LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » perdisa pop http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 VIAGGIO ALL’ALBA DEL MILLENNIO http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/10/04/viaggio-allalba-del-millennio/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2011/10/04/viaggio-allalba-del-millennio/#comments Tue, 04 Oct 2011 20:45:03 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=3148 VIAGGIO ALL’ALBA DEL MILLENNIO” VINCE LA V EDIZIONE DEL PREMIO INTERNAZIONALE SEBASTIANO ADDAMO

La cerimonia di consegna avrà luogo venerdì 7 ottobre alle 18, nella sala C1 del Centro culturale “Le Ciminiere” di viale Africa, Catania, con ingresso gratuito.

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viaggioallalba-delmillennioCari amici, sono molto felice di poter condividere con voi la notizia dell’uscita di un mio nuovo libro. Si tratta di una raccolta di racconti molto particolare, intitolata “Viaggio all’alba del millennio” (pubblicata da Perdisa Pop, nella collana Corsari). Ho avuto il piacere di presentarlo al Salone del libro di Torino (sala autori, spazio b, padiglione 2), sabato 14 maggio, ore 10:30, insieme all’amica Michela Murgia (vincitrice del Premio Campiello 2010): alla fine del post, trovate i video della presentazione.
Vi ringrazio in anticipo per l’affetto con cui (spero) accoglierete questo mio nuovo lavoro.
Dal sito di Perdisa Pop è possibile scaricare e leggere il primo racconto della raccolta.
Vi riporto, di seguito, la scheda stampa del libro predisposta dalla redazione della casa editrice…

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Viaggio all’alba del millennio si presenta come un’originalissima miscellanea di generi, di toni e registri stilistici: una raccolta peculiare, in cui ogni racconto si collega all’altro per dare forma a un unico grande affresco.
Un bizzarro viaggio in aereo racconta l’ansia da attentato terroristico; una tragedia consumata all’interno delle pareti domestiche tratta il tema dell’incomunicabilità tra familiari; i preparativi di un matrimonio rivelano alcune nevrosi contemporanee.
Si va poi dagli incontri virtuali nelle chat erotiche a una lettera folle che un’assassina scrive al commissario che l’ha arrestata. E ancora: una comica conversazione telefonica tra una nonna e un nipote, un giovane in coma, un ridicolo dialogo sull’immigrazione clandestina e uno scambio di battute che ha come oggetto la schizofrenia, per finire con un racconto dai tratti grotteschi, che ha per protagonisti un gruppo di giovani e una Catania trasfigurata, e ricollega tutti i racconti precedenti per agganciarsi infine al primo, in una struttura circolare.

Leggere questo libro è come guardare in uno specchio deformante. Maugeri unisce il grottesco al drammatico, lo scherzo alla suggestione, per mostrarci gli anni in cui viviamo attraverso le nostre nevrosi, le ansie e gli inganni della mente. La sua scrittura scompiglia le identità, rimescola le carte e altera la visione, dando forma a un libro magnetico, diverso, in grado di raccontare il caos del nostro tempo come non lo abbiamo mai letto.”

Di seguito, invece, vi propongo il booktrailer del libro realizzato dall’ottimo Carmelo Caramagno…

Di seguito, i video della presentazione al Salone del libro di Torino con Michela Murgia.

Grazie mille per la partecipazione e (se vi va)… ditemi in bocca al lupo.

Massimo Maugeri

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CONCETTO AL BUIO, LEGGERE FA MALE http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/07/06/concetto-al-buio-leggere-fa-male/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/07/06/concetto-al-buio-leggere-fa-male/#comments Tue, 06 Jul 2010 20:43:48 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=2302 Ci sono storie che scavano dentro, che lasciano solchi, che afferrano per la gola cogliendo il lettore impreparato, sorprendendolo di continuo. Sono queste le sensazioni dominanti che suscita la lettura di “Concetto al buio”, la nuova opera narrativa di Rosario Palazzolo (pubblicata da Perdisa Pop nella collana Babele Suite).
Per la verità l’autore ci mette in guardia già a partire dalla prima delle epigrafi scelte. È una citazione tratta da La cantina di Thomas Bernhard, e dice così: “Tutto quello che scrivo, tutto quello che faccio, è disturbo e irritazione. Tutta la mia vita in quanto esistenza non è altro che un continuo disturbare e irritare. Giacché richiamo l’attenzione su dei fatti che disturbano e irritano. Io non sono un uomo che lascia in pace la gente”.
“Concetto al buio” è una storia che disturba, irrita… che afferra alla gola, dicevo… ma non perché contiene descrizioni cruente. Tutt’altro. Qui è la suggestione, a padroneggiare. È la capacità dell’autore di imbastire un racconto avvalendosi di un approccio avvolgente, ipnotico. Squarci di una realtà amara e dolorosa che si dipanano con lentezza, ma in maniera inesorabile. Il lettore ci si trova nel mezzo. All’inizio della storia si può avere l’impressione di possedere tutte le coordinate degli eventi, ma ciò che nella fase preliminare della lettura sembra chiaro ed evidente si rivela – ben presto – come il frutto di una visuale sfocata. C’è un momento in cui il lettore proverà un inevitabile senso di straniamento, per poi capire – con sorpresa – che la storia che sta leggendo non è il semplice dramma del presunto protagonista… ma l’intreccio delle vite di almeno tre personaggi legati da un destino e una condizione orribili. Girata l’ultima pagina, la tentazione di rileggere tutto dall’inizio è quasi irresistibile.
Non c’è dubbio che Palazzolo sia bravo a mischiare le carte (a creare un effetto straniante, dicevo)… ma lo fa avvalendosi di un linguaggio e di una caratterizzazione forti e di qualità.

leggere-fa-male-1La storia inizia in una stanza chiusa. C’è un ragazzino che vi è segregato dentro.
Il senso di ciò che accade, l’atmosfera, si percepisce sin dalle prime pagine: “è successo ieri, verso sera, ho sentito che sprangavano la porta, che ci mettevano delle assi di legno, ho sentito che le inchiudevano per bene, la buttanissima strega con la solita voce smozzicata da strega dava degli ordini secchi, l’altra invece non parlava, eseguiva soltanto, ogni tanto faceva degli sbuffi di naso come di chi si sta stancando tropp’assai, erano degli sbuffi angosciati, pure, forse perché nel mentre, sotto sotto, stava piangendo”.
Le identità delle due donne vengono rivelate solo alla fine, quando i pezzi di questo puzzle narrativo si ricompongono.

E poi la storia viene intramezzata da un diario. Una sorta di lunga lettera indirizzata a Gesù crocifisso. “Una storia segreta e difficile (leggiamo nella scheda del libro), un padre silenzioso, una madre arcigna, un prete che impartisce crudeltà morali”.
Comincia così: palermo, 9 novembre 1984, ore 20 e 37
Questa sequenza di missive, a mio avviso, ha un che di commovente e (nonostante l’epilogo tutt’altro che a “lieto fine”) testimonia l’esistenza di una grande fede, per quanto semplice, disperata, talvolta distorta: “… visto che sei il più grandissimo, fai una cosa piccola per me, caro gesù: da adesso in poi, e per tutto il tempo del mio racconto, non ti mettere nessuna espressione, fatti di niente, ascolta la storia che infilerò dentro al foglio e non spiccicare parola, perché solo così potrò scrivere senza vergogna tutto quello che è successo, solo così potrò azzerare per poi ricominciare daccapo… e allora ci stai a questo giochetto? ci stai a scancellarti da ogni dove? grazie gesù mio, schiodati dalla croce e scomparisci, per favore”.

Vorrei discutere insieme a voi e a Rosario Palazzolo di questo suo libro e – contestualmente – soffermarmi su un paio di requisiti essenziali (sebbene non unici) di ogni narrazione: il linguaggio e lo stile, da una parte; la trama, dall’altra.

E sarà questa la base di partenza della discussione parallela che accompagnerà quella sul libro…
Come sempre, al fine di incentivare il dibattito, provo a formulare alcune domande.

Nella “economia” di una storia che ruolo giocano linguaggio, stile e trama?

Tra linguaggio e stile (da una parte) e trama (dall’altra) – premesso che dovrebbero sempre amalgamarsi in maniera simbiotica e sinergica – chi riveste (o dovrebbe rivestire) il ruolo prevalente?

a) Linguaggio e stile sono a servizio della trama. b) La trama è condizionata da linguaggio e stile.
Quali, tra le suddette affermazioni, vi sembra la più condivisibile?

State per andare in vacanza e siete costretti a scegliere un libro da portare con voi, tra i due seguenti: il primo – secondo i vostri gusti – è dotato di stile e linguaggio sopraffini, ma ha una trama ridicola; il secondo ha una trama avvincente e ben strutturata, ma linguaggio e stile sono decisamente mediocri.
Quale libro portate con voi?

L’importanza che si attribuisce a linguaggio, stile e trama può variare a seconda del “genere letterario” di riferimento?

Spero che queste domande possano innescare una bella discussione (parallela, ripeto, a quella che riguarderà “Concetto al buio”).

Prima di chiudere, segnalo che avrò il piacere di presentare Rosario Palazzolo e questo suo libro nell’ambito dell’evento “Leggere fa male” organizzato da Alessandro Zannoni e che si svolgerà dal 21 al 23 luglio a Bocca di Magra (Porticciolo)… come meglio specificato nella locandina qui sotto.
Alessandro parteciperà alla discussione raccontandoci meglio i dettagli e la storia di questo evento letterario.

Massimo Maugeri

P.s. dato che Alessandro Zannoni è pure scrittore, avrò modo di aggiornare questo post con riferimento al suo nuovo romanzo “Imperfetto” (anche questo edito da Perdisa Pop). Ne parleremo nella seconda fase di questo dibattito.

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AGGIORNAMENTO DEL 26 LUGLIO 2010
Aggiorno il post pubblicando, di seguito, l’articolo di Gea Polonio sulla tre giorni letteraria “Leggere fa male”, tenutasi a Bocca di Magra dal 21 al 23 luglio.
Di seguito… qualche foto messami gentilmente a disposizione da Gian Paolo Serino, che ringrazio (potete visionare l’intero album fotografico dall’apposita pagina di facebook).

