Ogni anno ha il suo fascino. Ogni anno ha le sue luci e le sue zone d’ombra. Eppure ci sono anni che riescono a infilarsi meglio di altri nelle pieghe dell’esistenza. Per Roberto Alajmo il 1982 rientra nella suddetta categoria.
“1982” (pagg. 167, euro 10) è il titolo di un volume edito di recente da Laterza e che fa parte dell’ottima collana “Contromano” dove Alajmo, peraltro, è già presente con “Palermo è una cipolla”.
In queste “Memorie di un giovane vecchio”, questo il sottotitolo, l’autore siciliano passa in rassegna il suo personale 1982 per spaziare, poi, dalla politica al cinema, dallo sport alla televisione, dalla musica alla letteratura, disegnando abilmente una fitta rete di incroci tra le esperienze del singolo e fatti e avvenimenti di interesse collettivo.
Non v’è dubbio che in Italia, quando si parla di 1982, il pensiero corre al Mundial spagnolo vinto dalla mitica nazionale di Bearzot. E agli azzurri campioni del mondo è dedicato un importante capitolo, sebbene l’autore del volume – come racconta egli stesso – fu costretto a seguire alcune delle partite più importanti attraverso una misera radiolina “su una torretta a fare la guardia al nulla”. Sì, perché il 1982 è anche l’anno in cui Alajmo presta il servizio di leva; quello in cui i capelli cominciano a incanutirsi e la ragazza gli volta le spalle.
Anno importante, si diceva. Passano a miglior vita gente del calibro di Philip K. Dick, Gilles Villeneuve, Ingrid Bergman, Grace Kelly. Nascono i calciatori Adriano, Kakà, Gilardino, Cassano, la valletta Eleonora Pedron e il motociclista Marco Meandri. Vanno in onda i canali televisivi Italia 1 e Rete 4. Debutta Radio Deejay. Viene al mondo il primo bambino in provetta, va sul mercato il compact disc, mentre la rivista “Time” assegna il titolo di uomo dell’anno – con tanto di foto – a un personaggio particolare: il computer.
Alajmo dimostra ancora una volta che è possibile scrivere ottimi libri affidandosi a una scrittura leggera, frizzante e ironica (persino autoironica). Una scrittura che sa essere lieve anche quando si misura con il racconto di storie dure e traumatiche: dalla guerra delle Falkland a quella del Libano, dall’omicidio di Pio La Torre a quello di Carlo Alberto dalla Chiesa, dallo scandalo del Banco ambrosiano al suicidio di Roberto Calvi.
Notizie, quelle citate, che sfiorano l’autore senza riuscire a coinvolgerlo fino in fondo. Effetto dei risvolti alienanti del servizio militare; almeno fin quando un esaurimento nervoso “salvifico” (“Se mi date un’altra volta un fucile in mano, io mi ci sparo”) non riesce a sottrarlo dalle grinfie della caserma.
“Che poi”, scrive in chiusura Alajmo, “a pensarci col senno di poi, non è stato affatto così tremendo. Malgrado tutto il resto, la mia vita è risultata tutto sommato felice, a partire da quell’anno e per tutti gli anni che sono venuti di seguito, discendendo, per quanto mi riguarda, proprio dal 1982. Ecco, in sintesi, come è andata a finire. O era del mondo, che vi interessava sapere?”
Massimo Maugeri
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1982 di Roberto Alajmo
Laterza, Contromano, 2007
pagg. 167, euro 10
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Cari amici,
vi invito a intervenire in questo post:
– dialogando con Roberto Alajmo, in merito al suo libro;
– provando a raccontare il “vostro” 1982 nello spazio di un commento (cos’è stato quell’anno per voi? avete ricordi particolari? aneddoti o esperienze da raccontare?).
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Di seguito avrete la possibilità di leggere il primo capitolo del libro che presentiamo.
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E poi un’anticipazione sul nuovo romanzo di Alajmo che uscirà a breve per Mondadori. Il titolo è: “La mossa del matto affogato”. Un romanzo dove, con implacabile leggerezza e ironia, si racconta la disfatta di un avventuriero, mostrando l’estraneità improvvisa che talvolta possono riservare i rapporti affettivi.
Ho letto qualche brano del libro e vi assicuro che è davvero molto particolare, anche per via della scelta tecnica di improntare la narrazione con l’uso della seconda persona.
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(PER GENTILE CONCESSIONE DELL’EDITORE LATERZA, PUBBLICHIAMO IL PRIMO CAPITOLO DEL LIBRO “1982 – MEMORIE DI UN GIOVANE VECCHIO”, DI ROBERTO ALAJMO)
PROLOGO
NON È UN CAPELLO
In questi casi, il classico dei classici è svegliarti una mattina, andare in bagno, sciacquarti la faccia e scrutare nello specchio. Dopodiché accorgerti di qualcosa e avvicinarti ancora un po’ alla tua immagine riflessa per accertarti di aver visto bene. Non può essere. Sì che può essere.
Sì, effettivamente.
C’è.
Il capello bianco. C’è. Il capello bianco c’è.
Dev’essere spuntato durante la notte. Non c’è altra spiegazione possibile, perché ieri non c’era e oggi invece sì. Cerchi di consolarti pensando che prima o poi doveva succedere. Minimizzi, ti sforzi di prenderla con ironia. Certe volte funziona. Dipende. Rimane comunque da stabilire come regolarsi ora che è successo. Poi verrà il tempo delle eventuali tinture, ma lì per lì l’istinto porterebbe a prenderlo con due dita e cercare di estirparlo, prima che la sua presenza possa contagiarsi agli altri capelli, rinviando così almeno di qualche giorno la svolta psicologica che si prospetta nella tua vita, una soglia paragonabile al compimento dei venti, trenta, quarant’anni. Quando scopri che ti è spuntato il primo capello bianco sei portato a fare riflessioni di un certo spessore, stilare bilanci, formulare propositi. Se non ti viene in mente nulla di significativo da tramandare almeno a te stesso vuol dire che sei davvero povero di spirito. Strano: dai capelli bianchi ci si aspetta che siano forieri di saggezza, oltre che di depressione.
Oppure, se riesci a resistere al primo istinto distruttivo, dopo avere individuato e preso fra due dita quell’unico capello bianco, ti fermi a indugiare sulla sorte che deciderai di destinargli. E alla fine lo lasci vivere, nel ricordo di quella scaramanzia che intima: sette capelli bianchi ricresciuti per ognuno strappato via. La rappresaglia tricologia funge da deterrente, ma i sette capelli bianchi dopo una settimana probabilmente ti spunteranno lo stesso, crudeli come certi nazisti da film, che malgrado il sacrificio dell’eroe, davano ordine di procedere lo stesso con la fucilazione degli ostaggi.
Così succede, di solito. Comunque si voglia reagire, il giorno della scoperta del primo capello bianco è di quelli cruciali, da segnare nel calendario della tua vita a caratteri maiuscoli. Neri e maiuscoli.
Nel mio caso, però, la dinamica è diversa. Niente risveglio, niente specchio, niente soprassalto alla scoperta del singolo capello bianco, né tentazione di strapparlo via. Tutto è successo in un periodo in cui non mi guardavo mai allo specchio. Diciamo quasi mai. Mi trascuravo un po’, o forse la cura dell’aspetto fisico era diventata meno importante. Da qualche mese la mattina avevo ridotto al minimo le abluzioni e persino le funzioni corporali per cercare di guadagnare tempo e presentarmi puntuale all’adunata del mattino. Perché sì: era il periodo del servizio militare. Non che mi piacesse indugiare a letto dopo la sveglia. Tutt’altro. Anzi, quando mi capitava di svegliarmi anzitempo, correvo in bagno e mi lavavo prima degli altri. Questo perché dieci minuti dopo il suono della tromba, nei bagni si creava un ingorgo umano cui cercavo sempre di sfuggire, provando a scansare la pesantezza dei primi scherzi da caserma della giornata.
Il mio sistema consisteva nell’indossare la divisa prima ancora di lavarmi. E solo poi, quando la maggior parte degli altri era intenta alla vestizione, quando l’ingorgo si scioglieva, andavo in bagno e mi immischiavo ai ritardatari ancora in mutande, io che già indossavo persino il basco d’ordinanza, per non lasciarlo in camerata col rischio che me lo fregassero. Si fregavano tutto, pure i baschi. Per non bagnare i vestiti mi lavavo alla meno peggio, limitando al massimo il contatto con l’acqua gelata, oltre che coi commilitoni. Non mi piacevano i commilitoni. Per niente. Né loro, né la situazione in cui mi trovavo. E per la verità, sospetto, nemmeno io piacevo a loro.
Insomma, in quel periodo allo specchio mi guardavo poco, e malgrado l’ora di punta ai bagni fosse passata, mi restava poca voglia di indugiare nella cura del dettaglio estetico personale. Inoltre, per il motivo che ho detto, quando mi capitava di guardarmi allo specchio, il più delle volte indossavo il berretto. Quindi, il giorno in cui il famoso Primo Capello Bianco ha deciso di spuntarmi sulla testa, io me lo sono perso in pieno. Non ho dovuto mai affrontare il dubbio strappo-non strappo, per il semplice motivo che quando me ne sono accorto, i capelli bianchi erano diventati già troppi per essere affrontati in termini di sterminio collettivo.
Non è neppure escluso che possano essere diventati bianchi tutti assieme, magari in un momento di particolare stress. Dicono che succeda. O almeno succede nei romanzi dell’orrore: vedi un fantasma, e all’improvviso ti si imbiancano i capelli. Per quanto riguarda me, tuttavia, non c’è stato nessun fantasma, nessun istante di stress particolare. Si tratta di un momento difficile da individuare, perché tutto quel periodo era di particolare stress. La chimica che presiede a questo genere di mutazioni è imperscrutabile, e difatti non ricordo un inciampo particolare o uno di quegli spaventi che provocano, secondo la leggenda, l’imbiancamento repentino Può darsi che sia stato così: ma non lo so; per il semplice motivo che, non guardandomi allo specchio per lunghi periodi, non potevo accorgermene.
