LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » Valter Binaghi http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 PADRI (SCRITTORI) e LIBRI: Valter Binaghi, Gianni Biondillo, Vito Bruno, Franz Krauspenhaar, Rosa Matteucci, Raul Montanari, Amedeo Romeo http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/05/10/padri-e-libri/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/05/10/padri-e-libri/#comments Mon, 10 May 2010 14:21:19 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=2056 padri-e-figliÈ un post a cui tengo particolarmente, questo… finalizzato ad avviare una discussione sul significato dell’essere padre, oggi; dell’essere marito (o partner); ma anche dell’essere scrittore (e/o artista). E ancora, sul rapporto tra padre e figlio (anche nel caso di genitori separati) e su quello tra uomo e donna all’interno del nucleo familiare.
Per farlo ho invitato sei scrittori che hanno pubblicato, di recente, romanzi… “in tema”. Si tratta (li elenco in ordine alfabetico di cognome) di: Valter Binaghi, Gianni Biondillo, Vito Bruno, Franz Krauspenhaar, Raul Montanari, Amedeo Romeo.
Avrò modo di presentarli nel corso della discussione.

Vi anticipo i tratti in comune che hanno i protagonisti di queste storie (in fondo al post troverete le schede dei rispettivi libri).

- Il protagonista del libro di Valter Binaghi si chiama Fausto Blangé: è uno scrittore che ha perso la moglie (morta suicida) e ha ucciso il suo ex analista.

- Luca, personaggio del libro di Gianni Biondillo, è un padre separato che deve fare i conti con la moglie che gli impedisce di vedere la figlia.

- Anche il protagonista del libro di Vito Bruno – un uomo che scrive a quella che sta per diventare la sua ex moglie – deve affrontare la terribile esperienza della separazione dal figlio.

- Il personaggio principale del romanzo di Franz Krauspenhaar è un anziano scrittore italiano di origine tedesca alla ricerca della moglie scomparsa. L’uomo teme che sia stata uccisa dal figlio.

- Danio è il protagonista del libro di Raul Montanari: fa lo psicologo, è separato e ha un figlio, nervoso come tutti i ventenni. Ha anche una giovane fidanzata, e un tremendo segreto: è un assassino… un assassino per caso.

- Andrea Morini, invece, personaggio del romanzo di Amedeo Romeo, è affascinato dalla maternità ma… ha il terrore di diventare padre.

Discuteremo, approfittando della presenza degli scrittori/ospiti, dei libri (introdotti di seguito), ma anche dei temi del post.

Pongo alcune domande volte a favorire la discussione (e ispirate dai romanzi oggetto di questa discussione).

1. Come è cambiato, oggi, l’essere padre?

2. In cosa, il padre di oggi, si differenzia nettamente da quello delle generazioni precedenti? Quali i pro e i contro di tali differenze?

3. Che cosa significa, oggi, “volere” un figlio?

4. Premesso che le principali vittime delle separazioni tra i coniugi sono quasi sempre i figli, tra il padre e la madre chi è che subisce – in genere – il trauma maggiore? E chi, in genere, tra i due presenta maggiori fragilità?

5. L’uomo contemporaneo rischia di rimanere vittima della corruzione del successo di più o di meno rispetto a qualche decennio fa? E il successo che corrompe colpisce di più l’uomo, il marito, il padre, lo scrittore (o – in maniera analoga – la donna, la moglie, la madre, la scrittrice)?

Contestualmente coglieremo l’occasione per discutere sulla legge relativa all’affidamento dei minori.

Mi daranno una mano a moderare la discussione: Simona Lo Iacono (che, nella veste di scrittrice e giurista, metterà a nostra disposizione le sue competenze per fornirci informazioni e chiarimenti sulla vigente normativa sull’affidamento dei minori nei casi di separazione dei genitori; in fondo al post troverete un suo articolo), Francesca Giulia Marone (nel ruolo di scrittrice, madre e figlia: mercoledì 12, h. 8.00, trovere un suo racconto pubblicato su La poesia e lo spirito) e Ausilio Bertoli (che – nel duplice ruolo di scrittore e psicosociologo della comunicazione e della devianza – ci fornirà spunti e chiarimenti di natura, appunto, psicologica; ne approfitto per segnalare questo libro). Ad affiancare Ausilio Bertoli, anch’egli nel duplice ruolo di scrittore e psicanalista: Salvo Montalbano (nulla a che vedere con Camilleri, come si evince da questa recensione al suo romanzo).