Massimo Maugeri

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UHSTOCK. ovvero: tre giorni di pace, amore e libri visti con sguardo coniglico
di Gea Polonio

Insomma, gente, io ’sta cosa so mica come scriverla.
Dovrei essere seria e parlare di Letteratura con la maiuscola (che pure una volta tanto ci starebbe, cazzo; la parola viene usata talmente spesso a sproposito che mi si blocca sulla tastiera, ma lì ce n’era, oh se ce n’era)?
Dovrei buttarla in caciara e descrivere gli schiamazzi notturni dei dopocena passati a ridere e chiacchierare bevendo vino (ma mica era solo cazzeggio, diobono, erano anche scambi interessanti e profondi sul senso della vita, e dello scrivere, e del leggere, e insomma)?
Dovrei essere sentimentalmente patetica e sdilinquirmi su quanto sia stato emozionante incontrare vecchi amici e conoscere persone umanamente fantastiche oltre che intellettualmente stimolanti (ma dannazione sarebbe sminuire in un pippone mieloso un qualcosa che merita molto di più)?

Insomma porcaccia la miseria è la terza volta che la riscrivo e mica mi va bene.
Allora facciamo che come viene viene, e caso mai aggiungete voi nei commenti, ok?

Della prima serata gli highlights sono senza dubbio: Carrino che inopinatamente e sfacciatamente ruba la scena a Serino durante la presentazione del proprio ”Pozzoromolo” mettendosi a cantare, benissimo, peraltro; e la professionalissima intervista del Maugeri (che all’inizio nessuno aveva riconosciuto perché indossava una camicia blu scuro), impeccabile come al solito, a un Rosario Palazzolo in gran forma, su lingua e scrittura, con riferimento a ”Concetto al Buio”. Beh, tra il peso specifico dei libri (assolutamente splendidi e corposi di forma e sostanza) e il notevole spessore degli autori, l’insieme è stato grande. Mi dispiace per chi se l’è perso.

La seconda sera era di scena il Bernardi, e quasi basta la parola. Prima con Francesco ”effeffe” Forlani il quale, con l’ausilio di potenti mezzi audiovisivi, lo ha coinvolto in una sorta di gioco della verità-intervista; poi con Sacha Naspini, per parlare de ”I Cariolanti” che Luigi ritiene, insieme a ”Pozzoromolo” appunto, tra i migliori libri italiani del 2009. E qui si è pure scoperto che ’sto benedetto ragazzo scrive a quel modo in un fiat: cinque giorni, ci ha messo. Ed è irrefrenabile. Meglio per noi, no?

La terza performance è stata retaggio del Pandiani, che ha parlato del suo ”Les Italiens” e degli altri della serie usciti o scritti o in divenire, coadiuvato dal grande (in molti sensi) Enzo Bodycold. Purtroppo Barbara Baraldi ha avuto un impedimento e all’ultimo istante ha dovuto dare forfait. Peccato, ché sarebbe stato interessante sentirla, introdotta da Alessandra Buccheri (con la quale peraltro avevo in comune scarpe e borsa: buffo).

In mezzo a tutto questo: l’arrivo avventuroso di Imma che ha attraversato fiumi di fuoco ed è stata salvata dall’eroismo di Enrico Pandiani e Francesco Forlani che in sella a un cavallo bianco sono andati a recuperare lei e le mozzarelle; i pigiama party con Giulia e mamma Nicoletta; le ore piccole, la spiaggia, il perdersi con Sacha nel tentativo di fare senza tomtom; i bar dove collassare nelle ore calde e fare discorsi da sceneggiatura di film, bevendosi reciprocamente per non perdere un minuto dello stare insieme; lo shopping compulsivo da mercatino; memorie, confidenze, battute, tavole quadrate ché di rotondi bastavamo noi (come diceva tuo nonno,vero Gigio?), urletti e risate, bambini e adulti, ospitalità squisita e maternage, i castellani con bambolina sempre sveglia al seguito, i bluesmen, i fotografi (io odio Daniele Barraco che mi ha trascinato davanti all’obiettivo), Alice che porta la focaccia e sa aprire il vino, Rosario che parla poco ma dice molto, Carrino che è una gioia di autoironia e intelligenza, Domenichini che aveva l’aria di divertirsi un sacco, Paolacci che non sai mai cosa pensi ma credo che finchè sorride sia tutto ok, Forlani che i grandi momenti li provoca, Massi che giuro che lo adoro, Serino che fa spettacolo a sé, e Alba che viene da Pisa; e il Bernardi, santiddio, il Bernardi che è il Bernardi e se lo conosci non lo eviti, anzi…
E poi.
Poi Ale Zannoni.
E qui non c’è niente che io possa dire se non grazie.
E standing ovation.

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http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/07/06/concetto-al-buio-leggere-fa-male/feed/ 220
PADRI (SCRITTORI) e LIBRI: Valter Binaghi, Gianni Biondillo, Vito Bruno, Franz Krauspenhaar, Rosa Matteucci, Raul Montanari, Amedeo Romeo http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/05/10/padri-e-libri/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/05/10/padri-e-libri/#comments Mon, 10 May 2010 14:21:19 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=2056 padri-e-figliÈ un post a cui tengo particolarmente, questo… finalizzato ad avviare una discussione sul significato dell’essere padre, oggi; dell’essere marito (o partner); ma anche dell’essere scrittore (e/o artista). E ancora, sul rapporto tra padre e figlio (anche nel caso di genitori separati) e su quello tra uomo e donna all’interno del nucleo familiare.
Per farlo ho invitato sei scrittori che hanno pubblicato, di recente, romanzi… “in tema”. Si tratta (li elenco in ordine alfabetico di cognome) di: Valter Binaghi, Gianni Biondillo, Vito Bruno, Franz Krauspenhaar, Raul Montanari, Amedeo Romeo.
Avrò modo di presentarli nel corso della discussione.

Vi anticipo i tratti in comune che hanno i protagonisti di queste storie (in fondo al post troverete le schede dei rispettivi libri).

- Il protagonista del libro di Valter Binaghi si chiama Fausto Blangé: è uno scrittore che ha perso la moglie (morta suicida) e ha ucciso il suo ex analista.

- Luca, personaggio del libro di Gianni Biondillo, è un padre separato che deve fare i conti con la moglie che gli impedisce di vedere la figlia.

- Anche il protagonista del libro di Vito Bruno – un uomo che scrive a quella che sta per diventare la sua ex moglie – deve affrontare la terribile esperienza della separazione dal figlio.

- Il personaggio principale del romanzo di Franz Krauspenhaar è un anziano scrittore italiano di origine tedesca alla ricerca della moglie scomparsa. L’uomo teme che sia stata uccisa dal figlio.

- Danio è il protagonista del libro di Raul Montanari: fa lo psicologo, è separato e ha un figlio, nervoso come tutti i ventenni. Ha anche una giovane fidanzata, e un tremendo segreto: è un assassino… un assassino per caso.

- Andrea Morini, invece, personaggio del romanzo di Amedeo Romeo, è affascinato dalla maternità ma… ha il terrore di diventare padre.

Discuteremo, approfittando della presenza degli scrittori/ospiti, dei libri (introdotti di seguito), ma anche dei temi del post.

Pongo alcune domande volte a favorire la discussione (e ispirate dai romanzi oggetto di questa discussione).

1. Come è cambiato, oggi, l’essere padre?

2. In cosa, il padre di oggi, si differenzia nettamente da quello delle generazioni precedenti? Quali i pro e i contro di tali differenze?

3. Che cosa significa, oggi, “volere” un figlio?

4. Premesso che le principali vittime delle separazioni tra i coniugi sono quasi sempre i figli, tra il padre e la madre chi è che subisce – in genere – il trauma maggiore? E chi, in genere, tra i due presenta maggiori fragilità?

5. L’uomo contemporaneo rischia di rimanere vittima della corruzione del successo di più o di meno rispetto a qualche decennio fa? E il successo che corrompe colpisce di più l’uomo, il marito, il padre, lo scrittore (o – in maniera analoga – la donna, la moglie, la madre, la scrittrice)?

Contestualmente coglieremo l’occasione per discutere sulla legge relativa all’affidamento dei minori.

Mi daranno una mano a moderare la discussione: Simona Lo Iacono (che, nella veste di scrittrice e giurista, metterà a nostra disposizione le sue competenze per fornirci informazioni e chiarimenti sulla vigente normativa sull’affidamento dei minori nei casi di separazione dei genitori; in fondo al post troverete un suo articolo), Francesca Giulia Marone (nel ruolo di scrittrice, madre e figlia: mercoledì 12, h. 8.00, trovere un suo racconto pubblicato su La poesia e lo spirito) e Ausilio Bertoli (che – nel duplice ruolo di scrittore e psicosociologo della comunicazione e della devianza – ci fornirà spunti e chiarimenti di natura, appunto, psicologica; ne approfitto per segnalare questo libro). Ad affiancare Ausilio Bertoli, anch’egli nel duplice ruolo di scrittore e psicanalista: Salvo Montalbano (nulla a che vedere con Camilleri, come si evince da questa recensione al suo romanzo).

Di seguito, le schede dei sei romanzi.
Massimo Maugeri

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UCCIDERÒ MEFISTO, di Valter Binaghi
(Perdisa Pop, 2010)

Fausto Blangé, l’uomo che la polizia sta interrogando era un docente universitario, uno scrittore, un opinionista televisivo; adesso è un omicida. Ha ucciso il suo ex analista.

Il colpevole è reo confesso, i fatti sono chiari. Manca solo il movente. Non è semplice individuarlo nelle farneticazioni di un uomo che sembra aver perso la ragione. Legnetti indaga, interroga, cerca le cause nell’improvviso suicidio dell’amata moglie di Blangé nel suo cedere a manchevolezze.

Quando la ricostruzione dei fatti s’intreccerà ai frammenti del suo delirio, ne emergerà una storia d’amore e di follia, che ha il sapore di un apologo sul successo effimero e ingannevole.

