Novembre 15, 2024

147 thoughts on “150 ANNI DALLA NASCITA DI FEDERICO DE ROBERTO

  1. Ecco un nuovo post che figura nella rubrica letteratitudiniana dedicata a “ricorrenze, anniversari e celebrazioni“.
    Di tanto in tanto può fare piacere scorrerla per… fare un passo nel passato (nel tentativo di comprendere meglio il presente).

  2. Centocinquanta fa, il 16 gennaio del 1861, nasceva Federico De Roberto.
    L’impressione è che questa ricorrenza non sia stata presa adeguatamente in considerazione dai media…
    Motivo in più per pubblicare questo post (e organizzare un dibattito on line).

  3. Quando si parla di De Roberto, il pensiero va subito alla sua opera principale “I Vicerè“.
    Mi piacerebbe che, in questo spazio, con il vostro contributo, venisse ricordato sia l’autore, sia l’opera…

    Seguono le solite domande, volte ad avviare la discussione…

  4. Siete tutti invitati a intervenire sia per rispondere alle domande, ma anche semplicemente per riportare citazioni, note biografiche, considerazioni, recensioni e… quant’altro possa contribuire a ricordare la figura di questo grande autore della letteratura italiana vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento.
    (Mi raccomando, intervenite!)

  5. Sul post potete leggere un’articolo di Sarah Zappulla Muscarà pubblicato sulla pagina cultura del quotidiano “La Sicilia” del 14 gennaio 2011 (ma non è escluso che il post possa essere aggiornato con ulteriori contributi).

  6. Mentre scrivo, accanto a me, osservo un volumetto contenente la tesi di laurea di Vitaliano Brancati dedicata a Federico De Roberto.
    La tesi è del 30 ottobre 1929 (De Roberto era morto due anni prima).

  7. bel post. giusto e sacrosanto ricordare De Roberto.
    Per me “I Vicerè” è uno dei più grandi romanzi della letteratura europea, tra ‘800 e ‘900, arrivo a dire.

  8. stavo pensando che le trasposizioni televisive e cinematografiche ( alcune anche buone ) non hanno però mai reso giustizia al libro, secondo me.
    non so se questo può essere oggetto di discussione.

  9. lo so che non ci crederete, ma la rilettura dei “vicerè” rientrava nel mio piano/letture del mese di febbraio.
    grandissimo romanzo.
    notte.

  10. credo che i Vicere sia un’opera monumentale e che De Roberto merito un posto di ulteriore risalto nella letteratura italiana.
    il fatto che si sia parlato poco di questa ricorrenza non e’ un buon segno.

  11. 1. Che rapporti avete con le opere di Federico De Roberto?
    Direi buoni. Anche se De Roberto è uno di quegli autori che ho “conosciuto” a scuola senza aver mai avuto lo stimolo e il tempo per approfondirlo con attenzione negli anni successivi.

  12. 2. Avete mai letto “I Vicerè”? Pensate che leggerete, o ri-leggerete, questo libro?
    (quest’ultima, più che una domanda, è un invito)
    Dopo la risposta alla prima domanda credo proprio che dovrò rileggere “I Vicerè” con attenzione diversa da quella di una giovane studente.

  13. 3. Ritenete che “I Vicerè” contenga ancora elementi di attualità? Se sì, quali?
    Le opere che rimangono nel tempo contengono sempre elementi di attualità, altrimenti sarebbero sparite. I Vicerè è una di queste.

  14. 4. Se doveste selezionare una citazione tratta da “I Vicerè”, o da un’altra opera di De Roberto, quale scegliereste? E perché?
    Devo pensarci. Risponderò dopo, o domani (così sarò costretta a riprendere in mano il libro… diabolico Maugeri).

  15. 5. Qual è l’eredità che De Roberto ha lasciato nella letteratura italiana?
    Lo ha scritto anche Pirandello, citato dalla Zappulla Muscarà: ““la letteratura italiana deve uno dei suoi più solidi romanzi, un’opera monumentale: “I Vicerè””. Romanzo del disincanto storico, della crisi della società meridionale e insieme bilancio amaro, sfiduciato, di una generazione, di un’epoca, di un “secolo agonizzante”.

  16. «Chi vi ha detto che non sono socialista anch’io?»
    «Come ogni persona di cuore, sì; e appunto di ciò si tratta: di dire al popolo fino a qual segno è giusto e santo parlargli dei suoi diritti, ma quanto è necessario e doveroso rammentargli anche i suoi doveri.»
    Federico De Roberto dal romanzo “L’imperio”.

  17. Nacque a Napoli nel 1861, da Federico senior, ex ufficiale di stato maggiore del Regno delle Due Sicilie e dalla nobildonna catanese Marianna Asmundo. Trasferitosi con la famiglia a Catania, il giovanissimo Federico subì nel 1873 la dolorosa perdita del padre, travolto da un treno sui binari della stazione di Piacenza. Da allora, salvo una lunga parentesi milanese e una più breve a Roma, Federico visse all’ombra, gelosa e possessiva, di donna Marianna.

  18. A Catania si iscrisse all’Istituto tecnico e frequentò il corso di scienze fisiche, scienze matematiche, naturali ed ebbe pertanto una prima formazione scientifica, alla quale affiancò presto l’interesse per gli studi classici, allargando la sua cultura al latino e agli studi letterari.

  19. Il suo esordio letterario avvenne con il saggio Giosuè Carducci e Mario Rapisardi. Polemica, pubblicato a Catania dall’editore Giannotta nel 1881.

    Fu presto conosciuto negli ambienti intellettuali per la sua attività di consulente editoriale, critico e giornalista sulle pagine di due settimanali che uscivano a Catania e a Roma: il ” Don Chisciotte ” e il “Fanfulla della domenica”.
    Dal 1881 al 1882 fu direttore della rivista “Il Don Chisciotte” e dal 1882 al 1883 iniziò la collaborazione con “Il Fanfulla della domenica” sotto lo pseudonimo di Hamlet.

    Per l’Editore Giannotta fondò la collana di narrativa dei “Semprevivi” ed ebbe modo di conoscere Capuana e Verga con i quali strinse una salda amicizia.

    Nel 1883 raccolse in un volume dal titolo “Arabeschi”, tutti i suoi scritti di arte e letteratura e nel 1884 avviò la collaborazione, utilizzando il suo vero nome, con il “Fanfulla della domenica”, e tale collaborazione durò fino al 1900.

  20. Un momento importante per la formazione dello scrittore fu l’incontro, durante un soggiorno in Sicilia, con Paul Bourget (1852-1935), in quei tempi molto noto per i suoi studi psicologici e per i romanzi, nei quali analizzava minuziosamente le coscienze tentando di giungere ad una “anatomia morale”.

  21. Decisivo fu per De Roberto il trasferimento a Milano nel 1888 dove fu introdotto da Verga nella cerchia degli Scapigliati, e conobbe Emilio Praga, Arrigo Boito, Giuseppe Giacosa e Giovanni Camerana, consolidando sempre più la sua amicizia con lo stesso Verga e Capuana.

    Nel periodo del suo soggiorno milanese collaborò al Corriere della Sera e pubblicò diverse raccolte di novelle e romanzi, fra i quali quello che è considerato il suo capolavoro, I Viceré, nel 1894.

  22. Nel 1897 ritornò a Catania, dove rimase fino alla morte, salvo brevi viaggi nel continente.

    A Catania ebbe un incarico come bibliotecario e visse sostanzialmente appartato e deluso per l’insuccesso della sua opera narrativa.

    Mentre questa tacque egli indirizzò il suo lavoro intellettuale alla pubblicistica e alla critica, tra i quali si ricordano gli studî su Giacomo Leopardi e soprattutto sul Verga che giudicò sempre un suo maestro.
    Alla morte del Verga il De Roberto riordinò in modo accurato le opere del grande scrittore suo conterraneo ed iniziò uno studio biografico e critico che però rimase interrotto per la sua prematura morte avvenuta a Catania per un attacco di flebite il 26 luglio 1927.