Di seguito, le schede dei sei romanzi.
Massimo Maugeri

*******************************

*******************************

UCCIDERÒ MEFISTO, di Valter Binaghi
(Perdisa Pop, 2010)

Fausto Blangé, l’uomo che la polizia sta interrogando era un docente universitario, uno scrittore, un opinionista televisivo; adesso è un omicida. Ha ucciso il suo ex analista.

Il colpevole è reo confesso, i fatti sono chiari. Manca solo il movente. Non è semplice individuarlo nelle farneticazioni di un uomo che sembra aver perso la ragione. Legnetti indaga, interroga, cerca le cause nell’improvviso suicidio dell’amata moglie di Blangé nel suo cedere a manchevolezze.

Quando la ricostruzione dei fatti s’intreccerà ai frammenti del suo delirio, ne emergerà una storia d’amore e di follia, che ha il sapore di un apologo sul successo effimero e ingannevole.

NEL NOME DEL PADRE, di Gianni Biondillo
(Guanda, 2009)

È la notte di Natale, in un mondo che si prepara a festeggiare, comunque e dovunque. È la notte di Natale per tutti, ma non per Luca, che è solo in casa, abbrutito dall’alcol e dal dolore, sul punto di compiere un atto disperato, sconsiderato, l’ultimo… E forse non lo può fermare nemmeno il telefono, che squilla a vuoto…. Ma come siamo arrivati a questo punto? Ecco che in una serie di flashback incrociati ripercorriamo la storia d’amore di Luca e Sonia, l’incontro, la decisione di creare una famiglia, la nascita della piccola Alice, alla quale Luca assiste sgomento e incredulo come tutti gli uomini, e poi via via tutti i passi in fondo banali che conducono una coppia alla distruzione… Qui comincia il calvario di Luca, che è quello di molti padri separati: la moglie gli impedisce di vedere la bambina, approfittando in modo subdolo di un vuoto legislativo che vede gli uomini pieni di obblighi ma privi di diritti. E mentre gli amici di sempre (tra i quali un certo Michele, poliziotto… Vi ricorda qualcuno?) cercano di stargli vicino e di aiutarlo come possono, a Luca non resta che lottare con incredulità, sconcerto, dolore, rabbia, incontrandosi con altri uomini nella sua situazione, studiando maniacalmente le leggi, cercando di far pesare il meno possibile a sua figlia questa situazione.

L’AMORE ALLA FINE DELL’AMORE, di Vito Bruno
(Elliot, 2010)

Una notte d’agosto a Roma. In città c’è solo solitudine e silenzio. Dall’appartamento che si appresta a lasciare, un uomo scrive a quella che sta per diventare la sua ex moglie. Una lettera dolorosa e allo stesso tempo piena d’amore. Amore per lei e per il loro bambino, dal quale d’ora in avanti sarà costretto a separarsi e che è l’unico a non avere parola su ciò che sta succedendo tra i genitori. Circondato da fotografie e oggetti che continuano a parlargli del tempo felice vissuto insieme in quella casa, rievoca le stagioni dell’innamoramento, la nascita del figlio, e quindi la brusca fine del matrimonio e l’allontanamento forzato dalle due persone che ama più al mondo. Fuori, la notte sembra infinita e i fantasmi di una gioia ormai lontana lo assalgono e gli parlano di ciò che è stato e che presto non sarà più. Solo l’amore per il figlio e la sua vicinanza possono salvarlo, ma “una legge” tanto anacronistica quanto implacabile gli nega anche questa possibilità. La voce del protagonista si vena così di rabbia e di amarezza, di impotenza per quello che sta per accadere. Fino a quando il sole, ormai nascente sulla città, lo riporta al pensiero del bimbo e al senso dell’amore che rimane alla fine di un amore. Vito Bruno firma una lettera “dalla parte dei padri” commovente, personale e universale al tempo stesso per parlare a una moglie e a tutte le donne del significato più profondo dell’amore.