NEL NOME DEL PADRE, di Gianni Biondillo
(Guanda, 2009)

È la notte di Natale, in un mondo che si prepara a festeggiare, comunque e dovunque. È la notte di Natale per tutti, ma non per Luca, che è solo in casa, abbrutito dall’alcol e dal dolore, sul punto di compiere un atto disperato, sconsiderato, l’ultimo… E forse non lo può fermare nemmeno il telefono, che squilla a vuoto…. Ma come siamo arrivati a questo punto? Ecco che in una serie di flashback incrociati ripercorriamo la storia d’amore di Luca e Sonia, l’incontro, la decisione di creare una famiglia, la nascita della piccola Alice, alla quale Luca assiste sgomento e incredulo come tutti gli uomini, e poi via via tutti i passi in fondo banali che conducono una coppia alla distruzione… Qui comincia il calvario di Luca, che è quello di molti padri separati: la moglie gli impedisce di vedere la bambina, approfittando in modo subdolo di un vuoto legislativo che vede gli uomini pieni di obblighi ma privi di diritti. E mentre gli amici di sempre (tra i quali un certo Michele, poliziotto… Vi ricorda qualcuno?) cercano di stargli vicino e di aiutarlo come possono, a Luca non resta che lottare con incredulità, sconcerto, dolore, rabbia, incontrandosi con altri uomini nella sua situazione, studiando maniacalmente le leggi, cercando di far pesare il meno possibile a sua figlia questa situazione.

L’AMORE ALLA FINE DELL’AMORE, di Vito Bruno
(Elliot, 2010)

Una notte d’agosto a Roma. In città c’è solo solitudine e silenzio. Dall’appartamento che si appresta a lasciare, un uomo scrive a quella che sta per diventare la sua ex moglie. Una lettera dolorosa e allo stesso tempo piena d’amore. Amore per lei e per il loro bambino, dal quale d’ora in avanti sarà costretto a separarsi e che è l’unico a non avere parola su ciò che sta succedendo tra i genitori. Circondato da fotografie e oggetti che continuano a parlargli del tempo felice vissuto insieme in quella casa, rievoca le stagioni dell’innamoramento, la nascita del figlio, e quindi la brusca fine del matrimonio e l’allontanamento forzato dalle due persone che ama più al mondo. Fuori, la notte sembra infinita e i fantasmi di una gioia ormai lontana lo assalgono e gli parlano di ciò che è stato e che presto non sarà più. Solo l’amore per il figlio e la sua vicinanza possono salvarlo, ma “una legge” tanto anacronistica quanto implacabile gli nega anche questa possibilità. La voce del protagonista si vena così di rabbia e di amarezza, di impotenza per quello che sta per accadere. Fino a quando il sole, ormai nascente sulla città, lo riporta al pensiero del bimbo e al senso dell’amore che rimane alla fine di un amore. Vito Bruno firma una lettera “dalla parte dei padri” commovente, personale e universale al tempo stesso per parlare a una moglie e a tutte le donne del significato più profondo dell’amore.

L’INQUIETO VIVERE SEGRETO, di Franz Krauspenhaar
(Transeuropa, 2009)

Alla ricerca della moglie scomparsa, che il protagonista – un anziano scrittore italiano di origine tedesca – pensa sia stata uccisa dal figlio, l’uomo finirà in Germania, nella sua città natale, dove scoprirà una verità amarissima e sconcertante.
Nel mezzo del racconto in seconda persona, analisi di un processo di riduzione e svanimento che riguarda un’epoca e insieme un’esistenza, l’anziano artista non ha più alcun punto di riferimento, e vive uno scollamento profondo con la realtà esterna.
Romanzo inquieto e inquietante sull’abbandono e la scomparsa, sui sogni, sull’arte, sulla scrittura, sulla vita intima delle persone, L’inquieto vivere segreto si sostanzia di un surrealismo che coniuga atmosfere alla Alberto Savinio con un tambureggiante pessimismo di stampo bernhardiano, in una sintesi tutta personale che avvicina il grido disperato del primo romanzo di Krauspenhaar Le cose come stanno (2003) con l’analisi del rapporto padre-figlio raccontata in Era mio padre (2008), tentando così di andare all’osso di quel fenomeno di incubo illusionistico che è spesso la vita.

STRANE COSE, DOMANI di Raul Montanari
(Baldini Castaldi Dalai, 2009)

Danio fa lo psicologo, è separato e ha un figlio, nervoso come tutti i ventenni. Ha anche una giovane fidanzata, e le pazienti che affollano il suo studio lo adorano. Fin troppo.
Ma, soprattutto, Danio ha un segreto: è un assassino. Un assassino per caso. Nessuno lo sa tranne la sua ex moglie, l’enigmatica, magica Eliana.
Il ritrovamento di un diario, abbandonato in un parco da una ragazzina, rompe il delicatissimo equilibrio che governa le sue giornate. Coinvolto in un odioso dramma famigliare, pressato dalla coscienza e seguito ovunque da un bizzarro e indimenticabile detective privato, Danio dovrà difendere se stesso e le persone che ama da una minaccia inattesa, fino a una resa dei conti rivelatrice per il senso stesso della sua esistenza.
Strane cose, domani è un romanzo ricco di sorprese e sottigliezze, una storia incalzante, lontana dai luoghi comuni, che racconta un amore indomabile per la vita.

NON PIANGERE COGLIONE, di Amedeo Romeo
(ISBN, 2010)

Andrea Morini è affascinato dalla maternità ma ha il terrore di diventare padre. Il corpo delle donne incinte lo attrae al punto che il solo profumo della crema contro le smagliature risveglia in lui un universo erotico. Quando incontra Lena, alla trentasettesima settimana di gravidanza, confuso nella contemplazione della maternità, si scopre a desiderare di essere lui stesso madre, di portare in grembo una nuova vita. Avanti e indietro tra Genova e Milano o immobile su una sedia di metallo in una cucina vuota, solo o in compagnia di stravaganti compagni di viaggio, Andrea si perde in balìa della sua ossessione. “Non piangere coglione” è il romanzo neoesistenzialista del 2010, che racconta, con divertimento e poesia, la ricerca della felicità di un uomo come tanti. Amedeo Romeo prova a rispondere a una delle domande più importanti del nostro tempo: che cosa significa, oggi, volere un figlio?

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L’infanzia è un girone difficile da attraversare.
Considerazioni sul cosiddetto “affidamento condiviso”

di Simona Lo Iacono

Tornare alle origini. Chiudere gli occhi e rifare quel viaggio. Noi. Piccolissimi. Gli sguardi a siluro sulla madre. E sul padre. Se lei è in silenzio. Se lui è scontroso. Se parlano. Se non parlano. Se ridono.
Se litigano.
Noi che esistiamo solo se loro restano uniti. E che disarcioniamo i fantasmi solo se tornano a darsi la mano.
E dopo, via, sollevati, i giochi finalmente giochi, e la vita ancora, e per un’imprecisata eternità, la vita. La minaccia di separazione sfaldata, volata dalla finestra come uno di quei mostri che al mattino si dissolvono su una lacrima d’alba e che solo di notte grattano i vetri.
La mamma, adesso, è serena. Il papà è sereno.
Possiamo tornare bambini.
Ecco. L’infanzia è un girone difficile da attraversare. Un avvicendarsi di paure e sollievi, lutti e recuperi, salvezza e perdizione.
Un girone dove il regnante da sedurre, e da tenere immobile nel regno, è la coppia dei genitori.
E tuttavia. Questa coppia è cambiata. Le sue assi interne. Gli scopi che catalogavano la donna e l’uomo. I compiti che gravavano sull’una e sull’altro.
Il mutamento del ruolo della donna nella società e nel mondo del lavoro, ha sollecitato il cambiamento dell’uomo e del padre.
Questo, da unica fonte di sicurezza, è divenuto depositario delle speranze di crescita dei figli. Da soggetto in relazione prevalente col mondo esterno e lavorativo, si è trasformato progressivamente in soggetto con forte ascendenza interna. Con un apporto nuovo di tenerezza e accadimento della prole.
E però. Ancora oggi l’incontro del bambino o della bambina con il proprio genitore/padre è fonte di mistero ma anche di eventi imprevedibili. Sappiamo, di certo, che sin dalla nascita (si parla già durante la vita embrionale) l’incontro del bambino con i genitori reali non attiva solo bisogni di assistenza, accudimento e protezione ma bisogni “sociali”.
Infatti il contatto del bambino con le immagini (interne e poi sociali) del Padre e della Madre, costella l’archetipo della Famiglia, costituito dalla triade madre ¬- padre – bambino.
La relazione con due oggetti d’amore offre inoltre al bambino due diverse possibilità di identificazione e imitazione, una femminile e una maschile, due possibili universi a confronto, necessari al suo processo di maturazione, per le future scelte di vita.
Dalla relazione con i genitori deriva anche l’attivazione del potenziale creativo, dei multiformi talenti nascosti.
È dunque l’apprendimento della funzione maschile e femminile che orienta l’individuo nelle relazioni con il mondo esterno (il lavoro, gli affetti, le amicizie, le relazioni di coppia). Infatti le immagini genitoriali (interne e esterne) fanno parte della costruzione strutturale psichica di ogni individuo ed assumono importanti funzioni di guida nel corso della vita, durante i processi di conservazione dell’equilibrio psico – sociale. Tanto i futuri rapporti sociali, quanto la futura realizzazione del proprio ruolo di madre o di padre sono strettamente connessi al rapporto con i genitori reali e fantastici e con i modelli interni che essi hanno attivato.
Ecco perché l’alterazione e l’interruzione di questo processo può determinare delle carenze nell’assunzione della propria funzione sociale e genitoriale.
Quando, infatti, è costretto a negare e a rinunciare a uno dei due genitori o non gli è possibile mantenere il rapporto con uno di essi, il bimbo non rinuncia solo al genitore reale ma anche alla attivazione della immagine interna corrispondente.

A queste considerazioni risponde la legge di riforma del diritto di famiglia ossia la legge 8 febbraio 2006, n. 54 relativa all’Affido condiviso che ha modificato l’Art. 155 cc. Quest’ultimo, nella sua nuova formulazione, recita:
«Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.»

