Ecco la seconda parte del post “8 domande su scrittori e politica”, proposto in collaborazione con il trimestrale Nuovi Argomenti fondato nel 1953 da Alberto Carocci e Alberto Moravia.
Come ricorderete alcuni scrittori contemporanei sono stati invitati a rispondere a otto domande sul tema “letteratura e politica”. In particolare: Rossana Campo, Paola Capriolo, Angelo Ferracuti, Giuseppe Genna, Nicola Lagioia, Valerio Magrelli, Dacia Maraini, Melania G. Mazzucco, Valeria Parrella, Antonio Pascale, Claudio Piersanti, Elisabetta Rasy, Roberto Saviano, Antonio Scurati, Walter Siti.
Nel post precedente vi avevo proposto le prime quattro domande del “questionario”. Di seguito troverete le altre.
Vi invito a dare la vostra risposta, poi – nei prossimi giorni – inserirò le risposte fornite dagli scrittori interpellati, infine vi chiederò di individuare – tra le risposte degli scrittori – quella con cui vi sentite più in linea (o che sembra a voi più congeniale) spiegandone le ragioni.
Come ho già scritto nel post precedente, si tratta – per certi versi – di una sorta di gioco che offre una possibilità di confronto su un tema interessante.
Ed ecco le quattro nuove domande…
– Chi sono oggi gli Indifferenti nella società e nella cultura?
– Le forze politiche sembrano abbandonare progressivamente progetti legati a ideali e programmi di ampio respiro. Simmetricamente nei cittadini cresce la disaffezione per il dibattito politico. Per uno scrittore l’abbandono della res publica è un dato da cui partire o una degenerazione cui opporsi?
– La politica insegue sempre più esclusivamente il consenso, eppure governare a volte è anche fare scelte impopolari. Potrebbe indicare quali sono secondo lei tre cose da fare, impopolari ma giuste, anzi necessarie per il nostro paese?
– Che cosa succede se uno scrittore va al governo?
A voi la parola!
Massimo Maugeri
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AGGIORNAMENTO DEL 17 DICEMBRE 2008
Aggiorno il post inserendo una recensione – inviatami da Salvo Zappulla – del volume “Politica, le idee contano ancora?” di Giuseppe Matarazzo – Orazio Mezzio (Rubbettino editore).
Naturalmente giro la domanda anche a voi:
A vostro avviso, in politica… le idee contano ancora?
Invito Giuseppe Matarazzo e Orazio Mezzio a partecipare al dibattito generale e a quello relativo al loro libro (rispetto al quale Salvo Zappulla mi darà una mano ad animare e moderare il post).
Massimo Maugeri
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“Politica, le idee contano ancora?” di Giuseppe Matarazzo – Orazio Mezzio (Rubbettino editore)
recensione di Salvo Zappulla
Due amici costretti a separarsi per motivi di lavoro (Giuseppe emigra a Milano dove esercita la professione di giornalista nella redazione del quotidiano “L’Avvenire”; Orazio rimane nel proprio paese, dove farà il sindaco per ben tre legislature) continuano a scambiarsi le loro opinioni via mail. Ne viene fuori questo gustosissimo volumetto, ( Rubettino editore, pagg, 60, € 8,00, a cura di Giuseppe Matarazzo e Orazio Mezzio) nel quale l’ ormai ex sindaco confida all’amico giornalista le sue considerazioni sulla vita politica italiana. Matarazzo, approfittando della vecchia amicizia, si diverte a punzecchiare l’uomo politico, a provocarlo, lo costringe a tirare fuori i propri sentimenti, anche le amarezze per il qualunquismo imperante, la scarsa informazione che non ha permesso ai suoi cittadini di conoscere a fondo la gran mole di lavoro svolta come amministratore. Sembra un re in esilio, eppure ha sempre vinto le elezioni, nessuno lo ha mai spodestato, confida che si sta dedicando alla pesca subacquea. E qui si potrebbe ironizzare a lungo sulla sua nuova attività: è andato a fondo? Sta preparando la grande risalita? Si prefigge di scalzare Poseidone dal suo trono? Preferisce avere come interlocutori i pesci? I quali, essendo muti, non possono contestarlo? Orazio Mezzio è un uomo dalle idee chiare, manageriali, lungimiranti, ha una concezione moderna della politica; si considera un ex sindaco di trincea, costretto a scontrarsi con meccanismi farraginosi e colpevolmente ostili che hanno cercato di ostacolare la sua attività. Eppure ritiene di aver dato tanto al suo paese, le opere realizzate sono visibili e incontestabili: Il Museo dei Pupi è una realtà di cui va particolarmente fiero, così come il completamento del nuovo Palazzo comunale; la caserma dei carabinieri, e tante altre ancora. Emerge una visione ampia di come va intesa la politica nella sua essenza più nobile. Qualcuno lo ha accusato di essere accentratore, troppo decisionista ed eccessivamente frenetico nel far ruotare i suoi assessori. Lui ribatte che la sua è stata solo legittima difesa, che gli interessi personali, le piccole prese di posizione, le misere beghe e l’attaccamento alla poltrona di qualcuno non potevano prevalere sugli interessi della collettività. Si parte dallo spunto di quanto accaduto in un piccolo paese della Sicilia per toccare tutti i grandi temi della politica: l’avvento della legge Bassanini, il federalismo, l’etica, il dopo tangentopoli, la questione morale, le riforme. Un’analisi estremamente lucida e dettagliata che fanno di questo libro un piccolo scrigno da tenere sempre a portata di mano. Non a caso porta la prefazione di Giovanni Puglisi, Rettore dell’Università IULM di Milano e la postfazione di Andrea Piraino, Segretario generale dell’AnciSicilia, Direttore del Dipartimento Diritto Pubblico dell’Università di Palermo.
Salvo Zappulla
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Gli autori
Giuseppe Matarazzo, 32 anni, lavora nella redazione economica del quotidiano Avvenire. Dopo la laurea in Scienze politiche, si è specializzato in Politiche territoriali all’Università di Urbino e ha conseguito il primo Master in Giornalismo della Mondatori a Milano. Ha collaborato con diverse testate, fra cui Panorama On line e Tv Sorrisi e Canzoni. Ha mosso i primi passi giornalistici nel quotidiano Gazzetta del Sud e nel settimanale cattolico Cammino. Per il Comune di Sortino ha diretto il periodico Notizie in Comune.
Orazio Mezzio, 41 anni. Laureato in Scienze politiche a Catania con una tesi sulle origini del movimento politico dei cattolici. Nel 1986 è stato eletto nel consiglio nazionale dei giovani delle Acli. Nel 1994, consigliere provinciale di Siracusa. Dal 1995 al 2007 è stato eletto direttamente per tre volte sindaco di Sortino (Sr). Ha ricoperto incarichi nelle associazioni degli enti locali (Anci, Uncem e Aiccre) partecipando alla fondazione dell’associazione nazionale delle Città del Miele e dell’Unione dei Comuni “Valle degli Iblei”.
Insieme, nel 1993, hanno curato Liberi, ogni giorno!, la prima pubblicazione antiracket della provincia di Siracusa.
La prima è proprio una domanda… moraviana.
Il riferimento al romanzo d’esordio di Moravia “Gli indifferenti” è ovvio…
Allora, vi chiedo di… leggere, meditare, rispondere (se vi va, ci mancherebbe).
Per vostra comodità ripeto le domande anche tra i commenti che seguono.
– Chi sono oggi gli Indifferenti nella società e nella cultura?
– Le forze politiche sembrano abbandonare progressivamente progetti legati a ideali e programmi di ampio respiro. Simmetricamente nei cittadini cresce la disaffezione per il dibattito politico. Per uno scrittore l’abbandono della res publica è un dato da cui partire o una degenerazione cui opporsi?
– La politica insegue sempre più esclusivamente il consenso, eppure governare a volte è anche fare scelte impopolari. Potrebbe indicare quali sono secondo lei tre cose da fare, impopolari ma giuste, anzi necessarie per il nostro paese?
– Che cosa succede se uno scrittore va al governo?
Le suddette domande sono da intendersi come di “ordine generale” e non sono riferite al governo attualmente in carica.
(Giusto per precisare).
Rispondete (se vi va) e provate a interagire tra voi.
Neiprossimi giorni, come ho già scritto, inserirò le risposte degli scrittori coinvolti nel questionario.
E vi inviterò a individuare quella con cui vi sentite più in linea.
Auguro una serena notte a tutti.
– Chi sono oggi gli Indifferenti nella società e nella cultura?
R.Ormai gli indifferenti (la borghesia) hanno imposto definitivamente il proprio modello di vita e di pensiero; quindi a mio parere oggi siamo tutti felicemente indifferenti.
–
Per uno scrittore l’abbandono della res publica è un dato da cui partire o una degenerazione cui opporsi?
R. La migliore opposizione possibile per uno scrittore -a mio avviso- è spingere sull’accelleratore nella stessa direzione il più forte possibile. Tant pis tant mieux, dicono i francesi, o sbaglio?
–
Potrebbe indicare quali sono secondo lei tre cose da fare, impopolari ma giuste, anzi necessarie per il nostro paese?
La prima convincere il Papa ad abdicare in favore di Silvio (questa però la vedo dura). La seconda, abolire del tutto salari e stipendi a operai e impiegati, abolire la cassa mutua, privatizzare interamente la scuola e la sanità, sciogliere i sindacati e chiudere il Pd e l’Idv: e quindi lasciar lavorare finalmente in pace Silvio (e questa è facile, fra un po’ è fatta). La terza, abolire il prelievo fiscale ai ricchi e ripristinare la tassa sul macinato (questa è in corso, la stiamo solo perfezionando).
–
– Che cosa succede se uno scrittore va al governo?
Le comiche di Ridolini.
rex (buonanotte a tutti)
– Non sono così sicura che uno scrittore sia una categoria abbastanza specifica da potersene stare da sola, e offrirmi delle qualifiche interessanti politicamente. Forse per questa idea fissa che ho della scrittura come megafono esistenziale, come ripercusisone del vivere. Ma la qualità umana, e le qualità umane e le qualità politiche sono anteriori al gesto di scriverle. scriverle ci fa sapere di che roba siamo fatti – il che è buona cosa, ma ci sono altre vie, e il di cosa siamo fatti è anteriore. In politica poi ancor più fondamentale. Dunque l’idea di uno scrittore al governo, tutto sommato non mi dice niente. Al di la di come scrive amerei Amos Oz al governo. Al di la di come scrive, non mi interesserebbe per niente Philip Roth al governo.
– Di conseguenza l’abbandono della res pubblica è un dato che scrittori diversi usano con modalità diverse – e sarà la complessità del loro lavoro a rendere loro pregio, non la vicinanza o lontananza dalla cosa pubblica. Una medesima vicinanza rende il panorama monotono.
– Gli indifferenti sono gli stessi di sempre, con in più qualche entusiasta di prima. Cioè quelli che non hanno mai preso razionalmente sul serio l’agire politico per cui hanno le reazioni antitetiche e simili del rigetto o della febbre. Non ho molta stima di entrambi.
– Mi sembra buffo rispondere a cosa ritengo giusto fare, popolare o impopolare che sia. Ma è divertente – e simpatico sintanto che si sta in poltrona e non si conoscono i costi reali della vita realee della contestualità politica.
In ogni caso:
– L’Italia ha un patrimonio artistico e incredibile, assolutamente depotenziato come risorsa economica. Abbiamo il sessantuno per cento dei beni artistici mondiali, che ci farebbero mangiare tutti riccamente, e che maltrattiamo e non sfruttiamo affatto. La storia dell’arte è nel nostro paese una materia ridicola, e il turismo è organizzato in maniera strafalciona. In una prospettiva keynesiana, per cui le crisi si affrontano aumentando il PIL e potenziando lavori pubblici aprirei delle opere pubbliche in questo senso. anche finanziando l’architettura contemporanea: penso a operaizoni come il bellissimo Mart a Rovereto.
– Potenzierei l’assistenza alle famiglie per permettere ai lavoratori di lavorare tutti e meglio: vuol dire aumentare gli appalti per gli asili nido, concepire asili nido aziendali, concepire organizzazioni più strutturate per i problemi di anziani e di disabili e per chi soffre di patologie psichiatriche. La 180 ha cruso degli obrobri, ma la società italiana si è deresponsabilizzata dalla gestione del disagio mentale mettendo tutto a carico delle famiglie. e le famiglie con questi problemi sono molto meno produttive.
– forse me ne fotterei della maggioranza e del parere della Chiesa proporrei con convinzione il matrimonio civile tra omosessuali e l’inseminazione artificiale.
Scusatemi se sono off topic, ma ieri mi è arrivato il libro della Azimut… che contentezza!
Bellissimo, ben curato, vi ritrovo e potrò conservarvi tutti…
Grazie Massi per l’opportunità, per il fatto di credere che si fa cultura in rete, cioè insieme, più e meglio che individualmente. Grazie per l’amore verso i libri che condividi con noi…
Acquistatelo!!!
MESSAGGIO PROMOZIONALE A CURA DELLA LETTERATITUDINE PUBLIC RELATIONS LIMITED (una delle Aziende In-visibili? Mah…)
🙂
Chi sono oggi gli Indifferenti nella società e nella cultura?
Gli indifferenti sono il popolo consumatore-consumista, che vota a naso e/o per convenienza, che non legge, non s’informa, dà risposte soggettive ed emotive ai problemi. Gli indifferenti sono coloro i quali non pensano a figli e nipoti continuando allegramente a fregarsi le risorse economiche e naturali dell’Italia e del mondo, tanto dopo di me il diluvio.
Gli in-differenti, cioè i conformisti, sono quelli che si sono adeguati al familismo amorale che caratterizza l’Italia da secoli. Quelli che la raccomandazione. Quelli che il voto di scambio. Quelli che.
Belle domande. Non è facile rispondere. Voglio pensarci un po’.
Grazie mille per questi vostri primi commenti.
Un bacio a Zaub, Maria Lucia, Martina.
Una vigorosa stretta di mano a Rex. ;-))
Come avete visto ho aggiornatoil post perché Salvo Zappulla mi ha inviato la recensione ha un libro che è in tema con il post su “scrittori e politica”.
Il libro in questione è edito da “Rubbettino“. Gli autori sono Giuseppe Matarazzo e Orazio Mezzio. Il titolo coincide con una domanda:
Politica, le idee contano ancora?
Vi invito a discutere anche su questo.
Giuseppe Matarazzo e Orazio Mezzio sono invitati a partecipare al dibattito sul loro libro e a quello generale del post.
Salvo Zappulla mi darà una mano ad animare e a moderare il post.
Questo è un post che procederà in maniera “lenta”, anche per via di una serie di impegni che mi coinvolgeranno per un po’ di giorni.
A tal proposito ne approfitto (off topic) per comunicarvi che venerdì sarò a Siracusa a presentare (insieme a Luigi La Rosa e a Maria Lucia Riccioli) il romanzo d’esordio di Simona Lo Iacono: “Tu non dici parole” (Perrone editore).
Di seguito i riferimenti dettagliati.
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Data: Ven, 19/12/2008 – 17:30
“Perrone LAB” presenta Tu non dici parole di Simona Lo Iacono presso il Salone Borsellino, Palazzo del Senato (Piazza Duomo, Siracusa).
Relatori: Luigi La Rosa, Massimo Maugeri, Maria Lucia Riccioli.
Interverrtà il prof. Paolo Giansiracusa, presidente dell’Archeoclub di Siracusa
Letture di Silvana Scrofani
@ Mari
Sono contento che ti sia arrivato “Letteratitudine, il libro”. Una bella notizia :-))
Il post procederà in maniera “lenta”, dicevo… e ci terrà compagnia almeno fino a sabato).
Dunque, prendetevela comoda e rispondete con calma (se vi va e se vi interessano gli argomenti proposti).
Stasera o domani inserirò le risposte alla prima domanda da parte degli scrittori coinvolti nel “questionario”.
– Che cosa succede se uno scrittore va al governo?
…….
risposta provocatoria: diventa un ottimo scrittore di fantascienza.
🙂
– Chi sono oggi gli Indifferenti nella società e nella cultura?
Ciò che mi spaventa nella storia non sono le figure di Mussolini o di Hitler in sè, ma il consenso con il quale sono saliti al potere. Lo spazio che l’indifferenza dei più ha lasciato colmare ai veri e convinti sostenitori dei due. E che oggi, senza volere paragonare personaggi odierni a quei due, mi suggerisce però alcune similitudini….
– Per uno scrittore l’abbandono della res publica è un dato da cui partire o una degenerazione cui opporsi?
E’ un dato della realtà. E uno scrittore che vuole calarvisi non può ignorarlo. Poi se vuole semplicemente registrarlo, lasciarlo in sottofondo, o opporvisi apertamente dipende dalle sue scelte, personali o narrative che siano. Nessuno si deve permettere di imporre nulla agli scrittori. Qualsiasi dettame, come la censura, sarebbe secondo me ripugnante.
– .. tre cose da fare, impopolari ma giuste, anzi necessarie per il nostro paese?
Io a questa domanda non saprei rispondere, se non confermare che le cose giuste sono spesso necessariamente impopolari e che viviamo invece ahimè in un clima di costante campagna elettorale, dove l’acquisizione del consenso, a qualsiasi prezzo, sembra il pensiero primario di governi e opposizioni, a costo di provocare scatafasci.
-Che cosa succede se uno scrittore va al governo?
Questa cos’è, una provocazione, Massimo?
Se uno scrittore va al Governo succede che fa acquistare i suoi libri a tutte le biblioteche d’Italia e fa soldi a palate. Massimo mi hai dato un’idea, quasi quasi mi candido.
Io vorrei chiamare in causa Orazio Mezzio che ha fatto il sindaco per 12 anni (Andreotti al suo confronto è una schiappa) sull’etica della politica, sul valore più nobile della politica. Mezzio è possibile amministrare in Sicilia senza sporcarsi le mani? C’è ancora speranza per questa terra dimenticata da Dio?
Ci tengo a far sapere che Mezzio è stato il sindaco del mio paese ed io sono un dipendente comunale. Pur stimandolo, non l’ho mai votato. E in più sotto la sua legislatura mi sono beccato una denuncia per abbandono del posto di lavoro (mi sono salvato per il rotto della cuffia)… lo possino…
E per porto abusivo di cannolo in orario mattutino, con l’aggravante che hai ”consumato il reato” in ufficio, ti hanno mai incriminato, Salvu’?
–
Va be’: io e la politica ormai siamo tanto lontani che me ne ricordo solo quando vado a votare – o meglio quando spedisco la mia scheda elettorale all’Ambasciata d’Italia di Lubiana. Sono diventato uno che pensa alle cose pratiche, non ai grandi progetti: pero’ quando propongo cose scomode vedo che mi ignorano tanto bene tutti, significa che prendo nel segno, no? Altro che politica. Evoluzione dei costumi, degli spiriti, SPIRITO EUROPEO, ci vuole! Iniziamo a lottare per la nostra categoria e poi pensiamo al resto, direi.