L’INQUIETO VIVERE SEGRETO, di Franz Krauspenhaar
(Transeuropa, 2009)

Alla ricerca della moglie scomparsa, che il protagonista – un anziano scrittore italiano di origine tedesca – pensa sia stata uccisa dal figlio, l’uomo finirà in Germania, nella sua città natale, dove scoprirà una verità amarissima e sconcertante.
Nel mezzo del racconto in seconda persona, analisi di un processo di riduzione e svanimento che riguarda un’epoca e insieme un’esistenza, l’anziano artista non ha più alcun punto di riferimento, e vive uno scollamento profondo con la realtà esterna.
Romanzo inquieto e inquietante sull’abbandono e la scomparsa, sui sogni, sull’arte, sulla scrittura, sulla vita intima delle persone, L’inquieto vivere segreto si sostanzia di un surrealismo che coniuga atmosfere alla Alberto Savinio con un tambureggiante pessimismo di stampo bernhardiano, in una sintesi tutta personale che avvicina il grido disperato del primo romanzo di Krauspenhaar Le cose come stanno (2003) con l’analisi del rapporto padre-figlio raccontata in Era mio padre (2008), tentando così di andare all’osso di quel fenomeno di incubo illusionistico che è spesso la vita.

STRANE COSE, DOMANI di Raul Montanari
(Baldini Castaldi Dalai, 2009)

Danio fa lo psicologo, è separato e ha un figlio, nervoso come tutti i ventenni. Ha anche una giovane fidanzata, e le pazienti che affollano il suo studio lo adorano. Fin troppo.
Ma, soprattutto, Danio ha un segreto: è un assassino. Un assassino per caso. Nessuno lo sa tranne la sua ex moglie, l’enigmatica, magica Eliana.
Il ritrovamento di un diario, abbandonato in un parco da una ragazzina, rompe il delicatissimo equilibrio che governa le sue giornate. Coinvolto in un odioso dramma famigliare, pressato dalla coscienza e seguito ovunque da un bizzarro e indimenticabile detective privato, Danio dovrà difendere se stesso e le persone che ama da una minaccia inattesa, fino a una resa dei conti rivelatrice per il senso stesso della sua esistenza.
Strane cose, domani è un romanzo ricco di sorprese e sottigliezze, una storia incalzante, lontana dai luoghi comuni, che racconta un amore indomabile per la vita.

NON PIANGERE COGLIONE, di Amedeo Romeo
(ISBN, 2010)

Andrea Morini è affascinato dalla maternità ma ha il terrore di diventare padre. Il corpo delle donne incinte lo attrae al punto che il solo profumo della crema contro le smagliature risveglia in lui un universo erotico. Quando incontra Lena, alla trentasettesima settimana di gravidanza, confuso nella contemplazione della maternità, si scopre a desiderare di essere lui stesso madre, di portare in grembo una nuova vita. Avanti e indietro tra Genova e Milano o immobile su una sedia di metallo in una cucina vuota, solo o in compagnia di stravaganti compagni di viaggio, Andrea si perde in balìa della sua ossessione. “Non piangere coglione” è il romanzo neoesistenzialista del 2010, che racconta, con divertimento e poesia, la ricerca della felicità di un uomo come tanti. Amedeo Romeo prova a rispondere a una delle domande più importanti del nostro tempo: che cosa significa, oggi, volere un figlio?

***********************
***********************

L’infanzia è un girone difficile da attraversare.
Considerazioni sul cosiddetto “affidamento condiviso”

