LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » sabrina campolongo http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 I CUCCIOLI DELLA PICCOLA EDITORIA E HISTORICA di Francesco Giubilei http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/12/03/i-cuccioli-della-piccola-editoria-e-historica-di-francesco-giubilei/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/12/03/i-cuccioli-della-piccola-editoria-e-historica-di-francesco-giubilei/#comments Wed, 03 Dec 2008 22:24:00 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/12/03/i-cuccioli-della-piccola-editoria-e-historica-di-francesco-giubilei/ Esiste un’età giusta per diventare editori?
È questa la domanda che mi è venuta in mente pensando al caso di Francesco Giubilei.
Francesco ha appena sedici anni e dirige con passione una piccola casa editrice – Historica – nata con il supporto de Il Foglio letterario di Gordiano Lupi.

Di seguito potrete leggere: lo stralcio di un interessante articolo pubblicato l’11 ottobre da Mirella Serri su Tuttolibri (l’articolo per intero lo trovate qui), l’intervista che Francesco Giubilei ha rilasciato a Laura Costantini e la recensione della Costantini a un libro Historica firmato da Sabrina Campolongo (e intitolato “Il muro dell’apparenza”).
Ci tengo, però, a citare gli altri due libri pubblicati da Historica-Il Foglio:
Le colpe dei padri” di Lauraetlory,
La questione di Jekill e Hyde” di Barbara Gozzi

Laura Costantini mi aiuterà a animare e moderare il post.
Sono invitati a partecipare: lo stesso Francesco Giubilei, Sabrina Campolongo, Loredana Falcone, Barbara Gozzi e Gordiano Lupi.

Esiste un’età giusta per diventare editori?

Massimo Maugeri

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I CUCCIOLI DELL’EDITORIA NON HAN PIÙ VENT’ANNI
di Mirella Serri

Lo chiamavano giovane, brillante editore. A buon diritto: quando Luigi Einaudi scoprì che suo figlio Giulio «si era scoperto la bozza del lanciatore di libri e riviste… vuol fare, dice lui, l’editore», il creatore dello Struzzo aveva appena sostenuto l’esame di maturità. Angelo Rizzoli, al momento del suo esordio nel mondo della carta stampata, era più maturo, intorno ai vent’anni. Arnoldo Mondadori, transitato da una drogheria a una cartoleria, era diciottenne e a quell’età si trovò a tenere a battesimo il futuro impero di carta. E oggi? Chi sono i «ragazzi» dell’editoria italiana ?

Il drappello dei trentenni-imprenditori, che va dall’enfant terrible, il 31 enne Giulio Perrone, a Marco Cassini di minimum fax, 38 enne, è veramente esiguo. Sono considerati forze «fresche» del mondo del libro addirittura quelli che rientrano nella fascia generazionale degli anta, da Romana Petri, con il suo rampante Cavallo di ferro, al 41 enne Andrea Bergamini che 4 anni fa ha dato il primo afflato a Playground, fino a Carlo Gallucci o a Elido Fazi definiti solo qualche tempo fa «esponenti della nuova editoria romana». Già, proprio così. I nostri piccoli-medi imprenditori della cultura crescono dal punto di vista anagrafico ma non fanno il gran salto, non occupano i primi posti nel gotha dell’editoria. E così, per denunciare le difficoltà del rinnovamento (ma anche per festeggiare i suoi primi 15 anni di vita), arriva ora il singolare manuale di editoria di Cassini, Refusi. Diario di un editore incorreggibile, che per pubblicare ha scelto una casa di antica tradizione, quella di Giuseppe Laterza (in libreria dal 16 ottobre, pp. 128, e 9,50).