Né potevo sperare che se ne accorgesse qualcuno dei miei compagni d’arme; guardarsi reciprocamente, notare un dettaglio nell’aspetto personale di un altro era non proibito, ma di sicuro fuori luogo, indizio sicuro di effeminatezza. Ergo: né io guardavo gli altri, né gli altri guardavano me. Vivevamo con un paraocchi che ci ostruiva ogni visione laterale. Potevamo vedere solo gli oggetti che ci si presentavano frontalmente, individuare solo i beni di prima necessità e soddisfare solo bisogni primari: bere, mangiare, respirare. Stop: anche gli altri bisogni primari, come vedremo, potevano essere sospesi. Solo esercitando un letargo dell’intelligenza e dello spirito potevamo garantirci l’unico obiettivo possibile, nel contesto, ossia arrivare alla fine dei trecentosessantacinque giorni che ci toccava trascorrere in caserma. Cioè, sopravvivere. Ogni altra attività si configurava come un lusso e dunque, ancora, come indizio di effeminatezza. Leggere era effeminato, ascoltare musica era effeminato, persino andare in chiesa era considerata una manifestazione di effeminatezza. Guardare i capelli degli altri sarebbe stato il massimo dell’effeminatezza. Per cui non so se qualche mio effeminato commilitone si è accorto del fatto che i miei capelli erano diventati bianchi. Di sicuro nessuno mi ha detto niente, finché sono rimasto in caserma. Nemmeno io l’avrei fatto. Se mi fossi accorto di una mutazione del genere su un mio commilitone, me ne sarei stato zitto. Non volevo certo passare per effeminato.
È stata la mia fidanzata di allora, Maria, che se ne è accorta quando mi ha rivisto dopo quasi un mese, in occasione della prima licenza. Mi ha guardato senza espressione e ha detto:
– Hai i capelli bianchi.
Così ha detto. Senza un punto esclamativo alla fine, senza ironia o tenerezza. Senza allarme o compatimento. Come una pura e semplice constatazione. Io sono caduto dalle nuvole:
– Che dici?
Naturalmente sono corso allo specchio più vicino per verificare l’entità del danno. Lei non mi ha seguito, è rimasta ad aspettarmi in soggiorno. Il suo restare, contrapposto all’ipotesi di seguirmi con amore, avrebbe dovuto rivelarmi molte informazioni che per il momento era meglio ignorare. Un problema per volta. Sono andato in bagno da solo e ho guardato i miei capelli. La proliferazione di quelli bianchi era molto più avanzata di quanto potessi immaginare, tanto che mi sono chiesto distintamente come avessi fatto a non accorgermene prima. Ho mosso la testa passando le dita fra i capelli per verificare che non fosse uno scherzo della luce riflessa, ma no: quelli bianchi erano davvero moltissimi. Non proprio maggioranza, ma di sicuro, almeno, minoranza più che qualificata. Spiccavano sul nero in maniera uniforme, senza zone di concentrazione. Impensabile procedere a un’estirpazione individuale.
Ho immaginato che fosse successo la notte prima, ma ho dovuto ammettere di fronte a me stesso che non era affatto probabile. Poteva essere successo una notte qualsiasi del mese precedente, oppure anche un poco alla volta, nell’arco dello stesso periodo. La sostanza non cambiava. La sostanza era che i miei capelli avevano cominciato a imbiancare in maniera drastica.
La scoperta è bastata a rovinare l’incontro con Maria, incontro che pure avevamo (avevo) desiderato con spasmi di passione inediti, se si considerano i precedenti del nostro rapporto. Lei stessa, che nei primi tempi fra noi era quella più innamorata, stentava a riconoscere quella retorica passionale di cui farcivo le lettere che le spedivo dalla cattività. A Orvieto, dove espiavo il periodo del cosiddetto CAR, vivevo in una solitudine animalesca, circondato da creature primordiali, prive di qualsiasi sensibilità umana. In quei trenta giorni mi ero aggrappato al ricordo di Maria in maniera disperata, fino a capovolgere i ruoli consolidati nel nostro rapporto, dove fino ad allora io ero stato la parte più sfuggente. Per forza: lei era tutto ciò che rimaneva del mio passato di essere umano per cultura e sentimenti. Lei era la mia ancora di salvezza. Lei e I., naturalmente. Ma quello di I. è un altro discorso, che affronteremo al momento opportuno.
Quando sono tornato in soggiorno Maria era ancora dove l’avevo lasciata. Io ho detto solo:
– E’ vero, sono tutti bianchi.
Al che mi sarei aspettato che lei rispondesse: Ma no, ma che dici, non tutti, sono solo un po’ bianchi. Invece lei non l’ha detto. Non ha nemmeno abbozzato qualcosa che somigliasse a una forma di consolazione. Mi ha risposto:
– Eh, te l’ho detto.
Dopodiché la conversazione fra noi ha preso altre strade, strade più convenevoli, tralasciando del tutto la scoperta dei capelli bianchi. Col senno di poi, posso dire di non ricordare nulla, di quel che abbiamo detto. Posso anzi dire di non avere mai saputo nulla, di quella conversazione. Non si ricorda, tecnicamente parlando, qualcosa che all’inizio si ricordava: ma non è questo il caso. Lei parlava e io non ascoltavo. Ero distratto. La mia mente era dirottata su quell’unico binario possibile: i capelli bianchi. Mi erano venuti i capelli bianchi.
Nella maniera certo approssimativa dei ventenni, mi rendevo conto di avere appena varcato una soglia biologica impercettibile e fondamentale, però. Il mio corpo aveva cominciato a invecchiare. Stavo mutando. Era cominciata una metastasi incruenta che però sempre metastasi risultava. E il destino di quella mutazione sapevo quale sarebbe stato. Il destino innominabile, lontanissimo, eppure, a partire da quell’indizio che avevo appena scoperto, un po’ più vicino.
Mentre Maria parlava, io pensavo ai fatti miei. Per la precisione: cercavo di capire che cosa avesse provocato quella proliferazione di capelli bianchi. Doveva per forza esserci un motivo scatenante. Doveva esserci e dovevo scoprirlo. A un certo punto la mia ragazza – il mio ingrizzo, si diceva a Palermo in quegli anni – mi ha richiamato all’ordine dei discorsi che stava facendo. Discorsi più che impegnativi, che riguardavano la fine dell’amore e altri dispiaceri di minor conto. Le circostanze mi spingevano ad abbandonare l’indagine sui motivi della canizie. Ma una parte di me, mentre Maria mi stava lasciando, non smetteva di ruminare. Non vale la pena di pensarci, mi dicevo. Ormai è successo, amen. Ora la mia ragazza mi sta dicendo che ha deciso di lasciarmi, concentriamoci su questo. Fin quando, effettivamente, Maria ha ottenuto la mia attenzione ed è riuscita a farmi il discorsetto che si era preparata, alla fine del quale mi sono ritrovato single, oltre che vittima di una canizie già in stato di avanzamento. È stato allora che ho scelto di stabilire delle priorità, lasciando perdere le riflessioni sui capelli e concentrando piuttosto ogni sforzo per rimediare al nuovo stato di solitudine sentimentale.
A distanza di tempo, tuttavia, mi viene il sospetto di aver sbagliato nella selezione delle priorità. Forse, se non avessi lasciato perdere, se avessi proseguito le indagini nell’immediatezza dei fatti, sarei riuscito a scoprire il motivo per cui avevo cominciato a invecchiare. Addirittura, una volta scoperto il movente, avrei potuto intervenire sulle cause e risolvere il problema alla radice, restando giovane ancora per un po’, se non per sempre, come allora credevo possibile. Non l’ho fatto, e ancora me ne dispiaccio.
Arrivano però momenti della vita in cui bisogna tornare indietro e riflettere. Come quando in autostrada si scopre che bisognava imboccare una certa uscita. Ormai è troppo tardi, siamo andati troppo avanti, non si può tornare a marcia indietro. Tuttavia è possibile uscire dall’autostrada successivamente e tornare indietro percorrendo strade secondarie. Strade, certe volte, addirittura divergenti rispetto alla nostra destinazione. Non solo è possibile tornare indietro, ma addirittura bisogna farlo. Non c’è altra possibilità. Chi l’ha detto che ormai è troppo tardi? Non è passato poi troppo tempo. Non stiamo parlando di un passato talmente remoto da non poter essere ricostruito, almeno per sommi capi.
Per cui, ho deciso. È arrivato il momento di portare a termine l’indagine lasciata in sospeso a suo tempo e capire perché i miei capelli sono diventati bianchi proprio allora. Scoprire dove è cominciata la mutazione, e con la mutazione la china discendente. Dove io ho sbagliato a imboccare l’uscita dall’autostrada. E forse non solo io: è il genere umano, l’intero pianeta terra che a partire da quel momento ha iniziato a perdere la sua innocenza. È ora di tornare indietro, al dove, al quando e al perché.
Cominciamo a inquadrare l’anno.
Era il millenovecentottantadue.
Mi raccomando, leggete con attenzione il post.
Mi piacerebbe che si sviluppasse un bel dibattito su questo libro di Roberto.
Roberto Alajmo interverrà a partire da domattina (credo). Vi invito a dialogare con lui.
Partecipate tutti a questa sorta di gioco: RACCONTATE IL VOSTRO 1982
Ripeto le “indicazioni”: cos’è stato quell’anno per voi? avete ricordi particolari? aneddoti o esperienze da raccontare?
Va bene rievocare anche fatti, aneddoti, ricordi sia personali che d’interesse collettivo.
Ringrazio ancora Roberto Alajmo e Laterza per la “concessione” del primo capitolo.
La prima domanda per Roberto la formulo io.
Come nasce l’idea di questo libro? Ed è venuta in mente a te, o a Laterza?
Intanto vi saluto e vi auguro una buona notte.