di Simona Lo Iacono

Tornare alle origini. Chiudere gli occhi e rifare quel viaggio. Noi. Piccolissimi. Gli sguardi a siluro sulla madre. E sul padre. Se lei è in silenzio. Se lui è scontroso. Se parlano. Se non parlano. Se ridono.
Se litigano.
Noi che esistiamo solo se loro restano uniti. E che disarcioniamo i fantasmi solo se tornano a darsi la mano.
E dopo, via, sollevati, i giochi finalmente giochi, e la vita ancora, e per un’imprecisata eternità, la vita. La minaccia di separazione sfaldata, volata dalla finestra come uno di quei mostri che al mattino si dissolvono su una lacrima d’alba e che solo di notte grattano i vetri.
La mamma, adesso, è serena. Il papà è sereno.
Possiamo tornare bambini.
Ecco. L’infanzia è un girone difficile da attraversare. Un avvicendarsi di paure e sollievi, lutti e recuperi, salvezza e perdizione.
Un girone dove il regnante da sedurre, e da tenere immobile nel regno, è la coppia dei genitori.
E tuttavia. Questa coppia è cambiata. Le sue assi interne. Gli scopi che catalogavano la donna e l’uomo. I compiti che gravavano sull’una e sull’altro.
Il mutamento del ruolo della donna nella società e nel mondo del lavoro, ha sollecitato il cambiamento dell’uomo e del padre.
Questo, da unica fonte di sicurezza, è divenuto depositario delle speranze di crescita dei figli. Da soggetto in relazione prevalente col mondo esterno e lavorativo, si è trasformato progressivamente in soggetto con forte ascendenza interna. Con un apporto nuovo di tenerezza e accadimento della prole.
E però. Ancora oggi l’incontro del bambino o della bambina con il proprio genitore/padre è fonte di mistero ma anche di eventi imprevedibili. Sappiamo, di certo, che sin dalla nascita (si parla già durante la vita embrionale) l’incontro del bambino con i genitori reali non attiva solo bisogni di assistenza, accudimento e protezione ma bisogni “sociali”.
Infatti il contatto del bambino con le immagini (interne e poi sociali) del Padre e della Madre, costella l’archetipo della Famiglia, costituito dalla triade madre ¬- padre – bambino.
La relazione con due oggetti d’amore offre inoltre al bambino due diverse possibilità di identificazione e imitazione, una femminile e una maschile, due possibili universi a confronto, necessari al suo processo di maturazione, per le future scelte di vita.
Dalla relazione con i genitori deriva anche l’attivazione del potenziale creativo, dei multiformi talenti nascosti.
È dunque l’apprendimento della funzione maschile e femminile che orienta l’individuo nelle relazioni con il mondo esterno (il lavoro, gli affetti, le amicizie, le relazioni di coppia). Infatti le immagini genitoriali (interne e esterne) fanno parte della costruzione strutturale psichica di ogni individuo ed assumono importanti funzioni di guida nel corso della vita, durante i processi di conservazione dell’equilibrio psico – sociale. Tanto i futuri rapporti sociali, quanto la futura realizzazione del proprio ruolo di madre o di padre sono strettamente connessi al rapporto con i genitori reali e fantastici e con i modelli interni che essi hanno attivato.
Ecco perché l’alterazione e l’interruzione di questo processo può determinare delle carenze nell’assunzione della propria funzione sociale e genitoriale.
Quando, infatti, è costretto a negare e a rinunciare a uno dei due genitori o non gli è possibile mantenere il rapporto con uno di essi, il bimbo non rinuncia solo al genitore reale ma anche alla attivazione della immagine interna corrispondente.

A queste considerazioni risponde la legge di riforma del diritto di famiglia ossia la legge 8 febbraio 2006, n. 54 relativa all’Affido condiviso che ha modificato l’Art. 155 cc. Quest’ultimo, nella sua nuova formulazione, recita:
«Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.»

Si tratta di un ribaltamento del precedente regime giuridico, ove la regola era costituita dall’affidamento esclusivo (e prevalentemente) materno. Il regime attuale, invece, dispone che la norma sia l’affidamento condiviso e solo in caso di acclarata incapacità di un genitore ad educare, l’affido esclusivo all’altro.
Il direzionarsi verso un affido condiviso risponde quindi alla necessità di stabilire (anche nel momento della crisi familiare) il principio della bigenitorialità (Cass. 18/08/2006 n. 18187) quale modalità naturale dell’essere in sé genitori (Corte di Appello di Catania, sent. 21 aprile 2009) e reca con sé un contenuto ben preciso, ovvero quello di rendere ontologico l’esercizio congiunto della potestà, in modo che anche per le decisioni di ordinaria amministrazione entrambi i genitori possano operare congiuntamente.
Inoltre la permanenza del minore presso ciascun genitore viene ripartita in modo equilibrato in un progetto educativo genitoriale da presentare in allegato all’istanza di separazione, con la ripartizione dei compiti e dei capitoli di spesa assegnati a ciascun esercente la potestà. .
Il padre e la madre, infine, saranno stimolati a distinguere la relazione di coppia dalla loro relazione genitoriale, tanto che le azioni che un genitore dovesse compiere per ostacolare la frequentazione dell’altro o per gettare discredito sull’altra figura genitoriale, verranno considerate dal tribunale un valido motivo di esclusione.
Certo. Il successo di un affido davvero condiviso è nell’atteggiamento di reciproca apertura, ancor prima che nelle concrete modalità di convivenza con i figli. Per questo sono previsti appositi sostegni psicologici di mediazione e confronto della coppia.
L’esperienza dimostra esiti felici (e bimbi sereni pur in una situazione di divisione) solo laddove la coppia abbia superato i dissidi, non abbia strumentalizzato la prole, e abbia comunque mantenuto inalterata una “vita” familiare (ossia una relazione della triade: mamma, papà, bambino).
Segno che la legge “esterna” può vestire la famiglia. Ma che la famiglia deve trovare la legge “interna” nel proprio cuore.

