LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » scrittura http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 LETTERATITUDINE 3: LETTURE, SCRITTURE E METANARRAZIONI http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/02/24/letteratitudine-3-letture-scritture-e-metanarrazioni/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2017/02/24/letteratitudine-3-letture-scritture-e-metanarrazioni/#comments Fri, 24 Feb 2017 14:21:53 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7445 Care amiche e cari amici,
come qualcuno di voi saprà, di recente è uscito il volume intitolato “Letteratitudine 3: letture, scritture e metanarrazioni” (LiberAria).
Si tratta del terzo volume che ho curato e pubblicato con riferimento alle attività di Letteratitudine. Quest’ultimo, tuttavia, è un libro speciale. Anzi, specialissimo. Perché nasce anche – e soprattutto – con l’intento di festeggiare i dieci anni di attività online di questo “luogo d’incontro virtuale” (Letteratitudine nasce, infatti, nel mese di settembre dell’anno 2006).
Come ho provato a spiegare nella prefazione del libro, quella di Letteratitudine è stata (e continuerà a essere) un’esperienza di “condivisione” (una parola che – credo – oggi più che mai debba essere tutelata e valorizzata).
In tutti questi anni posso dire che “condivisione” è stata la parola chiave per eccellenza di Letteratitudine. Del resto è evidente il fatto che la letteratura, la cultura, i libri, i “saperi”, hanno ragion d’essere solo in un’ottica di condivisione. Lo spirito di condivisione – peraltro – favorisce anche l’accoglienza di punti di vista differenti, persino opposti e contrapposti (partendo dalla considerazione che la diversità di idee e opinioni, fondata sul reciproco rispetto, è sempre occasione di crescita). In oltre dieci anni di attività ho sempre lavorato perché lo spirito della condivisione, così inteso, fosse presente e aleggiasse su ogni attività organizzata e portata avanti con Letteratitudine.
Ecco perché questo libro è nato nell’ottica dello spirito di condivisione.
Ringrazio, ancora una volta, di vero cuore le amiche scrittrici e gli amici scrittori che mi hanno aiutato a realizzarlo donandomi il loro contributo.
Grazie, amici cari. Grazie di vero cuore!

* * *

Ne approfitto per fornire qualche informazione ulteriore sui contenuti di questo libro.
Credo che il sottotitolo sia già di per sé piuttosto indicativo: letture, scritture e metanarrazioni.
In estrema sintesi direi che le sezioni che lo compongono ruotano fondamentalmente sui due pilastri della “condivisione letteraria”: la lettura e la scrittura.

Il volume è formato da quattro sezioni, precedute – come già accennato – da una mia prefazione dove tento di “fare il punto” su questi dieci anni. La prima parte del libro è dedicata a una serie di interviste (sulla lettura e sulla scrittura) incentrate sul numero dieci. Dieci interviste strutturate sulla base di dieci domande (in questa sezione ho coinvolto: Ferdinando Camon, Massimo Carlotto, Antonella Cilento, Giancarlo De Cataldo, Maurizio de Giovanni, Nicola Lagioia, Dacia Maraini, Melania G. Mazzucco, Raul Montanari, Clara Sereni). La seconda sezione ospita una lunga serie di Autoracconti (dove gli scrittori sono stati invitati a raccontare i loro libri concentrandosi soprattutto sull’aspetto “creativo” della loro attività di scrittura). La terza sezione è dedicata alle Lettere (rivolte a scrittori scomparsi e/o personaggi letterari): qui ho chiesto agli amici scrittori di scegliere uno scrittore scomparso che avevano avuto modo di conoscere personalmente (o di studiare in maniera approfondita) oppure un personaggio letterario particolarmente amato… e di scrivergli una lettera immaginando che il “ricevente” (scrittore scomparso o personaggio letterario) avesse davvero la possibilità di leggerla. La parte finale del libro è dedicata a Vincenzo Consolo che ho voluto ricordare con il contributo di tanti amici scrittori e critici letterari.

Di seguito, riporterò l’indice completo del volume.

* * *

Care amiche e cari amici di Letteratitudine, che ci seguite con affetto da così tanto tempo… spero che possiate trovare questo libro utile e di vostro gradimento. E spero che possiate darci una mano a renderlo “vivo” attraverso la vostra lettura.
Ancora una volta, la condivisione si rivela come necessaria.

* * *

Il libro è disponibile nelle migliori librerie e presso i punti di rivendita online (Amazon libri, Ibs, Feltrinelli libri, Mondadori store, Libreria Universitaria, ecc.)

Indice
Prefazione di Massimo Maugeri pag. 7

Parte I
Lettura e scrittura:
dieci domande a dieci scrittori:

Ferdinando Camon – pag. 31
Massimo Carlotto - pag. 35
Antonella Cilento - pag. 38
Giancarlo De Cataldo - pag. 44
Maurizio de Giovanni - pag. 47
Nicola Lagioia - pag. 50
Dacia Maraini - pag. 52
Melania G. Mazzucco - pag. 55
Raul Montanari - pag. 61
Clara Sereni – pag. 67