Quando Cassini prese la decisione di emettere nel 1994 il primo vagito e concepì (con Daniele Di Gennaro) la sua minimum fax – quattro volumetti che non aveva il coraggio di chiamare libri e che vennero smerciati come «quaderni» – correva l’anno nero dell’editoria italiana. Il mercato librario aveva presentato un saldo negativo globale del 6,95 per cento. Ed era in atto un processo di concentrazione nelle mani di pochi con le major – da Mondadori a Rizzoli, Longanesi e Feltrinelli – che facevano il bello e il cattivo tempo. Eppure, proprio allora l’occasione per venire al mondo non la colse solo Cassini. Spuntarono tante piccole sigle, da Castelvecchi a Fazi, Donzelli, Voland, Instar, Meltemi, Pequod. Come mai tante nuove inaspettate presenze? Ben lo spiega Umberto Eco: «Per una casa piccola che diventa media e perde la propria libertà, una nuova piccola casa nasce e questa dinamica assicura all’universo librario un rinnovo continuo di energie». Le piccole, pronte negli anni a diventare medie, rappresentavano un bel deposito di volitività, di forze fresche con tanta voglia di cambiare il panorama culturale. (…)
Ma per restare sul mercato nemmeno le firme note bastano. Ecco la casa editrice mutare in fucina con tutta una serie di attività collaterali, con seminari, workshop e laboratori per trasmettere il know-how a chi vuole mettere su un’impresa editoriale. Il mondo dei «grandi» ha comunque le porte sbarrate, in un mercato bloccato dove l’86 per cento dei libri distribuiti in Italia è prodotto dal 10 per cento degli editori. Con la strada chiusa come «da un tappo impossibile da far saltare». Il rinnovamento che si sperava negli anni Novanta procede a passo di lumaca. Anche se ai cosiddetti «giovani» il coraggio certo non manca. Basta un esempio: quando per Cassini si trattò di decidere se acquistare i diritti sull’opera omnia di Carver, interpellò gli anziani, i savant della casa, vale a dire il direttore commerciale e il distributore che tengono i cordoni della borsa e hanno il polso del mercato. Sconsigliarono di fare un passo così azzardato. Mal gliene incolse perché fecero un grossolano errore. Quei libri sono ancora oggi i best seller della casa editrice e la mantengono in vita. La fortuna arride agli audaci ancorché incorreggibili piccoli editori.
(fonte: Tuttolibri, in edicola sabato 11 ottobre 2008)

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INTERVISTA A FRANCESCO GIUBILEI
di Laura Costantini

Nome, cognome, luogo e data di nascita.
Francesco Giubilei, nato il primo gennaio 1992 a Cesena.

Quando si pensa ad un adolescente che ama scrivere, leggere e, addirittura, pubblicare libri l’immagine è quella di una specie di secchione occhialuto. Ti ci riconosci?
Assolutamente no. Chi non mi conosce tende ad immaginarmi come “un secchione occhialuto” ma io non sono così. Innanzitutto non porto gli occhiali e il mio rendimento scolastico non è molto brillante. Inoltre credo sia necessario eliminare lo stereotipo dello scrittore topo di biblioteca che passa tutto il giorno chiuso in casa a leggere e scrivere. Curo anche altri interessi e gioco a calcio professionistico.

Come ti è venuta l’idea di diventare editore prima ancora di diventare maggiorenne? Ti senti in grado?
Passione. Senza la passione credo sia impossibile intraprendere questa attività. Come molti altri editori onesti e puliti, non chiedo contributi ai miei autori pur facendo una gran fatica a far quadrare il bilancio. Sicuramente da solo non avrei le capacità di gestire una, seppur piccola, casa editrice. Ovviamente ci sono alcuni collaboratori che mi aiutano: un grafico, un editor, un consulente editoriale e tante altre persone che mi suggeriscono e mi danno consigli utili.

Chi ti ha sostenuto in questa iniziativa che gente molto più anziana e preparata di te riterrebbe una follia?
Moralmente i miei genitori, che hanno creduto (anche se inizialmente con qualche titubanza) al mio progetto, economicamente ci stiamo autofinanziando attraverso pubblicità, copie vendute e anche grazie ad un piccolo ma importante finanziamento di un credito cooperativo della mia città. Ciò che distingue “Historica-Il Foglio letterario” è la non richiesta di contributo agli autori, una piaga dell’editoria moderna da combattere con tutti i mezzi.

