tutti pubblicati da minimum fax.

Nel 2017 da “La guerra dei cafoni” è stato tratto l’omonimo film diretto da Davide Barletti e Lorenzo Conte.

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La colonna sonora della puntata: Play the Game” dei Queen; “Summertime” di Billie Holiday, “Whole Lotta Love” Led Zeppelin.

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CATERINA ARCANGELO e GUIDO CONTI in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/04/27/in-radio-con-caterina-arcangelo-e-guido-conti/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/04/27/in-radio-con-caterina-arcangelo-e-guido-conti/#comments Fri, 27 Apr 2018 07:13:28 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7771 CATERINA ARCANGELO e GUIDO CONTI, ospiti del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)


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Con Caterina Arcangelo e lo scrittore Guido Conti abbiamo discusso del magazine Fuori Asse (di cui sono rispettivamente direttore editoriale e membro del comitato scientifico). Abbiamo discusso, tra le altre cose: del rapporto tra luoghi e letteratura, dei contenuti dell’ultimo numero di Fuori Asse, del rapporto tra letteratura e giornalismo (prendendo spunto dal volume curato da Daniela Marcheschi) e del più recente romanzo di Guido Conti intitolato “La profezia di Cittastella” (Mondadori).

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La colonna sonora della puntata: “Memories Of You”, “Don’t Be That Way”, “Sing Sing Sing” di Benny Goodman

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MARILÙ OLIVA CON “Le spose sepolte” (HarperCollins Italia) e MATTEO STRUKUL con “Giacomo Casanova. La sonata dei cuori infranti” (Mondadori) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/04/11/in-radio-con-marilu-oliva-e-matteo-strukul/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/04/11/in-radio-con-marilu-oliva-e-matteo-strukul/#comments Wed, 11 Apr 2018 16:06:37 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7763 MARILÙ OLIVA CON “Le spose sepolte” (HarperCollins Italia) e MATTEO STRUKUL con  “Giacomo Casanova. La sonata dei cuori infranti” (Mondadori), ospiti del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)


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Nella prima parte della puntata, con Marilù Oliva, abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato: “Le spose sepolte” (HarperCollins Italia).

Nella seconda parte della puntata (a partire dal minuto 30:35) con Matteo Strukul abbiamo discusso del suo nuovo romanzo: “Giacomo Casanova. La sonata dei cuori infranti” (Mondadori).

Di seguito, le schede dei libri protagonisti della puntata

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Marilù Oliva – “Le spose sepolte” (HarperCollins Italia)
Dove sono finite quelle donne misteriosamente sparite da anni, mogli e madri di cui i mariti sostengono di non sapere nulla? Uno dopo l’altro, i loro corpi vengono ritrovati grazie a un killer implacabile che costringe chi le ha fatte scomparire a confessare dove si trovano le loro ossa e poi uccide i colpevoli, sempre assolti dai tribunali per mancanza di prove. Il rituale è feroce e spietato: l’assassino vuole così rendere giustizia alle spose sepolte. I pochi indizi lasciati sulla scena del crimine conducono a un piccolo paese, Monterocca, soprannominato la Città delle Donne, un territorio nell’Appennino bolognese circoscritto da mura ed elementi naturali, governato da una giunta completamente al femminile. Il team investigativo, in cui spicca la giovane ispettrice Micol Medici, si trova catapultato in una realtà di provincia quasi isolata dal mondo, con una natura montana che fa da contorno e molti misteri avvolti nella nebbia. Un inquietante enigma conduce gli inquirenti al Centro Studi Rita, un’azienda farmaceutica che sta sintetizzando un anestetico speciale: lo stesso utilizzato dal serial killer come siero della verità per far confessare i colpevoli. Ma quanti altri segreti si nascondono dentro i confini del piccolo paese? Solo Micol ha l’innata capacità di scoprirli, anche se questo potrebbe costarle la vita… Con Le spose sepolte Marilù Oliva ribalta il genere giallo e ci regala un’indagine mozzafiato che sconfina nel thriller, intrisa di terrore e mistero. Un’ambientazione unica, dove niente è come sembra. Un romanzo con una protagonista indimenticabile, Micol Medici, costretta a farsi largo in un universo di uomini. Una storia che si sviluppa intorno a una domanda: come sarebbe il mondo se al potere ci fossero le donne?

Nata a Bologna, Marilù Oliva è scrittrice e insegna lettere alle superiori. Autrice di due trilogie noir, ha vinto il Premio dei Lettori Scerbanenco con Questo libro non esiste (2016). Si occupa da sempre di questioni di genere. Ha curato le antologie Nessuna più – 40 autori contro il femminicidio e Il mestiere più antico del mondo? entrambe patrocinate da Telefono Rosa. È caporedattrice di Libroguerriero.it e cura un blog su Huffington Post.

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Matteo Strukul – “Giacomo Casanova. La sonata dei cuori infranti” (Mondadori)
Venezia, 1755. Giacomo Casanova è tornato in città, e il precario equilibrio su cui si regge la Repubblica, ormai prossima alla decadenza, rischia di frantumarsi e degenerare nel caos. Lo scenario politico internazionale è in una fase transitoria di delicate alleanze e il disastroso esito della Seconda guerra di Morea ha svuotato le casse della Serenissima. Il doge Francesco Loredan versa in pessime condizioni di salute, e l’inquisitore Pietro Garzoni trama alle sue spalle per ottenere il consenso all’interno del Consiglio dei Dieci e influenzare così la successione al dogado. Il suo sogno proibito è arrestare il seduttore spadaccino, e per far questo gli mette alle calcagna il suo laido servitore Zago. Rubacuori galante e agile funambolo, Casanova entra in scena prendendo parte a una rissa alla Cantina do Mori, la più antica osteria della laguna, per difendere una bellissima fanciulla, Gretchen Fassnauer, apparsa a consegnargli un messaggio: la contessa Margarethe von Steinberg vorrebbe incontrarlo. La nobile austriaca intende sfidarlo a una singolare contesa: se riuscirà a sedurre la bella Francesca Erizzo, figlia di uno dei maggiorenti della città, allora lei sarà sua. Casanova accetta, forte del suo impareggiabile fascino. È l’inizio di una serie di rocambolesche avventure che lo porteranno ad affrontare in duello Alvise, il focoso spasimante di lei, uccidendolo. Il guaio più serio e inaspettato è però un altro: Casanova, per la prima volta, si innamorerà davvero. Le fosche macchinazioni dell’inquisitore avranno successo e Giacomo verrà incarcerato ai Piombi, mentre Francesca finirà murata in convento. Con il cuore spezzato, Casanova nutrirà il sospetto che l’intera vicenda sia stata architettata dalla diabolica contessa per toglierlo di mezzo. Evaso, si metterà sulle sue tracce e, fra inseguimenti, imboscate e intrighi notturni, arriverà ad affrontarla in un ultimo faccia a faccia mozzafiato: scoprirà di essere stato pedina in un gioco di spie fra Venezia e l’Impero Austriaco e infine si troverà ad accettare a sua volta un incarico della massima segretezza. Fra canali immersi nella bruma e palazzi patrizi di sfolgorante bellezza, si staglia una Venezia settecentesca mai così seducente e spietata: Matteo Strukul fonde magistralmente il feuilleton d’avventura con gli intrighi amorosi del romanzo libertino, e lo fa attraverso un appassionante intreccio di ricostruzione storica e invenzione, con un’ambientazione straordinaria, riccamente animata di personaggi dell’epoca, da Giambattista Tiepolo a Carlo Goldoni, da Federico di Prussia a Maria Teresa d’Austria, restituendoci in modo potente, originale e modernissimo lo spirito del tempo.

Matteo Strukul è nato a Padova nel 1973. Tra il 2016 e il 2017 ha pubblicato per Newton Compton Editori una tetralogia di romanzi storici dedicata alla famiglia fiorentina dei Medici, tradotta in molte lingue. Con il primo volume della serie, I Medici, una dinastia al potere, ha conquistato la vetta delle classifiche in tutto il mondo e vinto la sessantacinquesima edizione del Premio Bancarella. Giacomo Casanova è già stato venduto all’estero in diversi Paesi prima ancora della sua pubblicazione in Italia.

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La colonna sonora della puntata: “Missing you” di John Waite; “Sola” di Nina Zilli

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ANTONELLA CILENTO con “Morfisa” (Mondadori) in radio a LETTERATITUDINE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/02/21/in-radio-con-antonella-cilento-2/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2018/02/21/in-radio-con-antonella-cilento-2/#comments Wed, 21 Feb 2018 16:07:10 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7725 ANTONELLA CILENTO con “Morfisa o l’acqua che dorme” (Mondadori), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)


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Con Antonella Cilento abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato “Morfisa o l’acqua che dorme” (Mondadori).

Nel corso della puntata abbiamo anche discusso delle due seguenti attività culturali in cui è impegnata Antonella Cilento: Lalineascritta (la sua storica scuola di scrittura che compie 25 anni) e l’iniziativa Strane Coppie (giunta al decimo anno).

Nella seconda parte della puntata Massimo Maugeri legge le prime pagine del libro.

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Antonella Cilento“Morfisa o l’acqua che dorme” (Mondadori)

Morfisa (o l’acqua che dorme)Teofanès Arghìli, pavido e velleitario poeta bizantino, che in mancanza di storie proprie si ostina a ricopiare quelle degli scrittori classici che più ammira, è stato inviato, suo malgrado, nella Napoli pagana e pericolosa dell’anno Mille dalle Imperatrici di Bisanzio per una delicata missione diplomatica: condurre in sposa la figlia del Duca napoletano a Costantinopoli. Al suo approdo Teofanès – smanioso di tornare a casa, diventare famoso come ha sempre sognato e riabbracciare l’uomo che ama, Michele Psello – viene accolto da una macabra sorpresa: la testa della giovane duchessa è stata ritrovata nelle reti di un pescatore. Chi l’ha uccisa? E perché? Come Teofanès scoprirà, i partiti a Napoli sono più d’uno: c’è chi giura fedeltà all’Impero e chi trama in segreto, ci sono i Normanni, barbari e ambiziosi, gli invidiosi Salernitani, i potenti e rozzi Longobardi, i Mori, che dalle coste siciliane risalgono il Tirreno. E ci sono anche contrapposti partiti di donne, chi fedele a san Gennaro, chi a Virgilio Mago. Eppure, della morte della giovane duchessa il popolo incolpa una misteriosa balena che di notte naviga al largo di Napoli. Sarà vero che la balena nasconde una bambina magica, capace di mutare forma? È qui che entra in scena Morfisa, protettrice di Napoli e della creatività celata nel cuore degli umani: è a lei, e a un misterioso Uovo capace di salvare Napoli e insieme di suggerire storie, che Teofanès cercherà di rubare il segreto per diventare un grande poeta. L’avidità e l’ossessione precipiteranno Teofanès in un vorticoso viaggio attraverso i secoli e i continenti, fino alla Napoli contemporanea sull’onda di una incombente apocalissi.

https://www.librimondadori.it/content/uploads/2017/08/0013343FAU-270x270.jpgAntonella Cilento (Napoli, 1970) scrive e insegna scrittura creativa da venticinque anni. Ha fondato nel 1993 a Napoli Lalineascritta Laboratori di Scrittura (www.lalineascritta.it) e tiene corsi in tutta Italia e all’estero. Da dieci anni ha ideato e coordina la rassegna di letteratura internazionale Strane Coppie. Ha pubblicato oltre tredici libri, fra romanzi, reportage narrativi e raccolte di racconti, premiati e tradotti in molti paesi, fra cui Il cielo capovolto, Una lunga notte, Neronapoletano, L’amore, quello vero, Isole senza mare, Asino chi legge, Napoli sul mare luccica, Bestiario napoletano, La madonna dei mandarini, e con Lisario o il piacere infinito delle donne (Mondadori, 2014) è stata finalista al premio Strega e ha vinto il premio Boccaccio. Collabora con “Grazia” e con “Il Mattino” di Napoli. Ha scritto racconti radiofonici per Rai RadioTre e numerosi testi per il teatro.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: i seguenti brani di Nat King Cole: “Unforgettable”, “Around the world”, “That’s all”.

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IL CACCIATORE DI SOGNI di Sara Rattaro http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/12/18/il-cacciatore-di-sogni-di-sara-rattaro/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/12/18/il-cacciatore-di-sogni-di-sara-rattaro/#comments Mon, 18 Dec 2017 16:12:01 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7679 Nel nuovo appuntamento di “GIOVANISSIMA LETTERATURA“, lo spazio di Letteratitudine interamente dedicato alla cosiddetta “letteratura per ragazzi“, ci occupiamo del nuovo libro di Sara Rattaro intitolato “Il cacciatore di sogni. La storia dello scienziato che salvò il mondo” (Mondadori).

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di Massimo Maugeri

Sara Rattaro è autrice di libri di grande successo. Si laurea in biologia nel 1999 e successivamente in scienze della comunicazione nel 2009. Il suo primo romanzo intitolato “Sulla sedia sbagliata” viene pubblicato nel 2010 da Morellini. Nel 2012 esce “Un uso qualunque di te” (Giunti). Con “Non volare via” vince il Premio città di Rieti 2014. “Niente è come te” (Garzanti, 2014) si aggiudica il Premio Bancarella 2015. Nel 2016 “Splendi più che puoi” – romanzo sulla violenza di genere basato su una storia vera – vince il Premio Rapallo Carige per la donna scrittrice (nell’estate 2017 “Splendi più che puoi” riceve anche il premio Fenice Europa nella sezione “Claudia Malizia”). Nel Marzo 2017 pubblica con l’editore Sperling e Kupfer “L’amore addosso” e con Mondadori – a ottobre – esce il suo primo romanzo per ragazzi “Il cacciatore di sogni“, la storia di Albert Bruce Sabin vista con gli occhi di un adolescente.
Per la sezione “Giovanissima Letteratura” di Letteratitudine ci occupiamo di “Il cacciatore di sogni“, dialogando con l’autrice…

Il cacciatore di sogni- Cara Sara, cosa ti ha spinto a scrivere un libro rivolto soprattutto ai giovanissimi lettori?
È stata la storia strepitosa da raccontare a convincermi. Albert Sabin, il grande scienziato che ha salvato il mondo, è sempre stato il mio mito umano fin da bambina. Era la storia di cui ero più orgogliosa.

- Quali sono, a tuo avviso, le principali differenze tra scrivere un libro per adulti e scrivere un libro per ragazzi?
Non ho trovato grandi differenze o difficoltà, forse perché nei miei libri avevo comunque già dato voce a protagonisti più giovani (“Non volare via” e “Niente è come te”). Sicuramente, rispetto ai libri per i più grandi la differenza sta nell’intreccio che si presenta più lineare e semplice.

- L’anno di ambientazione del libro è il 1984. C’è anche un giorno di riferimento: il 4 luglio. Perché hai scelto proprio questi riferimenti temporali?
Perché quel giorno arrivò in Italia Diego Armando Maradona che paralizzò l’aeroporto di Fiumicino. Pare che sullo stesso volo ci fosse anche Albert Sabin che però nessuno notò. Il mio romanzo inizia su quell’aereo, dove Luca, un ragazzino con una mano rotta e il sogno di fare il pianista, si siede vicino ad un uomo anziano che gli racconta la storia più bella del mondo, la vita di Sabin.

- Parlaci di Luca, il protagonista della storia. Come descriveresti questo ragazzino ai nostri amici lettori?
È un ragazzino serio, di quelli che non amano essere presi in giro dai fratelli maggiori e vorrebbero essere presi sul serio quando parlano del loro futuro. È acuto, critico nei confronti del mondo ed estremo quando si parla di sogni da realizzare.

- Il titolo del libro è molto evocativo. Perché “cacciatore di sogni”?
Perché il libro che ispirò Albert Sabin fu “Il cacciatore di microbi”, una raccolta delle biografie dei grandi uomini di scienza di quell’epoca che lo ispirò a trovare la sua strada. Sabin era destinato a fare il dentista ma per fortuna di tutti noi, ha cambiato idea.

Sara Rattaro- A questo punto, cara Sara, ti chiederei di spendere qualche parola sulla figura di Albert Bruce Sabin (i nostri amici lettori sono invitati ad approfondire la sua conoscenza attraverso la lettura di questo tuo libro)…
Albert Sabin è stato un grande uomo e un grande scienziato. Nato nel 1906 in quella che oggi chiamiamo Polonia, era cieco da un occhio e di religione ebraica. Fuggì dalla sua terra per sfuggire alle persecuzioni raziali e quando scoprì il vaccino per curare la malattia più terribile di quegli anni disse: “Il nazismo sterminò parte della mia famiglia, io per vendetta salverò la vita ai bambini di tutto il mondo! Regalate il mio vaccino!”.
Non ha mai brevettato il vaccino, rinunciando a diventare molto ricco, per salvare la vita a tutti noi.

Grazie, Sara. Auguro molta fortuna a te e a questo tuo nuovo libro.

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Il cacciatore di sogniLa scheda del  libro

Luca che da grande sogna di diventare pianista, ha un mano rotta, un fratello maggiore fastidioso, una mamma rompiscatole e un aereo da prendere per tornare da Barcellona in Italia. E’ il 4 luglio 1984 e, su quell’aereo, la sua vita cambia per sempre. Luca incontra un eroe… No, non si tratta di Maradona, che in aereoporto ha attirato l’attenzione di tutti (e in particolare di suo fratello Filippo), ma di un misterioso signore che somiglia un pò a Babbo Nataleeoccupa il sedile accanto al suo. All’improvviso l’uomo gli chiede: “Posso raccontarti una storia?”. Comincia così un’avventura straordinaria, fatta di parole e ricordi, con una sorpresa davvero inaspettata..l’avventura di un cacciatore di sogni, lo scienziato Albert Bruce Sabin.

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Risultati immagini per Sara Rattaro letteratitudineSara Rattaro nasce e cresce a Genova, dove si laurea con lode in biologia e scienze della comunicazione.
Nel 2009 completa il suo primo romanzo Sulla sedia sbagliata che viene letto e scelto dall’editore Mauro Morellini. Il romanzo ottiene un buon successo di pubblico e critica. Nel 2011 scrive il suo secondo romanzo Un uso qualunque di te, che ben presto scala le classifiche e diventa un fenomeno del passaparola, pubblicato dalla casa editrice Giunti nel 2012.
Non volare via è il suo primo romanzo pubblicato con Garzanti. La scrittura di Sara e la sua voce unica hanno già conquistato i più importanti editori di tutta Europa, che hanno deciso di scommettere su di lei e di pubblicarla.
Del 2014 il romanzo Niente è come te, sempre edito da Garzanti, vince il premio Bancarella 2015; nel 2016 esce Splendi più che puoi, sempre per Garzanti. Nel 2017 pubblica con l’editore  L’amore addosso (Sperling e Kupfer) e Il cacciatore di sogni (Mondadori).

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TERESA CIABATTI (con “La più amata” – Mondadori) a “Letteratitudine in Fm” http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/05/25/in-radio-con-teresa-ciabatti/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/05/25/in-radio-con-teresa-ciabatti/#comments Thu, 25 May 2017 16:45:31 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7525 TERESA CIABATTI (con “La più amata” – Mondadori) ospite del programma radiofonico Letteratitudine in Fm di lunedì 22 maggio 2017 – h. 10 circa (e in replica nei seguenti 3 appuntamenti: giovedì alle h. 03:00 del mattino; venerdì alle h. 13:00; domenica alle h. 03:00 del mattino)


In Fm e in streaming su Radio Hinterland

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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Con Teresa Ciabatti abbiamo discusso del suo nuovo romanzo – tra i 12 libri dell’edizione 2017 del Premio Strega – intitolato “La più amata” (Mondadori) e delle tematiche a esso legate.

Di seguito, informazioni sul libro.

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La più amata” di Teresa Ciabatti (Mondadori)

Risultati immagini per la più amata“Mi chiamo Teresa Ciabatti, ho quattro anni, e sono la figlia, la gioia, l’orgoglio, l’amore del Professore.” Il Professore – un inchino in segno di gratitudine e rispetto – è Lorenzo Ciabatti, primario dell’ospedale di Orbetello. Lo è diventato presto, dopo un tirocinio in America, rinunciando a incarichi più prestigiosi, perché è pieno di talento ma modesto, un benefattore, qualcuno dice, un santo. Tutti lo amano, tutti lo temono, e Teresa è la sua figlia adorata. È lei la bambina speciale che fa il bagno nella smisurata piscina della villa al Pozzarello, che costruisce un castello d’oro per le sue Barbie coi 23 lingotti trovati in uno dei cassetti del padre. Teresa: l’unica a cui il Professore consente di indossare l’anello con lo zaffiro da cui non si separa mai. L’anello dell’Università Americana, dice lui. L’anello del potere, bisbigliano alcuni – medici, infermieri e gente del paese: il Professore è un uomo potente.
Teresa che dall’infanzia scivola nell’adolescenza, e si rende conto che la benevolenza che il mondo le riserva è un effetto collaterale del servilismo nei confronti del padre. La bambina bella e coccolata è diventata una ragazzina fiera e arrogante, indisponente e disarmante. Ingrassa, piange, è irascibile, manipolatrice, è totalmente impreparata alla vita. Chi è Lorenzo Ciabatti? Il medico benefattore che ama i poveri o un uomo calcolatore, violento? Un potente che forse ha avuto un ruolo in alcuni degli eventi più bui della storia recente? Ormai adulta, Teresa decide di scoprirlo, e si ritrova immersa nel liquido amniotico dolce e velenoso che la sua infanzia è stata: domande mai fatte, risposte evasive. Tutto, nei racconti famigliari, è riadattato, trasformato. E questa stessa contrarietà della verità a mostrare un solo volto Teresa la ritrova quando si mette a scrivere, ossessivamente prova a capire, ad aggrapparsi a un bandolo e risalire alle risposte. Esagerazione, mitomania, oppure semplici constatazioni? Con una scrittura densa, nervosa, lacerante, che affonda nella materia incandescente del vissuto e la restituisce con autenticità illuminandone gli aspetti più ambigui, Teresa Ciabatti ricostruisce la storia di una famiglia e, con essa, le vicende di un’intera epoca. Un’autofiction sincera, feroce, perturbante, che nasce dall’urgenza di fare i conti con un’infanzia felice bruscamente interrotta.

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Teresa Ciabatti, nata e cresciuta a Orbetello, vive a Roma. I suoi romanzi sono: Adelmo, torna da me (Einaudi Stile libero), I giorni felici (Mondadori), Il mio paradiso è deserto (Rizzoli), Tuttissanti (Il Saggiatore). Collabora con “Il Corriere della Sera” e con “la Lettura”.

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La colonna sonora della puntata: “Coming back to life” dei Pink Floyd); “Figli delle stelle” di Alan Sorrenti.

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa), con una serie di repliche nei giorni successivi. Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

È possibile ascoltare le puntate precedenti, cliccando qui.


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ALESSANDRO D’AVENIA con “L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita” (Mondadori) a “Letteratitudine in Fm” http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/02/07/in-radio-con-alessandro-davenia/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/02/07/in-radio-con-alessandro-davenia/#comments Tue, 07 Feb 2017 18:30:45 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7423 ALESSANDRO D’AVENIA ospite del programma radiofonico Letteratitudine in Fm di lunedì 6 febbraio 2017 – h. 10 circa (e in replica nei seguenti 3 appuntamenti: giovedì alle h. 03:00 del mattino; venerdì alle h. 13:00; domenica alle h. 03:00 del mattino) con riferimento al volume “L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita” (Mondadori)


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È stato Alessandro D’Avenia l’ospite della puntata di Letteratitudine in Fm di lunedì 6 febbraio 2017.

Nell’ambito della puntata, con Alessandro D’Avenia abbiamo discusso del suo nuovo libro intitolato L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita(Mondadori). Abbiamo avuto modo di discutere di Leopardi e – tra le altre cose – dei giovani di oggi.

Di seguito, informazioni sul libro oggetto della conversazione radiofonica.

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Alessandro D’AveniaL’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita(Mondadori)

“Esiste un metodo per la felicità duratura? Si può imparare il faticoso mestiere di vivere giorno per giorno in modo da farne addirittura un’arte della gioia quotidiana?” Sono domande comuni, ognuno se le sarà poste decine di volte, senza trovare risposte. Eppure la soluzione può raggiungerci, improvvisa, grazie a qualcosa che ci accade, grazie a qualcuno. In queste pagine Alessandro D’Avenia racconta il suo metodo per la felicità e l’incontro decisivo che glielo ha rivelato: quello con Giacomo Leopardi. Leopardi è spesso frettolosamente liquidato come pessimista e sfortunato. Fu invece un giovane uomo affamato di vita e di infinito, capace di restare fedele alla propria vocazione poetica e di lottare per affermarla, nonostante l’indifferenza e perfino la derisione dei contemporanei. Nella sua vita e nei suoi versi, D’Avenia trova folgorazioni e provocazioni, nostalgia ed energia vitale. E ne trae lo spunto per rispondere ai tanti e cruciali interrogativi che da molti anni si sente rivolgere da ragazzi di ogni parte d’Italia, tutti alla ricerca di se stessi e di un senso profondo del vivere. Domande che sono poi le stesse dei personaggi leopardiani: Saffo e il pastore errante, Nerina e Silvia, Cristoforo Colombo e l’Islandese… Domande che non hanno risposte semplici, ma che, come una bussola, se non le tacitiamo possono orientare la nostra esistenza. La sfida è lanciata, e ci riguarda tutti: Leopardi ha trovato nella poesia la sua ragione di vita, e noi? Qual è la passione in grado di farci sentire vivi in ogni fase della nostra esistenza? Quale bellezza vogliamo manifestare nel mondo, per poter dire alla fine: nulla è andato sprecato? In un dialogo intimo e travolgente con il nostro più grande poeta moderno, Alessandro D’Avenia porta a magnifico compimento l’esperienza di professore, la passione di lettore e la sensibilità di scrittore per accompagnarci in un viaggio esistenziale sorprendente. Dalle inquietudini dell’adolescenza – l’età della speranza e dell’intensità, nei picchi di entusiasmo come negli abissi di tristezza – passiamo attraverso le prove della maturità – il momento in cui le aspirazioni si scontrano con la realtà –, per approdare alla conquista della fedeltà a noi stessi, accettando debolezze e fragilità e imparando l’arte della riparazione della vita. Forse, è qui che si nasconde il segreto della felicità.

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Alessandro D’Avenia, trentanove anni, dottore di ricerca in Lettere classiche, insegna Lettere al liceo ed è sceneggiatore. Dal suo romanzo d’esordio, Bianca come il latte, rossa come il sangue (Mondadori 2010), è stato tratto nel 2013 l’omonimo film. Sempre per Mondadori ha pubblicato Cose che nessuno sa (2011). Con Ciò che inferno non è (2014) ha vinto il premio speciale del presidente al premio Mondello 2015. Le sue opere sono tradotte in tutto il mondo. Da questo libro l’autore ha tratto un racconto teatrale che porterà in giro per l’Italia.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: “Fragile” di Sting (versione live); “concerto n. 4 per pianoforte e orchestra, II movimento” di Beethoven; “Shape Of My Heart” di Sting (versione live).

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa), con una serie di repliche nei giorni successivi. Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

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AMICHE DI PENNA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/11/08/amiche-di-penna/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/11/08/amiche-di-penna/#comments Tue, 08 Nov 2016 18:06:29 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7346

La nuova puntata della rubrica di Letteratitudine intitolata “A botta e risposta (un tandem letterario conversando di libri) è dedicata al romanzo Amiche di penna di Marosella Di Francia e Daniela Mastrocinque (Mondadori); un romanzo epistolare che vede come amiche di penna due celebri personaggi letterari: Anna Karénina e Emma Bovary.

Ecco, di seguito, il tandem letterario offerto dalle due autrici (che ringrazio e a cui dò il benvenuto).

In coda al post, un estratto del libro.

Massimo Maugeri

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AMICHE DI PENNA: il tandem letterario di Marosella Di Francia e Daniela Mastrocinque

Marosella – Tra i quattro personaggi di Amiche di penna, mi riferisco non solo alle due protagoniste,  Anna ed Emma, ma anche a Odette e Rossella che si inseriscono in un secondo momento, a quale ti senti più vicina?

Daniela – Forse a Emma, per il suo essere una sognatrice, per il suo affetto  sincero per Anna. Non le perdono però la debolezza per le spese insensate. Oggi potrebbe essere la protagonista di un romanzo  come “I love shopping”. E tu a quale ti senti più vicina?

Marosella – Difficile rispondere, perché se ci pensi bene siamo  tutte un po’  Emma, quando crede fino in fondo all’amore di Rodolphe che giura che la porterà via con sé, siamo Anna, quando creiamo fantasmi di gelosia, o Rossella, quando per ostinazione e orgoglio diventiamo autolesioniste, e a volte siamo Odette se ci serviamo degli uomini per tornaconto.

Daniela – La nostra è stata una collaborazione ricca di confronti e discussioni, ma poi abbiamo sempre trovato una soluzione su cui eravamo entrambi d’accordo. Dimmi la verità, a romanzo pubblicato, ti sei pentita di essere stata qualche volta troppo accondiscendente?

Marosella – No, perché non sono stata sempre io a cedere, ma spesso anche tu hai messo da parte la tua opinione e sei venuta sulle mie posizioni. E poi, a ben rifletterci, e  sono sicura che sei d’accordo con me, non è stata mai la tua o la mia idea a prevalere, ma ne è venuta fuori una terza, nata dalle nostre discussioni, anche molto accese, che ha avuto la meglio e si è rivelata poi quella più giusta.

Daniela – Sì, è vero, anzi vorrei aggiungere che questo dover rendere conto all’altro della propria idea ci ha costretto ad andare più a fondo nei personaggi per poter creare una relazione credibile tra loro.

Marosella – Certo, anche perché non bastava fare incontrare Anna ed Emma, sia pure solo attraverso le lettere, ma bisognava dare una motivazione al comune bisogno di approfondire quella che era iniziata solo come una conoscenza fortuita.
L’infinita solitudine delle due donne si è manifestata così in tutta la sua drammaticità.
Anche tu, come Emma talvolta riempi la solitudine con la lettura?

Daniela – No, riempio la mia vita con la lettura e se lo vuoi sapere “Madame Bovary c’est moi”, in quanto anche io mi faccio influenzare dalle letture.
E’ così che forse da lettrice mi sono trasformata in autrice.
A proposito della lettura, secondo te i giovani oggi possono essere ancora attratti da storie ambientate nell’Ottocento?

Marosella – Penso proprio di sì perché mi sembra di cogliere, in un’epoca in cui il futuro appare quanto mai incerto, un’esigenza diffusa di ricercare indietro nel tempo un mondo facilmente riconoscibile. Penso per esempio al successo di tante serie televisive ambientate nel passato.
Ma adesso, dimmi un’ultima cosa: dopo aver sperimentato già due volte la scrittura a quattro mani, prima nella sceneggiatura “Gli amanti di Parigi” e poi nel romanzo epistolare “Amiche di penna” pensi che potremmo cimentarci in un romanzo di stampo classico?

Daniela – Perché no, dipende da te. Io sono pronta.

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AMICHE DI PENNA: di Marosella Di Francia e Daniela Mastrocinque – (Mondadori)

Un estratto del libro

Venezia, 1° luglio

Gentile signora,
le sembrerà strano ricevere da Venezia una richiesta di corrispondenza da una signora russa che vive a Pietroburgo e parla francese dalla nascita. È già da un mese che sono in viaggio e sono appena giunta in Italia dove il francese – almeno così mi è stato detto – è poco conosciuto, se non addirittura osteggiato, come le altre lingue straniere. A volte – non credete anche voi? – non mettiamo in conto quanto ci si senta spersi lontano dal proprio Paese, dove si usa un’altra lingua e le parole ci dividono dagli altri. E io, anche se sono in un momento felice, anzi felicissimo della mia vita, ho nostalgia della mia lingua materna, la lingua della mia infanzia.
Me ne sono accorta tutto a un tratto, quando una sera un medico francese che risiedeva nel nostro stesso albergo è accorso d’urgenza al capezzale della nostra bambina ma- lata. Quando gli ho chiesto di dov’era, mi ha risposto, parlando con quella inflessione che ben conosco, di essere di Rouen. E ciò mi ha riportato indietro nel tempo, al ricordo della mia infanzia, alla cara Mademoiselle Charlotte, la mia prima istitutrice ormai morta, che era originaria di quelle parti e che con me è stata affettuosa come una madre. Così, d’istinto, gli ho consegnato questa lettera, ora nelle vostre mani, incaricandolo di trovarmi una gentile signora del luogo desiderosa di corrispondere con una sconosciuta di nome Anna Karénina.