Ciao
Sergio
No Sergio, non ancora. Mi avevano denunciato perchè avevo dimenticato di timbrare il cartellino di uscita per il servizio esterno. Risultavo assente dagli uffici, solo che io non lavoravo in ufficio. Sergio, una persona di intelletto non può dire di essere lontano dalla politica. La politica regola la civile convivenza tra gli esseri umani e non ci si può estraniare. Io sono stato dirigente sindacale per lunghi anni, poi mi sono dedicato alla letteratura ( ma visti i risultati forse sarebbe stato meglio che continuassi a fare il sindacalista)
Rispondo, poi, ancor piu’ seriamente alle domande:
–
1) Gli indifferenti:
–
lo sono molti, troppi, fra noi. Iniziamo ad essere sensibili alle esigenze del vicino di casa, della moglie, degli amici, dei figli, dei colleghi, solo dopo proseguiamo con altre conquiste morali e spirituali quali la politica – ma secondo me a quel punto abbiamo gia’ raggiunto almeno gli ottant’anni e andiamo a finire in luoghi ameni d’altro tipo.
–
2) Abbandono scrittoriale della res publica:
–
l’importante e’ piantarla di scrivere roba realistica, psicologistica, horror e noir. Il resto, senza questi generi, anche se scritto male sara’ sole radioso e Nirvana per tutti noi!
–
3) Tre cose impopolari ma obbligatorie per il Paese:
–
A) Legge con tariffario vincolante sul pagamento obbligatorio da parte degli editori TUTTI dei manoscritti TUTTI all’atto del contratto editoriale di pubblicazione; B) Azzeramento IVA per gli editori; C) Finanziamenti pubblici agli editori librari SU BASI STRETTAMENTE MERITOCRATICHE.
–
4) Scrittore che va al Governo:
–
E che deve fare? Risposta ovvia e banale: diventa un politico e smette di essere uno scrittore serio.
–
Ed e’ poco ma tutto
Ciao
Sergio Sozi
A Giuseppe Matarazzo vorrei chiedere cosa ne pensa del fatto che tutti i grossi gruppi editoriali sono concentrati al nord. Il fatto stesso che lui per svolgere l’attività di giornalista professionista sia dovuto emigrare non lo trova un po’ frustrante?
Salvo, mi dici che ”Sergio, una persona di intelletto non può dire di essere lontano dalla politica” ed io precisero’, dunque, di non essere una persona d’intelletto ma uno scrittore. Io sono cosi’, gli altri non saprei, non e’ affar mio.
Ciaobello
Sergio
P.S.
Pero’ per la mia/nostra categoria io lotto ugualmente: sara’ politica questa? Forse. Boh.
Alcuni titoli per lo scrittore che va al governo:
.
“Elogio della follia”
“Il signore delle mosche”
“Vita dei santi”
“Io speriamo che me la cavo”
“Il libro della giungla”
“Identità distorte” (!)
“Il pianeta delle scimmie”
“Il Milione”
“Io, Robot”
“La vita è sogno”
.
Cosa succede se uno scrittore va al governo….
Bè in questa confusione di ruoli, dove molto spesso gli imbrattatori di tele si fanno chiamare Artisti o i suonatori di grancasse Musicisti (e si sa che l’Arte è piena di “artifici”) – e credo anche in campo letterario non manchino armate cavalleresche di tal guisa- uno Scrittore un Poeta, forse verrebbero inghiottiti dal sistema. Credo sia meglio fare “politica” scrivendo: è una delle poche cose ormai che ci può salvare da questa indifferenza predominante e imperante…
Eccomi! Comincio con un grazie per l’ospitalità e i complimenti a Massimo Maugeri per questo spazio così interessante e raro, di questi tempi. Mi inserisco al volo, visto che devo rimettermi a lavorare… I ritmi del sono serrati… Politiche, idee, indifferenza, scelte impopolari, cultura… un mix altamente stimolante per il nostro pensiero e il nostro agire. Una molla per non arrendersi di fronte alle notizie che quotidianamente offuscano la politica. Quella delle poltrone ad ogni costo, degli inciuci, delle tangenti, dell’illegalità, del pressapochismo e chi più ne ha più ne metta. Perché fortunatamente c’è – o perlomeno non dobbiamo arrenderci di inseguire – una Politica sana, attenta alle esigenze delle città, dei territori e dei cittadini che li abitano. Un’arte, la politica, che riguarda tutti. Perché decide le sorti di tutti. Quindi, scrittori di tutta Italia unitevi!!! Letteratitudine… niente male per una lista!! Non credete!? Beh, a parte le provocazioni… In questo primo giro mi permetto di pubblicare la premessa che introduce la chiacchierata fra me e Orazio Mezzio. Poche frasi che in un certo modo sono in linea con alcuni interrogativi proposti e danno qualche altro spunto sul nostro pamphlet presentato in questo blog dal caro Salvo Zappulla (troppo buono!!). Registro la sollecitazione di Salvo sull’editoria e il Sud, e cercherò di dire la mia in un altro post!
@Sergio. Io ti vedrei bene come ministro delle pari inopportunità.
@Gaetano. Sostituisci “Identità distorte” (che è robetta) con “Il maniaco e altri racconti”, letteratura alta.
Ragazzi vogliamo parlare di politica seriamente? State sempre a scherzare, detesto scherzare nei blog.
Quello che avete fra le mani, non è un libro, ma un gratta e vinci. Una scommessa. Per non dire una follia. Siamo follemente convinti che le idee contano. Ancora oggi. E che – udite udite, pardon, leggete leggete – si può fare Politica pensando al Bene Comune. Si può parlare di futuro, di speranza, di orizzonti nuovi. Non è un’altra puntata del serial pubblicitario “L’ottimismo è il sale della vita!”, ma un cammino possibile che dobbiamo compiere tutti insieme. Dai piccoli comuni di montagna alle grandi città. È vero, i segnali negativi per frenare la speranza ci sono tutti. La parola più ricorrente, in una società che da incerta è diventata man mano liquida (parola di Bauman), è “crisi”. Crisi di tutto. Economica. Sociale. Morale. Istituzionale. Politica. Sembra di vivere in una società senza più riferimenti. In crisi, appunto. Una società che scopre la Casta, o meglio le caste, sol perché esce un libro che racconta quello che avviene tranquillamente sotto gli occhi di tutti. Nell’apparente indifferenza più assoluta. Come se fossimo ormai incapaci anche di indignarci. Un libro che scatena così l’antipolitica, che per definizione non esiste, essendo noi tutti – Aristotele docet – animali politici. Antipolitici o no, comunque una reazione di allergia a un sistema che frana giorno dopo giorno si avverte chiaramente. Senza che si riesca a trovare il bandolo della matassa per liberarsi dalla morsa che lentamente sta bloccando e uccidendo lo sviluppo e il futuro di questa realtà.
Così, partendo dall’esperienza nella nostra piccola storia, ci siamo chiesti: perché non riflettere ad alta voce su questo tempo, guardandoci indietro per andare avanti? Da qui è nata l’esigenza di ripercorrere il cammino che abbiamo vissuto a Sortino, centro montano della provincia di Siracusa, come specchio di quanto avvenuto a livello nazionale e internazionale. Il piccolo comune che vive simbioticamente i grandi eventi, i cambiamenti politici, burocratici e socio-economici. Proporre insomma la nostra esperienza, in un confronto quotidiano che parte dalle reazioni e dalle speranze nate dall’ talia post-Tangentopoli per finire alle disillusioni della nuova (si fa per dire) Italia. Prigioniera della sua debolezza. Che rischia l’implosione per
l’incapacità di guardare avanti. Di buttare il cuore oltre l’ostacolo. E rincorrerlo. Siamo viaggiatori pensanti per dirla alla Mannoia dei Treni a vapore!
Una riflessione che non si ferma neanche a distanza. Ed è proprio dallo scambio epistolare (via e-mail!) che nascono queste pagine. È cominciato quasi come uno scherzo. È diventato qualcosa di più. Il rilancio di una sfida la cui posta in gioco è troppo alta oggi per restare in silenzio e non dare il proprio contributo. Siamo al bivio, obbligati a scegliere. Fra il vivacchiare, continuando a consumare parassitariamente il patrimonio che abbiamo ereditato dai sacrifici di chi ci ha preceduto. Oppure decidere di fare la nostra parte. Ciascuno
secondo le proprie possibilità, ognuno secondo la propria forza, per migliorare, per quel che si può, la nostra Città. Come canterebbe De Gregori, la storia siamo noi. Nessuno si senta escluso.
– TUTTI sono indifferenti, nella società e nella cultura. Ognuno si coltiva il suo campo di carote, in modo più o meno etico e rispettoso del campo di carote altrui, e tutti fingono di ignorare che ogni campo è il minuscolo segmento di un orto molto più grande. E chi amministra l’orto grande lo fa come se fosse il suo personale campo di carote.
– in questo contesto, reale, per uno scrittore l’abbandono della res publica potrebbe essere solo scoraggiamento
– tre cose? curare meglio i nostri giovani, più cultura, più stimoli e meno reality; una tutela seria del nostro habitat anche a costo di rinunciare a qualche abitudine di comodo; proteggere dagli infortuni sul lavoro
– se uno scrittore andasse al governo perderebbe il silenzio… diventerebbe una cicala.
Non avevo visto il primo commento di Giuseppe. Io sono contrario a ogni forma di generalizzazione, che rischia di generare sfiducia nelle istituzioni. La politica è fatta di uomini, alcuni la intendono in un modo, altri in un altro modo. C’è gente che ci ha rimesso la pelle per i propri ideali: magistrati, sacerdoti e anche uomini politici. Inutile elencare nomi. Lo scrittore non è un individuo avulso dalla società, perchè mai dovrebbe aspirare al silenzio? Basta vedere quanto parla Sozi! Per me è un falso problema: lo scrittore, o l’artista in generale, ha tutto il diritto di occuparsi di cose terrene e far sentire forte la propria opinione. Sciascia scriveva da Dio e faceva politica. Nulla toglieva nulla all’altro. E Pasolini? Vittorini? E tanti altri ancora? Molti scrittori sono stati censurati per il loro impegno antifascista. Altri ancora hanno preferito accodarsi per non compromettere la loro carriera. Ogni uomo si assume la responsabilità del suo agire confrontandosi con la propria coscienza
Va bene Salvo, parliamo seriamente di politica.
Facendo un balzo nel passato, che ne dici di proporre come presidente della nazione più potente del mondo un attore che fa il cow boy al cinema? E che ne dici, tornando all’oggi, di proporre come presidente del consiglio d’una nazioncina del Vecchio Mondo il presidente d’una grossa squadra di calcio? E non sarebbe una buona idea quella di combattere il comunismo (a proposito, i comunisti mangiano i bambini solo a colazione, il resto sono maldicenze) con una allenza di tale presidente con un pezzo grosso dell’ex KGB sovietico? E che ne pensi di aiutare gli alunni extracomunitari nella scuola elementare con una bella proposta proveniente da un esponente di partito che ama così tanto quei bingo bongo di immigrati? E come lo vogliamo chiamare un partito che ha come sua caratteristica la tolleranza estrema di ogni individuo? Sarebbe bello qualcosa che abbia a che fare con la parola libertà. E già che ci siamo, che ne dici di Bondi al Ministero dei beni culturali?!
buonasera e grazie per l’ospitalità riservata. scusate se arrivo in ritardo, ma al termine del mandato (elettorale) ho lasciato ogni incarico e adesso sono ritornato a lavorare nell’impresa di famiglia e, come ogni attività in proprio, non si hanno orari. Avevo scelto di fare il gornalista ma per me il giornalsmo è rimasto un optnional, in quanto avevo lasciato la penna nel cassetto per dedicarmi interamente al servizio amministrativo (ho iniziato a fare il sindaco conla tesi di laurea fresca di stampa).
Per non essere tacciato di fare “il politico” rispondo subito alla domanda di zappulla. e siccome la responsabilità penale è personale, parlo per me. come detto nella recente pubblicazione, ho subito procedimenti penali perchè ho fatto discariche (!, come non ricordare le conseguenze nei posti dove non le hanno fatto), depuratori (al servizio di siti unesco) piscine (prima appaltatate addirittura senza scarichiper le acque), ovvero sono stato accusato testualmente di “aver arraffato soldi a favore del comune”. Ebbene, se questo, comprensibilimente, è un reato nella terra dei malavoglia è anche vero sono silenziosamente in tanti gli amministraotri pubblici che cercano di “fare” e proprio per questo sono impallinati dalle lettere anonime che nella vigata di camilleri hanno tanto credito. per dirla alla turi mangiameli, nella trasposizione teatrale di enza ramondetta: sulu u nenti è nenti…. coiè, dico io, nella società dell’immangine non appare, quindi non è e dunque…non si condanna. tutto questo per dire che questa terra ha speranza nella misura in cui siamo disponibili a sporcarci le mani e lavorare sodo per riscattarla …”dall’infingardagine”. Certo non sono pochi gli esempi negativi che sfiduciano l’elettore e avviliscono i cittadini che danno deleghe elettorali, ma, aggiungo io, a chi giova generalizzare e vedere nero ovunque?
p.s.- i complimenti per questa agora virtuale!
@Salvo Zappulla. Per silenzio intendevo lo spazio di silenzio interiore necessario per scrivere, non intendevo dire che gli scrittori devono star zitti! E’ vero che ci sono fior di magistrati, sacerdoti e politici che hanno combattuto per i propri ideali: ma ci hanno rimesso la pelle nell’indifferenza del mondo, appunto.
@Giuseppe Matarazzo. Sono d’accordo con te, decidere di fare la nostra parte. Se lo pensassero tutti, non ci sarebbe più indifferenza.
”Il maniaco e altri racconti” e’ letteratura ”malta”, non ”alta”, Salvuzzo: pagine che si solidificano e ti soffocano… inoltre per te e’ pronto un dicastero dell’Umorismo Nazionale (ultima battuta, la smetto, promesso!).
A parte gli scherzi, Salvo: bella trattazione: e’ edificante vedere le persone oneste esprimersi, una volta tanto.
Saluti cari a tutti
Sergio
il romanzo d’esordio di Simona Lo Iacono: “Tu non dici parole” (Perrone editore).
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Queste sono belle notizie, per una bella scrittrice (ho fatto cerca con google e ho visto la splendida Simona)
Benissimo, però non mi dispiacerebbe, anzi mi piacerebbe, saperne di più. Simo, di che parla il romanzo?? Raccontaci qualcosa, a piacere, quello che che senti e pensi di poter dire.
rex
@Gaetano. Eppure quel cow boy passerà alla storia come un ottimo presidente, molto meglio di altri che lo hanno succeduto e si sono inventate fantomatiche guerre per saldare il debito con gli industriali delle armi che lo avevano sostenuto in campagna elettorale.
Berlusconi: agli occhi degli italiani incarna il successo; i suoi atteggiamenti sono detestabili però tanti vorrebbero emularlo. Decide, agisce, imbonisce, dà un senso di sicurezza. Bluffa, si permette battute militaresche, si fa i cazzi suoi, ma è sempre presente. Non dimenticare che la sinistra per ben due volte ha dimostrato di non saper reggere l’impatto con il potere (te lo dico con grande rammarico). In Russia passeranno ancora decenni prima che si arrivi a una vera democrazia. La lega rappresenta un malessere reale di una parte della società. Il razzismo, l’intolleranza sono l’aspetto più becero che essa esprime, ma è anche vero che in Lombardia, nel Veneto, dove la gente è abituata a lavorare sodo, si sono scocciati di sostenere all’infinito quanti preferiscono( mi riferisco ai governanti) mantenere il Sud bisognoso di assistenzialismo, in uno stato di precarietà, che non consente alla gente di votare liberamente. Non esiste libertà di pensiero quando non si è liberi dal bisogno. Bondi lo manderei a fare il ministro nel Congo, insieme a Calderoli. Al suo posto metterei Sergio (non sto scherzando), almeno avremmo un intellettuale serio nel posto giusto, farebbe finalmente questa famosa legge sull’editoria (chè ormai non se ne può più di sentirlo) e cosa fondamentale, ce lo toglieremmo dalle scatole.
@Orazio Mezzio. Domani desidero approfondire l’argomento posto. Lo trovo molto amareggiato. Orazio era un ragazzino quando si è assunto la responsabilità di amministrare il proprio paese, ci ha messo tutto l’entusiasmo di cui era capace, anche un pizzico di incoscienza ma quello che è riuscito a ottenere è sotto gli occhi di tutti. Appartiene a una delle famiglie più ricche del siracusano, non ha mai avuto bisogno di intraprendere la carriera politica per mettere da parte qualche spicciolo. Vi assicuro che non faccio sviolinate, siamo sempre stati in contrapposizione politicamente e spesso abbiamo avuto scontri molto duri, ma quando si tocca la dignità dell’uomo, la sua integrità morale, credo sia giusto porsi al di fuori di ogni schieramento ed essere onesti.
Buonanotte.
Politica, le idee contano ancora?
No. Il Pd si guarda bene dal manifestarne una che sia una perché proprio non ne ha. Le idee oggi ce l’ha solo la destra, stupide ma idee.
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Massimo, ricambio la vigorosa stretta di mano e se non ti dispiace raddoppio. :-))
rex
Ho interrotto un attimo la mia traduzione per venerdi’ (proposta dettagliata di vendita d’organo meccanico a parroco italiano, non scherzo!) e desidererei dire ai nostri amici meridionali che, purtroppo, non sono soli nel malcostume: la mia Umbria e’ oggi un blindato feudo di****no (mi tremano le mani a scriverlo senza autocensura, ragazzi, mica rischio!) come prima lo era del P.C.I. (questo lo scrivo per intero perche’ non esiste piu’ e dunque non puo’ querelarmi) e il lavoro NON C’E’ ora come non c’era prima – per i non tesserati, naturalmente. L’unica differenza e’ che oggi contano qualcosa anche le tessere dei partiti non-D* (ex P.C.I.), mentre vent’anni fa servivano come il due di coppe a briscola quando comanda bastoni. Manco la D.C. (durante i Governi D.C. eh!) serviva per farsi raccomandare, accipicchia, capite?!
Dunque eccoci qui ad emigrare nel 2000, noi umbretti piccoli neri ed ombreggiati.
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Ma non vorrei uscire dal seminato delle mie competenze tecniche – io non faccio politica, sono un ”ministro ombra tecnico” cioe’ un rompiscatole patentato – percio’ PARLIAMO DI CULTURA IN UMBRIA NEL 2000, ovvero quando la ho lasciata.