Una rivista, una collana di romanzi, antologie di racconti … Qual è il filo conduttore, l’idea portante?
Le edizioni “Historica-Il Foglio letterario” pubblicano una rivista letteraria, una collana di narrativa contemporanea e presto uscirà una collana di racconti brevi chiamata “Short cuts”, nata dalla collaborazione tra me e lo scrittore Alessandro Cascio. Il filo conduttore del nostro progetto lo trovate sul nostro sito  www.historicaweb.com) alla voce presentazione. Per ora abbiamo pubblicato tre libri di narrativa: “Le colpe dei padri” di Lauraetlory, “La questione di Jekill e Hyde” di Barbara Gozzi e il giallo “Il muro dell’Apparenza” di Sabrina Campolongo. Presto debutterà una nuova collana di romanzi brevi, “Short cuts”, letteralmente “tagli di breve durata”. Il primo titolo sarà “Tamarri” di Remo Bassini, seguiranno due libri di Francesco Dell’Olio e Alessandro Cascio, poi si vedrà.

Come scegli i testi da pubblicare? Ti fai consigliare da qualcuno?
Come dicevo precedentemente per la collana “Short cuts” abbiamo un consulente editoriale, che mi aiuta a scegliere i testi più idonei da pubblicare. Per la collana di narrativa faccio una prima scrematura dei testi da solo, poi giro ad alcuni collaboratori i manoscritti per sentire il loro parere. A volte però ci sono dei testi in cui credo davvero molto che decido di pubblicare senza interpellare nessun altro.

Come reagisci quando uno scrittore cui hai proposto una pubblicazione, rifiuta dopo aver capito che sei ancora un ragazzino?
Quando mi sono affacciato per la prima volta nel mondo di internet con l’intenzione di fondare un e-magazine, cercavo di non rivelare la mia età per paura di essere sottovalutato, non considerato e snobbato. Dopo più di un anno online ho deciso di renderla pubblica. Chi crede alle mie iniziative mi apprezza indipendentemente dall’età. Nessuno ha mai rifiutato di pubblicare a causa dei miei anni, almeno nessuno mi ha mai detto “non voglio pubblicare con te perché sei solo un ragazzo”, forse però in molti l’hanno pensato.

Sei anche uno scrittore, ma non ti sei ancora pubblicato da solo. Temi un conflitto d’interessi?
Più che scrittore mi definirei una persona che scrive. Per essere scrittori occorrono anni di lavoro e conoscenze letterarie specifiche che ancora io non possiedo. Non mi piace autopubblicarmi, in Italia ci sono più di seimila editori, preferisco affidare i miei testi ad altri editori per evitare facili critiche e un lampante conflitto di interessi (Giubilei ha appena pubblicato con Arpanet “Bastola. Lasignora del fuoco“, n.d.r). In futuro comunque non escludo che possa pubblicare un mio testo che considero molto caro, al punto di non volermene separare, o difficile da vendere.

Domanda d’obbligo: cosa vuoi fare da grande?
Per adesso penso a finire gli ultimi anni di Liceo Scientifico che mi rimangono. Poi mi piacerebbe iscrivermi ad una facoltà in campo umanistico, poi vedrò.
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Recensione a “Il Muro dell’apparenza” di Sabrina Campolongo (Historica- Il Foglio letterario, 2008)
di Laura Costantini