* * *

Yonville, 15 dicembre

Cara Anna,
il vostro francese è perfetto. Sì, è vero, qualche termine,
per lo meno dove vivo io, non è più tanto usato, ma il vostro linguaggio mi piace molto, assomiglia a quello dei romanzi. Non so, cara amica, se dipende dalle parole che scegliete o dalle cose che raccontate. Voi dovete essere una donna proprio affascinante. Come vorrei somigliarvi!
Anch’io, come voi, sono madre di una femminuccia. La bambina però non vive qui da noi, è ancora a balia, in campagna.
Quanto alla vostra riluttanza a parlare delle tristi vicende che vi hanno afflitto, vi comprendo bene, ma mi dite che ora siete felice con il vostro… amante, se mi permettete di chiamarlo così. Quindi voi, mi par di capire, avete avuto la forza di abbandonare gli agi e le sicurezze della vostra vita di moglie e madre rispettata da tutti, per affrontare i rischi di una passione che, come vedo, vi riempie l’esistenza.
Scusatemi, non era mia intenzione riportarvi con la mente a momenti che vi hanno fatto soffrire e che forse preferite dimenticare, ma non posso non confessarvi tutta la mia ammirazione per esservi saputa ribellare a quelle regole fisse e immutabili che costringono noi donne all’obbedienza assoluta. Apprezzo il vostro coraggio. Io non lo posseggo e quindi non mi rimane che rifugiarmi nei libri e nelle gran- di storie d’amore solo lette e mai vissute.
Certo la vostra vita adesso deve essere meravigliosa, voi e il vostro conte in giro per l’Italia a visitare quei luoghi bellissimi, e poi i teatri! Come mi piacerebbe vederne qualcuno e magari assistere anche alla rappresentazione di un’opera! È un privilegio che a me non è ancora mai toccato.
A Rouen, la città più vicina al nostro paese, c’è un teatro, ma mio marito, indaffarato com’è, non mi ci ha mai por- tato. In verità sono quasi sicura che sia una scusa, perché penso che a lui l’opera non interessi affatto. L’altro giorno, dopo aver ricevuto la vostra lettera, mi ero talmente calata nello scenario che descrivevate che mi sono immaginata anch’io lì con voi, vestita magnificamente, in un palco, tra quelle luci, quei velluti e quegli stucchi, ed ero così eccitata che sono corsa da mio marito a pregarlo di portarmi al più presto al teatro di Rouen. Lui mi ha risposto in maniera sbrigativa:
«Poi si vedrà, magari il mese prossimo, quando sarò più libero dagli impegni.»
Mi è bastata questa promessa e mi sono subito data da fare: ho ordinato per posta un abito che da tempo avevo adocchiato su “L’Illustration”, un abito di colore verde-nilo con il bustino ricamato di jais, molto di moda ora a Parigi. Bene, forse ho sbagliato, ma appena è arrivato l’ho indossato per un piccolo ricevimento che si teneva a casa del notaio del nostro paese. Non ci crederete, ma la signora Hommais, la moglie del farmacista, quando mi ha vi- sto ha esclamato:
«Ma cara, cosa ti sei messa indosso… quel colore! E poi mi pare corto, ti si vedono le caviglie!»
Era un modello di una grande sartoria che, scusate se appaio prosaica, costava anche un bel po’. Sono stata costretta a tornare a casa per togliermelo, perché poi è sopraggiunto mio marito che, suggestionato dalle affermazioni della signora, mi ha dolcemente consigliato di cambiare abito.
Vedete, anche Bovary, che pure è uno stimato medico, vive bene così, non ha ambizioni. Lui è contento delle sue visite quotidiane nel circondario; non pensa che forse, studiando e sperimentando, potrebbe emergere dal suo anonimato e migliorare così la sua posizione sociale e quindi anche la mia.
Mi dispiace, Anna cara, parlarvi di queste piccole meschinità di un paese di provincia, ma è la mia vita e, per quanto io con la fantasia e l’immaginazione cerchi di evadere, sempre più spesso la realtà riesce ad afferrarmi per i piedi e a riportarmi giù in terra.
Io, comunque, non rinuncio alle mie letture, che sono la mia via di fuga da questo piccolo mondo limitato, e sono contenta che leggerete l’epistolario di cui vi ho parlato. Eloisa vi piacerà, ne sono sicura. È una donna così coraggio- sa e così innamorata che arriva al punto di volere ciò che vuole il suo Abelardo, uniformando completamente la sua volontà a quella dell’amato. Un po’ come voi con il conte quando dite di vedere con i suoi occhi. Questi sentimenti così intensi, così profondi, io, Anna, non li ho mai provati, ma li ho tanto sognati!
Scrivetemi presto, cara, attendo con impazienza le vostre lettere che per me sono come raggi di sole nel grigiore, anzi nel buio della mia esistenza. Con voi sento di poter parlare di tutto, sento di poter squarciare questa specie di velo che mi avvolge, mi opprime, che mi dà la sensazione di imprigionarmi e m’impedisce di essere quello che sono o che per lo meno vorrei essere.

La vostra devota Emma

* * *

Parigi, 7 agosto

Cara Emma,
devo dirvi innanzitutto che sono rimasta sbalordita dal vostro repentino cambiamento.
Sembravate così sicura di voi e della vostra fede in Dio, così lontana e indifferente a quanto vi raccontavo di me e di Parigi che pensavo vi sareste addirittura chiusa in un monastero e io vi avrei persa completamente, amica mia.
Invece, siete tornata quella di sempre e, anche se un po’ disorientata, non posso che rallegrarmene: ho ritrovato la mia Emma.
Ma torniamo a quanto mi scrivete.
Mi fa piacere sentire che vi svagate un po’ e che avete fatto delle nuove conoscenze. Io non ho mai avuto occasione di ascoltare il tenore di cui parlate, anche se mi è noto per fama. So che con la sua voce ha incantato tutte le platee e probabilmente ora che vivrò a Parigi avrò la possibilità di ascoltarlo. Vrónskij, infatti, si sta già muovendo per trovare un buon palco all’Opéra per la prossima stagione.
Quegli americani che avete conosciuto a teatro sembrano persone interessanti e, a dire la verità, anche un po’ originali. Vedete, è il destino che ve li ha fatti incontrare perché ha qualcosa in serbo per voi. Assecondatelo, non lasciate- vi sfuggire quella che potrebbe essere una buona occasione per evadere da quel mondo che trovate così limitato.
Quanto a noi, come potete ben comprendere, siamo molto indaffarati nella ricerca di un appartamento che ci soddisfi. Fino a ora non ne abbiamo trovato nessuno adatto a noi; Vrónskij è molto esigente e respinge qualsiasi proposta ci venga presentata. In verità siamo un po’ delusi, pensavamo che Parigi potesse offrirci di più e invece per il momento abbiamo visitato solo case troppo malridotte. Domani andremo a vedere un appartamento situato a place Vendôme che dicono sia bellissimo.
Per il resto Vrónskij è entusiasta e ha ritrovato il gusto della vita mondana. Siamo infatti ricevuti con grande affabilità in tutti i salotti senza che nessuno faccia caso alla nostra condizione, come ci aveva anticipato l’ambasciatore.
Qualche sera fa siamo andati insieme a Natàl’ja e suo marito a un ricevimento a casa di una mia quasi cugina, la principessa Oriane Guermantes. Disse una volta mio zio: «A un certo livello, tutti sono parenti di tutti».
Mentre salivamo le scale del palazzo, Natàl’ja si è premurata di informarmi che in quel salotto è di rigore essere originali; non manca mai un colpo di scena e bisogna saper- lo, perché altrimenti si rischia di essere tagliati fuori dalla conversazione e di sentirsi fuori posto. Quindi paradossi, allusioni sottili, divertissements per tutta la sera.
La conversazione però si è fatta più seria quando un signore dai capelli rossi, un certo Swann che fino ad allora era rimasto in silenzio a fumare, è tutto a un tratto intervenuto nel discorso e, non so più a che proposito, ha cominciato a parlare di Jan Vermeer, un pittore olandese a me sconosciuto, che lui sta studiando.
Con parole che dimostravano grande cultura e profonda sensibilità ci ha raccontato che Vermeer ha raffigurato di frequente nei suoi quadri donne che ricevono, leggono o scrivono lettere. Ci ha chiesto cosa, secondo noi, avesse spinto l’artista a quel tipo di rappresentazione. Nessuno dei presenti riusciva a dargli una spiegazione che lo soddisfacesse e allora mi sono fatta avanti io. Ho detto che, per quanto mi riguardava, traevo grande piacere dal comunicare attraverso le lettere; anzi, per il loro tramite, riuscivo a dire cose che nel colloquio vis-à-vis non avrei magari mai detto e che quindi la scrittura di una lettera forse era in grado di mettere la persona in un più profondo contatto con se stessa e con qualcosa di altrimenti inconfessabile.
Il signor Swann ha dimostrato di apprezzare molto la mia osservazione e, appena è stato possibile, mi si è avvicinato per continuare la conversazione. Mi è sembrato un uomo raffinato e affascinante che aveva il dono di saper ascoltare. Mi ha detto che sì, forse queste donne di Vermeer rappresentavano il contatto di quel tranquillo e operoso mondo femminile con il mistero.
C’è qualcosa di misterioso, secondo voi Emma, in noi donne? Qualcosa d’inaccessibile forse anche a noi stesse?
Allora anche le lettere che si scrivevano Abelardo ed Eloisa ci dicono e ci svelano profondità inesplorate?
Tutto ciò mi fa paura, ma nello stesso tempo mi affascina.
Ho detto a Swann che stavo leggendo quell’epistolario e lui si è mostrato molto interessato. Mi ha chiesto come mai mi ero avvicinata a una tale lettura e io gli ho spiegato la strana circostanza. Ho poi aggiunto che non sapevo quasi nulla di Abelardo ed Eloisa e mi interrogavo se le lettere fossero autentiche o frutto di fantasia. Allora lui mi ha stupito con questa frase:
«Ma cosa importa, Madame. Forse che le pene d’amore di Didone sono meno vere perché lei non è mai esistita?»
E ciò, devo dire la verità, mi ha colpito tanto che sono rimasta per un po’ in silenzio, come turbata.
Dopo un po’ Swann ha aggiunto:
«Madame, se permettete, vorrei farvi una sorpresa; vorrei mostrarvi qualcosa che sono sicuro vi interesserà. Se avrete la cortesia di dedicarmi un po’ del vostro tempo, domani o un altro giorno, potremmo incontrarci, naturalmente anche con il conte Vrónskij, in boulevard de Ménilmontant. Vi porterò in un posto particolare, molto particolare, e non vi pentirete, sono sicuro, del tempo che mi avrete dedicato.»
Ho acconsentito d’impulso, senza nemmeno chiedere a Vrónskij se voleva accompagnarmi.
Sono molto curiosa, cara Emma. Nella prossima lettera vi racconterò tutto.

La vostra Anna

(Riproduzione riservata)

copyright

© 2016 Mondadori Libri S.p.A., Milano

I edizione settembre 2016

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La scheda del libro

Mentre è in viaggio in Italia con il suo amante Vrónskij, Anna Karénina avvia quasi per caso una corrispondenza con Emma Bovary, una signora francese che abita in provincia. Per sfuggire alla monotonia della propria vita, Emma cerca rifugio nei piaceri della letteratura e quindi non esita a consigliare ad Anna di leggere L’epistolario di Abelardo ed Eloisa, che l’ha conquistata. Anche sulla spinta di questa comune passione, le due donne iniziano a scriversi con assiduità e a scambiarsi racconti, chiacchiere e considerazioni sulle rispettive esistenze, che in parte ricalcano la trama dei romanzi di cui sono protagoniste, in parte la reinterpretano o la reinventano. Mentre la corrispondenza tra Anna ed Emma si fa sempre più intima e disinibita, a una festa in casa Guermantes Anna incontra Charles Swann, che la introduce nei fascinosi ambienti di una Parigi a lei sconosciuta, l’accompagna al Père-Lachaise sulla tomba di Abelardo ed Eloisa, all’atelier di Degas, ai caffè degli impressionisti e soprattutto le presenta la sua amante, la cocotte Odette de Crécy. Nel frattempo, a Rouen, Emma incontra a teatro Rossella O’Hara e Rhett Butler: prigioniera delle sue passioni e ostinata nel desiderio di evadere dal meschino orizzonte borghese, progetta di partire per l’America con la sua nuova ed effervescente amica… Lettera dopo lettera prende dunque forma una galleria di personaggi femminili indimenticabili: donne romantiche, appassionate e sognatrici oppure irrisolte, ciniche, disincantate. Anna ed Emma, specchiandosi l’una nell’altra, mettono a confronto con sempre maggiore intensità le rispettive concezioni dell’amore, si confidano, s’ingannano, s’inseguono, si sfiorano senza mai incontrarsi. Riusciranno a cambiare il proprio destino? Con sapienza e delicatezza, Marosella Di Francia e Daniela Mastrocinque intrecciano i percorsi delle eroine più amate della narrativa ottocentesca, dando vita a un originalissimo “spin-off” di due romanzi di culto

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Marosella Di Francia, napoletana, ha insegnato italiano e storia nelle scuole superiori. Ha pubblicato, insieme a Valerio Caprara, … E ci vediamo sotto alla funicolare (Napoli, Massa editore, 2004). Con Daniela Mastrocinque ha scritto la sceneggiatura Gli amanti di Parigi (Napoli, Esa, 2013) e questo è il loro primo romanzo.

Daniela Mastrocinque, napoletana, ha insegnato italiano e storia nelle scuole superiori. È autrice di racconti comparsi in varie raccolte antologiche, tra cui Caffè ‘ Alla ricerca del tempo perduto. Con Marostella Di Francia ha scritto la sceneggiatura Gli amanti di Parigi (Napoli, Esa, 2013) e questo è il loro primo romanzo.

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PETER HOEG con “L’effetto Susan” (Mondadori) a Letteratitudine in Fm http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/11/02/in-radio-con-peter-hoeg/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/11/02/in-radio-con-peter-hoeg/#comments Wed, 02 Nov 2016 17:36:02 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7342 PETER HOEG con “L’effetto Susan” (Mondadori) in radio a Letteratitudine in Fm di lunedì 31 ottobre 2016 – h. 10 circa (e in replica nei seguenti 3 appuntamenti: giovedì alle h. 03:00 del mattino; venerdì alle h. 13:00; domenica alle h. 03:00 del mattino)

In Fm e in streaming su Radio Hinterland

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO

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È stato lo scrittore danese Peter Høeg l’ospite della puntata di Letteratitudine in Fm di lunedì 31 ottobre  2016. Ringraziamo Anna Lubin per il servizio di interpretariato.

Con Peter Høeg abbiamo discusso del suo nuovo libro “L’effetto Susan” (Mondadori)

Di seguito, la scheda del libro protagonista della puntata.

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Peter HøegL’effetto Susan” (Mondadori)

Susan Svendsen è una scienziata che si occupa di fisica quantistica, suo marito Laban un compositore affermato, assieme ai loro due gemelli adolescenti sono la Great Danish Family: la famiglia danese perfetta, ambasciatori culturali dell’Unesco, un simbolo per l’intera nazione. Durante un viaggio in India, però, la fotografia meravigliosa va in frantumi. Gli Svendsen sono accusati di una serie di reati, vengono divisi, rischiano di finire nella rete corrotta della giustizia indiana. Miracolosamente un funzionario danese riesce a tirare fuori Susan di prigione e a riportarli tutti in Danimarca. Ma la salvezza, e l’immunità dal processo indiano, hanno un prezzo. «Cosa faresti per riavere i tuoi figli?» «Qualunque cosa» risponde Susan. E così sarà. Le viene affidata una missione senza alternative: in una Copenaghen probabile e irreale, deve rintracciare i membri della misteriosa Commissione per il Futuro e il verbale della loro ultima riunione. Perché Susan? Perché lei ha un dono, far dire la verità a chiunque incontri. La partita è più pericolosa di quello che Susan poteva immaginare e la sua ricerca si trasforma presto in una lotta contro il tempo per scoprire gli indizi di un piano – forse mondiale – destinato a mettere in salvo solo pochi eletti prima di una imminente catastrofe planetaria. In Susan Svendsen ritornano i tratti indimenticabili di Smilla Qaavigaaq Jaspersen. Un’eroina capace da sola, con i propri singolari poteri, di sfidare i poteri più forti della terra in una battaglia contro le disuguaglianze sociali, l’inquinamento e le mutazioni climatiche che rischiano di distruggere l’Occidente. Peter Høeg costruisce un magistrale thriller preapocalittico che guarda con occhio affilato e acuto la nostra società contemporanea sull’orlo del precipizio.

Peter Høeg (Copenaghen, 1957) esordisce nel 1988 con il romanzo La storia dei sogni danesi, a cui seguono due anni dopo i Racconti notturni. Ma è con Il senso di Smilla per la neve (1994) che raggiunge la consacrazione, il romanzo ottiene un ampio riconoscimento di critica, diventa un bestseller internazionale e poi un film per la regia di Bille August, con Julia Ormond, Gabriel Byrne e Vanessa Redgrave. Successivamente ha pubblicato (in Italia sempre per Mondadori) I quasi adatti, La donna e la scimmia, La bambina silenziosa, I figli dei guardiani di elefanti.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: “Suzanne” di Leonard Cohen; “Suzanne” di Fabrizio De André; “Susan” dei Buckinghams.

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa), con una serie di repliche nei giorni successivi. Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

È possibile ascoltare le puntate precedenti, cliccando qui.


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CATHLEEN SCHINE con “Le cose cambiano” (Mondadori) a Letteratitudine in Fm http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/10/04/in-radio-con-cathleen-schine/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/10/04/in-radio-con-cathleen-schine/#comments Tue, 04 Oct 2016 17:34:58 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7299 CATHLEEN SCHINE con “Le cose cambiano” (Mondadori – traduzione di Stefano Bortolussi) in radio a Letteratitudine in Fm di lunedì 3 ottobre 2016 – h. 10 circa (e in replica nei seguenti 3 appuntamenti: giovedì alle h. 03:00 del mattino; venerdì alle h. 13:00; domenica alle h. 03:00 del mattino)


In Fm e in streaming su Radio Hinterland

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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È stata la scrittrice americana Cathleen Schine l’ospite della puntata di Letteratitudine in Fm di lunedì 3 ottobre 2016. Ringraziamo Anna Lubin per il servizio di interpretariato.

Con Cathleen Schine abbiamo discusso del suo romanzo Le cose cambiano” (Mondadori – traduzione di Stefano Bortolussi).

Nella seconda parte della puntata, la lettura delle prime pagine del romanzo.

Di seguito, dettagli sul libro protagonista della puntata.

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Le cose cambianoCathleen SchineLe cose cambiano” (Mondadori – traduzione di Stefano Bortolussi)

La famiglia Bergman è una grande famiglia allargata, un vero e proprio clan, da sempre molto unita. Ma poiché le famiglie non si limitano a crescere, ma con il tempo inevitabilmente invecchiano, arriva il momento in cui bisogna affrontare una serie di problemi. Joy, matriarca formidabile, ormai molto in là con gli anni, pur essendo ancora una donna attiva e impegnata nel suo lavoro di curatrice di un piccolo museo, sta cominciando a mostrare le avvisaglie tipiche dell’età e i suoi due figli, Molly e Daniel, si ritrovano spiazzati. Quando il suo amatissimo marito Aaron, compagno di una vita intera, muore, non sanno come gestire la solitudine e la disperazione della madre. E non hanno messo in conto la ricomparsa nella vita di Joy di un suo ardente corteggiatore dei tempi del college. Soprattutto non potevano prevedere la repentina ribellione di una madre che, determinata a non perdere la propria autonomia, sembra comportarsi come i suoi figli quando erano giovani… Spesso il viaggio verso la vecchiaia è difficile e fa paura sia a chi lo vive, e cerca un modo tutto suo per adattarvisi, sia alle persone intorno, che provano per i genitori un misto di amore, ansia, timore e incomprensione. Le cose cambiano è un romanzo profondamente umano, sincero e commovente che racconta il sopraggiungere della vecchiaia con grande dignità e rispetto, grazia ed empatia. Cathleen Schine, profonda osservatrice dell’universo familiare e delle relazioni umane, in questo romanzo dà il meglio di sé, senza mai rinunciare al suo innato senso dell’umorismo e alla sua penna sempre elegante.

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Cathleen Schine è diventata famosa in Italia con il romanzo La lettera d’amore (1996) e Le disavventure di Margaret (1998). Per Mondadori ha pubblicato L’evoluzione di Jane (1998), Il letto di Alice (1999), L’ossessione di Brenda (2000), Sono come lei (2003), I Newyorkesi (2007), Tutto da capo (2010), Miss S. (2011) e Che ragazza! (2013). Attualmente vive a Los Angeles. Le cose cambiano è il suo nuovo romanzo.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: When I’m Sixty-Four (the Beatles); Sometimes You Can’t Make It On Your Own (U2); In my life (the Beatles)

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa), con una serie di repliche nei giorni successivi. Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

È possibile ascoltare le puntate precedenti, cliccando qui.


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PETER HØEG racconta L’EFFETTO SUSAN http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/09/30/peter-hoeg-racconta-leffetto-susan/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/09/30/peter-hoeg-racconta-leffetto-susan/#comments Fri, 30 Sep 2016 14:35:04 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7291 Il nuovo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è lo scrittore danese PETER HØEG, autore del romanzo “L’EFFETTO SUSAN(Mondadori).

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PETER HØEG ci introduce alla lettura del suo nuovo romanzo L’EFFETTO SUSAN (Mondadori) raccontando qualcosa sulla genesi del libro e sulle caratteristiche della protagonista della storia

[testo tratto da una conversazione di Peter Høeg con Massimo Maugeri]

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di Peter Høeg

Uno scrittore è una persona che cerca sempre di scrivere. Quindi è sempre alla ricerca di motivi, quasi di scuse, di pretesti, per scrivere delle cose. Con riferimento alla genesi di questo mio libro, mi sono ispirato a due persone che conosco: la prima è una giovane donna, l’altra è un uomo più anziano. Sono due persone che inducono gli altri ad aprirsi. È di questo che volevo scrivere.
Ma c’è anche un altro motivo che mi ha indotto a scrivere questo romanzo: una voce.
Una voce che ho sentito. La voce di Susan.
Bisogna innanzitutto evidenziare che Susan, essendo il personaggio di un libro, non esiste nella realtà. Le persone vere sono fatte, per esempio, anche di suoni e odori; mentre i personaggi dei libri esistono solo grazie al linguaggio. Ed è una pura illusione, per noi, il fatto che siano veri.
Ciò premesso, Susan l’ho intesa come una persona complessa. E questo l’ho fatto intenzionalmente, partendo dal presupposto che i lettori che decideranno di leggere questo romanzo dovranno trascorrere del tempo con lei: qualche settimana, o pochi giorni (il tempo che il lettore impiega per leggere un libro). È questo il motivo per cui Susan doveva essere una persona gradevole, ma complessa. Non lineare. Proprio per dare un’esperienza di lettura piacevole al lettore. Mi piace molto la commistione tra la natura maschile e la natura femminile presenti in questo personaggio.
La complessità di Susan deriva dal fatto che è stata una bambina traumatizzata, perché ha dovuto subire l’abbandono dei suoi genitori. In un certo senso è una sopravvissuta. Se, da un certo punto di vista è debole proprio per questo motivo; dall’altro, però, è una donna fisicamente e caratterialmente forte.
E c’è complessità anche nella relazione tra Susan e suo marito. Spesso nella realtà, nelle relazioni amorose, i due partner si bilanciano l’un l’altro. Il marito di Susan è un compositore. Ed è, si potrebbe dire, l’esatto opposto di Susan. Lei è una scienziata, ama la razionalità. Invece il marito è una persona che ama il caos creativo sia nella sua vita, sia nel suo lavoro. E se Susan è stata una figlia trascurata, suo marito appartiene a una famiglia ricca ed è stato molto amato.

Ecco. Credo che descrivere bene questo tipo di ambiguità, tra i personaggi e all’interno di ciascun personaggio, sia una cosa molto bella e impegnativa per uno scrittore.

(Riproduzione riservata)

© Peter Høeg

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[Peter Høeg sarà uno dei prossimi ospiti di Massimo Maugeri nel programma radiofonico "Letteratitudine in Fm"]

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Il libro
Susan Svendsen è una scienziata che si occupa di fisica quantistica, suo marito Laban un compositore affermato, assieme ai loro due gemelli adolescenti sono la Great Danish Family: la famiglia danese perfetta, ambasciatori culturali dell’Unesco, un simbolo per l’intera nazione. Durante un viaggio in India, però, la fotografia meravigliosa va in frantumi. Gli Svendsen sono accusati di una serie di reati, vengono divisi, rischiano di finire nella rete corrotta della giustizia indiana. Miracolosamente un funzionario danese riesce a tirare fuori Susan di prigione e a riportarli tutti in Danimarca. Ma la salvezza, e l’immunità dal processo indiano, hanno un prezzo. «Cosa faresti per riavere i tuoi figli?» «Qualunque cosa» risponde Susan. E così sarà. Le viene affidata una missione senza alternative: in una Copenaghen probabile e irreale, deve rintracciare i membri della misteriosa Commissione per il Futuro e il verbale della loro ultima riunione. Perché Susan? Perché lei ha un dono, far dire la verità a chiunque incontri. La partita è più pericolosa di quello che Susan poteva immaginare e la sua ricerca si trasforma presto in una lotta contro il tempo per scoprire gli indizi di un piano – forse mondiale – destinato a mettere in salvo solo pochi eletti prima di una imminente catastrofe planetaria. In Susan Svendsen ritornano i tratti indimenticabili di Smilla Qaavigaaq Jaspersen. Un’eroina capace da sola, con i propri singolari poteri, di sfidare i poteri più forti della terra in una battaglia contro le disuguaglianze sociali, l’inquinamento e le mutazioni climatiche che rischiano di distruggere l’Occidente. Peter Høeg costruisce un magistrale thriller preapocalittico che guarda con occhio affilato e acuto la nostra società contemporanea sull’orlo del precipizio.

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Peter Høeg (Copenaghen, 1957) esordisce nel 1988 con il romanzo La storia dei sogni danesi, a cui seguono due anni dopo i Racconti notturni. Ma è con Il senso di Smilla per la neve (1994) che raggiunge la consacrazione, il romanzo ottiene un ampio riconoscimento di critica, diventa un bestseller internazionale e poi un film per la regia di Bille August, con Julia Ormond, Gabriel Byrne e Vanessa Redgrave. Successivamente ha pubblicato (in Italia sempre per Mondadori) I quasi adatti, La donna e la scimmia, La bambina silenziosa, I figli dei guardiani di elefanti.

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Nelle precedenti puntate abbiamo ospitato: Glenn Cooper, Ildefonso FalconesJoe R. Lansdale, Amélie Nothomb, Clara Sánchez, Gabrielle Zevin, Caroline Vermalle, John Scalzi, Amos Oz, Maylis de Kerangal, Pierre Lemaitre, Adam Thirlwell, Lilia Carlota Lorenzo.

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LILIA CARLOTA LORENZO racconta IL CAPPOTTO DELLA MACELLAIA http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/06/01/lilia-carlota-lorenzo-racconta-il-cappotto-della-macellaia/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/06/01/lilia-carlota-lorenzo-racconta-il-cappotto-della-macellaia/#comments Wed, 01 Jun 2016 17:39:47 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7154 Il nuovo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è la scrittrice argentina LILIA CARLOTA LORENZO, autrice del romanzo “IL CAPPOTTO DELLA MACELLAIA” (Mondadori).

Lilia Carlota Lorenzo ha scritto a Letteratitudine per raccontare questo suo romanzo d’esordio (ne approfitto per salutare e ringraziare Lilia).

Massimo Maugeri

P.s. Nelle precedenti puntate abbiamo ospitato: Glenn Cooper, Ildefonso FalconesJoe R. Lansdale, Amélie Nothomb, Clara Sánchez, Gabrielle Zevin, Caroline Vermalle, John Scalzi, Amos Oz, Maylis de Kerangal, Pierre Lemaitre, Adam Thirlwell.

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LILIA CARLOTA LORENZO scrive a Letteratitudine per raccontare il suo romanzo IL CAPPOTTO DELLA MACELLAIA(Mondadori).

di Lilia Carlota Lorenzo

Qualcosa sulla mia vita: mi chiamo Lilia Carlota Lorenzo e sono di origini argentine. Dopo aver frequentato le facoltà di giornalismo e giurisprudenza, per poi diventare un architetto di mezza tacca, perché non ricca né figlia sorella o moglie di architetti di successo, eccomi qua, vivendo fra l’Italia e l’Argentina, col sonno sballato per i cambi di fuso orario e facendo confusione con le stagioni, perché mentre ad agosto in Argentina fa freddo, in Italia si crepa del caldo, visto che i paesi si trovano in emisferi opposti… quindi quando in uno è piena estate, nell’altro è pieno inverno.
Nella mia vita ho cambiato 34 indirizzi, vissuto in alberghi di gran lusso, topaie di infima categoria, case signorili. Ho frequentato gli indios del Chaco ma anche gli smorfiosi radical chic europei.
Ho fatto mille mestieri, dalla vendita di materassi alla assistente psicopedagogica per bambini oligofrenici acuti; anche incursioni nell’attività artistica con risultati soddisfacenti, perché l’inventiva e l’infarinatura culturale aiutano sempre.
Adesso non esco più di casa e ho solo amici virtuali. Di tutti i mestieri che ho fatto, scrivere si è rivelato il più divertente, niente male per la vecchiaia che si avvicina.
Un cordiale saluto ai lettori.

PS come mai Mondadori ha deciso di pubblicare il mio libro? Mica gliel’ho mandato io. Oggigiorno nessun editore importante si mette a leggere quello che i poveri aspiranti scrittori mandano. Successe che Il cappotto della macellaia è stato il libro più venduto su Amazon – come selfpublishing – con circa 12.000 copie vendute in pochi mesi, accaparrando così l’attenzione di Mondadori.

Il libro: Questo romanzo a tinte noir nasce da un fatto di sangue veramente accaduto in un paese sperduto della sconfinata pampa argentina, ne parlavano mia madre e mia nonna, posto dove la prima andava a fare la spesa e la seconda a cercare marito.
Quindi ho deciso di farne un libro, visto che aveva tutti gli ingredienti per diventare un romanzo il cui genere naviga fra la narrativa e il noir.
Per farvi un’idea della trama, va bene l’incipit: “All’alba di giovedì 7 ottobre 1943, in un paese sperduto della pampa argentina, fu ucciso un uomo. La verità non venne mai a galla: i morti non parlano, gli assassini non si autoaccusano, l’unico testimone non disse nulla perché era il vero colpevole.”
E questo l’inizio della seconda di copertina: “Palo Santo, un paese apparentemente innocuo della pampa argentina. 207 abitanti, tutti si conoscono tra loro. I pettegolezzi corrono più veloci dell’incessante vento che annuncia il temporale.”
Ho scelto come nome fittizio del paese Palo Santo. Non si sa mai che sia ancora in giro qualche discendente delle persone coinvolte nella faccenda e possa querelarmi.
Tutto inizia con l’incarico di cucire un cappotto per Pagnottina, la figlia ingorda della maestra, detta la macellaia, visto l’imminente matrimonio al quale è stato invitato tutto il paese tranne i poveracci, che sarebbero andati il giorno dopo a fare le pulizie e oltre la paga si sarebbero portati a casa un po’ di avanzi fra quelli più scadenti, accuratamente scelti dalla madre della sposa.
Mentre la sarta continua a cucire e scucire il cappotto perché la ragazza a forza di ingozzarsi con le paste alla panna non fa che ingrassare, si consuma un inquietante omicidio e una serie di fatti strani cominciano ad accadere.
Tutto gira attorno all’orribile scena che il bambino della sarta ha visto nella cucina della bella merciaia Solimana, il personaggio più interessante della storia, al punto da scappare terrorizzato ogni volta che la vede.
La bella merciaia Solimana vive assieme a sua sorella Marcantonia, che ha un marcato ritardo mentale e un terribile segreto gelosamente custodito, il vero movente di tutta la storia.
A Palo Santo corrono voci che Solimana attiri gli uomini a casa sua, forse solo chiacchiere, ma che stimolano l’immaginazione della popolazione maschile del paese.
Un personaggio che sa molto è la vedova Machú, bizzarra telefonista di Palo Santo, che si nasconde da tutti perché non vedano come invecchia, ma ascolta le telefonate segnandole in un quaderno. E ancora di più ne sa Zotikos, immigrato greco in pensione, che dietro la toppa della sua porta tiene sott’occhio l’intero paese.

[Un estratto del libro è disponibile qui]

© Riproduzione riservata

© Lilia Carlota Lorenzo - Letteratitudine

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Il cappotto della macellaiaIL CAPPOTTO DELLA MACELLAIA(Mondadori) di Lilia Carlota Lorenzo

Palo Santo, un paese apparentemente innocuo della pampa argentina. Duecentosette abitanti, tutti si conoscono tra loro. I pettegolezzi corrono più veloci dell’incessante vento che annuncia l’arrivo della tormenta. Mentre la sarta continua a cucire e scucire il cappotto per la figlia della macellaia, che a forza di ingozzarsi di paste con la panna non fa che ingrassare, si consuma un insolito e inquietante omicidio e una serie di fatti strani cominciano ad accadere. Quale orribile scena ha visto il bambino della sarta nella cucina della bellissima merciaia Solimana al punto di scappare terrorizzato ogni volta che la vede? Perché lei attira gli uomini del paese a casa sua? E che inconfessabile segreto custodisce Marcantonia, la sorella ritardata di Solimana? Ne sa qualcosa la bizzarra telefonista, che non si fa vedere da nessuno, ma ascolta le telefonate di tutti annotandole in un quaderno. E ancora di più ne sa Zotikos, immigrato greco in pensione, che dietro la toppa della sua porta tiene sott’occhio l’intero paese… Dopo il grandissimo successo in digitale ottenuto grazie al self-publishing, Il cappotto della macellaia arriva finalmente in libreria in una versione corretta e rivista. Lilia Carlota Lorenzo porta in Italia il carattere più autentico dell’America Latina. Fonde le atmosfere magiche e i colori di Gabriel García Márquez e la passione malinconica del tango di Gardel per creare una propria voce: ironica, indolente, sboccata e sanguigna. Ci regala personaggi indimenticabili dalla scorza durissima, situazioni crude e surreali che ricordano quelle dei film dei fratelli Coen e ci fa sentire come gli abitanti di Palo Santo, ancorati a un mondo che sembrerebbe non esistere più, che ha una sola strada battuta lungo la ferrovia e dal quale non vorremmo più andarcene…

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“Mi chiamo Lilia Carlota Lorenzo, sono argentina. Ho una laurea in architettura che mi è servita solo per fare bella figura. Adoro l’ozio, ma non è colpa mia se sono nata in Sudamerica. Nella mia vita ho cambiato trentatré indirizzi, fatto i mestieri più disparati, vissuto in alberghi di lusso, topaie di infima categoria, belle case borghesi. Ho frequentato gli indios del Chaco ma anche gli smorfiosi radical chic europei. Questo mi ha molto arricchita. Adesso non esco più di casa, e ho solo amici virtuali. Di tutti i mestieri che ho fatto, scrivere è senza dubbio il più divertente: niente male come compagno della vecchiaia che si avvicina.”