  23. Dopo il volumetto di poesie “Encelado”, pubblicato a Catania dall’editore Galatola nel 1887, nacquero le prime raccolte di novelle, “La sorte” del 1887 e “Documenti umani” dell’anno successivo, che si muovono da una matrice verghiana, ma con personali e significative scelte.
    In queste raccolte infatti non è assente la tematica paesana e rusticana, ma l’attenzione dello scrittore si concentra soprattutto sul mondo della nobiltà in disfacimento, sia socio-economico, sia fisiologico e su quello dei nuovi borghesi che cercano di confondersi con l’ambiente dei nobili.

  24. Seguirono i romanzi di analisi psicologica Ermanno Raeli (1889) e L’illusione (1891), primo del “ciclo” dedicato alla famiglia Uzeda. I personaggi saranno ripresi ne I Viceré (1894), la cui trama include, in ordine cronologico, gli avvenimenti de L’llusione e fa da premessa a quelli de L’Imperio.

    In questi romanzi la tematica psicologica e intimistica gioca sull’interiorità dei personaggi e ruota intorno al contrasto tra illusione e realtà, con i conseguenti motivi della nevrosi e delle inibizioni.

    La tematica psicologica è presente anche nella raccolta di novelle Processi verbali (1889) e ne L’albero della scienza (1890), nei quali verranno però anche ripresi i temi e i metodi veristici.

  25. Negli anni che vanno dal 1892 al 1900 la produzione del De Roberto sarà molto varia, esempio di un itinerario non lineare ma tormentato e complesso, tipico di quegli anni che aveva investito la cultura del positivismo.

    Pubblicò infatti il saggio “La morte dell’amore” nel 1892, “L’amore. Fisiologia. Psicologia Morale” nel 1895 e nel 1897 il romanzo “Spasimo” che era apparso a puntate tra il novembre del 1896 e il gennaio del 1897 sul “Corriere” e una monografia su Leopardi del 1898, oltre alle “Lettere d’amore immaginarie”, “Gli amori” nel 1898 e i saggi “Una pagina della storia sull’amore” dello stesso anno, “Il colore del tempo” nel 1900 e sempre nel 1900 “Come si ama”.

    Quando per condizioni di salute dovette trascorrere lunghi periodi a Zafferana Etnea si dedicò alla compilazione di guide turistiche: Catania, con 152 illustrazioni, Muglia Editore, 1907; Pellicanolibri, 1985; e nel 1908, dopo un viaggio a Roma, iniziò il romanzo “L’Imperio”, rimasto incompiuto e pubblicato postumo da Mondadori nel 1929.

  26. Sostenitore convinto della poetica naturalista e verista, De Roberto ne applicò rigorosamente i termini, portando alle estreme conseguenze quegli aspetti di impersonalità del narratore e di osservazione rigorosa dei fatti che, però, contribuiscono a volte ad appesantire la narrazione.

    Le tecniche narrative di De Roberto sono funzionali alla narrazione impersonale ma diverse da quelle di Verga. Innanzi tutto non è presente la regressione della voce narrante nella realtà rappresentata, è presente invece, come nel Mastro-don Gesualdo, il discorso indiretto libero ma in larga misura la narrazione si fonda sul dialogo e sulla presenza di didascalie descrittive. La narrazione tende a far propria la tecnica teatrale e infatti nella Prefazione ai “Processi verbali” De Roberto afferma: “L’impersonalità assoluta non può conseguirsi che nel puro dialogo, e l’ideale della rappresentazione obiettiva consiste nella scena come si scrive per il teatro”.

  27. giustissimo dare luce a questa ricorrenza. non c’è dubbio che la figura di De Roberto meriti.
    per quanto mi riguarda, però, devo ammettere che “I vicerè” non mi ha mai appassionato veramente. secondo me De Roberto si dilunga troppo. un’opera monumentale, a mio avviso, che sarebbe stata ancora più efficace se fosse stata un po’ meno elefantiaca.

  28. giusto per precisare. nonostante le perplessità messe in evidenza non posso che essere d’accordo nel considerare I vicerè un grandissimo libro.

  29. A domande, rispondo.
    1. Che rapporti avete con le opere di Federico De Roberto?
    Un rapporto incompleto, perché conosco solo “I Viceré”.

  30. 2. Avete mai letto “I Vicerè”? Pensate che leggerete, o ri-leggerete, questo libro?
    (quest’ultima, più che una domanda, è un invito)
    L’ho letto anni fa. Un grande romanzo, un grande affresco. Ma non credo che lo rileggerei. Preferirei dare spazio ai tanti classici che non ho ancora letto.

  31. 3. Ritenete che “I Vicerè” contenga ancora elementi di attualità? Se sì, quali?
    L’elemento della “disillusione” credo sia sempre attuale.

  32. 4. Se doveste selezionare una citazione tratta da “I Vicerè”, o da un’altra opera di De Roberto, quale scegliereste? E perché?
    Sui due piedi, non saprei. Ma ci rifletterò.

  33. 5. Qual è l’eredità che De Roberto ha lasciato nella letteratura italiana?
    Credo che l’eredità lasciata coincida proprio con la scrittura dei Vicerè.

  34. Ultima considerazione. Da questo libro è stato tratto un film omonimo uscito nei cinema italiani nel 2007 con la regia di Roberto Faenza. Per me è un ottimo film.

  35. C’è un nostro articolo qui scritto per il 150° anno dalla nascita:
    http://www.napolimisteriosa.it/benedetto-croce-federico-de-roberto-leonardo-sciascia-roberto-faenza/
    intitolato: AVEVA TORTO BENEDETTO CROCE?

    Si allude, ovviamente, alla sua critica negativa sull’opera di De Roberto, non condivisa da Leonardo Sciascia.

    Nel testo riportiamo anche uno dei suoi proverbi (meglio: una frase a effetto…) che mette in bocca all’ultimo degli Uzeda, Consalvo, candidato al parlamento italiano; Gli uomini sono, sono stati e saranno sempre gli stessi…
    Segnaliamo il sottilissimo paradosso che emerge dalla lettura della frase e il significato del nome Consalvo, che si attribuì agli schiavi liberati.
    Alessia e Michela

  36. I Vicerè è un libro ancora attualissimo, sarebbe ora di inserirla come lettura obbligatoria alle superiori, magari al posto dei Promessi sposi….splendida storia sulla Sicilia di ieri e di oggi, personaggi intensi e indimenticabili…ha portato alla perfezione il lavoro che fu già di Verga, ci ha fatto conoscere la Sicilia con le sue grandezze e le sue infime meschinità. Senza dubbio rimane un capolavoro….

  37. Molto divertente:
    il post che viene attribuito a FEDERICO DE ROBERTO è nostro, Alessia e Michela.
    Abbiamo preso asso per figure scrivendo il suo nome dove andava il nostro.
    Ma, in compenso, è corretto il link dell’articolo.
    Alessia e Michela

  38. Mi permetto di suggerirvi la lettura di un altro libro di De Roberto, l’Imperio (Bur), che, tolta qualche pagina di troppo, descrive magistralmente la nascita del trasformismo in politica e quindi dovrebbe essere un testo centrale nel ripensare questi 150 anni di Unità. Io l’ho studiato perché iniziato nel 1908 e pubblicato postumo (non finito), L’Imperio affronta 20 anni dopo i temi già toccati magistralmente da Matilde Serao in Vita e avventure di Riccardo Joanna (Selene) che più in particolare descrive la nascita del trasformismo dei giornalisti. A tale proposito: nel reading Matilde Serao. Oggi come ieri, noi leggiamo alcune pagine di questo libro interessantissimo: prossimi appuntamenti il 22 gennaio alle 16 alla biblioteca di Rozzano (MILano) e il 29 gennaio al Salonecorti di Varese alle 18,00. Buone letture!