Conoscevo e apprezzavo già la scrittura di Sabrina Campolongo quando ho preso in mano Il muro dell’apparenza (edizioni Historica – Il Foglio letterario). Per questo la sorpresa è stata ancora più gradita. Di Sabrina avevo letto racconti che lasciano il segno e, naturalmente, Il cerchio imperfetto (Edizioni Creativa), il suo bel romanzo d’esordio. Non la immaginavo capace di incapsulare la sua capacità di evocare immagini e sensazioni all’interno della struttura rigida di un giallo. Invece Sabrina non solo c’è riuscita, ma ha saputo dar vita a un intreccio di personaggi, indizi e scoperte che me la fanno affiancare da una parte al Camilleri di Montalbano, dall’altra alla spagnola Alicia Gimenez-Bartlett dell’ispettore Pedra Delicado. L’ambientazione siciliana è perfetta, la calura sale all’asfalto e rende tremolante l’orizzonte fisico e morale di una piccola cittadina, Sparagi, sconvolta, come sempre lo sono le piccole cittadine, dal barbaro omicidio di una sedicenne in vacanza. Caso difficile per il commissario Giulia Campi, soprattutto perché lei, proprio come Valentina, è estranea alla realtà locale. Arriva da Milano, guarda e viene guardata con diffidenza dalla gente di Sparagi e dai suoi stessi collaboratori. Conquistarsi il loro rispetto, e imparare a sua volta a rispettarli, sarà un percorso umano prima che professionale per Giulia, decisa a non fermarsi davanti a niente pur di rendere giustizia a Valentina. Violentata e uccisa, poi diffamata con facili voci sulla leggerezza dei suoi sedici anni, sul suo essere milanese e quindi disinibita, sulla sua passione per un uomo sposato. Apparenze. Un muro solido, alto e minaccioso di apparenze che Giulia si impegna a demolire con determinazione, testardaggine, a volte con l’aggressività e l’arroganza di chi si sente costantemente sotto esame. Quando, finalmente, la collaborazione con l’ispettore Alfano decolla, davanti a un piatto di spaghetti alle vongole, i duetti tra i due rimandano al miglior repertorio poliziesco. Il piacere della reciproca compagnia si nutre di intuizioni, scontri, scambi, condivisione. Giulia e Alfano sono personaggi che ci vediamo crescere tra le mani, acquistare spessore e sfaccettature, prendere consistenza insieme alla realtà banale e quindi brutale delle motivazioni che hanno spinto l’assassino a uccidere Valentina e la sua giovinezza. Non so se Sabrina Campolongo vorrà farci questo regalo, ma leggeremmo molto volentieri altre avventure del commissario Campi e dell’ispettore Alfano.

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AGGIORNAMENTO DEL 27 DICEMBRE 2008
Francesco Giubilei
BASTOLA, La signora del fuoco
Pag.80 – formato mini – euro 3,50
ARPANet – www.edizioniARPAnet.it

 recensione di Gordiano Lupi

Francesco Giubilei compie diciassette anni il primo gennaio 2009, scrive, dirige una rivista letteraria (Historica - http://www.historicaweb.com/) e fa pure il microeditore  http://collanashortcuts.wordpress.com/), pubblicando racconti di gente navigata come Remo Bassini (Newton & Compton), Alessandro Cascio, Francesco Dell’Olio e romanzi di più ampio respiro di scrittori come Sabrina Campolongo. Sarebbe già abbastanza per gridare al miracolo e al caso letterario, una volta tanto non costruito ma sincero, perché Francesco Giubilei esiste davvero, vive a Cesena, frequenta il liceo scientifico ed è innamorato della letteratura. Invece ne parliamo soltanto noi dell’underground, perché il caso Giubilei non è un fenomeno da baraccone messo in piedi per far denaro, ergo non interessa le major dell’editoria e i media nazionali.

Giubilei è appassionato di storia e per questo motivo decide di debuttare nel mondo editoriale con un racconto storico ambientato a Gualdo Tadino, ricostruendo a suo modo la leggenda della Bastola, come già aveva fatto Alessio Bucari Battistelli.

Non è mio compito tessere eccessivi elogi per un lavoro che ha il limite della scarsa drammatizzazione, ma che presenta rigore storico e precisione espositiva. Giubilei antepone al testo una breve nota storica su Gualdo Tadino, divenuta città dal 1883 per merito di Papa Gregorio XVI, che ne modifica il vecchio nome di Gualdo Nocera. La parte più interessante è la storia della Bastola – donna vittima o carnefice non è dato sapere – che risente di letture noir e thriller bagaglio del giovane autore, cose come Lovecraft e Poe, ma forse pure King e Lansdale. I dialoghi sono ben strutturati, la storia si legge come un racconto che viene dal passato, il personaggio della Vastola è delineato con sufficiente cura ed è reso enigmatico al punto giusto. Il limite della narrazione sta nel ritmo narrativo, un po’ troppo monocorde e privo di suspense, che in ogni caso non danneggia una rapida lettura. Riteniamo incoraggiante questa prima prova narrativa di Francesco Giubilei, ma vogliamo leggerlo ancora in opere di narrativa che riescano a catturare il lettore per la forza drammatica della narrazione.