Parte II
Autoracconti d’Autore:
scrittori raccontano i propri romanzi

Emanuela E. Abbadessa, Fiammetta - pag. 73
Eraldo Affinati, L’uomo del futuro - pag. 75
Marco Balzano, L’ultimo arrivato - pag. 78
Alessandro Bertante, Gli ultimi ragazzi del secolo - pag. 82
Rossana Campo, Dove troverete un altro padre come il mio – pag. 84
Paola Capriolo, Mi ricordo - pag. 86
Glenn Cooper, Il calice della vita - pag. 89
Mauro Covacich, La sposa - pag. 92
Maria Rosa Cutrufelli, Il giudice delle donne - pag. 94
Mario Di Caro, La capitana dell’isola di nessuno - pag. 96
Luca Doninelli, Le cose semplici - pag. 98
Ildefonso Falcones, La regina scalza - pag. 102
Catena Fiorello, L’amore a due passi - pag. 106
Chiara Gamberale, Per dieci minuti - pag. 109
Vittorio Giacopini, La mappa - pag. 112
Luigi Guarnieri, Il sosia di Hitler - pag. 116
Orazio Labbate, Lo Scuru - pag. 119
Nicola Lagioia, La ferocia - pag. 122
Joe R. Lansdale, La foresta - pag. 125
Simona Lo Iacono, Le streghe di Lenzavacche - pag. 128
Massimo Lugli, Stazione omicidi - pag. 131
Lorenzo Marone, La tentazione di essere felici - pag. 134
Paola Mastrocola, L’esercito delle cose inutili - pag. 138
Giordano Meacci, Il cinghiale che uccise Liberty Valance - pag. 143
Elena Mearini, Bianca da morire - pag. 147
Claudio Morandini, Neve, cane, piede - pag. 149
Giorgio Nisini, La lottatrice di sumo - pag. 153
Marilù Oliva, Le sultane - pag. 155
Demetrio Paolin, Conforme alla gloria - pag. 157
Marco Peano, L’invenzione della madre - pag. 162
Sergio Pent, I muscoli di Maciste - pag. 166
Sergio Claudio Perroni, Il principio della carezza - pag. 168
Romana Petri, Le serenate del Ciclone - pag. 170
Piergiorgio Pulixi, La notte delle pantere - pag. 174
Sara Rattaro, Splendi più che puoi - pag. 180
Paolo Roversi, Solo il tempo di morire - pag. 183
Clara Sánchez, Le cose che sai di me - pag. 185
Evelina Santangelo, Non va sempre così - pag. 187
Vanni Santoni, Terra ignota - pag. 192
Giuseppe Schillaci, L’età definitiva - pag. 195
Brunella Schisa, La scelta di Giulia - pag. 197
Elvira Seminara, Atlante degli abiti smessi - pag. 199
Marcello Simoni, L’Abbazia - pag. 202
Simona Sparaco, Equazione di un amore - pag. 204
Mariapia Veladiano, Una storia quasi perfetta - pag. 206
Grazia Verasani, Senza ragione apparente - pag. 209

Parte III
Lettere a personaggi letterari e autori scomparsi

Lettera ad Alice
di Francesca G. Marone – pag. 213
Lettera a Honoré de Balzac
di Mariolina Bertini – pag. 218
Lettera a Rocco Carbone
di Romana Petri – pag. 223
Lettere a Marianna Coffa
di Marinella Fiume – pag. 228
di Maria Lucia Riccioli – pag. 234
Lettera a Cthulhu
di Marco Peano – pag. 238
Lettera a Stefano D’Arrigo
di Tea Ranno – pag. 242
Lettera a Dracula
di Guglielmo Pispisa – pag. 244
Lettera a Marguerite Duras
di Sandra Petrignani – pag. 248
Lettera ad Alfonso Gatto
di Carmen Pellegrino – pag. 252
Lettera a Jean-Claude Izzo
di Stefania Nardini – pag. 256
Lettera a Primo Levi
di Sara Rattaro – pag. 258
Lettera a Katherine Mansfield
di Lia Levi - pag. 261
Lettera a Elsa Morante
di Graziella Bernabò - pag. 266
Lettera ad Anna Maria Ortese
di Adelia Battista - pag. 272
Lettera a padre Paneloux
di Filippo Tuena - pag. 278
Lettera a Pier Paolo Pasolini
di Francesco Pecoraro - pag. 284
Lettera a Perelà
di Claudio Morandini - pag. 289
Lettera a Hercule Poirot
di Ornella Sgroi - pag. 293
Lettera a Giuseppe Pontiggia
di Daniela Marcheschi - pag. 298
Lettera a Ugo Riccarelli
di Giulia Ichino - pag. 302
Lettera a Emilio Salgari
di Patrizia Rinaldi - pag. 304
Lettera a Gregorio Samsa
di Andrea Caterini - pag. 309
Lettere a Leonardo Sciascia
di Antonio Di Grado - pag. 312
di Vincenzo Vitale - pag. 315
Lettera a Manlio Sgalambro
di Domenico Trischitta - pag. 319
Lettera a Winston Smith
di Carlotta Susca - pag. 322
Lettera ad Antonio Tabucchi
di Paolo Di Paolo - pag. 326
Lettera a Tereza
di Mavie Parisi - pag. 329
Lettera a Marianna Ucrìa
di Simona Lo Iacono - pag. 334
Lettera a Sebastiano Vassalli
di Michele Rossi - pag. 337

Parte IV
Omaggio a Vincenzo Consolo

In ricordo di Vincenzo Consolo
intervista a Consolo di Massimo Maugeri – pag. 341
Per Vincenzo Consolo, poeta e profeta
di Maria Attanasio – pag. 346
Alle soglie del témenos
di Sebastiano Burgaretta – pag. 349
La memoria di una “voce narrante”
di Domenico Calcaterra – pag. 352
Quei frammenti caduti dal cielo: Lunaria 2.0
di Eliana Camaioni – pag. 356
Un mite guerriero
di Maria Rosa Cutrufelli – pag. 362
Per Vincenzo Consolo (e per Bufalino e Sciascia)
di Antonio Di Grado – pag. 367
L’utopia di Vincenzo Consolo: Itaca senza proci
di Giuseppe Giglio – pag. 369
Come Nicolas De Staël d’après Seghers
di Salvatore Silvano Nigro – pag. 373
Vincenzo Consolo, scrittore antagonista
in lotta con il potere

di Massimo Onofri – pag. 377
L’amara saggezza del narrare: Vincenzo Consolo
e Los desastres de la guerra di Francisco Goya

di Salvo Sequenzia – pag. 381
Vincenzo Consolo, l’irrequietudine
e il sigillo della scrittura

di Natale Tedesco – pag. 387
Vincenzo Consolo: la ferita che non guarisce
di Anna Vasta – pag. 389