Vediamo dunque:
1) Riviste culturali e/o letterarie, critiche, insomma culturali in senso stretto: ZERO. L’unica che esisteva (la mia) mori’ nel 2000.
2) Editoria di carattere nazionale o almeno interregionale: ZERO. Tutti editorini localissimi che si guardano brutto l’un l’altro senza capire che unirsi sarebbe un toccasana per tutti. Figurati, con quelle teste!
3) Manifestazioni culturali librario-editoriali: UNA (si chiama ”Um*****ibri” e ricito cosi’ per non farmi denunciare, ‘nsesammai!) ma che se andate ad Ancona o a Roma non la conoscono manco gli addetti ai lavori: ”Umbriache’?”. Insomma un bello spreco di soldi fatto interamente dagli Enti Locali solo al fine di dare da mangiare ai soliti intrallazzati di Palazzo C*****ni e dintorni. Non se la fila nessuno: voi la conoscevate, Um*****ibri? Ditemelo, per favore.
4) Librerie: un disastro! Chiudono una dietro l’altra ad effetto domino ma apre la Feltrinelli supermega in centro. Gia’: quello e’ milanese e soprattutto di Si***tra, lui puo’ togliere il lavoro a un perugino!
5) Musica jazz (ci siamo capiti, no? mica ci sara’ bisogno di far nomi con gli asterischi, cribbio!): prezzi dei biglietti alle stelle (prenotare tre mesi prima, prego) e ottimo affare per sponsor di birre (solo UNA birra che a luglio scaccia tutte le altre marche dalla citta’ senno’ c’e’ troppo ”liberismo” e il liberismo in Umbria lo si odia) e alberghi da cento euro a notte. Partecipanti/pubblico pagante: migliaia di ”fan” con lavoro remunerativo o impiegatizio di alto livello e capelli sul grigiastro andante per il biancosporco, che spendono mille euro per stare in Umbria cinque giorni e quattro disperati ex-freak che fingono di esser poveri o sono proprio poveri che tanto ormai non danno piu’ fastidio a nessuno perche’ sono quattro, appunto. E i perugini? Si sono stufati di tutto cio’ da millenni ma tanto vale starsene zitti che tanto i soldi arrivano, anche se nelle solite tasche. Mal comune mezzo gaudio, anche se i soldi restano per l’ ”happy few”: basta condividere le emozioni e le note no?
Pero’ la mia solita inesattezza ce l’ho messa come al solito: a Perugia c’e’ invero UN editore non nazionale ma INTERNAZIONALE, sapete cosa pubblica? Manualistica d’italiano per stranieri – e libri di letteratura ma questi rionali e di borgata, qualche volta a distribuzione provinciale.
Che soddisfazione, ragazzi. Ora mi sento in pace con la coscienza.
Buonanotte dal Vostro ”Ministro Ombra-di se’-stesso”.
Come vi sarete accorti ieri non ho avuto modo di connettermi e mi scuso.
Vi ringrazio invece per i vostri commenti.
Un saluto e un ringraziamento particolare ai due ospiti: Giuseppe Matarazzo e Orazio Mezzio.
Interverrò stasera con più calma
@ Rex
Caro Rex, del romanzo di Simona ne parleremo in un post apposito.
Buona giornata a tutti
@ Rex…grazie dell’attenzione mio caro Rex! Come ha detto Massi ne parleremo…ma ti sono molto grata di avermi seguita con interesse!
@Massi: grazie di avere inserito la notizia della presentazione!
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….. chi sono oggi gli indifferenti nella società e nella cultura?…..
Credo che una risposta sui meccanismi dell’indifferenza attuale la offra Moravia (ne “Gli indifferenti”, appunto).
L’indiffernza che attanaglia come una malerba è quella che si traduce in inerzia morale.
I personaggi del primo romanzo moraviano, per esempio, sono colpiti da una sorta di «debolezza della volontà» e versano in una condizione di annientamento, di perdizione, di disfatta. E’ nella distruzione di ogni valore, o nel male — toccato nelle sue pieghe più riposte — che perdono il senso dell’esistenza.
La radice dell’indifferenza è quindi sociale e spirituale.
Sociale perchè si radica nei meccanismi distorti dell’ambiente (gli indifferenti denunciano l’ipocrisia di certi valori borghesi ostentati ma non vissuti fedelmente).
Spirituale perchè questa “malattia morale” è generata dall’incapacità di stupirsi.
Di lasciarsi rapire dall’incanto dell’arte. Del bello come portatore di bene (agathòs kai kalòs…dicevano i greci). Dal confluire dell’estetica nell’etica.
Credo che questa analisi moraviana sia attuale ancor oggi.
Gli indifferenti siamo un po’ tutti, quelli con la pancia piena, la macchina col pieno e l’abbonamento a Sky…, solo una vera crisi che ci rimetta col culo per terra potrà smuovere di nuovo le coscienze.
La mancanza di idee tra i politici italiani é un dato di fatto, secondo me dovrebbero limitarsi a copiare cosa fanno i vicini, tipo Zapatero, Sarkozy, Merkel, fino a Obama, e cercare di farlo meglio.
Scrittori al governo; dio ce ne liberi, gli scrittori devono essere come gli eremiti di una volta, o gli oracoli, che venivano consultati dai governanti per la loro capacità di analisi delle situazioni e di proiezioni mentali nel futuro. Comunque io sto con Platone; i filosofi al governo!
Un saluto a tutti.
D’accordo con te, Rex, un’ennesima volta. Piccolo unico problema, pero’, per i filosofi al governo: per mandarceli serve un popolo filosofo. Dimmi un po’ tu se questo…
Ed e’ perfetto anche quanto detto dall’ottima Simona, solo che sarebbe ora di aggiungere alle critiche e alle analisi anche i rimedi. Di analisi precise ce ne sono in giro, ma di proposte per guarire non ne vedo da nessuna parte, purtroppo (eccetto le ecatombi economiche azzeranti che sarebbero proprio l’ultima ratio).
Mi scusino Massimo Burioni e Rex: il mio intervento in risposta delle ore 1:21 pm era rivolto a Burioni. Ho fatto confusione. Pardon.
Appendice all’intervento di ieri sull’Umbria, la disoccupazione, la malapolitica e la cultura:
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Almeno la Sicilia una vera casa editrice nazionale ce l’ha e la conoscono tutti. Noi umbri invece abbiamo solo i politici che danno lavoro a chi va con loro a cena e quattro imprenditori tipograficoeditoriali i quali appena guadagnano l’un per cento di meno e quando non hanno le commissioni ben pagate degli Enti Locali (i committenti dell’editoria in Umbria sono gli enti locali) chiudono bottega e chi s’e’ visto s’e’ visto. Cosi’ sono i feudi, d’ogni tipo, e cosi’ e’ l’arretratezza culturale popolare. Ci mancano, a noi umbri, le tante influenze rivivificanti che invece hanno creato la forza intellettuale e spirituale di Regioni come la Sicilia e la Campania, per fare solo due esempi fra i tanti.
Soluzioni? Questa:
che gli Enti Locali un bel giorno dicessero agli operatori culturali tutti: ora basta coi finanziamenti a pioggia e i volumi commissionati agli editori, diamo solo un grande finanziamento ad UNA SOLA casa editrice di tipo nazionale fatta da tutti gli editori umbri associati, ma se verifichiamo che lavora male e entro tre anni non diventa autonoma, tagliamo i fondi pure a lei dopo un anno e in piu’ mandiamo in galera tutti i responsabili.
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A dir il vero un tentativo di associazione fra editori umbri venne fatto molti anni or sono ma falli’ miseramente perche’ gli editori erano disonesti e arraffoni e i politici non verificarono niente ma constatarono il bilancio terrificante dell’azienda solo alla fine, quando ormai non c’era piu’ niente da risanare o da fare.
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E scusatemi se stavolta – per la prima volta da quando scrivo qui – mi sono permesso di parlare della situazione dalla quale provengo. Mi sono preso un po’ di spazio, e’ vero, rubandolo ai bravi Zappulla, Matarazzo e Mezzio. Mi scuso pertanto con Massimo Maugeri e con loro tutti: era solo per far capire ai meridionali che l’Italia tutta ha gli stessi problemi del Sud. O almeno tre quarti dell’Italia, mi pare.
E questo e’ tutto
Sergio
COMUNICATO STAMPA.
Domani Siracusa si vestirà a festa per tributare il giusto omaggio alla sua regina, la dott.ssa Simona Lo Iacono, la quale presenterà il suo romanzo TU NON DICI PAROLE, edito da Perrone. Ore 17,30, salone Borsellino, Palazzo del Senato. Dato il pellegrinaggio delle migliaia di persone che si riverseranno sulla città, il Sindaco ha deciso di chiudere la viabilità pedonale nell’isola di Ortigia, i vigili faranno passare solo le persone che esibiranno il romanzo della Lo Iacono. Sarà una giornata destinata alla Storia, il battesimo di una delle più grandi scrittrici di questo secolo. Sarà una gran festa, le Autorità regaleranno bigliettoni da cento euro ai turisti, i semafori si coloriranno di rosa, le piante fioriranno nonostante la primavera sia ancora lontana; la Madonna lacrimerà ancora, ma questa volta di gioia e a ognuno verrà regalato un sorriso.
Sergio, perché i filosofi al governo? Io penso che dovrebbero governare i farmacisti, poi ognuno la vede come preferisce. Una curiosità: sei umbro per caso? E, volevo domandarti: c’è una casa editrice in Umbria? Grazie in anticipo (e del caso anche in posticipo)
rex
@ Zappulla. amareggiato? personalmente mi ritengo un miracolato, se considero quanto ci circonda.
il lavoro svolto con matarazzo è declinato al futuro, altrimenti non avrebbe avuto senso farlo. l’amarezza semmai è per non aver fatto di più e meglio. le cause? abbiamo provato a dirne qualcuna e a sottoscrivere qualche idea. Come primo risultato, nell’attesa di avere risposta sul’interrogativo iniziale (politica, le idee contano ancora?), leggendo la recenzione di zappulla e l’opportunità offertaci da mauceri, stiamo constatanto che di certo le idee …camminano!
p.s- che dire circa l’indifferenza di cui si parla in questa sede e di cui diamo evidenza pure nel nostro pamphlet … nella società “liquida” l’indiffernenza sembra essere verso ogni cosa che non si vede, solo perchè non appare… ma ci sono cose che il tempo svela nella vera essenza, e la buona politica ne trarrà giovamento.
p.p.s – scusate i refusi di cui sopra …prefiesco la penna ai “tasti”.
Io sono totalmente d’accordo con il primo intervento di Maria Lucia Riccioli. Non una parola di più, non una di meno.
@Mezzio. Come è possibile oggi fare buona politica in una società in cui le esigenze dei cittadini sono cosi variegate? Le aspettative sono tante, la tendenza del Governo è quella di ridurre i finanziamenti agli Enti locali, i quali per sopravvivere sono costretti a imporre nuove tasse ai propri cittadini. Come si fa a conciliare sana amministrazione e consenso popolare?
@Mezzio. Vada per i refusi, ma non mi storpiare il nome del nostro Kapo se no rischi il linciaggio. Si chiama: Massimo Maugeri.
@zappulla. chiedo venia per il capo, ma non ti ci mettere pure tu, scritto con la “K” si presta a strmentalizzazione!
andiano al dunque:si può, si fa, e si sente… dentro! e poi vale la massima a. grandi: “…avremo il merito di averci tentato!”
lo so, forse lo dico per auto convincermi ma…. forse anche per questo condivido chi scrive:
Che cosa succede se uno scrittore va al governo?
…….
risposta provocatoria: diventa un ottimo scrittore di fantascienza.
@Mezzio. Durante la tua attività di amministratore qual è la cosa che avresti voluto realizzare e non ci sei riuscito? E quale quella che hai fatto e non avresti voluto fare?
(Dio, che domande del menga, ma in questo momento non mi viene in mente nulla di più intelligente. D’altra parte abbiamo qui un ex sindaco e vorrei approfittare della sua esperienza per capirne di più su quanto ruota attorno al Palazzo).
ancora da realizzare? che domanda, ma non per il livello intellettuale ma perchè la risposta è già “patrimonio dell’umanità”! mi riferisco all’attraversamento pedonale sul calcinara a pantalicia, un’opera voluta e votata da tutti gli enti locali degli iblei e da tutti gli enti e gli uffici sovraccomunali. definita dai rappresentanti unesco come “eccezionale” e “necessaria per il territorio”. la cui procedura di concertazione è stata validata dal tar, per ben te volte, che, anticipando il merito ha dichiarato l’opera “di scarso impatto ambientale”. presentata nelle migliori università sia per lo studio ambientale che per il calcolo del legno lamellare, decretata e registrata favorevolmente dalla corte dei conti… ma non ancora appaltata “a causa degli assordandi silenzi degli uffici del poere reale”! E pensare che il decreto di finanziamento è arrivato solo una settimana dopo che avevo finito il mandato (elettorale), altrimenti avrei riscritto la lettera già inviata a uno degl uffici della regione con evidenziato: “per molto meno in sicilia sono scoppiati i vespri!”
da non realizzare? difficile rispondere, potrei riempire un’enciclopedia coi miei errori… ma ciò era inevitabile e tutti erano coscienti nel votarmi, mica potevo alterare l’età anagrafica in un paese come il mio.
@Mezzio. Sorvoliamo sui tuoi errori, tra i quali anche un ordine di servizio trasmesso al sottoscritto, nel quale si diceva: “Lei, con decorrenza immediata viene inviato a titolo definitivo al cimitero” (Ci sarebbe molto da discutere su quel “definitivo”, comunque, tocchiamoci le parti basse e andiamo avanti). Pantalica. Hai scoperto un punto dolente. Pantalica, la più grande necropoli d’Europa, patrimonio UNESCO, uno dei posti più belli del mondo che appartiene al nostro territorio, eppure non riesce a far decollare il nostro turismo. Mancano i servizi, le infrastrutture. Potrebbe dare centinaia di posti di lavoro. E invece sembra lasciata all’incuria. Perchè?
Le idee esistono ancora? la politica, penso, da sempre è scissa tra il teorico e il pratico. e se la politica è fatta di idee allora anche gli scrittori contribuiscono…assieme a chiunque altro, foss’anche lo scemo del villaggio! Troppo ovvio?
il problema è forse chi spesso la deve mettere in pratica.
G. Verdi, nominato senatore a vita, assistette a qualche seduta in parlamento….poi visto l’andazzo (mica è storia solo di oggi) tornò a occuparsi di Opere…Magari diventava un cattivo legislatore e ci saremmo persi Otello Aida Requiem…
Me ne torno anch’io alle mie opre sonate, ai miei improvvisi e ai miei notturni….
Buona serata e complimenti per il bel sito letterario.
Chi sono oggi gli Indifferenti nella società e nella cultura?
credo… il 95% di noi italiani? la difficoltà della domanda sta nel non poter leggere nei pensieri altrui e smascherare l’ipocrisia, per cui nel 95% di questi Indifferenti ci sono coloro che ‘se ne fottono’ ma non lo danno a vedere, sono i ‘ furbi’ .
io mi ritengo in-differente, cioè ‘nella differenza’ tra il pensare e il poter dire. mi spiego: penso, nonostante sia credente, che il vaticano favorisca l’indifferenza patologica e la rassegnazione (se cresciamo con l’idea che c’è Qualcosa che prestabilisca tutto, che senso ha ‘impegnarsi’ per cambiare e non abituarsi all’indifferenza?), questo penso… ma non potrei mai dirlo pubblicamente se fossi uno scrittore noto, credo.
————————————————————————————-
p.s.
ovviamente qui, in questo blog, c’è il 5% degli italiani differenti o in-differenti.
saluti.
Bene. Ringrazio tutti per i nuovi commenti.
Un grazie particolare a Salvo Zappulla che sta ben coordinando la discussione sul tema “Politica, le idee contano ancora?”
E grazie a Giuseppe Matarazzo e a Orazio Mezzio per la loro disponibilità.
@ Gianluca
Ti ringrazio per il commento precedente.
Scrivi: “ovviamente qui, in questo blog, c’è il 5% degli italiani differenti o in-differenti.”
Considerando che la popolazione italiana conta, all’incirca, 60 milioni di abitanti ciò significa che Letteratitudine è un blog frequentato da circa tre milioni di persone.
Bellissima notizia.
Grazie, Gianluca.
Beppe Grillo… roditi il fegato!
😉
Che cosa succede se uno scrittore va al governo?
È vero… questa domanda ha chiari intenti provocatori. Però, se ci pensate bene, non è che sia poi tanto peregrina.
Del resto ci sono attori hollywoodiani che sono diventati Presidente degli USA e Governatore della California, come ha ricordato Gaetano.
Chi vedreste meglio come Presidente degli Stati Uniti, Gore Vidal o Arnold Schwarzenegger?
Più tardi inserirò le risposte – alla prima domanda – degli scrittori coinvolti nel questionario.
Arrivano le risposte alla prima domanda…
CHI SONO OGGI GLI INDIFFERENTI NELLA SOCIETÀ E NELLA CULTURA?
Quasi tutti (qualche volta ovviamente anch’io).
Tutti noi, in una certa misura: è come se avessimo la mente e il cuore foderati da uno strato sempre più spesso di cemento armato. In parte è un istinto di sopravvivenza, perché senza questa ottusità forse non potremmo reggere l’orrore del mondo che ci circonda; ma l’ottusità è un peccato che si sconta, specie da parte di uno scrittore.
Siamo circondati da indifferenti, e anche da cinici arroganti. Questo paese è pieno di gente immorale. Anche tra gli intellettuali è così, ma hanno almeno due attenuanti: essere generalmente dei morti di fame, e poi di vivere in un paese dove la cultura come progetto, senso critico, pensiero radicale è vissuta con fastidio, qualcosa che crea irritazione nella classe dirigente ma che siccome non conta un accidenti allora è tollerata. I peggiori in assoluto sono quelli che fanno la televisione, e chi colpevolmente fa “l’informazione”. Questi signori sono costruttori di indifferenza. Sono quelli pagati con un buon onorario per costruire l’indifferenza di tutti gli altri. Penso ai direttori dei nostri telegiornali, forse i più servili e stupidi d’Europa. Un teatrino davvero disgustoso.
Chiunque non si esponga allo strappo da parte dell’altro, dell’alterità e dell’alterazione di sé.