Do’ un caldo bentornato a Roberto Alajmo (era ora di rivederlo su Letteratitudine!), precisando che io ritengo i miei tanti capelli bianchi – sin da quando ne vidi il primo – una cosa naturale e bella come le rughe e come tutto il resto: semplici testimonianze del mio essere vivo qui ed ora, come d’altronde ieri e avantieri.
Belli come la vita che li fa mutare, i capelli. E anche se cadono. Bello che siano stati sulla mia testa da poco. Solo cio’ che e’ morto non cambia e non si muove: i sassi (che non si muovono anche se cambiano colore) ed i cretini (che si muovono ma non cambiano). Pero’ spesso penso che i sassi siano meno cretini dei cretini, anche se i sassi stanno fermi.
Cosa ne pensa, Lei, Alajmo, di questo? Sono piu’ cretini quelli che si preoccupano per i capelli, le rughe, la tonicita’ dei muscoli, la moda, o i sassi?
Il 1982 e’ l’anno che mi ricorda diverse cose, infatti, per restare in argomento d’estetica: la New Wave musicale decadente ed estetizzante; il dandismo imperversante in Italia per la prima volta dalla nascita del Belpaese. Paninari e pancalternativi. Uguali e contrapposti. L’era del frivolo inizia di soppiatto, dopo l’era del piombo bollente (Moro, Bierre, follia estrema). E l’Ottantadue e’ momento stupidamente dorato, per l’Italia: soldi facili per tutti, tranquillita’ e speranza economica nel futuro, insieme all’inizio della fine della nostra intelligenza autoctona. La fine e l’inizio.
Saluti Cari
Sergio Sozi
Ho letto il testo e mi sono divertita da matti. Complimenti.
Mi pare di aver capito che per lei, Roberto, il 1982 è stato una specie di spartiacque. L’anno che divide la spensieratezza dall’inizio delle preoccupazioni. E’ così?
Signor Sozi, alla vista dei primi capelli bianchi mi sono molto rattristata. Anzi, mi è preso un colpo. Oggi me li tingo, i capelli.
Penso che siano più cretini i sassi. E mi fermo qui.
@massimo: l’idea di un reportage dal tempo, anzichè dallo spazio è venuta a Laterza, che mi ha commissionato il libro. Io ho scelto l’anno, perchè sì, @marta, è un anno di cesura fra i settanta e gli ottanta, fra la mia adolescenza e la maturità.
Infine, @sergio: i capelli bianchi sono una metafora sprecata, passando dalla mano degli esteti a quella degli estetisti. Il mio barbiere me lo dice ancora oggi, sempre:
– Dutture, quando dice lei ci faccio una cosa ca nun si vire.
Parla della mia canizie, ma io dico: Se non si vede, a che serve? E se si vede: che vergogna!
“Io sono un uomo/ tutti mi chiamano Joe Il Temerario/
faccio mille acrobazie col mio aeroplano
e diecimila volte ho già toccato il cielo
perchè come un falco io
arrivo a tremila metri e poi mi butto giù in picchiata
Ma che emozione ogni volta sfidare la vita
rotolando nel cielo sopra il mio aeroplano
Ma ogni sera resto solo, come stasera sono solo
cosa dici andiamo al cinema/ magari a fare un volo
ma perchè non sorridi?
presto dammi un bacio, presto dammi un bacio.”
Ron – Joe Il Temerario
…
L’82, non avevo un capello bianco, maledizione!
Ventotto anni, il mio rapportarmi all’ombra di papà che aleggiava ancora forte, tra i mobili, tra le cose, le foto di “lui”,lui, il migliore, perchè era stato veramente il migliore. Chissà, se andando avanti avesse potuto fare un errore, dire una parolaccia, o solamente guardarmi negli occhi e abbandonare la sua timidezza, e dirmi “ti voglio bene”.
Se ne era andato alla feta del papà, un anno prima, non li avea cinquantanni e neanche i capelli bianchi; quel suo pizzo in fronte, geometrico, come quello di Tyron Power; il suo sorriso americano, come quello di James Stewart.
Tutti mi chiamano “Joe il Temerario”. Facevo mille acrobazie per somigliare a lui, ma avevo la faccia da ragazzino;il sorriso implume.
“Giovanotto, il suo principale quado viene?”
Ero io il principale, mica un ragazzino.
“Tra poco mi sposo, signora! Non crederà che sono un ragazzino?”
Ma nell’82 eravamo tutti un po’ ragazzini e credevamo alle favole.
Quando arrivò la favola a lieto fine, quando il vecchio presidente si alzò per sbeffeggiare quel suo nipote re di Spagna, mi ricordai che ero ancora un ragazzino e piansi tranquillamente, però di nascosto, l’altra favola, quella dell’impegno politico e della dolcezza rivoluzionaria ostentata era finita, erano cominciati gli anni da”bere”, del chi ce l’aveva più duro.
M’incatenai alla vita quell’anno, come un mollusco “deve” fare con la valva. In viaggio di nozze i suoi occhi neri brillavano come gioielli in una casaforte con lo sportello aperto, non sapevo ancora che fossero miei, “se” fossero miei. E continuavo a cantare “Io sono un uomo/ tutti mi chiamano Joe Il Temerario”.
E canto ancora, mentre mi guardo allo specchio e non vedo capelli bianchi.
…
Saluto Roberto Alajmo.
Risposta eccellente, Roberto. Grazie. Il colorarsi i capelli e’ un’ottimo esempio, rappresentando un mascheramento che se non si vedesse sarebbe inutile altrettanto che se fosse evidente. Tanto vale lasciar la natura fare il proprio corso: metafora (tu m’insegni) vuol dire ”portare oltre” e ogni cambiamento ci porta oltre lungo la vita. Metafora, trapasso, metastasi. Passaggio e passaggi. E gli anni Ottanta furono appunto il passaggio da un’Italia ancora vera e verace ad un’Italia che moriva se non si cambiava i capelli. Sotto il colore, arrivava il nulla che vediamo oggi: ”Shampoooooo” canta Gaber. Noi, mafiosi sempervirens, solo il colore della facciata possiamo cambiare.
Attendo anche il tuo nuovo per Mondadori sperando di riuscire a farmelo mandare qui a Lubiana
Salutoni
Sergio
Cara Marta,
non ci resta altro che chiedere un’opinione ai sassi. Ma avrei paura di una loro risposta. Sa, l’intelligenza a volte abita i luoghi meno aspettati. Anzi, soprattutto.
caro roberto, ero nella tua palermo nei giorni scorsi.
pensavo ai tuoi post, quando alcuni amici mi parlavano del pizzo e di piaghe varie, e di sempre.
m’avessero chiesto un reportage nel tempo io, di sicuro (e poi l’ho scritto, più volte) avrei scelto l’82 e anche l’83, l’anno di vacanze romane dei matia bazar.
il 1982, per me, significa la scelta: ogni pomeriggio la fabbrica, ogni mattina l’università, ogni notte lo studio e 3, 4 ore di sonno (ci si abitua: basta convinvere, poi,da svegli, con un senso di rincoglionimento che magari la gente scambia per sangue freddo, o calma).
comunque.
una mattina mi svegliai e contai sei capelli bianchi tra gli altri, castano scursi e quasi neri.
non mi piacque, la cosa, e li strappai: perché erano tutti sul lato sinistro.
non c’era logica.
nell’82 lessi il primo dostoevskij, in treno, e La mia vita di Freud.
fu l’anno del treno, quello.
mica facile imparare a sottolineare in treno.
fu l’anno folle, quello: treno, università, treno che mi riporta a casa, casa, un panino con la mozzarella, veloce veloce, poi l’autobus, poi la fabbrica, tutti i giorni dalle 14 alle 22, poi l’autobus, poi la casa, un quarto d’ora con mia figlia, poi una caffettiera da tre e tante marlboro una dietro l’altra per star sveglio fino alle 3, poi 3 ore di sonno, a volte 4, poi alla stazione, prima del treno Vercelli-Torino, il juke boxe.
(ma vacanze romane è del 1983, mi sembra).
fu l’anno folle, quello, dicevo: niente cinema, niente teatro.
tutto Pascoli, invece: che è stata una bella riscoperta: mica è il poeta che ti spiegano male a scuola.
buone cose
un saluto a tutti
un saluto a Roberto Alajmo, scrittore che stimo: per la penna e per l’impegno.
(son le 3 e 23: l’abitudine alla notte è rimasta)
ciao massimo, mi hai chiesto di raccontare, giusto?
se non va bene, cancella(mi) pure.
Vedo che non si dorme mai, su questo sito.
Siete molto affettuosi, e specialmente Remo. Grazie.
Il fatto è che per quel segnalibro esistenziale che volenti o nolenti rappresenta un mondiale di calcio (e soprattutto un mondiale di calcio vinto) più o meno tutti ci ricordiamo che facevamo nel 1982, così come tutti ci ricorderemo cosa facevamo nel 2006.
Difatti io ho un buco nero sia in corrispondenza del 81 che dell’83.
Vedete che il calcio a qualcosa serve?
Massimo, lo cambi il link con il mio forum? Ora è http://www.robertoalajmo.it
Siete invitati.
E’ vero. Fu l’anno dei mondiali. Ricordo che i genitori ci dipinsero le faccine abbronzate di verde, bianco e rosso. Erano giovani, i genitori, più giovani di me adesso.
E fu l’anno dell’uscita della “Casa degli spiriti” di Isabel Allende.
Susanita, una zia Argentina trapiantata in Sicilia e per questo ottima affabulatrice (parlava un misto di siracusano e spagnolo cui si inorgogliva di aggiungere – con vezzo – aforismi in latino , risultando il più delle volte incomprensibile) ce lo lesse in lingua originale :”La casa de los espiritus”.
Sapevamo ormai a memoria anche i versi di Neruda che aprono il romanzo:
”Ma quanto vive l‘uomo?
Vive mille anni o uno solo?
Vive una settimana o più secoli?
Per quanto tempo muore l’uomo?
Che vuol dire per sempre?”
–
Ecco. Era il 1982. Un anno è soprattutto l’occasione per ricordare. Per vedersi scorrere dietro il tempo che è passato. Per chiedersi: ma quanto vive l‘uomo?