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MASSIMO FRANCO e FEDERICO RAMPINI a Letteratitudine in Fm http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/05/18/in-radio-con-massimo-franco-e-federico-rampini/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/05/18/in-radio-con-massimo-franco-e-federico-rampini/#comments Wed, 18 May 2016 17:34:23 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7146 MASSIMO FRANCO (con “L’assedio” – Mondadori) e FEDERICO RAMPINI (con “Banche: possiamo ancora fidarci?” – Mondadori) in radio a Letteratitudine in Fm di lunedì 16 maggio 2016 – h. 10 circa (e in replica nei seguenti 3 appuntamenti: giovedì alle h. 03:00 del mattino; venerdì alle h. 13:00; domenica alle h. 03:00 del mattino)


In Fm e in streaming su Radio Hinterland

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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Massimo Franco e Federico Rampini sono stati gli ospiti della puntata di Letteratitudine in Fm di lunedì 16 maggio 2016.

Con Massimo Franco abbiamo discusso delle tematiche trattate nel suo nuovo libro intitolato:L’assedio. Come l’immigrazione sta cambiando il volto dell’Europa e la nostra vita quotidiana (Mondadori Stile Libero Saggi).

Con Federico Rampini abbiamo discusso delle tematiche trattate nel suo nuovo libro intitolato: Banche: possiamo ancora fidarci?(Mondadori Stile Libero Saggi).

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L'assedio. Come l'immigrazione sta cambiando il volto dell'Europa e la nostra vita quotidianaL’assedio. Come l’immigrazione sta cambiando il volto dell’Europa e la nostra vita quotidiana (Mondadori Stile Libero Saggi) – di Massimo Franco
Un milione di migranti in Europa nel 2015: è giusto definirlo un assedio? O sarebbe più corretto parlare di “sindrome dell’assedio”? Massimo Franco racconta le ambiguità e le contraddizioni di questa “parola-matrioska” che porta in sé tanti significati diversi. L’immigrazione, secondo lui, è il riflesso di un assedio all’Unione Europea che ha avuto inizio qualche anno fa e che è condotto non solo da fuori ma anche dal suo interno. I migranti sarebbero quindi il sintomo e non la causa dello sconvolgimento in atto, gli acceleratori di cambiamenti e difficoltà cominciati ben prima. La tendenza, oggi, è quella di farne invece facili capri espiatori. In realtà, i profughi e i clandestini che arrivano da Siria, Iraq, Africa subsahariana e Maghreb sono gli ultimi assedianti, in ordine di tempo, dell’Europa. Nel passato recente, i colpi al mito del “Continente perfetto”, alla sua stabilità, sono venuti proprio dagli Stati membri: dai nazionalismi cresciuti nelle pieghe della crisi economica e di antichi e nuovi pregiudizi. E nella loro scia è emerso un populismo che usa una migrazione epocale come pretesto per politiche sempre più autarchiche. Ne emerge una transizione caotica, per l’incapacità dei governi di prevederla e di coglierne i vantaggi, senza dimenticare che alcune crisi mediorientali sono state aggravate dagli errori strategici dell’Occidente. Lo stesso terrorismo dei «macellai» dello Stato islamico è infatti anche il prodotto di un dopoguerra in Iraq che Europa e Usa hanno sottovalutato e trascurato. Il ritorno dell’epoca dei muri nel Vecchio continente chiude il cerchio della paura dell’invasione conferendo una sorta di cupa fisicità alla «sindrome dell’assedio». Ma il ripiegamento di ciascuno nei propri confini minaccia di frenare l’economia e di favorire un’«industria della migrazione» sospesa tra legalità e illegalità. A trarne vantaggio saranno i tanti Donald Trump europei, euroscettici e xenofobi: sottoprodotti anche loro delle certezze perdute. Nel settembre 2015, il generale statunitense Martin Dempsey ha affermato che da mesi la Nato sta analizzando la grande migrazione e che questa durerà vent’anni: i tempi di un fenomeno strutturale. Il dilemma è: governare o subire i migranti? Fermarli, secondo Massimo Franco, sarà impossibile, senza una strategia collettiva dell’Occidente. Non sono i muri a proteggere l’identità europea. È più utile prendere atto della fine dell’eurocentrismo e ricalibrare l’analisi. La difesa miope di un’identità preziosa è la scorciatoia per smarrirla del tutto.

Massimo Franco è inviato e notista politico del «Corriere della Sera». Ha lavorato ad «Avvenire», «Il Giorno», «Panorama ». È membro dell’International Institute for Strategic Studies (Iiss) di Londra. Fra i suoi libri ricordiamo: Lobby, il Parlamento invisibile (1988), Hammamet (1995, nuova ed. 2000), Il re della Repubblica (1997), I voti del cielo (2000), Polvere di spie (2002) e, per Mondadori, Andreotti visto da vicino (1989), Tutti a casa (1993), Imperi paralleli (2005, edito negli Stati Uniti da Doubleday – Random House nel 2009), Andreotti (2008), C’era una volta un Vaticano (2010), La crisi dell’impero vaticano (2013, edito negli Stati Uniti da Open Road) e Il Vaticano secondo Francesco (2014).

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Banche: possiamo ancora fidarci?Banche: possiamo ancora fidarci?(Mondadori Stile Libero Saggi) – di Federico Rampini
Il 2015 verrà ricordato per uno shock a cui gli italiani non erano abituati né preparati. Sono fallite delle banche. Piccole, ma non trascurabili. La protezione del risparmio è stata messa in dubbio. Un brivido di paura si è diffuso perfino tra i clienti di altre banche più grosse e più solide, perché nel frattempo entravano in vigore nuove regole, imposte dall’Europa, che comportano maggiori rischi per i risparmiatori. Sono così venute alla luce storie tragiche: cittadini ingannati, titoli insicuri venduti agli sportelli bancari, obbligazioni travolte nei crac. In parallelo, brividi di paura sulla tenuta delle banche si sono manifestati anche in altre parti del mondo: in Cina e persino nell’insospettabile Germania. E a preoccuparci non ci sono solo le banche private, quelle dove abbiamo i conti correnti e i libretti di risparmio. Anche quelle che stanno molto al di sopra, le istituzioni che dovrebbero governare la moneta e l’economia, non offrono certezze. In America, nell’Eurozona o in Giappone, la debolezza dell’economia ha rivelato errori e limiti delle banche centrali. In un’epoca come questa, in cui i redditi da lavoro diventano incerti o precari, il risparmio è ancora più importante che in passato. Ma possiamo fidarci di chi ce lo gestisce? Quali precauzioni dobbiamo prendere per evitare di essere defraudati, impoveriti? Nel 2013 Federico Rampini scriveva: «I grandi banditi del nostro tempo sono i banchieri. La crisi iniziata nel 2007 nel settore della finanza americana, poi dilagata ad ampiezza sistemica nel 2008 fino a contagiare l’economia reale di tutto l’Occidente, ebbe la sua causa scatenante in comportamenti perversi dei banchieri». Da allora, siamo sicuri che il mondo sia cambiato? Abbiamo appreso le lezioni di quella crisi, per evitare una ricaduta? O, al contrario, le cause profonde non sono state veramente aggredite né tantomeno sanate? Rampini torna ad accendere i riflettori sui mali e le malefatte della finanza e sui comportamenti non sempre virtuosi dei banchieri. E questo suo libro vuole servire da guida. Per capire quel che sta succedendo nel sistema del credito. Per essere meno sprovveduti e fragili di fronte agli shock finanziari. Per imparare qualche regola di sopravvivenza, di autodifesa di fronte a quelli che da tutori possono trasformarsi improvvisamente in predatori del nostro risparmio.

Federico Rampini, corrispondente della «Repubblica» da New York, ha esordito come giornalista nel 1979 scrivendo per «Rinascita». Già vicedirettore del «Sole-24 Ore» e capo della redazione milanese della «Repubblica», editorialista, inviato e corrispondente a Parigi, Bruxelles, San Francisco, ha insegnato alle università di Berkeley, Shanghai, e alla Sda-Bocconi. È membro del Council on Foreign Relations, think tank americano di relazioni internazionali. È autore di numerosi saggi, tra cui San Francisco Milano (Laterza, 2004), Rete Padrona (Feltrinelli, 2014). Da Mondadori ha pubblicato: Il secolo cinese (2005), L’impero di Cindia (2007), L’ombra di Mao (2007), La speranza indiana (2008), Occidente estremo (2010), Alla mia Sinistra (2011), Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo (2012), Banchieri (2013), Vi racconto il nostro futuro (2013), All You Need Is Love (2014), da cui ha tratto uno spettacolo teatrale, e L’Età del Caos (2015).


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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata è composta dai seguenti brani musicali: “In the flesh?” (Pink Floyd); “Is there anybody out there?” (Pink Floyd); “Money” (Pink Floyd).

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa), con una serie di repliche nei giorni successivi. Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

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PIERLUIGI BATTISTA (con “Mio padre era fascista”) e MIRELLA SERRI (con “Gli invisibili”) a Letteratitudine in Fm http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/03/15/in-radio-con-pierluigi-battista-e-mirella-serri/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/03/15/in-radio-con-pierluigi-battista-e-mirella-serri/#comments Tue, 15 Mar 2016 18:57:53 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7086 PIERLUIGI BATTISTA (con “Mio padre era fascista”) e MIRELLA SERRI (con “Gli invisibili”) a Letteratitudine in Fm di lunedì 14 marzo 2016 – h. 10 circa (e in replica nei seguenti 3 appuntamenti: giovedì alle h. 03:00 del mattino; venerdì alle h. 13:00; domenica alle h. 03:00 del mattino).

In Fm e in streaming su Radio Hinterland

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Pierluigi Battista e Mirella Serri sono stati gli ospiti della puntata di “Letteratitudine in Fm” di lunedì 14 marzo 2016.

Nella prima parte della puntata con Pierluigi Battista abbiamo discusso del suo nuovo libro intitolato “Mio padre era fascista” (Mondadori).

Nella seconda parte della puntata abbiamo incontrato Mirella Serri per discutere del suo nuovo volume: “Gli invisibili. La storia segreta dei prigionieri illustri di Hitler in Italia” (Longanesi).

Di seguito, le schede dei libri.

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Mio padre era fascistaMio padre era fascista” – di Pierluigi Battista (Mondadori)
«Quando, dopo la sua morte, ho letto il diario che aveva custodito nel segreto per tutta la vita, mi è parso di avere una percezione più chiara del tormento che ha dilaniato per decenni mio padre fascista, prigioniero a Coltano dopo aver combattuto, ventenne o poco più, dalla parte dei “ragazzi di Salò”. «Ho capito che cosa abbia rappresentato per lui il dolore di essere stato internato in quel campo per i vinti della Rsi vicino alla “gabbia del gorilla” in cui era rinchiuso Ezra Pound. Ho capito quanto abbia sanguinato il suo cuore di sconfitto, di “esule in Patria” nell’Italia in cui era un borghese integrato, maniacalmente attaccato alla civiltà delle buone maniere, ma covando il sentimento di un’apocalisse interiore da cui non si sarebbe mai affrancato. Ho capito quanto sia stata aspra e dolorosa la mia rottura con lui e quanto mi pesi, ancora oggi, il fardello di una riconciliazione mancata. «Allora ho pensato che fosse giunto il momento di raccontare, con i miei occhi e il mio modo di sentire le cose della vita, chi fosse mio padre fascista e cosa pensasse nell’Italia che non credeva più nei miti in cui lui era cresciuto. Che rapporto ricco e difficile avesse instaurato con i suoi figli. Che cosa abbia significato per me essere figlio di un fascista, e vergognarsi di avere provato vergogna per i padri che abbiamo tradito andandocene da un’altra parte, e che invece hanno vissuto con dignità, coraggio e coerenza la loro solitudine. «Per scoprire, alla fine, che gli esseri umani non sono monoliti, figure unidimensionali sulle quali incollare un’etichetta semplificatrice, ma persone vitali e vitalmente piene di contraddizioni. E per capire che i concetti più cari a noi italiani, la “parte giusta” e la “parte sbagliata”, sono molto più friabili e complicati di quanto ci piacerebbe immaginare.» Pierluigi Battista riapre le ferite di un rapporto irrisolto con il padre fascista, e gli concede idealmente l’onore delle armi. Così, riannoda i fili spezzati di una tormentata vicenda familiare e trova un modo adulto di confrontarsi, in un libro indimenticabile, con un pezzo non meno tormentato della nostra storia.

Pierluigi Battista (Roma, 1955) è inviato e editorialista del «Corriere della Sera», di cui è stato vicedirettore dal 2004 al 2009. Ha lavorato come inviato alla «Stampa» e come condirettore a «Panorama». Per La7 ha condotto il programma «Altra Storia» (2003-2007). Fra i suoi libri ricordiamo: La fine dell’innocenza. Utopia, totalitarismo e comunismo (Padova 2000), Cancellare le tracce. Il caso Grass e il silenzio degli intellettuali italiani dopo il fascismo (Milano 2007), La fine del giorno. Un diario (Milano 2013) e I libri sono pericolosi, perciò li bruciano (Milano 2014).

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Gli invisibili. La storia segreta dei prigionieri illustri di Hitler in Italia“Gli invisibili. La storia segreta dei prigionieri illustri di Hitler in Italia” – di Mirella Serri (Longanesi)
All’alba del 28 aprile 1945 alcuni pullman carichi di prigionieri si fermano all’entrata del paesino di Villabassa, in Sudtirolo. A scendere per prima è la scorta delle SS, seguita da un gruppo di 139 detenuti tra cui donne e bambini. Sembrano venire dall’oltretomba, trascinano fagotti a cui sono appese pentole e gamelle, valigie legate con lo spago. Ma, nonostante l’aspetto, sono alcuni dei più noti protagonisti della recente storia europea. Tra loro ci sono l’ex cancelliere austriaco Kurt von Schuschnigg; l’ex primo ministro francese Léon Blum; il famoso industriale Fritz Thyssen… A questi si aggiungono, fra gli altri, gli italiani Mario Badoglio, figlio del generale Pietro; il generale Sante Garibaldi, nipote dell’eroe dei due mondi. Sono i cosiddetti «prigionieri d’onore» di Hitler, personaggi di spicco detenuti segretamente in vari lager del Reich e che Himmler, il potente ministro dell’Interno e capo delle SS, in previsione della sconfitta vorrebbe utilizzare nelle trattative di pace con gli Alleati. Gli invisibili ripercorre la loro avventurosa storia, i motivi che li hanno condotti nei lager e le loro terribili peripezie per approdare in Sudtirolo. Ma ricostruisce anche le vicende fino a oggi mai raccontate dell’intreccio che porta detenuti ebrei e antifascisti a trovarsi a fianco di altri prigionieri che hanno fatto parte della schiera dei «carnefici» di Hitler o di Mussolini: come il capo della polizia di Salò Tamburini, o come Filippo d’Assia, la cui moglie, la principessa Mafalda di Savoia, sarà la vittima sacrificale di oscure trame.

Mirella Serri insegna Letteratura e giornalismo all’Università La Sapienza di Roma. Collabora a La Stampa, a Ttl e a Sette-Corriere della Sera. Tra i suoi libri: Carlo Dossi e il racconto (Bulzoni), Storie di spie. Saggi sul Novecento in letteratura (Edisud), Il breve viaggio. Giaime Pintor nella Weimar nazista (Marsilio), I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte. 1938-1948 (Corbaccio, 2005), I profeti disarmati. 1945-1948. La guerra tra le due sinistre (Corbaccio, 2008). Ha curato Doppio diario. 1936-1943 (Einaudi) di Giaime Pintor e ha partecipato ai volumi collettivi Donne del Risorgimento e Donne nella Grande Guerra (entrambi per Il Mulino). Con Longanesi ha pubblicato nel 2002 Sorvegliati speciali. Gli intellettuali spiati dai gendarmi (1945-1980) e nel 2014 Un amore partigiano.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

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La colonna sonora della puntata è composta dai seguenti brani musicali: “Il cuoco di Salò” di Francesco De Gregori; “Misty” di Groove Holmes – “Servire qualcuno” di Francesco De Gregori.


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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa), con una serie di repliche nei giorni successivi. Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

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FABIO GENOVESI ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 20 maggio 2015 (Chi manda le onde) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/05/19/in-radio-con-fabio-genovesi/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/05/19/in-radio-con-fabio-genovesi/#comments Tue, 19 May 2015 17:00:25 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6786 FABIO GENOVESI ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 20 maggio 2015 – h. 9:10 circa (e in replica nei seguenti 4 appuntamenti: venerdì alle h. 06:00 e alle h. 13:00, domenica alle h. 06:00, martedì alle h. 00:30)

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È stato Fabio Genovesi l’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 20 maggio 2015.
Con Fabio Genovesi abbiamo discusso del suo nuovo romanzo, “Chi manda le onde” (Mondadori, tra i dodici finalisti dell’edizione in corso del Premio Strega) e delle tematiche in esso trattate.

Nella seconda parte della puntata, la lettura di un estratto del libro.

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Chi manda le ondeChi manda le onde” (Mondadori) – di Fabio Genovesi
Ci sono onde che arrivano e travolgono per sempre la superficie calma della vita. Succede a Luna, bimba albina dagli occhi così chiari che per vedere ha bisogno dell’immaginazione, eppure ogni giorno sfida il sole della Versilia cercando le mille cose straordinarie che il mare porta a riva per lei. Succede a suo fratello Luca, che solca le onde con il surf rubando il cuore alle ragazze del paese. Succede a Serena, la loro mamma stupenda ma vestita come un soldato, che li ha cresciuti da sola perché la vita le ha insegnato che non è fatta per l’amore. E quando questo tsunami del destino li manda alla deriva, intorno a loro si raccolgono altri naufraghi, strambi e spersi e insieme pieni di vita: ecco Sandro, che ha quarant’anni ma vive ancora con i suoi, e insieme a Marino e Rambo vive di espedienti improvvisandosi supplente al liceo, cercando tesori in spiaggia col metal detector, raccogliendo funghi e pinoli da vendere ai ristoranti del centro. E poi c’è Zot, bimbo misterioso arrivato da Chernobyl con la sua fisarmonica stonata, che parla come un anziano e passa il tempo con Ferro, astioso bagnino in pensione sempre di guardia per respingere l’attacco dei miliardari russi che vogliono comprarsi la Versilia. Luna, Luca, Serena, Sandro, Ferro e Zot, da un lato il mare a perdita d’occhio, dall’altro il profilo aguzzo e boscoso delle Alpi Apuane.

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Fabio Genovesi è nato a Forte dei Marmi nel 1974. Ha scritto i romanzi Versilia Rock City ed Esche vive, tradotto in dieci Paesi tra cui Stati Uniti e Israele, il saggio cult Morte dei Marmi e Tutti primi sul traguardo del mio cuore, diario on the road della sua avventura al Giro d’Italia. Collabora con il Corriere della Sera e Glamour.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata è composta dai seguenti brani musicali: “Come è profondo il mare” di Lucio Dalla; “1979” di The Smashing Pumpkins; “Shattering Sea” di Tori Amos


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PIERRE LEMAITRE racconta CAMILLE VERHOEVEN http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/05/09/pierre-lemaitre-racconta-camille-verhoeven/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/05/09/pierre-lemaitre-racconta-camille-verhoeven/#comments Sat, 09 May 2015 12:19:34 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6775 Il nuovo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è lo scrittore francese PIERRE LEMAITRE (vincitore del Premio Goncourt 2013 con “Ci rivediamo lassù“, Mondadori)

PIERRE LEMAITRE racconta CAMILLE VERHOEVEN

di Massimo Maugeri

In questi giorni è uscito “Camille” il terzo romanzo della trilogia noir di Pierre Lemaitre (pubblicata da Mondadori) con protagonista il commissario di polizia parigino Camille Verhoeven. Per la verità siamo in attesa di un quarto e definitivo romanzo della serie che – come ha dichiarato l’autore – uscirà a breve… anche se, dal punto di vista cronologico, si piazzerà tra il secondo e il terzo volume.
Il Verhoeven che incontriamo in “Camille” (romanzo che porta lo stesso nome di battesimo del personaggio, mentre i precedenti titoli coincidevano con i nomi di donna delle co-protagoniste delle storie) ha già dovuto fare i conti con una serie di eventi (forti e tragici) che sono capitati nei precedenti libri e che in qualche modo lo hanno segnato. Questa, la scheda del romanzo.

Camille“Un evento è considerato decisivo quando sconvolge completamente la nostra vita. Per esempio, tre scariche di fucile a pompa contro la donna che ami. Anne Forestier sta entrando in una gioielleria in pieno centro a Parigi, quando improvvisamente fanno irruzione dei rapinatori che la picchiano selvaggiamente e la sfigurano. La donna riesce miracolosamente a sfuggire alla follia assassina e viene trasportata d’urgenza in ospedale. È l’unica testimone e ha visto in faccia il suo aggressore. Anne Forestier non è una donna qualunque: è l’amante di Camille Verhoeven. Sconvolto, il commissario si getta anima e corpo in questa nuova indagine che è per lui a tutti gli effetti una questione personale. La caccia al colpevole si fa sempre più drammatica soprattutto perché Anne è in pericolo: il rapinatore, uomo di rara ferocia, è deciso a trovarla e a ucciderla per non essere arrestato. Verhoeven capisce subito di chi si tratta, conosce bene le sue abitudini e le sue malefatte, ma di Anne ignora molte cose… Ciò che segue è un faccia a faccia drammatico tra i due, e Anne è la posta in gioco. Toccato profondamente nel suo intimo, Verhoeven diventa un uomo violento e implacabile, fino a sacrificare tutti i suoi principi. Ma in realtà in questa storia chi è il cacciatore e chi la preda? Atmosfere agghiaccianti, scrittura asciutta e meccanismo narrativo implacabile: ancora una volta Pierre Lemaitre impone il suo stile unico nel panorama del noir contemporaneo”.

Ho avuto modo di discutere della figura di Verhoeven con lo stesso autore della trilogia, nell’ambito di una conversazione in cui si è parlato anche di scrittura e di generi letterari.
Vi propongo di seguito (in corsivo) alcuni estratti di questa conversazione, ringraziandovi in anticipo per l’attenzione e ringraziando Pierre Lemaitre per la sua disponibilità.

Il tratto essenziale della mia carriera poggia sul romanzo poliziesco e sulle sue caratteristiche. È per questa ragione che non mi addentro mai a scrivere un romanzo se non so già sin dall’inizio quale sarà il finale del libro. Per cui, dal punto di vista creativo, il mio punto di partenza è la piena cognizione di come comincia e di come finisce un romanzo. Una volta identificati questi due punti fermi, dò pieno spazio alla mia scrittura e alla mia creatività letteraria. Il motivo di questo approccio è ben facilmente spiegabile: il poliziesco è dotato di una particolarità che è proprio specifica di questo genere letterario. E, nei fatti, è sintetizzabile con il seguente assunto: il lettore giudica il romanzo poliziesco in base a come finisce, a come si conclude la storia. Per cui il suo è, diciamo, un giudizio in retrospettiva. Se, dunque, il Lettore è soddisfatto dal finale del romanzo allora il suo giudizio sarà positivo. Se vicevera, la fine non riesce a soddisfarlo, benché magari abbia avuto modo di godersi trecento pagine di buona lettura, il suo giudizio sarà inevitabilmente influenzato dal fatto che il finale del libro ha disatteso le sue aspettative. Ecco perché considero necessario cominciare un’avventura narrativa avendo come punto di riferimento chiaro proprio la fine del romanzo.

Il personaggio Camille Verhoeven è l’unico personaggio dei miei romanzi che trae spunto dalla realtà. E non è un caso che “Irène“, il primo romanzo della trilogia di Verhoeven, sia dedicato a mio padre. In effetti mio padre era un uomo molto piccolo di statura; ma, a parte questo, ci sono molti tratti della figura di Camille che si richiamano molto a lui.
Uno dei motivi che hanno decretato la nascita di “Irène” è stato il voler rendere omaggio alla letteratura poliziesca. Desideravo che questo romanzo fosse una storia vera, accessibile a tutti; ma, al contempo, sentivo la necessità di realizzare un omaggio alla letteratura. E poi volevo creare la figura di un criminale che potesse essere ben identificato all’interno dei meccanismi del romanzo poliziesco.
Irène è la moglie di Camille. Ed è un personaggio molto misterioso. Un personaggio che, in un certo senso, mi ha resistito. Un personaggio che io stesso ho avuto difficoltà a capire fino in fondo. Non c’è dubbio sul fatto che Irène sia una donna un po’ strana, di certo particolare. Del resto stiamo parlando di una donna che si innamora di un uomo peculiare (perché Camille è molto basso, perché è un investigatore, perché ha un cattivo carattere). Ecco, già tutto questo le conferisce un certo mistero. Ma Irène è anche una donna autentica. E per autentica intendo dire che stiamo parlando di una donna che è capace di vivere pienamente le proprie emozioni. Tutto il contrario di Camille. In tal senso, dunque, Irène, è un personaggio che è difficile comprendere se non lo si mette in relazione con Camille. Anzi, direi che entrambi, Camille e Irène, sono un uomo e una donna che riusciamo a capire solo mettendoli in rapporto l’uno con l’altra.
In questo libro Camille deve affrontare una situazione difficilissima. La stessa situazione con cui, peraltro, devono fare i conti anche gli altri agenti di polizia che lo accompagnano. Trovano questi due cadaveri di donne decapitate e fatte a pezzi. Una situazione orribile, del tutto inimmaginabile, nonostante gli anni di lunga esperienza che Camille e gli altri agenti hanno maturato.
La scena di apertura di questo romanzo si ispira molto all’”American Psycho” di Bret Easton Ellis. In “American Psycho” c’è questa situazione di grande mistero dove per il lettore diventa difficile capire se ciò che compie il personaggio corrisponde a realtà o a fantasia. E questa sensazione di sospensione, di indeterminatezza, caratterizza anche i miei personaggi nella fase iniziale della storia, giacchè si trovano di fronte a cose talmente incredibili al punto da domandarsi: è la realtà o siamo nel bel mezzo di un terribile sogno?
Camille cerca di capire questi crimini attraverso una logica che non è ordinaria… ma davvero sorprendente. Pur non essendo un lettore forte, intuisce che dovrà in qualche modo attingere ai romanzi polizieschi per risolvere il caso. Ma non rivelo altro per non rubare al lettore il piacere della scoperta.

E un po’ più facile parlare di “Alex“.
Alex
Si tratta di un romanzo che, almeno all’inizio, era poggiato su una costruzione molto astratta. Ciò che intendo dire è che, in questo caso, non avevo un personaggio specifico in mente, né una storia ben definita. Avevo solo un progetto, diciamo… “intellettuale”.
Parlando di “Alex” credo sia importante partire da un presupposto, che è il seguente. Quando parliamo di thriller, bisogna tener presente che questo genere letterario si fonda su una caratteristica ben precisa… che è quella della identificazione, o meglio della “proiezione”, del lettore sul personaggio del romanzo. Per cui se facciamo riferimento alla vittima, il lettore dovrà tremare con la vittima, dovrà aver paura con lei. Se facciamo riferimento all’assassino, la sua “proiezione” si identificherà in un sentimento di odio nei confronti dell’assassino. Ed è proprio questo meccanismo di identificazione che conferisce al thriller il suo fascino. Ora, ciò premesso, con “Alex” ho voluto un po’ giocare con questo rapporto di prossimità del lettore nei confronti del personaggio. Mentre scrivevo pensavo a un personaggio che potesse essere molto simpatico al lettore; un personaggio, dunque, verso il quale il lettore possa provare empatia; ma anche a un personaggio che si trovi in una situazione di “tristezza”, di “difficoltà”. Diciamo così: dal punto di vista della caratterizzazione del personaggio, il libro è suddiviso in tre parti. Dopo un terzo della storia, ribalto completamente la visione che il lettore ha di Alex; per cui si passa dalla prima sensazione di simpatia a una sensazione che è completamente all’opposto. Giunto, poi, alla terza parte il lettore non proverà né l’iniziale sensazione di simpatia, né quella di antipatia provata nella seconda parte del romanzo. Diciamo che, nella parte finale del libro, il lettore avrà modo di scoprire chi è davvero questo personaggio.

E poi, naturalmente, c’è “Camille“: dove Verhoeven rimane imbrigliato tra le pieghe di una questione personale che lo porterà a sacrificare i suoi principi.

Ancora grazie a Pierre Lemaitre. E tanta fortuna a Camille Verhoeven.

(Massimo Maugeri)

[© Letteratitudine - Riproduzione riservata]

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Irène” (traduz. di Stefania Ricciardi), “Alex” (traduz. di Stefano Viviani), “Camille” (traduz. di Vittoria Vassallo)

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Pierre Lemaitre, nato a Parigi, ha insegnato per molti anni letteratura e ora è scrittore e sceneggiatore. Con i suoi romanzi, tutti premiati da critica e pubblico, si è imposto come uno dei grandi nomi del noir francese. Le sue opere sono tradotte in più di venti lingue e i diritti sono stati acquistati dal cinema. Dopo Irène, e AlexCamille è il terzo romanzo della trilogia con protagonista il commissario Camille Verhoeven. Nel 2013, l’autore ha vinto il Prix Goncourt con Ci rivediamo lassù, pubblicato da Mondadori con grande successo di pubblico.

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PIERRE LEMAITRE ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 25 marzo 2015 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/03/25/in-radio-con-pierre-lemaitre/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2015/03/25/in-radio-con-pierre-lemaitre/#comments Wed, 25 Mar 2015 14:35:51 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6721 PIERRE LEMAITRE ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 25 marzo 2015 – h. 9 circa (e in replica nei seguenti 4 appuntamenti: venerdì alle h. 06:00 e alle h. 13:00, domenica alle h. 06:00, martedì alle h. 00:30)

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È lo scrittore francese Pierre Lemaitre l’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 25 marzo 2015.

Con Pierre Lemaitre (supportati dall’ottimo servizio di interpretariato di Loredana Gherardini, che ringraziamo) abbiamo discusso di due dei tre romanzi della trilogia che ha per protagonista Camille Verhoeven, commissario di polizia a Parigi.
Abbiamo discusso, dunque, di “Irène” e di “Alex“, entrambi pubblicati in Italia da Mondadori.
Nel corso della trasmissione abbiamo colto l’occasione per discutere di scrittura, di letteratura e di generi letterari.

Nella seconda parte della puntata, Massimo Maugeri ha letto le prime pagine di “Irène”.

IrèneIrènedi Pierre Lemaitre (Mondadori – traduz. di S. Ricciardi)

“C’è stato un omicidio a Courbevoie…” Messaggio laconico per un crimine a dir poco spaventoso. Quando il commissario Camille Verhoeven, felicemente sposato con Irène e in attesa del primo figlio, giunge sul luogo del delitto – un elegante loft – trova due, non uno, cadaveri di donne decapitate e fatte a pezzi e di fronte a una scena così estrema capisce subito, come in un presentimento, che in casi come questi le spiegazioni razionali non servono a nulla. E ha ragione, perché questo è solo l’inizio e uno dopo l’altro si susseguono dei crimini orribili e soprattutto illogici. La stampa e persino il giudice e il prefetto si scatenano contro il “metodo Verhoeven”, specie perché l’indisciplinato poliziotto formula un’ipotesi cui nessuno vuole credere: chi sta uccidendo in maniera tanto selvaggia mette in scena delle macabre rappresentazioni ispirate a famosi romanzi noir e questa non può essere una coincidenza. Camille viene lasciato solo di fronte a un serial killer che sembra avere capito tutto di lui, nei minimi dettagli segreti della sua vita, e ha già previsto ogni sua mossa. E in questa sfida crudele ci può essere un solo vincitore. Per questo Camille non potrà sfuggire all’orrendo spettacolo che l’assassino ha preparato con tanta cura solo per lui. In Irène lo stile inconfondibile di Pierre Lemaitre lascia il segno: teso, intenso, non convenzionale, con una trama originale e diabolica e un protagonista fuori dal comune, lo straordinario commissario Camille Verhoeven con i suoi formidabili metodi d’indagine, e una Parigi spenta d’ogni luce romantica, cupo teatro di mostruosi assassini. Questo è il primo romanzo di una trilogia noir ad altissima tensione.

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AlexAlexdi Pierre Lemaitre
(Mondadori - traduz. di S. Viviani)

Mentre cammina per le strade di Parigi, Alex, una giovane donna di trent’anni, viene seguita da uno sconosciuto che, dopo averla aggredita e picchiata selvaggiamente, la carica su un anonimo furgone bianco facendo perdere le sue tracce. Portata in un magazzino abbandonato, la ragazza viene rinchiusa in una gabbia di legno appesa a due metri da terra. Per lei non c’è via d’uscita: non sa dove si trova, né cosa voglia quell’uomo che non le rivolge mai la parola. I giorni passano tra mille sofferenze. Piegata dentro quella gabbia che non le permette il minimo movimento, in quel luogo umido e buio, Alex sente che il suo destino è segnato e che nessuno verrà a soccorrerla. Ha una sola certezza: il suo rapitore vuole vederla morire. C’è però un testimone che ha assistito al rapimento, e grazie alla sua segnalazione il commissario Camille Verhoeven, con un tragico trascorso personale e modi formidabili, inizia a indagare sulla vicenda. Chi è il sequestratore? Perché ha architettato tutto questo? E, soprattutto, chi è davvero Alex? Quando l’aguzzino viene finalmente identificato e la polizia fa irruzione nel luogo del sequestro, la gabbia è vuota. La ragazza si è volatilizzata. Da questo momento l’enigma di Alex e del suo passato terrà il lettore con il fiato sospeso fino alla fine, trascinandolo in un vortice diabolico che non lascia scampo. Con Alex Pierre Lemaitre dà vita a un thriller dalla costruzione magistrale, con atmosfere agghiaccianti, una storia assolutamente imprevedibile e con una protagonista femminile che non si può dimenticare.