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SCRIVERE AI TEMPI DEL WEB http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/04/12/scrivere-ai-tempi-del-web/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2012/04/12/scrivere-ai-tempi-del-web/#comments Thu, 12 Apr 2012 20:18:12 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=4024 scrivere-ai-tempi-del-web-2Qualche settimana fa ho avuto il piacere di condurre uno dei laboratori di eccellenza di “Officina dei media” proposti dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Catania. Il titolo era: “Scrivere ai tempi del web”. Per me è stata un’occasione preziosissima per approfondire, insieme alle studentesse e agli studenti del laboratorio (provenienti da varie Facoltà… non solo da quella di Lettere e Filosofia), alcuni degli argomenti trattati qui su Letteratitudine nel corso di questi sei anni di attività. Nel farlo mi sono avvalso anche di “contributi” recentissimi e di varia provenienza (articoli di quotidiani e magazine, video, ecc.).
Riporto, in sintesi, alcuni degli argomenti oggetto del laboratorio (linkando i post di Letteratitudine a essi attinenti): la “rivoluzione internet”, Terza Pagina e comunicazione letteraria on line, i blog letterari e gli ipertesti, perché leggere e perché scrivere, lettura e scrittura tra viaggio e condivisione, la scrittura nell’era delle immagini e dei new media, i social network, linguaggio e slang della rete, problematiche legate all’e-book, print on demand e self-publishing, copyright e/o copyleft, la grande rete della scrittura, prospettive e ipotesi sul romanzo ai tempi della rete: il caso David Shields.
Alla fine del laboratorio – impostato come “dibattito aperto” – ho chiesto alle studentesse e agli studenti che hanno partecipato, di esprimere le loro opinioni sui temi trattati. Nel farlo, ho posto loro le seguenti dieci domande. Con alcuni dei partecipanti abbiamo deciso di rendere pubbliche le risposte al fine di favorire l’interazione tra loro e allargare il dibattito ai frequentatori di questo blog (a cui chiedo, dunque, nel caso in cui avessero tempo e voglia, di fornire le loro risposte).
Si tratta – lo ripeto – di argomenti di cui, in un modo o nell’altro, abbiamo avuto modo di discutere nel corso di questi anni. Il mio auspicio è che questo post possa svolgere una funzione di sintesi, magari fornendo nuovi spunti di riflessione derivanti dal confronto, dalla crescita e dallo scambio di esperienze.
Ecco le domande…

1. Che ruolo hanno avuto i blog nello sviluppo del dibattito culturale e letterario italiano?

2. Confrontando “lit-blog” e siti letterari con la cosiddetta “Terzapagina”… quali sono i pro e i contro?

3. Quali sono le ragioni del leggere e dello scrivere ai tempi del web? Fornite le “vostre” motivazioni…

4. Come è cambiata (se è cambiata) la scrittura con l’esplosione dei social network?

5. La rivoluzione digitale ha inciso (o inciderà) sulla letteratura?

6. Cosa ne pensate dell’e-book?

7. Cosa ne pensate del self-publishing?

8. Qual è il ruolo del romanzo, oggi? E quale genere narrativo sa raccontare meglio la realtà?

9. Copyright e copyleft: cosa ne pensate?

10. Come immaginate il futuro editoriale con la diffusione dell’e-book? L’editoria elettronica sopravvivrà alla pirateria o è destinata a subire gli stessi contraccolpi che hanno interessato l’industria musicale?

Ringrazio in anticipo tutti coloro che avranno la bontà di raccogliere questo mio invito.

Massimo Maugeri

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Vi invito a seguire LetteratitudineNews e LetteratitudineRadio

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ASINO CHI LEGGE, di Antonella Cilento http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/11/09/asino-chi-legge-di-antonella-cilento/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/11/09/asino-chi-legge-di-antonella-cilento/#comments Mon, 08 Nov 2010 23:41:11 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=2659 asino-chi-legge-coverConosco Antonella Cilento da diversi anni. Di lei ho sempre apprezzato sia il talento letterario, sia l’impegno civile di una vita dedicata ai libri e alla letteratura. Questo impegno rimbalza dalle sue pagine ai corsi di scrittura de La linea scritta, dalle svariate iniziative culturali (come quella di Le strane coppie) alla sua attività svolta in giro per le scuole d’Italia con l’intento di trasmettere agli studenti – talvolta anche ai docenti – l’amore per la lettura e per la scrittura.
Ed è proprio da questa esperienza, dall’incontro con i ragazzi delle scuole, che nasce il volume Asino chi legge, appena pubblicato da Guanda (così come ben spiegato dalla scheda del libro).

“Asino chi legge” si scriveva una volta sui muri delle scuole, per sbeffeggiare un compagno ingenuo o gli adulti noiosi. Un tempo, neanche tanto lontano, avere libri in casa e un figlio laureato era considerato un valore aggiunto, il trionfo per una famiglia in risalita sociale. Da qualche anno, invece, leggere è considerato un errore, una perdita di tempo, un insignificante vizio. Studiare e leggere, è ormai noto, non ti porterà da nessuna parte, non ti aprirà le porte del mondo del lavoro, non farà di te una persona migliore, tanto vale trovare false scorciatoie.
Questo libro racconta la sfida di portare la letteratura, scritta e letta, in luoghi dove la passione per la pagina non è mai nata o si scontra con difficoltà inenarrabili: a Napoli, in Irpinia, in Trentino, in Sicilia e in altre province d’Italia. Antonella Cilento, perennemente in viaggio fra treni e scuole pubbliche, dove da anni offre servizio come esperto esterno di scrittura creativa, raccoglie storie divertenti, assurde e tristi: dai figli dei capo-clan napoletani ai timidi ragazzi della Nusco di De Mita, ai giovani pakistani di Bolzano, fissando una fotografia disincantata delle ultime generazioni, della percezione dello scrittore nelle scuole, e di un Paese in piena crisi di idee.
I ragazzi e i loro insegnanti sono, insieme ai luoghi, i veri protagonisti, con le pagine che scrivono, le loro vicende e la domanda più grave: cosa stiamo facendo del nostro futuro? Un viaggio alla ricerca di quel che stiamo perdendo o, in certi casi, abbiamo già perso, ma che niente, salvo noi stessi, può impedirci di riconquistare.