Io , allora, credevo che vivesse per sempre.
Avevo dodici anni.
1982. L’anno della maturita’, l’anno delle decisioni, l’anno dei mondiali. Studiavamo come pazze io e Loredana in quei giorni d’estate mentre la nazionale del mitico Bearzot scandiva la marcia trionfale verso quella finale da campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo.
Il giorno dopo la kermesse studiammo comunque, io e Loredana, ma studiammo vestite e addobbate in bianco, rosso e verde, con le bandiere che sventolavano sui balconi e le mamme che ogni tanto ci portavano il conforto di una bibita fresca. Ricordo le discussioni su cosa fare all’universita’. Tutti i compagni di scuola puntavano economia e commercio, medicina, giurisprudenza. Noi no, noi Lettere. La laurea che non serve a niente, quella che non ti da sbocchi, quella degli scansafatiche. Non ci importava, noi volevamo scrivere e addentrarci nei meandri della storia. Seguimmo l’istinto. Primo esame, prima sessione, anno accademico 1982/83, storia dell’India e dell’Asia Centrale: voto alto per tutte e due, grande soddisfazione, un nuovo inizio e l’impressione di avere tutta la vita davanti per stupire noi stesse e gli altri.
Laura
Un salutone a Roberto (ora due culle nella libreria! fate qualcosa per lo stipendio dei docenti!) che coi capelli ‘bianchi’ mi pare ugualmente assai ‘fico’. Pensavo di non saper nulla dell’annata in questione finché non avete detto: mondiali. Fatti due conti con l’alzheimer ero di licenza liceale. Di quell’anno dunque ricordo: un mese e passa di sparate a scuola, il programma d’inglese I-V fatto in un mese (ero arrivata a sognare in ‘lingua’), il 9,50 al tema di stato (che mi parò dal 3 in matematica permettendomi un 56 in uscita). Un fidanzato assai bello. Le sparate in conservatorio. Basta. mi sa che devo proprio leggerlo il libro di Roberto, magari mi torna in mente il mondo che mi viveva intorno, ma ci spero poco…
Buona giornata a tutti e grazie per i vostri commenti
@ Marta e Sergio
Marta, non ci trovo nulla di male nel vedere una donna tingersi i capelli. Credo che Sergio, con la sua provocazione, intendesse stigmatizzare gli eccessi di una società edonistica che oggi più che mai pare puntare tutto sull’aspetto esteriore.
Buona giornata a entrambi.
Caro Roberto, benarrivato!
Sul post il tuo nome era già linkato al tuo nuovo forum (che consiglio a tutti di visitare). In effetti mi ero dimenticato di aggiornare la sezione link, ma ho già provveduto.
Grazie per le risposte.
@ Remo
Caro Remo, hai fatto benissimo. Vi ho chiesto io di raccontare (nello spazio di un commento) alcuni “sprazzi” del vostro 1982.
Mi piaceva l’idea di creare questa sorta di parallelismo con il libro di Roberto.
Ti ringrazio.
Ha ragione Roberto quando sostiene che i mondiali di calcio spagnoli costituiscono una sorta di pietra miliare della memoria (probabilmente sarà lo stesso con quelli del 2006… anche se nell’82 facemmo fuori – in maniera del tutto inattesa – la super corazzata brasiliana).
Io stesso penso all’82 appigliandomi ai ricordi del mundial. Tra le altre cose ricordo un gran caldo. Un caldo infernale. Rivedo me stesso, quattordicenne, steso nel letto a boccheggiare e a rigirarmi tra le lenzuola nelle notti roventi di quell’estate.
A quel tempo non avevamo i climatizzatori in casa.
caro massimo, avrei tanto da dire sul mio 1982, basta dire che in quell’anno compivo diciott’anni, e, per un disabile, i 18 anni sono spesso una disgrazia, le frustrazioni aumentano etc etc.., ma fra un paio d’ore parto per sharm, quindi devo rimandare il mio resoconto al 7-8 aprile, sempre che torni…
@cinzia, anche per me fu l’anno della maturità, tu 56? io 60! tiè!!!! scherzo ahahh (scherzo sul tiè, non sul 60!!)
CIAOOO
@ Roberto
Come ho precisato nella recensione anche l’altro tuolibro edito da Laterza (Palermo è una cipolla) fa parte della collana “Contromano”.
Ti sei divertito (e appassionato) di più a scrivere “Palermo è una cipolla” o”1982″?
Caro Giovanni, ti saluto affettuosamente e (con un pizzico di invidia) ti auguro buona vacanza.
Il nostro Roberto è tornato da una bella parentesi vacanziera sul Mar Rosso.
(Ragazzi, sento anch’io l’esigenza di una bella vacanza!)
@ Roberto
Altra domanda.
Quanto tempo hai impiegato a scrivere “1982”?
I cellulari non esistevano. In casi estremi, allora, il capocronista si affacciava alla finestra e strillava “buttate via il caffé e correte”.
Ma i casi estremi non erano certo gli omicidi. Quelli, anche nel 1982, erano routine.
Ma sabato mattina 9 ottobre 1982 il capocronista si affacciò e strillò a squarciagola. “Alla Sinagoga, cazzo!”
Non finì di urlare che vedemmo volanti, gazzelle, pompieri a sirene spiegate volare verso Lungotevere.
Al bar eravamo in quattro, e tutti e quattro ci tuffammo in una macchina. Velocità massima, contromano se serviva.
E arrivammo presto. In tempo per vedere ancora il fumo. Per sentire ancora l’odore delle granate che un commando arabo aveva lanciato contro gli ebrei davanti alla Sinagoga.
Gente imbrattata di sangue, i feriti. Gente ancor più imbrattata che ferita non era, ma si era bagnata di sangue per abbracciare il “suo” ferito.
Un capannello lugubre quanto inutile era intorno a Stefano Taché, un bambino due anni. Fu l’unica vittima di quell’assalto. Trentanove feriti di cui qualcuno grave.
Era il 9 ottobre del 1982, dunque. Oggi accendiamo la tv e vediamo razzi sulla Palestina e autobombe che scoppiano a Tel Aviv.
Viene da chiedersi perché, 26 anni fa, non portarono Stefano a vedere i burattini. Tanto che sia morto non è servito a nulla.
Ma ci hanno spiegato che farci certe domande è demagogia, qualunquismo. Giusto. Allora, marzullianamente, domandiamoci se la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere meglio.
E vai col tango!
@Massimo: Palermo è una cipolla è stato un fiotto di scrittura incontrollabile, e tutto sommato facile.
1982 invece è stata la fatica di 9 mesi, un travaglio. Ci ho messo dentro moltissimo di me, cosa che abitualmente non faccio nei libri. Questo ha comportato un corpo a corpo più difficile, col testo che avevo di fronte.
@Simona: tocchi un tasto molto doloroso, per me. Il 1982 è forse l’anno in cui per quanto mi riguarda è andata in frantumi la Convinzione d’Immortalità. Ancora non mi sono ripreso.
Le uniche cose che ricordo dell’82 sono: io, con un foglio di carta e delle matite colorate, che con mio cugino disegno, steso sul pavimento, le bandiere delle nazionali ed in particolare del Brasile; l’esultanza di mia zia ad un gol, di cui non ricordo nulla, probabilmente dell’Italia; il mio primo anno di scuola elementare. Tutto sfumato nella nebbia della dimenticanza.
ho letto il primo capitolo del libro. davvero “forte”. bravissimo roberto.
del 1982 non ricordo assolutamente nulla, forse perché avevo 10 anni.
un anno anonimo per me.
@ Roberto: forse è per questo che è spuntato quel capello bianco. Per lo scoprire di vivere a tempo sbarrato.
In effetti comincio a preoccuparmi: gli anni passano e gli scienziati continuano a perdere tempo con la cura del cancro.
E la pillola dell’immortalità? Devo pensare che non verrà inventata nell’arco della mia esistenza?
Ricordo benissimo quella partita, perchè mi infortunai seriamente. No, non stavo giocando la finale ma ero anch’io militare e stavamo vedendo la finale in televisione. Al gol di Altobelli un grassone saltò per aria zompandomi sul piede sinistro: quindici giorni di convalescenza. Cos’è cambiato da allora? Mah! Il cancro si cura meglio, le guerre sono continuate, io ho smesso di vedere le partite di calcio, meglio le partite a carte chè sono più salutari. I governi continuano a cadere, le facce dei politici sono sempre le stesse, Berlusconi è l’unico che ha scoperto l’elisir dell’immortalità e non lo divide con nessuno. Bravo Alajmo che continua a pubblicare cose interessanti. Ci siamo conosciuti al Salone di Torino, presentati da Robertone Mistretta, ma probabilmente non lo ricordi. Ricevi i migliori auguri per il tuo prossimo libro.
1982. vivevo sola con una gatta nera da guardia, in un buco che da privilegiata ero riuscita ad avere ad equo canone, e solo perchè il proprietario era mio padre. il quale giustamente però si aspettava il puntuale pagamento al cinque del mese: non ne ho mai saltato uno, neanche quando (era febbraio) me ne andai dal lavoro alimentare all’ennesima pesante molestia (all’epoca ero piuttosto carina, ma non lo sapevo) e iniziai a vivere insegnando inglese e facendo traduzioni. ricordo una commissione, in particolare, di un immenso plico con la sperimentazione di un farmaco: traducevo e piangevo sulla sorte delle scimmie cavia. poi smisi di piangere, forse mi ci ero abituata, non so. guadagnavo pochissimo, e le priorità erano affitto gatto sigarette caffè libri e musica. ringraziando il cielo ero felicemente anoressica, per cui il cibo non era un problema.
c’erano cinque piani da fare, e avevo tolto la porta del bagno. avevo deciso di selezionare gli amici, e queste due cose aiutavano parecchio.
mi occupavo di mia madre ammalata, di un’anziana zia che amavo molto, di mio padre che come molti uomini della sua generazione non era nemmeno in grado di farsi un caffè. non avevo la tv per scelta, ma vissi la finale dei mondiali di calcio da una tenda piantata alla pellarina a torino dopo un fantastico concerto degli stones. ricordo i boati lontani, e il frastuono di clacson che arrivava dalla città. mi cullò nel sonno, aiutato da un certo numero di canne. alle cinque mi scossi, chiedendomi cosa fosse stato ad avermi svegliato. era il silenzio. erano andati tutti a dormire.
mi alzai, uscii dalla tenda, tirai un gran respiro. ero viva, e non sapevo come prenderla.