Si tratta di un ribaltamento del precedente regime giuridico, ove la regola era costituita dall’affidamento esclusivo (e prevalentemente) materno. Il regime attuale, invece, dispone che la norma sia l’affidamento condiviso e solo in caso di acclarata incapacità di un genitore ad educare, l’affido esclusivo all’altro.
Il direzionarsi verso un affido condiviso risponde quindi alla necessità di stabilire (anche nel momento della crisi familiare) il principio della bigenitorialità (Cass. 18/08/2006 n. 18187) quale modalità naturale dell’essere in sé genitori (Corte di Appello di Catania, sent. 21 aprile 2009) e reca con sé un contenuto ben preciso, ovvero quello di rendere ontologico l’esercizio congiunto della potestà, in modo che anche per le decisioni di ordinaria amministrazione entrambi i genitori possano operare congiuntamente.
Inoltre la permanenza del minore presso ciascun genitore viene ripartita in modo equilibrato in un progetto educativo genitoriale da presentare in allegato all’istanza di separazione, con la ripartizione dei compiti e dei capitoli di spesa assegnati a ciascun esercente la potestà. .
Il padre e la madre, infine, saranno stimolati a distinguere la relazione di coppia dalla loro relazione genitoriale, tanto che le azioni che un genitore dovesse compiere per ostacolare la frequentazione dell’altro o per gettare discredito sull’altra figura genitoriale, verranno considerate dal tribunale un valido motivo di esclusione.
Certo. Il successo di un affido davvero condiviso è nell’atteggiamento di reciproca apertura, ancor prima che nelle concrete modalità di convivenza con i figli. Per questo sono previsti appositi sostegni psicologici di mediazione e confronto della coppia.
L’esperienza dimostra esiti felici (e bimbi sereni pur in una situazione di divisione) solo laddove la coppia abbia superato i dissidi, non abbia strumentalizzato la prole, e abbia comunque mantenuto inalterata una “vita” familiare (ossia una relazione della triade: mamma, papà, bambino).
Segno che la legge “esterna” può vestire la famiglia. Ma che la famiglia deve trovare la legge “interna” nel proprio cuore.

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AGGIORNAMENTO DEL 30 MAGGIO 2010

Aggiorno il post preannunciando la partecipazione al dibattito della scrittrice Rosa Matteucci, il cui più recente romanzo pubblicato – “Tutta mio padre” (Bompiani) – è perfettamente in tema con la discussione in corso. (Rosa Matteucci – così come Raul Montanari – è tra i dodici finalisti dell’edizione di quest’anno del Premio Strega).
Sono particolarmente lieto della partecipazione di Rosa, perché la sua voce di scrittrice si aggiungerà a quella degli altri scrittori (uomini) che ho coinvolto nel dibattito.
Questa, la nota del libro…
“Qui non c’è più nessuno.” Una figlia smarrita, che ha perso padre madre e cane, chiosa: “Il cordoglio provato per la scomparsa dei genitori naturali è piscio di gallina in confronto al dolore irrimediabile che si prova per la morte del cane.” È solo l’inizio di un picaresco e straziante viaggio al termine della notte, a ritroso in un tempo spento e bruciante, alla ricerca dell’impossibile riscatto di una figura paterna speculare e complementare a quella dell’io narrante, che mette in scena con coraggio assoluto il gran teatro di splendori e miserie in una decadenza familiare. Una storia unica, ineguagliata eppure simile a tutte le altre nel senso ultimo, da una prova di coraggio all’inevitabile disillusione che sublima la sofferenza. E un’Odissea da vertigine nell’Italia in bianco e nero del secolo scorso, con giganti, maghe, mostri marini e allegrie di naufragi. Qui Ulisse è un uomo che ha tentato così tante vite da non viverne davvero neppure una, la sua; eppure sa – lo aveva sempre saputo, e infatti aveva recitato la parte di se stesso solo per ispirare l’unica persona che potesse raccontarla – che un giorno la figlia lo renderà davvero un eroe, quale nella realtà mai era stato.

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LA MARSIGLIA DI JEAN-CLAUDE IZZO, incontro con Stefania Nardini http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/04/16/la-marsiglia-di-jean-claude-izzo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/04/16/la-marsiglia-di-jean-claude-izzo/#comments Fri, 16 Apr 2010 21:35:17 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=1932 Dieci anni fa – il 26 gennaio del 2000 – moriva Jean-Claude Izzo: noto scrittore e sceneggiatore francese.
Parlare di Izzo equivale – per certi versi – a parlare di Marsiglia, la sua città natale (dove vide la luce il 20 giugno 1945).

Ed è questo l’obiettivo della discussione che vi propongo: aprire una finestra su uno scrittore e sulla sua città (tutto il contrario di una città per turisti, perché la sua bellezza non si fotografa, si condivide). Lo spunto ce lo offre la nuova opera di Stefania Nardini, intitolata ”Jean Claude Izzo. Storia di un marsigliese” ed edita da Perdisa Pop nell’ambito della nuova collana diretta da Luigi Bernardi: Rumore Bianco.

Avremo senz’altro modo di discutere della trilogia che ha come protagonista il più noto personaggio letterario creato da Izzo: Fabio Montale (Casino totale, Chourmo, Solea); ma anche dei romanzi Marinai Perduti e Il sole dei morenti. “Cinque libri” – leggiamo nella scheda del saggio della Nardini – “che hanno conquistato migliaia di lettori in Francia e in molti paesi europei. Solo cinque libri perché Jean-Claude Izzo a 55 anni se ne è andato, lasciando un segno, non solo nella città a lui cara, Marsiglia, ma in tutti coloro che nei suoi testi hanno ritrovato sensazioni, emozioni, verità“.

Per narrare di Izzo, l’autrice di questo saggio ha trascorso un po’ di tempo a Marsiglia. Ecco cosa scrive nella nota finale al libro: “Andai a Marsiglia. Dovevo restarci due settimane. Ci sono rimasta quattro anni“. Ed è così che Marsiglia è diventata una delle “città elettive” di Stefania Nardini (l’altra è Napoli).

Alcune domande per favorire la discussione…

Conoscete Jean-Claude Izzo? Avete mai letto qualcosa di suo?

Qual è l’eredità principale che ha lasciato Izzo?

Che tipo di contributo ha dato, nell’ambito della narrativa europea e mondiale, la trilogia marsigliese che ha per protagonista Fabio Montale?

Avete mai avuto modo di visitare Marsiglia? Che ricordo ne conservate?

E quale città (diversa da quella dove siete nati) eleggereste a vostra “città elettiva”? E per quale ragione?

Vorrei approfittarne anche per invitare Luigi Bernardi a raccontarci del progetto editoriale Perdisa Pop (e delle varie collane che dirige).

Di seguito, la recensione firmata da Gordiano Lupi e l’articolo che Sandra Petrignani ha pubblicato sul quotidiano L’Unità.

Massimo Maugeri

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“JEAN CLAUDE IZZO. Storia di un marsigliese” di Stefania Nardini
Perdisapop – pp. 180 – Euro 14

recensione di Gordiano Lupi

Parte alla grande la nuova collana Rumore bianco diretta da Luigi Bernardi, ispirata al capolavoro di Don DeLillo e intenzionata a cercare uno squarcio di luce nel quotidiano. La grafica è a dir poco perfetta: libri agili, maneggevoli, belli da guardare, da sfogliare e da collezionare. Badate bene: non è un spot, non li so fare, è soltanto la prima cosa che viene in mente appena tocchiamo un volume. Caratteri di stampa ben leggibili, illustrazioni di Ivana Stoyanova che fanno respirare il testo, copertina – vivace ed elegante – che incoraggia l’acquisto. Un bel prodotto editoriale, non c’è che dire.
Il testo vibrante e partecipe di Stefania Nardini su Izzo e il suo rapporto con Marsiglia non poteva costituire miglior scelta per inaugurare la collana. A ogni pagina apprezziamo il legame intenso tra la scrittrice e la città francese, così come la narrativa di Izzo è inscindibile dalla realtà cittadina e non è possibile conoscere la sua opera se non si affondano le radici nel territorio dove ha vissuto. Stefania Nardini traduce molte poesie di Izzo e le utilizza per raccontare uno scrittore noto come autore della trilogia noir che vede protagonista l’ispettore Fabio Montale. Ci descrive un uomo nato in una città di frontiera, figlio di emigranti, immerso in una realtà meticcia e cosmopolita, ci fa capire che è impossibile raccontare Jean-Claude Izzo senza parlare di Marsiglia, una città consacrata dal mito, nata dall’incontro di un marinaio della Focide con la principessa ligure Gipsy, un’invenzione partorita da quell’incontro. Si vede che la Nardini ha amato Izzo, perché racconta la sua vita con passione e trasporto, narra di amori infelici, di solitudine estrema, del coraggio con cui è riuscito ad affrontare un male terribile. Il libro narra la passione politica di Izzo, il suo essere comunista e libertario, pacifista e sempre schierato dalla parte della povera gente, a fianco degli umili. Dove c’è rivolta c’è rabbia. Dove c’è rabbia c’è vita…, Izzo lo sa bene, si lascia travolgere dal maggio francese, dalla temperie sessantottina, dai movimenti di protesta e riesce a essere comunista, pure se il PCF – come il PCI – non vede di buon occhio chi passa tropo tempo sui libri. Alla lunga non potrà che arrivare la crisi tra Izzo e il partito, perché la sua intelligenza non può accettare verticismo e stalinismo. Resta un uomo libero, di sinistra, legato a ideali di libertà e democrazia, che fa il giornalista, un mestiere che considera umano e importante, perché ci si devono sporcare le mani con la realtà. Scrive una pièce teatrale su Angela Davis, ambasciatrice di un grido di dolore che veniva dalla terra della libertà, per mettere in primo piano il dramma dei neri e il problema razzista. Scrivere è il mio mestiere/ solitario con te morte solitaria nell’ignoto delle parole… scrive il poeta mentre vive la sua Marsiglia, ebbra di una povertà ancestrale, tutto il contrario di una città per turisti, perché la sua bellezza non si fotografa, si condivide. Per Izzo è importante l’atmosfera della città di confine, così come sono decisivi gli abitanti, individui portatori di sogni e cultura. La sua trilogia noir è il culmine di una grande opera che porta nei libri un intero mondo, una città con i suoi odori, il cibo, i profumi intensi, gli aromi che provengono dall’infanzia e i personaggi presi dal quotidiano. Sono cresciuto in mezzo all’odore del basilico come tutti i bambini del Sud… morirà in mezzo agli odori di un porto, malato di cancro ai polmoni, dopo una lunga lotta, scrivendo e soffrendo, perché scrivere era il suo mestiere.
Brava Stefania Nardini che ci fai capire cosa significa essere un vero scrittore. Izzo e Marsiglia: un binomio indissolubile che l’autrice comprende fino in fondo, perché si nota con chiarezza che anche tra lei e la città francese è nato un legame indissolubile.