Dalla nota, dicevo, si capisce bene il senso di questa importante testimonianza… il cui sottotitolo è “I giovani, i libri, la scrittura”.
Ed è proprio dei giovani, dei libri e della scrittura che vorrei discutere con voi, insieme ad Antonella Cilento… che parteciperà al dibattito (questo post è da considerarsi come una “costola” del forum permanente “Letteratitudine chiama scuola”).
Pongo le solite domande, volte ad avviare la discussione…

1. Nella vostra esperienza, che rapporto hanno i ragazzi con la lettura?

2. Siete d’accordo sul fatto che da qualche anno leggere è considerato una sorta di errore, una perdita di tempo, un insignificante vizio?

3. Se è così… perché si è giunti a questo punto? E di chi è la colpa?

4. Viceversa, perché è importante leggere? Perché è importante saper scrivere? Come lo spieghereste a un ragazzo di oggi?

5. E con quali libri “iniziereste” alla lettura un ragazzo (o una ragazza) delle cosiddette scuole medie inferiori? E a quelli del liceo? Che letture proporreste?

6. Qual è, o quale dovrebbe essere, il ruolo della scuola e del corpo docente per incentivare gli studenti a leggere e a saper scrivere?

Vi sarei grato se poteste far “circolare” questo post, soprattutto tra i giovani e tra le scuole.
Grazie mille in anticipo.

Massimo Maugeri

P.s. Di seguito, l’articolo di Bruno Quaranta pubblicato in prima pagina di Tuttolibri de La Stampa del 23 ottobre… e le prime pagine di “Asino chi legge”

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ASINO CHI LEGGE di Antonella Cilento
da LA STAMPA – Tuttolibri

di BRUNO QUARANTA

Benedetto Croce era solito domandare agli studenti: «Vi indignate? Perché quando non vi indignerete più sarà la fine». Ma come è possibile indignarsi se non si sa né leggere né scrivere, se non si possiede quel bisturi, quella sonda, quel termometro che è l’alfabeto?
Napoletana è Antonella Cilento (nella foto). Un tempo, nell’età deamicisiana riverberatasi fino agli anni Sessanta, sarebbe stata insignita della medaglia d’oro. Da chi? Ma dal ministero della Pubblica Istruzione, tale l’eroica mission che l’autrice di Una lunga notte, fra i romanzi esemplari degli ultimi anni, va rinnovando nelle stagioni. Di scuola in scuola, porgendo il «talismano» che la parola è, letta e scritta, un’«arma scalza», la definisce nel suo febbrile journal Asino chi legge (Guanda, pp. 184, e 16), un’arma felicemente impropria, «per ricordarci della profondità».
Nei banchi, ad attendere Antonella Cilento, «Esperto Esterno di scrittura creativa», sono gli scugnizzi, scugnizzi di ogni ordine e grado, fino all’istituto tecnico, fino al liceo, tra le nostre speranze, in attesa, loro come tutti i ragazzi d’Italia, della parola che montalianamente «squadri», dirozzi, elevi, nomini e legiferi, infine, il caos, sfarinando gli slogan, gli anatemi, gli strafalcioni. Idealmente, hanno come compagno Giulio Bollati, l’Italiano che non esitava a confessare come il pensiero gli si rivelasse solo facendo scorrere la penna sul foglio bianco.
Legite, prima di effettuare la scissione, approdando a «le gite». Avvertiva don Gesualdo Bufalino che la mafia si comincia a vincere nelle classi elementari. Magari imparando, nello sfogliare il vocabolario isolano, che mafioso, in talune lande, come a Comiso, non è il tipo con la lupara, ma un dire galante, un omaggio alla bellezza femminile.
Antonella Cilento, ostinata e Generosa come dev’essere un testimone, sparge quotidianamente le sue rose. L’asino che è in noi diverrà d’oro, diverrà uomo, diverrà cittadino nutrendosene.

fonte: Tuttolibri, in edicola sabato 23 ottobre

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Le prime pagine di “ASINO CHI LEGGE” (Guanda, 2010)

di Antonella Cilento

antonella-cilentoÈ il mese di marzo. C’è sole e non so bene che strada fare per arrivare alla scuola dove ho, nel primo pomeriggio, lezione di scrittura creativa.
È una scuola media, la preside è una professoressa sveglia e piena di iniziative. Il quartiere è uno di quei quartieri di Napoli che, se non ci si abita o si ha una ragione specifica per andarci, è solo un nome, un’immagine degradata che si guarda prendendo la tangenziale o l’autostrada, dai ponti.
In verità, ci passo assai spesso andando ad Avellino in autobus (sempre per via del mio lavoro di scrittrice in trasferta, in qualità di Esperto Esterno di scrittura creativa): l’autobus fa un lungo giro per imboccare l’ingresso dell’autostrada più lontano da via Marina, l’arteria che collega Napoli ai paesi vesuviani, e di conseguenza costeggia il rione Luzzatti.
Il rione Luzzatti porta il nome del primo ministro che emanò in Italia una legge sull’edilizia popolare nel 1903, che prevedeva la costruzione di nuclei abitativi vicino alle zone industriali.

La zona industriale di Napoli, tuttavia, non contiene più alcuna vera industria, solo fantasmi di capannoni, e non c’è più traccia di case del primo Novecento: il rione Luzzatti, edificato alle spalle della Stazione Centrale e, a seguito della costruzione del Centro Direzionale, ancora più arretrato rispetto alla città, ha l’aspetto di un quartiere povero degli anni Settanta.
Dai caseggiati di cemento alti sette o otto piani si vedono le torri giapponesi del Centro Direzionale; fra la sterpaglia e le gomme abbandonate che circondano le palazzine si può godere di una spettacolare vista della collina del Vomero, della Certosa di San Martino e di Castel Sant’Elmo.
In altre parole, non siamo ancora nell’hinterland, ma non siamo più a Napoli, benché prossimi a quei cartelli da Far West che con una striscia obliqua cancellano il confi ne di giurisdizione della città. Scendo alla fermata della metropolitana di Gianturco, che è tutta nuova, ben restaurata, ricca di spazi per negozi che nessuno vuole affittare e che forse, di questo passo, non si affitteranno mai.
I negozianti hanno paura ad aprire rivendite in quella fermata, nonostante le telecamere, nonostante la sorveglianza giorno e notte. Intorno crescono ponti, concessionarie d’auto di lusso, grossisti di ceramica e linee bagno, qualche bar, qualche tabaccaio con ricevitoria del lotto, i supermercati cinesi.
Ogni cosa è molto distante dalle altre. Il tunnel che separa la fermata della metropolitana dalla strada che mi porterà dentro il rione Luzzatti è largo e basso e si attraversa sia in auto sia a piedi. Anche stamane, che c’è sole e alle due del pomeriggio si direbbe che la situazione sia tranquilla, traversare il lungo tunnel mette un po’ d’agitazione. Un cane mi corre incontro. Un tizio allampanato e curvo con la tuta da idraulico scompare nell’ombra. Se subisci un’aggressione qui nessuno ti vedrà e, se anche ti vedessero, nessuno ti verrà, in ogni caso, in aiuto. È come il tunnel di Sogni di Kurosawa, da cui escono fantasmi di battaglioni che credono di essere ancora vivi e rincorrono il loro tenente. Nel film c’è anche un cane, uguale a quello che mi corre incontro, un cane che ringhia con le bombe attaccate alla schiena. Mi passa accanto, poi procedo. Nel rione Luzzatti ci sono grandi vasche pensate come aiuole fiorite in cui crescono erbe male alte almeno un metro.