Ci sono persone che scrivono bene, da queste parti. E intendo: raccontando se stessi senza sbrodolarsi troppo.
Mi rendo conto che dovrei passare il tempo a ringraziarvi uno per uno. Facciamo che vi ringrazio tutti collettivamente.
Non mi ricordavo l’attentato alla Sinagoga, nemmeno leggendo il post riuscivo a raffigurarmi il fatto, solo il nome Stefano Tachè ha riportato tutto alla memoria.
Personalmente il 1982 fu per metè un anno tragico e poi “meritatamente” salvifico, comunque 12 mesi rimossi.
Dopo i Mondiali seguirono Arbore, le feste di carnevale, Milano vendemoda, i favolosi anni ottanta, del disimpegno e dei primi capelli bianchi ?
Una stagione nuova (e per certi aspetti necessaria) di cui la cosa assolutamente positiva era la facilità di approcciarsi o addirittura avviare nuove professioni. Veramente tanto tempo fa…
Ai miei capelli bianchi non avevo mai fatto caso, si mescolavano a quelli scuri creando un miscuglio di cui non mi curavo. Nel 1982 ero quasi felice:avevo scelto la via della scrittura che mi galvanizzava e mi faceva sentire (quasi) realizzata. Avevo chiuso con una storia maledetta (avevo? è più onesto dire: aveva, il lui, troncato di brutto) e ne avevo cominciato un’altra che mi aveva aperto orizzonti sconosciuti. Sì, posso dire che ero felice, se questo termine avesse probabilità di essere considerato realistico. Era il periodo de “l’edonismo reaganiano”, non più hippies ma hyuppies, tutti “belli e non poveri”. Un giorno un amico mi disse:”Quanti capelli bianchi hai!” Sì, me lo disse proprio col punto esclamativo. E da quel giorno non ho smesso più di colorarli
Vi ringrazio tutti per i nuovi commenti.
@ Roberto
Hai scritto: “Ci sono persone che scrivono bene, da queste parti.”
–
Ma qui sei a Letteratitudine, fratello!
🙂
@ Enrico
Mi pare che il tuo aneddoto sia particolarmente forte e duro. Di quelli che si inchiodano nella mente in maniera indelebile. Chissà quanti ne avrai accumulati nella tua lunga esperienza di cronista di nera!
@ Gea
Riesci a sorprendermi spesso. Prima o poi ti chiederò di scrivere un’autobiografia completa.
Dici: “all’epoca ero piuttosto carina, ma non lo sapevo”. E oggi?
Scherzi a parte, ti ringrazio per averci raccontato (con penna – o tastiera – molto felice, peraltro) questo tuo pezzo di vita.
@ Roberto
Una curiosità (anzi due).
In alternativa al 1982 quale altro anno avresti scelto per scrivere il libro? E perché?
@ massimo
oggi so di essere stata piuttosto carina.
🙂
@ Gea:
troppo facile! Fra nuovi amici siamo solo noi i testimoni del passato. Ero carinissima anche io, ma con il tempo “ho guadagnato”!!!!
una fila di faccine 🙂
Naturalmente parlavo di edonismo, superficialita’ e tentativi di restauro che a nulla servono per essere delle persone vere. La mia convinzione che i sassi siano migliori di noi uomini (tutti: maschi e femmine) resiste in me, inscalfibilmente e saldamente. I sassi vivono (perche’ essi vivono) con naturalezza il tempo e questo con mia somma invidia. Invidio i sassi, non i belli e i giovani, non i ricchi o i sapienti, non i poeti o i sani. Solo i sassi. Posso esser libero di dire che invidio i sassi o devo temere di aver provocato qualcuno?
Scusatemi, allora, lo dico cautelativamente: scusatemi tanto ma io invidio solo i sassi.
@ Sergio
Bene. Confermi le mie impressioni.
A questo punto mi permetto di dedicare a Marta (da parte tua) la canzone “Sassi” di Gino Paoli. Segue il testo.
🙂
–
Sassi che il mare ha consumato
sono le mie parole d’amore per te
Io non t’ho saputo amare
non ti ho saputo dare quel che volevi da me
Ogni parola che ci diciamo è stata
detta mille volte
Ogni attimo che noi viviamo è stato
vissuto mille volte
Sassi che il mare ha consumato
sono le mie parole d’amore per te
Sassi che il mare ha consumato
sono le mie parole d’amore per te
Io non t’ho saputo amare
non ti ho saputo dare quel che volevi da me
Ogni parola che ci diciamo è stata
detta mille volte
Ogni attimo che noi viviamo è stato
vissuto mille volte
Sassi che il mare ha consumato
sono le mie parole d’amore per te
sono le mie parole d’amore per te
1982. Dieci anni, ma ricordi tanti. La prima fase dei Mondiali snobbata per giocare con la mia vicina Antonella. Poi le vittorie e un evento rimasto unico, la visione delle partite in famiglia. Fabrizio, il ragazzino che mi piaceva, che mi sembrava un uomo fatto (13 anni e la voce gli stava cambiando). Il mal di pancia la sera della finale dopo il rigore sbagliato di Cabrini. Il giro con mio padre per festeggiare la vittoria (un’alfa sud blu carica di tifosi, i necrologi per Brasile Argentina Polonia Germania e due gay sculettanti vestiti di bianco rosso e verde lungo viale della regione a Caltanissetta).
Ricordo il braccio che penzola fuori dalla A112 di Emanuela Setti Carraro e le foto di Calvi impiccato; ricordo che alla guerra delle Falkland era andato il principe Andrew. La macchina di Grace Kelly uscita fuori strada.
Ricordo le canzoni, soprattutto quelle brutte, uscite in quell’anno (alla presentazione di Roberto all’Auditorium Rai lo scorso novembre mi sono anche esibita in una performance tipo Musichiere, le sapevo tutte io 🙂
Ricordo un’estate calda, in cui si usciva a giocare per strada, e quella sensazione forte già allora (e che è durata fino all’università) di non essere né carne né pesce, forse perché avevo 10 anni e le due cifre segnavano un passaggio, nel loro piccolo.
Mi piace l’accostamento tra il 1982 e il 2006: forse perché il 2006 è stato l’anno più bello e più importante della mia vita so far (vi basti sapere che sono entrata di ruolo e ho comprato casa), forse perché ho sempre pensato – nel mio piccolo – che se un giorno dovessi scrivere qualcosa, sarebbe proprio sul e nel 2006.
Un saluto da un’inquilina del blog di Roberto e complimenti a Massimo.
Mi è piaciuto molto il testo di Roberto Alajmo e in attesa di leggere il resto raccolgo l’invito di Massimo a parlare del mio 1982, un anno per me fondamentale, l’anno delle scelte che hanno segnato tutta la mia vita futura.
Tutto comincia con i mondiali di calcio, sì perché i miei ricordi di quell’anno, cominciano proprio da quel luglio. Nei primi sei mesi dell’82 ho vissuto in continuità con gli anni precedenti: la scuola (liceo classico), gli amici, la pallavolo e un “moroso”, come si dice dalle mie parti, coetaneo e compagno di scuola. La mia vita si svolgeva tutta all’interno di una cerchia abbastanza ristretta (la famiglia, gli amici del quartiere, i compagni di scuola e di squadra, la citta) e al presente, tranquilla, senza scossoni, con un ritmo lento e regolare scandito dalle lezioni, gli allenamenti e le uscite con il moroso.
Poi, a partire da luglio, tutto ha cominciato ad andare velocemente, con un’accelerazione che ancora non si è interrotta e ho cominciato a vivere proiettata verso l’esterno e verso il futuro.
Così dopo la maturità ottenuta proprio quell’anno, è venuta la scelta di partire, di andare a studiare a Venezia, lingue orientali poi, una scelta che nella mia piccola città di provincia aveva fatto solo una’altra ragazza. E poi la scelta di dare un futuro a quel rapporto sentimentale che sarebbe potuto finire lì e che invece, proprio in quei giorni, nella crisi che la mia decisione di andare a studiare lontano aveva provocato, ha compiuto i primi passi ed è riuscito a superare la prima di quelle prove che la vita a due ci avrebbe riservato.
La via vita di oggi è il frutto delle scelte di quell’estate: l’arabo che ho deciso di studiare allora è al centro dei miei interessi professionali e il mio “moroso” è da vent’anni mio marito e il padre dei miei tre figli.
Grazie per avermi dato l’occasione di ricordarmene.
Barbara
Quale anno, altrimenti? Non saprei davvero rispondere. Quell’anno possiede per me un estratto concentrato di significati. Nessun altro anno è stato per me altrettanto importante. Credo che se non ci fosse stato il 1982 non avrei scritto questo libro. Anzi: non avrei scritto nessun libro.
@ Daniela e Barbara
Grazie a voi per essere state qui e per aver raccontato un pezzo della vostra vita. Spero di “rivedervi”. :))
Qui a Letteratitudine sarete sempre le benvenute.
@ Roberto
Ma davvero senza quel 1982 non avresti scritto libri?
Meno male che ti è capitato, allora. 🙂
Roberto, mi piacerebbe che ci parlassi un po’ di questo nuovo libro.
Quando esce in libreria? Mi pare che oggi hai ricevuto la prima copia cartacea. Insomma, il nuovo figlio è nato. E oggi l’hai tenuto in braccio per la prima volta.
La mossa del matto affogato
Qualche considerazione/domanda partendo dal titolo:
1. Mi pare che i matti ti hanno portato fortuna (da un punto di vista letterario, intendo), ma…
2. … cosa significa “mossa del matto affogato”?