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Jean-Claude Izzo e Marsiglia: misteri, allegria, disperazione
di Sandra Petrignani

Parigi non sarebbe quello che è se Simenon non l’avesse descritta come ha fatto nei suoi Maigret. Marsiglia, almeno la Marsiglia contemporanea, deve molto a uno scrittore dalla velocissima parabola e dalla scrittura ferma ed essenziale dei nostri giorni, oserei dire dei nostri giorni noir, Jean-Claude Izzo. Figlio di un nabo, un immigrato napoletano, mentre la madre era di famiglia spagnola, Izzo era dunque un rital, marsigliese figlio di immigrati, soprattutto era figlio del Panier, «il quartiere che spunta sulla collina e domina il porto, considerato un covo di ribelli… Un groviglio di vicoli in cui s’intrecciano storie, codici, misteri, allegria, disperazione». Così descrive la Marsiglia del 1945, data di nascita di Izzo, Stefania Nardini, giornalista culturale che viene dalla cronaca e che ha già fatto incursioni nel romanzo ( Matrioska e Gli scheletri di via Duomo, editi da Pironti). Jean-Claude Izzo. Storia di un marsigliese racconta un uomo e una città (quasi una doppia biografia) ed è in libreria il 7 di aprile, edito da Perdisa. Cinquantacinque anni – Izzo è morto nel 2000 per un cancro ai polmoni – pieni di storie, di amori, di ribellioni. Lo ricordo magrissimo e attraente a un convegno di scrittori in Provenza, già molto malato. Ricordo che mi colpì la sua serietà, un rigore che attraversava le sue parole, ma anche il suo modo di muoversi, di camminare. E ricordo l’aura che lo circondava, dovunque andasse era subito raggiunto da amici e fan, soprattutto giovani. Ora lo ritrovo nel racconto di Stefania Nardini con la sua parte d’ombra, di senso di colpa, di irresolutezza: un’umanità contorta e appassionata solo in parte riversata nel suo personaggio più famoso, il poliziotto Fabio Montale, protagonista della trilogia Casino totale, Chourmo, Solea (editi da e/o). Lo ritrovo giovane e innamorato della futura madre dell’unico figlio, Sébastien, che inizia con lei un percorso politico rigoroso, mentre scrive poesie non d’amore, ma sempre impegnate. Ha il mito di Rimbaud e nell’andare a Gibuti e ad Harar, a visitare la casa del poeta, scopre una realtà ancor più sconvolgente di quella miserabile degli operai e disoccupati di Marsiglia: la povertà totale, i lebbrosari. Sceglie una professione al servizio degli sfortunati, il giornalismo di denuncia. Politica, pacifismo, poesia. «E la poesia è nella strada come un senzatetto» dice un suo verso che potrebbe essere il suo manifesto. «Marsiglia non è una città per turisti». «Marsiglia, una verità alla luce del sole…». È sempre questa città a fare da sottofondo, a parte una parentesi parigina, alla sua narrativa come alla sua vita. Ma la narrativa arriva tardi e per caso. Un giorno pubblica un racconto di una ventina di pagine, Marseille, pour finir, su una rivista. Lo notano alla Gallimard e gli chiedono di farne un romanzo. Sarà Casino totale. Un inaspettato successo, l’inizio di una carriera di narratore (molto più interessante del poeta che credeva di essere) che non aveva programmato. Era il 1995. Aveva cinquant’anni: non era più iscritto al partito da tanto tempo, aveva macinato amori soffrendo della sua incapacità a essere fedele, lui così fedele ai suoi ideali, alla sua città. Cominciava una nuova avventura che lo avrebbe imposto anche fuori di Francia. Ma aveva poco tempo, pochissimo. Solo cinque anni per confermare un talento, che gli fu ampiamente riconosciuto da lettori e critica e che rimbalzò nelle trasposizioni cinematografiche e televisive. Nei suoi romanzi ritorna la sua esperienza personale, il suo impegno politico. Riflette in Solea: «L’attività criminale è strettamente associata, per l’opinione pubblica, al crollo dell’ordine pubblico. Vengono evidenziati i misfatti della piccola delinquenza, mentre il ruolo politico ed economico e l’influenza delle organizzazioni criminali internazionali restano invisibili». L’ultimo romanzo, Il sole dei morenti, parla di un clochard, un uomo che insieme all’amore ha perso tutto. Al funerale fu accompagnato dalla musica che preferiva, Aznavour, Ferré, Miles Davis. E «le sue ceneri furono gettate in mare», conclude Nardini. Il mare da cui era arrivato a Marsiglia suo padre, senza altra dote che la forza delle braccia.

7 aprile 2010
pubblicato sul quotidiano L’Unità (pag. 40) nella sezione “Culture”

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YOANI SÁNCHEZ e UNA TERRIBILE EREDITÁ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/01/07/yoani-sanchez-terribile-eredita/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/01/07/yoani-sanchez-terribile-eredita/#comments Thu, 07 Jan 2010 18:17:16 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/04/18/cuba-libre-vivere-e-scrivere-allavana-di-yoani-sanchez/ Rimetto in primo piano questo post dedicato alla blogger cubana Yoani Sánchez e – contestualmente – ne approfitto per presentare il nuovo romanzo di Gordiano Lupi (che è anche il traduttore del volume “Cuba libre” della Sánchez): “Una terribile eredità” (Perdisa Pop, 2009, p. 128, € 12).
Mi piacerebbe che Gordiano ci aggiornasse sulle condizioni di Yoani e che ci raccontasse qualcosa su questo suo nuovo libro (molti di voi ne avranno già sentito parlare… magari l’avranno anche letto). Anticipo che si tratta un romanzo a metà strada fra horror e reportage, che attinge a Cuba, ma anche alle inquietudini più profonde della natura umana.
La storia nasce nel cuore della guerra in Angola: i soldati cubani sono costretti a vivere un tormento assurdo e privo di logica, nel cuore di un’Africa selvaggia, tra mangiatori di scimmie, ritualità macabre e violenza efferata. Tra quei soldati c’è il protagonista del libro: un cittadino comune che si ritrova immerso in un incubo, mentre la moglie incinta lo aspetta a casa… all’Avana… insieme a un destino di follia. Un incubo che dura cinque anni, il suo (che tocca perfino l’esperienza del cannibalismo), e che si trasforma in un rinnovato incubo allorquando l’uomo torna a casa: la spersonalizzazione causata dalla guerra e le tragedie vissute, sommate alla crudeltà del regime, faranno di lui un disumano assassino.
Rimasto vedovo, l’uomo brancolerà tra le strade povere dell’Avana per dare la caccia alle vittime innocenti della sua mente devastata; eppure, paradossalmente, non verranno meno la sua sensibilità di base, l’amore per il figlio, il senso di colpa.
Una storia che si alterna tra macabro, follia, amore e morte in una terra che resta ancora da scoprire.

Questo libro di Gordiano offre vari spunti di riflessione. Uno di questi è quello della fragilità dell’uomo resa “estrema” di fronte alla guerra.
Per favorire un possibile dibattito, ho pensato di proporvi la seguente domanda: le devastazioni della guerra – a vostro avviso – agiscono più a livello collettivo o più a livello individuale? E con quali conseguenze?

Ne approfitto per evidenziare che “Una terribile eredità” è edito dalla piccola, ma prestigiosa, casa editrice Perdisa Pop nell’ambito della collana Walkie Talkie diretta da Luigi Bernardi. Il volume sarà presentato a ROMA, venerdì 15 gennaio 2010 – ore 16,30 – presso la SALA DEL CARROCCIO – CAMPIDOGLIO. Con Gordiano Lupi ci sarà Giovanni De Ficchy.

Vi ringrazio in anticipo per la partecipazione.
Segue il post originario dedicato a Yoani Sánchez.
Massimo Maugeri

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CUBA LIBRE. Vivere e scrivere all’Avana, di Yoani Sánchez
(18 aprile 2009)

Avevamo già avuto modo di parlare di Yoani Sánchez. Ne parliamo nuovamente in occasione dell’uscita in Italia del suo “CUBA LIBRE. Vivere e scrivere all’Avana“, appena edito da Rizzoli, collana 24/7 (p. 237, euro 17), e tradotto e curato da Gordiano Lupi.
Yoani Sánchez è un strana dissidente – leggiamo nella scheda del volume – : non denuncia, non attacca, non contesta. Semplicemente racconta nel suo blog cosa significa vivere oggi nel regime comunista di Cuba.
Il suo blog è stato oscurato, ma – nonostante tutto – è riuscito a sopravvivere all’estero grazie a Internet. “Per noi che viviamo in questa Isola, nella quale per molti anni l’informazione è stata monopolio esclusivo dello Stato, Internet ha prodotto una crepa nel muro della censura che sembra molto difficile da chiudere“, racconta Yoani. “Anche se Cuba ha uno degli indici di connessione più bassi del pianeta, le persone cercano il modo di accedere alle notizie che compaiono in rete. Come abbiamo un mercato nero per gli alimenti, che ci fornisce tutto ciò che non possiamo comprare nel mercato razionato o nel mercato in pesos convertibili, così esiste un rifornimento illegale e alternativo di informazione. Con la creatività che ci caratterizza abbiamo imparato a distribuire le pagine web su memory flash e in dischi a centinaia di persone interessate, che non sono mai potute entrare su Internet. Con questo identico sistema circolano il mio blog e altri siti che si producono sull’isola, oltre ad altri siti web che vengono amministrati all’estero“.
Il blog di Yoani ha fatto il giro del mondo. E questa coraggiosa ragazza, che ha pure un figlio da crescere, continua la sua battaglia pacifica raccontando ciò che vede… ciò che vive.