  39. UN ALTRO LIBRO E DOVE SI DICE DI DUE EVENTI SIMBOLICI SU DUE PORTE DI CASA

    E noi oseremmo segnalare il poliziesco SPASIMO: ambientato in una villa che dà sul lago di Ginevra. È un giorno d’autunno quando deflagra un colpo di pistola. Di lì a poco viene rinvenuto il corpo senza più vita di una donna. Era la bellissima contessa Fiorenza d’Arda. Si è convinti immediatamente che si tratti di un suicidio; nessun indizio sembrerebbe orientare la lettura verso altre possibilità: era una donna sofferente; le testimonianze delle persone al suo servizio convergono, così come i suoi gli scritti.
    Per fortuna qualcuno si ostina a credere che si tratti di un assassinio…

    A proposito della scrittrice e giornalista Matilde Serao: morì lo stesso giorno di Federico De Roberto, facendo passare in secondo piano l’evento della sua dipartita, malgrado fosse morto tragicamente sulla porta di casa.
    La porta di una casa, un’altra, della abitazione della Serao, cove abitava con Scarfoglio, era divenuta rilevante per un’altra ragione tragica: un giorno si presentò Gabriell Bessard, amante dello Scarfoglio: depositò il bimbo nato dal rapporto e si sparò.
    Alessia e Michela

  40. Sperando che non siano già state scritte, vi segnalo alcune frasi tratte dall’ importante romanzo storico di Federico De Roberto ******
    Da – I Viceré 1894 ( un concetto molto attuale) **** Io auguro la formazione di un partito capace di darci l’ ordine all’ interno e la pace con l’ estero .Che protegga i laici ma anche la Chiesa. Che realizzi riforme ma conservi anche le tradizioni.
    Il passato e l’ avvenire. Machiavelli ma anche Bacone. E dopo aver studiato Proudhon sono convinto che la proprietà
    è un furto. Ci sono tuttavia delle proprietà che dobbiamo riconoscere legittime. Viva il Re! Viva la Rivoluzione! Viva Sua Santità”
    ******** “la storia è una sola monotona ripetizione, perché gli uomini sono sempre gli stessi.E il dovere della nostra famiglia e di servirsene,
    capire il nuovo corso della storia. sconfiggere il male, il bene non basta. [..] Come una volta che per curare il male si iniettava nel corpo un po’ del malanno.
    Io mi accingo fare lo stesso”.
    ****** Mi scuso per l’impaginazione-
    Tessy

  41. Ne approfitto, come sempre, per salutare e ringraziare personalmente gli intervenuti.
    Un caro saluto, dunque a: Mariella, Giacomo Tessani, Leo, Laura, Amelia Corsi, Lucio, l’autore/autrice delle note su Federico De Roberto…

  42. Ieri vi avevo accennato all’intenzione di riportare qualche stralcio del volumetto contenente la tesi di laurea di Vitaliano Brancati dedicata a Federico De Roberto.
    Spero di riuscire a farlo nei prossimi giorni (scusate, ma sono giorni molto “intensi”).

  43. Cari amici,
    lieto che ricordiate De Roberto, mio nonno Vincenzo Muglia agli inizi del secolo e poi io con Pellicanolibri nel 1985, abbiamo stampato la sua opera Catania.
    Ho avuto rapporti con gli eredi, ma Muglia ebbe direttamente rapporti con lui, fu anche editore dei primi 3 libri di Giovanni Pascoli, anche se, come me, non abbiamo mai saputo sfruttare le situazioni.

    Con cordialità

    beppe costa

  44. ciao, ho preso i Vicerè dalla biblioteca di mio padre dopo aver visto questo post. lo sto iniziando a leggere. poi magari scrivo le mie impressioni.

  45. In occasione dei 150 anni dalla nascita di Federico De Roberto 🙂

    LA DISDETTA e altre novelle
    Federico De Roberto
    A cura di Giuseppe Traina

    Finalmente restituito al ruolo d’eccellenza che gli spetta nel canone dell’Ottocento italiano, il genio narrativo di Federico De Roberto non si è espresso soltanto nella gran macchina romanzesca del capolavoro, I Viceré, ma anche nella forma breve della novella. Quest’antologia propone, per la prima volta insieme, i suoi migliori racconti: otto testi scelti dalle quattro principali raccolte derobertiane (La sorte, Documenti umani, L’albero della scienza, Processi verbali) e da un gruppo di novelle non raccolte in volume dall’autore, tra le quali un capolavoro assoluto come La paura, che ci riporta agli anni della Grande Guerra.
    Pagine 204 – Prezzo € 12.00 – Anno 2004 – ISBN 88-8309-161-2 – Avagliano

  46. Di solito mi limito a leggere, ma per De Roberto devo fare un’eccezione e rispondere.
    1) Rapporti ottimi. Trovo De Roberto sottostimato nella letteratura italiana.
    2) Letto più volte, la prima a circa 13 anni, consigliata da mia madre, gran donna e acuta critica. Da rileggere, insieme agli altri titoli della saga, pubblicati in un Mammuth (versione economica dei più blasonati Meridiani, peccato non esistano più)
    3) L’attualità è nella storia della famiglia, i cui membri hanno comportamenti ancora attualissimi, nel privato (l’ossessione alla discendenza, con l'”adozione” del bastardo in un’epoca in cui non esistevano altre strade; la malinconica fine della moglie non amata; la tragica fine dell’innamorato che non ha potuto sposare il suo amore…) e nel pubblico (l’orgoglio del soprannome).
    4) non sono in grado di fare una citazione puntuale, anche i nomi mi sfuggono… :))) l’ultima lettura è piuttosto lontana. Ma direi il momento in cui si commentano i soprannomi delle famiglie, che dipinge una caratteristica molto italiana (non sono da meno certi circoli piemontesi, lombardi e veneti…) parente stretta del campanilismo, altrettanto tipico della nostra cultura
    5) L’eredità di un capolavoro. Al cui confronto il celeberrimo Gattopardo brilla di meno…
    Serena

  47. I Viceré è il romanzo più celebre di Federico De Roberto che ne iniziò la stesura a Milano nel 1894 raccogliendo materiale sulle vicende del risorgimento meridionale, qui narrate attraverso la storia di una nobile famiglia catanese, quella degli Uzeda di Francalanza (ispirata a Casa Paternò ed in particolare la figura del Marchese di San Giuliano, Antonino Paternò Castello che nel romanzo è identificato con il giovane Consalvo Uzeda e che in realtà fu Sindaco di Catania, Ambasciatore e Ministro degli Esteri), discendente da antichi Viceré spagnoli della Sicilia ai tempi di Carlo V.

  48. Questa “storia di famiglia” si ispira al principio positivistico e naturalistico della race (l’ereditarietà), con tutte le sue conseguenze.
    I componenti della famiglia degli Uzeda sono accomunati dalla razza e dal sangue vecchio e corrotto, dovuto anche ai numerosi matrimoni tra consanguinei.
    Quanto emerge da questa famiglia è la spiccata avidità, la sete di potere, le meschinità e gli odii che i componenti nutrono l’uno per l’altro alimentando in ciascuno una diversa patologica monomania.

  49. Ogni membro della famiglia ha una storia segnata dalla corruzione morale e biologica che si evidenzia anche nella loro fisionomia e nelle deformità fisiche che verranno riassunte dall’autore nell’episodio di Chiara che, dopo aver partorito un feto mostruoso lo conserva sotto spirito in un boccione di vetro.

  50. Ma I Viceré sono, oltre “una storia di famiglia”, anche una rappresentazione dagli accenti forti e disillusi della storia italiana tra il Risorgimento e l’unificazione (il romanzo è infatti ambientato negli anni tra il 1855 e il 1882, nella quale si svolgono le vicende e le fortune degli Uzeda).

  51. Il romanzo è diviso in tre parti: la prima parte inizia con la morte della vecchia principessa Teresa, crudele e dispotica, e termina con la caduta del regno borbonico e con l’elezione a deputato di Gaspare Uzeda.