Gordiano Lupi - www.infol.it/lupi

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RECENSIONI INCROCIATE. Laura et Lory, Sabrina Campolongo http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/04/07/recensioni-incrociate-laura-et-lory-sabrina-campolongo/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/04/07/recensioni-incrociate-laura-et-lory-sabrina-campolongo/#comments Mon, 07 Apr 2008 13:34:27 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/04/07/recensioni-incrociate-laura-et-lory-sabrina-campolongo/ Vi è mai capitato di leggere una recensione e pensare: “e se il critico è un amico dell’autore recensito”?

Vi è mai capitato di pensare: “va be’, magari si sono messi d’accordo”?

Potrebbe accadere.

Non sarebbe molto corretto, vero? Bene. Letteratitudine, va oltre.

Inauguro, oggi, una nuova rubrica che si intitolerà, per l’appunto, Recensioni incrociate. Di volta in volta chiederò a due autori di recensirsi reciprocamente. Nella maggior parte dei casi l’oggetto delle recensioni saranno i loro libri, in altri casi potrebbero essere “le loro rispettive… figure“.

Saranno credibili, queste recensioni?

Lo giudicherete voi!

Intanto, dopo quelle di Enrico Gregori e Vito Ferro, ho il piacere di presentarvi le recensioni incrociate di Sabrina Campolongo e Laura et Lory (Laura Costantini e Loredana Falcone).

Naturalmente siete tutti invitati a interagire con le “autrici/critiche”. Ponete domande sulle loro opere e sulle loro recensioni incrociate.Ovvero… tartassatele.

Massimo Maugeri

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Sabrina Campolongo, “Il cerchio imperfetto“, Edizioni Creativa, 2008, pagg. 182, euro 12
recensione di Laura et Lory

Un libro sulle donne, scritto da una donna e scelto da un’altra donna per una collana che si dichiara Declinata al Femminile. Sono caratteristiche, queste, salienti per analizzare Il cerchio imperfetto, eppure vorremmo evitare la catalogazione nella cosiddetta letteratura femminile perché il romanzo di Sabrina Campolongo è soprattutto un viaggio all’interno di un universo che ci riguarda tutti, uomini e donne. Si parla di paura di vivere, dei sensi di colpa, del sentirsi inadeguati. Di più, imperfetti.
Sabrina usa i suoi personaggi per tratteggiare la difficoltà di relazione che caratterizza il nostro mondo. Tra Marga, Francesca, Viola, Massimo, nessuno ha la capacità di gestire serenamente un rapporto con l’altro, sia esso d’amicizia o d’amore. Nessuno riesce a trovare il coraggio di accettare l’altro come un dono, perché troppo forte è la paura di doversi dare fino in fondo, fino al confine tra il donarsi e il perdersi. Eppure tutti, indistintamente, hanno un disperato bisogno di amore.
Ha bisogno d’amore Margherita, Marga per le amiche. Lei che colleziona scopate come alcune donne fanno con le scarpe, o con le borsette. E’ spinta verso il sesso da una fame compulsava, non molto diversa da quella che da ragazzina la trascinava in ginocchio, davanti al frigorifero aperto, nel cuore della notte, a ingollare tutto ciò che le capitava sotto tiro.
Marga che ha gli occhi come pozzi verde cupo quando nella sua bulimia erotica incappa in un uomo violento. Un uomo che non ha capito.
Di uomini che non hanno capito ce ne sono molti nelle pagine di Sabrina.
C’è il marito di Francesca, Carlo, che non riesce a capire il bisogno di una madre di macerarsi nel senso di colpa per un figlio imperfetto. Un figlio che l’ha abbandonata alla solitudine, come tutti coloro che sono stati importanti nella sua vita. Francesca è un’artista, ma il linguaggio dei colori non basta a dissipare il buio che si porta dentro quando la giornata si svuota di colpo. Davanti solo un deserto spaventoso, incolmabile. Poter tornare a letto… E’ impossibile dipingere, è impossibile uscire di casa, lavarmi i capelli. Impossibile sollevare il ricevitore del telefono, impossibile sostenere una qualunque conversazione.
E’ la depressione il demone di Francesca. Un’ombra scura che la insegue e la precede schiacciandola in devastanti crisi di panico. Eppure a sconfiggere il mostro basta poco.
- Ciao, ti ho svegliata?
La sua voce, la voce di Massimo.
Vuoto nello stomaco, cuore che sbatte contro le sbarre della sua gabbia d’ossa, cercando di schizzarne fuori. E quel nodo implacabile che si scioglie, restituendomi lo spazio per gonfiare i polmoni.