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Pierre Lemaitre, nato a Parigi, ha insegnato per molti anni letteratura e ora è scrittore e sceneggiatore. Con i suoi romanzi, tutti premiati da critica e pubblico, si è imposto come uno dei grandi nomi del noir francese. Le sue opere sono tradotte in più di venti lingue e i diritti sono stati acquistati dal cinema. Dopo Irène, appena pubblicato da Mondadori, Alex è il secondo romanzo della trilogia con protagonista il commissario Camille Verhoeven. Nel 2013, l’autore ha vinto il Prix Goncourt con Ci rivediamo lassù, pubblicato da Mondadori con grande successo di pubblico.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata è composta dai seguenti brani musicali: “Irène” brano per pianoforte di Laurent Aknin (dal film omonimo di Alain Cavalier) - ”La Belle Dame Sans Regrets” di Sting

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa), con una serie di repliche nei giorni successivi. Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

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STEFANO PETROCCHI ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 19 novembre 2014 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/11/18/in-radio-con-stefano-petrocchi/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/11/18/in-radio-con-stefano-petrocchi/#comments Tue, 18 Nov 2014 19:00:59 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6577 STEFANO PETROCCHI ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 19 novembre 2014 – h. 9 circa (e in replica nei seguenti 4 appuntamenti: venerdì alle h. 06:00 e alle h. 13:00, domenica alle h. 06:00, martedì alle h. 00:30)

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stefano-petrocchi-la-polveriera

È Stefano Petrocchi l’ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 19 novembre 2014.

Protagonista della puntata, il romanzo d’esordio di Petrocchi intitolato “La polveriera (Mondadori).

Ne parliamo con l’autore: discutendo delle tematiche trattate dal romanzo e del Premio Strega (su cui è incentrato il romanzo stesso).

Nella seconda parte della puntata Stefano Petrocchi legge un estratto del suo romanzo.

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La polverieraLa scheda del libro
Il premio Strega è da sempre un formidabile contenitore di storie, perlopiù a sfondo giallo. Beninteso, non il giallo oro che lo zafferano dona all’omonimo liquore. Se c’è una tonalità appropriata, è piuttosto quella sulfurea delle gelide macchinazioni. Maria Bellonci scriveva di possedere ben chiara “la percezione di aver architettato una polveriera”. Stanze cariche di presenze e memorie, dove si è dispensata – e tuttora si dispensa – la gloria letteraria: “sala d’aspetto d’Immortali”, scrive ironicamente Cesare Pavese, e al contempo “polveriera” in cui deflagrano le ambizioni dei maggiori scrittori contemporanei, suggerisce con realismo Maria Bellonci, padrona di casa nonché animatrice del gruppo degli Amici della domenica da cui nasce il premio Strega. In quelle stanze traboccanti di libri, oltre che sulle terrazze fiorite che ospitano le riunioni della giuria, vediamo muoversi i protagonisti della cultura italiana degli ultimi settant’anni: concorrenti, editori e intellettuali facili alla polemica e alla battuta sferzante, rissosi e appassionati. La storia del premio viene narrata attraverso una galleria di dettagli insospettati, con particolare riferimento agli anni più recenti, caratterizzati dalla definitiva trasformazione dello scrittore in una figura mediatica. Alla guida del premio c’è a lungo Anna Maria Rimoaldi, amica ed erede della Bellonci. Personaggio vissuto tutto dentro il Novecento che però riesce nell’impresa di traghettare nella nuova epoca le strutture un po’ demodé dello Strega. Arbitro (quasi) assoluto dei destini del premio, per l’io narrante lei è semplicemente “il Capo”, l’attitudine al comando fatta persona: tratto del carattere che convive con la altrettanto energica capacità di mantenersi un passo indietro rispetto ai riflettori, e con una vita intima che rimane inaccessibile anche per i suoi più stretti collaboratori fino alla sua scomparsa, avvenuta nell’agosto del 2007. Ricognizione partecipe delle vicende del premio, ma anche gioco letterario intorno ai misteri e ai tradimenti che da sempre popolano le notti “stregate”, questo romanzo vuole essere in primo luogo un omaggio a una donna schiva e determinata. Attraverso il ritratto inedito di una protagonista della vita culturale del secondo Novecento, Stefano Petrocchi ci offre una lettura coinvolgente e acuta delle passioni che inesauribilmente infiammano gli animi e le cronache culturali nel nostro Paese.

Stefano Petrocchi, nato a Rieti nel 1971, vive a Roma.

Direttore della Fondazione Bellonci e segretario del comitato direttivo del premio Strega, ha curato la riedizione di varie opere di Maria Bellonci e la collezione edita dal “Sole 24 Ore” I capolavori del premio Strega.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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DARIA BIGNARDI ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 5 novembre 2014 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/11/04/in-radio-con-daria-bignardi-2/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/11/04/in-radio-con-daria-bignardi-2/#comments Tue, 04 Nov 2014 18:00:54 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6563 DARIA BIGNARDI ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 5 novembre 2014 – h. 9 circa (e in replica nei seguenti 4 appuntamenti: venerdì alle h. 06:00 e alle h. 13:00, domenica alle h. 06:00, martedì alle h. 00:30)

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http://www.inmondadori.it/img/L-amore-che-ti-meriti-Daria-Bignardi/ea978885205568/BL/BL/82/NZO/4n4Bgkhzb0SlHIdjUE1TLw/?tit=L%27amore+che+ti+meriti&aut=Daria+BignardiÈ Daria Bignardi l’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 5 novembre 2014.

Con Daria Bignardi discutiamo del suo nuovo romanzo “L’amore che ti meriti” (Mondadori) e dei temi da esso trattati. Nella seconda parte della puntata, Daria legge una pagina del suo libro…

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Come può l’amore essere insieme la forza più creatrice e più distruttrice? A chiederselo è Antonia, giallista in attesa del primo figlio, che ha da poco scoperto il segreto nascosto nel passato di sua madre: un fratello amatissimo e poi perso nei meandri dell’eroina. Mentre sente la nuova vita crescerle dentro, Antonia si mette in cerca di quello zio sconosciuto e, in una Ferrara ovattata e impermeabile, si misura con una vertigine che scende di madre in figlia. Ma come si fa a meritarsi l’amore?

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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TEA RANNO ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 8 ottobre 2014 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/10/07/in-radio-con-tea-ranno/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/10/07/in-radio-con-tea-ranno/#comments Tue, 07 Oct 2014 18:00:04 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6476 tea-ranno-viola-foscari

TEA RANNO ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 8 ottobre 2014 – h. 9 circa (e in replica nei seguenti 4 appuntamenti: venerdì alle h. 06:00 e alle h. 13:00, domenica alle h. 06:00, martedì alle h. 00:30)


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È Tea Ranno la scrittrice ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 8 ottobre 2014. Protagonista della puntata, il nuovo romanzo di Tea Ranno: Viola Fòscari (Mondadori)

Viola FòscariArrossire per uno sguardo, tremare per un abbraccio, soffrire per una parola mal detta, sognare ogni notte un’intimità proibita… Sono sentimenti che si provano da ragazzi, al primo amore. In rari casi la sorte ci offre il dono – o la condanna – di sperimentare nuovamente quelle emozioni. Viola Fòscari è una donna di grande carisma: perfetta padrona di casa, madre di due figli, ancora bellissima. Ma è in un momento di fragilità: i figli, che le hanno riempito la vita ogni istante, sono abbastanza grandi da lasciare il nido e da voler costituire una nuova famiglia. È proprio durante la festa di fidanzamento di uno di loro che tutto inizia. Basta uno sguardo, e Viola sente nascere improvvisa la passione per un ragazzo che ha l’età dei suoi figli, e che la guarda con gli occhi affamati e dolci dei giovani quando scoprono la vita… Iniziano giornate ebbre, in cui il desiderio amplifica i sensi e tutto sembra giusto, lecito, tutto salvato dall’Amore, che illumina ogni cosa e ci rende migliori. Momenti in cui l’azzardo porta Viola a giocarsi ogni cosa, e ore in cui la stanchezza prevale, consegnandola allo sfinimento della colpa e dell’angoscia. Ma anche giorni favolosi in cui i sogni diventano possibilità e le porte del reale si aprono verso l’incanto. Sul palcoscenico di una Sicilia gravida di cambiamenti – negli anni Cinquanta iniziano gli espropri terrieri per fondare il grande impianto petrolchimico che muterà il volto del Siracusano –, Tea Ranno intreccia le parole, i profumi, le vite di personaggi memorabili, ciascuno dei quali, come tutti noi, nasconde un segreto destinato a rivelarsi in quelle circostanze speciali in cui l’esistenza apre un varco nella sua rete. E narra la storia senza tempo dell’amore che rinasce dalle proprie ceneri, dell’amore che rischia di bruciare tutto ma che può anche dare spazio a una speranza nuova.

Nella seconda parte della puntata Tea Ranno ha letto qualche pagina del romanzo e ci ha rivelato qualcosa sul suo personalissimo rapporto con la scrittura.
Tea Ranno è nata a Melilli, in provincia di Siracusa, nel 1963. Laureata in Giurisprudenza, ha sempre affiancato allo studio del diritto la pratica della scrittura.
Nel 2006 ha pubblicato Cenere, nel 2007 In una lingua che non so più dire, entrambi usciti per e/o, e nel 2012 La sposa vermiglia, Mondadori. Dal 1994 vive e lavora a Roma.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa). Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

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FEDERICO RONCORONI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 23 maggio 2014 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/05/22/in-radio-con-federico-roncoroni/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/05/22/in-radio-con-federico-roncoroni/#comments Thu, 22 May 2014 20:46:06 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6156 federico-roncoroniFEDERICO RONCORONI, ospite di di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 23 maggio 2014 – h. 13 circa [e, in replica, il mercoledì successivo (h. 9 circa)]

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È Federico Roncoroni, l’ospite di di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 23 maggio 2014.
Con Roncoroni discutiamo del suo romanzo “Un giorno, altrove” (Mondadori) e delle tematiche da esso affrontate.

Nella seconda parte della puntata Federico Roncoroni legge una pagina del romanzo e discutiamo della figura di Piero Chiara.

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il venerdì mattina (h.13 circa) e – in replica – il mercoledì mattina (h. 11,00). Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

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ANTONELLA CILENTO ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 28 marzo 2014 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/03/28/in-radio-con-antonella-cilento/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/03/28/in-radio-con-antonella-cilento/#comments Fri, 28 Mar 2014 21:14:10 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=6016 antonella-cilento-lisarioANTONELLA CILENTO ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 28 marzo 2014

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È Antonella Cilento l’ospite “Letteratitudine in Fm” di venerdì 28 marzo 2014. Abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Lisario, o il piacere infinito delle donne” (Mondadori) e delle tematiche da esso trattate.

Nella seconda parte della puntata, Antonella Cilento ha letto le prime pagine del romanzo

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

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VALERIO EVANGELISTI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 7 marzo 2014 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/03/07/in-radio-con-valerio-evangelisti-2/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/03/07/in-radio-con-valerio-evangelisti-2/#comments Fri, 07 Mar 2014 19:30:32 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5966 valerio-evangelisti-sole-avvenireVALERIO EVANGELISTI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 7 marzo 2014

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

L’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 7 marzo 2014 è  stato Valerio Evangelisti, con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo (e delle tematiche in esso affrontate). Si intitola “Il sole dell’avvenire” (edito da Mondadori) ed è il primo di una trilogia che vuole raccontare la storia del movimento operaio e contadino in Italia tra luci e ombre.

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il venerdì mattina (h.13 circa) e – in replica – il mercoledì mattina (h. 11,00). Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

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È online la puntata con MARGARET MAZZANTINI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 7 febbraio 2014 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/02/07/in-radio-con-margaret-mazzantini/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/02/07/in-radio-con-margaret-mazzantini/#comments Fri, 07 Feb 2014 14:30:18 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5874 margaret-mazzantini-splendoreÈ online la puntata con MARGARET MAZZANTINI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 7 febbraio 2014

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L’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 7 febbraio 2014 è stata la scrittrice Margaret Mazzantini, con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Splendore” (Mondadori) e delle tematiche in esso affrontate.

Ne abbiamo approfittato per chiedere alla Mazzantini di raccontarci qualcosa sulla storia del suo percorso artistico.

Nella seconda parte della puntata Margaret Mazzantini ha letto un estratto del romanzo.

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È online la puntata con STEFANO TETTAMANTI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 6 dicembre 2013 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/12/08/in-radio-con-stefano-tettamanti/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/12/08/in-radio-con-stefano-tettamanti/#comments Sun, 08 Dec 2013 13:35:45 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5667 stefano-tettamanti-e-laura-grandiÈ online la puntata con STEFANO TETTAMANTI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 6 dicembre 2013

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Stefano Tettamanti è stato l’ospite della puntata di “Letteratudine in Fm” di venerdì 6 dicembre 2013. Abbiamo discusso del rapporto tra cucina e letteratura concentrandoci sul volume “A capotavola. Storie di cuochi, gastronomi e buongustai” (Mondadori) che Stefano Tettamanti ha scritto insieme a Laura Grandi (sua socia nell’agenzia letteraria Grandi & Associati).

Su LetteratitudineNews è possibile leggere il capitolo dedicato a Ernest Hemingway.

Nella seconda parte della puntata, approfittando della presenza di Stefano Tettamanti, abbiamo discusso sul ruolo delle agenzie letterarie (e su come questo ruolo è cambiato e si è sviluppato in questi ultimi anni).

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È online la puntata con VALERIO EVANGELISTI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 5 aprile 2013 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/04/08/in-radio-con-valerio-evangelisti/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/04/08/in-radio-con-valerio-evangelisti/#comments Mon, 08 Apr 2013 17:48:37 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5111 valerio-evangelisti-cartagenaVALERIO EVANGELISTI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 5 aprile

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L’ospite della puntata di venerdì 5 aprile di “Letteratitudine in Fm” è stato lo scrittore Valerio Evangelisti, creatore della figura letteraria di Eymerich, nonché dell’emagazine Carmilla on line. Con Evangelisti abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato “Cartagena. Gli ultimi della Tortuga” (Mondadori), dedicato al ciclo dei pirati.

Abbiamo avuto modo di discutere con Evangelisti dei suoi prossimi progetti letterari. Ci sarà la possibilità di vedere un ritorno di Eymerich?

Nella seconda parte della puntata, Massimo Maugeri ha letto un brano tratto da “Cartagena” (che è disponibile per la lettura su “LetteratitudineNews“)

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È online la puntata con UGO RICCARELLI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 25 gennaio 2013 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/01/27/in-radio-con-ugo-riccarelli/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/01/27/in-radio-con-ugo-riccarelli/#comments Sun, 27 Jan 2013 17:51:35 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4903 ugo-riccarelliÈ online la puntata con UGO RICCARELLI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 25 gennaio 2013

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L’ospite di “Letteratitudine in Fmdi venerdì 25 gennaio è stato lo scrittore Ugo Riccarelli, con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “L’amore graffia il mondo” (Mondadori). È stata anche l’occasione per conoscere un po’ meglio Ugo Riccarelli (gli abbiamo chiesto di raccontarci qualcosa sui suoi inizi come scrittore, sui suoi modelli letterari di riferimento e sulle sue abitudini di scrittura). Abbiamo anche discusso del saggio “Ricucire la vita” (Piemme).
In conclusione di puntata Riccarelli ha letto una pagina tratta da “L’amore graffia il mondo”.

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È online la puntata con DARIA BIGNARDI, ospite di “Letteratitudine in Fm” dell’11 gennaio 2013 http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/01/12/in-radio-con-daria-bignardi/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2013/01/12/in-radio-con-daria-bignardi/#comments Sat, 12 Jan 2013 13:40:58 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4825 daria-bignardi-philip-rothÈ online la puntata con DARIA BIGNARDI, ospite di “Letteratitudine in Fm” dell’11 gennaio 2013

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L’ospite di venerdì 11 gennaio (h. 13 circa) è stata Daria Bignardi con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “L’acustica perfetta” (Mondadori). In chiusura abbiamo accennato alle novità della nuova edizione de “Le invasioni barbariche“.
Nel corso della puntata, Daria ha letto una pagina tratta dal suo romanzo.

Nella seconda parte della trasmissione ci siamo occupati del romanzo di Philip RothQuando lei era buona” (Einaudi), ripubblicato con una nuova traduzione. Massimo Maugeri ha letto uno stralcio del libro.

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LA SPOSA VERMIGLIA. Incontro con Tea Ranno http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/05/14/la-sposa-vermiglia-incontro-con-tea-ranno/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/05/14/la-sposa-vermiglia-incontro-con-tea-ranno/#comments Mon, 14 May 2012 21:45:47 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4095 tea-ranno-la-sposa-vermiglia1Sono molto felice di coinvolgere, in un nuovo spazio/dibattito di Letteratitudine, la mia amica scrittrice Tea Ranno in occasione della pubblicazione del suo nuovo romanzo “La sposa vermiglia” (Mondadori).
Peraltro ho già avuto modo di discutere di questo libro, con la stessa autrice, nella puntata di Letteratitudine in Fm del 23 marzo scorso.
In questo post, invece, con la partecipazione della stessa Tea, avremo modo di approfondire la conoscenza di questo suo nuovo ottimo romanzo (che ha già beneficiato di riscontri molto positivi) e di approfondire le tematiche da esso affrontate.
Per l’occorrenza ho chiesto a Simona Lo Iacono, già coinvolta nel dibattito sul precedente romanzo di Tea – In una lingua che non so più dire – del novembre 2007, di scrivere un’apposita recensione per questo post (“extrapost”, ne approfitto per complimentarmi con Simona per la bella intervista rilasciata su Psychologies di questo mese).

Ecco la scheda del libro…
Sicilia, 1926. Vincenzina Sparviero è la figlia attraente ma fragile di una famiglia di nobili siciliani, una ragazza, si dice in paese, troppo cagionevole per diventare madre. Ma della sua presunta sterilità al vecchio don Ottavio Licata non sembra importare granché, e così il matrimonio d’interesse fra la “palombella” mansueta e obbediente e il ricco sessantenne, fascista e mafioso, è combinato. Un pomeriggio di primavera, però, quando il fidanzamento è stato ormai annunciato, improvvisamente Vincenzina incontra l’amore negli occhi ambrati di Filippo Gonzales. Da quel momento la ragazza si difende dal futuro che incombe imbastendo nella fantasia le immagini di una gioia impossibile: seduta alla finestra della sua stanza a ricamare e sognare, attende il passaggio della sagoma amata con il passo lento, le mani in tasca, uno sguardo fuggevole verso di lei. Nella china lenta e inesorabile che conduce, sul filo della tragedia, al matrimonio annunciato, assaporiamo la storia struggente di un amore probabilmente impossibile.

Come ho già accennato, ne parleremo con la stessa autrice. Per favorire la discussione, propongo – di seguito – alcune domande ispirate dal libro e elaborate dalla stessa Simona (subito dopo, la sua bella recensione).

1. Il libro di Tea offre una riflessione profonda sulla natura dell’amore sognato, che prorompe nella realtà con una forza straordinaria, soprattutto quando è amore negato.
È più la negazione a dare forza all’amore, o è la sua autenticità?

2. Amore sognato e amore reale.
In quale punto convergono? O in quale luogo? (Può essere la scrittura il luogo?)

3. Vincenzina e Filippo Gonzales non si scambiano neanche un bacio, eppure sono una delle figure più forti e struggenti di amanti che la letteratura ci abbia donato.
Allora, si può essere amanti senza mai unire i corpi? E cos’è essere amanti?

4. È quanto dice Besson? “Essere amanti è questo: usare le stesse parole per parlare delle medesime cose senza aver mai sentito l’altro usare quelle parole” (Philippe Besson, “Un amico di Marcel Proust”)?

5. Se essere amanti si gioca sul piano delle parole… la scrittura è un amante?

(aggiungo la seguente domanda)

6. Il cosiddetto matrimonio d’interesse (scelto o imposto che sia) è solo un “retaggio” del passato, o trova ancora riscontro ai nostri giorni?

A voi le risposte… (e grazie in anticipo per la partecipazione)

Massimo Maugeri

p.s. in coda di post, due video: le parole della editor Giulia Ichino e la lettura della prima pagina del romanzo…

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LA SPOSA VERMIGLIA di Tea Ranno
Mondadori, 2012, pagg. 365, euro 18

di Simona Lo Iacono

Non è notte, non è giorno.
E’ forse uno di quei momenti a metà, che in Sicilia restano sospesi eternamente. O forse è una controra, un passaggio tra la mezza e le prime ore del pomeriggio, quando il sole s’accanisce sulla terra e la squaglia.
Non c’è pace per chi riposa al riparo dalla canicola. Il letto è incandescente, il sudore s’addensa, indurisce la saliva.
Vincenzina Sparviero è forse in uno di questi sonni senza costellazioni del tempo, senza orari. Nella camera a finestre spalancate su una Sicilia degli anni venti, in cui le grancasse dei fasci risuonano e fanno baccano, si rigira inquieta, caccia ai piedi le lenzuola ricamate finemente.
E sarà allora per questo caldo senza requie , che il sogno in cui sprofonda è visione, profezia, incantamento.
D’altra parte può accadere in Sicilia che il sonno ammaestri, predica la sorte, si faccia consigliere e metta in guardia dai morti.
Può accadere.
Specie quando la sorte è già scritta, o quando le gerarchie sociali, la sete di ricchezza, l’occhio della gente sono dittatori più impenitenti del duce, e marchiano la vita ancor più della storia.
E allora ecco il sogno: lei adagiata sul tavolo della cucina, il padre e Licata – lo sposo promesso – chini sul suo corpo. Li sente dal fiato stantio, dal grasso del caldo che le cola sul ventre. Perché è proprio sul ventre che entrambi s’accaniscono, che sospingono in dentro ciò che vorrebbe uscire, una ragazza (non lei, ma un’altra lei liberissima e ridanciana) che spinge e scalcia come una puledra, che bellamente se ne infischia dei loro lacci, dei nodi che cuciono alla buona, a puntazzi osceni, senza badare alla carne rosea e delicata, al pube intatto, all’incavo dell’ombelico.
Quando le voltano le spalle, spocchiosi e senza rimpianti, credono d’avergliela fatta, di averle ingabbiato nel ventre quell’altra creatura misteriosa e recalcitrante.
Cosa sia, chi potrebbe dirlo ( Stella persa? Cuore che non quaglia? Notte che non porta consiglio?)… ma a qualsiasi regno appartenga, adesso è prigioniera, rinchiusa a doppia mandata, inabissata là dove sempre sarebbe dovuta stare.
E invece, proprio quando la lasciano – tumulata , corpo nel corpo – la ragazza prende a dimenarsi, a scucire dall’interno con una misteriosa forbicina ogni punto inferto senza amore. Ed ecco, poco per volta ha slegato l’imbastitura, le maglie fini, le strettoie, le grate della prigione.
Ne emerge come bagnata da un parto, nuova, rossa di gioia. La stanza s’illumina di colpo, il sole dilaga a fiotti di luce potente.
Vincenzina guarda l’altra sé che le sboccia dall’addome, la capigliatura che si spande a raggiera, le labbra di ribes, il corpo liberato. E non è più donna, no, adesso le pare più un uccello maestoso, un falco pellegrino o lanario, chi può dirlo, anzi no, Vincenzina non ha dubbi ora che la vede lanciarsi nel vuoto, perché quel salto esultante, agli occhi dei più indecente, tutto intriso di divieti passati, non può essere che di uno sparviero.
Giocando sulla suggestione di un nome carico di simboli ( metafora quasi di un conflitto doloroso tra violenza e libertà), ne “La sposa vermiglia” (Mondadori) Tea Ranno narra magnificamente la storia di Vincenzina Sparviero, innamorata di Filippo Gonzales ma promessa a Ottavio Licata, prepotente e vecchio signore della terra di Sicilia.
Ricostruendo con inimitabile maestria un mondo per metà arreso alla bellezza oltraggiosa della campagna, e per metà alla grettezza dei calcoli, alle passioni del corpo, al desiderio di ricchezza, ci restituisce una storia di luce e buio, di silenzi e profezie, di rassegnazione e ribellione. Una dolente rappresentazione del destino, ma soprattutto dell’amore, delle sue misteriose vie, dei suoi chiodi e delle sue morti.
Amuri ca mi teni e to’ cumanni, unni mi porti, duci amuri, unni?

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SCARLETT, di Barbara Baraldi http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/06/16/scarlett-di-barbara-baraldi/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/06/16/scarlett-di-barbara-baraldi/#comments Wed, 16 Jun 2010 20:35:41 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=2227

Sono molto lieto di accogliere qui a Letteratitudine la scrittrice Barbara Baraldi, coinvolgendola in questa nuova discussione. L’occasione la fornisce l’uscita del suo nuovo romanzo per i tipi di Mondadori: Scarlett.

Per capire di cosa parla il libro, vi rimando a questa scheda e alla recensione di Salvo Zappulla che trovate in fondo al post.

Scarlett ha sedici anni e si è appena trasferita a Siena, lasciandosi alle spalle l’estate, la sua migliore amica e un amore che stava per sbocciare… Nella nuova scuola conosce Umberto, che le fa subito la corte, ma Scarlett ha capito che la sua compagna di banco, Caterina, è segretamente innamorata di lui. Cosa scegliere: l’amore o l’amicizia? La risposta arriva al concerto della scuola, quando sul palco sale un ragazzo con gli occhi chiari come il ghiaccio che la cercano in mezzo alla folla. Mikael, il bassista dei Dead Stones, sembra allo stesso tempo attratto e respinto da lei, e Scarlett non può evitare di tuffarsi in quegli occhi magnetici. Ma Mikael è troppo bello e troppo strano per essere vero: solo Umberto sembra conoscere il suo segreto, ma non riesce a mettere in guardia Scarlett… Poi un omicidio inspiegabile, e Scarlett viene aggredita da una spaventosa ombra dagli occhi di fuoco. Chi è veramente Mikael? Il suo angelo salvatore o il demone che la tormenta?

Vorrei riprendere questo passaggio della scheda, per poi porvi alcune domande (e avviare una discussione parallela a quella sul romanzo): “Nella nuova scuola [Scarlett] conosce Umberto, che le fa subito la corte, ma Scarlett ha capito che la sua compagna di banco, Caterina, è segretamente innamorata di lui. Cosa scegliere: l’amore o l’amicizia?”

Ed ecco le domande…

Secondo voi, tra amore e amicizia… cosa sceglierebbero i sedicenni di oggi?

E quelli delle generazioni precedenti?

Il valore che i ragazzi di oggi danno a sentimenti come “amore” e “amicizia” è cambiato, o è rimasto immutato nel tempo? E se è cambiato… in cosa è cambiato?

A voi le risposte… (e consideratevi tutti invitati a interagire con Barbara Baraldi, ponendole anche domande sul suo libro).

Massimo Maugeri

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SCARLETT di Barbara Baraldi
Mondadori, 2010 – pagg. 319, € 16

recensione di Salvo Zappulla

salvo-zappullaScarlett, la protagonista del romanzo, ha sedici anni appena, gli occhi grandi e la purezza nel cuore, non ha ancora dato il suo primo bacio, è timida, insicura, complessata come quasi tutte le ragazze della sua età. Non è particolarmente bella ma piace, ha una sua intima luminosità, una fierezza che la contraddistingue. Ha dovuto ricominciare una nuova vita da quando i suoi hanno deciso di trasferirsi da Cremona a Siena: nuovo istituto scolastico, nuove amicizie, nuovi insegnanti. Le continue liti dei genitori non la agevolano, il fratellino impertinente la innervosisce.
Barbara attorno a lei ha costruito personaggi di grande spessore, veri, dotati di luce propria. C’è l’amica del cuore, lo spasimante non corrisposto, la belloccia della scuola perfida e dispettosa; Ofelia, la ragazza che veste sempre di nero, tanto affascinante quanto misteriosa. Il risultato è un romanzo armonico, gradevolissimo, che si dilata notevolmente con il susseguirsi delle pagine in un coro di voci perfettamente intonate. Un’orchestra di parole cui non è consentito steccare. E poi Mikael, un angelo scaturito dall’inferno, fisico scultoreo e occhi che lasciano senza fiato. Mikael è il brivido, la passione, il fuoco, la dannazione. Scarlett si vedrà catapultata dentro una storia più grande di lei.
BaraldiBarbara Baraldi in questo romanzo (Scarlett, edizioni Mondadori, pagg. 319, € 16.00) si fa interprete delle problematiche adolescenziali, il malessere, gli amori, le inquietudini, il loro status symbol: il pearcing, il tatuaggio, la musica da sballo, tutto ciò che fa figo. E lo fa con profondità di analisi e una scrittura che rifugge dalle forzature, efficace, minuziosa, leggera. Fin qui potrebbe essere una storia “comune”, un romanzo destinato a un pubblico giovane… ma a un certo punto l’autrice va oltre, si incunea nei labirinti del surreale, si addentra nel campo spinoso della metascrittura, un alternarsi di ombre e creature malefiche che ci riportano alle atmosfere cupe di Edgar Allan Poe. Vita e morte si sfidano, intrecciano relazioni. Esseri delle tenebre entrano in contatto con il mondo dei viventi cercando di sottometterli al proprio volere, i rivali di Dio alla ricerca di un loro regno. Maledizioni che riaffiorano dopo secoli e l’istituto scolastico diventa scenario di sangue. L’autrice ha la capacità di assemblare sogni e incubi, aspirazioni e delusioni, alterna momenti di frizzante letteratura e angoscianti capovolgimenti. Ma soprattutto sa bene come inventare storie che fanno accapponare la pelle ai suoi lettori. Esplora gli abissi reconditi della psiche umana, costruisce trame dove la suspence si mantiene sempre tesa. Il lettore si sente incalzato, sente uno spettro che gli alita sul collo, lo segue incessante, gli ruba lo spazio, gli nega i movimenti, lo tiene vigile nel corso della lettura. Un viaggio nelle fitte tenebre, dove i demoni hanno stabilito fissa dimora e spingono per tornare tra i vivi a placare il loro desiderio di sangue. E da sottofondo la musica, il linguaggio universale della musica, l’ebbrezza di potersi crogiolare al ritmo frenetico del rock.

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NAPOLI E L’IRPINIA TRA I LIBRI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/03/25/napoli-e-l%e2%80%99irpinia-tra-i-libri/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/03/25/napoli-e-l%e2%80%99irpinia-tra-i-libri/#comments Wed, 24 Mar 2010 23:06:42 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=1835 Sono molto lieto di avviare questa discussione incentrata su Napoli e l’Irpinia, luoghi entrati nell’immaginario di molti di noi (ma anche luoghi dove sono nati e vivono parecchi amici di questo blog).
Nel farlo tenterò di coinvolgere alcuni scrittori che, attraverso i loro libri, hanno raccontato di queste terre e di tutto ciò che – nel bene e nel male – gravitano attorno a esse.
Credo sia superfluo premettere che la produzione di libri (di narrativa e non) dedicati, in un modo o nell’altro, a Napoli e all’Irpinia (a partire dall’ormai celeberrimo Gomorra di Saviano) è piuttosto cospicua. Per cui, i libri che segnalo in questo post sono solo una piccola rappresentanza della folta schiera disponibile.
Di seguito, come sempre, porrò qualche domanda al fine di agevolare la discussione. Ma prima ci tengo a presentare scrittori e libri coinvolti (li elenco per ordine alfabetico di cognome degli autori e curatori):
- “L’INFANZIA DELLE COSE” di Alessio Arena (Manni)
- “UNA TERRA SPACCATA” di Emilia Bersabea Cirillo (San Paolo)
- “L’IMBROGLIO NEL LENZUOLO” di Francesco Costa (Salani)
- “SCUORNO (Vergogna)” di Francesco Durante (Mondadori)
- “NAPOLI PER LE STRADE“, racconti a cura di Massimiliano Palmese (Azimut)
- “LE FRANE FERME. Quattro racconti sull’Irpinia” racconti a cura di Generoso Picone (Mephite edizioni)

Mi permetto di ricordare, tra gli altri, “Napoli sul mare luccica” di Antonella Cilento (Laterza) di cui avevamo parlato qui. E, per quanto riguarda l’Irpinia, i libri di Franco Arminio.

Gli autori dei suddetti libri, i curatori delle raccolte e gli autori dei racconti, gli amici irpini e napoletani e voi tutti… siete invitati a partecipare al dibattito.

Francesca Giulia Marone e Emilia Cirillo mi daranno un mano a moderare e a coordinare la discussione.

E ora… le domande del post:

1. Che differenza c’è tra Napoli e l’Irpinia (in cosa differiscono due città come Napoli e Avellino)?

2. Quali sono i “tratti” in comune?

3. Come è cambiata (se è cambiata) la Napoli di oggi rispetto a quella di venti, trenta, quarant’anni fa?
E l’Irpinia?

4. Che rapporto c’è tra Napoli, l’Irpinia e il cinema? Come sono state rappresentate nel grande schermo? Tali rappresentazioni sono sempre state aderenti alla realtà?