  52. La seconda parte si chiude con la presa di Roma e con la conversione al liberalismo di don Blasco; la terza con le prime elezioni a suffragio allargato del 1882 in cui l’ultimo discendente di fede reazionaria e borbonica, Consalvo, finge idee di sinistra per mantenere intatto il suo potere, convinto che – al di là di ogni rivolgimento storico – nulla possa veramente cambiare e che i privilegiati debbano adattarsi alle nuove situazioni politiche, come quella successiva all’unità, potendo solo così mantenere intatti dominio e potere.

  53. Emerge da questo quadro il fallimento degli ideali risorgimentali con una interpretazione già presente nelle novelle Il reverendo, Libertà e Mastro-don Gesualdo del Verga e che accomuna molti tra gli scrittori meridionali, da Pirandello, nel romanzo I vecchi e i giovani, a Tomasi di Lampedusa, nel Gattopardo.

  54. Nell’explicit del lavoro di De Roberto, quando Consalvo, ormai deputato, parla alla “zitellona” zia Ferdinanda, vi è l’intera chiave di lettura del romanzo:

    « … Noi siamo troppo volubili e troppo cocciuti ad un tempo. Guardiamo la zia Chiara, prima capace di morire piuttosto che di sposare il marchese, poi un’anima in due corpi con lui, poi in guerra ad oltranza. Guardiamo la zia Lucrezia che, viceversa, fece pazzie per sposare Giulente, poi lo disprezzò come un servo, e adesso è tutta una cosa con lui, fino al punto di far la guerra a me e di spingerlo al ridicolo del fiasco elettorale! Guardiamo, in un altro senso, la stessa Teresa. Per obbedienza filiale, per farsi dar della santa, sposò chi non amava, affrettò la pazzia ed il suicidio del povero Giovannino; e adesso va ad inginocchiarsi tutti i giorni nella cappella della Beata Ximena, dove arde la lampada accesa per la salute del povero cugino! E la Beata Ximena che cosa fu se non una divina cocciuta? Io stesso, il giorno che mi proposi di mutar vita, non vissi se non per prepararmi alla nuova. Ma la storia della nostra famiglia è piena di simili conversioni repentine, di simili ostinazioni nel bene e nel male… Io farei veramente divertire Vostra Eccellenza, scrivendole tutta la cronaca contemporanea con lo stile degli antichi autori: Vostra Eccellenza riconoscerebbe subito che il suo giudizio non è esatto. No, la nostra razza non è degenerata: è sempre la stessa. »

  55. Quando I Viceré uscì non ebbe fortuna perché il naturalismo stava ormai declinando ed iniziava ad affermarsi la reazione spiritualistica di D’Annunzio, Fogazzaro, Pascoli. Inoltre, il tono troppo pessimistico e la forma poco elegante non potevano più essere apprezzati in un momento in cui trionfavano il nazionalismo ed il formalismo. A influenzare l’insuccesso del romanzo venne infine la critica negativa di Benedetto Croce.

    Tuttavia I Viceré, insieme ai Malavoglia del Verga, è uno dei capolavori del Verismo italiano per la ricchezza dei personaggi, l’ampiezza della struttura e la vivezza della rappresentazione.

  56. qualche anno fa al cimema ho visto il film “I Vicerè” : sono rimasta colpita da un ottimo Lando Buzzanca interprete del personaggio padre-padrone. Mi fermo qui altrimenti mi viene il vomito.
    Rossella

  57. ricordo la prima volta che iniziai a leggere i Vicere’. avevo 16 anni. lessi le prime 30 pag. poi mollai. lo ripresi in mano 20 anni dopo e lo apprezzai moltissimo.
    credo che questo sia uno di quei libri che non conviene proporre ai giovanissimi per non scoraggiarli alla lettura

  58. Per me la frase più carina e stroncante dei Viceré, che si può far propria oggigiorno, è quella pronunciata da un personaggio di spessore nel romanzo che è don Blasco: “Ma che tolleri e talleri mi vai contando”, troppo forte, io la uso

  59. Caro dottor Maugeri
    bellissimo post che onora e riabilita la figura di De Roberto, troppo spesso dimenticato e a suo tempo non compreso. Stranamente, infatti, questo capolavoro fu trattato con freddezza, finanche con ostilità dalla critica ufficiale a partire da Benedetto Croce.
    Gravissimo errore, perchè De Roberto può ascriversi alla ristretta genia di autori che seppe far parlare la storia, con le sue oscurità, i suoi fraintendimenti, il suo essere – in fondo – malata, dello stesso imperdonabile errore dell’uomo: non saper cambiare, non saper guardare in se stessa.
    Ne fa fede la narrazione della dinastia degli Uzeda, protagonista del romanzo, un corpo unico, come un solo personaggio, tanto da poter dire che De Roberto traccia non una storia della famiglia, ma la storia di un unico, immenso essere, che si ostina a imparentarsi con se stesso, che assurge a metafora del potere di tutti i tempi, corrotto dall’avidità di restare tra pochi, di escludere, di non aggregare.
    E’ affascinante l’analisi familiare e sociale di De Roberto. Attraverso i mecanismi contorti di questa famiglia, egli, in realtà, svela le cancrene dell’avidità, della smania di dominare, dell’atavica prevaricazione dell’uomo sull’uomo.
    Direi che il messaggio è attualissimo, caro dottor Maugeri, sol che si guardi a nostri tempi.
    Tanto da far sospirare, insieme a Consalvo:
    “….Io farei veramente divertire Vostra Eccellenza, scrivendole tutta la cronaca contemporanea con lo stile degli antichi autori: Vostra Eccellenza riconoscerebbe subito che il suo giudizio non è esatto. No, la nostra razza non è degenerata: è sempre la stessa….”
    ——-
    Un malinconico saluto dal suo sempre affezionato
    Professor Emilio

  60. salve, sono un appassionato di proverbi e di uso dei proverbi e citazioni nella lingua italiana.
    I Vicerè di De Roberto sono ricchi di proverbi e citazioni.
    Ne riporto alcuni.
    .

    – Contare come il due di briscola. parte prima – cap. 1

    – Un colpo al cerchio e un altro alla botte. parte prima – capp. 1 – 3 – 8 / parte seconda – cap. 1

    – Fare orecchio da mercante. parte prima – capp. 2 – 7

  61. oppure
    – La volpe, quando non potè arrivare all’uva, disse che era acerba. parte prima – cap. 2

    – Venuti i nodi al pettine. parte prima – cap. 3

    – Ne sa più un pazzo in casa propria che un savio nell’altrui. parte prima – cap. 3

  62. oppure
    – Chi presta senza pegno perde i denari, l’amico e l’ingegno. parte prima – cap. 3

    – Meglio porco che soldato. parte prima – cap. 3

    – Navigar tra due acque. parte prima – cap. 3 / parte seconda – cap. 9

  63. altri proverbi/citazioni presenti
    – L’uomo tanto più vale quanto più sa. parte prima – cap. 4

    – Cento ladri non possono spogliare un nudo. parte prima – cap. 6

    – Rendere pane per focaccia. parte prima – cap. 6

  64. altri proverbi/citazioni presenti
    – Fare l’arte di Michelasso: Mangiare, bere e andare a spasso. parte I – cap. 6 / parte II – cap. 3

    – I nodi vennero al pettine. parte prima – cap. 6

    – Tirare l’acqua al proprio mulino. parte prima – cap. 6

  65. altri proverbi/citazioni presenti
    – Cuocere nel proprio brodo. parte prima – cap. 6

    – Passa Savoia! parte prima – cap. 6

    – Non mettere il carro avanti ai buoi. parte prima – cap. 7

  66. altri proverbi/citazioni presenti
    – Solo alla morte non c’è rimedio. parte prima – cap. 7

    – Giuoco di mano, giuoco villano!. parte prima – cap. 8

    – Chi rompe paga, e neppure i cocci sono suoi. parte prima – cap. 8

  67. altri proverbi/citazioni presenti
    – Fare di ogni erba un fascio. parte prima – cap. 8

    – Riderà bene chi riderà l’ultimo! parte seconda – cap. 1 / parte terza – cap. 9

    – Dove più insistente si cammina a nome del principio utopista, …. parte seconda – cap. 3