Nel dedalo di caseggiati e erbe male si passa come attraverso una jungla salgariana, anche se il Sandokan che qui potrebbe apparire non è certo Kabir Bedi. Non si vede un’anima. Chi sta nelle case, dietro le finestre o al riparo delle tende a strisce arancio e blu dei balconi di cemento spellato, si guarda bene dal farsi vedere.
C’è e mi osserva, lo so, e posso anche immaginare facce e vestiti: donne sformate, giovani con la faccia da lupo, bambinetti attaccati alla PlayStation. Echeggiano, nel silenzio irreale, improvvisi allucchi sedati con paccheri a mano piena, la voce del tg regionale, Gigi D’Alessio che canta a squarciagola da una finestra. Devo chiedere a qualcuno dov’è la scuola ma non c’è nessuno.
Le traverse si somigliano, un paio di strade hanno anche lo stesso nome. E poi, di colpo, il caseggiato, in tutto identico agli altri, si lascia distinguere: ha le sbarre alle finestre, è malridotto e circondato da una cancellata carceraria, che dovrebbe contenere alberi e invece racchiude un’indistinta massa verde e gialla. Ecco la mia scuola media. La preside mi ha avvisato: qui non sarà facile. Le ho risposto: in nessuna scuola italiana è mai facile. Sono diciassette anni che entro nelle scuole come Esperto Esterno e, se conto anche gli anni in cui lo facevo non per insegnare scrittura creativa ma per fare laboratori di teatro, in effetti, sono più di venti anni che mi inserisco fra insegnanti e studenti. Sono un cuscinetto, sono la realtà che entra nella scuola, sono l’Autore che improvvisamente si manifesta come Vivo e non come morta biografia di un’antologia.
E faccio tante diverse cose insegnando scrittura: mostro tecniche che la scuola non insegna, risolvo problemi di relazione, riporto i ragazzi alla lettura, suggerisco letture a insegnanti che non leggono o non sanno bene come orizzontarsi fra i libri; a volte, riporto anche ragazzi che hanno abbandonato l’obbligo a scuola. Dalla letteratura alla mediazione, dal laboratorio al problem solving. Una sola cosa di sicuro non faccio: entrare in classe, fare lezione e andarmene.

Quasi sempre il laboratorio produce effetti: sui ragazzi o sui bambini, sugli insegnanti, su di me che partecipo e insieme li guardo. Nell’aula la prof che mi aspetta, la tutor, è molto giovane, bionda, gentile. I ragazzini sono pochi, non più di quindici. Nel corso delle trenta ore diminuiranno e bisognerà redarguire le famiglie per farli venire, bisognerà farli firmare anche se non c’erano, non in ottemperanza agli obblighi di legge, ma per evitare che lo svuotamento del l’aula faccia saltare il PON, ovvero il progetto europeo che finanzia nel Sud Italia, fino al 2013, i laboratori come il mio.
Ci salutiamo, creiamo un’atmosfera informale, le faccette fetentelle sono simpatiche, sono vispe. Ma si vede subito che non sarà facile tenerle ferme in un banco. Che avete letto, che vi piace leggere? Prufissuré, ma qua’ leggere, che palle.
Andate al cinema?
Eh…!
Ma vi piacciono i film?
Sì, i film gli piacciono ma li vedono a casa, sul pc o in televisione. Non sono mai entrati in una sala cinematografica.
Iniziamo a fare gli esercizi di libera scrittura secondo il metodo che ho sviluppato in questi anni: scrivono per cinque minuti senza mai cancellare né rileggere. Per una volta non si vedranno correggere la grammatica, né la sintassi, né la punteggiatura. Sono contenti ma anche strafottenti: prufissuré e quanno maje ce penzammo a ’sti cose?, sghignazza Salvatore, uno magro magro, con la faccia lunga lunga e gli occhi ancora da bambino.
Ci divertiamo, la cosa funziona. Ogni tanto propongo una lettura, la prof mi segue e, nel l’altro modulo, quando sarà lei a ripetere gli esercizi inventandosene di analoghi a quelli che propongo, riesce a replicare piuttosto bene il risultato che ottengo io nell’aula.
Me ne vado dal rione Luzzatti ogni volta verso le cinque e mezzo. Sta facendo buio, il tunnel è sempre meno piacevole da attraversare. Nelle settimane seguenti qualche volta Gianturco è chiusa: si so’ stesi i disoccupati, mi spiega un controllore. Si so’ stesi e chiossà quanne s’aizeno. La metropolitana è bloccata dalla protesta. Un paio di volte chiamo un taxi perché non ci sono autobus, o meglio, una linea che porta alla Stazione Centrale c’è, ma, come dicono le prof, «non si sa quando passa il mezzo».