5. Se doveste scegliere, con riferimento all’intera storia della letteratura, il libro che meglio rappresenta Napoli… quale scegliereste? E perché?

6. E quale libro scegliereste in rappresentanza dell’Irpinia?

Di seguito, un po’ di notizie sui libri sopraccitati (ne approfitto per ringraziare gli autori delle recensioni).
Massimo Maugeri

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L’INFANZIA DELLE COSE di Alessio Arena
Manni, 2009 – pagg. 280 – euro 17

di Francesca Mazzucato: da Books and other sorrows

L’infanzia delle cose di Alessio Arena ( Manni, 2009) è un romanzo di stupori. E’ una storia vagabonda, anarchica, smembrata, pornografica, impazzita, politica e favolistica, folle e slabbrata, adatta a chi sa mettersi a sentire il brusio delle cose, la loro voce, un’eco diseguale: chi lo sa fare arriva a captare la loro infanzia, la loro dimensione di innocenza. Che si perde presto. E poi si ritrova. In un visionario e immaginifico stratificarsi di luoghi fisici ed emotivi, Il quartiere di Madrid di Lavapiés, il Rione Sanità di Napoli, piccoli e grandi malavitosi, ristoratori collusi, figure di donne stupende, che ti rimangono anche se non le capisci del tutto perché sono fatte della materia del sogno, del prisma, del gioco di luci: Erika , Amparo, la madre del protagonista, la madre di Amparo che le cose le raccoglie.

“…Non vuole fare morire le cose
-Le cose? Quali cose?
-Tutte quelle che ci stanno, tutte quelle che trova, lei se le porta dove sta lei, perché non devono morire, non si devono buttare.
Mi è venuto da dire maronna mia però non ho detto niente. L’ho guardata soltanto e all’improvviso ho avuto come la sensazione che da quel momento potevo contare su Amparo per qualsiasi cosa..”

Cose che si ammucchiano, che cambiano perché cambiano i modi per definirle e così si trasformano, nomi che sono tronchi, inventati, irriverenti, impastati di napoletano che diventa spagnolo che diventa italiano bislacco, dove ci si fa gioco della sintassi perché il background è solidissimo e lo permette. Una partita a carte con tutte le convenzioni, i contesti facili della parola scritta. Non sarà tutto semplice in ogni pagina, a volte sarà un percorso tortuoso, vi avverto, ma ne vale la pena. Fare fatica per leggere è vitale. Non si può rinunciare prima, è la resa definitiva, e il nostro paese se si arrende sui libri, sulle letture, se sceglie definitivamente il lamento televsivo, gli aggiornamenti calcistici, le ” convention” plaudenti alle storie, se preferisce per sempre tutto il ciarpame del nulla alla carta, alla vita dei personaggi da far proseguire nella testa e nel cuore rischia il ripiegamento definiivo, la perdita della dignità. Difendersi è vitale.
Ecco, Arena ha scritto un romanzo popolato di personaggi folli, increduli e devastati, ma pieni di una loro magnificenza. Di dignità antica. Una storia così contemporanea e così densa.

“Ci ho pensato e mi è venuto da pensare che io mi metto paura di una cosa che sta in tutte le cose e che pure se non la vedi sai che ci potrebbe stare”

Non l’ho letto per forza, non è stato un colpo di fulmine, ma un lento avvicinamento circolare. Quando leggo “realismo magico” sulla quarta di copertina di un libro sono sempre sospettosa, penso che non mi riguardi, che il contenuto non possa che fare il verso al realismo poetico francese, quello dei film che amo tanto, o che sia una frase fatta per definire ”una cosa a metà strada fra la fantasia e l’improbabile, un pasticcio” : ero un po’ sospettosa quando ho iniziato quindi, procedevo adagio coi piedi di piombo, poi qualcosa mi ha tirato i capelli, infilato nelle pagine e non ne sono più uscita.
Non è tutto perfetto questo libro di Alessio Arena. Proprio per niente. A volte si arranca leggendo, a volte la storia si incaglia, si perde il filo. Accade. Ma si deve leggere sapendo che è uno di quei libri dei quali non si devono macinare righe e parole nell’attesa di arrivare alla fine. La fine c’è già, viene ribaltata, cambiata, rotolata, è all’inizio, poi ci sono intermezzi e divagazioni. Occorre soffermarsi sulle singole pagine, respirarne i colori, il vociare, gli odori e le evocazioni musicali della lingua che lo scrittore inventa. Perfettamente adatta a cogliere quel magico bisbiglio. Quello delle cose innocenti nonostante la camorra, la morte, l’esilio, la paura, gli incendi. Le persone muoiono- anche se non del tutto- le cose restano innocenti ed eloquenti, e Arena ce le fa sapere decodificandole e, facendolo, regala momenti di commozione, attimi luminosissimi quando la storia perfora il cuore e pensi”caspita”, e resti inebetito e vai avanti e poi ritorni qualche pagina indietro e intanto il napo-latino si è esibito in altre pirotecnie. Veri fuochi d’artificio. Li puoi vedere. Se il montaggio non è perfettamente calibrato si può perdonare e capire.
In questo suo primo romanzo Alessio Arena ricrea il mondo. Un mondo caleidoscopico, dove ci sono De Sica, Almodovar, Pasolini tutti insieme. Un mondo-mondo, mai asfittico ma che si apre come la corolla di un fiore di carnevale. Non addomestica la sua urgenza narrativa, l’autore. E la lettura è bella e strana, un’esperienza differente da tante letture anemiche, precise, puntuali, adatte ma banali. Alla fine de L’infanzia delle cose l’ imperfezione diventa parte dell’incanto.

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UNA TERRA SPACCATA di Emilia Bersabea Cirillo

San Paolo edizioni, 2010 – pagg. 240 – euro 14,50

Una Napoli soffocata dalla spazzatura ma che ancora riluce della sua antica bellezza – come quella delle architetture realizzate da Lamont Young – accoglie il corpo di Filippo Ghirelli, morto durante una manifestazione di protesta contro la costruzione di una discarica al Formicoso, in provincia di Avellino.
È questa la vicenda di apertura di Una terra spaccata, che vede protagonista la geologa Gregoriana De Felice, chiamata a riconoscere il cadavere dell’amico, proprietario di un elegante albergo napoletano.
Come in un viaggio a ritroso nel tempo e nello spazio della propria memoria la donna rivive le fasi dell’incontro con l’uomo che le ha cambiato la vita, dal riconoscimento di intime affinità (la scoperta della bellezza di un luogo interno del Sud, la musica del silenzio, la ricerca della verità) alla condivisione di un atteggiamento di netto rifiuto verso la costruzione della discarica.
Incaricata di effettuare i saggi del terreno a essa destinata, poi blandita e infine minacciata dall’ingegnere Misuraca, direttore dell’azienda per cui lavora, al fine di redigere una relazione che testimoni la “idoneità del terreno alla costruzione della discarica” Gregoriana impara la ribellione amando Filippo e la sua malinconica ricerca di un luogo in cui vivere, di una casa dell’anima.

Filippo camminava davanti a me. Visto di schiena sembrava più giovane, la testa eretta, le spalle dritte, il corpo piccolo e muscoloso.
- Ci sono luoghi che si infilano dentro di noi. E non se ne vanno più. Li accogliamo per come sono dimenticati, splendenti, sconosciuti. Riescono a entrare nelle crepe, nelle nostre ombre, inconsolabili come siamo. Trovano rifugio perché abbiamo bisogno di loro. Un mutuo compenso. Quanto più è intricata la nostra oscurità, tanto più permangono, mia cara. Fino a convertirci. Fino a modificarci. Penso che questo ti sia capitato con il luogo dello scavo. Per forza che devi difenderlo. Fa parte di te -

La donna infatti denuncerà l’operazione pubblicamente, durante un’apparizione televisiva, poi rassegnerà le dimissioni per “amore della verità”.
Due personaggi scheggiati: lei con un padre lontano, una madre assente e malata, un compagno già sposato che in quei giorni si trova a Gerusalemme, in missione diplomatica .
Lui senza più una madre, senza una patria, senza un vero affetto, così sospetta Gregoriana, che non sia quello pagato per una notte.
Dal confronto con la comunità del Formicoso, composta da emigranti di ritorno ma anche da giovani che sono decisi a restare e a impegnarsi per i loro paesi, Filippo e Gregoriana finiranno per condividerne, ciascuno per suo conto, memoria e destino, lottando per la difesa di un luogo lucente e ventoso, fatto di terra, acqua e silenzio.

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L’IMBROGLIO NEL LENZUOLO di Francesco Costa
Salani, 2010 – pagg. 266 – euro 14,50

1905. Il cinematografo conquista Napoli Ma che cos’è questa invenzione che crea dal nulla movimenti e colori, e che fissa la stessa azione, la stessa immagine in eterno, uccidendo la morte e donando l’eterna giovinezza? Ai paesani del circondario pare una diavoleria che chiamano « o ’mbruoglie dint’o lenzuolo »: per loro è una nuova forma di magia, da guardare con sospetto e diffidenza. Così è per l’ingenua Marianna, erbivendola analfabeta, che scopre di essere attrice suo malgrado di La casta Susanna, una pellicola di sei minuti in cui incanta (o scandalizza) folle di spettatori bagnandosi nuda nel lago d’Averno. La bella bagnante che tanto le somiglia è veramente lei o una sosia che le vuol male? E perché ripete sempre gli stessi gesti, senza sgarrare di un secondo? La verità la sa Federico, realizzatore del film, ma intende ricostruirla anche colei alla quale era stato inizialmente offerto il ruolo, Beatrice, autrice torinese giunta in città per scrivere il romanzo a puntate Eunice, l’orfana tisica

Generoso Picone parla di questo libro così: “Francesco Costa, adoperando una lingua a cui l’uso del dialetto o di brani della parlata popolare dà ritmo ed esplicitezza, risolve l’intreccio in una soluzione che diventa un’ode all’eterno valore del cinema: imbrigliare la bellezza da cui si è ossessionati, renderla eterna oltre i giorni che si possono vivere, donarle la seduzione che può trasmetterla ai giorni che verranno.”

Un brano del libro: “Ecco il lago d’Averno incorniciato di felci che si piegavano al vento, così lievi da parere finte, e dal fondo, ignara, magnifica, si faceva avanti la sua Susanna, i capelli neri e arruffati… Giunta a un accenno di spiaggia si toglieva i vestiti e guardava il sole che sorgeva dalla parte in cui, lontano, il mare univa quella terra a paesi di cui neanche sapeva i nomi.
Un attimo ancora, e si sarebbe gettata nel lago tutta nuda, ma prima, per chissà quale incontenibile impulso che lui mai avrebbe benedetto abbastanza, avrebbe fatto una piroetta, un passo di danza o qualcosa di simile…
Si sarebbe tolta i vestiti in eterno, e avrebbe ripetuto la sua piroetta per sempre, incarcerata nel suo raggio di luce, era sua, l’aveva catturata e anche tra un secolo, o perfino tra due, sarebbe stata costretta a ripetere i suoi gesti per un pubblico incuriosito o stralunato. Era la sua prigioniera…
La luce era al suo servizio, proprio così, e ai napoletani in vena di spassi rendeva visibile su quel grande lenzuolo bianco tutto ciò che aveva sognato, inseguito, desiderato.”

Francesco Costa è nato a Napoli. Già sceneggiatore cinematografico e televisivo, ha esordito con il romanzo La volpe a tre zampe, cui si ispira l’omonimo film di Sandro Dionisio con Miranda Otto e Angela Luce. Sono seguiti Non vedrò mai Calcutta, Se piango picchiami, Il dovere dell’ospitalità e, per Salani, Presto ti sveglierai. I suoi libri sono tradotti in Germania, Giappone, Spagna e Grecia. Da L’imbroglio nel lenzuolo è stato tratto il film di Alfonso Arau, illuminato da Vittorio Storaro e interpretato da Maria Grazia Cucinotta, Anne Parillaud e Geraldine Chaplin.

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“L’imboglio del lenzuolo” di Francesco Costa
La recensione di Maria Lucia Riccioli

Napoli, 1905.
L’Unità d’Italia è una realtà da più di trent’anni, ma per Federico Bory, “cinematografaro” ante litteram, non è più che un cambio di nome per la Via Toledo. O forse è la possibilità d’incantare la gente come un apprendista stregone: «Non poteva comandare, va da sé, tutta la luce che inonda la terra, ne aveva asservito solo un fascio, però era già più di quanto capitasse di norma, e quel fascio di luce andava a buttarsi tutte le volte che lui voleva dentro un lenzuolo da cui tirava fuori cose mai viste, una magnifica femmina e paesaggi d’incanto voi vi chiederete che diavoleria è mai questa, e io che non voglio tirarla in lungo, vi rispondo che faccio il cinematografo, voi saprete di che sto parlando, sì, sono un direttore di scena, ho realizzato una film e ho venticinque anni appena finiti».
E cos’è per Beatrice Sismondi, torinese inquieta, l’Unità d’Italia? Il sentirsi attratta e respinta assieme da Napoli, il sogno realizzato di scrivere sul Mattino come l’ormai leggendaria Serao, di pubblicare a puntate Eunice, l’orfana tisica, improbabile feuilleton strappafazzoletti.
Marianna Mazzolati, bellissima e analfabeta, taglia corto. Chi è del Nord viene «dall’altra Italia», quella in cui si parla una lingua sconosciuta, quella che ti strappa il tuo uomo, Giocondo Gaudio o Gaudio Giocondo – valli a capire i misteri dell’anagrafe del Continente – per farlo soldato a forza.
E chi è la casta Susanna che s’immerge come una ninfa antica nelle acque del lago d’Averno e danza nuda, immortalata su una pellicola?
Cafè chantant, esilaranti produttori cinematografici, amori e passioni in una Napoli smagliante e chiassosa, incantata dal cinema, “l’imbroglio nel lenzuolo”, che fa spavento e attrae dando corpo ai sogni e scrivendoli con la luce.
E poi c’è il fascino della Napoli sotterranea, dell’Averno e del Lucrino, con la grotta della Sibilla e i suoi misteriosi sussurri, il paesaggio affatturato di ginestre e indorato di sole in cui si mescolano profumi e colori, le piante che Marianna raccoglie e impiastriccia per le sue incantagioni curative.
Francesco Costa è un giocoliere di parole e di luce, quella luce mediterranea e partenopea in particolare che fa pazziare i suoi personaggi e che forse li farà rinsavire.
“L’imbroglio nel lenzuolo” è una girandola di situazioni e di trovate, un flusso di narrazione in cui i personaggi principali si rimpallano la storia e se la rigirano a proprio modo. Al lettore il compito di sbrogliare il lenzuolo, di sorridere indulgente ai propri sogni e a quelli usciti dalla penna di Francesco Costa.

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SCUORNO (Vergogna) di Francesco Durante
Mondadori, 2008 – pagg, 208 – euro 17,50

di Francesca Giulia Marone

Giorni fa leggevo un articolo di Marco Belpoliti su Panorama che trattava del sentimento della vergogna, o meglio della mancanza di tale sentimento nella società attuale. Il senso del pudore pare essere scomparso – ed io concordo con quanto scritto nell’articolo – non solo a livello personale ma anche a livello sociale.
La comunità ha abbassato la soglia del pudore, sia che si parli di pudore come concetto legato al sesso, sia che riguardi i sentimenti e le emozioni più intime. Tutto è “spudoratamente” mostrato e nel suo mostrarsi perde di significato, rende tutti uguali, tratta le nostre emozioni come merci e nessuno più abbassa gli occhi di fronte ad uno sguardo di giudizio interiore o esteriore che sia. Nessuno prova più vergogna.
Per tale motivo il libro “Scuorno” di Francesco Durante si inserisce come una lettura oltre che piacevole, necessaria, magari come uno stimolo in più per ritrovare quel sentimento a livello personale e sociale nella città di Napoli. Ma attenzione, lo scuorno è molto più della vergogna, è la vergogna della vergogna. Da questo sentimento, di cruciale importanza per un vivere civile e consapevole, Napoli potrebbe ripartire riscattando un’immagine che negli ultimi tempi è stata sommersa dalla “munnezza”, la camorra, la miseria e un’attenzione mediatica concentrata sui mali endemici. Difficile compito – per lo scrittore nato ad Anacapri, allontanatosi da Napoli per diversi anni e poi tornato – “parlare” della città senza cadere nelle trappole degli stereotipi e del già detto (difficile inserirsi nel solco del dopo Gomorra di Saviano); ma Francesco Durante riesce in pieno nell’intento e ci consegna un libro stimolante, scritto con agilità e grazia, che sa cogliere la malìa seduttiva della città con ironia intelligente senza risparmiare peraltro le giuste critiche. “Scuorno” è un libro che brilla per l’originalità della visione, è colto senza annoiare, è a tratti intimo come le pagine di un diario personale, è interessante quando tratta il percorso storico del passato di Napoli capitale e del significato delle tante dominazioni straniere, è ironico quando dipinge quadretti di vita dei quartieri, puntuale e divertente quando dedica un intero capitolo ai santi patroni della città dispiegandone tutti i tratti caratteristici al lettore. Non mancano i riferimenti alla politica e una certa simpatia indulgente per personaggi della scena politica napoletana degli ultimi anni, affondanti le riflessioni sulla lingua e sui termini che tracciano una linea di contiguità fra le classi sociali, il libro si snoda apparentemente in maniera disordinata da un tema all’altro con abile maestria da narratore, affrontando diversi registri, disegnando un prodotto finale che risulta essere profondamente diverso dalla moltitudine dei testi fioriti nell’ultimo periodo sulla città di Napoli. Non c’è soltanto accusa, non esiste soltanto un dito che gira nelle piaghe dei mali endemici della città. Nelle pagine di “Scuorno” c’è amore, c’è nostalgia per un’atmosfera napoletana unica e irripetibile in altri contesti. Lo si legge chiaramente anche dalle parole che lo scrittore riporta di Valeria Parrella – altra scrittrice napoletana rimasta fisicamente e spiritualmente legata alla sua città – : “Napoli ha un microclima esistenziale che non trovi da altre parti”. Tutto questo, che probabilmente è parte dell’intimo pensiero dell’autore, viene consegnato al lettore con leggerezza, con sguardo ironico e sapiente che lascia intravedere un’altra prospettiva, un’altra strada per Napoli che attraverso lo scuorno possa riscoprire un orgoglio nuovo che superi l’avvilimento e dia slancio per recuperare l’immagine migliore di sé. In fondo potrebbe essere sufficiente, per riacquistare un peso di consapevolezza felice, un piccolo oggetto-simbolo come la statuina di pulcinella mandata nello spazio per vincere un lack of mass (come dicono gli esperti del Mars), un carico più leggero del previsto che crea problemi nel decollo spaziale – un’immagine simbolo beneaugurante affinché la città possa ritrovare la sua natura oggi svilita. Sono state diverse le letture di questo libro, al di là della indiscutibile bravura e preparazione dell’autore, alcune letture scure e pessimistiche lo interpretano come un quadro di una città senza speranza, che dietro le facce dello scuorno ha solo ignoranza e fallimento. Mi piacerebbe, oltre lo sguardo doloroso e acuto dell’autore, vedere segni di speranza e di ripresa, attraverso le sue parole talvolta delicate e ricche di sentimento per Napoli, ma senza cadere mai nel vittimismo, ed immaginare con lui e i lettori di “Scuorno” tanti pulcinella liberi nell’etere che raccontino ancora della bellezza antica della mia città come qualcosa di possibile.

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NAPOLI PER LE STRADE racconti a cura di Massimiliano Palmese
Azimut, 2009 – pagg. 200 – euro 12

da Napoli.com

Racconti di: Alessio Arena, Stella Cervasio, Luigi Romolo Carrino, Fabrizio Coscia, Carla D’Alessio, Maurizio de Giovanni, Luca De Pasquale, Peppe Fiore, Francesco Forlani, Antonio Iorio, Simone Laudiero, Marilena Lucente, Giusi Marchetta, Marco Marsullo, Paolo Mastroianni, Rossella Milone, Davide Morganti, Marco Palasciano, Massimiliano Palmese, Angelo Petrella, Massimiliano Virgilio.

Dopo Gomorra molti altri libri tra fiction e giornalismo hanno avuto Napoli come oggetto d’indagine. La vocazione di Napoli per le strade – parte di un progetto benefico più ampio, Città per le strade – è del tutto differente: più che un’inchiesta sulla città, è un’inchiesta sullo stato di salute della sua letteratura. Infatti, se il giornalismo dipinge il ritratto di una città malata e sofferente, le narrazioni degli scrittori fanno emergere con forza le istanze di una città reattiva e “resistente”.
Può sembrare ambiziosa la sfida di presentare in un’unica raccolta ventuno scrittori da Napoli e dintorni, eppure si deve pensare che il volume non raccoglie una sola generazione ma almeno tre, e provare a immaginare questi scrittori come le molte e differenti voci di una città che, tirata in ballo dalla cronaca (quella nera della camorra e quella grigia della politica), decida di voler intervenire personalmente nel dibattito, e raccontarsi.
E così, dalle antiche cime di Pizzofalcone alla borghese Chiaia, dalla collina “snob” del Vomero alle zone popolari di Vasto, Duchesca e Sanità, da “giù Napoli” alle alture dei Camaldoli e Capodimonte, dalle periferie di Chiaiano fin dentro al cuore pulsante del Centro Storico, ventuno luoghi di Napoli vanno a comporre la cartografia di una città troppo vasta e troppo ricca di energie contrastanti per essere definita con un unico nome, o soprannome.
”Napoli per le strade” ha un incipit colto, col racconto di un poeta e studioso (Palasciano), quindi salda subito il suo debito con la nostalgia di chi è partito, ma una nostalgia senza rimpianto (Forlani, Fiore); chi invece è rimasto in città, la vive in uno stato di attesa (Marchetta, D’Alessio) o di combattimento perenne, quasi di guerriglia psicologica (Palmese, Laudiero, Virgilio); una città dove alte sono le temperature dell’eros (Carrino, Petrella) e dalla passione al delitto il passo è breve (Arena, Marsullo, Iorio, Mastroianni, Morganti); dove il presente per la sua complessità è difficile da decifrare o addirittura enigmatico (Coscia, De Pasquale, Lucente), mentre il futuro per qualcuno potrebbe essere già scritto (Cervasio, de Giovanni, Milone).
Autori nuovi, che hanno esordito negli ultimi due o tre anni (Carrino, Coscia, De Pasquale, Fiore, Forlani, de Giovanni, Laudiero, Mastroianni, Morganti, Palmese, Petrella, Virgilio), diverse e interessanti voci di donne (Cervasio, D’Alessio, Lucente, Marchetta, Milone), i giovanissimi (Arena, Iorio, Marsullo), un poeta (Palasciano): ventuno scrittori per un progetto benefico, ventuno storie da una grande metropoli.

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LE FRANE FERME. Quattro racconti sull’Irpinia a cura di Generoso Picone
Mephite edizioni, 2010 – euro 12

di Antonella Cilento (da IL MATTINO del 19/01/2010)

È un fatto che le aree geografiche, le province, le pianure, i golfi o le montagne vadano raccontate: non c’è forse narrazione più vitale, in questo momento storico, di quella che parte dai luoghi e che si assume la responsabilità di rappresentarli in rivolta contro il silenzio assoluto imposto dal vocìo globale che racconta macro-aree, non-luoghi, metropoli tentacolari, poli magnetici e direzioni (storia del Nord, del Sud, dell’Est, dell’Ovest) piuttosto che terre e persone. E se in Italia gli scorsi decenni hanno identificato con chiarezza aree della provincia raccontate con vigore dagli scrittori locali, dall’Emilia al Nord-Est, è giunta senz’altro l’ora dell’Irpinia, riposto interno della Campania, oscurata dal sole (luminoso o buio) napoletano, regione nella regione, a scavalco dell’Appenino, rivolta verso l’Oriente ma con un piede nell’Occidente, luogo dell’osso, come tante volte si è detto. I narratori raccolti ne «Le frane ferme» (Mephite edizioni) da Generoso Picone sono in effetti scrittori, almeno in parte, imparentati con i narratori delle pianure di Gianni Celati, con l’Emilia padana che negli anni Settanta e Ottanta raccoglieva la tradizione di Antonio Delfini e di altri narratori extra-ordinari, malinconici, provinciali nel senso ideale della parola e non solo locale, che dei movimenti dell’animo del territorio, delle variazioni di luce, dei sentimenti minori, della quotidianità facevano racconto. Una tradizione che si sarebbe tradotta in Pier Vittorio Tondelli e che ancora s’intravede, ad esempio, nei bei racconti di Davide Bregola o in alcune storie di Guido Conti. Una continuità non solo ideale ma concreta c’è nelle storie letterarie di Franco Arminio e Emilia Bersabea Cirillo, legati in anni trascorsi alle riviste o agli ambiti di Gianni Celati, e nel racconto di Marco Ciriello con un protagonista e un tema ispirato al meraviglioso «Casa d’altri», massimo approdo narrativo di un altro eclettico emiliano, Silvio D’Arzo: ne «La piega» Ciriello infatti sceglie per protagonista un prete e come tema una difficile confessione, identica traccia di D’Arzo, e lo chiama Ezio, che era il vero nome di D’Arzo, all’anagrafe Ezio Comparoni. E se in Ciriello si declina quindi il tema darziano della solitudine montagnosa, del panorama che wertherianamente rispecchia il sentimento di solitudine e abbandono, l’Irpinia di Franco Arminio cerca una sua specifica autonomia, declinata non in forma prettamente narrativa ma sotto forma di reportage o di comizio narrativo. Sottile ma continua la presenza di certa passata politica: il nome di De Mita appare inevitabile in ogni racconto a punteggiare situazioni o discorsi di diversa natura. Così come appare limpida l’Irpinia delle case vecchie, del terremoto dell’Ottanta che fa da spartiacque fra scelte e destini, letterari e no, e l’Irpinia delle case nuove, degli Zio Paperone della Campania, della nuova borghesia che affluisce in palazzine e villette, di quest’immensa periferia dell’anima, ancora contadina eppure fin troppo urbanizzata, con troppi Suv e scarpe costose ma con ancor più grandi melanconie, infelicità e incapacità di trasformazione. Ad esempio, scrive Arminio nel suo «Il circo dell’indifferenza»: «Abbiamo belle case, abbiamo un’aria decente, abbiamo belle macchine, abbiamo ottimo cibo, abbiamo gli stessi telefonini, gli stessi computer che hanno a Tokyo e a Francoforte. Quello che ci manca è il coraggio di giocarci la partita, preferiamo dire che il campo è impraticabile o che l’arbitro è sempre contro di noi». Ma è nel racconto di Emilia Bersabea Cirillo, «Gli infiniti possibili», impietosa e commossa narrazione alla Joyce Carol Oates (la provincia americana o del Nord Europa qui aleggia, distante sorella), che si spiegano gli eventi recenti di un territorio, il fallimento di una generazione – o il sentimento di questo fallimento: sospesa nell’apprendimento di un tuffo nella piscina comunale di Avellino, la protagonista osserva la sua città immobile nelle abitudini e nel consolidamento di un quotidiano senza slanci, rievocando le lotte giovanili per far accadere eventi importanti e di spessore culturale. Compare così sullo sfondo un profetico Luigi Nono, la musica sperimentale del secondo Novecento, una stagione che, oltre la politica, ha cercato di modificare la formazione degli irpini. Come nel delicato racconto di Franco Festa, «La ragazza della sala 4», l’amore muore, assassinato, incompreso, silenzioso: e così si asciugano anche le narrazioni a volte grottesche ma più spesso cariche di fading degli scrittori irpini d’oggi. Quattro racconti per quattro stili, quattro generi letterari e quattro generazioni differenti, raccolte dalla lucidissima introduzione di Generoso Picone che fa il punto sul valore della parola, invalidata, abbandonata, amata in solitudine, ma, in fondo, pur sempre salvifica, per «ormesi» o omeopatia, o forse osmosi. Ed è con l’autoritratto geografico di Vinicio Capossela, irpino Dop, che si deve concludere questo ritratto dell’Irpinia: «Sono nato tra i Kuta Kuta appartengo al ramo dei Pacchi Pacchi, che sono i più lunatici e fissati.(…) Dagli altipiani di Lacedonia sono arrivati fino ai bassopiani del Chiavicone. Nelle nebbie dove osano soltanto le anatre mute e le donne in segno di ammiccamento si lisciano il mustacchio». Lunatici, autoironici, ipocondriaci, solitari, attaccati al territorio, legati ma distanti, in fuga ma stanziali, questi narratori irpini bisognerà, prima o poi, ricollegarli in una futura geografia post-dionisottiana, ai loro parenti dell’Appennino del Nord, senza dimenticare i narratori dell’interno di altri Sud, dalla Calabria alla Sicilia degli altopiani.

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DIBATTITO SU LETTERATURA E PIRATI: da Salgari ai nostri giorni http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/01/28/letteratura-e-pirati/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/01/28/letteratura-e-pirati/#comments Thu, 28 Jan 2010 19:30:21 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=1557 Sono molto lieto di poter avviare un nuovo dibattito letterario a largo respiro. Il tema che propongo è il seguente: “Letteratura e pirati (da Salgari ai nostri giorni)“.
La figura del pirata è entrata a far parte dell’immaginario collettivo da moltissimo tempo: ha invaso le pagine di romanzi e saggi, di film e serie Tv, di cartoni animati e opere musicali. Eppure ho l’impressione che, di recente, si sia sviluppato un interesse ancora maggiore, che dal cinema (valga come esempio “I pirati dei Caraibi” di Johnny Depp) si è riversato sulle pagine dei libri e altrove.
Diversi gli ospiti che parteciperanno a questa discussione. Intanto, Maria Lucia Riccioli (a cui chiedo di darmi una mano a coordinare e a moderare gli interventi) che ha scritto un articolo sui “pirati in letteratura”. E poi alcuni autori di saggi molto interessanti (che mi piacerebbe potessero discutere del tema in generale, parlarci dei loro libri e interagire tra loro):
- Nicolò Carnimeo, autore di “Nei mari dei pirati. I nuovi predoni degli oceani” (Longanesi)
- Giovanna Fiume, autrice di “Schiavitù mediterranee. Corsari, rinnegati e santi di età moderna” (Bruno Mondadori)
- Ignazio Cavarretta e Eletta Revelli, autori di “Pirati. Dalle origini ai giorni nostri, dai Caraibi alla Somalia” (Nutrimenti).
Di seguito troverete le schede dei tre volumi. Nel corso della discussione avrò modo di presentare gli autori e di fornire ulteriori contributi sulle loro opere.
In coda al post troverete un doppio articolo di Alberto Pezzini sui “nuovi romanzi dei pirati”, con riferimento alle recenti pubblicazioni di Michael Crichton, Valerio Evangelisti, Arturo Pérez–Reverte.

Per avviare il dibattito provo a formulare alcune domande (che potrebbero essere integrate e/o modificate nel corso della discussione).

Che tipo di rapporto avete con la “letteratura dei pirati”?

Qual è, a vostro avviso, il miglior romanzo sui pirati della storia della letteratura?

Di recente, c’è stato davvero un effettivo aumento di interesse per la “figura” del pirata? E se sì, per quale motivo?

La “figura” del pirata è stata eccessivamente “mitizzata”? C’è uno scollamento tra “fiction” e realtà? Che percezione avete in proposito?

Al di là dell’invenzione letterario-cinematografica… avete mai pensato di poter rimanere vittime di una reale “scorribanda piratesca”?

Che rapporto c’è tra storia e letteratura a proposito del fenomeno di cui ci stiamo occupando?

Che rapporto c’è (e c’è stato) tra pirateria e schiavitù?

Siete tutti invitati a partecipare.

Massimo Maugeri

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Pirati in letteratura
di Maria Lucia Riccioli

http://letteratitudine.blog.kataweb.it/files/2008/08/maria_lucia-riccioli.JPGQuant’è forte il potere evocativo delle parole… quelle tre semplici sillabe sanno ricreare magicamente un mondo fatto di mare, cordami e sartie, alberi maestri, coffe e trinchetti, daghe e cofani bellamente riempiti di dobloni spagnoli!
Ho amato Stevenson ed il suo capitan Silver, capitan Uncino che attenta alla vita di Peter Pan, Achab e la sua disperata caccia a Moby Dick, e leggendo “Piccole Donne” mi sono imbattuta in un gioco di società, una specie di domino letterario, con uno dei personaggi che monopolizza la serata citando a memoria una scena dei romanzi pirateschi che tanto ama…
E la leggenda dell’Olandese volante? E il nostro Salgari, che senza praticamente muoversi dal tavolino di un caffè ci ha regalato la figura del Corsaro Nero, oltre che a quelle di Sandokan e dei suoi tigrotti della Malesia?
I pirati hanno popolato le pagine dei romanzi fin dall’antichità. Se pensiamo a quanta letteratura greca è letteralmente naufragata nel mare magnum della storia, specialmente per quanto riguarda la narrativa, c’è da rimpiangere i romanzi, in cui i pirati la facevano da padroni nel “mare colore del vino” e separavano fanciulle e giovinetti innamorati per venderli come schiavi, come accade anche nelle novelle del Decameron, in cui ancora permane l’eco delle scorrerie saracene, di quei pirati che saccheggiavano e rapivano, alonati di fascino misterioso.
Bucanieri. Barbareschi.
E il corsaro. Altra figura leggendaria, legittimata però nel suo scorribandare in cerca di fortuna dalla protezione di alti personaggi, addirittura di sovrani: pensiamo a Francis Drake, addirittura Sir.
I filibustieri. Altra parola che poi è divenuta un insulto, un po’ datato ma che ci riporta all’epopea dei pirati.
E cos’altro è in fondo Ulisse? Il suo nostos verso Itaca si colora d’avventura e l’uomo dall’ingegno versicolore sembra più un corsaro che un re in fuga da Troia.
Il cinema molto deve ai pirati: scene spettacolari, isole e galeoni, combattimenti all’arma bianca col coltello tra i denti… e la classica camminata sulla passerella di legno per finire in pasto ai pescecani, già pronti con le mascelle spalancate.
Pensiamo ai pirati dei Caraibi, fantastici e glamourous, ad Erroll Flynn, alle trasposizioni filmiche dei romanzi pirateschi (chi non ricorda “Quindici uomini, quindici uomini, sulla cassa del morto” e la gamba di legno di Long John Silver?), i pirati di Polanski, il Capitan Harlock dei cartoni animati, il “pirata tutto nero che per casa ha solo il cielo” e che ha lasciato gli antichi vascelli per un’astronave?
Oggi i pirati sono informatici, ancora più misteriosi dei personaggi mascherati col fazzoletto al collo e il pappagallo sulle spalle, ma le loro incursioni nei sistemi computerizzati e nei nostri pc sono dannosi quanto un arrembaggio…
E che dire dei cacciatori di relitti e tesori? C’è chi spera ancora di trovare la cassaforte del Titanic, o l’oro spagnolo disseminato per l’Atlantico.
Senza dire che i pirati esistono ancora, e depredano carghi, sequestrano e uccidono. E nelle loro imprese non vi è nulla di romantico.
La bandiera nera con il teschio e le tibie, simbolo potente della morte per mare, resterà ancora a lungo nell’immaginario collettivo.
Fino a quando vivranno lo spirito d’avventura, il desiderio dell’ignoto e – perché no? – la trasgressione o meglio l’elusione delle regole del vivere civile, del mondo dei terricoli che non conosce le dure leggi del mare.