*************

AGGIORNAMENTO DEL 30 MAGGIO 2010

Aggiorno il post preannunciando la partecipazione al dibattito della scrittrice Rosa Matteucci, il cui più recente romanzo pubblicato – “Tutta mio padre” (Bompiani) – è perfettamente in tema con la discussione in corso. (Rosa Matteucci – così come Raul Montanari – è tra i dodici finalisti dell’edizione di quest’anno del Premio Strega).
Sono particolarmente lieto della partecipazione di Rosa, perché la sua voce di scrittrice si aggiungerà a quella degli altri scrittori (uomini) che ho coinvolto nel dibattito.
Questa, la nota del libro…
“Qui non c’è più nessuno.” Una figlia smarrita, che ha perso padre madre e cane, chiosa: “Il cordoglio provato per la scomparsa dei genitori naturali è piscio di gallina in confronto al dolore irrimediabile che si prova per la morte del cane.” È solo l’inizio di un picaresco e straziante viaggio al termine della notte, a ritroso in un tempo spento e bruciante, alla ricerca dell’impossibile riscatto di una figura paterna speculare e complementare a quella dell’io narrante, che mette in scena con coraggio assoluto il gran teatro di splendori e miserie in una decadenza familiare. Una storia unica, ineguagliata eppure simile a tutte le altre nel senso ultimo, da una prova di coraggio all’inevitabile disillusione che sublima la sofferenza. E un’Odissea da vertigine nell’Italia in bianco e nero del secolo scorso, con giganti, maghe, mostri marini e allegrie di naufragi. Qui Ulisse è un uomo che ha tentato così tante vite da non viverne davvero neppure una, la sua; eppure sa – lo aveva sempre saputo, e infatti aveva recitato la parte di se stesso solo per ispirare l’unica persona che potesse raccontarla – che un giorno la figlia lo renderà davvero un eroe, quale nella realtà mai era stato.

]]>
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/05/10/padri-e-libri/feed/ 432
RECENSIONI INCROCIATE n. 4: Valter Binaghi e Franz Krauspenhaar http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/05/24/recensioni-incrociate-n-4-valter-binaghi-e-franz-krauspenhaar/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/05/24/recensioni-incrociate-n-4-valter-binaghi-e-franz-krauspenhaar/#comments Sat, 24 May 2008 16:41:48 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/05/24/recensioni-incrociate-n-4-valter-binaghi-e-franz-krauspenhaar/ Nuova puntata delle “recensioni incrociate”.

I due autori/recensori invitati sono Valter Binaghi e Franz Krauspenhaar.

I libri oggetto delle recensioni sono Era mio padre di Franz Krauspenhaar e Devoti a Babele di Valter Binaghi.

Due libri diversi che ci vengono qui (reciprocamente) presentati da due scrittori che si conoscono bene e si stimano.

Franz ci racconta la storia di suo padre: un tedesco nato in Italia negli anni Venti, combattente della Wehrmacht, l’armata di Hitler, durante la seconda guerra mondiale.

Valter, nel suo nuovo romanzo, ci presenta uno personaggio molto peculiare: Arvo. Chi è Arvo? Lo scopriremo insieme. 

Vi invito a dialogare con entrambi gli autori (che parteciperanno al dibattito).

Massimo Maugeri

________________________

ERA MIO PADRE di Franz Krauspenhaar, Fazi Editore, 2008, pagg. 281, euro 16,50  di Valter Binaghi 