La figura emblematica dell’indifferenza è rappresentata, più ancora che dall’evasore fiscale, dagli individui che scelgono di risiedere all’estero per motivi fiscali. Forse chi compie una decisione simile sarebbe ancora scusabile se, guadagnando poco, volesse conservare il necessario; ma un benestante che cerca di mettere in salvo il superfluo, risulta soltanto spregevole. Coloro che, pur avendone i mezzi, rifiutano di contribuire al bene della comunità (strade, scuole, ospedali, polizia), dovrebbero almeno perdere il diritto di usufruirne a spese altrui, ed essere additati alla pubblica riprovazione, invece che ricevere lauree honoris causa, comparire come modelli di vita, figurare come testimonial di servizi pubblici.
Lo siamo un poco tutti quando dimentichiamo cosa succede di orribile intorno a noi. D’altronde non possiamo sempre ricordare, perché perderemmo la voglia di stare al mondo. Perciò direi che un poco di indifferenza fa parte di una legittima tecnica di sopravvivenza. Quando però questa indifferenza invade tutte le zone del pensiero e del sentimento, si trasforma in brutale cecità e stupido egoismo. Una questione di misura.
Tutte le persone autoreferenziali, che creano (per comodità artistica) dei simboli e poi fanno la guerra a chi li mette più in bella forma. La bella forma è l’indifferenza elevata al quadrato. L’indifferenza è il contrario della riflessione.
A volte sono portato a pensare che siamo tutti indifferenti. Anche quelli che affermano il contrario.
Direi che sono quelli che vanno dritti allo scopo, per i quali il fine giustifica sempre i mezzi (soprattutto se il fine è tremendo quanto i mezzi), i persuasori palesi, gli attivisti senza tregua, i presenzialisti irriducibili, quelli sempre soddisfatti e sicuri di sé e del proprio operato, quelli che non conoscono la parola dubbio: insomma tutti quelli che essendo sempre troppo occupati da se stessi (potere successo denaro o semplice vanità socialmente benedetta) sono di fatto e checché ne dicano completamente indifferenti a tutti gli altri – anche se hanno un’intensa, anzi intensissima vita di relazione.
Gli Indifferenti oggi sono gli intellettuali. Ossia coloro che raccontano solo i loro mondi, ignorando la realtà che attorno implode su di loro. È trascorso molto tempo da quando hanno smesso di partecipare al racconto storico di questo paese.
I tele-spettatori totali, intendendo con questa formula tutti gli individui che assumono la postura esistenziale di chi assista in stato di passività cognitiva e operativa al dispiegarsi dello spettacolo della distruzione del mondo come alla visione di ciò che è distante. Questa possibilità è sempre esistita nella storia realizzandosi in forme diverse nelle diverse epoche. La stessa civiltà del libro ne è lambita e, talora, investita in pieno. Ma alcuni sviluppi tecnologici del XX secolo – penso soprattutto all’avvento dei media elettronici in posizione di linguaggi egemoni e alla nuova cultura
visuale introdotta da stili di rappresentazione del mondo quali quello introdotto dalla diretta televisiva – ha prodotto un salto qualitativo rispetto a questa modalità di testimonianza inerte. Il XX
secolo è stato anche l’era del testimone, poiché ha messo miliardi di persone nella condizione di testimoni oculari della sofferenza di altri esseri umani osservati a distanza, e nella condizione di massima sicurezza, nell’attimo stesso in cui le loro vite vengono recise e il loro corpi annientati. Una specie di enorme naufragio con spettatore, un sublime kantiano al livello di esperienza di massa che sta educando miliardi di persone a provare un “dilettevole orrore” nei confronti di ciò che un tempo era stato il fulcro dell’esperienza tragica è che ora, invece, in questo modo, rischia di eliminare il tragico dalla nostra cultura antropologica a vantaggio dell’osceno su scala planetaria. Non che in passato il mondo fosse meno brutale di quanto lo sia oggi – né di quanto lo sarà in futuro – ma in passato il fondamentale differenziale antropologico era quello che divideva la vittima dal carnefice. Oggi stiamo scivolando verso la dimensione del fictual, un orizzonte entro il quale la distinzione tra reale e funzionale non solo tende a diventare impossibile ma addirittura non più pertinente rispetto all’esperienza del telespettatore, il quale viene spinto a fruire dello spettacolo della violenza reale nello stesso modo – e, soprattutto, nello stesso mondo – di quello della violenza fittizia. Gli indifferenti sono, perciò, tutti colori per i quali non sussiste differenza tra reale e finzionale e tutti coloro per i quali il differenziale di esperienza antropologica fondamentale non è tra vittima e carnefice ma tra la coppia vittima-carnefice da un lato (dello schermo) e il telespettatore dall’altro lato. Quando era governatore della California, a un giornalista che gli chiedeva che cosa poteva fare per quella parte consistente di americani che vivevano al di sotto della soglia di povertà, Ronald Reagan rispose: “Quel che posso fare è stare dall’altra parte”. Con la nostra inettitudine civile di telespettatori totali, è come se a chi ci chiede che cosa possiamo fare per quella parte di umanità che vediamo soffrire o infliggere sofferenza sullo schermo tv, noi rispondessimo: “Quel che possiamo fare è stare dall’altra parte dello schermo”.
Se il riferimento è a Moravia, i suoi indifferenti non lo erano solo alla politica e alla morale, ma anche a se stessi e alle proprie ambizioni. Quindi bisognerebbe escludere i rampanti, gli assatanati, i criminali organizzati, i tronisti e forse perfino gli ultrà. Restano i borgatari del “che problema c’è?”, gli impiegati che si stravaccano dopo le ore d’ufficio, i possidenti che dilapidano i soldi di papà. Forse non tutti quelli che bruciano i boschi, quasi certamente chi butta i sassi dal cavalcavia.
Chi vede una donna appena morta sulla spiaggia e continua a giocare a tamburello. Indifferenza come anestesia.
Ma più che l’indifferenza sociale o civile, mi pare interessante l’indifferenza culturale. In questo campo, gli indifferenti sono, direi: 1) quelli che si credono intangibili (e intatti) dalla deprivazione di umanità che la tecnologia ha imposto a tutto il mondo occidentale; 2) quelli per cui i malati di consumismo sono sempre gli altri; 3) quelli che si cullano nel beato possesso di un’eredità culturale ormai inefficace e minoritaria, ma che loro credono maggioritaria e vincente; 4) quelli che gli viene spontaneo pensare positivo perché ci tengono al loro equilibrio psicologico; 5) quelli che usano la satira per congratularsi con se stessi; 6) quelli che negano l’emergenza, o fingono di vederla ma hanno fiducia che il male si possa sconfiggere con gli strumenti della politica internazionale e dell’ingegneria giuslavoristica (applicata da altri). Forse si può essere eticamente rigorosi e politicamente impegnati, ma indifferenti culturalmente – nel senso di pensare che la cultura che ci ha costituito va bene così com’è, si tratta solo di difenderla.
Quale (tra le risposte qui sopra) vi sembra la più convincente?
Con quale vi sentite più “in linea”?
Buona cena e buona serata a tutti.
Iauuuhh … intanto FERRACUTI SUGLI SCUDI, parole sante!!! Tutto vero, finalmente uno che parla come dico io!!!
rex
Penso ai direttori dei nostri telegiornali, forse i più servili e stupidi d’Europa. (Ferracuti)
-ERRORE
–
Non d’Europa
–
I più servili e stupidi del moooondooooooo….
rex
Gore Vidal o Schwarzenegger Presidente degli Stati Uniti? Gore Vidal è uno scrittore interessante già da oltre mezzo secolo; ed è un intellettuale molto combattivo. Da quando invece ho conosciuto Schwarzenegger al di fuori dello schermo cinematografico, perfino i suoi film che ho apprezzato – “Atto di forza”, tratto da P.K. Dick, e “Terminator” – mi sembrano spiacevoli.
Un esempio importante e positivo di scrittore in politica è quello rappresentato da Vàclav Havel (scrittore e drammaturgo), l’ultimo presidente della Cecoslovacchia e il primo della Repubblica Ceca.
In tempi così bui per la politica italiana, caratterizzati dall’enfasi delle pulsioni istintuali e rabbiose, dall’egocentrismo sprezzante e repressivo, una pur minima luce individuale, di bellezza e di pace, può portare maggior fiducia in un ambiente, quello politico, che avvelena anche gli animi dei più puri.
Pagelle
–
Ferracuti : nove e mezzo
Magrelli : otto
Siti : sette
–
Quindi restano sull’isola dei famosi:Siti, Ferracuti, Magrelli. Gli altri sono tutti eliminati.
–
rex
mi sento vicino a giuseppe genna, soprattutto quando mi transnomino ‘bimodale’.
anche roberto saviano mi piace: l’idea che il linguaggio non debba scendere a patti con il potere mi rievoca carmelo bene e la sua pratica di teatro della non-rappresentazione (di stato).
buona cena!
🙂
Mi son piaciute le risposte di Campo, Genna, Capriolo, Maraini, Pascale, Piersanti, Saviano, Scurati
mmh… dura lex, sed rex? Non credi bisognerebbe differire (deleuzianamente) e strapparsi da sé all’altro per non essere indifferenti? o forse?
chiedo, eh? …solo curiosità…
🙂
@ Rex e a tutti
Grazie per questi primi commenti post-risposte… ma vi pregherei di individuare solo la risposta (solo una) con cui vi sentite più d’accordo spiegandone le ragioni!
E – se possibile – niente voti, please!
Grazie per la collaborazione.
😉
Mi è piaciuta Elisabetta Rasy. Quelli che non conoscono la parola dubbio, sì.
Sono con Ferracuti e con Magrelli.
Poi rispondo a Rex: le risposte stanno tutte sopra, ci ho speso un’ora per illustrare la situazione della mia Regione, appunto l’Umbria.
Ciao
Sergio
P.S.
I miei nonni erano farmacisti e anche mio zio lo e’.
Per il cittadino è importante riconoscere che i maggiori mali della politica derivano dalla sua troppa dipendenza dagli interessi dell’economia.
La classe politica agisce al suo servizio attraverso il suo rapporto stretto con la classe imprenditoriale e dei possidenti, fino a non avere più la libertà di decidere primamente in favore dei cittadini che l’hanno eletta.
In questo contesto, lo scrittore, inteso come voce sensibile e aperta ai problemi sociali, avrebbe il mezzo e la capacità comunicativa più idonei per illustrare e contrastare i difetti e i pericoli incombenti le istituzioni democratiche nell’esercizio delle loro funzioni, a causa dei derivanti conflitti d’interessi da un rapporto di troppa subordinazione con i rappresentanti dell’economia.
Il malgoverno, causata dalla descritta dipendenza, crea nel cittadino prima insoddisfazione e poi disinteresse ed assenteismo nell’esercizio dei suoi diritti democratici, con il pericolo di perderli di nuovo.
In tempi difficili, come l’attuale, cresce la tendenza di sostenere le correnti politiche estremistiche, di destra come di sinistra, nella speranza di trovare in loro la mancata e inutilmente sperata riconoscenza e sostenimento.
È così, che sorge il rischio di un ritorno di un ordine antidemocratico che, come sappiamo, se non contenuto, favorirebbe un nuovo ritorno della dittatura.
Che cosa fare contro il sorgere di questa tendenza?
La ricetta migliore sarebbe una forte e decisa richiesta popolare espressa unisono in forma democratica ma permanente dalla popolazione svantaggiata.
In secondo luogo e considerando che l’essere umano non è ancora maturo per un’economia migliore, sebbene il mondo globalizzato ne abbia veramente bisogno, regolare l’attuale sistema con regole più rigide, efficaci e continuamente da controllare.
Compiti difficili e gravi nelle loro risonanze con la classe del potere, uguale quale sia, aspettano uno scrittore che intende interferire nella scena politica attuale.
L’attuale crisi è più profonda di ciò che si possa immaginare, perché sorge dalla negligenza collettiva e perdurante da decenni nel credo di poter lasciar fare sotto il fascino ingannevole di un benessere mai goduto prima.
Arrivano i tempi, dove l’uomo cosciente e serio, scrittore o no, deve dimostrare coerenza e coraggio nello svolgimento dei suoi compiti, possibile solo quando essi siano diventati il senso della sua vita.
Non credo che uno scrittore possa fare il politico.
Il suo compito è di documentare una situazione sociale di degrado, riferendosi alla sua origine, e di presentarne una soluzione possibile.
La sua voce deve possedere il carisma del rinnovamento, da invogliare i suoi lettori alla reazione giusta e sempre democratica.
Saluti.
Lorenzo
@zappulla. per rispondere alla tua domnda occorre mettersi delle lenti che ci fanno vedere a ritroso nel tempo. quando abbiamo iniaziato a parlare di pantalica in paese non c’era un posto dove ospitare i viaggiatori e scarsa era la possibilità di sfamarli. altro che servizi igienici. allora abbiamo lavorato su più fronti. occorreva motivare gli operatori economici, e ci inventammo “la città del miele”. lanciammo la concertazione fra tutti i comuni del val d’anapo e riuscimmmo a creare le condizioni per ottenere finanziamenti organici e non interventi a “spcizzico (dilavori) e …(tanti) bocconi!”. e così via…. . oggi abbiamo la ricettività, abbiamo il riconoscimento unesco per attirare i clienti verso quanti avevano investito i loro sogni e le proprie risorse nel settore turistico… insomma qualcosa è stata fatta ed è innegabile. certo, non ti dico la disillusione quando avevamo tutto pronto per il servizio di collegamento pubblico dal paese alla necropoli e la regione formalizzò il suo niet per mancanza di una adeguata viabilità provinciale, ecc. ancora più assurdo l’accesso a pantalica che alcuni hanno voluto realizzare a tutti i costi pur di “spendere” i soldi pubblici invece di completare la struttura già esistente coi servizi igienici che stavamo recuperando fra le “cattedrali nel deserto”. ecc. fino ad arrivare al giallo sulla passerella pedonale a pantalica. mortificando dunque gli auspici unesco che volevano un sito fruibile “democraticamente”. ecc……. tutto questo lavorando ogni giorno, non smettendo mai di indignarsi di fronte ai veti incrociati. insomma, abbiamo investito cento per raccogliere 10, un po’ come spesso accade nel nostro territorio, cosà che mortifica le più nobili aspettative e scoragiando le più pie intenzioni. ma i fatti sono sotto gli occhi di tutti, purtroppo non si vede chi non fa e quindi gli viene più facile mascherarsi e giocare sul qualunquismo.
p.s. – scusate i refusi, lo dico anticipatamente ripetendomi.
Caro Mezzio,
sarebbe in grado di fare uno sforzo sovrumano per spiegare quale sia la mefistofelica origine della burocrazia italiana? Mi pare un mostro ”guidato” dalle forze oscure e decadenti che agitano l’animo dei mezzemaniche frustrati – i quali cosi’ si divertono a far fallire quanto di ragionevole si possa fare per monumenti come Pantalica o altri. Per questo tumore, la burocrazia, ogni scusa e’ buona per imporsi sul buonsenso e sull’amore per il futuro e la cultura – che poi son la stessa cosa, in fondo.
Cordialmente e con la mia massima stima umana e politica
Sozi
uno sforzo ricostruttivo l’abbiamo proposto con matarazzo nel descrivere la rivoluzione silenziosa dela pubblica amministrazione negli anni 90 e quindi la privatizzazione del publico impiego subliamto dalle “bassanini”. in questa sede, per brevità parto dalla fine. un serio limite di tutto questo ragionamento è dovuto al fatto che non è stata rispettata a dovere la previsione normativa che prevideva l’accesso alla dirigenza pubblico previa apposita formazione nella scuola della pubblica amministrazione, un po come succede in francia … dove i dirigenti vengono fomati così bene da arrivare a diventare anche presidenti della repubblica! ma ancora più a monte è stata avvelenata la fonte delle nostre vicissitdini, mi riferisco alla constetazione, sopratutto in sicilia, della mancata osservanza del dettato costituzinale che prescrive l’accesso ai posti pubblici solo con concorsi pubblici. in effetti così non è e quindi il funzionario non si sente legato allo stato, ma a logiche più “umante” e quindi…
grazie per la pazienza e l’attenzione.
Posso elencare le risposte inaccettabili da parte mia con relativa motivazione?
–
1) Genna dice: ”Chiunque non si esponga allo strappo da parte dell’altro, dell’alterità e dell’alterazione di sé.”
Perche’? Essere se stessi e’ un reato? Non spersonalizzarsi vuol dire essere insensibili?
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2) Siti dice: ”1) quelli che si credono intangibili (e intatti) dalla deprivazione di umanità che la tecnologia ha imposto a tutto il mondo occidentale; 2) quelli per cui i malati di consumismo sono sempre gli altri; 3) quelli che si cullano nel beato possesso di un’eredità culturale ormai inefficace e minoritaria, ma che loro credono maggioritaria e vincente; 4) quelli che gli viene spontaneo pensare positivo perché ci tengono al loro equilibrio psicologico”.
Dunque secondo Siti Maximus siamo tutti uguali, piatti piatti: alienati dalla tecnologia, pessimisti cronici filosuicidi e privi di un’eredita’ culturale; insomma siamo nulla e senza Storia alle spalle: basta accorgersene e piantarla di creare qualcosa di bello e piacevole: ”niente sogni siamo italiani!” Siti non ha descritto me, almeno non me.
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3) Saviano dice: ”Gli scrittori devono cercare linguaggi che non vengano a patti col potere. Qui vorrei citare Errico Malatesta quando affermava che gli intellettuali non devono fare i cani da guardia della democrazia, piuttosto devono avvelenarli.”
Ma si’: avveleniamoli ancora di piu’, i pochi che alla democrazia ci tengono un po’, cosi’ mandiamo tutto a carte quarantotto – come si diceva una volta. Chissa’ cosa vuole, Saviano, non l’ho capito. Cosa propone, se il ”potere” della democrazia non gli garba? Secondo me manco lui lo sa. Con rispetto parlando per chi ha scritto un libro indispensabile e ammirevole – tanto di cappello. Inoltre uno scrittore mica ha da essere per forza uguale a lui, no? Esistono scrittori che parlano delle nuvole e dei sassi di fiume e magari dicono cose piu’ belle delle sue o come le sue. Rispettiamo anche questi: sono tuoi colleghi, Saviano.
–
4) Pascale dice ”Tutte le persone autoreferenziali, che creano (per comodità artistica) dei simboli e poi fanno la guerra a chi li mette più in bella forma. La bella forma è l’indifferenza elevata al quadrato. L’indifferenza è il contrario della riflessione.”
Pascale dice che gli indifferenti sono gli uomini autoreferenziali e poi che l’indifferenza al quadrato e’ quella di chi mette in bella forma cio’ che gli indifferenti esprimono. Ma a chi si riferisce? Io non lo capisco proprio.
Sozi, tu prima poni una domanda ‘Posso elencare le risposte inaccettabili da parte mia con relativa motivazione?’