Mi piacerebbe discutere con voi del caso di Yoani Sánchez, del suo blog e di questo libro. Ma anche di come Internet abbia “rivoluzionato” la possibilità di essere dissidenti in contesti di altissima censura.

Parteciperà alla discussione Gordiano Lupi, che è il traduttore italiano di Yoani (oltre che un esperto sulla realtà cubana).

Renzo Montagnoli mi darà una mano a moderare e animare la discussione.

Di seguito troverete la scheda del libro, un articolo di Gordiano Lupi e un’intervista rilasciata dalla Sánchez.

Massimo Maugeri
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CUBA LIBRE. Vivere e scrivere all’Avana – Rizzoli – p. 237 – euro 17 – traduz. Gordiano Lupi

La scheda del libro

Yoani Sánchez è un strana dissidente: non denuncia, non attacca, non contesta. Semplicemente racconta nel suo blog cosa significa vivere oggi nel regime comunista di Cuba: la difficoltà di fare la spesa e la fame cronica, l’arte di ripararsi gli elettrodomestici guasti, la lotta per leggere le vere notizie tra le righe del giornale di partito, la paura del ricovero in ospedale dove manca anche il necessario per sterilizzare, la convivenza forzata con la propaganda che si insinua nei media, nelle piazze e nelle scuole, il panico quando arrivano le convocazioni della polizia, la preoccupazione per gli amici in carcere, la nostalgia per i tanti che sono fuggiti e la delusione per tutti quelli che hanno smesso di credere al futuro. Ma soprattutto sfata il falso mito dell’efficienza castrista e descrive, tra tenerezza e rabbia, la frustrazione per le potenzialità inespresse e i sogni perduti di chi, come lei, è nato nella Cuba degli anni Settanta e Ottanta e si ritrova rinchiuso in un’utopia che non gli appartiene. Di questa generazione Yoani è diventata l’inconsapevole portavoce, e il suo blog, che ha fatto il giro del mondo è ora un libro.

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La vita di Yoani
di Gordiano Lupi

Yoani è laureata in filologia, vive all’Avana, è appassionata di informatica e lavora nella redazione telematica della rivista indipendente Desde Cuba. Il suo blog fa discutere perché racconta le frustrazioni quotidiane e le ordinarie mancanze di una Cuba al di là delle ideologie. L’autrice definisce Generación Y come “un blog ispirato a gente come me, con nomi che cominciano o contengono una y greca. Nati nella Cuba degli anni Settanta – Ottanta, segnati dalle scuole al campo, dalle bambole russe, dalle uscite illegali e dalla frustrazione”.
Yoani nasce a Cuba nel 1975. Nel 1995 si specializza in letteratura spagnola, filologia ispanica e letteratura latinoamericana contemporanea, nonostante la nascita di un figlio. Dimostra un caratterino niente male discutendo una tesi incendiaria dal titolo Parole sotto pressione. Uno studio sulla letteratura della dittatura in Latinoamerica. Terminata l’università, comprende che il mondo degli intellettuali e dell’alta cultura non è cosa per lei, ma soprattutto non ha la minima intenzione di fare la filologa. Nel 2000 si impiega presso la Editorial Gente Nueva e comprende che con il salario di Stato non può mantenere una famiglia. Decide di continuare il lavoro statale ma si mette dare lezioni (illegali) di spagnolo ai turisti tedeschi che visitano L’Avana. Non è la sola. Molti ingegneri preferiscono guidare un taxi che fare il loro mestiere, alcune maestre tentano di impiegarsi negli alberghi e nei negozi per turisti puoi essere servito da un neurochirurgo o da un fisico nucleare. Nel 2002 Yoani decide di emigrare in Svizzera, ma dopo due anni torna in patria, forse per la nostalgia della sua terra, anche se amici e familiari sconsigliano il rientro. Nel 2004 fonda, insieme a un gruppo di cubani che vivono sull’isola, la rivista di cultura e dibattito Consenso. Tre anni dopo lavora come webmaster e giornalista del portale Desde Cuba. Yoani vive all’Avana insieme al giornalista Reinaldo Escobar e con lui divide la sua esistenza da oltre quindici anni. Può dirsi più informatica che filologa, ma la sua cultura letteraria è molto utile nel 2007, quando comincia l’avventura del Blog Generacion Y, definito come “un esercizio di codardia”, perché è uno spazio telematico dove può raccontare la sua realtà e dire ciò che è vietato sostenere nella vita di tutti i giorni.
I suoi brevi racconti sono dei bozzetti a metà strada tra la metafora e il realismo più crudo, immersi nella vita quotidiana delle due anime di Cuba, ricchi di riferimenti a scrittori del passato dimenticati dalla cultura ufficiale, come Padilla, Cabrera Infante, Arenas e Lima. Yoani sogna una Cuba trasformata in un luogo dove ci si possa fermare a un angolo e gridare: “In questo paese non c’è libertà di espressione!”. Perché vorrebbe dire che le cose sono cambiate e si può cominciare a pronunciare la parola libertà. Si dichiara disponibile a scambiare gli alimenti somministrati con la tessera del razionamento alimentare per una cucchiaiata di diritti civili, una libbra di libertà di movimento e due once di libera iniziativa economica. Percorre le strade di due città diverse, quella dei membri del partito, dei generali, dei dirigenti di Stato e quella della povera gente che vive nella desolazione dei quartieri periferici, nelle casupole cadenti e nei rifugi costruiti per i senza tetto. Vive un’utopia che non è più la sua e non vorrebbe lasciarla in dote ai suoi figli, analizza le contraddizioni di chi fatica a mettere insieme il pranzo con la cena ma sogna vestiti di marca e profumi. Assiste alle fughe di personaggi famosi e di semplici cittadini esasperati, critica il governo per le promesse disattese, ricorda il passato e analizza lo stato deplorevole della cultura di regime. Yoani si scaglia contro il doppio sistema monetario e narra la realtà del mercato nero, unica fonte di sostentamento, perché la maggioranza dei cubani vive di ciò che i venditori informali portano nelle loro case. L’informazione di regime è un altro bersaglio da colpire, perché non è vero che tutto è sotto controllo e che i problemi vengono sempre superati da una rivoluzione solida e forte. Il libro – blog di Yoani Sánchez è uno spaccato di vita che rappresenta con realismo la Cuba contemporanea, lontano da condizionamenti ideologici, ma dalla parte del cittadino che giorno dopo giorno è costretto a inventare il modo per sopravvivere.
Yoani Sánchez è un’eroina della nuova Cuba, esponente di una generazione Y che può dar vita a un nuovo esercito ribelle del cyberspazio, zona franca sicura e inaccessibile che può trasformarsi in una nuova Sierra Maestra. La guerra delle idee può dare buoni frutti, perché i dittatori temono chi pensa con la propria testa e non possono rinchiudere le idee in una galera.

Gordiano Lupi
 www.infol.it/lupi
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INCONTRO CON YOANI SÁNCHEZ

Una piccola blogger che mette in crisi i fratelli Castro

di Gordiano Lupi

con la collaborazione di Fabio Izzo

Yoani Sánchez rischia di far tremare il trono dei fratelli Castro, perché questa ragazza di appena 33 anni (l’età di Cristo, che pericolosa analogia!) lancia critiche ironiche e veritiere da un blog molto frequentato come Generacion Y. Yoani è laureata in filologia, vive all’Avana, è appassionata di informatica e lavora nella redazione telematica del portale Desde Cuba  http://www.desdecuba.com/), rivista indipendente ostacolata dal regime.  Il suo blog  www.desdecuba.com) – adesso tradotto pure in italiano  http://desdecuba.com/generaciony_it/) – fa discutere perché è controcorrente. Si autodefinisce “un blog ispirato a gente come me, con nomi che cominciano o contengono una y greca. Nati nella Cuba  degli anni Settanta – Ottanta, segnati dalle scuole al campo, dalle bambole russe, dalle uscite illegali e dalla frustrazione”.

yoani-y-reinaldo.jpgYoani nasce a Cuba nel 1975. Si specializza in letteratura spagnola, filologia ispanica e letteratura latinoamericana contemporanea, nel 1995, nonostante un figlio nato nello stesso anno. Dimostra un caratterino niente male discutendo una tesi incendiaria dal titolo Parole sotto pressione. Uno studio sulla letteratura della dittatura in Latinoamerica. Yoani termina l’università, comprende che il mondo degli intellettuali e dell’alta cultura non fa per lei, ma soprattutto non ha la minima intenzione di fare la filologa. Nel 2000 si impiega presso la Editorial Gente Nueva e si convince – come la maggior parte dei cubani – che con il salario di Stato non può mantenere una famiglia. Decide di continuare il lavoro statale ma comincia a dare lezioni (illegali) di spagnolo ai turisti tedeschi che visitano L’Avana. In quel periodo (come ancora oggi!) molti ingeneri preferiscono guidare un taxi che fare il loro mestiere, alcune maestre tentano di impiegarsi negli alberghi, e nei negozi per turisti ti può servire un neurochirurgo o un fisico nucleare.

Nel 2002 Yoani decide di emigrare in Svizzera, ma nel 2004 torna in patria, forse per la nostalgia della sua terra, anche se amici e familiari sconsigliano il rientro. Scopre la professione di informatica, lavoro che fa ancora oggi, si rende conto che il codice binario è più trasparente di quello intellettuale e spera di avere maggior fortuna con il linguaggio html di quanta ne ha avuta con il latino. Nel 2004 fonda insieme a un gruppo di cubani che vivono sull’isola la rivista di cultura e dibattito Consenso. Tre anni dopo lavora come webmaster, articolista e editorialista del portale Desde Cuba. Nell’aprile del 2007 comincia l’avventura del Blog Generacion Y, definito come “un esercizio di codardia”,  perché è uno spazio telematico dove può dire quello che è vietato sostenere nella vita di tutti i giorni. Yoani vive all’Avana insieme al giornalista Reinaldo Escobar, con il quale divide la sua vita da quindici anni, e adesso può dirsi più informatica che filologa.