Le prof uscendo si scortano a vicenda. Qualcuna offre un passaggio alle altre. Una lo offre anche a me. È una prof di Posillipo con la macchina piena di piante che deve reinnestare sul suo balcone.
Hai visto chi tieni in classe?, mi fa. Non so a quale dei ragazzini si riferisca. Quella, Teresa. Ah, Teresa, faccio io. Perché? Che tiene Teresa di speciale? Non lo sai? È la fi glia del capoclan. E mi fa il nome di uno dei clan camorristi più alla moda. Ah, rispondo, e allora? Quella, continua la prof, vive con la nonna: il padre e la madre stanno in carcere. Gente che per il matrimonio fra i due clan – e mi fa il nome del l’altro clan trendy, quello della madre – ha fatto svellere il cancello di una delle chiese più antiche di Napoli.
Siamo bloccate su via Marina, grande traffico di pendolari.
E com’è Teresa?, chiedo. A me sembra tranquilla. Sì, ed è pure intelligente. Si vede che è la figlia di uno importante. Guardo la prof di Posillipo che un po’ ammicca e un po’ sorride. Ci crede davvero che il padre di Teresa si possa ritenere uno «importante»?
E poi c’è quel l’altro, mi fa, Enzino.
Sì, Enzino ce l’ho presente, è uno dei più piccoli, hanno tutti fra gli undici e i tredici. Enzino ha problemi molto seri di alfabetizzazione, più degli altri. Ovviamente questa è una scuola media dove si sta insegnando ancora l’italiano della scuola primaria, come si dice oggi, insomma l’italiano delle scuole elementari.
E Enzino che tiene di speciale?, chiedo. È il figlio di uno dei sottoposti del clan di Teresa. Ah.
Tu guardali bene, mi fa la prof, e vedrai che si relazionano fra loro come si relazionano le loro famiglie: lei è intelligente e comanda e lui è fesso e obbedisce.
Ho capito. Comunque, aggiunge la prof mentre siamo in vista di Santa Lucia, a scuola di camorra non si può parlare. Il capo vero del clan, la nonna di Teresa, ha stabilito le regole e noi ci adattiamo, per buona educazione. Una convivenza pacifica, hai capito? Ho capito, non si nomina la camorra.
Ma tanto voi vi occupate di scrittura, fate cose creative, dice la prof.
Sì, sì, confermo. Ringrazio del passaggio e scendo dall’auto.

Qualche settimana dopo siamo arrivati a spiegare cos’è un punto di vista narrativo: i ragazzini ora, chi in un modo chi nel l’altro, sono catturati. Scrivono in abbondanza, inventano storie. Qualcuno mi dice anche che ha un romanzo nel cassetto. Undici pagine, insiste. Caspita, poi mi fai leggere?, sorrido e vado avanti.
Assegno un esercizio ambientato nel circo, dove ognuno pesca un diverso punto di vista. Ci sono personaggi, oggetti, animali. Chi è il trapezista, chi il nano, chi la donna cannone (profissuré, ma che d’è ’sta donna cannone?), chi il contorsionista o la tigre o la rete. Solo durante la rilettura realizzo che Teresa ha pescato il punto di vista del coltello. Ascolto molto attentamente. Teresa legge spedita: questa volta non ci sono grandi incertezze nel suo italiano, le frasi sembrano uscite da una mente adulta.
È la storia di un coltello che da giovane faceva parte della posateria di un ristorante. Poi il ristorante era stato chiuso e il coltello era stato acquistato da un lanciatore di coltelli di un circo. Il coltello vede quel che accade ma non precisamente – in fondo è solo un coltello – e così un giorno si rende conto di essere stato sottratto per perpetrare un omicidio. Macchiato di sangue, con ancora l’impronta dell’assassino sul manico, è l’unico testimone in grado di incastrare il colpevole. È con un’accurata serie di coincidenze che il coltello riesce a far sapere alla polizia la verità e a smascherare il colpevole.
Dopo la lettura la classe applaude. Teresa è stata bravissima. E questo, che ho appena sentito, è il punto di vista di coltello più legalista che io abbia ascoltato in diciassette anni di laboratori nelle scuole. Le prof si danno di gomito: per loro è strano che Teresa abbia scritto così bene. Hai visto?, mi chiedono a bassa voce. Ma allora funziona, aggiungono ammirate. Teresa ci guarda impettita. Penso a lei, alla figlia del capoclan, che ha un così alto senso della giustizia anche se nessuno glielo riconosce, per tutto il tempo che impiego a tornare a casa, quasi due ore.
Il mercoledì seguente, Enzino, il figlio del sottoposto del clan, ha un dubbio grammaticale. Prufissuré, prufissuré, sotto con quante tì? Enzino, secondo te, quante ce ne vogliono? La classe bisbiglia. Una o due?, insisto.
La classe ormai mormora sonoramente: dueee, Enzì, dueee…
E Enzino, sia pure dubitoso, accoglie il suggerimento. Due…?, mi chiede. E sì. Perché se ce ne fosse una come suonerebbe « sotto »? Il coro in sordina riprende: sòtooooo, Enzì, sòtoooo… Salvatore, il ragazzino lungo lungo con gli occhi da bambino che è accanto alla cattedra, al mio fi anco, ha un’improvvisa, inaspettata ispirazione: Ah…! Sotoacèto…!
Tutti ridono e da quel momento Salvatore non si chiama più Salvatore ma Sotoacèto.

© 2010 Ugo Guanda Editore S.p.A.

Tratto dal libro di Antonella Cilento, Asino chi legge -  Guanda – pp. 186, euro 16

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AGGIORNAMENTO DEL 14 NOVEMBRE 2010

LA SCRITTURA SCALZA di Antonella Cilento

La scrittura entra nelle scuole scalza perché nessuno crede di doverle mettere le scarpe, di aprire strade o stendere tappeti. Tutti ne parlano, nessuno la conosce e, come una parente lontana e impresentabile, la si cita, le si favoleggia intorno, la si invita a cena per convenzione sperando sempre che per un caso o per indisposizione non si presenti e diserti il desco.
Il problema è che, come i pesci, le parole fuggono, non vogliono essere pescate. Fanno il gioco di sempre, luccicano nell’acqua, fanno scorrere il loro meraviglioso corpo nel fluido, come le balene di Rosa Montero ne “La pazza di casa”, e ci promettono invenzioni che ci sfuggiranno.
Allo stesso modo la memoria, come scrive Iosif Brodskij in “Fuga da Bisanzio”, provoca vertigini, suggerisce speranze agli scrittori che tentano il mestiere di pescatori del passato.
La memoria è evoluzione, è la coda che i secoli ci hanno tolto. Raccogli pure i pesci, scrive Brodskij, raggranella parole e pezzi del passato, ma, una volta messi nella rete, senz’acqua i pesci muoiono.
Scrive Jennifer, quinta ginnasio a Napoli, sull’ascolto di Sting, che vuole volare e volare, cadere e riprendere a volare. L’importante, dice, è non cadere « in questo mare di pesci di tutti uguali ».