Poni una richiesta di permesso e poi agisci senza attendere la risposta anche se le indicazioni del padrone di casa andavano in altra direzione. mi pare chiedesse di individuare la risposta che che ci piaceva di più.
c’è chi è indifferente e c’è chi se ne infischia degli altri, anche in casa degli altri
A me è piaciuta molto la risposta di Pascale. Non sopporto l’autoreferenzialità, nella vita e nella scrittura. E non mi piace la bella forma fine a se stessa che è indice di carenza di sostanza.
Grazie, Martina… ma evitiamo attriti, per favore.
In effetti mi interessa conoscere la vostra opinione sulla risposta che vi convince di più in modo da poterle poi confrontare… da queste prime indicazioni mi pare che ci sia una diversità di vedute.
Prima di augurarvi la buonanotte vi invito a non scaldarvi… anche se fa freddo.
🙂
Buonanotte!
ciao sergio, posso dire una cosa?
secondo me giuseppe genna vuole dire che bisogna essere empatici… cioè anche se sei te stesso puoi però metterti nei panni di un altro e non essere indifferente. essere se stessi è un presupposto per ‘capire’ l’altro. alterazione intende forse trasformazione, metamorfosi.
anche su saviano: cioè uno può anche scrivere di aria fritta e di pietre però qui si tratta di non essere indifferenti al fatto che il tuo vicino di casa viene crivellato per sbaglio o per vendetta… io preferisco aldo busi o p.k.dick per dire, saviano forse vuole riferirsi alla sua ‘esperienza’.
secondo me. forse sbaglio ma lingua intende anche modo di trattare le cose, sovvertire significato e significante… saviano è anche un filosofo? no?
🙂
Sono perfettamente d’accordo con quello che dice Siti. Non una parola di più, non una di meno.
Anche sui punti con cui Sozi non è d’accordo…………
1) quelli che si credono intangibili (e intatti) dalla deprivazione di umanità che la tecnologia ha imposto a tutto il mondo occidentale; 2) quelli per cui i malati di consumismo sono sempre gli altri; 3) quelli che si cullano nel beato possesso di un’eredità culturale ormai inefficace e minoritaria, ma che loro credono maggioritaria e vincente; 4) quelli che gli viene spontaneo pensare positivo perché ci tengono al loro equilibrio psicologico”
bene Massimo, allora dico: mi piace l’invettiva di FERRACUTI, ma solo di per sé, non come risposta alla domanda.
Se dovessi dire quale delle risposte condivido, direi nessuna, perché nessuna mi pare rispondere alla domanda in modo proprio.
rex
Ciao Gianluca,
Saviano per me e per tutti e’ uno scrittore, non un filosofo. Empatia e alterazione sono cose diverse, siamo precisi: con te sono d’accordo, con loro no, perche’ si sono espressi come ho commentato sopra.
Ciaociao
Sergio
1) l’eccesso di tecnologia crea squilibrio: VERO;
2) c’è chi condanna il consumismo, ma poi si affanna ad arraffare nei negozi che è già Natale: VERO;
3) c’è chi si culla nel beato possesso di un’eredità culturale ormai inefficace e minoritaria, ma che loro credono maggioritaria e vincente… ma senza fare nulla per farla diventare maggioritaria e vincente: VERO
4) c’è chi pensa positivo per partito preso… tanto la vita è bella: VERO
Martina,
ho detto sopra le risposte che apprezzavo (ripeto: Ferracuti e Magrelli, ma aggiungo qui la Maraini), poi, dopo, chiedendo retoricamente il permesso, ho parlato di quelle che non mi piacevano. E’ un mio diritto farlo, mica ho offeso te, o Massimo, o gli autori, no? Semplice critica, che tu la voglia o no. Ripeto: non ho parlato di te. Chiuso, da parte mia.
Ultima chiamataaaaaaaa…
Un invito a tutti a confrontarci con serenità e senza astio.
Mi fate andare a nanna tranquillo?
Ci conto, eh.
A ri-buonanotte. :-))
Buonanotte Massimo
rex
mi sono espresso male su saviano…. intendevo dire che ha fatto la facoltà di filosofia, scusate:)
Muy modestamente direi che il contrario dell’indifferenza è interessarsi agli altri e alle cose. Il moralismo, pour moi, è altra cosa; sempre muy modestamente.
hola marco, quindi in-differenza? mettersi dans les differenze degli altri nei loro differire?
Caro Gianluca,
Ah, non lo sapevo, che Saviano avesse studiato Filosofia. La sua e’ una giusta missione, si vede che Saviano e’ una persona profonda e civile. Per questo sono rimasto male a leggere quanto diceva – o meglio l’ho trovato nebuloso, fumoso, ecco, ed anche un po’ discriminatorio verso il tipo di Letteratura che a me sembra la migliore, quella che usa la fantasia e non solo la cronaca. Inoltre, credo che se avessimo dei giornalisti piu’ coraggiosi, la realta’ di cronaca nei libri potrebbe servirci meno e riusciremmo ad esprimerci con maggior fantasia (d’altronde le amare verita’ della vita si possono dire anche come Borges, Bontempelli, Savinio, Gadda, Pirandello o Pazzi, no? Ognuno dunque lo fa a modo suo e non si puo’ dire che chi non parla di cose ”reali” non vale niente).
Con te, ripeto, concordo: la sensibilita’ e’ importante, assieme all’equilibrio e alla gioia di vivere, come e’ fondamentale restare il piu’ lontani possibile dall’alienazione consumistica e tecnologica – sono il primo a dirlo e a farlo, nei limiti del possibile. Ciaociao
Sergio
Il relativismo culturale, ossia l’indifferenza, è la più grande conquista del mondo moderno. Il Papa, i mullah, gli scrittori, i moralisti di ogni genere e i loro ingenui seguaci, attaccano il relativismo culturale da ogni parte in nome della loro superiorità etica, ma non l’avranno mai vinta perché sono dalla parte del torto. Ciò che è reale è razionale diceva il buon Hegel, aveva ragione. Se il mondo è degli indifferenti è perché così è giusto che sia. Buonanotte a tutti.
rex
Caro Rex,
proporrei una via diversa da quelle da te giustamente esaminate:
Io credo che scrivere per esprimere una morale sia cosa meritoria e bella solo se si scrivono romanzi e racconti che abbiano una trama vera, con fatti e cose che accadono – anche se solo nei sogni dei personaggi non importa. Tutte le persone sane hanno una propria morale, io sono con chi abbia una propria moralita’ ed un proprio pensiero profondo, a patto che costui quando scrive un romanzo mi presenti un romanzo vero, che cioe’ abbia anche altre cose dentro, non un pamphlet sotto mentite spoglie, un saggio mascherato o una serie di pensierini sparsi. Poi nella Letteratura tante sono le cose da affiancare al significato morale e all’intreccio: sogni, esperienze, lirismi, ipotesi, catasterismi, nonsensi, controsensi, musicalita’, fabulae, eccetera. La Letteratura e’ troppo grande e ancora nascosta ai nostri occhi per vederla SOLO come un semplice contenitore di realta’ nuda e cruda.
Fra i due opposti la via di mezzo e’ la migliore: esprimere la propria moralita’ ma in modo degno di un narratore, cioe’ narrando – vedi Vassalli, che non si mette a dare pensieri in pillole senza capo ne’ coda ma scrive romanzi e racconti belli, molto belli, veri e fantasiosi.
scusa rex ma dai miei studi in antropologia (quanto amo l’antropologia!) non mi risulta che relativismo sia indifferenza.
lo sai che lo psichiatra esistenzialista Laing scriveva dell’io diviso ed era un hegeliano?
cioè se tu dici sono indifferente al colore della tua pelle, viva l’indifferenza.
ma indifferente al pestaggio di un marocchino, abbasso l’indifferenza.
e poi scusa, se ‘il mondo è degli indifferenti’ è la tesi ci sarà un’antitesi e relativa sintesi. no?
perché non proviamo a pensare che tutti abbiamo ragione, tranne ovviamente chi uccide fisicamente o psicologicamente (a meno che non si difenda)?
cioè cosa vuoi dire quando scrivi che il relativismo è indifferenza?
scusa se faccio il telepatico, ma ti sento un po’ teso.
🙂
scusate… ho travisato io il concetto di ‘indifferenti’:)
Che domandone, Massimo! Anzi, che domandacce!
Provo a intromettermi anch’io nel dibattito, ammantandomi un poco – lo dico francamente – di vanagloria. Quella vanagloria vituperata, ahimè, da Qoèlet (figlio di Davide, re di Gerusalemme, per intenderci).
Domanda: chi sono oggi gli indifferenti nella società e nella cultura?
Risposta: gli indifferenti sono coloro che, accumulate ricchezze a palate, perseguono nell’intento di accumularne sempre di più. Convinti che solo il danaro è benedetto e dà soddisfazioni paradisiache, essendo sinonimo di potere e di gloria. Senza danaro – secondo costoro – ci si deve solo tappare in casa dalla vergogna di non possederne e dall’impossibilità di farsi ascoltare non soltanto dagli umani ma perfino dagli animali.
Domanda: che cosa succede se uno scrittore va al governo?
Risposta: non succede nulla. Assolutamente nulla. Dal momento che al governo ci va chi brama di scrivere, ovvero di pubblicare libri. Ne consegue che uno scrittore, avendone già pubblicati, non ha più ambizioni o, se fosse un ambizioso impenitente, si darà da fare per scriverne altri. Nella speranza di farsi pubblicità per incrementare il consenso nei confronti degli elettori suoi e dell’opinione pubblica.
Domanda: in politica le idee contano ancora?
Risposta: contano sì, specialmente per catturare l’attenzione e le simpatie anzitutto di quanti posseggono le chiavi dei caveau del commercio, dell’industria, dell’informazione, della medicina e – almeno in Italia – della religione.
Chi non ha idee per influenzare atteggiamenti e comportamenti dei vari potentati (in ultimo, degli elettori) in politica non conta nulla, è un cavallo disarcionato, destinato a soccombere davanti al primo ostacolo che incontra. L’importante, insomma, è avere idee per mantenere o conquistare il potere. Esclusivamente il potere, ovvero il danaro. Oggi, lo ripeto.
Ausilio Bertoli
Gianluca, se mi dici ”Perche’ non proviamo a pensare che tutti abbiamo ragione” questo e’ il manifesto del relativismo, da qui nasce il problema, in senso filosofico. Infatti tu subito poni dei capisaldi morali, dicendo che pestare un marocchino e’ sbagliato ma essere antirazzista e’ giusto. Hai cosi’ posto dei concetti morali che arginano il ”tutti abbiamo ragione” di prima. Credo dunque che sia importante sentirsi relativi ma solo in rapporto a dei precisi codici morali condivisi con altre persone ed elaborati assieme a loro. Se questi codici morali contemplano la nonviolenza, l’amore disinteressato per l’uomo e per l’arte, l’uguaglianza di tutti davanti alla legge, la familiarita’ e altri concetti analoghi, allora questa morale e’ solida e bella e piu’ siamo a condividerla, meglio stiamo tutti.
Sergio, in effetti dire che tutti abbiamo ragione implica un certo buonsenso di rispetto reciproco, di dialogo. diciamo che io opterei per un anarchismo pacifista, non un anarchismo del ‘faccio quello che voglio’ ma faccio quello che un umano può fare senza determinare troppa entropia.
scusa la contorsione concettuale, sono un po’ stanco. a volte si può sbagliare e rendere assoluto il relativo. un’ultima cosa e poi vado a nanna: una volta vidi un documentario sulla vita di strada di certi ragazzetti meridionali, costoro affermavano che non andare a scuola e usare armi era una cosa normale. sulle prime si condannerebbe un ragazzetto ‘cowboy’, ma proprio quel ragazzetto ti fa capire che in quell’ambiente lì portare una pistola è normale: l’indifferenza nasce proprio dal chiudersi nel guscio (comodo, non c’è che dire) rigido e facile a rompersi nel confronto.
mi viene in mente una distinzione che il buon professor giuseppe panella faceva tra morale e abitudine….
buonanotte Sergio e buonanotte a tutti!
🙂
Secondo me la risposta di Dacia Maraini coglie nel segno quando indica un certo livello “fisiologico” di indifferenza in tutti noi, grazie al quale possiamo continuare a vivere, nonostante tutto. Insomma un’indifferenza sana, una specie di vaccino contro i mali della società. E’ quando questo livello minimo si alza a diventare una barriera per isolarci dagli altri e dal mondo che l’indifferenza inizia a produrre mostri.
buone feste a tutti, ci risentiremo i lprossimo anno
rex
ringrazio Maugeri e tutti. è stato un piacere vero e sincero. nessun post che dovesse seguire a firma rex, sarebbe il vero rex
rex ex-ex
Prima di andartene, unico Rex, dimmi cosa ne pensi della situazione culturale umbra, dai… hai letto quel che ho scritto? E’ tutto certificabile, ci metto la firma.
Comunque ciao e Buone Festivita’ 2008-2009
Sergio
Domandina al caro Maugger:
ma la risposta di Valeria Parrella non c’e’. Siccome e’ l’ex moglie di uno che conoscevo, sarei curioso di sapere come aveva risposto alla domandina sugli indifferenti…
Grazie – di tutto come sempre, caro, non solo di questo!
Ciao
Sergio
Sergio, l’Umbria è una piccola regione (dal grande passato) che a me è molto simpatica: la cultura umbra mi ha molto soddisfatto, specie gli gnocchi al sagrantino che ho mangiato a Montefalco. ciao, buone feste
rex
Perdonate l’assenza…
Vengo dall’esperienza bellissima della presentazione del romanzo “Tu non dici parole” di Simona Lo Iacono. Vi racconterò in dettaglio nella “camera accanto” nei prossimi giorni. Qui vi anticipo solo che è stato una specie di miracolo (mai visto nulla del genere). Credo che fossero presenti almeno 300 persone. E sono state vendute 230 copie (tutte quelle che erano disponibili). Mai visto nulla del genere.
Grazie per i nuovi commenti.
Auguri di buone feste a Rex. E saluti affettuosi a Massimo Burioni, Gianluca, Giuseppe Ausilio Bertoli, Marco Vinci
@ Sergio
Gli scrittori coinvolti nel questionario non avevano l’obbligo di rispondere a tutte le domande. Infatti, oltre a quella della Parrella (che ha deciso di non rispondere) ne mancano pure altre.
Ora sono troppo stanco, ma domani pomeriggio inserirò le risposte alla seconda domanda.
Buonanotte a tutti e buon sabato mattina.
ciao a tutti, ciao Massimo. Rex, ma poi torni? no?
🙂 buone feste.
Ciao, Gianluca, Rex, Maugger e tutti gli altri (in particolare mi manca Luca Gallina che non sento da un pezzo, oibo’, poi Lorenzo Russo che e’ tenerissimo e Carlo Speranza, assente troppo troppo, Silvia Leonardi… la sezione napoletana latitante, birbaccioni tutti!): tanti affettuosi Auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo. Bevete troppo, mi raccomando, che’ Dioniso aiuta a campare meglio!
Simona: il successo se lo meriterebbe ancora maggiore, questo e’ poco – ho letto solo un racconto, ”I semi delle fave”, ma mi e’ bastato per capirne la validita’. Com’e’ il romanzo? Mannaggia… fatemelo avere qui a Lubiana, su!
Bacioni
Sergio
P.S.
Ne ho dimenticati troppi ma Teresa Scibona non c’e’ bisogno di citarla: lei e’ omnipresente e supera le barriere spaziotemporali! Agli altri scusatemi: mi scordo un sacco de cose. De cose… eh eh eh…
E a Pasquale-Eventounico: prosit e Srečno novo leto (Prosit e’ latino, il resto vuol dire Felice Anno Nuovo in lingua slovena).
Ai romani dico:
–
Melibeo: – Et quae tanta fuit Romam tibi causa videndi? (E che ragione avevi cosi’ grande da veder Roma?)
Titiro: – Libertas… (la liberta’!)
–
(Virgilio, Bucoliche)
“I peggiori in assoluto sono quelli che fanno la televisione, e chi colpevolmente fa “l’informazione”.”(Angelo Ferracuti)
Certo, sono i corrotti-corruttori, una catena che immobilizza le menti più fragili, ma che indebolisce anche individui più forti e in in generica “buona fede”. Qualcosa dovrà cambiare. Nell’attesa operosa, continuiamo a coltivare, come qualcosa di vivo e vitale, la volontà di non farci corrompere.
Grazie, Sergio. Auguri a te. In ogni caso poco prima delle feste pubblicherò un post di auguri.
Il romanzo di Simona è bellissimo, ma ne riparleremo qui a gennaio.
–
Un saluto alla cara Piera Mattei.
E ora… le risposte alla seconda domanda.
LE FORZE POLITICHE SEMBRANO ABBANDONARE PROGRESSIVAMENTE PROGETTI LEGATI A IDEALI E PROGRAMMI DI AMPIO RESPIRO. SIMMETRICAMENTE NEI CITTADINI CRESCE LA DISAFFEZIONE PER IL DIBATTITO POLITICO. PER UNO SCRITTORE L’ABBANDONO DELLA RES PUBLICA È UN DATO DA CUI PARTIRE O UNA DEGENERAZIONE CUI OPPORSI?
Non credo che questo sia il fondamentale problema di uno scrittore. Non perché ci si debba occupare solo del proprio orticello, al contrario perché credo che la letteratura si occupi delle questioni fondamentali dell’esistenza. Cosa significa essere al mondo, soffrire, sopravvivere al dolore.
Di nuovo, distinguerei tra lo scrittore e la personalità pubblica, anche se ovviamente le due figure possono identificarsi.
Comunque, quello a cui ci troviamo di fronte non è un semplice ripiegamento sul “privato”, come poteva essere alla fine degli anni ’70, quando le grandi ideologie entrarono in crisi: è piuttosto una sorta di individualismo selvaggio che nel perseguimento del proprio interesse particolare non si fa scrupolo di calpestare l’interesse collettivo.
È questa la degenerazione cui non solo lo scrittore, ma l’uomo di coscienza dovrebbe opporre la più strenua resistenza morale.
Certo una degenerazione cui opporsi perché mina quel senso di partecipazione che tiene in vita una democrazia. Però penso che si possa partecipare anche fuori dai partiti, dire la propria, partecipare al dibattito, scrivendo libri o facendo articoli sui giornali. La trovo una forma di resistenza, forse di testimonianza, in attesa di tempi migliori. A volte penso che forse deve succedere qualcosa di catastrofico e catartico, tutti ne abbiamo l’intima percezione ma non vogliamo confessarcelo. La politica non è più capace di governare i processi, incapace di immaginare il futuro, è il mercato che regola tutto. Anzi, il mercato è tutto. È un processo inarrestabile, siamo nel mondo di Orwell, in quello di Bradbury e McLuhan, le profezie di Guy Debord si sono avverate tutte.