  68. altri proverbi/citazioni presenti
    – Fare il conto senza l’oste. parte seconda – cap. 4

    – Salvar capra e cavoli, servir Cristo e Mammone. parte seconda – cap. 4

    – Andarci coi calzari di piombo. parte seconda – cap. 4 / parte terza – cap. 9

  69. altri proverbi/citazioni presenti
    – Tutto ciò che il padrone fa è ben fatto. parte seconda – cap. 5

    – Tenere il sacco ai ladri. parte seconda – cap. 6

    – Nel più c’è il meno. parte seconda – cap. 6

  70. – L’appetito vien mangiando. parte seconda – cap. 7

    – Chi la fa l’aspetta. parte seconda – cap. 7

    – Ora che l’Italia è fatta, dobbiamo fare gli affari nostri. parte seconda – cap. 8

  71. – Le vie della Provvidenza sono infinite. parte seconda – cap. 8

    – Al cuore non si comanda. parte seconda – cap. 9

    – Chi è causa del suo mal pianga se stesso. parte seconda – cap. 9

  72. – Darsi la zappa sui piedi. parte terza – cap. 3

    – Amarsi come cani e gatti. parte terza – cap. 3

    – Mettere l’esca accanto al fuoco. parte terza – cap. 3

  73. – Quando il diavolo ci mette la coda. parte terza – cap. 3

    – Salute a noi! parte terza – cap. 4

    – Gettar polvere agli occhi. parte terza – cap. 5

  74. – Coi piedi in due staffe. parte terza – cap. 5

    – Mettere bastoni tra le ruote. parte terza – cap. 5

    – Oggidì (1875 ca) la volontà dei parenti non ha pei figli forza di legge. parte terza – cap. 5

  75. – Il gregge ha sempre avuto bisogno di un pastore… parte terza – cap. 6

    – L’ideale della democrazia è aristocratico. parte terza – cap. 6

    – Nessuna nuova, buona nuova. parte terza – cap. 7

  76. – Le male nuove le porta il vento! parte terza – cap. 7

    – Chi ne ha ne spende! parte terza – cap. 7

    – Al popolo (al gregge) s’ha da buttargli la polvere agli occhi! parte terza – cap. 7

  77. – Quando il fondo è buono, non bisogna disperare. parte terza – cap. 7

    – Vedere una festuca negli occhi degli altri e non la trave nei propri. parte terza – cap. 7

    – L’anima a Dio e la roba a chi spetta! parte terza – cap. 7

  78. – Tutto si paga! parte terza – cap. 7

    – Cada Sansone con tutti i filistei. parte terza – cap. 9

    – Pan per focaccia. parte terza – cap. 9

    – Volere la botte piena e la moglie ubriaca. parte terza – cap. 9

    – The right men in the right places. parte terza – cap. 9

  79. molti di questi proverbi e citazioni usati da De Roberto sono ancora attuali.
    un saluto,
    nella speranza di aver fatto cosa gradita.

  80. Ho scoperto i Vicerè negli anni giovanili subito dopo Il Gattopardo e sulla scorta della grande suggestione che il romanzo di Tomasi di Lampedusa e il film di Visconti, mi avevano procurato. In poche parole dopo la fascinosa e affascinante lettura appunto de Il Gattopardo avevo ancora bisogno d’indagare sulle ragioni storiche dell’Unità d’Italia vista dalla parte dei siciliani su una vicenda che raccontasse di nobili come gli Uzeda, legati ad antichi riti che l’Unità andava disfacendo con l’avvento di una borghesia che ben presto avrebbe preso del tutto il sopravvento. M’intrigava approfondire un mondo legato alla Sicilia, terra da me molto amata ma allora poco conosciuta. Dopo I Vicerè sono venute le stagioni legate a Pirandello, a Vitaliano Brancati, sino ad arrivare a Bufalino. Tornando ai Vicerè è uno dei romanzi più belli che ho letto, un grande affresco storico che non si limita a raccontare fatti ma indaga nell’animo degli uomini e che potrebbe essere considerato, nonostante la ponderosità, ancora moderno. Delia Morea

  81. “I Vicerè” sono per me un capolavoro assoluto, un romanzo di respiro europeo davvero.
    – Ora che l’Italia è fatta, dobbiamo fare gli affari nostri. parte seconda – cap. 8

    Credo che questa frase non abbia bisogno di commenti.
    De Roberto è realista e profetico insieme, perché vide la direzione in cui andava l’Italia. Lucido, cinico e patetico insieme, questo libro in cui trionfa il gattopardismo, il trasformismo senza cuore, in cui i sentimenti vengono calpestati…

  82. bello ricordare De Roberto e i Vicerè.
    quando penso a questi grandi autori mi domando : chissà cosa scriverebbero oggi, con gli stimoli che l’odierna società offre?

  83. ottimo intervento dell’Emilio. Del prof. Emilio.
    Ovviamente gattopardiano quando con “quel tutto cambia per non cambiare niente…” si riferisce alla storia che, in fondo, si ripropone con quel suo destino malato ed incapace di uscire da se stesso. Direi un essere macroscopico, abnorne, dalle dimensioni mostruose, chiuso nella sua anaffettività. Vi comunque un doppiofondo che solo pochi conoscono, direi ancor più temibile di ciò che appare.
    saluti

  84. Fa un certo effetto vedere un post dedicato a Federico De Roberto ricevere così tanti riscontri e commenti. Complimenti al blog ed ai suoi partecipanti.
    Mi avete fatto venir voglia di rileggere ‘I Vicerè’.

  85. Lucidissima analisi storica, umana, dell’anima. Gli Uzeda, i cambiamenti dei tempi, la storia che soffia come un’impetuosa e lacrimevole prefica che annuncia cambiamenti, ma si soffia il naso solo per finta, per ostentare una pietà che non le appartiene.
    Una esemplare storia del modo d’essere non solo siciliani, ma vittime, tutti, della irribaltabile verità di ogni tempo: saper stare dalla parte giusta, negarsi a ogni apertura, chè la Storia, il grande scandalo che corrode i tempi, non include, ma esclude.
    Un geniale De Roberto, quello dei Vicerè, che a torto la critica si è impuntata a etichettare. Che a torto è stato detto senza cuore.
    Quanto sangue, invece, nei baldacchini dei morti allestiti tra ceri che si consumano e vassoi d’argento ostentati per gli ospiti. Che modernità, quando i tempi sono raccontati come tanti sfantasiati personaggi che non si rassegnano a perdere. Che cambiano pelo, ma non padrone…

    “Un tempo la potenza della nostra famiglia veniva dal Re; ora viene dal popolo… La differenza è più di nome che di fatto…”
    ——-
    Bravo, socio.
    Bellissimo e meritato omaggio a chi, la Storia, non la racconta. Ma ha la forza di replicarla e di denunciarla nel presente.

  86. Giuseppe, dinanzi al portone, trastullava il suo bambino, cullandolo sulle braccia, mostrandogli lo scudo marmoreo infisso al sommo dell’arco, la rastrelliera inchiodata sul muro del vestibolo dove, ai tempi antichi, i lanzi del principe appendevano le alabarde, quando s’udì e crebbe rapidamente il rumore d’una carrozza arrivante a tutta carriera; e prima ancora che egli avesse il tempo di voltarsi, un legnetto sul quale pareva avesse nevicato, dalla tanta polvere, e il cui cavallo era tutto spumante di sudore, entrò nella corte con assordante fracasso. Dall’arco del secondo cortile affacciaronsi servi e famigli: Baldassarre, il maestro di casa, schiuse la vetrata della loggia del secondo piano, intanto che Salvatore Cerra precipitavasi dalla carrozzella con una lettera in mano.
    “Don Salvatore?… Che c’è?… Che novità?…”
    Ma quegli fece col braccio un gesto disperato e salì le scale a quattro a quattro.
    Giuseppe, col bambino ancora in collo, era rimasto intontito, non comprendendo; ma sua moglie, la moglie di Baldassarre, la lavandaia, una quantità d’altri servi già circondavano la carrozzella, si segnavano udendo il cocchiere narrare, interrottamente:
    “La principessa… Morta d’un colpo… Stamattina, mentre lavavo la carrozza…”
    “Gesù!… Gesù!…”

  87. «Vedi? Vedi quanto rispettano lo zio? Come tutto il paese è per lui?»
    Il ragazzo stordito un poco dal baccano, domandò:
    Che cosa vuol dire deputato?»
    «Deputati,» spiegò il padre, «sono quelli che fanno le leggi nel Parlamento.»
    «Non le fa il Re?»
    «Il Re e i deputati insieme. Il Re può badare a tutto? E vedi lo zio come fa onore alla famiglia? Quando c’erano i Viceré, i nostri erano Viceré; adesso che abbiamo il Parlamento, lo zio è deputato!…»
    (1995, p. 180)

  88. Io mi rammento che nel Sessantuno [1861], quando lo zio duca fu eletto la prima volta deputato, mio padre mi disse: “Vedi? Quando c’erano i Viceré, gli Uzeda erano Viceré; ora che abbiamo i deputati, lo zio siede in Parlamento.”