3. e perché la scelta di questo titolo?
Di quell’anno tre ricordi indelebili :
1) la licenza media in un’estate calda e soleggiata senza neanche studiare ( illusoria come cosa ) ;
2) i mondiali vinti in Spagna con la finale vista in casa di un mio cugino che aveva problemi depressivi e faceva il tifo per la Germania (!) ;
3) l’omicidio di Dalla Chiesa che in un sol colpo rimpiazzò sia quello Moro che la strage di Bologna. La mia infanzia, come quella di tanti altri, una sequenza di partite di calcio e misteri.
ero al bernabeu, l’11 luglio 82. TUTTI tifavano per l’Italia, i tedeschi non li poteva vedere nessuno. c’erano molti brasiliani in tribuna, sicuri di vedere la loro squadra in finale (il miglior Brasile di sempre, portiere e centravanti a parte). ricordo un sole asfissiante fino alle 21,00 e spagnoli che facevano girare quella borraccia a zampillo in cui si può bere senza scambiarsi malattie.
a un certo punto, sul 3-1, gli azzurri cominciarono a far girar palla. Io ed i miei amici, trovandoci in Spagna, cominciammo a gridare OLE’, OLE’, ad ogni passaggio. lo fece in breve tutto lo stadio, e da allora nacque l’uso degli OLE’!!!!!
nel nostro piccolissimo, avevamo fatto la storia anche noi…
il “suicidio” di Calvi mi lasciò indifferente: era chiaro che l’avrebbero eliminato. la strage di Dalla Chiesa, della moglie e dell’agente, invece, mi turbò profondamente.
una sola cosa rimpiango della sera mundial ’82: non essermi trovato ai festeggiamenti a Napoli. beh, mi son rifatto nel 2006…
“ZOFF! BERGOMI! CABRINI! COLLOVATI! GENTILE! SCIREA! ORIALI! TARDELLI! CONTI! GRAZIANI! ROSSI!”
Questo e’ quello che ricordo meglio del 1982… e la felicita’ di Sandro Pertini al Bernabeu che gesticolava come per dire: “non ci prendono piu’, ormai!”
La nazionale piu’ spacchiosa, oserei dire, anche se quella attuale non scherza…
Avevo 15 anni allora e sicuramente ne dimostravo di meno in quanto a maturita’… Io, Max, la buonanima di Leo, Christian e Salvo Luca, sempre insieme a spaccare a calcetto…! (da tavolo, s’intende).
26 anni? Pazzesco!!…
Ciao Massimo! Ciao Agata! Tutto aposto? Le bambine?
Sposato da un anno con Cinzia ma costretto ad un pendolarismo pazzesco: lavoravo per le FS , non ancora Trenitalia ma ancora servizio pubblico, come conduttore viaggiante ( noto come il bigliettaio ), qualifica che ora non esiste più con sede a Firenze Smn… finito il turno prendevo il treno per Bologna e poi giù dalla giovane sposa che mi attendeva in quel di Rimini – praticamente passavo circa 16 ore in treno… a volte, steso sul letto avevo l’impressione che il mio corpo vibrasse. Per fortuna a metà dell’ottantadue mi trasferirono a Bologna riducendo a 11/12 il mio andirivieni sulla strada ferrata!
Ricordo i Pompelmi trangugiati durante il “mundial”..ne stavamo mangiando uno quando l’ Italia vinse la partita contro l’Argentina …da quel momento, scaramanticamente, ogni successivo incontro fu accompagnato dal succoso frutto tropicale…e funzionò!
“…È come negli scacchi, quando un giocatore è costretto a subire l’onta del matto affogato, lo scacco più mortificante. Attraverso una serie di sacrifici, l’avversario ti ha chiuso in gabbia. Uno dopo l’altro sono i tuoi stessi pezzi ad averti circondato e messo in un angolo da cui non puoi più scappare. Nel giro di poche mosse sei passato dall’illusione di poter vincere sfruttando i suicidi in serie dell’avversario, alla frustrazione di doverti suicidare tu, senza possibilità di scelta, e di fronte alla minaccia di un unico cavallo superstite. Per quanto l’avversario sia ormai dissanguato, l’ultima mossa servirà solo a stringerti il cappio attorno al collo…”
@ maurizio de angelis:
Félix, Carlos Alberto, Piazza, Brito, Everaldo, Clodoaldo, Gerson, Rivelino, Jairzinho, Tostao, Pelé.
De gustibus, ma volevo rammentarti la formazione del Brasile che vinse il Mondiale nel 1970. Ovviamente puoi continuare a pensare che i verde-oro del 1982 fossero più forti di questi.
Quando intervistarono il commissario tecnico del Brasile ’70, gli domandarono: “qual è la tattica che lei adotta? quali sono gli schemi più congeniali alla sua squadra?”
Il tecnico, seriamente, rispose: “dico ai giocatori di andare in campo e fare quello che gli pare”.
@ Sandro
Va benissimo. Ti ringrazio del commento:)
–
Sandro è un amico di vecchissima data. Oggi fa il medico e vive nei dintorni di Londra. Sposato con una bella scozzese e con tre figli meravigliosi.
Saluti a tutti
@ Roberto
Ti stavo appunto per chiedere un “frammento” di questo nuovo libro.
Ma mi hai anticipato.
Ti ringrazio.
@Greg:
e se Rivera fosse entrato prima? E se Juliano fosse entrato, invece che negli ultimi sei fottuti minuti, all’inizio del primo tempo?
…
E se quella palla “americana” di Roberto Baggio, invece di volare tra le nuvole “troppo bella per essere imprigionata in una rete”, come celiò Lucio Dalla, fosse entrata nella porta del peggiore Brasile della storia?
…
E se quel fottuto testardo di Dalla Chiesa, non avesse voluto suicidarsi viaggiando su di un’ A112?
…
Se quella mattina di martedì 14 settembre ’82, mentre ero da 24 ore incatenato ad una fede d’oro e mi affacciavo con la mia giovane moglie da uno dei balconi più belli del mondo, quello dell’albergo Santa Lucia, e guardando oltre il vesuvio, immaginando in linea retta New York (“dai Tonia, punta il dito e chiudi gli occhi, così dritto, è il 37 parallelo, dall’altro lato c’è la “Grande Mela”), se avessi saputo che la divina Grace stava per percorrere la curva storica di Montecarlo, quella di “Caccia al ladro”, bhè…
Ma la storia…
OT per MASSIMO. Ti ho mandato il materiale che mi hai richiesto.
Grazie infinite;)
Buon week-end
@ gea
Beata te che avevi un gatto da guardia, il mio, appena sente un rumore si va subito a nascondere, dietro la fila dei libri …sembra ET quando si mimetizza in mezzo ai pupazzi!
Leggendo il tuo bel “1982” ho provato un pizzico di malinconia…soffice come la bambagia.
Ciao sister Gea.
@ didò:
nella mia ignoranza, per te ho solo una risposta: Rivera poteva entrare prima senza che uscisse nessuno. Potevamo giocare anche in 15, ma quelli ci facevano lo stesso un culo come una capanna.
Nel 1982, ho compiuto sei anni. Facevo la primina e mi preparava un’insegnante per raggiungere l’abitazione della quale dovevo salire dei gradini, chiamiamoli così, alti quaranta centimetri. Cartella in spalla, erano una bella fatica per le mie gambine. Di mattina andavo all’asilo e il pomeriggio seguivo le lezioni private. A giugno c’erano gli esami per essere ammessi alla seconda ed avevo paura della prova della lettura.
Ero una bimba timida ed una delle più piccole della classe nella quale mi ritrovai a settembre. Il 1982 ha segnato il mio ingresso nel mondo dei grandi.
Settembre 1982. Ero alla soglia dei 30 anni e finalmente (con una laurea in lettere mi ero fino ad allora barcamenato) trovavo il primo posto fisso, all’Olivetti.
Dopo l’estate del mundial (vedevamo tutte le partite nella stessa formazione a casa del mio amico Renato, il nostro Bearzot della scaramanzia: io ero in seconda fila sul divano, una specie di centrocampo), forse l’ultima veramente spensierata, entravo stabilmente nel mondo del lavoro. Mi adeguavo a giacche e cravatte che fino ad allora non avevo mai indossato se non per occasioni particolarissime, e spesso in prestito (non ricordo di averne possedute prima).
L’impegno politico era in qualche modo tramontato fra terrorismo demenziale, morti assurde da entrambi i lati della barricata, la fine di Moro. I cadaveri eccellenti non erano più frutto di quella assurda e inesistente (se non nelle menti di irriducibili fanatici) rivoluzione, ma tornavano in primo piano quelli di mafia.
La scena musicale era mutata radicalmente e tristemente. Dopo aver ammirato batteristi del calibro di Keith Moon, John Hiseman (per non parlare dei jazzisti Tony Williams, Elvin Jones..) entravano in ballo i ritmi fissi, martellanti, inesarabilmente ebeti delle batterie elettroniche.
Nella notte si spandevano da woofer di 2 metri di diametro montati sulle Golf che avrei volentieri visto bruciare dalle molotov dei rari superstiti del 68 o del 77.
Qualcosa stava cambiando, tutto stava cambiando, io stavo cambiando.
O più semplicemente registravo di essere già cambiato. E, senza saperlo, mi preparavo ad altri cambiamenti.
Nel 1982 anch’io, siciliana come Roberto Alajmo, avevo un fidanzato che faceva il militare al centro Italia: era un bel ragazzo e pure lui, stranamente, iniziava ad avere i capelli brizzolati, segno di fascino e stile.
La storia con il bel siciliano finì qualche anno dopo, cambiarono i sentimenti e le nostre prospettive: in seguito buttai via anche la copiosa corrispondenza ricevuta durante il CAR; a quel tempo infatti mi spediva una lettera al giorno con tanto di firma e cuoricini, fogli a righe pieni zeppi di plateali dichiarazioni d’amore dai cubici ingranditi ti amo e fotografie in divisa. Ovviamente non mancavano neppure le sue quotidiane telefonate un po’ gelose, quelle con i gettoni, ve li ricordate i telefoni a gettoni? Di volta in volta per chiamarmi ne acquistava una manciata e faceva la fila al distretto militare.