Yoani è un’eroina della nuova Cuba, esponente di una generazione Y che può dar vita a un nuovo esercito ribelle del cyberspazio, senza bisogno di nascondersi tra le montagne della Sierra Maestra. La guerra delle idee può dare buoni frutti, perché i dittatori temono chi pensa con la propria testa e poi non possono rinchiudere le idee in una galera.

Abbiamo avvicinato Yoani Sánchez per sentire dalla sua voce alcune impressioni sull’attuale situazione di Cuba e sulle prospettive future.

Nel mondo esiste ancora la censura e la libertà di stampa non è un diritto acquisito. Tu hai la tua libertà su internet ma l’hai pagata a caro prezzo. Sappiamo che il tuo blog vive all’estero. Non puoi vederlo quando scrivi ma continui ad aggiornarlo. Come vivi questa condizione di blogger cieca?

yoani.JPGDall’ultima settimana di marzo 2008, il governo cubano ha inserito un filtro che impedisce l’accesso a tutto il portale Desdecuba – dove è inserito il mio blog – dalle connessioni a internet nei cyber caffè, dagli hotel, dai centri di studio e dalla maggior parte dei centri di lavoro. Quando è accaduto questo ho pensato che sarebbe stata la fine del mio sito e che non mi sarei ripresa dal colpo di non poter amministrare Generación Y. Tuttavia, attorno al mio blog si era prodotta una vera comunità virtuale ed è proprio da quella che è nata l’idea di aiutarmi a pubblicare ogni nuovo testo.

Grazie alla solidarietà cittadina di persone che vivono in diversi paesi, posso inviare i miei post per e-mail e loro si occupano di pubblicarli nella pagina web. Al tempo stesso sono usciti fuori molti amici virtuali che traducono in quattordici lingue ciò che scrivo e altri mi inviano, tramite posta elettronica, i commenti che lasciano i lettori. In questo modo Generación Y è diventato una rete cittadina nella quale ognuno di noi ha una piccola responsabilità e ci unisce il desiderio di espressione, la necessità di dibattito e un certo tema chiamato Cuba. Nel mio blog non cala mai il sole, perché durante le ventiquattro ore del giorno c’è sempre gente che discute e il fatto di essere censurato a Cuba lo ha reso ogni volta più attraente per i miei compatrioti.

Internet è uno strumento per la libertà di pensiero?

Per noi che viviamo in questa Isola, nella quale per molti anni l’informazione è stata monopolio esclusivo dello Stato, Internet ha prodotto una crepa nel muro della censura che sembra molto difficile da chiudere. Anche se Cuba ha uno degli indici di connessione più bassi del pianeta, le persone cercano il modo di accedere alle notizie che compaiono in rete. Come abbiamo un mercato nero per gli alimenti, che ci fornisce tutto ciò che non possiamo comprare nel mercato razionato o nel mercato in pesos convertibili, così esiste un rifornimento illegale e alternativo di informazione.

Con la creatività che ci caratterizza abbiamo imparato a distribuire le pagine web su memory flash e in dischi a centinaia di persone interessate, che non sono mai potute entrare su Internet. Con questo identico sistema circolano il mio blog e altri siti che si producono sull’isola, oltre ad altri siti web che vengono amministrati all’estero.

Raúl e Obama sono i leader del presente. La storia può cambiare senza Fidel e Bush? Abbiamo qualche speranza?

Sono d’accordo che Obama è un leader del presente, ma Raúl Castro per me rappresenta il passato. Si tratta di un uomo che ha ereditato il potere per diritto di sangue e sta tentando di mantenerlo senza compiere cambiamenti significativi. Mi rattrista che i cubani abbiano riposto le loro speranze in ciò che può fare il presidente nordamericano, nella influenza che la sua gestione possa avere a Cuba. Questo significa che la gente qui si rende conto che dall’interno non è possibile provocare cambiamenti. Avrei preferito che la speranza venisse riposta in ciò che possiamo fare dall’interno dell’Isola, ma purtroppo la società civile cubana è eccessivamente frammentata e censurata per aver la forza di abbattere il muro.

A Cuba non possono leggere il tuo blog, ma tu parli di Cuba al mondo. Secondo te com’è il mondo?

Anche se sono nata e ho vissuto in un’Isola, sento di appartenere a una  nazionalità più ampia che mi fa essere abitante di questo pianeta. Cerco di mantenermi informata su ciò che accade in ogni parte del mondo. Grazie ai giornali che mi portano amici che vengono a Cuba, riesco a tenermi aggiornata su quel che succede. Anche quando mi collego a Internet cerco di copiare pagine informative e le distribuisco a decine di amici. Questo è un lavoro importante, perché a volte noi cubani ci sentiamo l’ombelico del mondo e ciò è dovuto – in parte – all’ignoranza di come sono gli altri paesi e le altre culture.

Grazie a Internet il mondo si è trasformato in un villaggio che possiamo visitare senza alzarci dalla sedia. Nonostante questo ho molto desiderio di poter uscire dal mio paese e arricchirmi con altre esperienze. Il periodo che ho vissuto in Svizzera è stato uno dei più intensi di tutta la mia vita, perché ho potuto interagire con persone di molti paesi. Noi cubani avremmo molto bisogno di questo incontro di diverse culture, lingue e religioni per alimentare e beneficiare la nostra stessa identità.

Non ti hanno lasciata venire in Italia per il Pisa Book Festival. Il regime cubano vuole mantenere cieca la tua scrittura. Il tuo blog – tradotto da Gordiano Lupi – in Italia ha sempre più lettori. Quale idea ti sei fatta della situazione italiana?

So che in Italia molte persone applaudono ogni azione che compie il governo cubano. Per loro questa Isola è un paradiso dove regna l’eguaglianza e la speranza. Mi spiace deluderli, ma non è così. Credo che persino molti di coloro che pensano che noi cubani abitiamo nel miglior sistema possibile, non sopporterebbero due settimane di code, mercato razionato e proibizioni. Il grande problema è che molti di coloro che sostengono l’attuale situazione cubana, vengono qui solo come turisti e da un hotel sembra tutto molto gradevole. Raccomando loro di fermarsi a vivere come un cubano, con la moneta nazionale che non serve per comprare la maggior parte delle cose necessarie, il trasporto collassato e i periodici che non rispecchiano la realtà. Forse dopo una terapia come questa comincerebbero a pensare in un altro modo.

Com’è cambiata la tua vita dopo aver acquistato notorietà?

Per un verso è cambiata molto ma per altri aspetti continuo a essere più o meno la stessa. Ora mi sento più responsabile delle cose che dico, perché so che il mio blog è letto da centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo. Ho sempre meno tempo durante la giornata, perché molte persone vogliono intervistarmi o filmare qualcosa sul mio lavoro. Tuttavia, ho cercato di mantenere la mia famiglia al riparo da tutte queste agitazioni della stampa e di continuare a dedicare alla mia casa, a mio marito e a mio figlio il tempo necessario per conservare l’affetto. Molte persone mi riconoscono per strada e mi salutano, ma i mezzi informativi ufficiali del mio paese tacciono sulla mia persona. Continuo  a vivere nella stessa casa, non ho un’auto, il mio ascensore è rotto da tre mesi, non ho dei collaboratori che mi aiutano a rispondere alle migliaia di mail che ricevo ogni settimana, né posso uscire dal mio paese. Continuo a essere una cittadina e questo mi rallegra.

Come ti piacerebbe il futuro di Cuba? Hai un’idea politica?

Quello che mi piacerebbe di più per la mia Isola è che un giorno potesse riunire tutti i cubani, senza segregazioni di carattere politico o ideologico. Una Cuba pluralista e tollerante, nella quale i miei nipoti non vengano classificati con epiteti come “vermi” solo per il fatto di avere opinion critiche. Questo è il mio sogno. Bada bene, questo agognato paese non è dietro l’angolo, dovremo lavorare molto per ottenerlo. Il disastro economico, l’apatia generalizzata, l’emigrazione costante e la sfiducia che esiste in ogni membro di questa società, sono molto difficili da superare. Ci attendono anni molto duri e per uscirne fuori dovremo tornare a sentire che l’Isola ci appartiene e che non è un feudo di poche persone chiamate a decidere tutto per noi. Io cercherò di svolgere il mio ruolo dalla società civile, non da una tribuna.

A Cuba esiste un movimento di opinione per il cambiamento?

Mi piacerebbe pensare di sì, ma ancora la gente sta molto attenta a dire in pubblico ciò che pensa realmente sulla situazione politica, economica e sociale. Nella intimità delle case e tra amici, si ascoltano voci di cambiamento, desideri che lo status quo in cui viviamo lasci il posto a una società più partecipativa. Sebbene a Cuba il risveglio della società civile proceda lentamente, posso assicurare che negli ultimi due anni ha fatto passi più lunghi che nelle trascorse decadi. L’assenza di Fidel Castro ha significato la fine di un’ipnosi collettiva realizzata dalla sua figura. Dal giorno in cui codesto grande ipnotizzatore non ha più potuto prendere il microfono e fare un discorso di tre ore, la gente ha cominciato lentamente a risvegliarsi e a parlare.

Ci sono molti giovani blogger cubani. Questo fenomeno può portare qualcosa di positivo?

La blogosfera prodotta dall’interno dell’Isola è ancora a uno stadio embrionale. Cospirano contro la sua crescita sia la difficoltà di accesso a internet che il timore di esprimere opinioni. Nonostante tutto, negli ultimi mesi abbiamo visto nascere nuovi siti e – cosa più sorprendente – i loro autori non si nascondono più sotto uno pseudonimo. Non credo che la blogosfera possa fare da sola ciò che dovrebbe essere compito di tutta la società: riscattare il diritto alla libera espressione. Questo fenomeno virtuale deve essere accompagnato anche dal lavoro dei giornalisti indipendenti, degli intellettuali, che con la loro opera mostrino la realtà senza il trionfalismo che caratterizza i periodici ufficiali, e dei cittadini che abbiano il coraggio di indicare a voce alta le cose che non vanno. Se la necessità di esprimere opinioni non è sentita da tutti, la blogosfera cubana non può cambiare da sola l’atmosfera di censura imposta durante questi cinquanta anni.

Una domanda letteraria. Il tuo blog è molto interessante e presto diventerà un libro. Non pensi di scrivere romanzi, racconti o poesie sulla Cuba di oggi?