  89. Questi Viceré sono a uno a uno scolpiti e colpiti: sono arroganti ed ignoranti, in passato sapevano al massimo fare la firma, donna Ferdinanda tiene come un vangelo la prosa bolsa del Teatro genologico di Sicilia del Mugnòs, don Eugenio concepisce un Araldo Sicolo con ridicole innovazioni di ortografia e di fonetica, Ferdinando poi – figuriamoci, il Babbeo! – è fulminato dalla lettura di Robinson Crosue, che gli ha regalato il retorico don Cono Canalà, e il neodeputato duca d’ Oragua non è in grado di articolare motto affacciandosi al balcone davanti alla folla che lo acclama. Una sola cosa resiste, nella caduta di ogni valore e nel conflitto universale degli interessi: la passione comune per la roba, l’orgoglio di appartenere a una casta e a un clan.
    (Sergio Campailla)

  90. Il ricordo della lettura del romanzo “I Vicerè” mi riporta indietro nel tempo di almeno cinquant’anni. Fu il mio professore di letteratura a consigliarmelo. Ricordo che lo lessi con fatica, ma ero giovanissimo. Lo rilessi vent’anni dopo con diverso approccio ed una visione della vita più ampia, e fu tutt’altra lettura. Credo che rileggendolo adesso, nel pieno della terza età, potrei cogliere elementi nuovi che mi sfuggirono nel corso delle due letture precedenti.
    Aihmé, di quante vite dovremmo disporre per leggere e rileggere i libri che meritano?

  91. Gentile Riccardo sono proprio d’accordo con lei. Anche io mi sono chiesta più volte come fare a trovare il tempo per leggere e rileggere i libri che meritano. Sono giunta alla conclusione che è bene ritagliarsi il tempo per rileggere i classici. Con i classici non si sbaglia lettura.
    I Vicerè è un libro che ho apprezzato.

  92. Ha ragione, con i classici non si sbaglia mai. Ma anche quelli: sono così tanti…
    Ah, tempo mio che scarseggi!

  93. L’Imperio è la continuazione del più noto romanzo I Viceré di Federico De Roberto.
    De Roberto iniziò a lavorare a quest’opera nel 1908, e proseguì in maniera discontinua negli anni successivi, ma essa rimase incompiuta alla morte dell’autore.
    Venne infine pubblicata postuma nel 1929.

  94. Il romanzo narra le vicende di don Consalvo Uzeda, principe di Francalanza, uomo ambizioso e spregiudicato, che eletto deputato, si trasferisce a Roma dalla sua Catania, e qui, approfittando del suo nome e delle sue ricchezze, riesce poco alla volta a farsi largo nella vita politica italiana.
    Muovendosi abilmente in una trama sconfortante di intrighi e macchinazioni messe in atto da uomini piccoli e meschini, ognuno teso soltanto al proprio interesse, egli riuscirà alla fine a diventare ministro.

  95. Quando Ranaldi s’affacciò dal parapetto della tribuna, appoggiandovi la destra armata del cannocchiale, l’aula era spopolata. Scoccavano le due, e per aver salito più che in fretta le scale, dalla paura di perdere il principio dello spettacolo, il giovane ansava. Era anche un poco confuso e intimidito. Il bersagliere di guardia, al portone; più su, al primo piano, l’usciere che lo aveva avvertito di dover la sciare la mazza; l’altro usciere che, ancora più in alto, nella saletta già popolata di giornalisti vociferanti, gli aveva chiesto di mostrare la tessera, quasi sospettando in lui un intruso; quell’apparato, quella diffidenza, i visi sconosciuti, l’ignoranza della via, l’errore d’essere entrato nella sala del telegrafo prima di fare l’ultimo tratto di scale, lo avevano impacciato e quasi intimorito.

  96. Ciò che muove il lavoratore a dichiararsi malcontento è la speranza del meglio; egli spera di lavorare sempre meno e di godere sempre più: è questa la formula della profezia socialista: il massimo dei beni col minimo dello sforzo; formula contro la quale protestano la ragione, la logica, le leggi del mondo organico e fisico dove gli effetti sono sempre rigorosamente proporzionati alle cause.

  97. Come mai suo padre, servitore della prode monarchia, parlava ancora rispettosamente dei vili tiranni? Dell’ordinamento costituzionale, il giovanetto aveva udito spiegare la perfezione: Re e Popolo partecipi del governo, quello coi ministri, questo coi deputati; il Senato di nomina regia moderatore della Camera elettiva; il potere giudiziario libero e indipendente fra il legislativo e l’esecutivo: che cosa poteva opporre suo padre a questa perfezione? Un più grave e doloroso stupore egli doveva provare, udendo in famiglia affermare che, senza il tradimento, né mille né diecimila garibaldini avrebbero potuto abbattere un regno come quello di Francesco II!

  98. Con questo sistema di scoraggiare chi la difende, di accarezzare i suoi peggiori nemici, la Monarchia corre difilato al precipizio, ed io resto al mio posto e ci resterò forse fino all’ultimo anche per questo: per non –
    Dovunque sono uomini sono diversità di opinioni, disparità di sentimenti, differenza di umori, tali e tante variazioni temporanee o permanenti, che il consenso perfetto è impossibile, non dico fra tutti o fra molti, ma fra pochi, fra due.

  99. Dovunque sono uomini sono diversità di opinioni, disparità di sentimenti, differenza di umori, tali e tante variazioni temporanee o permanenti, che il consenso perfetto è impossibile, non dico fra tutti o fra molti, ma fra pochi, fra due.

  100. Gli utopisti vogliono che tutti gli uomini siano ricchi o agiati egualmente, questa eguaglianza nella ricchezza o nell’agiatezza, è la promessa con la quale allettano gli operai; perché se gli operai sapessero che il risultato dell’agitazione, sarà, come abbiamo visto, l’indigenza e la mediocrità universale, non darebbero loro ascolto.

  101. I socialisti serii sconfessano quei romanzieri di fervida fantasia che hanno rappresentato a modo loro la vita avvenire, ma se i pensatori non ci dicono essi quale sarà, qual è la realtà che vogliono attuare, bisogna pure, per averne un’idea, accettare l’immagine che ne dànno i romanzieri. Nel regime socialista, ciascun cittadino lavorerà non per conto suo proprio, ma per conto di tutto il consorzio, e riceverà in cambio del suo lavoro un assegno tanto largo, che non si potrà spendere tutto. Se questa sarà la sola difficoltà nello Stato futuro, potremo dire senz’altro che tutto andrà d’incanto: la somma da spendere, il modo di spenderla sarà un problema insolubile.

  102. Il Paese? Con la P grande? Voi ci credete ancora? Caro mio, se voi dite, chi è, dov’è, che cosa fa, dove si può trovare questo signor Paese ve ne sarò grato. Il Paese siamo io e voi, e l’usciere che sta in anticamera, e la signorina che ricopia lettere di là. Il Paese è tutti, il che vuol dire nessuno. E tanto valgono le nostre idee quanto quelle dei nostri avversarii.