La sottoscritta nel 1982 andava ancora al liceo e quella sera quando ci fu l’ultima partita dei mondiali Italia Germania, prima andò a giocare a tennis con un’ amica e poi, sempre con la stessa amica, mentre dall’interno delle case la gente urlava e le strade si riempivano di gioia e tutto il mondo al seguito, restammo a conversare snobbando l’evento calcistico. A quel tempo avevamo i fidanzati e dovevamo dirci un sacco di cose! Capiteci.
Destini con segni in comune derivano soprattutto da comuni elementi generazionali, con l’occhio di chi ha guardato il sessantotto, cavalcavano l’onda dei tempi in bilico fra i figli dei fiori e i paninari, le palestre ci allenavano alla competizione, ma per molti di noi la cultura rimase il baluardo più importante al di là di nonni, cugini e genitori.
Gente sensibile coloro che da qualche anno hanno oltrepassato i quaranta! Reduci da partite sentimentali vincitori o sconfitti che importa, Italia Germania 3 a 0, i miei coetanei o non hanno resistito preferendo la libertà o, se hanno resistito, devono fare ancora i conti con le verità di un intera generazione desiderosa di cambiamenti ma prona ai compromessi.
Non mi spaventano i capelli bianchi e non li vedo neppure come il passaggio da una fase all’altra della vita contrassegnata da scadenze, i compleanni si aprono a nuove stagioni e di quelle passate è rimasto qualcosa, compresi gli oramai canuti calciatori ed il loro tanto affezionato e sgonfio pallone in cuoio bianco e nero, le giacche con le spalline imbottite disegnate dalla moda per le donne, le abbronzature selvagge, sogni di realizzazione personale, oppure no, sono finiti anche i sogni.
Ciao.
Complimenti a Roberto Alajmo per entrambi i libri. Li acquisterò in settimana.
Del mio 1982 non ricordo un fico secco, a parte i mondiali. Però non ricordo un fico secco della maggior parte dei miei anni passati. Vita anonima, la mia.
@ Carlo:
Efficace la tua ricostruzione! Personalmente quell’anno segnò per me un cambiamento totale e irreversibile : niente sarebbe più stato come prima. Ma ricordo quel periodo e quello che ne seguì per lo spaesamento in cui mi ritrovai, nebbia fitta e “nuovi suoni”. Non riuscivo a leggere, nemmeno a pensare; non erano saltati solo i miei punti di riferimento, quelli personali, tutto stava cambiando: i rapporti con gli altri, i gusti, le opinioni, le chiacchiere, il tempo libero. Mi concentrai sul lavoro e lasciai perdere tutto il resto, imparai a starmene per conto mio e poi, molto lentamente ricominciai a leggere e a cercare le mie strade. Socialmente fu il periodo della mia “vecchiaia”, cupo, autistico e arido mi ci volle un po’ per ringiovanire e capitalizzare quegli anni per quello che erano: una seconda opportunità per ripartire. Ritrovai lo sprint nel 1995.
Anch’io, nel’95!
Vi ringrazio per i nuovi commenti.
E vi auguro una buona domenica.
Preg.mo Dott. Roberto Alajmo, ho apprezzato molto quanto ha scritto per noi, svelandoci un tassello irripetibile della sua vita. Non ho potuto partecipare all’ appasionante discussione per motivi di salute. Ancora non sto bene, ma ci tenevo a conoscerla. Da giorni, mi vorticava in mente con insistenza il Suo cognome, a me noto. Ma sino a ieri, non riuscivo a realizzare a quali eventi e a quale volto collegarlo. Scartabellando fra “le sudate carte”, ho ritrovato diversi numeri della Rivista Culturale ” La Torre di Babele”,(Redazione,Via Colombo, 24 Canicattì),alla quale ho collaborato con le mie recensioni letterarie e composizioni poetiche, per oltre un triennio dal 1987 in poi. La Rivista era diretta dal Prof. Giuseppe Alaimo, con la quale esisteva una reciproca stima. Il Responsabile era forse un suo parente? La prego di scusarmi per la mia invadente curiosità, ma in quel fecondo periodo che ricordo piacevolmente, il rapporto con l’amata Sicilia era stretto. Scrivevo spesso per alcuni piccoli giornali locali, come il bimestrale di Cultura Varia ” Il Galeone” di Messina”(Peloro Edirice), diretto da Gianni Ruta e mi recensivano gli ottimi autori Tanino Biondo e Marcello Danzè .Ero anche Socia attiva dell’A.S.l.A di Palermo, diretta dal Cav. Ugo Zingales. Lui ancora di tanto in tanto mi scrive. La ringrazio per la disponibilità con la quale ha risposto
a tanti amici del blog e a mia volta le esterno il mio plauso con calore.
Tessy
1982: omicidio Dalla Chiesa, Mundial, Scozia.
Omicidio Dalla Chiesa: ero in macchina con un mio amico figlio di un magistrato, che si chiedeva se i Siciliani avessero qualche difetto genetico…
Mundial: eravamo in una ventina sul balcone di casa mia, un terrazzo a dire il vero, tutto intorno il silenzio, rotto poi dalle grida e dalle trombe per i gol.
Scozia: la prima volta in un paese anglofono, già parlavo un ottimo inglese, ma si sa… E tutti a chiedersi in mia presenza chi erano i campioni del mondo, ed a dire che con quel mio Acquascutum beige largo sembravo un killer della mafia.
Rosa Montero dice che la gente per scandire il tempo che passa pensa alle macchine che ha avuto, ai fidanzati. C’è chi pensa ai libri. O ai Mondiali.
Io nel 1982 avevo appena nove anni. 9. Numero simbolico. A nove anni Dante incontra Beatrice. La nostra maestra ce ne parlava e io sognavo di essere lei ed essere amata da un poeta! 3 per 3. La perfezione. Inseguita sognata sfiorata mai. Io a scuola un anno avanti dopo la primina, più piccola fisicamente dei miei compagni, la sensazione mai andata via di essere sempre fuori luogo fuori tempo. Altrove.
Battiato amato già allora. I fumetti i primi libri l’Ape Maia e Heidi.
I Mondiali. Io a sentire le urla di gioia dei tifosi riuniti nella trattoria sotto casa, a colorare bandierine insieme a mia sorella.
L’orrore di Dalla Chiesa. Le foto i servizi mi turbarono profondamente. Calvi a penzolare da un ponte. Non capivo ma la morte mi invadeva i sonni e l’immaginario.
Il 1982 è l’anno che ha cambiato la mia vita. La mia mamma un pomeriggio mi vede annoiata. Come la mamma di Agatha Christie, mi suggerisce: “Perché non scrivi?”. E mi consegna un quaderno nuovo. Un avvenimento. Oggi i bambini consumano quaderni come in una corsa a devastare l’Amazzonia, ma prima io potevo avere un quaderno nuovo solo dopo aver consumato fino all’osso il vecchio.
Il 15 0ttobre del 1982 inizio a scrivere la mia prima poesia.
Poi – che logica! – scrivo:
Prefazione-Introduzione
Queste sono solo alcune delle mie poesie, perché in breve tempo, ne scriverò altre. Questo è un quaderno fatto apposta per far capire ai bambini il valore della poesia.
Qualche parola della mia vita.
In questo quaderno avrete già notato il mio nome: Maria Lucia Riccioli. Ebbene: il 18 settembre sono nata io, (nel 1973) e adesso ho nove anni. Ho frequentato sempre la Scuola Parrocchia Santa Rita, a Siracusa. Vado in quinta e ho molti amici. Ho fatto il salto dalla preparatoria alla seconda e sono molto intelligente, poiché sono nata sotto il segno della Vergine. Sto scrivendo questo quaderno per rilassarmi, poiché il mio relax principale è la scrittura. Vi auguro buona lettura.
Da allora non ho più smesso.
Non ridete!
🙂
I capelli: qualcuno bianco che fa very old per una ragazza. Mentre per uomo fa maturità sexy… Hugh Laurie: wow!
Io faccio le méches ma la mia mamma ha avuto il primo capello bianco a 15 anni ed è stata sempre sale e pepe, per la felicità di mio padre che le ha sempre proibito di tingerli. Lo ha fatto una volta e nessuno di noi l’ha riconosciuta.
Voglio invecchiare senza diventare vecchia dentro. E non cambierei il mio 2008 con un 19.. qualsiasi. Sono quel che sono nel bene e nel male. La nostalgia non mi appartiene, anche se ascoltare i Fine Young Cannibals, i miei adorati – non ridete! – Europe – amavo Joey Tempest, ci pensate? – o rivedere Lady Oscar, Holly e Benji, Mimì, Mila e compagnia bella mi smuove qualcosa dentro.
Piccole Donne.
Il diario di Anna Frank.
E tutti gli altri libri che da allora mi scandiscono l’esistenza.
Tessy! Riprenditi presto, vogliamo leggerti ancora!
@ Maria Teresa
Cara Maria Teresa, ti auguro di ristabilirti al più presto e ti ringrazio per il commento.
Non credo che Roberto sia parente del Prof. Giuseppe Alaimo. Anche perché il cognome è differente, mi pare (Alajmo-Alaimo).
Un abbraccio.
@ Maria Lucia
Ma Joey Tempest (si scrive così?) esiste ancora?
Sì, esiste!
Mi chiedo come ho fatto a sognarmelo la notte e ad appendere il suo poster in cameretta…
Poi sono passata a Kevin Costner.
🙂
Anni ottanta, che torpi! Si dice così a Siracusa. Zurbi, pitarri, tamarri…
Spallone – orrore! – , gli Wham!, Madonna prima maniera… I Durans – che la mia amica Francy venera tuttora. Pensate che è andata a Londra per incontrare Simon Le Bon. Bacetti, foto etc. A Milano ha baciato John Taylor.