Le donne amano così.
Eppure Massimo, il ragazzo che ha aperto uno spiraglio nella vita sentimentalmente irrisolta di Francesca, non capisce. O meglio, non vuole capire. Perché anche qui il rischio è il passaggio tra ciò che si ha e ciò che si potrebbe avere.
Lo sa bene Viola, che è nata con il corpo di un uomo, si è venduta per rendere visibile al mondo la femminilità della sua anima, ma non può accettare un amore vero. Un amore da donna. Perché lui non capisce. Pensa solo di fare un grande gesto romantico, non capisce e non gli interessa nemmeno di capire. Non sa cosa ci succederà. Non può capire, come te. Te lo ripeto Francesca: non posso andare a vivere nelle case popolari. I poveri non hanno pietà per quelle come me.
La pietà, la capacità di accettarsi per ciò che si è, manca a tutti i protagonisti di questo cerchio imperfetto.
Il libro di Sabrina Campolongo ha il pregio di descrivere, con la naturalezza del vissuto, stati d’animo che difficilmente vengono raccontati da chi ha la sfortuna di provarli. E’ un libro che scava in zone buie e forse, proprio per questo, il quadro che ne esce racconta di un’umanità fragile e dolente. Un’umanità che non riesce a trovare una rivincita, che non lotta fino in fondo, che si accontenta di un non detto.
Ti amo. Potrei dirti.
Potrei dire ti amo e non cambierebbe nulla.
Non aggiungerebbe nulla.
Posso dirtelo, non credo che lo farò mai.

E’ la sanzione di una sconfitta. Accettata con la strana gioia di una saggezza che, ancora una volta, parla della nostra profonda incapacità.

Laura et Lory

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Laura Costantini e Loredana Falcone, “Roma 1944 – lo sposo di guerra“, Maprosti & Lisanti editore, 2007, pagg. 480, euro 15
recensione di Sabrina Campolongo