  103. Il pensiero è come il Pròteo della favola, che muta incessantemente d’aspetto, o meglio, poiché non v’è un pensiero unico e fisso, ma una serie infinita di pensieri, incostanti, contradittorii, nessuno può con una parola definire esattamente un uomo; nessun uomo può definire esattamente sé stesso.

  104. Il progresso è la sintesi di tutta la storia umana; chi ne ha sfogliato i libri immortali, ha letto questa parola in ogni pagina.

  105. Il signor di Voltaire, a un parrucchiere che gli dava consigli sull’arte di poetare, rispose: “Mastro Andrea, fate parrucche…” Chiedo a me stesso se il grande scrittore francese non sarebbe stato più accorto consigliando a mastro Andrea di studiare la prosodia!

  106. La ricchezza, assoluta o relativa, non può esser di tutti; è impossibile che quanti prendono parte al giuoco della vita vincano tutti, e che le vincite siano eguali; i giuocatori lo sanno, ma prima che le carte siano date, prima che il dado sia tratto, essi sono tutti in egual grado animati e confortati dalla speranza, e chi perde, se prova un umano senso di dispetto, accetta nondimeno la necessità della sorte, e aspetta la rivincita.

  107. La forma della società resiste per la semplicissima ragione che la maggior parte degli uomini, se concepiscono l’ideale, obbediscono ai dettami della ragione. L’ideale si chiama così perché non attuato e non attuabile; il giorno che fosse attuato, non sarebbe più l’ideale, ma il reale. Questa non è metafisica: è filosofia pratica, perché c’insegna a guardarci dai voli d’Icaro.

  108. La saggezza espressa dal genere umano nella secolare esperienza, ripete ai giovani che la gioventù, la salute, i piaceri, sono tutti beni fallaci e fugaci. Essa raccomanda però quelli morali e promette premii futuri che non sono meno chimerici. Allora perché non dire a quella giovinetta che le esteriori forme da lei ammirate e la stessa sua vita non erano altro che prodotti del principio maligno? Perché non aprirle gli occhi alla verità, se ella pareva tanto intelligente e tanto sensibile?… Non l’avrebbe compresa.

  109. Lo scoraggiamento è da pessimisti, da fatalisti, da pusillanimi. Si accascia chi non ha fibra, chi non ha fede, chi non vede oltre sé stesso, chi non pensa che se il frutto dell’opera sua maturerà troppo tardi perché egli possa gustarlo, lo gusteranno i suoi figli, le generazioni future.

  110. O perché debbo lavorare con zelo a produrre molto, se chi produce meno di me, per incapacità reale o per pigrizia, partecipa esattamente come me al godimento dei beni? Non è meglio prender le cose con più calma, riposarsi spesso ed a lungo?…

  111. Perché si dice che i più violenti rivoluzionarii diventano i più rigidi tiranni? Tra un rivoluzionario e un autoritario che sembrano due uomini assolutamente diversi, incapaci di poter intendersi mai, la differenza non dev’esser poi molto grande, se l’uno è capace di mutarsi nell’altro e l’altro nell’uno. La convenienza, l’utilità, il tornaconto, può suggerire a ciascuno una certa professione di fede, interessata, e perciò soggetta ad esser disdetta col venire meno del vantaggio, ma chi potrà vantarsi d’esser del tutto disinteressato? Muta la qualità dell’interesse: interesse materiale o morale, diretto o indiretto, presente o futuro, reale o immaginario; ma sempre, tra tutte le opinioni che cozzano dentro di noi e che riconosciamo tutte vere, noi ne esprimiamo qualcuna per uno speciale motivo…

  112. Predicare agli uomini la morte, con le parole o con l’esempio è stato e sarà sempre invano. Si può riconoscere il male, ma esso è tale e tanto, che non si lascia vincere. I saggi indiani hanno predicato l’astinenza e decantato il Nirvana: a che pro? Il più coraggioso rivelatore del dolore e del male ha concepito il suicidio della Terra; con quale effetto? Dove sono le opere, le azioni, i tentativi, un principio di esecuzione?

  113. «Signore e signori, c’era una volta un critico il quale, affermando con straordinario calore la superiorità della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso sull’Orlando furioso di Lodovico Ariosto, attaccò molte liti con le persone che non la pensavano come lui, e sostenne perciò uno dopo l’altro non meno di quattordici fortunati duelli; ma al quindicesimo, cadde finalmente col petto trapassato dalla lama nemica. Allora i padrini che afflittissimi lo sorreggevano e aspettavano di raccogliere le sue ultime volontà, lo udirono uscire in questa confessione suprema: “E dire che io non ho ancora letto né l’Orlando furioso né la Gerusalemme liberata!…”.»

  114. Ritenete che “I Vicerè” contenga ancora elementi di attualità? Se sì, quali?

    L’intervento di Simona Lo Iacono ha un valore intrinseco al di là delle parole, in lei avverto, in un certo senso, una scelta “operativa”.
    Ora, per essere in grado di fare una guerra ci vogliono i mezzi, gli strumenti della legalità – per esempio – sono le armi che combattono le forme del male ma, permettimi Simona, laddove le maschere riescono a bleffare al massimo nelle loro performance, è nel far intendere l’esatto contrario delle intenzioni. In questo il siciliano è bravissimo, voglio dire nel fare recitativo con il prossimo, basti pensare che per dire “no” alza ed abbassa la testa nel modo in cui il resto del mondo dice si , mentre, all’opposto, per dare la propria affermazione oscilla il capo destra – sinistra. Chiara contraddizione fra linguaggio del corpo e verbalità.
    Per spiegarmi meglio farò alcune analogie fra autori.
    La suddivisione di Sciascia nelle quattro categorie in cui far rientrare gli uomini è illuminante per la chiave sociale: uomini, mezzi uomini, ominicchi e quaqqaraquà. Di amaro c’è che gli uomini veri sono difficilissimi da individuare, poiché spesso “i fautori del cambiamento” si presentano come tali ma, a ben guardare, appartengono alle mezze tacche, veri e propri lacchè di squallide forme di potere.
    Sottolineo non solo l’elemento pagano, ma l’ateo disperato ormai pericoloso.
    S’intreccia, direi perfettamente, a quest’argomento Luigi Pirandello ed il suo nichilismo così dichiarato quando scrive “L’io, sola realtà vera può sorridere della vana parvenza dell’universo: come la pone, può anche annullarla, può non prendere sul serio le proprie creazioni …”. Comprendiamo, in questo modo, la profondissima incapacità di una mentalità di porsi al di sotto del Cielo (“vana parvenza”) e di bleffare anche in questa direzione, ovvero nel far intendere all’esterno l’accettazione di un atavico destino come fosse una spirale senza uscita non voluta dal soggetto, da sempre vittima, per carità, della “triazzata eterna”. Il male (compreso quello territoriale) è inteso non come una scelta in fondo voluta dalla “non azione” ovvero dalla passività di comodo, ma è davvero inutile dimenarsi di coloro che sperano nel cambiamento. Si aggiunga la malvagità di farli sentire impotenti.

    Allora la mia domanda è: in che cosa vogliamo credere?
    Nel cambiamento dell’uomo? – risposta :Ma vada via . . .
    Nella guarigione della Storia? – Ma mi faccia il piacere . . .
    Nel prossimo? – leggiamoci i proverbi siciliani, quelli si che ci mettono al riparo
    Scusi ma allora nel suo mandato non ha mai creduto “veramente” di poter migliorare la situazione? – Ma che vuoi . . non rompere . . se ti togli dai piedi è meglio per tutti, fai troppe domande, non t’impicciare.

    E qui la scena, il quadro generale, chiamalo come vuoi, si ripete all’infinito: quelli che non hanno resistito se ne sono andati, quelli che sono rimasti hanno goduto, alcuni sono rimasti con la malinconia di poter andare via, altri sono partiti con il rammarico dell’ingiustizia, infine la vita che offre la sua squallida malinconia come fosse una puttana al servizio dei vicerè.
    Ridi?