Se uno scrittore non è inserito in un network in cui si esprimano molteplici competenze che, da solo, egli non saprebbe soddisfare, sfugge la complessità della nostra realtà, le cui variabili psichiche, geopolitiche, teoriche, filosofiche, scientifiche sono talmente evolute e fuggite in avanti che la domanda viene privata di senso. Oggi il discorso da affrontare e la zona da presidiare intellettualmente e politicamente è ampia, lo scrittore non può permettersi il lusso di starne fuori. Solo il gruppo, il network e la comunità possono dare gli strumenti di risposta utili allo scrittore. Lo scontro tra emergentismo e riduzionismo nelle neuroscienze è centrale nel definire modalità di visione del mondo e di azione politica dall’alto verso il basso nei prossimi decenni. La politica è geopolitica e cioè anche movimento delle intelligenze: la storia contemporanea è soprattutto questo. Lo scrittore si immerga in discipline e alterità che operano una propedeutica apparentemente estranea, ponga la bandiera dell’umanesimo in quei processi che rischiano di diventare gli esiti catastrofici di una metafisica della tecnica in pieno collassamento.
L’emergenza è più ampia dello stato delle cose nazionale.
In Italia si continua a confondere letteratura e sociologia, letteratura e giornalismo, letteratura e politologia. Questa domanda lo dimostra. Per uno scrittore l’abbandono della res pubblica è eventualmente un argomento narrativo.
La politica tiene poco alla cultura perché pensa che non dia voti. Gli intellettuali sono pochi e sono anche litigiosi e sempre critici. Ma questo deriva da una idea molto parziale e antiquata di politica come di qualcosa che riguarda gli affari, la guerra, i contratti di lavoro, il bilancio dello stato, le tasse ecc. Mentre, come diceva Levy Strauss, anche il modo di cucinare un cibo, è cultura. Lo scrittore lo sa, infatti lavora sulla quotidianità: cucina, stanza da bagno, letto, cortile, soggiorno.
Il linguaggio politico tende a farsi autoreferenziale, ampolloso e astratto. Gli scrittori hanno il compito (ma direi anche il dono) di infrangere quella astrazione, riportando il linguaggio (che è di loro competenza, anche professionale) alla sua concretezza vitale.
Se uno scrittore parla di questo, poiché ne rileva il dato di abbandono, ecco che la sta stigmatizzando come degenerazione e già vi si oppone.
Si scrive perché si vuole chiarire a se stessi qualche cosa di oscuro (e che ti tormenta). Se poi questo chiarimento incontra, casualmente, anche il percorso di chiarificazione dei lettori, si forma una comunità, una res pubblica. Va da sé che si cerca di difenderla.
Se le forze politiche restringeranno le loro funzioni (che io non sottovaluto e non disprezzo) sarà un bene per tutti. Non ho mai avuto una tessera e non credo che comincerò adesso. Come si fa ad essere d’accordo su un normale programma politico di un qualunque schieramento? Centinaia di migliaia di persone con lo stesso (troppo ampio!) sentire non fanno per me. Si deve restringere il campo della politica perché la politica riacquisti una nuova nobiltà. In Italia la politica ha generato un sistema di dipendenza insensato. Lo Stato è una struttura troppo caotica, priva di autonomie e spesso di dignità; la politica è troppo perché lo Stato è troppo poco (e anche gli individui sono troppo poco). Voglio votare poche riforme, strutturali e vere, non voglio condividere elenchi infiniti di desideri astratti basati soltanto su lontane appartenenze.
Aggiungo una piccola osservazione sulla politica reale: tutti i nostri lavori pubblici costano circa il 40% in più rispetto agli altri paesi europei. Mi sembra molto probabile che questa differenza esprima la percentuale di invasività della politica (il suo costo, o le sue tangenti se preferite). Con la differenza che da noi le metropolitane non ci sono, e le infrastrutture, che non si realizzano in tempi politicamente utili, non sono dentro alcun progetto razionale. Del resto le nostre città stanno scoprendo soltanto ora il concetto astratto di “piano urbanistico”. Parlando di numeri un altro indicatore (finalmente colto da un giornalista inglese qualche mese fa, parlando non benissimo dell’Italia), questo sull’infelicità degli italiani: sono i maggiori consumatori di psicofarmaci d’Europa.
In primo luogo è una degenerazione a cui opporsi in quanto cittadini e non creature a parte. Quanto al dato da cui partire, non saprei. Partire per dove? Non tutti gli scrittori sono immediatamente – cioè non mediatamente – realisti, e comunque il dato, in letteratura, può assumere molti aspetti.
Gli scrittori devono cercare linguaggi che non vengano a patti col potere. Qui vorrei citare Errico Malatesta quando affermava che gli intellettuali non devono fare i cani da guardia della democrazia, piuttosto devono avvelenarli.
Entrambe le cose, direi. È il dato inequivocabile di quel presente che oggi è il nostro presente. Quello stesso presente, però, dinanzi al quale l’eredità intellettuale del secolo che ci siamo lasciati alle spalle ci ha insegnato a porci sempre con un “no”. Lo scrittore, l’artista, l’intellettuale non può che abbracciare il proprio mondo, andare a letto con lo spirito del tempo, e, ciò nondimeno, il giorno dopo deve votargli contro.
Chi scrive letteratura è, in una certa misura, sempre un rinnegato.
Una res pubblica senza res literaria è muta, ma una res literaria senza res pubblica è cieca.
Dipende da che cosa si intende con “res publica”. Se è quella cosa da cui i cittadini si stanno disaffezionando, mi pare che la disaffezione sia un bene e che non sia un problema di cui devono occuparsi gli scrittori, quando fanno gli scrittori. Ci pensano già gli opinionisti. Se invece è qualcosa di più immateriale, come l’intreccio di poteri che sta gerarchizzando le varie lingue del mondo, o la morte della natura, o le battaglie tra gli dèi – insomma se riguarda la nostra cosa pubblica in quanto abitanti della Terra, ribadisco quanto ho detto, che uno scrittore oggi non può permettersi di ignorarla.
Ancora una volta vi chiedo di individuare (ammesso che ci sia) la risposta con cui vi trovate più in linea spiegandone le ragioni.
–
(Auguro buon sabato sera a tutti)
Bellissima la risposta di Dacia Maraini…
Anestetizzare l’anima il cuore la mente. Ecco l’indifferenza che uccide.
Il cancro che avvelena l’Italia è il demoniaco intreccio tra criminalità organizzata e politica. Al Sud questo tumore è in metastasi. Con l’aggravante della disoccupazione e della perdita di speranza. I miei alunni sanno già che il loro diploma è un pezzo di carta e spesso non hanno sogni che vadano al di là di un velinismo diffuso o del giro in scooter del pomeriggio. Niente progettualità, niente sogni.
La letteratura deve scoprire i nervi dell’infelicità – terribile il dato sul consumo di psicofarmaci in Italia, terra cui Dio ha dato tutto per essere un paradiso – e sarà politica. Deve svelare le emozioni, i sentimenti, i moventi delle azioni degli uomini. E varrà sempre più di qualsiasi indagine statistica, sociologica, economica. Ho capito tanti meccanismi dalle opere di Virgilio, Balzac, Stendhal… più che da certi saggi ed editoriali che cavalcano l’attualità, buoni per incartare il pesce una volta letti.
Prescindendo dalle categorie moraviane, sono “indifferenti” oggi tutti coloro-e sono la maggioranza- che non credono più alla politica come esercizio di un dovere civico. La prova offerta dai partiti che si sono avvicendati al governo è tale da lasciare sfiduciato il più responsabile dei cittadini, che ormai, disorientato, non sa più che scelte fare al momento del voto.
Con convinzione votano solo coloro che sono persuasi di trarre un vantaggio individuale dal partito che -sperano- andrà al Governo: e per questo , fidando nel frutto che se ne potrà trarre, ci si accosta ai partiti di maggioranza, e si cercano incarichi che consentano di partecipare alla spartizione della torta.
Non ritengo che lo scrittore possa avere un ruolo attivo nella società e nella politica: un giornalista sì.
Lo scrittore, che per lo più fa fatica per rendersi visibile e per affermarsi, a meno che non sia introdotto nelle pliche di un’organizzazione politica e sia perciò un servo di partito, è “vox clamantis in deserto”.
La “Res Publica”, che non è solo lo Stato, ma tutto ciò che riguarda i cittadini che lo compongono, resta appannaggio dello scrittore solo in quanto esso ne può più o meno impietosamente scavare gli intimi aspetti, i difetti di cui potrà farsi pubblico accusatore ma che non potrà sperare di combattere; i sentimenti e le reazioni a quanto accade nel contesto contemporaneo; le devianze del costume e le anomalie del vivere.
Lo scrittore, insomma, potrà solo fare un’analisi del pubblico e, più, del privato, di come esso muta col passar del tempo ed essere testimone dei mutamenti.
Meno che mai potrebbe andare al governo: neanche i filosofi illuministi ottennero di poter mutare il concetto di politica nel Settecento, e, ammesso che abbiano convinto qualche regnante a seguire i loro principi, i risultati di quegli esperimenti partorirono sangue e rivoluzioni.
Le cose da fare nel nostro paese sono troppe, per sceglierne tre soltanto: le scelte non potrebbero che essere dettate da superficialità e da personalismi.
E’ molto difficile, come diceva Tomasi di Lampedusa nel suo “Gattopardo”, che cambi veramente qualcosa nel nostro Paese: all’apparenza pare che cambi, in realtà siamo sempre nella stessa posizione di stallo, perchè le redini del potere non sono tenute realmente da chi dovrebbe governare, ma le soluzioni che si prendono per reggere le sorti del Paese dipendono anche da fattori esterni e da ingerenze di carattere internazionale che sfuggono all’esercizio della nostra volontà.
Qui il discorso sarebbe troppo lungo, e, poichè, come dice Dante, “perder tempo a chi più sa più spiace”, riteniamo che si sia detto, come sempre, tutto e nulla sull’argomento: almeno, però, abbiamo partecipato, come qualcun altro ha già affermato.
Kate Catà-
http://respublica.blog.kataweb.it
Ma proprio Dante, uno scrittore che s’era impegnato nella vita politica del suo comune con autentica passione, con furor poetico direi, finì esule dopo aver fatto per anni parte per se steso, deluso dai suoi stessi compagni. Eppure, le sue parole – forse strumentalizzate, certo – sono state speranza conforto alimento per le passioni poetiche e politiche di intere generazioni.
Vero è che il Risorgimento creò dei veri e propri miti, alcuni forse di latta, però scrittura e politica forse come non mai in quel periodo furono vicine. Forse quando si è creduto di salvare il mondo con la penna…
E’ pur vero che Dante è stato speranza e alimento per intere generazioni-e non solo lui-ma un conto è che gli altri lo abbiano considerato fonte di ispirazione, un altro che egli si possa essere proposto come tale!Nella sua opera non c’è un esplicito intento didascalico, e, se proprio lo si vuol considerare un esempio, Dante può per l’appunto essere l’esempio di uno scrittore e di un poeta che dal punto di vista politico non incise particolarmente tra i suoi contemporanei!
Hoc valeat ad demonstrandum.
K.C.
Nicola Lagioia ha espresso quel che penso io. Bravo. Ottimo. Gli altri vedremo, ma per il momento mio e’ sembrato colui che fosse il vero doppio del mio ”essere” letterario e di letterato. Per questo lo copio per motivi di puro incensamento divulgativo:
”In Italia si continua a confondere letteratura e sociologia, letteratura e giornalismo, letteratura e politologia. Questa domanda lo dimostra. Per uno scrittore l’abbandono della res pubblica è eventualmente un argomento narrativo.”
Altro che le solite nubi dei moraviani, eh eh eh… Lagioia parla chiaro, e riesce a superare il difficile ostacolo costituito dalle domande in pillole che esigono risposte in pillole: chi sintetizza cosi’ bene e’ un grande, c’e’ poco da fare. Prendo esempio.
5. Chi sono oggi gli Indifferenti nella società e nella cultura?
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Martin Luther King diceva: “la cosa peggiore non sono le azioni degli uomini malvagi, ma il silenzio degli uomini buoni”. E allora, per rispondere, io distinguo due categorie di indifferenti: gli “attori” e gli “spettatori”. Gli attori sono gli intellettuali giornalisti scrittori musicisti registi che non muovono un dito in favore della società e del progresso e anzi, molto spesso, fanno di tutto per mantenere o incrementare privilegi o ingiustizie, menzogne o melma. Ad esempio, vari commentatori di quotidiani, i cosiddetti cerchiobottisti, i terzisti, che usano due pesi e due misure: con linguaggio ipocrita, chiudono gli occhi davanti all’attuale destra ma usano il microscopio per attaccare l’attuale sinistra. Gli spettatori sono i tantissimi che sanno tutto dell’ “Isola dei famosi“ e nulla del lodo Alfano, quelli che della politica se ne fregano, quelli che giustificano la propria ignavia col “sono tutti uguali”, quelli che si rifiutano di informarsi e di usare il pensiero critico, quelli del vecchio “o de Franza o de Spagna purchè se magna” aggiornato in “sinistra o destra? Io sto alla finestra ma intanto voto destra”.
6. Le forze politiche sembrano abbandonare progressivamente progetti legati a ideali e programmi di ampio respiro. Simmetricamente nei cittadini cresce la disaffezione per il dibattito politico. Per uno scrittore l’abbandono della res publica è un dato da cui partire o una degenerazione cui opporsi?
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L’uno e l’altro. Per provare a contrastare la crisi della politica e delle democrazie rappresentative, bisogna partire dalla conoscenza delle cause. Per l’Italia sono moltissime, spesso radicate nei secoli passati. Ne elenco alcune: la mancata Riforma protestante e la presenza invasiva del Vaticano, il secolare distacco delle masse dall’alfabetizzazione e dai diritti, il familismo amorale per cui ciò che conta è solo il proprio particolare e il conseguente disprezzo per la cosa pubblica, il sistematico rapporto organico tra classi dirigenti e violenza, venticinque anni di orribile televisione che hanno fatto passare gli italiani dalla condizione di plebe a quella di consumatori saltando lo status di cittadini, l’assenza di una destra civile e liberale, la scarsità di una borghesia moderna e responsabile, il mancato ricambio delle classi dirigenti (a sinistra, nessun leader nuovo da oltre vent’anni), il pessimo e inadeguato “carattere” antropologico dell’homo italicus. Essere consapevoli di questi (ed altri) elementi dell’italianità è indispensabile per provare a opporsi alla deriva.
7. La politica insegue sempre più esclusivamente il consenso, eppure governare a volte è anche fare scelte impopolari. Potrebbe indicare quali sono secondo lei tre cose da fare, impopolari ma giuste, anzi necessarie per il nostro paese?
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Una forte tassazione progressiva (chi più incassa, più paga) con il carcere per gli evasori fiscali “veri” e premeditati (non certo i cittadini o i piccoli imprenditori che commettono errori formali). Saper dire una serie di fermi e laici “no no no no no e no” alle pretese integraliste delle gerarchie vaticane (io sono cristiano, ma non cattolico bensì valdese). Un radicale ricambio della classe dirigente politica, nazionale e locale. Ne aggiungo una quarta: investire per davvero sulla ricerca e sulla scuola pubblica.
8. Che cosa succede se uno scrittore va al governo?
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E’ possibile che governi bene, utilizzando idee, linguaggio e metodi nuovi, ma deve avere l’umiltà di sapersi far aiutare da persone oneste e competenti. Perché la politica è fatta anche di conoscenza della “macchina pubblica” statale e locale, gestione dei problemi amministrativi e quotidiani, bilanci e programmazioni, attività legislativa e piani di settore.
Grazie mille per i nuovi commenti (ciao Mari, ciao Sergio).
Un ringraziamento speciale a Kate Catà (che si è aggiunta a noi da poco tempo… grazie davvero, Kate) e all’amico Luciano Comida.
Ed anche la sig.ra Cala’ mi pare abbia detto una cosa notevole: la politica non si confa’ al grande scrittore, a Dante (lo abbiamo visto). In ogni caso, possono pero’ accadere lunghi momenti di entusiasmo e sintonia nei quali gli scrittori e il sentimento popolare piu’ genuino combacino – e mi riferisco a Marilu’ Ricci ed al Risorgimento, caso magnifico di coincidenza fra ideali elitari, popolari e letterari. Eccezionale, il nostro Risorgimento: onore al suo Massimo Poeta, Goffredo Mameli. Nobiluomo, poeta ed eroe vero, altro che cavoli! Grande persona riconosciuta per tale dalla sua Patria (la nostra) solo nel 1946. Che roba: prima c’era la Marcia Reale, quella robetta ridicola!
Luciano, da cattolico dico che sono con te sul punto settimo.
Grazie, Sergio.
Naturalmente la discussione continua…
Intanto ne approfitto per augurare a tutti buonanotte.
Grazie a te, Massimo. Buonanotte. Sergio
LE FORZE POLITICHE SEMBRANO ABBANDONARE PROGRESSIVAMENTE PROGETTI LEGATI A IDEALI E PROGRAMMI DI AMPIO RESPIRO. SIMMETRICAMENTE NEI CITTADINI CRESCE LA DISAFFEZIONE PER IL DIBATTITO POLITICO. PER UNO SCRITTORE L’ABBANDONO DELLA RES PUBLICA È UN DATO DA CUI PARTIRE O UNA DEGENERAZIONE CUI OPPORSI?
Buongiono.
La domanda stimola molte osservazioni. Tuttavia nel proporre la mia riflessione mi sento un po’ a disagio, trovandomi ad essere un sindaco in congedo che contemporaneamente lancia un pamphlet.
Ci provo nella speranza di astrarmi sufficientemente dai due ruoli. Lo faccio servendomi di due premesse.
Prima. La classe politica è espressione della società che rappresenta (brogli o condizionamenti elettorali a parte).
Seconda. La sociologia ci dice che oggi viviamo trascinati da una società liquida, priva di punti di riferimento chiari ed indiscussi.
Se le premesse sono accettate diventa proficuo ripensare al rapporto fra il Re che governa e il Profeta che svela l’orizzonte (le esperienze bibliche di David e Salomone e la drammaticità del loro rapporto con i profeti ci possono aiutare in tale direzione).
Dico questo perché in un tempo in cui non ci sono “certezze”, la prima istintiva reazione è di ancorarci ad un immediato, rassicurante e sterile egoismo. Chi fa il politico di professione asseconda questo andazzo, quindi “LE FORZE POLITICHE SEMBRANO ABBANDONARE PROGRESSIVAMENTE PROGETTI LEGATI A IDEALI E PROGRAMMI DI AMPIO RESPIRO”. La mancanza di programmi lungimiranti evidentemente non garantisce risposte adeguate a superare lo stato di crisi e dunque “SIMMETRICAMENTE NEI CITTADINI CRESCE LA DISAFFEZIONE PER IL DIBATTITO POLITICO”.