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Per chi avesse il dubbio (eterno solo in Italia) che la scrittura non preveda insegnamento, è forse opportuno rileggersi quest’estratto di lettera di Francesco De Sanctis, il padre della storia letteraria italiana, indirizzata a una giovanissima aspirante scrittrice napoletana, Grazia Mancini, esule con la famiglia a Torino in pieno Risorgimento:
« Ho letto i tuoi versi. L’insieme non cammina, essendo una cucitura di pensieri differenti, che si presentano, quando uno li cerca apposta, ma non sorgono tutt’in una volta spontaneamente. Le due prime strofe sono naturali, semplici, con versi facili; le altre due sono poco felici.
Veggo con piacere che intendi la struttura del verso; è già una gran diffi coltà superata. Continua, ma esprimi i tuoi sentimenti, che quando il cuore è pieno, sgorgano in copia e naturalmente. A che pro, mi domandi? Un’anima nobile scrive non per aver fama e onori; scrive per dovere, per esercitare le sue facoltà; scrive per bisogno, per dare uscita alle sue forze rigogliose ».
Insegnavano scrittura il marchese Basilio Puoti, Francesco De Sanctis, Luigi Settembrini e molti altri, nella convinzione che chi non sa leggere con profondità e essere padrone della scrittura in ogni sua forma non sarà mai libero e che la punteggiatura, i congiuntivi e i condizionali fanno i cittadini di una nazione.

© 2010 Ugo Guanda Editore S.p.A.
Tratto dal libro di Antonella Cilento, Asino chi legge – Guanda – pp. 57-58, euro 16

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Antonella Cilento (Napoli, 1970) scrive e insegna scrittura creativa. Ha pubblicato Il cielo capovolto (Avagliano, 2000), Non è il Paradiso (Sironi, 2003), Napoli sul mare luccica (Laterza, 2006), Nessun sogno finisce (Giannino Stoppani, 2007, Premio Giulitto). Collabora con Il Mattino, L’Indice dei libri del mese e il Corriere della Sera. Ha fondato nel 1993 a Napoli il Laboratorio di Scrittura Creativa Lalineascritta (www.lalineascritta.it) e tiene corsi di scrittura in tutta Italia. Ha realizzato per RAI RadioTre i racconti radiofonici Voci dal silenzio, è stata segnalata al Premio Calvino 1997, ha vinto il Premio Tondelli con la sua tesi di laurea. Ha scritto numerosi testi per il teatro e cortometraggi per Mario Martone e Sandro Dionisio. Con Una lunga notte (2002) ha vinto il Premio Fiesole e il Premio Viadana.

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PERCHÉ SCRIVERE (di Ferdinando Camon) http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/11/05/perche-scrivere-di-ferdinando-camon/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/11/05/perche-scrivere-di-ferdinando-camon/#comments Mon, 05 Nov 2007 21:45:12 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/11/05/perche-scrivere-di-ferdinando-camon/ Ferdinando Camon (nella foto in basso) è uno degli scrittori italiani più autorevoli. Ha pubblicato parecchi libri e vinto diversi premi letterari. Credo sia uno dei pochi che può permettersi di spiegare “perché scrivere” in maniera categorica, senza mezzi termini. Lo ringrazio pubblicamente per avermi concesso questo testo che pubblico qui di seguito. Un testo che, a mio avviso, si presta benissimo per avviare un dibattito.