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Nei mari dei pirati. I nuovi predoni degli oceani di Nicolò Carnimeo
Longanesi, 2009, pagg. 254, euro 17,60

Lo dimostrano le cronache più recenti: i pirati sono sempre esistiti e sono ancora fra noi, ma questa volta non siamo in un romanzo d’avventura, e men che meno al cinema. La pirateria è una guerra silenziosa: si stima che negli ultimi venticinque anni nelle sole acque del Sudest asiatico siano state attaccate più di diciassettemila navi, con una media di settecento all’anno. Tutto ciò ha costi economici e sociali altissimi. I nuovi predoni del mare dispongono di armi sofisticate e tecnologia satellitare, prosperano nelle acque di quelle nazioni in cui vi è forte instabilità causata da guerre e carestie, come in Somalia, oppure dove i governi sono deboli e corrotti, come in Nigeria e Indonesia, ma tutti i mari del mondo ne sono infestati e chiunque può diventarne vittima, magari durante una crociera nel mar Rosso o ai Caraibi oppure nell’incantevole soggiorno low cost di un villaggio turistico in Borneo. Nel seguire le tracce della pirateria moderna, dal sequestro del veliero da crociera francese Ponant, a quello della gigantesca petroliera Sirius Star, alle “navi fantasma” depredate dalle mafie orientali del mar della Cina, questo appassionante reportage, scritto da un esperto di “cose di mare”, porta in luoghi lontani ed esotici, fa conoscere i nuovi spietati bucanieri e chi ogni giorno li combatte. La guerra ai pirati del terzo millennio è appena iniziata e nessuno può sentirsi al sicuro: oggi anche una tranquilla vacanza in barca a vela può diventare un incubo.

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Schiavitù mediterranee. Corsari, rinnegati e santi di età moderna di Giovanna Fiume
Bruno Mondadori, 2009, pagg. 349, euro 22

Durante l’età moderna, l’area mediterranea è segnata dalla guerra da corsa e dalla pirateria, su cui prosperano intere città, cristiane e musulmane; il conflitto per mare assume i toni dello scontro religioso, quasi da crociata contro gli infedeli. Quanti cadono in mano dei corsari, ridotti in schiavitù, attendono di essere riscattati o scambiati, e in cattività danno origine a un’intricata storia di abiure e conversioni – dall’islam al cristianesimo e viceversa. L’analisi dell’autrice, basata su ricche e talvolta inesplorate fonti documentarie, mostra il forte coinvolgimento delle istituzioni laiche ed ecclesiastiche in questa nuova dimensione della contesa politica internazionale e offre un quadro significativo sulle condizioni di vita dei captivi, in bilico tra la vecchia fede religiosa e l’esigenza di inserirsi in un diverso tessuto sociale. L’efficacia nell’evangelizzazione degli schiavi ha come risultato più eclatante la canonizzazione di santi neri, quali Antonio Etiope e Benedetto il Moro, ma si spinge sino in terra africana, dove Juan de Prado guadagna la palma del martirio, mettendo in luce inediti aspetti del ruolo politico dell’attività missionaria degli ordini religiosi nel regno del Marocco.

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Pirati. Dalle origini ai giorni nostri, dai Caraibi alla Somalia di Ignazio Cavarretta e Eletta Revelli

I pirati dei film non rappresentano che una realtà parziale, quella del mar dei Caraibi o della Malesia; per questo molti ignorano che la pirateria ha giocato un ruolo importante in tutti i mari, Mediterraneo compreso. Dal punto di vista storico, poi, si tende comunemente a collocare le ultime imprese dei pirati nel Settecento, dimenticando circa tre secoli di feroci scorribande, che si protraggono fino ai nostri giorni. Questo libro intende restituire un volto più reale al fenomeno, con uno sguardo che comprende i Caraibi, ma a cui non sfugge la storia della navigazione a partire dai fenici, la guerra di corsa nel Mediterraneo, la pirateria nell’Estremo Oriente, nonché le ‘navi ausiliarie’ delle due guerre mondiali e gli odierni pirati delle coste somale.
Con una trattazione avvincente e leggera, corredata da numerose immagini, Pirati ci trasporta in un viaggio a bordo delle navi dei Barbarossa o di Andrea Doria; ci costringe al remo tra forzati musulmani o cristiani; ci conduce alla corte di Elisabetta I o al patibolo di Wapping Old Stairs. E ci rivela il naturale sodalizio tra pirateria e guerra: non esiste bucaniere, filibustiere o corsaro, se non in uno scenario reso instabile da un conflitto.

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Nuove storie di pirati (parte I): Michael Crichton, Valerio Evangelisti

 articolo di Alberto Pezzini

 Chissà se Michael Crichton si è ispirato a Hornblower di C.S. Forester per scrivere la postuma “Isola dei Pirati (Garzanti, 2009, pagg. 332). Della Giamaica in cui è ambientato il libro Crichton ci aveva già parlato in un suo racconto di vita, relativo ad uno suo viaggio personale legato ad una separazione sentimentale (Giamaica, in Viaggi, Garzanti Elefanti 2005).

Ma il personaggio dello spregiudicato Capitano Charles Hunter, inglese, che combatte gli spagnoli, sa moltissimo di un suo antenato molto più ortodosso: il Capitano Hornblower, che nelle galere spagnole ci resterà per due anni da prigioniero.

Sembrano figure molto vicine e contrarie.

Hornblower è un comandante nato che combatte per la regia marina, Hunter è un corsaro, una sorta di irregolare con la patente di uccidere in segreto per la corona.

Dire che il romanzo di Crichton sia stato pensato con un occhio avido verso una futura sceneggiatura è pur vero, ma banale.

Se vale il fatto che la sua scrittura – alla fine – era divenuta carne per il cinema, ciò non cancella il suo personale approccio alla scrittura. Predisposta quasi naturalmente per gli adattamenti cinematografici. Crichton è stato medico, e quindi era in possesso di una formazione scientifica per cui si impara a scrivere con parole secche. La frase – come diceva Terzani quando scriveva per Der Spiegel – doveva essere “piccante”. Senza niente di più addosso.

Il suo corsaro risente molto di Hornblower e della sua epopea nei contenuti.

Forester aveva fatto sentire molto di più il mare in una saga di quasi millecinquecento pagine dove gli spagnoli vengono gradualmente sostituiti dagli odiati francesi di Napoleone.

Il capitano Charles Hunter è un avventuriero che in Giamaica, nel 1665, decide di espugnare un galeone ancorato in un’isola vicina a Matanceros, sotto gli occhi di un sadico comandante di nome Cazalla. Si tratta di un’impresa quasi impossibile. Così come era quella di espugnare Veracruz per il capitano De Grammont nell’omonimo romanzo di Valerio Evangelisti.

In entrambi i casi si tratta di uomini che hanno scelto la guerra di corsa per combattere gli spagnoli. Mentre in Evangelisti, però, la figura di Hornblower con tutti i suoi valori non è mai esistita, e dove vince una concezione meridionale (il sesso è preminente, cioè) della pirateria, in Crichton, invece, il sesso c’è ma passa senza sfiorare nessuno. Non fa danni. Evangelisti fa parte di un girone letterario tutto suo dove la guerra di corsa e la pirateria sono qualcosa di barbaro, un reparto dove la macellazione è garantita se ti prendono e dove lo stupro è una regola fissa a cui in qualche modo il lettore è preparato pagina dopo pagina. In “Tortuga l’io narrante vive di una donna meravigliosa – anche se muta – la quale si rivelerà una nemesi feroce per le sue voglie di uomo preso alla sprovvista. Solo che il sesso resta una componente molto forte, e molto partecipata di una vita dove il mare, l’assenza di regole in guerra e la voglia di godere lasciavano davvero poco ogni giorno in cui il sole cominciava a prendere l’orizzonte. Non è un sesso espresso, però, ma più che altro una vena mentale per cui nella vita di questi uomini è la donna che comanda. Lei viene presa una volta, ma l’uomo è preso tutta la vita… e, dunque, è in manette. È la concezione di Filippo II rinchiuso nell’Escorial dove la luce è preda del buio.

Crichton in questo è più wasp, molto più anglosassone.

La visione della guerra di corsa dell’americano è forse anche più feroce di quella di Evangelisti, ma non è così bulimica sulla pagina, insomma sprizza sangue meno rosso. In entrambi si respira lo studio della marineria e della guerra di corsa sul mare che – in moti autori – diventa quasi una sorta di prova di scrittura. Ci siamo chiesti il motivo per cui molti scrittori si cimentino in una nuova edizione del Corsaro Nero. Il punto di partenza resta il romanzo di Salgari.

La prima risposta che viene in mente quando si parla di pirati è che l’animo maschile sia in profondità un pozzo dove i giochi dell’infanzia restano sempre ad un centimetro dalla superficie. Stanno sempre sotto un velo molto sottile.

Le navi rappresentano isole ove la vita è il frutto di regole rigidissime che non esistono in altri luoghi. Sono luoghi atopici, insomma, dove tutto è possibile.

Le avventure in mare sono infinite come tutte diverse – in ogni menoma particella – ne sono le onde. Mai uguali.

Il Corsaro Nero nasce come romanzo per ragazzi e diviene la base di una letteratura per adulti dove si arriva a mescolare un arrembaggio con uno stupro per tenere meno acido il sapore di una storia ormai abusata.

Crichton scrive questo romanzo verso la fine della sua vita, quando la malattia gli ha già dato qualche potente strattone tipo quelli della Morte in “Vi presento Joe Black”. Deve aver pensato a quando navigava con la mente da piccolo e lì, in quella zona di calma apparente, ha provato a fermare un poco il battito del cuore .

Il romanzo di Crichton termina con la parola latina Vincit: come il suo autore, vittorioso sulla morte per aver navigato nei mari estremi anche da adulto. Tutti siamo stati bambini, ma pochi se ne ricordano, come diceva “Il Piccolo Principe”.

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  Nuove storie di pirati (parte II): Valerio Evangelisti, Arturo Perez–Reverte

 articolo di Alberto Pezzini

 A distanza di un anno, ma neanche visto che “Tortuga” è del gennaio 2008, tornano i pirati della Tortue di Evangelisti. Un euro in più, uguale numero di pagine – per la verità una in meno – “Veracruz” è il prequel di Tortuga. Parliamo di una città situata all’interno del Golfo del Messico, proprio nel cuore pulsante della Corrente del Golfo. Viene assalita dai nostri corsari, depredata, messa a fuoco, violentata nelle donne e denudata delle merci. Diventa un deserto. Siamo nel 1683 e Michel De Grammont, l’ultimo comandante guida dei Fratelli della Costa, prende questa decisione rivoluzionaria. Espugnare Veracruz, la città più importante della Nuova Spagna, distruggendo così tutta la rete dei contatti diplomatici europei dell’epoca. L’impresa sarà condannata anche dalla corona di Francia in nome della quale i Fratelli si dicono gli agenti segreti sui mari. Veracruz si trasforma così in un casus belli che condannerà i Fratelli ed il loro comandante. Ostaggio, lui, di una donna che riesce a far liberare, la sua sorella più piccola tumulata viva dentro una prigione inumana dai cattolici spagnoli. La sete di vendetta diventa per De Grammont una benda spessa sugli occhi e gli fa perdere la visione strategica dei mari. Insieme alla moribonda, un’altra presenza femminile che conturba le menti è Gabriela Junot – Vergara, preda del saccheggio, e stuprata con piacere apparente da uno dei comandanti del Re della Corsa. Tutto viene narrato dalla voce di Hubert Macary, ufficiale votato all’obbedienza più cieca se non fosse per quell’inclinazione incoercibile verso le donne fatte di senso e bellezza. Macary sarà poi colui che si perderà nelle ultime pagine di Tortuga scomparendo dentro una fine tanto nefasta quanto inattesa. La storia dei corsari è tutta qui, sempre con il solito meccanismo del romanzo d’appendice. Ogni paragrafo fa saltare di corsa verso l’altro, sempre con il fiatone. Evangelisti ha individuato un filone aurifero che sa gestire molto bene. L’impasto è il solito: avventura, sangue, intrighi, passioni e sesso. Qui, rispetto a “Tortuga”, è più fine, più lontano all’orizzonte ma lo si avverte come la vera molla della storia. Se si apre “Il Corsaro Nero” di Emilio Salgari (1898) ci si può toccare e pizzicare perché le cose non sono cambiate. La stessa orditura, la stessa velocità nella narrazione, soltanto con qualche pepita di appetito maschile concessa in più ai lettori (che sociologicamente si sono evoluti verso un tipo di avventura dove il sesso è divenuto una componente fisiologica).
Evangelisti ci confessa nella Nota finale di avere già in mente il terzo tomo con il titolo “Cartagena”, che prima o poi scriverà. Conterà le stesse pagine, costerà un euro in più, e sarà anch’esso capace di far sentire il mare come le conchiglie.

La mano di Evangelisti – quel che è giusto va detto – è però la più abile nell’arte di “affiancarsi” a Salgari e la sua capacità mimetica supera di gran lunga anche “I Corsari di Levante”, Tropea 2009, di Arturo Pérez–Reverte, che letto in controluce è più intellettualistico e meno maroso. Evangelisti – in fatto di corsari – è più audace, ha una maggiore visione fumettistica dell’intreccio che sa far pesare di più sulla bilancia. Perez Reverte è in affanno perché la sua mano resta quello dello spadaccino, dell’indimenticabile e supremamente terreste maestro di scherma Alatriste che – sul mare – fa la figura del piemontese alla spiaggia. D’altro canto gli spagnoli, con quei galeoni così pesanti, perdono sempre contro i corsari. È una legge che regola le storie della Corsa. La Spagna è sovrana di un impero dove il sole non tramonta mai. Sulla terra, però…  soltanto sulla terra.

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DIBATTITO SUL ROMANZO STORICO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/12/13/dibattito-sul-romanzo-storico/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/12/13/dibattito-sul-romanzo-storico/#comments Sun, 13 Dec 2009 18:15:58 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=985 dibattito-sul-romanzo-storicoImmagine 30 StoriaQuesto post, già avviato a partire dall’estate del 2009, si è progressivamente trasformato in un dibattito permanente sul romanzo storico.
Fino a questo momento hanno partecipato alla discussione i seguenti scrittori (li cito in ordine alfabetico): Andrea Ballarini, Rino Cammilleri, Giulio Castelli, Rita Charbonnier, Alfredo Colitto, Nicole Fabre, Andrea Frediani, Giulio Leoni, Giorgia Lepore, Simona Lo Iacono, Leda Melluso, Adriano Petta, Marco Salvador, Cinzia Tani, Jasmina Tešanović, Filippo Tuena.
Altri autori di romanzi storici, nel tempo, saranno invitati a partecipare.
Le domande poste per favorire la discussione sono le seguenti…

1. Quali caratteristiche dovrebbe necessariamente possedere il romanzo storico?

2. Quale dovrebbe essere la sua funzione?

3. Che cosa – viceversa – dovrebbe evitare?

4. Qual è, a vostro giudizio, lo stato di salute del romanzo storico, oggi, in Italia?

5. E nel resto del mondo?

6. Domanda-sondaggio: qual è il più grande romanzo storico di tutti tempi (quello che potrebbe essere eletto come “rappresentativo” del genere)?

La seconda parte del dibattito sul romanzo storico si è svolta in questo post.

Massimo Maugeri

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(Seguono il post del 26 luglio 2009 e i successivi aggiornamenti)
romanzo-storico-letteratitudineA partire da oggi, e per i prossimi giorni, qui su Letteratitudine proverò a condurre un dibattito sul romanzo storico. Per l’occasione ho invitato quattro protagonisti del settore: due scrittrici e due scrittori. Scrivo i loro nomi in rigoroso ordine alfabetico: Andrea Ballarini (foto in alto a sinistra, nel quadrante), Rita Charbonnier (in alto a destra), Marco Salvador (in basso a sinistra), Cinzia Tani (in basso a destra).
L’occasione è ghiotta. Discuteremo, con i quattro ospiti, del romanzo storico in generale e delle loro opere più recenti (nel farlo mi avvarrò anche dei contributi di Salvo Zappulla e Renzo Montagnoli).
Provo a porre alcune domande per favorire la discussione…

1. Quali caratteristiche dovrebbe necessariamente possedere il romanzo storico?

2. Quale dovrebbe essere la sua funzione?

3. Che cosa – viceversa – dovrebbe evitare?

4. Qual è, a vostro giudizio, lo stato di salute del romanzo storico, oggi, in Italia?

5. E nel resto del mondo?

6. Domanda-sondaggio: qual è il più grande romanzo storico di tutti tempi (quello che potrebbe essere eletto come “rappresentativo” del genere)?

Provate a rispondere alle domande!
L’invito è rivolto a tutti… e, in particolare, ai protagonisti di questo post (che invito a interagire tra loro).
Sono certo che ne verrà fuori una discussione molto interessante.
Di seguito, gli articoli sulle più recenti opere di Andrea Ballarini, Rita Charbonnier, Marco Salvador, Cinzia Tani.
Massimo Maugeri

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IL TRIONFO DELL’ASINO di Andrea Ballarini
Del Vecchio editore, pagg. 488, euro 17,50

articolo di Massimo Maugeri

Ho avuto il piacere di presentare Andrea Ballarini al Salone del libro di Torino insieme a Rita Charbonnier. Con il romanzo storico, “Il trionfo dell’asino”, ha aperto una nuova collana di narrativa dell’editore Del Vecchio.
Siamo nell’ultimo quarto del XVII secolo. Il protagonista del libro – e voce narrante della storia – è Giacomo Crivelli, figlio del Provveditore Generale di un Duca. Un giovane con una famiglia importante alle spalle, ma che è mosso da una passione che non viene compresa – o quanto meno assecondata – dai suoi familiari. Giacomo Crivelli ama il teatro. Incondizionatamente. Al punto da contravvenire agli indirizzi paterni su quello che dovrebbe essere il suo futuro e di unirsi a una compagnia di teatranti.
Nel corso del suo girovagare con l’Illustre Compagnia dei Comici Entusiasti, Crivelli incontra un uomo avanti negli anni e dal passato misterioso: Aristotele Cereri, (che viene assunto come scenotecnico all’interno della Compagnia). L’uomo rivela a Giacomo che la sua vita è votata a recuperare un tesoro molto particolare… e che questo compito gli è stato lasciato in eredità dal suo antico maestro: un filosofo nato a Roma nel 1583.
In seguito Aristotele rivela che il tesoro consiste in uno scritto… e che, secondo il suo maestro, nello scritto si cela un segreto, forse un diabolico incantesimo, in grado di sconvolgere l’ordinamento del mondo quale lo si conosce. Estremamente scettico, Giacomo – almeno all’inizio – non dà molto seguito a queste rivelazioni, sempre più determinato, invece, a perseguire la sua passione per il teatro e le teatranti. Perché – tra le altre cose – il protagonista del libro è… come dire… molto “sensibile” alle grazie femminili.
La compagnia però si sfascia e Giacomo si trova, giocoforza, costretto a seguire Aristotele nella sua ricerca (che li porterà in Francia, alla corte del Re Sole, e poi di nuovo in Italia, frequentando tanto salotti raffinati quanto umide e poco accoglienti stamberghe). Il tutto si complica per l’interesse che il manoscritto (un’antica commedia) suscita in più personaggi, anch’essi desiderosi di carpirne i contenuti che, se divenissero di pubblico dominio, potrebbero cambiare radicalmente le sorti del mondo. Insomma, a mano a mano che si procede nella lettura, il mistero si infittisce.
Questo romanzo è strettamente connesso al teatro per una serie di motivi: a) racconta le vicende di un gruppo di teatranti; b) il cuore del libro ha per oggetto la ricerca di un’antica commedia; c) il testo del romanzo offre, di tanto in tanto, stralci di commedia. In tal senso questo libro è un testo dotato di un’altissima valenza metaletteraria: un romanzo che guarda al teatro… che si rifà al teatro.
E Ballarini è bravo a mettere “in scena” (in questo caso il termine è azzeccatissimo) una storia ricca, complessa, con molti personaggi. Una storia lunga, ben gestita dall’inizio alla fine… nonostante la dimensione considerevole del testo. E lo fa con una scrittura sicura, efficace. Una prosa elegante, mai autoreferenziale.
Un libro che offre un piacevole e avventuroso viaggio tra i teatranti dell’Italia di fine 1600 e che – garantito! – consentirà al lettore di trovarsi in… buona compagnia.

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LA STRANA GIORNATA DI ALEXANDRE DUMAS di Rita Charbonnier
Edizioni Piemme, pagg. 374, euro 18,50

articolo di Salvo Zappulla

Rita Charbonnier è una di quelle donne predestinate al successo, ha nel sangue il dono dell’Arte e lo manifesta attraverso una personalità poliedrica ed esuberante, quale sia essa l’attività in cui si cimenta: il teatro, il cinema, la letteratura. Dopo il successo riportato con il romanzo “La sorella di Mozart” edito nel 2006 da Corbaccio, tradotto in ben dodici Paesi, si ripresenta con questo secondo avvincente romanzo (“La strana giornata di Alexandre Dumas“, Edizioni Piemme, pagg. 374, €18,50). Ancora una storia di donne strappate all’oblio e riconsegnate alla loro verità storica. Quasi un atto di giustizia sociale quello di Rita per ridare identità attraverso le sue opere letterarie a personaggi tenuti ingiustamente ai margini. Una storia scabrosa, un baratto di neonati per questioni di interessi che rischia di suscitare un terremoto nella Francia di fine Ottocento. Maria Stella Chiappini, la protagonista di questo romanzo, sembra permeata da un alone di magia, scaturita da una fiaba, o dalle radici del mondo; incanta con la sua eloquenza, incanta e seduce con la forza evocatrice delle parole. Incanta Alexandre Dumas che rimane ad ascoltare la sua straordinaria vicenda completamente rapito. Il grande scrittore trascorrerà con lei forse la giornata più intensa della sua vita. La stessa forza di narratrice che Rita Charbonnier trasmette al lettore, con una meticolosa descrizione dei costumi dell’epoca, il rapporto tra nobili e popolani, con particolare attenzione per il percorso psicologico e le azioni che danno slancio alla vicenda narrata. I suoi dialoghi, ora delicatamente ironici, ora drammaticamente lirici, affabulatori, nostalgici, malinconici. Le pagine dedicate all’incontro tra Maria Stella e la madre adottiva in punto di morte sono tra le più affascinanti, intense, coinvolgenti del romanzo. Così come anche le altre donne hanno un ruolo non indifferente nell’economia della storia, predominante rispetto agli uomini. Donne dotate di grande saggezza, un po’ compresse nel ruolo di semplici consorti, straripanti di personalità, desiderose di affermare la propria esistenza.

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LA PALUDE DEGLI EROI di Marco Salvador
Edizioni Piemme, pagg. 501, euro 20

articolo di Renzo Montagnoli

Avete presente quegli affreschi che nelle chiese si trovano nell’abside, che partono a sinistra dell’altare e in una serie di quadri successivi gli girano dietro per concludersi alla sua destra? Ecco, La palude degli eroi è strutturato così, come se Salvador fosse il pittore chiamato a celebrare la vita di un santo. E’ quindi tutta una serie di quadri, legati l’uno all’altro e che danno vita a un affresco di grande bellezza.
Se gli inglesi hanno avuto in Walter Scott con il suo Ivanohe il cantore del loro medioevo, mi sento tranquillamente di indicare l’autore pordenonese come il suo equivalente nel nostro paese.
In questo romanzo ci parla dei da Romano, quella famiglia che raggiunse l’apice della sua fama e fortuna con il condottiero Ezzelino, validamente coadiuvato dal fratello Alberico, ma la figura di questo personaggio, conosciuto, a torto o a ragione, come un sanguinario scompare quasi subito nella narrazione, poiché muore dopo la sconfitta subita a Cassano d’Adda per le gravi ferite riportate. Il fulcro invece di tutta la narrazione è costituito da uno straordinario personaggio, Guido da Romano, figlio adottivo di Alberico e figlio naturale di Ezzelino.
Non intendo raccontare la trama, che presenta in 501 pagine tanti fatti e accadimenti, una vera “summa” di questo protagonista, ultimo rimasto dei da Romano dopo la crudele esecuzione da parte dei papisti di Alberico e dell’intera sua famiglia. Non ci sarebbe infatti abbastanza spazio per una sintesi logica, né è mia intenzione privare il lettore di scoprire pagina dopo pagina il succedersi degli eventi.
Preferisco quindi scrivere di quello che ha suscitato in me questo romanzo, delle impressioni che ne ho ritratto, dell’emozione di cui è riuscito a pervadermi.
Ci troviamo davanti a una vera e propria opera d’arte, abbastanza fedele storicamente, e con tutta una serie di ceselli, che vanno dalla descrizione dei costumi per arrivare perfino alle abitudini alimentari, inseriti con abilità in modo non solo da soddisfare la curiosità, ma da consentire al lettore di immergersi progressivamente in un’epoca.
Fra l’altro, questo risultato è ottenuto in modo mai greve, tanto che il romanzo, se non fosse per la sua notevole lunghezza, si leggerebbe tutto d’un fiato.
Avevo già notato questa capacità di Salvador di avvincere in occasione della lettura del suo ciclo sui longobardi, ma in questo lavoro si è veramente superato, al punto che si ha l’impressione di essere presenti nella vicenda, come spettatori estasiati di un torneo o pavidi testimoni di una battaglia, di cui si ode lo scontro delle armi, si avverte il senso di paura e di follia che anima i contendenti e, perfino, sembra di fiutare l’odore dolciastro del sangue che inzuppa il terreno.
Ma questo, che pur è molto, non è nulla in confronto con la capacità di Salvador di rendere dinamiche le scene, così che si vedono i cavalli galoppare, giungere a contatto con quelli degli avversari, con campi lunghi e altri più ristretti, cogliendo particolari essenziali, proprio come in una pellicola cinematografica.
Adesso, quindi, potete capire il perché questo romanzo risulti particolarmente avvincente e il coinvolgimento è totale, nel senso che ci si dimentica di stare comodamente seduti su una poltrona, ma ci si vede accanto a Guido a duellare, oppure ad ascoltarlo quando si dichiara alla bella e umile Aurora. E questo alternarsi di scene cruente, di supplizi dolorosi, con immagini elegiache della campagna trevigiana, con stacchi incisivi su personaggi minori, che però sono funzionali al racconto, consente di trarre respiro, permette al lettore di abbassare il ritmo, pause indispensabili in una trama che galoppa come un cavallo selvaggio.
Non posso anche dimenticare l’abile caratterizzazione dei protagonisti, nessuno tutto buono o tutto cattivo, ma uomini con pregi e difetti, sia fra gli alleati di Guido che fra i suoi nemici. Se la figura di Ezzelino da Romano viene un po’ rivalutata, nel senso che la sua ferocia non era dissimile da quella dei potenti della sua epoca, un trattamento particolare viene riservato alla Chiesa di Roma, intrigante, superba, prepotente e sempre pronta a incrementare i suoi possedimenti. Per fortuna, però, esistono anche umili preti, che con il loro esempio, la loro fede e umanità consentono che una religione non venga identificata con la sua struttura politico-amministrativa; nel romanzo ne troviamo, ancore di salvezza in un mondo di lupi che si sbranano e in cui i potenti, come oggi, decidono delle sorti degli altri uomini.
Non mancano quindi anche motivi di riflessione che finiranno con l’emergere una volta ultimata la lettura, toccando argomenti che credevamo antichi e che invece sono ancora del tutto in corso. Questo è un altro dei pregi di questo lavoro ed è giusto sottolinearlo, perché la narrazione non è fine a se stessa e così riesce a coniugare la spettacolarità con la sostanza, compito questo in cui mi sembra che Salvador sia riuscito assai bene.
La palude degli eroi è un’opera d’arte, un romanzo di rara grande bellezza che vi consiglio di leggere, sicuro che alla fine rimarrete stupiti e soddisfatti.

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LO STUPORE DEL MONDO di Cinzia Tani
Mondadori, pagg. 319, euro 19

articolo di Massimo Maugeri

Cinzia Tani non ha bisogno di presentazioni: giornalista e scrittrice, autrice e conduttrice di programmi televisivi e radiofonici. Ha pubblicato diversi volumi, tra romanzi e saggi, aggiudicandosi svariati premi.
L’otto marzo 2004 il Presidente della Repubblica Ciampi ha scelto Cinzia Tani insieme ad altre undici donne per conferirle l’onorificenza di Cavaliere dell’ordine “Al merito della Repubblica Italiana”. Il precedente romanzo “Sole e ombra” (Mondadori, oggi disponibile nella collana Oscar besteller) ha vinto il Premio selezione Campiello 2008.
Di recente è uscito un nuovo romanzo storico, sempre edito da Mondadori, ambientato a Roma nel 1201: “Lo stupore del mondo”, da dove emerge la figura di Federico II.
Ecco la trama…
Il piccolo Pietro si è appena abbandonato all’abbraccio della levatrice, quando un tuono improvviso irrompe su palazzo Graziani, la balia perde la presa e il primo dei due gemelli appena venuti alla luce le scivola dalle mani. In quel tuono inspiegabile, a ciel sereno, è racchiuso il cattivo presagio che condiziona il destino di Pietro: nel suo volto, irrimediabilmente deturpato dalla caduta, molti leggono un segno del demonio, gli altri vengono respinti dalla sua deformità. Con il tempo l’isolamento rende il ragazzo diffidente, cupo e determinato, almeno quanto suo fratello Matteo cresce fiducioso e remissivo, ben voluto da tutti. Solamente il sogno di diventare cavaliere sembra accomunarli, ma ciascuno per realizzarlo seguirà il proprio temperamento e i propri ideali, che li porteranno inevitabilmente a combattere su fronti opposti.
Lontano da Roma, dalle rovine dell’antico impero e dai rigori della Santa Sede, vivono invece gli altri protagonisti del romanzo, la bella Flora dagli occhi immensi, curiosa e indipendente, e il suo amato e sfuggente Rashid, il ragazzino arabo che sa parlare agli uccelli. Separati dai conflitti religiosi di una Sicilia assolata e rigogliosa, i due si ritroveranno nuovamente insieme, adulti, nella reggia pugliese dell’imperatore, a Foggia. Ed è proprio Federico II, lo svevo dai capelli fulvi e lo sguardo acuto, il poeta con la passione per le arti e le scienze naturali, l’uomo potente impegnato nei continui conflitti con il Papato e la Lega Lombarda, a muovere Pietro, Matteo, Flora, Rashid e tutti gli altri personaggi, a spingerli a congiungersi o scontrarsi seguendo l’amore e la gelosia, il tradimento e la vendetta. Fino al rogo della città di Victoria, alle porte di Parma, dove l’imperatore ha trasferito il tesoro, l’harem, i serragli con gli animali esotici e il suo prezioso trattato sulla caccia con il falcone. E dove ogni destino troverà compimento
.
Per Francesco Fantasia Lo stupore del mondo (cfr. “Il Messaggero” pag. 21 dell’11-5-09), “è il romanzo più maturo di Cinzia Tani, che mette adesso il suo talento narrativo al servizio di una storia traboccante di calore e colore, ambientata in un Medioevo distante dai diffusi stereotipi. C’è sentimento, avventura, mistero, in questo libro corale in cui si incrociano i destini di una folla di personaggi che si amano, si odiano, si combattono, in una altalena di passioni e tradimenti che durerà mezzo secolo. (…) Cinzia Tani si immerge senza reticenze nei meandri della Storia, fa i conti con le debolezze e le ambiguità dell’umana natura. E quando si finisce di leggere il suo romanzo, non si vorrebbe ancora uscire da questo XIII secolo ricco di passioni e di miti religiosi: un mondo pullulante di vita che ci appare a tutta prima irrimediabilmente lontano e che scopriamo invece straordinariamente vicino”.
Motivo in più, quello evidenziato sopra, per immergersi nelle pagine di questo ottimo libro.