Il vortice che rappresenta il mio blog mi assorbe molte energie e tempo, tuttavia trovo sempre un momento di pace per scrivere racconti o intraprendere progetti letterari di maggior importanza. Sinceramente, dico che scrivere per la rete è un’esperienza incredibile e credo che poco a poco la cyber letteratura si imporrà anche nei gusti dei lettori. Mi piacciono quelle pennellate impressioniste, molto brevi, che posso pubblicare su Generación Y.

Cosa credi che succederà il giorno che morirà Fidel Castro?

Se mi avessero fatto questa domanda tre anni fa, avrei detto che sarebbe cambiato tutto. Malgrado ciò, nel tempo trascorso da quel 31 luglio 2006 – quando è stata annunciata la malattia di Fidel Castro – fino a oggi, il governo cubano si è dato da fare per preparare i cittadini alla notizia della sua morte. Abbiamo visto spegnersi la figura dell’“invincibile” Comandante in capo, come in uno di quei film dove il protagonista si allontana per un lungo cammino fino a perdersi dalla nostra vista. In questo periodo sono in molti a pensare che sia già morto e che ha perso molta importanza nella vita politica del paese. Nonostante tutto, alla scomparsa del simbolo che rappresenta la sua persona, moti cubani penseranno che è terminata un’intera epoca.

Alcuni si sentiranno alleviati e forse le vendite di rum andranno alle stelle in tutta Cuba, mentre altri piangeranno in pubblico e davanti alle telecamere. Entrerà nel nostro passato e un giorno quando i miei nipoti mi sentiranno parlare di Fidel Castro, non sapranno se si trattava di un politico, di una stella della musica tradizionale o di un giocatore di baseball. Quel giorno, sentirò che finalmente avremo superato il suo enorme peso verde olivo sulle nostre vite.

In attesa di quel giorno continuiamo a seguire il blog di Yoani Sánchez e i suoi commenti ironici, graffianti, malinconici, ma soprattutto critici e calati nella realtà quotidiana. Il vero volto della nuova Cuba si può trovare soltanto tra le pagine telematiche di una Generación Y che è destinata a dare soltanto buoni frutti.

Gordiano Lupi

www.infol.it/lupi

con la collaborazione di Fabio Izzo

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AGGIORNAMENTO DEL 20 APRILE 2009

Aggiorno il post segnalando il sito 24/7 della Rizzoli che ha linkato il nostro dibattito.
Di seguito troverete la scansione a un paio di articoli pubblicati nei giorni scorsi sul quotidiano Repubblica.
Massimo Maugeri

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http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/01/07/yoani-sanchez-terribile-eredita/feed/ 251
FEMMINA DE LUXE di Elisabetta Bucciarelli http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/02/09/femmina-de-luxe-di-elisabetta-bucciarelli/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/02/09/femmina-de-luxe-di-elisabetta-bucciarelli/#comments Mon, 09 Feb 2009 22:27:53 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/02/09/femmina-de-luxe-di-elisabetta-bucciarelli/ Sul fatto che l’ispettore Maria Dolores Vergani fosse un personaggio seriale non avevamo alcun dubbio. Ci fornisce, tuttavia, ulteriore conferma l’uscita del nuovo romanzo di Elisabetta Bucciarelli con protagonista l’ispettrice di polizia più famosa d’Italia: dopo Happy hour e Dalla parte del torto il terzo capitolo della saga Vergani raggiunge le librerie sulle vele letterarie di PerdisaPop (e all’interno della collana Babele Suite diretta da Luigi Bernardi). Il titolo è: Femmina De Luxe (trovate approfondimenti qui). L’ambientazione ci fa riscoprire una Milano avvolta nel futile mito dell’opulenza e dell’apparire a tutti i costi. C’è un cadavere su cui indagare, e un pazzo che compie atti vandalici in serie imbrattando di sterco le cabine telefoniche. E ci sono personaggi femminili che escono dalla penna della Bucciarelli per offrirci un panorama inquietante, ma reale (o quantomeno realistico). Quello di una società che mira all’esteriore, all’edonismo, al perseguimento di modelli estetici esasperati, alla creazione di femmine de luxe (leggiamo nella nota: donne che vogliono essere perfette come oggetti da esibire, femmine di lusso per uomini tormentati dall’idolo della perfezione estetica).
Un romanzo breve, una storia guizzante narrata con scrittura sincopata e asciutta.
Avevo definito Elisabetta Bucciarelli come la regina del noir milanese. Credo che questo nuovo libro le potrà garantire la conservazione del titolo.

Vi invito a discutere di questo romanzo insieme all’autrice. Ci aiuterà a moderare il dibattito Mariano Sabatini, che ha intervistato la Bucciarelli per “Affari italiani” (potete leggere l’intervista di seguito).

Ne approfitto, inoltre, per porvi alcune delle mie solite domande…

Ritenete che, nell’ultimo decennio, ci sia stato un incremento o un decremento dell’ossessione alla ricerca della perfezione estetica?
Al di là dei luoghi comuni… ritenete che questa sorta di ossessione sia più forte nel Nord o nel Sud del paese?
È più a carico delle metropoli o delle periferie?
E perché?

Ne discutiamo insieme all’autrice di questo libro.

Massimo Maugeri

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L’intervista di Mariano Sabatini

Il ritorno di Maria Dolores Vergani, una vecchia conoscenza per gli estimatori dei romanzi della milanese Elisabetta Bucciarelli (nella foto). Questa figura di detective-psicologa, protagonista di “Femmina de luxe” (120 pp., 9 euro, Perdisa editore) nasce intorno a due pensieri. Il primo: le ragioni di un atto delittuoso sono molto più interessanti del colpevole da assicurare alla giustizia. Il secondo: l’indagine poliziesca altro non è che un modo per indagare su di sé. “Così Maria Dolores Vergani – spiega l’autrice – attraversa le scene del crimine come farebbe un’analista durante una seduta di psicoterapia. Considerando tutti i protagonisti, la vittima, i testimoni, l’assassino e se stessa personaggi dello stesso psicodramma”. Non è un detective fisso e immutabile, ma cambia e si modifica anche grazie alle consapevolezze che acquisisce durante il suo lavoro, rafforzandosi e prendendo coscienza, sbloccando emozioni sepolte e affrontando le sue paure peggiori.

Anche lei, che è una psicologa, come il medico Duca Lamberti di Scerbanenco, è stata sospesa dall’albo professionale. Caso o coincidenza studiata?
Sono un’estimatrice di Giorgio Scerbanenco e sicuramente l’omaggio è a lui. Ma devo confessare che non è stato affatto studiato. Sono molto distratta e ho una memoria selettiva, che ricorda solo quando è obbligata. Credo però abbia lavorato molto il mio inconscio. Anche se, a partire dal secondo libro, Maria Dolores Vergani viene del tutto riammessa all’albo degli psicologi. Ora è lei a scegliere di fare l’ispettore di polizia ma non sono sicura che abbia voglia di farlo per sempre.

“Femmina de luxe” è affollatissimo di figure strambe, che inquietano e che contribuiscono coralmente a dare un ritratto di una Milano che va mutando faccia. La preoccupano le trasformazioni della sua città?
No, ho solo cercato di raccontare alcune persone che mi è capitato di incontrare, enfatizzandone qualche tratto. Sono le persone “diverse” che mi interessano di più, colpiscono la mia fantasia e stimolano la curiosità. E mi fanno pensare. Se mai a preoccuparmi davvero è l’omologazione verso il basso. Stereotipi e macchiette di una presunta borghesia o di un proletariato antico. C’è molto meglio e molto peggio. Milano non è una città banale, ritrarla così sarebbe offensivo.

Stavolta l’ispettrice Vergani ha poco da indagare, deve solo constatare la solitudine di una donna che viene lasciata morire nel disinteresse generale.
Indagare sull’indifferenza credo sia la più difficile sfida che un poliziotto può lanciare a se stesso. Perché l’indifferenza è una malattia assai diffusa, molto contagiosa e si innesta sul terreno della stupidità. Tutti sembrano innocenti ma in realtà i danni provocati spesso vanno ben oltre un semplice omicidio. In “Femmina De Luxe” l’ispettore Vergani indaga sul corpo di due donne. Cerca di capire perché si sforzino in continuazione di aderire a un modello, perché non si sentano mai all’altezza. Le guarda muoversi tra gli eccessi del cibo e la ricerca di amore. Non può aiutarle a salvarsi, ma prova a indicare i colpevoli a noi che seguiamo la storia.

La rincorsa delle donne alla perfezione dell’immagine e del fisico, pensa sia da imputare agli uomini?
Non necessariamente una donna si trasforma per piacere a un uomo. Spesso è un’immagine di sé presunta e irraggiungibile che la ossessiona. Sia essa legata all’aspetto fisico che, sempre più spesso, al ruolo sociale. Ciò su cui siamo meno esercitate è vivere il momento per quello che è. Senza rincorrere nulla. Senza proiezioni future di successo, miglioramento, riuscita, potere. Semplicemente quell’istante. Olga, che non risponde a nessun canone di bellezza stereotipata, ci prova, ma si scontra con chi ormai non riconosce più il candore e non è in grado di dare valore a nulla se non al denaro e al potere.

Per chi scrive gialli oggi è più facile arrivare al grande pubblico dei lettori?
Dipende dalle storie. Ci sono storie gialle che vengono definite così solo perché hanno un morto e un poliziotto. Ma sono molto lontane dal “genere”. Altre che sono camuffate da giallo ma sono rosa, una forma di Liala, con il ritmo del giallo. Quindi forse si può dire che è possibile avere una chance in più di essere pubblicati, ma poi al grande pubblico si arriva per strade complicatissime e non sempre così chiare da comprendere.

Rincontreremo presto la Vergani?
Spero di sì. E’ quasi pronta la quarta indagine. Non so ancora quale sarà la casa editrice. Mi auguro solo di incontrare un altro editor come Luigi Bernardi, editor di PerdisaPop e responsabile dell’uscita di “Femmina de luxe”. Ne ho in mente una in particolare, proprio una donna, con cui mi piacerebbe moltissimo lavorare.
 http://www.affaritaliani.it/culturaspett…

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