  115. E dunque, gentile signora Rossella, credo anchio che I Vicerè sia quanto mai attuale, come indica anche la sua chiusura.
    E concordo con la signora Simona Lo Iacono quando indica che questo romanzo di De Roberto pone in luce ‘i cambiamenti dei tempi, la storia che soffia come un’impetuosa e lacrimevole prefica che annuncia cambiamenti, ma si soffia il naso solo per finta, per ostentare una pietà che non le appartiene’.

  116. Spettabile Massimo Maugeri,

    una breve risposta di un lettore Olandese di I Vicerè.
    Mai sentito di Federico de Roberto ero molto sorpreso da una critica positiva del famoso Michaël Zeeman. La recensione nel quotidiano Volkskrant (giornale di qualità) era scritta a causa della prima traduzione in Olandese nel 2005 di ‘De Onderkoningen’
    ( ISBN 90 234 1777 1).
    Le702 pagine l’ho letto in una tirata.
    Mi dava un complemento interessante all’ idea di Catania storica dove io da guida dei viaggi culturali spesso giravo.

    Con qualche altra lettore Olandese ho visitato da “pellegrini a piedi” íl chiostro /università e il cattedrale come luoghi storici (molto distante dal centro)
    A Lecce ho comprato in Italiano una copia scolastica (perciò ridotta ma corredata di note) in un antiquario.

    Anche ho visto sul Tv il filmato del libro. Per un straniero come me una piacevole memoria

    Grazie per la Sua richiesta, perché per me ha evocata memorie molto piacevoli

    Tanti saluti di Tjeerd Visser, già segretaio di Dante Nimega

  117. Direi che è bello e incoraggiante che il nostro De Roberto abbia estimatori anche in Olanda.
    Questo blog è una sorpresa.

  118. Cari amici, in questi giorni mi sono più volte chiesta: ma chi sono i “veri uomini”? Il coraggio, mi ripetevo incessantemente, senza il coraggio di manifestarsi all’esterno non esiste il vero uomo.
    Come un tarlo si affacciava alla mia mente la richiesta di paragonare coloro che quotidianamente e con grande fatica lottano per affermare principi di giustizia, con la baionetta di trincea, non di meno generali graduati al galoppo che precedono eserciti di disoccupati, di persone esasperate da sistemi malfunzionanti, di vittime di prepotenze mafiose e arroganza di malsani governi, per metterli al confronto, i veri uominin, con i ponzio pilato, ed ancora sottolineavo la differenza di chi porta la croce con chi la guarda da lontano tristemente e con un pò di superbia. E ancora gli operatori culturali, gli artisti quali cantanti, scrittori, pittori, attori, registi, dove inizia e dove si ferma la loro azione, se è pur vero che lavorano sulla coscienza collettiva non sarebbe intellettualmente onesto riconoscere i limiti di ogni settore?
    E siccome sono una che si dà anche risposte, non trovando chi me le fornisce all’istante, mi sono detta che l’unione fa la forza e che la GIUSTA considerazione delle persone è opera magistrale, ci vuole un alto grado di ragione, non può essere attuata dai don abbondio che s’incontrato durante la vita e che portano lo scettro di vicerè.
    Così come la virilità di un vero uomo non si valuta dalle prestazioni brancatiane di Paolo il Caldo, piuttosto il vigore di un bel petto villoso è quello di colui che non teme niente, che tristezza amici, che rammarico sentirsi governati dall’elemento che si chiama rovina.

  119. Ho riletto un paio d’anni fa, con la doverosa calma, ”I vicere” e l’ho trovato un capolavoro. Da studente non m’er oaccorto della grandiosita’ di quest’opera. Pensate che e’ tradotto anche in croato…

  120. Da “la Repubblica Napoli” del 13 ottobre 2011. I Viceré. Un romanzo per i 150 anni dell’Italia
    Il romanzo “I Viceré”(1894) di Federico De Roberto – nato a Napoli il 16 gennaio del 1861 da Ferdinando, ufficiale partenopeo, e da Marianna degli Asmundo di Trapani, appartenente a una nobile famiglia di origine catanese – è uno dei 150 grandi libri scelti per la mostra “1861-2011. L’Italia dei libri”. Ostracizzato dalla Chiesa, stroncato da Benedetto Croce, che nel 1939 negò valore al capolavoro dello scrittore (“un’opera pesante, che non illumina l’intelletto come non fa mai battere il cuore”), liquidato in poche righe nei manuali di letteratura italiana di ieri e in quelli più recenti, “I Viceré” è un testo che merita di essere letto per due buoni motivi: perché contiene delle belle pagine e dei personaggi intriganti e perché rientra nel novero dei libri significativi per una rivisitazione obiettiva degli avvenimenti, dei vizi d’origine e delle cause di debolezza che portarono alla mal digerita Unità d’Italia. A differenza dei cattolici che si sono impegnati a divulgare, sia pure in maniera interessata, dolciastra e retorico-consolatoria, “I Promessi Sposi”, la cultura laica e borghese, poco disposta ad accettare una rappresentazione del Risorgimento lontana dalla retorica ufficiale e dall’interpretazione della classe dominante, non si è impegnata a indicare i “Viceré” come un libro importante da studiare e dunque a farlo leggere e a divulgarlo nella scuola, conferendogli un valore e salvaguardandolo, in virtù della sua visione dell’uomo e della società, che solleva problemi e temi, i quali, con il passare del tempo, invece di sgretolarsi, si sono come gonfiati e amplificati. Attraverso la nobile famiglia catanese degli Uzeda, litigiosa ma compatta nell’adeguarsi al momento storico che segna il passaggio dal Regno borbonico a quello sabaudo, Federico De Roberto smaschera l’avidità, la corruzione e il trasformismo della classe aristocratica dell’Isola intesa come metafora dell’intera nazione. Narrando in particolare le vicende di alcuni personaggi impegnati in politica come il duca d’Oragua e Consalvo Uzeda, incapaci per nascita di percepire un movente diverso da quello dei propri vantaggi immediati (“Ora che l’Italia è fatta, dobbiamo fare gli affari nostri”) e l’esistenza degli altri, lo scrittore esprime bene l’animus dei ceti dominanti che si ripropongono in contesti politici mutati per esaltare il più rapidamente possibile i propri ruoli e i propri centri di potere e di influenza. Prefigura il familismo amorale e un’idea della politica intesa come attività cinica, corrotta, retorica, gioco verbale, arte dell’inganno, che negli anni a venire avrebbero dominato nel Paese, contribuendo ad appiattire acriticamente le masse subalterne della Sicilia e del Meridione alle ragioni dei potenti, lasciando soli quanti propongono spinte innovative e modernizzanti: “Consalvo non ne poteva più, sfiancato, rotto, esausto da una fatica da istrione: parlava da due ore, da due ore faceva ridere il pubblico come un brillante, lo commoveva come un attor tragico, si sgolava come un ciarlatano per vendere la sua pomata”. Di qui la cinica filosofia della storia dello scrittore, il materialismo inconsapevole di chi crede che gli uomini “sono stati, sono e saranno sempre gli stessi” e la storia non li cambia, perché la storia non persegue alcun disegno e non tende a un fine. I cambiamenti politici sono solo apparenti: contano i rapporti basati sull’economia. “I Viceré”, come tanti altri classici italiani non letti, compresi e metabolizzati, vittime di una scuola attardata a fornire ai giovani una cultura letteraria autoreferenziale e astratta, non sono diventati un libro “contemporaneo”, patrimonio culturale comune e condiviso, strumento per conoscersi e vivere meglio. Forse è un po’ anche per questo che il nostro è un Paese spesso apatico e feroce, assediato oggi, come ai tempi in cui scriveva Federico De Roberto, da una realtà intessuta di individualismo e di egoismo, di opportunismo e di pigrizia delle istituzioni, di intolleranza e di sopraffazione. LORENZO CATANIA

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