Se questo è il quadro attuale, il Profeta ha il compito improcrastinabile di svegliarci dal torpore del momento spronandoci “a buttare il cuore oltre l’ostacolo … e a rincorrerlo!”
Ma, in una Regno “liquido” ( dove ogni testa è un tribunale!) uno scrittore viene riconosciuto-accettato nelle vesti del Profeta che indica con determinazione una meta? ! E ancora, il politico per professione riuscirà ad ascoltarlo, riuscendo così a governare fattivamente il suo popolo?
E’ questa a mio avviso la sfida ineludibile che riguarda tutti, nel rispetto del ruolo di ciascuno, e “nessuno si senta escluso”.
@Mezzio. Io credo che l’Italia stia attraversando un periodo di crisi senza precedenti. Crisi istituzionale, crisi d’identità. Il popolo si riconosce sempre meno nei loro politici e si limita a subirli. D’altra parte il sistema bipolare, le leggi sul sistema elettorale che non consentono di scegliere i propri deputati da eleggere, hanno stretto in una morsa i cittadini. E’ emblematico il fatto che tanti deputati già condannati, risiedano tranquillamente in Parlamento, in barba a qualsiasi etica e morale. Mobilità, precariato, rendono sempre più incerta la tenuta occupazionale. Non pensi che occorrerebbe progettare di più sul proprio territorio? Avvalersi delle risorse locali per avviare una politica di sviluppo economico?
Gli indifferenti sono (e ci sono sempre stati) gli individui che non riescono mai, e sottolineo mai, a far proprie le sofferenze altrui. Quando ciò accade a uno scrittore, allora siamo immancabilmente in presenza di un cattivo scrittore. Scrivere è, a mio parere, cercare di comunicare un proprio disagio nella speranza di vederlo condiviso. Raccontare con onestà un proprio tormento e magari scoprire che ne sono vittime anche altri. Gli indifferenti sono quelli che scindono la parola dall’esperienza: si costruiscono un universo di parole (ideologie, strategie di sopraffazione, inclinazione a mortificare gli slanci vitali altrui) che non condiziona minimamente i loro comportamenti. Vivendo di parole, possono essere una cosa e fingere di essere l’esatto contrario. Il prete che predica la carità e invece non fa che violentare chi dissente, il progressista che sostiene la parità di diritti e maltratta la domestica filippina, lo scrittore che cerca furiosamente le strade per mettersi in mostra e intanto vende aria fritta. Fare della vita una questione di linguaggi, invece che di sensazioni, porta inevitabilmente all’indifferenza. Saluto l’amico Massimo, augurando a lui e a tutti voi un buon Natale e un munifico 2009. Francesco Costa
Ovviamente non sono un anonimo. Sono semplicemente una frana con il computer, e non sapevo di dover scrivere il mio nome nell’apposita casella. Per fortuna avevo firmato il mio intervento. Ancora auguri. Siate felici. La gente felice è bella da guardare. Sono circondato da gente incazzata. E spesso sono incazzati proprio quelli che meno ne hanno motivo. Viene a farmi le pulizie una ragazza rumena che ha una figlia, ma non un marito, e sgobba come non si può immaginare. Ebbene, sorride sempre. Gliene sono molto grato. Voglio che si sorrida un po’ di più, alla faccia dei corrotti e degli indifferenti. Non era forse una risata che doveva seppellirli? Faccio mie le parole scritte in una lettera a un’amica inglese da Karen Blixen nei giorni cupi dell’occupazione nazista della Danimarca: “Un po’ di divertimento, per carità, altrimenti finirò col morirne…”
Potrei proporre alla politica qualche minuscolo provvedimento che, almeno, toglierebbe dalla disperazione sulle cose pratiche ed indispensabili (l’occupazione in primis) gli italiani?
Semplice:
1) le Istituzioni nazionali e locali INSIEME dovrebbero RILANCIARE E MIGLIORARE GLI UFFICI DI COLLOCAMENTO PUBBLICI, rendendoli efficaci e tempestivi. Cosi’ Paesi come Francia, Inghilterra e Germania, riescono in parte a fronteggiare la crisi economica data dallo strapotere cinese e dal calo della produzione nazionale. Lo Stato deve creare una rete efficace di uffici di collocamento e mediare fra cittadino e azienda – cosa che non ha mai fatto e non fa tuttora.
2) Imporre forti DAZI PER RIDURRE LE IMPORTAZIONI DA CINA E PAESI EMERGENTI.
3) INCENTIVARE LE ESPORTAZIONI ITALIANE IN ALTRI PAESI dove ancora i prodotti italiani non sono arrivati o sono poco presenti (il mondo e’ grande, c’e’ ancora molto mercato per l’Italia).
4) RIDURRE per legge gli AFFITTI PER ALLOGGI AD USO ABITATIVO ed IMPORRE IL TASSO FISSO SUI MUTUI PRIMA CASA, cosi’ da aiutare i giovani a metter su famiglia.
5) Imporre alle BANCHE dei tassi d’interessi molto minori degli attuali ed eliminare le inique quote che i correntisti devono pagare solo per avere un conto corrente bancario – assurdo: sarebbero le banche a dover pagare noi per avere presso di loro un conto corrente!
6) LAVORO NERO ET SIMILIA: Vigilare con PIU’ CONTROLLI DI GUARDIA DI FINANZA ED ISPETTORI DEL LAVORO il rispetto delle leggi sul lavoro (orario, sicurezza, straordinari nono pagati ma pretesi dai dipendenti, ecc.) e la regolarita’ di contratti iniqui e vincolanti.
7) INTRODURRE IL SUSSIDIO DI DISOCCUPAZIONE PER TUTTI GLI INOCCUPATI O DISOCCUPATI.
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Sara’ poco ma servirebbe. Intanto, questo facendo, LAVORARE LOCALMENTE E NAZIONALMENTE PER SVILUPPARE LE AZIENDE MEDIO-PICCOLE (esenzione di tasse e altri incentivi si’, ben vengano, ma da verificare: da concedere solo alle aziende che assumano dipendenti a contratto NON a termine).
Buone Feste anche al Sig. Mezzio
Sozi
P.S.
Sono convinto che se quanto ho detto qui sopra venisse FATTO e non con le chiacchiere, gli italiani inizierebbero ad aver piu’ fiducia nelle Istituzioni. Ne sono SICURO.
@Sergio. MINISTRO. SUBITO.
@Francesco. Come faccio a ridere? Ho mio genero disoccupato in casa che devo mantenere; Mio suocera che non si decide a tirare le cuoia, nonostante numerosi tentativi di avvelenamento. Il cane che mi fa la pipì dappertutto, il cameriere inesistente (parente povero del cavaliere inesistente di Calvino) che si rifiuta di fare le pulizie e mi tocca provvedere da me. Non riesco a vendere una copia dei miei libri manco a morire. Dimmi tu come si fa a ridere. E già tanto se non mi sparo.
Caro Salvo, ti faccio tanti auguri. La vita è mobile: arriveranno tempi migliori. Il lato positivo delle crisi è che toccano tutti, esclusi pochi privilegiati ai quali non augureremo buon 2009, e Dante diceva che “aver compagno al duol scema la pena”. Smetti però di somministrare veleni alla suocera: potrebbe pensare che non le vuoi bene. Un abbraccio, Francesco
@zappulla. salvo ma se avveleni la suocera chi ti darà i soldi della sua pensione? ho capito perchè nella tua domanda mi parli di creare sviluppo dal basso, perchè sai che in alto non ci vuoi andare (emigrando) e quindi cerchi le risorse per fare a meno dei soldi della pensione d’accompagnamento della suocera… Purtroppo, per rispondere alla tua istanza, la politica dei patti terriotiali è stata abbandanata per le velleità delle suocere dei poteri centrali, che si rifiutano di lasciare più libere le figlie, considerandole “cosa loro” e non esseri viventi con una propria individualità!
Riambio gli auguri di Sergio Zosi e li estendo a quanti frequentano il web, “Capo” in testa!
Grazie mille per i nuovi commenti.
E un saluto speciale al mio amico scrittore Francesco Costa. Ricambio gli auguri a lui e al buon Orazio Mezzio… anche se giorno 24 pubblicherò un post specifico per gli auguri natalizi.
E ora… le risposte alla terza domanda.
LA POLITICA INSEGUE SEMPRE PIÙ ESCLUSIVAMENTE IL CONSENSO, EPPURE GOVERNARE A VOLTE È ANCHE FARE SCELTE IMPOPOLARI. POTREBBE INDICARE QUALI SONO SECONDO LEI TRE COSE DA FARE, IMPOPOLARI MA GIUSTE, ANZI NECESSARIE PER IL NOSTRO PAESE?
Impegno approfondito per una maggior diffusione della cultura, investimenti per la scuola, la sanità e la ricerca.
Ne indico una sola, senza la quale tutte le altre sono inutili: fare in modo che le leggi diventino, agli occhi del cittadino medio, non qualcosa che si può eludere se si è abbastanza furbi per farlo, ma qualcosa che si è obbligati comunque a rispettare. Non riesco a immaginare niente di più impopolare per la mentalità di una nazione in cui chi viola la legge, se viene colto sul fatto, reagisce addirittura con la pubblica protesta (penso ad esempio ai proprietari delle case abusive) e in cui c’è chi fonda la propria fortuna politica sull’arrogante presunzione di impunità degli evasori fiscali.
Punterei molto sull’equità fiscale con controlli severissimi, perché l’evasore fiscale è un nemico della collettività, ed applicherei una tassa sul lusso nell’intero paese (automobili di grande cilindrata, ville, yacht, cani di razza). Ridurrei di molto il cosiddetto costo del capitale, e cioè tutte le agevolazioni alle imprese di tipo assistenzialistico. E naturalmente abbatterei la Legge 30, che ha precarizzato in modo vergognoso il mondo del lavoro e ha dato la possibilità agli imprenditori di sfruttare di più e meglio i lavoratori, soprattutto quelli più giovani. Una legge che sancisce un concetto spaventoso: il lavoratore è proprietà del padrone, il quale può disporre di lui a suo piacimento.
Ristatalizzare ciò che si è privatizzato dagli anni Novanta a oggi. Abolire il bipolarismo perfetto o imperfetto. Uscire dall’area dell’euro promuovendo una federazione mediterranea che operi legami strettissimi con l’Africa e il Sudamerica, istituendo un’asse geopolitica non verticale bensì “orizzontale”.
Rifondare il paese sul lavoro e sulla morte del familismo. Ma credo sia impossibile. Come pretendere che una cattedrale stia su dopo averne abbattuto i muri portanti.
Difendere chi non può difendersi: innanzitutto le donne e il paesaggio. Punire in maniera esemplare, direi addirittura cerimoniale, lo stupro e gli incendi. Difendere i malati e i pedoni, punendo i responsabili della malasanità e i pirati della strada. Ricordarsi che difendere i deboli, significa punire i loro carnefici, anche se purtroppo, per la nostra cultura cattolica, le vittime risultano tanto meno fotogeniche dei colpevoli contriti. In ultimo, difendere i moribondi e rispettare il loro dolore, la loro libertà, legalizzando l’eutanasia.
Applicare la legge è impopolare, soprattutto in un paese anarcoide e individualista come il nostro. Affrontare con coraggio i rapporti ambigui fra istituzioni e criminalità organizzata sembra impossibile, ma si può fare, basta volerlo.
Ricostruire la scuola, perché diventi un luogo dove si va per crescere e non per annoiarsi. Cercare di comunicare la consapevolezza che il pollo che hai nel piatto viene da una creatura vivente e è costata sangue e dolore e che chi tira il collo al pollo forse prova anche qualche volta pietà.
Per me, le cose necessarie a questo paese non sono impopolari, sono semplicemente vitali. E anche molto semplici.
Investire sul futuro. Scuola, bambini, salute. Non c’è molto altro. Rifondare completamente l’istituzione scolastica – che doveva essere e non è mai stata un diritto di tutti. Restituire all’educazione il ruolo centrale che deve avere in ogni società.
Permettere ai bambini – dovunque arrivino, in qualunque modo vengano concepiti e da chiunque – di esistere, assicurando alle madri e ai padri, chiunque siano, la possibilità di crescerli e fare di loro delle persone libere. Curare le malattie di tutti dove possibile e restituire alle persone la dignità di invecchiare o di morire. Tornare a occuparsi dell’unica cosa che conta, insomma, il senso della vita: nascere, crescere, creare, invecchiare e morire. In Italia il futuro è stato espunto dall’orizzonte dei progetti. (L’unico futuro che l’italiano riesce a immaginare è la pensione. La pensione, le pensioni sono l’unico argomento di interesse collettivo dell’ultimo ventennio. È una tragedia immane, ma nessuno ci fa nemmeno caso.) Questa eclisse del futuro è il drammatico sintomo della sua senescenza.
I vecchi hanno un orizzonte temporale molto ristretto: esiste il domani, il dopodomani chissà. L’Italia è vecchia. Ma non è una vecchia signora saggia, la nostra nonna tenera o amareggiata con una vita da raccontare. (Tra parentesi, io adoro le vecchie signore, i vecchi signori, i nonni, i prozii, le rughe e i porri, perfino le stampelle.) Questa vecchia Italia è arida, rinsecchita, senza un regalino nemmeno minimo per i suoi nipoti.
Non ha niente da trasmettere. È una povera baldracca smemorata, che crede di avere vent’anni e invece sta morendo. Io non voglio vivere in un paese in coma clinico, attaccato al respiratore artificiale. (Tra parentesi, gli scrittori non vanno in pensione: semplicemente, come la luce, si spengono.)
Abolire qualunque limite all’immigrazione, liberalizzare marijuana e hascish, trovare un sistema alternativo a quello carcerario sul modello dei paesi nordici
Impopolari come pagare le tasse? Io che pago le tasse posso affermare che la politica fiscale del nostro paese è assolutamente folle. Come in altri paesi il nostro sistema fiscale sembra ottuso e acefalo: povero chi ci capita. Non ci sono interlocutori. Sembra di parlare con un bambino di quattro anni. Nel 2006 hai guadagnato 100? Allora anche nel 2007 hai guadagnato la stessa cifra. No, purtroppo ho guadagnato solo 35. Non importa, fa il fisco, devi pagare 50 di tasse, altrimenti devi entrare in causa con me; ma anche per entrare nell’aula devi pagare almeno la metà dei 50 stabiliti da me. Quindi chiedi un mutuo alla tua banca e paga. È inevitabile chiedersi: ma è lo stesso Stato che ha coccolato e premiato per decenni grandissimi evasori? Lo stesso che si permette di infastidire le persone perbene? Lo Stato dei condoni può essere una cosa seria? In sintesi ecco i miei tre punti: adeguamento del sistema scolastico italiano (a volte penso che mi accontenterei di questo! e per il resto normale amministrazione); riforma del sistema fiscale e graduale e sostanziale riduzione del prelievo fiscale (rendendo esplicitamente illegale l’evasione fiscale, cioè punendola davvero); privatizzazioni più estese e meglio gestite.
Tre mi sembrano poche, allora ne dirò una sola che mi sta particolarmente a cuore. Quando io ero una studentessa liceale e poi universitaria alla fine degli anni Sessanta tra i miei compagni c’erano ragazze e ragazzi di ogni ceto sociale, anche figli di genitori che non avevano mai visto un libro in vita loro e che sapevano a stento leggere e scrivere ma che rinunciavano a tutto per far studiare i figli. Questo ha creato una straordinaria mobilità sociale che ha fatto bene al nostro paese e che era espressione di giustizia sociale e di libertà. Credo che ora ci sia una questione culturale strettamente legata alla mobilità sociale: se lo studio, cioè la scuola nei suoi vari ordini, è svalutato, se la cultura è di fatto meno che zero (e non prendiamocela sempre con le veline che sono l’ultima ruota del carro, pensiamo a chi dovrebbe amministrarla pubblicamente ) chi è ai margini resta ai margini e chi è al centro resta al centro, il che rappresenta la peggiore forma di ingiustizia sociale e di illibertà in una società cosiddetta democratica.
Se sono impopolari, vuol dire che hanno anche un risvolto che si percuote negativamente, ma che ci sono ragioni in più per cui devono essere fatte. Fuori dalla politica gli imprenditori, legalizzare e controllare il traffico di cocaina (la più impopolare di tutte) e soprattutto modificare la logica degli appalti. Non deve vincere chi economizza, ma le imprese più sicure, che tutelano di più il lavoro e la ricerca. Sarebbero molte le persone socialmente deboli che in un primo momento pagherebbero il prezzo di queste misure.
Non permettere più agli scrittori di sentirsi l’élite di un paese, ma su questa cosa come fare un decreto legislativo?
Scatenare una guerra all’ultimo sangue alle grandi organizzazioni criminali. Azzerare l’evasione fiscale investendo parte cospicua del maggior gettito in istruzione e ricerca.
Attuare per la prima volta quel grande principio rivoluzionario (e qui mi riferisco alla Rivoluzione Francese, ma davvero passata dalle nostre parti) che voleva le carriere aperte al merito.
Governare non è il mio forte.
Consentire a tutti di poter studiare. E’ solo così che si viene fuori dal buio. E in quanto ad abbattere il familismo, mi piace l’immagine di Nicola Lagioia della cattedrale che non può reggersi senza muri portanti. La condivido. il paese è malato da secoli. E’ gretto, è rapace, non è mai lungimirante. Basta pensare allo stupore con cui gli ultimi inquisiti di questi giorni reagiscono ai rigori della legge: ritengono assurdo dover pagare per i loro imbrogli, trovano naturale aver dedicato la loro vita al furto. E’ un paese che non regge il passo con l’Europa, ed è sempre stato così. In ogni romanzo o libro straniero degli ultimi duecento anni (basta leggere Henry James, J. W. Goethe, Madame de Staël, Edith Wharton, Charles Dickens e mille altri) è sempre descritto come una plaga arretrata sotto ogni punto di vista, corrotta e pericolosa, che vive di un fulgido passato storico mentre annaspa in un tetro presente. In quanto a Roberto Saviano, vorrei chiedergli se è davvero convinto che gli scrittori italiani formino un’élite così potente. Crede che siano più pagati e rispettati di un calciatore? O di una velina? E poi… in un paese che non legge? A me non risulta. E temo che, governata da avventurieri e ladri, l’Italia lamenti piaghe ben più purulente di una lobby di scrittori. In ogni caso uno scrittore non dovrebbe governare: l’artista è la voce discorde che posa sul potere uno sguardo critico (e spesso beffardo). Ecco perchè i dittatori non sopportano gli scrittori e hanno in odio gli artisti: Nerone ingiunse a Petronio di tagliarsi le vene, il pittore fallito Adolf Hitler spinse alla fuga migliaia di artisti che, scappati dalla Germania nazista, andarono a rendere grande Hollywood (da Billy Wilder a Marlene Dietrich), Federico Garcia Lorca fu torturato e ucciso dai fascisti spagnoli perchè artista e omosessuale, in Cambogia i primi a essere massacrati dagli Khmer rossi furono gli artisti del teatro dell’Opera. Un artista che governa non è un artista: è un controsenso.