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AGGIORNAMENTO DEL 27 LUGLIO 2009

Aggiorno il post con questo video dove Cinzia Tani, Rita Charbonnier e Leda Melluso discutono del rinnovato interesse per il romanzo storico. Conduce l’intervista Elisabetta Bucciarelli. Il video è stato registrato il 16 maggio 2009 per Booksweb.tv in uno studio all’interno della XXII Fiera Internazionale del Libro di Torino.

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AGGIORNAMENTO DEL 31 LUGLIO 2009

Aggiorno il post per presentare e invitare due nuovi autori di romanzi storici. Premetto che nel corso della discussione è intervenuto lo scrittore Filippo Tuena – firma autorevole – che è già stato ospite di Letteratitudine in altre circostanza (qui e qui).

In questo momento trovate in libreria “I diari del Polo”, volume curato – appunto – da Filippo Tuena.

Adesso ho il piacere di presentarvi due scrittori che pubblicano con la Newton Compton: Andrea Frediani e Giulio Castelli.

Andrea Frediani vive e lavora a Roma, dove è nato nel 1963. Laureato in Storia medievale, pubblicista, è stato collaboratore di numerose riviste di carattere storico, tra cui «Storia e Dossier», «Medioevo» e «Focus Storia». Tra i suoi libri ricordiamo: “Il sacco di Roma”, “Costantinopoli, l’ultimo assedio e Attila”. Con la Newton Compton ha pubblicato “Gli assedi di Roma”, vincitore nel 1998 del premio «Orient Express» quale miglior opera di Romanistica, “Le guerre dell’Italia unita”, “Gli ultimi condottieri di Roma”, “Le grandi battaglie di Roma antica”, “Le grandi battaglie di Napoleone”, “Guerre e battaglie del Medioriente nel xx secolo”, “I grandi generali di Roma antica”, “Le grandi battaglie di Giulio Cesare”, “Le grandi battaglie di Alessandro Magno”, “Le grandi battaglie dell’antica Grecia”, “I grandi condottieri che hanno cambiato la storia”, “Le grandi battaglie del Medioevo” e i due romanzi di grande successo “300 guerrieri” e “Jerusalem”. (Ulteriori informazioni, qui).

Giulio Castelli, romano, narratore e saggista, è cultore e studioso di storia medievale e tardoantica. Giornalista professionista, ha coordinato i servizi culturali di due quotidiani e ha condotto trasmissioni radiofoniche. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo il romanzo “Il fascisti bile” e il pamphlet “Il leviatano negligente”. (Ulteriori informazioni qui)

A settembre usciranno due loro nuovi libri: “I 101 segreti che hanno fatto grande l’impero romano” di Andrea Frediani e “Gli ultimi fuochi dell’impero romano” di Giulio Castelli (trovate le immagini di copertina in basso).
Avremo modo di parlare dei suddetti libri nel corso della discussione.

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AGGIORNAMENTO DEL 24 AGOSTO 2009
Aggiorno il post segnalando la partecipazione al dibattito di due ulteriori scrittori di romanzi storici: Giorgia Lepore (autrice della Fazi editore) e Rino Cammilleri (autore Rizzoli).

giorgia-leporeGiorgia Lepore (nella foto) vive in Puglia, a Martina Franca. E’ archeologa e insegnante di storia dell’arte nelle scuole superiori. Dopo la laurea di Lettere con tesi in Archeologia Cristiana presso La Sapienza, ha conseguito presso la stessa sede il dottorato di ricerca in Archeologia e Antichità postclassiche, la specializzazione in Archeologia Medievale, e infine è stata assegnista di ricerca presso l’Università di Bari, nell’ambito del progetto di ricerca “L’insediamento medievale di Lama d’Antico a Fasano: l’abitato e la chiesa in grotta. Rapporti con altri insediamenti rupestri del territorio e con il sopraterra”. Ha insegnato presso la sede di Taranto del corso di Laurea in Beni culturali e collabora con la cattedra di Archeologia e Storia dell’Arte Paleocristiana e Altomedievale presso l’Università di Bari.
Ha al suo attivo varie coordinazioni di scavi in siti archeologici di tutta Italia e pubblicazioni in riviste specializzate e atti di convegni. Le sue attività di ricerca si incentrano soprattutto sull’altomedioevo italiano, specie pugliese e meridionale; sull’archeologia degli elevati e sullo studio delle strutture murarie; negli ultimi anni ha portato avanti e pubblicato vari lavori sugli insediamenti rupestri e sull’assetto del territorio nel medioevo.
L’abitudine al sangue” è il suo primo romanzo:
“II tuo futuro non è oggetto di discussione, né ora né mai. Il mese prossimo verrai avviato alla carriera militare”: crollano così i sogni di Giuliano, figlio dell’imperatore di Bisanzio, posto dal padre a capo dell’esercito. Il giovane, incapace di sopportare la perdita di vite umane, la vista e l’odore del sangue, grazie anche all’amore della prostituta Eucheria troverà il coraggio di ribellarsi al ruolo impostogli. La vendetta paterna sarà feroce: Giuliano, ridotto a schiavo e torturato fin quasi alla morte, è rinnegato e rinchiuso in un monastero. Da qui ha inizio il lento percorso interiore del protagonista, il suo confronto con il dolore per la perdita della donna amata e l’abbandono da parte di Dio e del padre, fino al raggiungimento della pace nell’epilogo del romanzo.

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Rino Cammilleri (nella foto) è nato a Cianciana (Ag) il 2.11.1950, dopo il liceo ad Agrigento si è laureato in Scienze Politiche a Pisa. Ha esordito come assistente di Diritto Diplomatico e Consolare nella stessa facoltà per poi dirottarsi sull’insegnamento di materie giuridiche ed economiche nelle scuole secondarie. Dopo aver lasciato il mondo della scuola, oggi fa esclusivamente lo scrittore, l’editorialista e il conferenziere. Attualmente collabora con varie testate nazionali. Come romanziere Cammilleri predilige il giallo storico, nel quale si è più volte cimentato (vedi la sezione sui libri). Non solo. Un altro dei suoi campi di attività è il fumetto: per le Edizioni ReNoir ha ideato una serie che si intitola «Gli Sconfitti». Il suo nuovo romanzo si intitola “Il crocifisso del samurai“:
1637: GIAPPONE
La grande rivolta dei samurai cristiani.

È l’alba quando la giovane Yumiko viene prelevata dalle guardie dello Shogun e torturata pubblicamente. La sua unica colpa è essere figlia di Kayata, samurai cattolico che non ha potuto pagare le tasse alle autorità, i cui uomini ormai da anni umiliano i cristiani di Shimabara con una violenza cieca e annientatrice. Ma nonostante la miseria e il sangue fatto scorrere per fiaccare la loro volontà, gli abitanti del villaggio si raccolgono attorno al simbolo di cui nessuno può privarli: il crocifisso di Cristo. Lo stesso al quale i primi cristiani giapponesi venivano inchiodati dalle guardie dello Shogun. La violenza su Yumiko è la scintilla che spinge uomini e donne alla ribellione estrema: rifugiati nel castello di Hara si oppongono al giogo persecutorio e a un destino ineluttabile. L’assedio da parte degli uomini dello Shogun dura cinque interminabili mesi, senza cibo e possibilità di scampo, ma quel “branco di contadini”, guidati dall’Inviato del Cielo, da Kayata e dal suo discepolo Kato, resistono, aggrappandosi alla speranza incrollabile nella resurrezione. Perché solo la fede può superare ogni sopraffazione e dare linfa vitale a un popolo in lotta.
Il crocifisso del samurai, l’opera forse più ambiziosa di un autore che ha trascorso la vita a indagare la storia della cristianità, è uno struggente romanzo storico capace di toccare le corde più profonde dell’anima esplorando le radici del concetto stesso di fede. L’epica ribellione dei samurai cristiani di Shimabara nel 1637 – dopo la quale per due secoli il Giappone si chiuse a ogni contatto con l’esterno – rivive in un affresco crudo e realistico, denso di azione e di colpi di scena, che testimonia l’eroismo di chi è morto per non rinnegare il proprio credo.

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13 dicembre 2009

AdrianoPetta.gifAdriano Petta - amico di Letteratitudine di antica data - è nato a Carpinone (IS) nel 1945. Romanziere, studioso di storia della scienza e medievalista, ha dedicato parte degli ultimi vent’anni alle ricerche per i suoi romanzi storici. Nel 1995 ha tradotto dal castigliano il racconto di Clarín La duchessa del trionfo (EDIS, La Collanina-Classici in breve, 1995), facendolo precedere da un piccolo saggio sull’Arte del romanzo («Nel rogo del calamaio»). Oltre alla produzione di romanzi, negli ultimi anni è stato collaboratore del quotidiano Il Manifesto con articoli d’interesse storico legati soprattutto al Medioevo e all’Inquisizione. Collabora con l’inserto letterario del settimanale Rinascita. Suoi racconti ed interventi di carattere storico sono stati pubblicati su svariate riviste e webzine (Carmilla-on-line etc.)
Tra i suoi romanzi pubblicati, ricordiamo: Ipazia, vita e sogni – di una scienziata del IV secolo (La Lepre Edizione, ottobre 2009); Assiotea – la donna che sfidò Platone e l’Accademia (Stampa Alternativa, novembre 2009); Eresia pura: dissidenza e sterminio dei catari (Stampa Alternativa, Viterbo, 2001), romanzo storico.

La sua pubblicazione più recente è “Assiotea – la donna che sfidò Platone e l’Accademia”: Fliunte, Ellade, 350 a.c. – un misterioso assassino uccide per impossessarsi di un antico codice. Forse nel grande ordinamento di Leucippo si nasconde un terribile segreto. E mentre nelle miniere d’oro della Tracia gli schiavi rinvengono statuette dal bel volto di fanciulla che elevano a simbolo di libertà, nell’accademia platonica di Atene, l’astronomo Eudosso di Cnido con quelle statuine sta costruendo una strana mappa. Assiotea, inconsapevole eroina, si ritrova al centro di un intrico che farà di lei la prima donna ammessa all’accademia. Aiutata da personaggi eccezionali come Iperide, Diogene e Focione e avversata da giganti come Aristotele e Platone, lotta per far abolire la schiavitù e mutare la disumana condizione della donna, e nello stesso tempo per svelare il mistero delle statuine e dell’antico codice di Leucippo. Ma un implacabile guardiano vigila affinché il segreto non venga svelato, uccidendo chiunque si avvicini troppo all’arcano della casa del cielo.
Ho invitato Adriano Petta a discutere con noi di questo suo nuovo libro e del romanzo storico in generale.

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AGGIORNAMENTO del 17 febbraio 2010

Aggiorno il post introducendo altri tre scrittori di romanzi storici: Giulio Leoni, Alfredo Colitto e Jasmina Tešanović.
Ne approfitterò per discutere dei loro nuovi romanzi e invitare gli autori a partecipare al dibattito.

Giulio Leoni (Roma, 12 agosto 1951), narratore e autore di testi poetici e critici, si laurea in Lettere Moderne con tesi sui linguaggi della poesia visiva. Oltre a collaborare con saggi e testi creativi alle maggiori pubblicazioni specializzate, negli anni ‘80 fonda e dirige la rivista Symbola, dedicata all’analisi della poesia e della letteratura sperimentali. Attualmente insegna Teoria e tecniche della scrittura creativa presso la Sapienza di Roma. A questa sua attività si accompagna nel tempo un crescente interesse per la narrativa, cui si dedica realizzando una serie di romanzi e racconti del mistero per lo più ambientati in epoche passate e basati su suggestivi enigmi storici, come nel ciclo dedicato alle avventure investigative di Dante Alighieri.
In altri scritti affronta poi temi più decisamente legati al giallo, l’avventura, la fantascienza e l’orrore, esplorando pressoché tutto il campo del fantastico. Tra gli autori italiani di genere più conosciuti all’estero (sue opere sono state tradotte in una quarantina di paesi), alla produzione maggiore affianca una serie di romanzi per ragazzi in cui rielabora i suoi temi in forme adatte a un lettore giovanile. Collabora inoltre con Il Falcone Maltese, rivista dedicata al noir, dove cura la rubrica dedicata ai prodromi della narrativa poliziesca.
Nel 2000 vince il Premio Tedeschi per il romanzo “Dante Alighieri e i delitti della Medusa”, e nel 2006 il Premio Lunigiana per la narrativa giovanile. Con lo pseudonimo di J.P. Rylan ha scritto alcuni romanzi fantasy.

Il nuovo romanzo di Giulio Leoni si intitola “La regola delle ombre” (Mondadori, 2009, pagg. 415, euro 19).
Un incendio illumina la sera invernale di Firenze, devastando la prima stamperia a caratteri mobili della città. Con la vita del tipografo, le fiamme cancellano anche l’opera promessa a Lorenzo de’ Medici: un libro segreto e meraviglioso, impresso con il “carattere perfetto”. Accorsi sul posto, il Magnifico e l’amico Pico della Mirandola si rendono conto che non si tratta di un incidente: il corpo del tipografo pende dalla macchina per la stampa, la testa imprigionata nel torchio. A complicare il quadro del delitto, l’apparizione nei paraggi di una donna misteriosa che sembra essere la bellissima Simonetta Vespucci, morta anni prima nel fiore dell’età. Chi mai potrebbe averla richiamata tra i vivi? Pico è scettico. Si chiede se l’opera distrutta non sia l’oscura Regola delle Ombre, come sembra credere Lorenzo de’ Medici: l’antichissimo rituale che dischiude i cancelli del sepolcro. Un manoscritto passato per le mani di Leon Battista Alberti e scomparso dopo la sua morte. C’è un solo modo per scoprirlo: indagare a Roma sulle tracce lasciate dal grande architetto. Su incarico di Lorenzo, Pico parte per la città eterna deciso a servirsi del suo acume e della sua prodigiosa memoria per trovare una spiegazione razionale a delitti e apparizioni.
Ho invitato Giulio Leoni a intervenire in questa discussione sul romanzo storico.

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Alfredo Colitto scrive e traduce, soprattutto thriller, per alcune delle maggiori case editrici italiane. Il thriller storico Cuore di Ferro, primo volume di una trilogia ambientata nel XIV secolo, è uscito per Piemme a febbraio 2009 ed è stato venduto anche in Spagna e in Germania. Nel 2009 ho pubblicato anche Il candidato, noir di ecomafia per la collana Verdenero (Edizioni Ambiente). Altri suoi romanzi sono: Aritmia Letale (incluso nel Giallo Mondadori n. 2977 con il titolo Medicina Oscura), Duri di Cuore (Perdisa), Café Nopal (alacrán) e Bodhi Tree (Crisalide).
Ho partecipato a numerose antologie di racconti, tra cui: Killers & Co. (Sonzogno), Fez, struzzi e manganelli (Sonzogno), Il ritorno del Duca (Garzanti), History & Mystery (Piemme), Anime Nere Reloaded (Mondadori).
Insegna scrittura creativa presso la scuola “Zanna Bianca” di Bologna.

È appena uscito il suo nuovo romanzo: “I discepoli del fuoco” (Piemme, 2010, pagg. 429, euro 20).

Bologna, autunno 1312. Mondino de’ Liuzzi, medico anatomista, viene incaricato dal podestà di far luce su una morte strana e orribile: un membro del Consiglio degli Anziani è stato ritrovato carbonizzato in casa sua, eppure nella stanza nulla fa pensare a un incendio. Perfino la poltrona su cui l’uomo era seduto è rimasta quasi integra, mentre il corpo è bruciato in modo irregolare. I piedi sono illesi, un braccio è interamente ustionato, tutto il resto è ridotto in cenere. Mondino fa trasportare il cadavere nel suo studio per esaminarlo. Non riesce a svelare come è morto, ma sollevando con il coltello da dissezione la pelle bruciata del braccio scopre i resti di un tatuaggio: un mostro alato, con la testa di leone e il corpo avvolto nelle spire di un serpente. La mattina seguente il cadavere scompare. Qualche tempo dopo, un frate francescano viene ritrovato morto nel quartiere dei bordelli. In tasca ha un disegno molto simile al tatuaggio scoperto da Mondino. L’indagine sui due morti rivela l’esistenza di una setta di adoratori di Mithra, dio persiano del sole e del fuoco, adorato anche dai romani sotto il nome di Sol Invictus. Con l’aiuto di Gerardo da Castelbretone, un ex templare con cui ha stretto amicizia, Mondino viene a sapere che la setta si propone di salvare l’intera città per mezzo del fuoco purificatore: un grande incendio rituale in cui le anime di quelli che moriranno si riuniranno con Mithra.

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Jasmina Tešanović (Cirillico: Јасмина Тешановић) è una scrittrice, giornalista, traduttrice e regista serba. È l’autrice di “Normalità. Operetta morale di un’idiota politica“, un diario di guerra scritto durante il conflitto del 1999 in Kosovo. Da allora ha pubblicato tutti i suoi lavori, diari, racconti e documentari su blog e altri media, sempre legati ad Internet.

Di recente Jasmina Tešanović ha pubblicato il romanzo “Nefertiti. L’amore di una regina eretica nell’antico Egitto” (Stampa alternativa, 2009, euro 13, pagg. 125)

Nasce da un’ossessione questa rievocazione di un’antica regina egiziana. L’ossessione per un’eresia fallita, quella di Nefertiti che vuole abbattere la tradizione usando la bellezza, il rispetto e l’arte. Ma un’altra eresia fallita è quella vissuta dall’autrice: yugoslava prima di essere serba, ha respirato l’esaltazione e poi la caduta di un movimento che non voleva allinearsi al blocco sovietico né farsi colonizzare dall’Occidente. Così Nefertiti, condannata lei stessa come eretica, diventa il simbolo di un mondo ancestrale più che mai attuale caratterizzato da lotte di potere, invidie, donne sottomesse all’oligarchia patriarcale ed emarginazione. Questo romanzo sfonda la barriera del tempo per restituirci una sovrana tanto lontana quanto moderna. Perché “Nefertiti è qui”. (Prefazione di Bruce Sterling)

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AGGIORNAMENTO del 26 marzo 2010

La ragazza dal volto d’ambradi Leda Melluso
Piemme, 2009 – pagg. 364 – euro

Palermo, 1221. La Sala Verde, con le sue danze voluttuose, la musica e le conversazioni filosofiche, è l’unico luogo in cui Federico II di Svevia ami stare. Negli ultimi tempi, infatti, pare che fuori da quelle quattro mura gli sia impossibile trovare pace. Ci sono le richieste insistenti del Papa che necessita del suo aiuto e delle sue truppe per una nuova crociata in Terra Santa, la misteriosa scomparsa del suo medico e consigliere, Andrea Filangieri, morto probabilmente per avvelenamento, e lo strano comportamento di alcuni dei suoi uomini più fidati.
Quella sera, però, alla debole luce delle candele, Federico è riuscito a dimenticare gli oneri del sovrano e si è lasciato sedurre dai movimenti lenti e sinuosi di una delle danzatrici. È splendida. E a un tratto ha osato avvicinarsi con un’audacia che lui aveva visto solo in battaglia, e gli ha parlato.

L’imperatore non può rimanere indifferente di fronte a una sfida così allettante e vuole con sé la donna, nella propria stanza, stregato da tanta temerarietà. Ma la mattina seguente, dopo averla cercata invano a palazzo, Federico scopre la vera identità della sua amante: è Amina, la figlia del più acerrimo dei suoi nemici, l’emiro Muhammad ibn ‘Abbad, e molto probabilmente è una spia.
Capirà che la donna è solo un’esca e che a minare il suo potere è un segreto che viene tenuto nascosto dal giorno della sua nascita, un segreto torbido e spaventoso che qualcuno vuole usare per ucciderlo.

Leda MellusoLeda Melluso è nata nel 1947 ad Arezzo, ma vive a Palermo, dove ha insegnato letteratura italiana e latina nei licei. È autrice di testi scolastici per la scuola media superiore e di numerosi saggi sulla storia della Sicilia. La ragazza dal volto d’ambra è il suo primo romanzo.

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BIRGITTA TROTZIG, GÜNTER GRASS E POETI LETTERATITUDINIANI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/01/13/birgitta-trotzig-gunter-grass-e-poeti-letteratitudiniani/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/01/13/birgitta-trotzig-gunter-grass-e-poeti-letteratitudiniani/#comments Tue, 13 Jan 2009 22:58:43 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/01/13/birgitta-trotzig-gunter-grass-e-poeti-letteratitudiniani/ poesia.jpgQuesto è un post dichiaratamente dedicato alla poesia…
Colgo l’occasione per presentare le nuove opere poetiche di due grandi autori: Birgitta Trotzig e Günter Grass. E contestualmente ne approfitto per presentare le silloge di alcuni poeti che – in un modo o nell’altro – hanno “incrociato” questo blog. Mi piace chiamarli poeti letteratitudiniani: Cristina Bove, Domenico Calcaterra, Carlo Carabba, Andrea Di Consoli, Elio Distefano, Gianfranco Franchi, Patrizia Garofalo, Marco GattoRenzo Montagnoli, Alfio Patti, Leandro Piantini, Franco Romanò, Maria Teresa Santalucia Scibona.
In fondo al post troverete le immagini delle copertine dei libri coinvolti. Cliccandoci sopra si apriranno pagine di approfondimento.
Mi piacerebbe che i poeti letteratitudiniani (ne approfitto per precisare che nessuno di loro è stato messo al corrente di questo post) ci presentassero la loro opera e ci offrissero una poesia da essa estratta (magari quella che ritengono particolarmente significativa). Poi li invito a interagire tra loro… e a rispondere alle eventuali domande degli altri frequentatori del blog.

Ai poeti letteratitudiniani chiedo: quando avete incontrato la poesia?

A tutti chiedo, rifacendomi a questo vecchio post (la poesia specialità dei perdenti?)
- ha ancora senso, oggi, scrivere e leggere poesie?
- perché scriverle? perché leggerle?

Veniamo a Birgitta Trotzig e a Günter Grass: le loro opere poetiche che ho il piacere di segnalarvi sono “Nel fiume di luce. Poesie 1954-2008” (Mondadori) di Birgitta Trotzig (tradotte e curate da Daniela Marcheschi) e “Dummer August” (Raffaelli) di Günter Grass (con prefazione di Claudio Groff).
I due suddetti volumi, e gli approfondimenti che leggerete di seguito, mi stimolano a formulare altre due domande:
- fino a che punto la parola può essere intesa come principio generativo, come legge per la creazione del mondo? (riferimento a Trotzig)
- se ogni “macchia vincola” fino a che punto la parola può, se non cancellarla, quantomeno… compensarla? (riferimento a Grass)
Di seguito la recensione di Bianca Garavelli (per il libro della Trotzig) e una scheda sulla silloge di Grass.

Massimo Maugeri

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“Nel fiume di luce. Poesie 1954-2008″ di Birgitta Trotzig – € 13,00 – 2008, XXV-251 p., Curatore Daniela Marcheschi  – Mondadori

di Bianca Garavelli- Avvenire del 27/12/2008

La parola come principio generativo, ‘legge’ per la creazione del mondo. È questa l’idea centrale che anima la poesia della svedese Birgitta Trotzig, intensa protagonista della letteratura del suo paese nel Novecento e oltre.
Un’autrice, nata a Goteborg nel 1929, fin da giovanissima dedita alla scrittura e fin da giovane convertita alla fede cattolica, in cui la forte dimensione religiosa ha segnato a tal punto la scrittura da creare una sorta di fusione fra i generi, attraverso uno stile visionario in cui la potenza generativa della parola si esprime creando immagini e metafore vertiginose, senza distinzioni asfittiche fra prosa e poesia.
Daniela Marcheschi ne ha adesso tradotto curato con affettuoso rigore un’edizione complessiva per Mondadori, che raccoglie, con ricche scelte antologiche, tutti i principali libri poetici di Birgitta Trotzig. E ha il valore aggiunto di un dialogo costante fra traduttrice e autrice. Il titolo, Nel fiume di luce, sintetizza bene la potenza visionaria di questa poesia che, per certi aspetti, somiglia a quella del Dante paradisiaco, quando descrive i più alti luoghi dei beati, dove le presenze individuali si fondono e trasformano in una continua mutazione di forme luminose.
Così, come nel contrapporsi che è anche un fondersi fra bene e male, la poesia e la prosa di Trotzig sembrano partecipare dell’energia che ha dato origine all’universo, ne sono la prova letteraria, per così dire. E se le sue poesie tendono ad assumere ritmi prosastici, con versi lunghi e immagini complesse che si dipanano in ampi spazi sulla pagina, anche nei suoi romanzi, per ora non tradotti in Italia, gli stessi temi e gli stessi ritmi della poesia trovano dimora. Come in Levande och doda (‘Vivi e morti’), dove luce e ombra, vita e morte coesistono mostrando come nella materia misteriosa che compone l’universo sia proprio la compresenza degli opposti la sostanza, e la scintilla che genera la vita.
Sono riflessioni che ricordano, in parte, l’idea visionaria di un racconto di Borges, La scrittura del dio, il cui protagonista ricorda un’antica tradizione, secondo cui una frase di origine divina, scritta alle origini della terra, avrebbe scongiurato i mali del mondo. Così nella scrittura di Trotzig la parola è essere vivente, perfettamente partecipe della natura dei viventi lettori, e al tempo stesso chiave per accedere al mistero. Lo si comprende dal modo in cui l’autrice lascia muovere le immagini, come se una volta posate sul foglio procedessero con movimento proprio (e Immagini è il titolo del suo libro del 1954), che parlano dei misteri della fede, come nella poesia Getsemani che con incredibile partecipazione emotiva racconta l’inizio della Passione.
O in quella dedicata al ‘Bambin Gesù’ di Praga, ‘travestito nell’abito d’oro scuro da imperatore’, dove la presenza oggettiva del mistero nella realtà quotidiana è filtrata attraverso il ricordo di un viaggio. Infatti l’altro aspetto importante della scrittura di Trotzig, coesistente con la visionarietà, è la sua densa corporeità, la capacità di entrare nella materia del mondo e riviverla, con la stessa intensità con cui penetra senza paura nella dimensione cosmica. Come di un viaggio nell’anima l’autrice può parlare della sua stessa vita, e dell’amore che prova per le terre in cui ha vissuto, tra cui l’Italia, superando i «Confini della parola» (titolo di un altro suo libro, del 1968) grazie al duttile strumento poetico che ha costruito.
Bianca Garavelli

da “Nel fiume di luce” di Birgitta Trotzig
Il viaggio fuori da un’asfissia, la nascita che riduce in pezzi sotto e sopra. Urlo, grido, sillabe. Più nessuna pretesa, nessuna esigenza sopravvissuta, non si dichiara niente su alcunché – si invoca, si rivolge la parola, si elemosina, si scongiura, fastidio, prima nell’invocazione “io”, prima nell’invocazione “vivo”.
Parola, riti, cattedrali, spezzati, infranti, esplosi, sudici. Nel buio, attraverso il buio, grido senza voce, parola rivolta senza labbra. Tutto il tempo “fa ruotare la terra con il suo peso di vivi e morti”.

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Dummer August – Günter Grass – € 12,00 – 2008, 110 p. – Raffaelli (collana Poesia contemporanea)

Questa raccolta nasce come reazione -risposta agli attacchi, spesso molto violenti, che in Germania – ma anche in Italia e un po’ in tutta Europa hanno accolto la confessione di Grass (contenuta nell’autobiografia “Sbucciando la cipolla”) di aver fatto parte per poche settimane negli ultimi mesi di guerra, a diciassette anni, di un’unità delle temute Waffen-SS, corpo elitario dell’esercito tedesco composto da fedelissimi di Hitler (ne abbiamo parlato anche qui). Un evento spiacevole che in qualche modo ha scalfito l’immagine di un uomo e di uno scrittore che fino a quel momento (agosto 2006) si era sempre trovato “dalla parte giusta” ed era considerato la coscienza critica della Germania. Con queste poesie, Grass si difende con le sue armi, quelle del grande scrittore che sa trascendere ampiamente dall’occasione fornita dall’episodio.
Con testo originale a fronte. I traduttori sono Claudio Groff, Claudia Crivellaro, Caterina Barboni, Elena Bollati, Velia Februari e Irene Montanelli.

LA MIA MACCHIA
Tardi, dicono, troppo tardi.
In ritardo di decenni.
Annuisco: sì, ce n’è voluto
prima che trovassi parole
per l’usurata parola vergogna.
Accanto a tutto ciò che mi rende riconoscibile
ora mi rimane appiccicata una macchia,
netta quanto basta
per gente
che indica con dito senza macchia.
Addobbo per gli anni che restano.
O forse si doveva provare il travestimento,
stendere il velo pietoso?
D’ora in poi mi circonderebbe la quiete
in mezzo a rane gracidanti.
Ma già dico sì, no e nonostante.
Non si può mascherare
il torto sanzionato.
Mai troppo tardi ciò che fu ed è
viene chiamato per nome.
La macchia vincola.

(da Dummer August di Günter Grass)

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I LIBRI DEI POETI LETTERATITUDINIANI

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AGGIORNAMENTO DEL 16 GENNAIO 2009

Nel latte della madre
di Filippo Tuena

Prediligo postazioni rialzate,
Battute dal vento, anche se pericolose
Per i colpi vaganti o l’ingordigia dei cecchini
Che prima della fine del turno
Vogliono ancora una volta far centro.

Ma in queste notti arabe
Sono i cumuli di macerie che m’aggradano di più
Perché a volte, sotto, li sento ancora lamentarsi,
Con voce sempre più sottile o insistente pervicacia.

Eppure moriranno entro pochi minuti
Ed è inutile affannarsi a sollevare le pietre,
Scalzare travi, rotolare macigni.

E’ la polvere che li condanna. S’incolla alla gola
O alle ferite sanguinanti e li sigilla come
Statue di gesso o sale. Immobili. Fermàti nel tempo
Come i calchi degli schiavi di Ercolano.

Per esperienza so che, passata l’orda,
Li ritroveranno quando spianeranno le macerie,
Solitamente avvinghiati alle madri.
Del resto il loro mondo era davvero poca cosa:
Un seno un poco avvizzito, un battito rassicurante del cuore.

Askenazita di Bolechov che hai pigiato il bottone,
Palestinese di Hebron che hai caricato il mortaio,
Texano di Dallas che hai il grilletto facile,
Talebano di Kabul che hai il coltello affilato:
Non cucinerai l’agnello nel latte della madre.