Massimo Maugeri

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camon-a-padova-2007.jpgCi sono molti lavori per i quali un’etica va imposta o conquistata: un rapporto morale con quello che si fa, per farlo con sincerità, con adesione, con verità. Ma c’è un lavoro che ha l’etica dentro di sé, e se non ce l’ha fallisce, non comincia neppure, crolla ad ogni passo. Questo lavoro è quello dello scrivere. Scrivere non è parlare. Parlare vuol dire reagire con le parole a un fatto che accade, mentre accade. Lo scrivere richiede tempo. Il parlare reagisce subito, per provocare nell’ascoltatore una reazione immediata, e di breve vitalità. La scrittura reagisce dopo, a passioni fredde, perché vuol restare a lungo, possibilmente (è il segreto desiderio di ogni scrittore) “per sempre”. Perciò chi parla bene non scrive bene, e viceversa. Sono due qualità distinte, una nega l’altra. Conosco uno scrittore che dice: “So perché scrivo: perché non sono il primo figlio”. Vera o falsa che sia quest’autointerpretazione, lui vuol dire che in casa la prima risposta era riservata al primo figlio, e lui veniva dopo, e in quel dopo maturava una riposta diversa, più calma, una risposta che aveva la stabilità della forma scritta. Non tutte le forme scritte hanno la stessa durata. Per esempio (io ne sono convinto), la storia dura meno della letteratura. E questo perché la letteratura (poniamo, il romanzo) dura a prescindere dalla verità che racconta, mentre la storia, appena si dimostra che non è vera, cade. Perciò c’è una responsabilità maggiore nello scrivere pagine che durano di più. La responsabilità può essere così alta, e lo sforzo etico di reggere l’impegno così logorante, che la scrittura genera la nevrosi, scrittura e nevrosi diventano la stessa cosa. Quasi mai lo scrittore scrive in pubblico, di solito si nasconde. O nasconde quel che scrive. Tolstoj lo nascondeva dentro gli stivali, dove chi lo spiava andava a frugare non appena lui era uscito. Leonardo lo nascondeva scrivendo da destra a sinistra. Come uno che oggi, usando il computer, mette una chiave d’accesso conosciuta a lui solo. Qui c’è il concetto che l’etica dello scrivere non è mai l’etica del vivere, del vivere in quel momento, ma è la rottura dell’etica imperante, e l’instaurazione di un’etica nuova. Perciò gli scrittori di denuncia sono inaccettabili dall’etica corrente, verranno accettati più tardi, quando si sarà instaurata l’etica che loro collaborano a introdurre. Bassani ha dovuto lasciare Ferrara, Moravia non lo potevan più vedere in Ciociaria, Pasolini è finito addirittura in carcere, Volponi s’e dimesso dal posto di lavoro. Noi viviamo dentro un sistema dove tutte le forze sono in equilibrio, morale-politica-religione-scuola-arte-letteratura-informazione, la luce che illumina i passi della nostra vita viene da tutto ciò che è gia stato espresso, e che crede di essere tutto l’esprimibile: colui che si mette a scrivere esprime qualcosa di nuovo, d’inatteso, e di temibile perché rompe gli equilibri preesistenti, sicché tutto quello che c’è lavora affinché il nuovo non sia detto. Non c’è mai bisogno di un nuovo scrittore. E’ lo scrittore che, scrivendo, deve creare il bisogno di sé. Lo scrittore riesce nella misura in cui crea questo bisogno. Da quel momento è un “classico”. Scrivendo, comunica un’etica, un’idea di bene, la “sua” idea di bene, che è insieme estetica e morale, che durerà più in quanto estetica che in quanto morale. Questo spiega perché raramente i grandi scrittori, quando cominciano, hanno successo. Perché non sono in sintonia col gusto corrente, il gusto della massa. Una volta Majakovskij si presentò a una conferenza, salì sul palco, cominciò a parlare e fu subito applaudito. “Mi applaudono – pensò con disgusto -, dunque non dico niente di nuovo”, e se n’andò. L’incrocio di un’opera col gusto della massa crea il fenomeno noto come best-seller: il best-seller è “sempre” un libro morto, perché è il risultato di un gusto all’apice della diffusione, quindi in fase morente. “Best-seller” e “libro reazionario” sono la stessa cosa. Perciò possono esistere dei manuali su come si scrive un best-seller, con l’indicazione di tutti gli ingredienti, e le relative percentuali: il best-seller deve corrispondere, non inventare, non sgarrare. E se un libro è reazionario, l’autore è reazionario. E se quell’autore, oltre ai libri, scrive articoli, saranno articoli reazionari. Un libro in sintonia col gusto presente è già un libro del passato. Perciò coloro che scelgono i libri da stampare, in una casa editrice, dovrebbero scegliere non libri che li confermano, ma libri che li smentiscono e li seppelliscono. Di tutti i lettori di manoscritti, quello che trovo piu interessante non è il mitico Bobi Bazlen, personaggio dello “Stadio di Wimbledon” di Del Giudice, che affrontava ogni nuovo testo sconosciuto ponendosi la domanda: “Risponde questo libro alla mia idea di libro?”, perché voleva vivere nei libri degli altri, che dunque dovevano scrivere perché lui vivesse; domandarsi se un libro c’è o non c’è ponendosi quella domanda, significa costringere il libro a confermarci; no, preferisco l’estetica applicata dall’umile cristiano-comunista Franco Fortini, che di fronte a un manoscritto poetico di Andrea Zanzotto ebbe l’onestà di scrivere suppergiù così: “Nulla di questo libro poetico corrisponde alla nostra idea di libro e di poesia; ma è un libro poetico; e dunque alla domanda: Stamparlo sì o no?, rispondo: Stamparlo subito, purtroppo”. In un certo senso, quella parte di cristianesimo-e-comunismo di Fortini che Fortini non riusciva a dire, era detto, in forme non fortiniane, nei versi di Zanzotto. Anche questa è una maniera per vivere oltre se stessi. Dunque, per scrivere. Questa unità tra vivere e scrivere fa sì che si scrive come si vive. La menzogna, l’insincerità nella scrittura è impossibile: il libro falso è quello che si chiama “un libro non-scritto”. Lo vedi subito, fin dalle prime righe. L’etica nella scrittura non può essere imposta, o è naturale o non c’è. Uno studioso francese ha scritto un libro sul rapporto tra scrivere e respirare: François Bernard Michel, “Le Souffle coupé, respirer et écrire (Gallimard), per collegare l’asma di Queneau ai suoi problemi esistenziali, la tosse di Paul Valéry ai suoi gridi, l’asma di Marcel Proust alla sua ricerca mortale del senso, lo spasmo alla laringe di Mallarmé alle sue pagine bianche… La conclusione di Michel è: si scrive come si respira. Allo stesso modo noi potremmo trovare una corrispondenza tra le scritture e le nevrosi di Dante, Petrarca, Tasso, Manzoni, e via via fino a Pasolini. Sono etici perché sono autentici, e viceversa. La malattia è il prezzo dell’eticità, il costo della scrittura. Allo stesso modo io credo che un critico fornito di buoni strumenti possa dire, leggendo una pagina di Parise, se l’ha scritta prima o dopo l’entrata in dialisi. L’entrata in dialisi corrispose ad un diverso scorrimento del sangue nelle vene, e il diverso scorrimento del sangue nelle vene gli dettava un diverso fluire delle parole nella frase, e una diversa cadenza della punteggiatura. Il senso è: scrivi come ti scorre il sangue. Poteva Parise scrivere diversamente? E’ come chiedergli di essere in dialisi senza essere in dialisi. La responsabilità sta nello scrivere per come si è. Rispondere della propria scrittura vuol dire rispondere di come si è. Nel mostrare come si è. Nel consegnare quello che sai, quello che sei. Questo è etico. Poiché si vuole scrivere “per sempre”, si risponde “per sempre” degli effetti della propria scrittura. Omero ne risponde ancor oggi. Consegnare quello che sei non significa consegnarsi ai contemporanei, che possono non accoglierti, bensì a coloro che verranno. Anche se non sai l’accoglienza che ti faranno. Lo scrittore che fa questo, è etico. Lo scrittore che non fa questo, non è che non sia etico, è che non è uno scrittore.

Ferdinando Camon

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