Franz Krauspenhaar, scrittore milanesissimo eppure di origine tedesca, al suo quarto romanzo. Ma sarà poi un romanzo, un libro interamente dedicato alla memoria del padre dell’autore (“un uomo ormai maturo che ha nel suo cuore ancora questo lutto scosceso che passa per il suo sterno, e talvolta prova ancora dolore”)? Sì che lo è. Ed è il romanzo di ogni uomo, se è vero come è stato detto che la vita spirituale è una lunga, inesausta ricerca del Padre. Non che qui si stia raccontando di uno qualunque: Krauspenhaar senior, combattente tedesco nella seconda guerra mondiale, imprenditore in Italia, ostinatamente onesto come solo certi tedeschi sanno essere, morto in circostanze drammatiche che hanno sconvolto la vita dei familiari superstiti, è in realtà soprattutto per noi un grande personaggio, le cui memorie s’intrecciano a quelle del figlio in uno di quei dialoghi tra vivi e morti che furono impossibili nella vita ma che l’immaginario della vera letteratura restituisce, all’autore e attraverso lui a tutti noi, ché abbiamo nell’Ade i nostri fantasmi senza pace. Krauspenhaar lo sa bene, sa che in questa inestinguibile smania di dipanare le nostre origini, di seguire la polla vitale che è scorsa dal genitore a noi, di riconoscerne la continuità e insieme affermare rabbiosamente la differenza, sta la cifra simbolica di ogni ricerca: “Sì, questo libro è un salvataggio estremo. Un mio bisogno che spero attiri altri bisognosi”. Qui si tratta di evocazione, niente di meno, e di una scrittura che torna ad ammettere la propria origine sciamanica: “scrivo con la matita dell’improvvisatore, ho gli occhi bendati, vago per la notte della scrittura”. E senza tanti fronzoli, prende il lettore per la collottola e lo attira a sé: “Voglio che ti prendi una vacanza dall’intrattenimento, dalle storielle sordide di morti ammazzati di carta, dallo stile ben temperato, dalle passioni inventate di sana pianta, in interni borghesi indecenti di sozzura e pulizie di primavera. …Il romanzo è diventato un genere di conforto, non d’indagine. Io qui sperimento me stesso, io sono il topo da laboratorio che corre drogato per la gabbia, io sono il topo di fiume che viene colpito dai Flobert dei ragazzacci sporchi di dura terra”.

Come si scrive un libro del genere, con questa spudorata fragilità (lo sai, Franz, c’è chi dirà che non sai più cosa inventarti, che ti spogli in pubblico: ma io dirò a questi che ci vuole grande cuore per un grande canto, la falsa modestia è solo dei mediocri), come riescono a convivere la tenerezza del figlio e la freddezza del cronista e creditore? “Papà… non credeva più di tanto nel mio talento. Credo avesse ragione, perchè allora di talento ne avevo davvero poco o punto. Quella dose di talento che detengo come un piccolo premio alla carriera l’ho acquistata dal centro di me stesso dopo la sua morte. E’ allora che ho cominciato a fare un po’ più sul serio, con la scrittura. Come se mi fossi liberato di un testimone scomodo: lui”.

Una cosa è certa: Franz Krauspenhaar ci è riuscito, regalandoci un romanzo che non può entrare in uno dei cassetti del merchandising letterario, e pertanto vi consiglio di ritenere per quello che è: un viaggio lucido e febbricitante nell’anima, a spiare lo stato nascente dell’emozione che si fa offerta di canto, della parola che evoca le fiere del dolore per renderle mansuete con la cetra di Orfeo, un’allegoria pagana dei dialoghi nell’Ade, che si apre alla cristiana rivelazione dell’amore che giunge al perdono: l’unica salvezza possibile. “Io ora cammino con te, mio perduto amore. Ti porto alle giostre ma sei troppo piccolo per salirci. Hai caldo, sudi tutto. Sei stanco. Ti prendo in braccio, bambino mio. Ti guardo negli occhi. Mi sorridi. Ti sorrido. Io oggi, papà piccolo, papà bimbo mai visto… io oggi vorrei tanto che tu fossi mio figlio”.

Valter Binaghi 

_________________________

_________________________

DEVOTI A BABELE di Valter Binaghi, Perdisa Editore, 2008, pagg. 122, euro 12 

di Franz Krauspenhaar 

Chi è Arvo, il protagonista del nuovo romanzo di Valter Binaghi, Devoti a Babele, Perdisa Editore, pagg. 122 euro 12,00? Un ragazzo del ‘77, un sopravvissuto al piombo che cadeva sugli omonimi anni, che noi ragazzi nati all’inizio dei Sessanta o ancor meglio verso la fine dei Cinquanta, come il nostro autore, abbiamo assaggiato a lingua protesa, come cani masochisti affamati di quei tempi duri.