A me piaceva pure Tony Hadley degli Spandau. Avete visto il film “Scrivimi una canzone” con Drew Barrymore? Fatelo. Il video finti anni ’80 è allucinante!!!
@M.Teresa: Non sono parente. In realtà non sono parente quasi di nessuno. Ho una famiglia molto piccola.
Oggi è il giorno prima dell’uscita del mio nuovo libro. Ho raccontato questo momento di sopensione sul mio forum, ma voglio condividerlo anche con voi:
“E’ una vigilia speciale. Il nuovo romanzo è uscito dalla tipografia ma non ancora entrato in libreria. Ne possiedo un’unica copia, me la liscio con lo sguardo: ha il miracoloso splendore dei palloni di cuoio che non hanno mai rimbalzato sull’asfalto, nemmeno una volta, con la patina di vernice ancora intatta.
Da domani comincerà la sua carriera vera e propria. Da domani sarà un romanzo appena uscito, che farà la sua corsa da tartarughina verso il mare, sperando di arrivare sano e salvo dove l’acqua è più profonda. Solo uno su cento ce la fa”.
Da domani anche lui comincerà a invecchiare. Intanto, però, mi godo questo perfettissimo sabato del villaggio.
Caro Roberto,
in bocca al lupo da parte di tutti noi per questo tuo nuovo libro (Il matto dell’affogato).
Tu dici che “solo uno su cento ce la fa”. Morandi è più pessimista e parla di “uno su mille”.
Numeri a parte, sono certo che sarà un successo. E di certo avremo modo di riparlarne.
Ti abbraccio e ti ringrazio.
Il post, naturalmente, rimane aperto per ulteriori interventi.
Tanti auguri a Roberto Alajmo. Cercherò il tuo nuovo romanzo oggi pomeriggio dal mio libraio.
Smile
Domani è il giorno. Domani inteso martedì.
Un grosso augurio allora, signor Alajmo, perché ogni pallone prima di finire sulla polvere, la terra e l’erba merita una lunga stretta da chi l’ha così fortemente voluto, desiderato.
Barbara
Quanto mi scoccia non poter dire la mia sul 1982. Si, perchè avevo solo sei anni, facevo la seconda elementare…e cosa mi ricordo? Solo che ero una bambina molto felice!
Complimenti davvero a Roberto e tantissimi auguri per il suo 1982
@ oh sì, davvero. immaginiamo quanto ti scocci avere avuto solo 6 anni nel 1982. Ma che pena! Che disgrazia!
La cosa peggiore, però, è che sembra tu abbia 6 anni anche oggi
🙂
La ricerca del capello bianco l’ho percepita in realtà, come spaccare il capello in quattro in un’ introspezione personale rigorosa e serrata che molte volte a vent’anni non ci porta da nessuna parte, ma neanche dopo!
Se si vuole essere concreti quando si è inesperti della vita, bisogna portare degli esempi facili dimostrabili materiali: ho un capello bianco, forse più di uno, mi sto trasformando anche dentro ed è più difficile da trasferire il sentimento di gioia, di dolore, eventuali.
Magari attorno a Noi gli altri hanno più coraggio o più paura così da riversarci addosso la loro inadeguatezza, forse?
Oggi, mi è successa una cosa strana sono andato in libreria “Cortina” di Milano,di fronte l’Università Statale, e in vetrina in bella mostra ho visto esposto il nuovo romanzo di Roberto Alajmo – “La mossa del matto affogato” – Mondadori
La mia reazione sorpreso di vederlo già pubblicato è stata: che bello! Lo scrittore è un mio conoscente: effetto “Letteratitudine”?
Complimenti all’autore!
Luca Gallina
Nel 1982 ho scoperto il Canada!
Negli anni ’80 in Italia abbiamo goduto avidamente, chi ha potuto e voluto, l’Avere attraverso il possesso di oggetti voluttuari che rappresentassero lo status- simbol di una ricchezza ostentata dalla classe media italiana emergente, fortunatamente non tutta la classe media.
Venivamo dagli anni ’70 dove tutti avevamo investito nell’Essere, per alcuni molto tormentato!
Successo professionale, reddito sopra la media, una bella casa di proprietà in città, auto di lusso, vacanze esotiche, griffe di abbigliamento,accessori moda, per tutta la famiglia: casa in Sardegna,chalet a Cortina o in Svizzera St.Moritz, per chi se lo poteva permettere.
Altrimenti tutti in affitto al mare a Capalbio in Toscana!
Questo per fare un esempio, dell’euforia che si respirava nel 1982.
Io risiedevo a Milano e mi stavo masterizzando a Boston negli States; la mia famiglia di allora composta dalla mia prima moglie e mio figlio Alberto di tre anni, mi raggiunsero a Boston ché mio figlio necessitava di controlli clinici.
Subito dopo siamo partiti per una breve vacanza in Canada diretti a Toronto e successivamente a Montreal.
Partiti dall’aeroporto di Boston ci siamo imbarcati su di un volo di linea destinazione Toronto che impiegava i bimotori ad elica Focher, riconosciuti più che sicuri e che diventavano “montagne russe” in presenza di vuoti d’aria.
Prima di atterrare a Toronto, avevamo visto per la prima volta dall’alto spazi così ampi a terra e un Oceano, il lago Ontario, che ci sembravano ancora più immensi rispetto alla sensazione che si prova quando si arriva per la prima volta in America dall’alto!
La città di Toronto – capoluogo della Provincia dell’Ontario – di lingua inglese,
è una città HI-TECH, moderna ma non sa né di me né di te rispetto le città americane tipo N.Y., per come l’ho percepita allora.
Nel porto ho visto attraccate le navi che navigano il lago Ontario, è il più piccolo come superficie dei cinque laghi principali in Canada che bagnano e confinano, anche con gli States, fino ad arrivare in Alaska come in un Oceano è questo che mi ha colpito molto!
Montreal, invece, – capoluogo di Provincia del Québec – di lingua francese è una città di fattezze architettoniche Europea come Bordeaux o meglio Marsiglia in Francia.
E poi in Canada non ci tornerò più in seguito e io ricorderò solo l’immaginario avventuroso di Jack London per rappresentarlo;
Siamo nel 1982 e N.Y. è tutta da “bere”, dove io e la mia famiglia prima di ritornare in Italia, dopo ogni viaggio da quelle parti, ci fermiamo tre giorni e successivamente tre giorni a Parigi, una sorta di operazione di decompressione da fuso orario, e finalmente si ritorna a Milano!
N.Y. anni ’80 è tutta da “bere”: arte moderna,alto design,architettura, hi-tech,gli stilisti italiani aprono la loro vetrina sulla fith avenue e sulla 57th street la libreria internazionale Rizzoli.
Il mondo della pubblicità è il mio mondo di passione professionale!
A Parigi la gare d’Orsay, il Bebourg, opere di una architetta e un architetto italiani,il Louvre.
Al rientro a Milano ci sembra di abitare in una città medievale a misura d’uomo, case basse architettura influenzata dal periodo austriaco e periodo fascista; i nostri architetti d’allora hanno lavorato a Vienna come a Parigi ed erano molto apprezzati e richiesti.
Milano da “bere” nel 1982!
Dimenticavo di dire che la data che io e la mia famiglia ricorderemo per sempre è l’1.9.’82 quando nostro figlio Alberto di tre anni è stato dichiarato fuori pericolo di vita, dai medici del “Dana Faber Cancer Institute” di Boston!
Luca Gallina
Auguri a Roberto Alajmo!
Che tutti noi possiamo provare la stessa gioia…
Grazie a tutti voi. Sto incrociando anche le dita dei piedi.
@ Roberto
Incrociamo le dita con te: mani e piedi.
🙂
Ho molto apprezzato la dedica a me rivolta di Sassi, canzone di Gino Paoli.
Ringrazio Massimo Maugeri e saluto con simpatia Sergio Sozi
Roberto Alajmo, grazie per la risposta e in bocca al lupo anche da parte mia.
@ Roberto Alajmo: ho letto su “La Sicilia” un brano tratto dal libro… Complimenti e ancora auguri!
Ciao, sono Luca da Sondrio, mi ha incuriosito il titolo riferito all’anno 1982 che per me è stato un anno di particolare significato, tanto da farmi firmare tutte le lettere con lo pseudonimo Lukas 82 (per parecchi anni successivi): così era radicato in me il concetto di una svolta nella mia vita! Avevo 22 anni, una vita universitaria indecisa (studiavo medicina) poi interrotta, la voglia di riscatto verso il mondo avvenuta con la scalata solitaria del Disgrazia e pernottamento solitario nel bivacco a 3678 metri (veramente volevo farla finita ma sono riuscito ad arrivare in cima e soprattutto a scendere…), ma soprattutto c’è stata lei, Paola, la mia prima ragazza (che poi ho anche sposato nel’88) a porre fine alla mia solitudine ed alla mia indecisione. Il militare l’anno successivo e confesso che come te ho patito l’ambiente squallido e senza senso (raccogliere le foglie dei platani in autunno in una giornata ventosa… Alzarsi alle cinque del mattino, fare il viaggio in inverno sul cassone di un camion scoperto, in inverno, a 100 all’ora, per andare al poligono a tirare con fucili della 2^ Guerra Mondiale….). Mi fa piacere che anche per qualcun altro il 1982 sia stato un anno importante, decisivo. Ciao. Luca
Messaggio per i catanesi e per i siciliani della Sicilia centro-orientale
Mercoledì, alle h. 18,30 Roberto Alajmo sarà a Catania alla Cappella Bonajuto (invitato nell’ambito di una conferenza).
Ci sarò anch’io.
Vi aspetto.
L’indirizzo è:
via Bonajuto 5/13 angolo via Vittorio Emanuele 97 Catania – CT
Si è svolto molto bene l’incontro catanese di Roberto Alajmo.
Dibattiti interessantissimi.
–
Poi la serata è proseguita con una cenetta a due (senza lumi di candela, eh?)
🙂
Grazie Roberto.