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IL PAESE DELLE SPOSE INFELICI, di Mario Desiati http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/10/06/il-paese-delle-spose-infelici-di-mario-desiati/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/10/06/il-paese-delle-spose-infelici-di-mario-desiati/#comments Mon, 06 Oct 2008 14:19:07 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/10/06/il-paese-delle-spose-infelici-di-mario-desiati/ il-paese-delle-spose-infelici.jpgNell’immaginario collettivo la sposa, soprattutto il giorno delle nozze, deve essere necessariamente felice e inevitabilmente sorridente (perdonate il doppio avverbio).
Ma è davvero così, o si tratta di uno dei tanti usurati luoghi comuni?
Voi che ne dite?
Secondo una diceria, a Martina Franca, provincia di Taranto, in certi luoghi circolerebbero i fantasmi di spose infelici che si sono uccise nel giorno delle nozze. Su questa leggenda si basa il titolo del nuovo romanzo di Mario Desiati: “Il paese delle spose infelici” (Mondadori, p. 229, euro 17,50).
Mi piacerebbe che discutessimo di questo libro di Desiati (di seguito potrete leggere la recensione di Ranieri Polese pubblicata su “Il Corriere della Sera” del 5 settembre 2008); libro che, a mio avviso, è caratterizzato da una scrittura densa e ricca, a tratti onirica, messa al servizio di una storia che affonda le radici in una terra che è stata definita come “laboratorio del post-moderno” italiano.
Contestualmente vi invito a raccontare aneddoti particolari che hanno come protagonista la sposa nel giorno delle nozze.
Insomma, queste spose sono sempre felici… o no?
Massimo Maugeri

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IN PROVINCIA DOPO DUE ROMANZI DI CITTÀ, L’ AUTORE TORNA ALLE ORIGINI CON «IL PAESE DELLE SPOSE INFELICI»
Mario Desiati, ricomincio dal Sud: «La mia terra ha un sapore romanzesco, la fantasia non serve»

di Ranieri Polese

«A Martina Franca, la mia città, circola una diceria: tutti dicono che quella è la capitale dei suicidi. Ma la stessa voce la trovi in altre città del Sud, ancora affette da quella predisposizione all’infelicità che già aveva diagnosticato molti anni fa Giustino Fortunato quando parlava della “chiusura” della gente del Mezzogiorno. Certo, seppure non da primato, il numero di persone che si tolgono la vita a Martina Franca e dintorni è piuttosto alto, tanto che ogni volta che torno mi raccontano di nuovi casi. Nell’ ultimo anno, per esempio, ci sono state tre donne, ragazze fra i venti e i trent’anni, che hanno scelto di morire. E il modo preferito – cito dai verbali della questura – è per “precipitazione”: ovvero, buttandosi nel vuoto o in uno dei tanti pozzi che ci sono nelle campagne. Mi ha sempre colpito questa espressione, “precipitazione”, che pare suggerire la fretta di farla finita, l’urgenza di levarsi dal mondo». Mario Desiati spiega così il titolo (Il paese delle spose infelici) e il tema di fondo del suo terzo romanzo, uscito per Mondadori, un ritorno alla terra di origine dopo due romanzi di città –la Roma dei barboni del Giubileo, Neppure quando è notte, e quella dei lavori a tempo, Vita precaria e amore eterno – per rintracciare ricordi, riallacciare legami, rivisitare un passato che non passa mai. Come la diceria delle spose infelici che si uccidono nel giorno delle nozze e i cui fantasmi popolano le notti di quel remoto pezzo d’Italia compreso tra le meraviglie della Valle d’ Itria («trulli, muri a secco, masserie bianche di calce»: il nuovo paradiso dove tutti vogliono essere, l’Itriashire dopo il Chiantishire) e il cielo color ruggine e il mare chimico di Taranto. Se Desiati, 31 anni, se n’è andato via presto (tre mesi a Milano e poi, subito, Roma), così non avverrà per i suoi personaggi: Francesco, studente borghese detto Veleno per la passione per il calcio; Domenico detto Zazzà, proletario violento e generoso; Annalisa, la ragazza di tutti, che colleziona cartoline d’Italia e di notte parla con le femmine morte. I maschi giocano in una squadretta amatoriale su campi di terra battuta e sognano l’arrivo di un procuratore che venga, li noti e li porti via, verso la grande squadra. E intanto creano risse, vanno a fare il tifo sulle curve degli ultras del Taranto, si rincorrono tra feste brutte e nottatacce sporche, e poi qualcuno finisce male come Zazà che entra ed esce dal carcere. Tutti amano Annalisa che sembra non considerarli, è libera e per tutti è una ragazza strana: Francesco più volte spera di andarci insieme, dovrà rassegnarsi e capire che l’unico che lei ama è Zazà. Mentre le stagioni passano, arriva la distrazione del truffatore che dice di fare il regista, cerca volti per il cinema ma intanto spilla soldi a sprovveduti sponsor locali. Francesco, l’intellettuale, s’improvvisa sceneggiatore per raccontare la storia sua e dei ragazzi del gruppo. Poi, con una raccomandazione, la famiglia lo spedisce a Torino a far da galoppino e autista presso un avvocato che ha fatto fortuna al Nord. Intorno a questi ragazzi di provincia si consuma la crisi dell’industria di Taranto, la rapida fortuna del sindaco Giancarlo Cito, populista e demagogo, creatore della Lega d’azione meridionale, quello che usa con grande anticipo la commistione fra politica e tv impiegando la sua rete privata Antenna Taranto 6. Ma anche Cito finisce male: condannato per «concorso esterno in associazione mafiosa», si farà quattro anni di carcere. Fra una città, Taranto, che sembra una sorta di laboratorio del post-moderno («la crisi dell’ industria pesante, il populismo, il tifo calcistico che mescola destra e sinistra, una folta schiera di giovani no-global, l’emergenza della spazzatura verificatasi qui molto prima che a Napoli», dice Desiati) e una provincia ancora legata a riti e miti atavici (Desiati parla di «ferinità») si consuma questo bel romanzo di formazione. Un’educazione sentimentale votata al fallimento. I provinciali non andranno in città, i nipoti poveri dei vitelloni per paura di perdersi scelgono di restare. Annalisa si sposa segretamente, si ammala e muore. Per lei Zazà costruisce con le pietre un sepolcro che riproduce le bellezze d’Italia viste solo in cartolina (la Torre di Pisa, il Colosseo, eccetera). Francesco torna da Torino. E come in un pellegrinaggio visita il lebbrosario, il luogo degli «Hanseniani» dove ancora vivono, nascosti, reclusi, cinquanta ammalati. Luoghi (il lazzaretto, i monumenti d’ Italia costruiti con le pietre) che esistono, ci dice Desiati; così come, seppure trasfigurati e romanzati, esistono dei personaggi simili ai protagonisti. «È una terra, la mia terra, che ha un sapore romanzesco, che quasi ti costringe a scrivere senza troppo sforzo, non richiede grandi lavori d’ immaginazione». Basta affidarsi all’eco persistente di un mondo a parte, il cui dialetto sembra fatto solo di consonanti, in cui il confine tra realtà e leggenda sfuma continuamente. E a questo serve molto la scrittura di Desiati, che racconta il reale «con gli occhi del provinciale, disincantato e insieme pieno di stupore» che, seppure debitore nei confronti di tanta letteratura meridionale, guarda a certa letteratura americana (McCarthy, Eugenides: non è il titolo una cripto-citazione dalla Casa delle vergini suicide?). E che, di fronte al dilemma tra un riduttivo neorealismo e un’ aura di leggenda, alla fine decide di «print the legend».
Ranieri Polese

da Il Corriere della Sera del 5 settembre 2008

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Dalle prime pagine del romanzo “Il paese delle spose infelici” di Mario Desiati

La sposa

In un luogo dove le spose erano infelici fece stupore quello che accadde un marzo mite del 1990. Il Taras era il torrente sottile che si attorcigliava al Siderurgico. La sorgente che lo generava veniva dal sottosuolo, si dice fosse miracolosa. Anni prima un cavallo zoppo e morente fu gettato nel ruscello, invece di annegare riprese vitalità ed emerse correndo per il lungofiume. Per molto tempo la gente di Taranto pensò di curarsi dalle malattie e dai sortilegi con i bagni nel Taras. Quel giorno erano le due, il letto era semiasciutto, ma un piccolo rigagnolo dai colori melmosi percorreva i dossi formando cascate. In inverno quell’acqua era tiepida come la conca di un bagno termale, emanava zaffate di vapore come se dentro si raffreddassero le carcasse bollenti dell’acciaio del Siderurgico. Non era chiaro se quella mitezza fosse dovuta al grande impianto o alla sorgente. Alcuni operai in quelle giornate di tepore improvviso dopo un inverno tetro passavano la pausa pranzo cibandosi sopra uno strapunto a forma di stivale. Questo cresceva a pochi metri dalla sorgente del torrente, dove l’acqua era miracolosamente limpida, colorata di riflessi rosati mutuati dal cielo rosso che solo Taranto ha e il fondofiume granata della bauxite. Era marzo, il sole era già generoso, ci si poteva spogliare e restare in camicia e salopette, mettere gli occhi chiusi contro i raggi lievi e ricevere il miracolo dell’arrossamento di quelle facce gialle di altoforno. La dozzina di operai che mangiavano panini, piluccavano spicchi di arance irradiando nell’aria l’aroma acre di agrumi; ebbero un miraggio collettivo, una visione che avrebbe sbalordito chiunque: una donna vestita da sposa veniva dall’orizzonte fosco delle campagne. Camminava altera con la gonna alzata, le scarpe bianche erano infangate, le calze di nylon da bambola brillavano, le spalle nude ardevano sotto il sole invernale. I capelli chiari erano raccolti in su e acconciati a strati come tanti nidi di pernici, il collo lungo sfiniva in un viso con l’espressione premonitrice. Gli occhi parevano dipinti, nei sistemi solari delle deliziose efelidi attorno alla bocca c’era come il manifestarsi di una divinazione. La sposa regalò una sbirciata maliziosa a gli spalti di maschi appisolati, appena saziati da panini frugali. E poi entrò nel fiume senza neanche togliersi le scarpe, mollando improvvisamente la gonna che si alzò sul pelo dell’acqua come la rete di un peschereccio. E fu la cosa più bella che videro quegli operai, uomini che ogni giorno si bardavano come soldati disperati, i sopravvissuti di una guerra nucleare, i liquidatori di una centrale atomica. La gonna parve aprirsi come un ventaglio. La sposa apparve come un cigno bianco e gli uomini non potettero resistere. Perché? Forse la posa statuaria, il viso impassibile dentro l’acqua, l’abito che si gonfiò e sembrava allargarsi quanto tutto il fiume. Tutto sembrò finire sotto la mongolfiera di tessuto prezioso. Così gli uomini sfidarono il freddo e spogliandosi con concitazione, zampettando su una gamba per togliersi i pantaloni il più in fretta possibile, si gettarono dietro quella sirena, quel mistero di bianco, oro e avvertimenti. La donna smise di andare verso l’acqua alta e attese lo sciame disperato di muscoli bruniti, petti ispidi, braccia ingiallite, occhi stregati.

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Il book-trailer del libro

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LA MOSSA DEL MATTO AFFOGATO di Roberto Alajmo http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/08/07/la-mossa-del-matto-affogato-di-roberto-alajmo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/08/07/la-mossa-del-matto-affogato-di-roberto-alajmo/#comments Wed, 06 Aug 2008 23:05:52 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/08/07/la-mossa-del-matto-affogato-di-roberto-alajmo/ Avevamo avuto modi di accennare all’uscita del nuovo romanzo di Roberto Alajmo in questo post (dedicato al volume “1982″, edito da Laterza).
Ne parliamo, adesso, in maniera più approfondita ripartendo dal titolo del libro: La mossa del matto affogato (Mondadori, 2008, pagg. 241, euro 17).

Per chi conosce bene il gioco degli scacchi la mossa del matto affogato non è una novità. Si tratta di uno scacco matto speciale, il più umiliante: il re, bloccato dai propri stessi pezzi, non può più muoversi.
“…Attraverso una serie di sacrifici, l’avversario ti ha chiuso in gabbia. Uno dopo l’altro sono i tuoi stessi pezzi ad averti circondato e messo in un angolo da cui non puoi più scappare. Nel giro di poche mosse sei passato dall’illusione di poter vincere sfruttando i suicidi in serie dell’avversario, alla frustrazione di doverti suicidare tu, senza possibilità di scelta, e di fronte alla minaccia di un unico cavallo superstite. Per quanto l’avversario sia ormai dissanguato, l’ultima mossa servirà solo a stringerti il cappio attorno al collo…”
Il brano tra virgolette è estrapolato dal romanzo.
Un romanzo come una partita a scacchi, dove il titolo di ciascun capitolo è il codice di una mossa (dalla prima fino allo scacco finale). Un romanzo di ventisei capitoli, una partita in ventisei mosse.
Il protagonista (e il giocatore) si chiama Giovanni Alagna: un impresario teatrale che opera in una città siciliana (Palermo?) e che ha improntato attività e vita avvalendosi, all’occorrenza, di imbrogli più o meno gravi. Un personaggio algido e determinato, ma che finirà con il rivelarsi uno sconfitto. Un “vinto” che si aggiunge alla schiera di quelli già tratteggiati da Roberto Alajmo nei precedenti romanzi (Cuore di madre e È stato il figlio). Con la differenza che, stavolta, il perdente è un uomo di cultura, un uomo alquanto noto.
Alagna ottiene successo, beneficia delle luci della ribalta, conduce una vita persino al di sopra delle proprie possibilità. Poco importa se, per farlo, deve ricorrere al bluff, alle bugie, alle omissioni. Poco importa se – di fatto – si ritrova a usare gli altri con noncuranza e semplicità strabilianti, basandosi sul motto: “meglio rimorsi, che rimpianti!”
Meglio rimorsi, sì; ma quando i rimorsi crescono all’eccesso e hanno la faccia di tua moglie Elvira (che decide di cacciarti fuori di casa dopo l’ennesimo tradimento), o il viso duro e quasi ostile delle tue due figlie che non si fidano più di te; quando il rimpianto assume le dimensioni catastrofiche di atti di violenza compiuti ai tuoi danni da delinquenti senza scrupoli, mandati a riscuotere soldi che non sei in grado di restituire; allora, Giovanni Alagna, cominci a capire che la partita sta prendendo una piega che non avevi preso in considerazione. Cominci a capire che stai perdendo.
Alla fine non ti rimane che inscenare un’uscita di scena melodrammatica, da par tuo. Un’uscita di scena con i riflettori puntati addosso. Tu attore, e gli altri – chi ti ha amato e chi ti ha odiato – intorno a te, a farti da pubblico (o almeno, così ti pare) mentre ti ritrovi paralizzato da una serie di scelte sbagliate. Fine della partita, Alagna. Scacco matto. Non ti resta che affogare.
L’utilizzo della “seconda persona” nelle frasi precedenti non è casuale, ma riflette una coraggiosa e originalissima scelta narrativa dell’autore. Quella di scrivere un romanzo tutto in “seconda persona”, dalla prima all’ultima parola. Un romanzo, però, che scorre lieve, veloce (come la scrittura del suo autore: pulita, scevra da orpelli stilistici, frasi retoriche, pesanti aggettivazioni) e che riesce a colpire duro. Come usa dire lo stesso Alajmo: “I miei libri sono facili da mangiare, difficili da digerire”.

Ora, vi invito a interagire con l’autore del libro – che parteciperà al dibattito -, magari ponendogli domande.

Intanto mi chiedo, e vi chiedo: vi è mai capitato di riconoscere in voi stessi comportamenti autolesionisti al punto da sentirvi… affogare?
E poi, a vostro avviso, cosa significa esser perdenti nel nuovo millennio?
Il perdente dei nostri tempi equivale al perdente del secolo scorso, dei secoli scorsi?
È cambiato qualcosa, o – dopotutto – l’uomo è sempre uguale a se stesso di fronte ai propri fallimenti?
Prima di chiudere vi segnalo questa bella intervista della “nostra” Simona Lo Iacono pubblicata su LibMagazine.
Massimo Maugeri

AGGIORNAMENTO del 10 agosto 2008
Roberto Alajmo mi ha messo a disposizione le prime pagine del libro. Potrete leggerle di seguito
(Massimo Maugeri)

La mossa del matto affogato – Cap. I

Ora concentrati, non ti distrarre. Bisogna assolutamente che riesca a pensare qualcosa da gettare in faccia alle persone venute fin qui. Loro se l’aspettano, e anche a te conviene approfittarne. Sono i momenti in cui basta una parola, una frase, per rovesciare l’opinione che il mondo si è fatto su una determinata persona. O per rafforzarla, a seconda dei casi. Tu devi puntare decisamente a rovesciarla. Hanno tutti dei preconcetti, su di te: se li sono fatti nel tempo e sarà difficile convincerli a cambiare idea proprio ora. Però è sicuro che non ci saranno altre occasioni: adesso o mai più. L’hai capito, no? Tutta questa gente è venuta perché ha delle aspettative. Detto in sintesi: sperano di vederti morire. Te la senti di deluderli?
Non scherzare, il momento è serio. È uno di quei frangenti da affrontare con un minimo di consapevolezza perché è come un riflettore che si accende sulla tua vita. Bisogna farsi trovare pronti. Niente di peggio che lasciarsi sorprendere con un dito nel naso o con la biancheria sporca: rischi di restare cristallizzato in quella condizione nei secoli dei secoli. Devi aver cura della tua igiene fisica e morale, svuotare i cassetti da tutta la roba compromettente. Buttare tutto. Nella spazzatura, proprio. E proprio tutto: ogni singola cassetta, rivista, oggetto, lettera, diario, qualsiasi cosa.
Bisognerebbe. Eppure non lo si fa mai, si rimanda. Per cui, quando poi succede il disastro, è sempre troppo tardi. L’ideale sarebbe pensarci per tempo, fare pulizia di frequente, cancellare la posta elettronica e i messaggi dal telefonino. Mai lasciarsi prendere dalla pigrizia, perché da un momento all’altro il grande riflettore della cronaca potrebbe illuminare la tua vita e svergognarti per sempre.
In casi del genere, lo sputtanamento assume le forme più impensate. Una perquisizione postuma da parte della polizia, per esempio: basterebbe una soffiata, una falsa segnalazione, un errore di notifica, e la tua esistenza verrebbe rivoltata come un calzino. C’è sempre qualche buco che speravi di nascondere all’interno della scarpa. Non puoi sapere quanta gente frugherà nella tua stanza, ma prova a immaginarli mentre guardano ovunque, pure dietro ai libri, sullo scaffale della saggistica.
Se anche la polizia non venisse a perquisire la casa, rimarrebbe sempre la penosa ricognizione degli eredi. Nel cassetto, in mezzo a lettere e souvenir dei momenti felici, è sempre pronto a spuntare l’oggetto indicibile, quello che mai e poi mai un estraneo avrebbe potuto immaginare. Diranno: pareva una persona così perbene, così gentile, e invece anche lui aveva le sue debolezze. Tutto il resto sarà dimenticato: da quel momento in poi, fino all’eternità, la tua memoria rimarrà associata alla vergogna, fosse anche l’unica vergogna che ti eri concesso nell’arco della vita.
Oltre al fatto in sé, morire comporta una serie di effetti collaterali. Quindi, prudenza. Meglio evitare, per esempio, di sparare cazzate in punto di morte. Conviene tenere da parte qualche bel pensiero per quando servirà; sperando di avere il tempo per rifletterci. Ma anche preparandosi prima, non è detto che poi si riesca a trovare modo di pronunciare le ultime parole famose, e di pronunciarle come si deve. In ogni caso, niente di preordinato. L’eccesso di preparazione rischia di far perdere quel minimo di spontaneità che è fondamentale per un finale di partita senza troppa retorica.
A proposito di finali e di partite: una volta ti hanno raccontato di un tizio che era un maniaco del poker. Dalla mattina alla sera non faceva altro che sbirciare cinque carte una dopo l’altra. Ma sempre, proprio in continuazione, anche quando era solo: aveva inventato il poker con tre morti, una variante in cui a giocare e a vincere era solamente lui. Insomma, quando viene il suo momento questo tizio cade in coma, e ci rimane per un mese. Poi un giorno, improvvisamente, apre gli occhi e guarda i parenti al capezzale come se fosse sorpreso di vederli lì. Li fissa, muove le labbra per dire qualcosa, e i parenti si fanno ancora più sotto per ascoltare quale ultimo messaggio ha da regalare trovandosi sulla soglia dell’aldilà, resuscitando apposta da un coma che pareva irreversibile. E lui, distillando le ultime energie, apre la bocca e dice una sola singola parola:
- Cip.
Ti rendi conto? Cip, e muore. Un’occasione del genere buttata via, l’attesa di tutto quel pubblico di parenti e amici andata delusa. O forse no, perché se adesso tu ti trovi nella situazione in cui ti trovi e perdi tempo a raccontare una storiella del genere vuol dire che quell’unica parola, cip, meritava di essere detta, meritava di essere ricordata e meritava di essere raccontata. Ancora oggi, almeno tu sei qui a riflettere su quel cip, su quello che voleva significare nel contesto dell’esistenza di quel tizio. O a quello che non voleva significare. Perché esiste anche la possibilità che mentre muori stai facendo o pensando qualcosa di assolutamente irrilevante, nell’economia complessiva della Storia dell’Umanità. Viene la morte e ti trova impreparato.
Impreparato: sarebbe bello poter pronunciare questa parola impunemente, come si faceva a scuola. Arriva la morte, tu rispondi:
- Impreparato.
E lei:
- Va bene, ma ti voglio risentire prima che finisca il quadrimestre.
Al massimo, certe volte, ti mettevano una piccola i sul registro, e ogni discussione era aperta su come interpretarla. Faceva media o no, quella i di impreparato? Mistero. Dipendeva dall’umore degli insegnanti, dalla disposizione d’animo che ciascuno di loro aveva nei tuoi confronti.
Se anche in un momento come quello che stai vivendo l’impreparazione fosse motivo di rinvio, potresti almeno guadagnare tempo. Prima della fine del quadrimestre c’è un sacco di tempo, o almeno così ti sembra quando devi scampare all’interrogazione su un argomento di cui non sai niente. Purtroppo invece no: la fine del quadrimestre e gli scrutini arrivano sempre prima di quanto tu possa immaginare.
Ecco, vedi? Se morissi in questo preciso istante, nel Registro Universale dei Pensieri Formulati in Punto di Morte, rimarrebbe scolpita in maniera indelebile questa cazzatina della i sul registro di classe. Che figura, se qualcuno andasse a controllare. Che occasione sprecata. Ma chi se ne frega? Gliene frega qualcosa, a Dio? Adesso, nella situazione in cui ti trovi, non è il momento di aprire una digressione sulla effettiva esistenza di Dio; ma sulla Sua sfera di interessi magari sì. Che ne sai? Lo possono incuriosire gli ultimi pensieri di un singolo morituro? Tutte le cose che stai pensando adesso vanno a finire registrate da qualche parte? No, perché se funziona così allora è il caso di fermarsi un attimo a pensare sul serio. Evitiamo di fare altre figure di merda. Anche perché il tuo interlocutore in questo momento non è solo l’eventuale Dio. Ci sono un sacco di persone che si aspettano da te un’uscita all’altezza di tutto il resto. Si tratta di non deluderle: arrivati a questo punto sarebbe un peccato.
Intanto però i minuti passano, e continui a divagare. Nell’ambito dell’inaccettabile spreco della tua morte, stai per sprecare anche quest’ultimo istante di fama cristallizzata che ti è concesso. Almeno potresti fare come dicono che succeda: che nell’ultimo istante ti ripassa in mente tutta la vita trascorsa. In questa evenienza qualcuno aveva individuato un’ipotesi di vita eterna. Perché nella vita che ti ripassa davanti agli occhi c’è anche quell’ultimo istante che tutti li contiene. Proprio tutti: compreso quell’ultimo istante che tutti li contiene, compreso quell’ultimo istante che tutti li contiene, compreso quell’ultimo istante, eccetera, eccetera. Se non ti sbagli, dev’essere stato Borges. Ecco: nella circostanza potresti sfoderare una citazione di Borges, che fa sempre un certo effetto. Ma le persone che hai davanti non sanno nemmeno chi è, Borges. Nel contesto, sarebbe uno spreco. Ancora uno spreco.
È triste che tutte le persone attorno a te in un momento del genere siano tanto ignoranti. Non sono all’altezza di assistere allo spettacolo che stai per offrire loro. Purtroppo ognuno ha il pubblico che si ritrova, e nemmeno tu te lo sei potuto scegliere. Ce l’hai e te lo devi tenere. Però ammettilo: nel bene e nel male, te lo sei meritato, un pubblico così. Sono le persone che hanno seguito l’ultima parabola della tua esistenza così come l’hai voluta costruire tu, secondo i tuoi criteri. Alcuni ti hanno seguito fedelmente per ore, giorni, settimane, mesi; per anni, addirittura. Chi più chi meno, sono gli stessi che hanno creduto in te. Solo che ora ti si sono rivoltati contro. Tu non sei cambiato, ma loro sì. Molte di queste persone hanno scoperto che le avevi ingannate, e hanno gettato la maschera dell’amicizia, della stima, del rispetto che ti avevano tributato fino a ieri. Questo ti pare veramente assurdo, perché invece fra ieri e oggi tu non sei cambiato. Assolutamente no. Per l’intero arco della tua vita sei rimasto sempre fedele allo stesso personaggio.
In fondo, però, puoi ancora sfruttare la loro ignoranza. Non è necessario che stia lì a spiegare chi era e chi non era Borges, sempre ammesso che la citazione gli appartenga davvero. Non ne avresti nemmeno la possibilità, del resto. Fregatene, come te ne sei sempre fregato. Fai pure finta che sia roba tua, questa storia di tutta la vita che ritorna a scorrere nell’ultimo istante, e così all’infinito. Ti hanno creduto sempre, vuoi che non ti credano proprio adesso? È solo un piccolo sforzo. Chi avrebbe il coraggio di mentire, nelle condizioni in cui ti trovi?
E prima ancora, scusa tanto: chi l’ha detto che tu debba morire sul serio?

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L’INDECENZA di Elvira Seminara: una moglie, un marito, una colf straniera http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/06/11/lindecenza-di-elvira-seminara-una-moglie-un-marito-una-colf-straniera/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/06/11/lindecenza-di-elvira-seminara-una-moglie-un-marito-una-colf-straniera/#comments Wed, 11 Jun 2008 05:33:10 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/06/11/lindecenza-di-elvira-seminara-una-moglie-un-marito-una-colf-straniera/ Elvira Seminara fa la giornalista e vive ad Aci Castello (in provincia di Catania). È docente di Storia e tecnica del giornalismo nella facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania. Ha curato diverse trasmissioni radiofoniche per la Rai ed è redattrice del quotidiano “La Sicilia”. Ha pubblicato il racconto lungo Bayt al-rih – Casa del vento (Siciliano, 2004) e Sensi. Donne sull’orlo dell’isola (Sanfilippo, 2005), un libro-inchiesta sulle donne siciliane.
Ho il piacere di presentarvi Elvira Seminara qui a Letteratitudine in occasione dell’uscita del suo romanzo d’esordio L’indecenza (Mondadori, 2008, pag. 181, € 17).
Una moglie e un marito abitano in una villa circondata da un giardino rigoglioso dove, in lontananza, si vede “l’Etna che si staglia contro il cielo limpido e il mare scintillante”. A un certo punto una ragazza dagli occhi azzurri e le trecce bionde suona alla porta: è Ludmila, la nuova colf ucraina. Giovane, innocente, piena di speranze, Ludimila vivrà con loro e diventerà parte della famiglia.
Questi i personaggi.
Per capirne di più potrete leggere, di seguito, la recensione realizzata in esclusiva da Sabina Corsaro e un’intervista, pubblicata su Repubblica, che l’autrice del libro ha rilasciato a Silvana Mazzocchi.
Avrete modo di ascoltare l’incipit del libro, e saggiare gli effetti della bella penna della Seminara, collegandovi a Radio Alt (una volta aperta la pagina cliccate su su “ascolta l’incipit”).
Il libro affronta diversi temi.
C’è il tema della follia, di cui abbiamo discusso altre volte. C’è il tema della precarietà degli equilibri famigliari. E poi c’è il tema dell’ambivalenza: come sostiene la stessa Seminara nell’intervista, si tratta di ambivalenza “non solo del genere umano. Viviamo in un mondo sempre più ibridato, mescolato, contaminato. Ambivalenti sono i nostri sentimenti, ma anche la natura intorno, sempre più irriconoscibile, malata, insidiata dai virus della contaminazione, e non solo simbolica purtroppo”.
E poi si innesta l’argomento “colf straniere”.
Insomma, potremmo affiancare alla discussione sul libro una serie di dibattiti collaterali.
Per esempio…
Ritenete che, oggi, gli equilibri famigliari siano più precari rispetto a un tempo?
Viviamo davvero in un mondo sempre più ambivalente, ibridato, mescolato, contaminato?
E come fare per uscire dal circuito dell’ambivalenza?
E poi… avendo la necessità di beneficiare dei servizi di una colf… sarebbe meglio assumerne una italiana o una straniera? E perché?

Vi ringrazio anticipatamente per l’attenzione e per la cordialità che riserverete a Elvira Seminara, che parteciperà a questo dibattito.
Sabina Corsaro mi darà una mano a moderarlo.
Massimo Maugeri

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L’INDECENZA di Elvira Seminara

recensione di Sabina Corsaro (nella foto)

sabina-corsaro.jpgL’indecenza può essere intesa come una lunga e graduale involuzione verso la non comunicabilità; il contatto della protagonista con il mondo oggettivo subisce una graduale alterazione attraverso un viaggio su binari costantemente in bilico tra sensazioni elegiache e stati d’animo cupi. L’alternarsi dei sentimenti e delle emozioni della protagonista si riflettono nel graduale alternarsi delle stagioni, con descrizioni minute, rese impeccabili da una scrittura ‘pittorica’. Lo sguardo di Elvira Seminara è attento, acuto; uno sguardo che si posa senza remore sui pensieri ingarbugliati, sull’animo imperscrutabile e insondabile. Le idiosincrasie della protagonista, le sue allucinazioni esistenziali, il confine tra l’opacità e la trasparenza in cui è posto il suo animo inquieto, emergono lentamente attraverso un linguaggio che si amplia e intensifica con climax, enfasi psicologiche e danno vita ad una spirale espressiva che risucchia i personaggi e i lettori in un unico vortice.

Le stagioni vengono descritte attraverso il linguaggio delle cose, dello spazio, con espressioni umanizzate, mediante una continua osmosi tra aggettivi e sensazioni, tra oggetti e stati d’animo: “C’era un silenzio, ad esempio, che tessevamo come un filo, trasparente e teso, come quello della biancheria. Ci appendevamo i nostri pensieri ad asciugare al sole, a sventolare” oppure: “Erano a volte pensieri umidi e vecchi, specialmente i miei, un poco mesti come calzini spaiati, oppure sfatti come stracci”. Le stagioni, il tempo, si personificano: “Ci eravamo distratti. Mentre pioveva, l’autunno si era stabilito a casa nostra con tutti i suoi bauli”.

La violenta passionalità che aleggia nell’animo della protagonista è inizialmente latente e solo alla fine del libro si intuisce che essa era celata dietro un presagio: la descrizione della scena della gabbia dentro la quale i piccoli criceti si mostrano col capo mozzato, perchè appena divorato dalla mamma criceto. L’inquietante scena della gabbia dei criceti preannuncia un’altra tragedia che si compirà; la microrealtà dei piccoli esseri irromperà oltre le sbarre della gabbia e si amplierà fino ad innescare nuovi tragici ingranaggi nelle esistenze delle due spettatrici inebetite.

Ed ecco comparire le ombre: “Ci sono ombre che a loro volta fanno ombra, oppure si mescolano tra loro… ombre in movimento, più svelte delle cose da cui nascono, ombre a grappolo, trappole, che sembrano ombre di cose invisibili. Ombre spezzate, ma originate da cose intere… Le cancellavo con lo straccio, quelle per terra, e ricomparivano”. E mentre la luminosità dell’estate accoglie la ‘bambina’ dai grandi occhi azzurri, l’autunno sprigiona la viscida infelicità, da tempo compressa, entro la quale poco per volta annegano i personaggi.

L’indecenza assume diverse sembianze: ora quelle di ciò che non è adeguato socialmente, ora del non corretto linguisticamente: “incedente”. Ma l’indecenza è, paradossalmente, nella complessità del libro, soprattutto lo scontro tra lo stato innocente della ragione e la sua parte forzata che diviene accondiscendente alle norme della vita. Può essere inoltre l’istintività smaliziata di Ludmila, macchiata dall’adattamento alle regole quotidiane ed esistenziali all’interno di una casa che mostra crepe profonde.

La lettura è resa accattivante da un linguaggio che oltrepassa i caratteri del genere noir e trascina il lettore in un affascinante gioco di forme e pensieri. Scrittura pittorica dicevo, perché il linguaggio descrittivo dell’autrice pone i riflettori sull’essenza delle cose, sullo spazio e ne umanizza le immagini che in esso si generano.
Sabina Corsaro

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Intervista su Repubblica
di Silvana Mazzocchi

Elvira SeminaraUNA donna che rimane prigioniera del dolore per il suo bambino mai nato. E un marito che non riesce a dissolvere la rabbia e la sofferenza che consumano un amore ormai alla fine. Tra loro Ludmila, una ragazzina con trecce bionde e occhi blu. E con un’innocenza più destabilizzante di un uragano. Ludmi è ucraina, arriva in Sicilia, non è abile nei lavori domestici, non sa fare nulla con professionalità. Ma basta che lei appaia con la sua svagata bellezza per riempire la casa e il giardino di nuova vita. La sua è una presenza che innesca calore dove c’era freddo, luce dove c’era ombra. E, con lei, nulla sarà più come prima. Un noir intimo, tessuto di sensualità e grazia.
E’ L’indecenza, il romanzo d’esordio di Elvira Seminara (nella foto), in libreria per Mondadori.

Un romanzo ha sempre un perché?
“Non so per gli altri, per me sì. Più che nell’ispirazione, io credo nella cospirazione. A un certo punto della vita, è come se tutto congiurasse perché tu scriva quella storia, un albero, una certa luce che ci sbatte sopra, un fiume di parole che devi arginare e incanalare in ragionamenti o immagini, se no rischi di esserne travolta, e sragionare. Ma questo è il perché a monte, diciamo fisiologico. Poi c’è un perché più strutturale, e di solito lo ritrovi dopo, alla fine del romanzo. Alla parola fine, ho pensato di aver scritto questa storia perché da un po’ sono coinvolta e impaurita dal tema dell’ambivalenza. Non solo del genere umano. Viviamo in un mondo sempre più ibridato, mescolato, contaminato. Ambivalenti sono i nostri sentimenti, ma anche la natura intorno, sempre più irriconoscibile, malata, insidiata dai virus della contaminazione, e non solo simbolica purtroppo”.

Ludmila, la protagonista, è luce, eppure crea ambiguità
“Lei è multiforme, come gli altri, e per questo crea ambiguità. Anche la sua bellezza è pericolante, insidiosa, e la sua grazia è instabile. Oscura. E’ insieme prodigio e sgomento. Anche i suoi sentimenti per l’uomo e la donna sono ambigui, carichi di innocenza e malizia. E’ un’adolescente, impara presto a esercitare potere sulla coppia grazie alla sua giovinezza, ma lei stessa è ignara del suo potenziale di rischio. Di fronte alla sua ambivalenza naturale, affiorano ed esplodono le inquietudini della coppia che la ospita. E’ ambivalente la donna, che guarda a lei confusa e intimorita, con un sentimento fatto di eros e tenerezza materna, è ambivalente l’uomo che la vuole proteggere sino, forse, a possederla. Ambivalente è la casa, insieme trappola e nido. Ambivalente è l’amore senza più corpo fra marito e moglie, fatto di silenzi senza abbandono, di ricordi senza più forme, di colpe senza imputazioni, di amore senza più amore”.

Qual è L’indecenza richiamata dal titolo?
“Questa parola la pronunciano tutti e tre i personaggi, ma ciascuno in un senso diverso, e addirittura Ludmi lo fa sbagliando. Indecente è la natura ma anche la casa, che qui è un personaggio a tutti gli effetti, è un organismo che soffre, geme, si spoglia, si infetta. Indecente è il dolore quando non gli dai un nome, è il nostro difetto di comunicazione, è la perdita della fiducia, dell’armonia”.

Quanta Sicilia c’è nel libro?
“C’è l’Etna che ricopre tutto, uomini e cose, con un sudario di polvere nera che toglie l’aria e i contorni. E’ una metafora ma anche un fenomeno “naturale”. C’è un mare che fa perdere i sensi a Ludmila, c’è una natura feroce ed eccessiva, cannibalesca, che insidia le fondamenta stessa della casa, con le radici che spingono sotto il pavimento, e i rampicanti che premono per entrare. Una natura fortemente erotica ma ambivalente, fatta di piante che si incrociano sino a produrre improbabili innesti. Una natura carica di una vitalità furiosa ed esorbitante, che tuttavia non genera vita e slancio, ma piuttosto morte e detriti”.

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