Arvo è un piccolo borghese della grande metropoli del nord, una Milano dove alle undici di sera c’è il coprifuoco e per il resto della giornata, se vai in centro, vi trovi più mezzi della celere che taxi, soprattutto nella molto armeggiata Piazza San Babila dei ragazzi nazi dalle scarpe a punta. E’ un ragazzo del suo tempo che tiene in camera i poster dei Rolling Stones e dei Police (siamo all’inizio degli Ottanta e il rock, con la morte di John Bonham dei Led Zeppelin, è per molti ufficialmente morto assieme alla sua epoca) e per il resto si tira in vena appena può la droga dei tempi, l’eroina della botta e via, la “roba” che non ti fa pensare, la droga di chi vuol rallentare le proprie pene e pure il resto fino a rallentarsi anche gli anni di vita; non certo la polvere bianca d’oggi, la cocaina divenuta per tutti i cani e tutti i porci, che ti ingloba ancor di più nel sistema dell’arrampicata mobile e liquida e ti fa accelerare la corsa verso il successo, fino al bang a testa sotto nel solito baratro, all’ultimo capitolo della tua tragicommedia d’un uomo ridicolo. Arvo lo seguiamo attraverso i suoi buchi, le sue colazioni a base di caffelatte e krumiri rubate alla povera madre vedova, lo seguiamo nei suoi accampamenti a Piazza Vetra alla ricerca della maledettissima roba in cambio di stereo “zanzati”. Nella seconda parte, il ragazzo finisce finalmente in una comunità terapeutica, Castalia. Se prima, all’inizio degli ‘80, siamo alla fine di un’epoca fotografabile tra il multicolor della psichedelia di massa e il nero buco di una Vermicino dove si consuma una morte in diretta del tutto simile a quella che troviamo in uno dei  capolavori “neri” di Billy Wilder, L’asso nella manica (1951) e si prospetta a larghe falde di spot ramazzotteschi fighettismo e berlusconismo strafottuto da bere, deglutire e -perdio- vomitare, ora siamo arrivati alla fine di questo decennio buggerone e  corto, in una succursale fantastica ma anche parecchio brianzola di quel farabuttificio globalizzato che è Dianetics. A seguire il Programma, del quale Arvo diventa sostenitore e in seguito, uscito dal megatraforo della dipendenza, istruttore. Un Programma di normalizzazione ma anche di risucchio dell’anima, cosicchè è vero che si esce dalla schiavitù della droga, ma pagando il prezzo di un abbandono totale della propria indipendenza psicologica, della propria effettiva libertà di scegliere. La terza parte, trattata intelligentemente e abilmente da Binaghi con altro passo stilistico, perchè i tempi lo richiedono per via di un’accelerazione del ritmo della comunicazione, trova Arvo, nel frattempo sposato e inquadrato nella vita piccolo borghese di quasi tutti, alle prese con una nuova, potentissima dipendenza: quella della Rete, delle ossessioni psicodrammatiche del virtuale. Una caduta, la sua, dal virtuale dell’endovena cosmica al virtuale della comunicazione illusoriamente totale, con Arvo – personaggio  simbolico di una generazione di figli dei figli della guerra che in una sorta di effetto rebound hanno sconfessato gli sforzi e il sudore e le lacrime dei loro padri – che chiede amore ed erotismo via blog a una sconosciuta che sempre tale rimarrà, ectoplasma danzante nel liquido fintamente amniotico di una blogosfera megafono di semplici, banali sospiri di desiderio. Sarà la famiglia, banalmente ma realisticamente, a raddrizzare la via del protagonista verso una grigia ma solida salvezza dall’ultima dipendenza.

Un romanzo compatto e molto ben riuscito, dalla scrittura – tipica di quest’autore – che s’imbeve di una religiosità affannata e del senso di colpa di un’intera generazione che si è fin troppo stordita con cose che meritavano certamente meno attenzione, e nessuna passione; così che i libri di Binaghi, sempre più lontani, passo dopo passo, cioè libro dopo libro, da qualsiasi “genere” codificato, diventano ben strutturati apologhi di una generazione cardine e certamente più interessante di altre, nella quale si trova successo pieno in una società opposta a quella vagheggiata in anni ben distanti, e al contempo continue ricadute nel bisogno di stordimento, nella vecchia droga, sul filo di un istinto di autodistruzione divenuto purtroppo di massa, in certo senso seminato a rattrappite mani alle nuove generazioni.

Franz Krauspenhaar 

]]>
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/05/24/recensioni-incrociate-n-4-valter-binaghi-e-franz-krauspenhaar/feed/ 108