Due donne, al centro di questo romanzo, due sponde dello stesso fiume. Da una parte Camilla, ruspante ragazza del popolo, impegnata a tempo pieno a “risolversi la giornata” (vedi mettere assieme un pasto almeno al giorno), dall’altra Ottavia, la contessa Visconti-Parini, assediata nel suo stesso palazzo dalle truppe americane che ne hanno preso possesso, con suo malcelato fastidio.
Due binari, due destini, quello della popolana rimasta sola al mondo, e quello della nobildonna abbandonata da un marito fascista e puttaniere, che in un altro momento storico non si sarebbero mai incrociati, limitandosi a guardarsi dalle due opposte, seppur vicine, tribune: quella dei servi e quella dei padroni.
Ma, in questo particolare dove e quando, tutto, forse, può accadere: Roma, giugno 1944.
Siamo nel cuore di una “città eterna” ferita e umiliata, che deve piegare la testa e accogliere nella sua carne truppe straniere che la proteggano da se stessa, una città costretta ad accettare di farsi salvare a colpi di coprifuoco e restrizioni, siamo in una Roma alla fame, che piange i suoi morti e i suoi palazzi distrutti, e si interroga su un futuro ancora incerto.
In questo sbando totale, non sorprende che i ruoli diventino elastici. Attraverso le pareti sbrecciate, le cuciture che cedono, che si sfilacciano, ecco che Camilla e Ottavia si trovano a essere prima di tutto due donne sole, e poi, solo sullo sfondo, una serva e una padrona.
Pur nella paura del futuro, pur nelle difficoltà, queste due donne, fino ad allora chiuse dentro due vite cucite loro addosso, rigide come gabbie da cui non si può scappare, si trovano tra le mani, quasi loro malgrado, l’occasione unica e irripetibile di essere se stesse.
Non ci sono madri, mariti, o fratelli a controllarle da vicino, nella lotta per la quotidiana sopravvivenza come nelle notte solitarie nella roccaforte del palazzo, non ci sono uomini a imporre, a vietare, a proteggere, a salvare.
Sono sole, sole come si può esserlo quando si è sopravvissuto a una guerra, sole come dopo l’abbandono di tutti, sole come chi non ha più nulla, a parte se stesso, da perdere.
Sole, all’apparenza, finché si innamorano (eh già) di due uomini, due dei “salvatori” americani. Ma sole, mi sembra di poter dire, anche, e dolorosamente, dopo.
Perché, se Camilla e Ottavia sono cresciute, nella consapevolezza di sé, durante questi mesi di solitudine e lotta per la sopravvivenza (materiale e/o spirituale), lo stesso non si può dire degli uomini di questa storia, il giovane Michael che ama Camilla in buona fede, ma, alla fine come un bell’oggetto da possedere e riportarsi in patria intatto, e il colonnello Samuel Kilpatrick, che si concede il diritto di vivere con Ottavia quell’amore totale che il rispetto delle convenzioni gli ha fino ad allora negato, ma senza mai dubitare nel profondo che sarà di nuovo in quella direzione, in quella degli obblighi familiari, che i suoi piedi volgeranno, alla fine della guerra.
Nemmeno il finale (che non svelerò) se pur con un avvicinamento, riesce a sanare la frattura, tra queste donne che lottano per la propria integrità e il proprio diritto a essere se stesse, e questi uomini che non riescono ad amare alla pari, uomini mossi da onesto desiderio, ma anche da ansia di “salvare”, di controllare, di imporre le proprie decisioni.
Il che è indubbiamente coerente con il momento storico. Difficile credere nella possibilità di un vero rivolgimento, è corretto quanto inevitabile il finale “convenzionale” di queste storie. Alla fine, la libertà selvaggia e pericolosa sperimentata in quei giorni lascerà segni profondi, nelle vite dei protagonisti, ma non stravolgerà il paradigma.
Gli uomini continueranno a prendersi la libertà come un diritto sacrosanto, e le donne continueranno ad accettare gli addii, e ad accogliere, e a perdonare.
Eppure, si intuisce che la consapevolezza è diversa: le donne, le sopravvissute, quelle che hanno lavorato nelle fabbriche, quelle che hanno dato da mangiare ai figli quando i mariti erano al fronte, quelle che hanno preservato la propria anima sottraendola alle violenze del corpo, cominciano a mostrare insofferenza, verso quelle figure maschili che vorrebbero tornare a decidere delle loro vite. Ma i tempi, nel 1944, non sono ancora maturi. Forse di questo Laura Costantini e Loredana Falcone ci racconteranno in un prossimo romanzo.
Intanto, quello che resta, dopo la lettura di questo “Roma 1944”, al di là delle vicende individuali e sentimentali dei protagonisti, è l’affresco dolente ma anche vitale (a tratti decisamente divertente) di una città e dei suoi abitanti, sanguigni e beffardi, violenti e disarmanti, acciaccati, ma mai disposti a chinare la testa, ironici anche mentre si svendono, capaci, li si direbbe, di prendere in giro persino la morte.

Acconciarle i capelli in morbidi riccioli era sempre stato il compito di sua madre, fin dalla prima volta, il giorno della Prima Comunione. Sentì le lacrime pungerle gli occhi mentre la nostalgia per Assunta le scavava un dolore sordo nello stomaco, le sembrò quasi di vederla alle sue spalle, riflessa nello specchio della toeletta, con i suoi capelli grigi annodati in una crocchia sulla nuca, la sopravveste bianca quando andava a servizio da donna Matilde, la madre della contessa Ottavia. Le sembrò di sentire la carezza delle sue dita sui capelli e la sua voce che le sussurrava: “Sta’bbona fija mia, nun piagne…ce n’avrai de tempo pe’ disperatte nella vita…”

Sabrina Campolongo

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