Ho letto ultimamente, consigliatomi da un’amica, “Il dolce sapore del cielo” di Giuseppe Calocero. E’ un romanzo politico che mostra come gli scrittori possano avere idee ed ideali per una società veramente libera, uguale, fraterna, giusta, dove ogni essere umano possa sentirsi veramente tale.
La politica è tale se è al servizio dell’umanità intera, altrimenti si camuffano comitati di affari per gruppi politici, come l’attuale realtà, purtroppo, mostra.
La politica è mettere al centro della società l’essere umano ed i suoi bisogni, non il profitto.
I gruppi politici che si richiamano alla democrazia, ma mettono al centro dell’attività socio-economica il profitto, nei fatti sono per la disuguaglianza sociale, per l’asservimento di miliardi di esseri umani, per le guerre, perchè vi siano ricchi e poveri e perchè la fame nel mondo ed i morti d’inedia, tra cui milioni di bambini, non sia mai risolta.
“Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo le sue necessità” è un concetto che tutti coloro che vogliono un mondo libero, fraterno, uguale, giusto dovrebbero fare proprio e portarlo avanti, affinchè ogni essere umano possa vedere le stelle.
Mi rispecchio nelle parole di Melania Mazzucco… la politica oggi ha scordato il suo dover essere un servizio, specie nei confronti degli ultimi, dei più deboli, di chi ha maggiormente bisogno.
Ci siamo troppo distaccati dalla realtà: soldi virtuali che poi portano alla bancarotta stati interi, realtà virtuale che rimbambisce i cervelli, politica fatta su Facebook e sui sondaggi telefonici, spot anticrisi quando bambole non c’è una lira…
Torniamo alla vita, al suo essere nascita, crescita, malattia, morte.
Alle sue esigenze di protezione, salute, formazione.
Il dolce sapore del cielo
Il superamento di ogni bisogno, la conquista del cielo, sogno di ogni epoca umana era realtà.
Coloro che avevano visto il passato ricordavano con terrore quell’epoca e la cancellavano subito dalla mente.Tanto era forte il crampo che prendeva lo stomaco!
I nati nella nuova epoca, quando leggevano certi libri o vedevano certi film erano restii a credere che il mondo avesse visto realtà di quel tipo.
Non osavano immaginare che esseri umani potessero utilizzare, come schiavi o finti liberi, altri esseri umani per avere dei miseri pezzi di carta o dei pezzi di materiale ferroso.
Non osavano immaginare che tanta gente non avesse un lavoro, una casa;
che tante persone non mangiassero abbastanza e altre morissero addirittura di fame ;
che i bambini morissero per mancanza di cibo.
Non osavano immaginare che esseri umani uccidessero altri esseri umani per motivi futili e banali; che ci fossero le guerre;
che si distruggessero con le bombe tesori millenari, testimoni della storia dell’umanità;
che un liquido brutto e nero fosse così importante.
Non osavano immaginare che donne e uomini vendessero il loro corpo e, a volte, anche la loro anima per apparire in televisione, sui giornali;
che le persone non esprimessero quello che sentivano nei cuori, ma solo quello che conveniva ai loro interessi;
che un organo, chiamato Stato, imponesse tasse e decidesse sulle scelte delle persone in tema di rapporti d’amore e di vita, decidesse il giusto e l’ingiusto;
che si nascondesse la conoscenza e si diffondesse l’ignoranza;
che un malato dovesse pagare per essere curato;
che la scuola non insegnasse sapere, ma ideologie;
che un laureato non trovasse occupazione;
che non si lavorasse o si lavorasse a segmenti;
che l’informazione fosse solo al servizio di chi godeva del guadagno e nascondesse la verità;
che chi produceva era povero e chi non produceva era ricco;
che si andasse in pensione, orma,i vecchi e , dopo una vita di lavoro, fosse dura tirare avanti;
che non tutti avessero una casa e che le case fossero diverse da persona a persona;
che chi praticasse lo sport non lo facesse per passione e piacere, ma per denaro;
che la donna non fosse ritenuta pari all’uomo e vivesse una condizione, spesso, negativa;
che si dovessero pagare i trasporti e che i mezzi fossero così carenti;
che gli anziani fossero abbandonati al loro destino, perché, ormai, improduttivi.
Non riuscivano ad immaginare che ci fossero le armi;
che ci fossero gli eserciti, la polizia, le guardie varie;
che ci fossero le banche, le assicurazioni.
Non riuscivano ad immaginare una politica, fatta non per le esigenze comuni, ma per gl’interessi di comitati d’affare e, anche, di bande di criminali.
Non riuscivano ad immaginare che la stragrande maggioranza della popolazione, che viveva in condizioni precarie, non si ribellasse e, anzi, prendesse a modello proprio coloro, che avevano interesse a tenerli in quella situazione di sottomissione.
I figli della nuova epoca non osavano credere, studiando la storia dell’umanità, che potessero essere esistiti periodi così bui e tristi per l’umanità! “
Da “Il dolce sapore del cielo”
di Giuseppe Calocero
Francesco Costa: hai ragione, sorridere è un modo per combattere questa crisi che è innanzitutto un arrendersi alla paura e alla tristezza…
🙂
Un abbraccio e spero di vederti presto!
Rimedi alla crisi: richiamare tutti alle proprie responsabilità. Sembra niente, ma se TUTTI facessero il proprio dovere, non cose trascendentali, ma i compiti cui sono stati preposti, l’Italia, patria di abusivi evasori fiscali menefreghisti campioni di sgambetto multiplo, sarebbe a better place…
Sono ancora una volta con Ferracuti, Lagioia e, stavolta, anche con Genna. Aggiungo che se lo Stato riprendesse a mettere in attivita’ gli uffici di collocamento farebbe il suo dovere di intermediazione e garanzia fra azienda e cittadino, cosi’ gestendo il mercato del lavoro, oggi in mano ai privati.
E concordo pienamente anche con la Campo.
Posso ripetere (anche se l’ho già scritto più volte) che questo è un bellissimo blog frequentato da bellissime persone?
Caro Massimo,
in Italia i governanti per risollevare l’economia e la società nello stesso tempo, a mio avviso dovrebbero fare almeno queste tre cose:
— prodigarsi con ogni sistema per combattere l’evasione fiscale in modo da raggiungere una certa equità fiscale.
Senza equità fiscale (e senza lotta agli evasori) l’economia e gli investimenti nei vari settori produttivi e culturali non potrebbero reggere. Mi è piaciuta, al riguardo, la risposta di Angelo Ferracuti.
— difendere chi non può difendersi, specie i deboli (in primis i piccoli, i disoccupati, gli anziani); il suolo; il clima; le donne (soprattutto nei luoghi di lavoro); gli studenti che, avendo talento, desiderano avanzare negli studi, nonostante siano sprovvisti di mezzi; i malati di ogni genere, rispettando le loro volontà, anche se scegliessero di morire serenamente (o dignitosamente). Condivido appieno, al riguardo, la risposta di Valerio Magrelli.
— combattere in maniera serrata contro la criminalità, anzitutto isolandola dalle istituzioni. Anche se oggi come oggi, annientare le grandi organizzazioni criminali mi pare un po’ utopistico, conoscendo le italiche mentalità, strutture e storture politiche e culturali. Ottime le risposte di Dacia Maraini, Antonio Scurati, Roberto Saviano.
Detto questo, vorrei dissentire dagli scrittori che considerano la letteratura avulsa dalla politica o dalla storia o dalla scienza. La letteratura dovrebbe – mediante l’impegno degli scrittori – addentrarsi nei molteplici campi della cultura, traendo sintesi o elaborando valori, oppure fornendo ipotesi o “suggerimenti” a quanti operano – ad esempio – proprio negli ambiti scientifici. Eccetto che non si voglia considerare la letteratura esclusivamente un’evasione dal mondo che ci circonda e in cui siamo fin troppo immersi. Sempre a mio avviso.
Formulando un caloroso ad maiora! a te e a Letteratitudine, ricambio i saluti affettuosi.
Ausilio Bertoli
Grazie mille, caro Luciano. :-))
Ringrazio moltissimo Ausilio Bertoli per il suo intervento e gli autori degli altri commenti: Sergio, Maria Lucia, Francesco Costa.
Tra un po’ inserirò le risposte all’ultima, provocatoria, domanda.
CHE COSA SUCCEDE SE UNO SCRITTORE VA AL GOVERNO?
Un danno per la letteratura e forse anche per il governo.
Niente di grave, spero. Ma non credo nemmeno che in quel ruolo potrebbe svolgere una qualche funzione salvifica.
Gli scrittori per loro natura stanno sempre all’opposizione. Parlo almeno per me. Mi sono ricordato di una cosa che scrisse Jean Genet, e ho cercato quel libro dove era scritta una frase che mi aveva colpito molto: “L’uomo che io sono non è un uomo da adesione, è un uomo da rivolta. Il mio punto di vista è molto egoista. Io vorrei che il mondo non cambiasse per essere contro il mondo”.
Nulla al di fuori di quanto accade nel mio foro interiore: cioè l’emersione di un giudizio di profondissimo cretinismo e immarcescibile narcisismo. Tenendo tuttavia conto che la maggior parte di chi possa esprimere questa stessa opinione lo fa in difesa: è narcisista, in realtà, la lamentazione onnivora dei contemporanei para-adorniani è narcisismo governativo.
Se è un vero scrittore, smette di scrivere e il danno è incalcolabile. Altrimenti diventa al massimo sindaco di Roma e pubblica un romanzo per Rizzoli.
La categoria di “scrittore” mi pare troppo generica per essere utilizzata con qualche utilità.
Succede che smette di scrivere. Ricordo di essere andata al Senato per parlare con Volponi che era stato eletto senatore a vita. Era disperato. Perché non riusciva più a scrivere. Ma non mi ha spiegato se era diventato senatore perché non riusciva più a scrivere o aveva smesso di scrivere perché era diventato senatore. Non credo siano veti morali che trattengono uno scrittore dall’entrare in un governo. Semplicemente è difficile che si possano fare due mestieri contemporaneamente.
Scrivere è già abbastanza impegnativo.
Uno scrittore non ha il tempo né il fisico per governare, a meno che – come nella mia personale utopia di cui sopra – non sia costretto a farlo. Gli esempi dei volontari del passato – escludendo gli scrittori romani e i segretari o i cardinali del Rinascimento, che vissero davvero in un altro mondo – sono poco incoraggianti. Il potere corrode gli intellettuali ancora più dell’acido muriatico, e dovrebbero guardarsene come da un pericolo serio. Di solito la tentazione è forte per lo scrittore pigmeo, che per frustrazione si presta a diventare lo scodinzolante molosso dell’uomo forte di turno. Gli altri non reggono, anche se sfiorano l’istituzione solo da lontano: la loro grandezza fa sì che crollino e si ammazzino, come Majakovskij e Mishima. Nel migliore dei casi, penso a Malraux, diventano dei buoni politici e cessano di essere scrittori, rivelando forse la loro vera vocazione. Lo scrittore è una voce, una coscienza, una spina, un chiodo, un tarlo anche: Pinocchio lo spiaccica con una scarpa. E questo è il suo destino se parla dall’alto della cattedra. Il suo posto è nel cuore marcio del legno, nell’anima friabile del muro. Alla fine il chiodo cade, ma nell’intonaco resta un buco. Quel buco è tutto ciò che può lasciare lo scrittore. Se la sua mancanza – assenza – viene percepita quando il chiodo non esiste più, allora le sue parole non saranno state inutili.
Dici… Veltroni?
Niente.
Si può rispondere con ironia. Il mio ruolo naturale negli antichi movimenti era il servizio d’ordine (anche se non ero affatto un picchiatore), quindi per la legge del contrappasso dovrei ambire alla poltrona di Ministro degli Interni. Esclusa questa ipotesi non riesco a immaginare altro.
Si può rispondere polemicamente: “Forse un certo scrittore farebbe bene a dedicarsi esclusivamente alla politica, non ne posso più di leggere le sue pallosissime opere!”
O addirittura rispondere scientificamente: con un facile “dipende dalle persone, come sempre”. Ci sono scrittori che potrebbero anche fare i ministri, e non solo “culturali”, come già detto sopra. Anche tra i professori universitari e i maestri elementari (forse più tra questi ultimi?) ce ne sono almeno nella stessa misura.
Penso che possano succedere cose diverse, a volte buone a volte cattive. Del resto cronache politiche anche recenti ci hanno mostrato leader scrittori degni, come nella Cecoslovacchia di Havel o nell’Africa postcoloniale di Senghor.
Chi va al potere smette di essere uno scrittore. Ho bene a mente per esempio la parabola di Malraux che diventò un ministro autoritario e smise di scrivere. Non escludo che uno scrittore possa farlo, ma per questo bisogna avere tanto coraggio, il coraggio di assumersi tutta la responsabilità del
cambiamento. Ma in Italia non vedo scrittori capaci di una scelta del genere, nessun Giustino Fortunato all’orizzonte.
Innanzitutto che smette di scrivere, immagino. Per il resto, stiamo a vedere. Se alle prossime elezioni dovesse prevalere il nascente Partito Democratico, avremmo addirittura due scrittori al governo, il Primo ministro e il suo vice. Lo dico con ostentato sarcasmo ma la verità è che sotto il sarcasmo troppo ostentato si nasconde sempre una inconfessabile speranza.
“La scoperta dell’alba”, di Veltroni, è un libro disperato sotto un’apparenza consolatoria; è un libro ingenuo e con una scrittura un po’ superficiale. Disperazione, ingenuità e superficialità dovrebbero essere tre buone doti per dribblare gli stereotipi della politica.
Come al solito vi chiedo di individuare (se c’è) la risposta con cui vi sentite più d’accordo spiegandone le ragioni.
Grazie mille.
A dopo!
mi sento molto in accordo con le parole di m.mazucco,secondo me c’è una incompatiblità di funzione e ruolo fra lo scrittore eil politico,la libertà che si prende lo scrittore di esprimere pensieri è sempre, se lo spirito è autentico,arginata dal senso di responsabilità di ciò che manda in giro e nelle mani di altri,il politico mi sembra che si prenda solo libertà e ben poca responsabilità di ciò che afferma e pensa.Lo scrittore che scrive per fare della sua voce un punto di domanda per chi lo legge non può vestire i panni del politico che pensa di dare risposte. Di buono però ci sarebbe che ai vari ballarò e salotti alla santoro si sentirebbe finalmente parlare in un italiano corretto che non faccia venire i brividi ai nostri figli.
un saluto a tutti questi nomi stimabili che ho la fortuna di leggere grazie a questo blog.In particolare saluto melania mazzucco che ho avuto l’occasione di conoscere più volte agli incontri da antonella cilento a napoli,apprezzandone la serietà e la grande disponibilità verso chi l’ascoltava con passione.
Grandioso Nicola Lagioia, che non ho il piacere di conoscere, ma che mi pare avere il dono della battuta folgorante! Mi ha fatto morire dal ridere la sua freddura sul sindaco di Roma, e mi ha ricordato un’infelice battuta del suddetto che, accusato di trascurare il suo lavoro per scrivere i suoi romanzi, si difese più o meno in questo modo: “Oh, ma io non trascuro il mio lavoro. Per scrivere un romanzo, impiego al massimo venti giorni”. Roba da farsi venire le convulsioni per il dispetto. In venti giorni io non riesco a scrivere neanche la lista della spesa o una ricetta di cucina. Per parlare seriamente, uno scrittore non può governare. Se lo fa, smette di scrivere. Lo scrittore è sempre “contro” il potere, altrimenti che scrittore è? Deve mettere alla berlina il tiranno, puntare l’indice sulla corruzione e sulla perversione del potere (vedi Saviano) e attingere all’inconscio collettivo per perdersi nella costruzione delle sue favole. Se governa, come diavolo fa a mantenere la sua identità? E adesso davvero auguri a tutti, perchè sto per saltare su un treno diretto a Napoli, ed è solo il timore di sembrare affettato o retorico a trattenermi dal dichiararvi il mio fervido affetto. Vi voglio bene, a tutti, non foss’altro perchè mi garantite un senso di appartenenza in questi tempi grami, e a Luciano voglio dire che ha ragione: questo è un bellissimo blog frequentato da bellissime persone. Un saluto affettuoso a Melania che non vedo dal giorno in cui ci incontrammo casualmente in via delle Botteghe Oscure e un caldo abbraccio a Pascale che ritengo più un amico che un collega, ma indistintamente a tutti auguro un 2009 di felicità.
La risposta di Melania è poetica. Dovrebbero leggerla i politici malati di presenzialismo. Invece la grandezza sta nell’assenza. Quando qualcuno non c’è più e ha lavorato bene, sia esso un politico, uno scrittore, una mamma di famiglia, un ciabattino, dovremmo capirlo perché non c’è e tutto quello che rimane di lui è il ricordo e un buco sulla parete.
Trovo interessante la domanda su chi siano oggi gli indifferenti. Si sarebbe portatati a rispondere che sono coloro che non hanno alcuno interesse per la vita politico- sociale odierna, ma se indachiamo sull’origine dell’indifferenza e scopriamo che essa è legata all’imperante narcisismo per cui oggetto di interesse è soltanto il proprio io, allora c’è veramente da preoccuparsi perchè l’indifferente è colui che nel suo incoscio ha “il desiderio di morte”(Freud)
Bruno Bettelheim noto psicologo americano attribuì all’indifferenza degli ebrei, che egli chiamò “mentalità del ghetto”, nei confronti del sistema nazista, una delle cause dell’olocausto.
Le cose di cui oggi abbiamo bisogno che la politica “non faccia” sono tante ma le tre cose urgenti da fare sono:chiamare le cose con il proprio nome;”acquistare uno slancio metafisico che innalzi la politica al di sopra dei contrasti individuali per affermare un ideale che porti in sè quei valori che sono di tutti e di nessuno (da ALLA CORTE DEL NONNO MASTICANDO IQUIRIZIA) ;progettare il problema alimentare che nel 2009 sarà il primo sintomo rivelatore della crisi.
Oggi gli indifferenti costituiscono una categoria oppositiva per il superamento della crisi che viviamo, la quale lascia sperare soltanto nello spirito di responsabilità e di solidarietà.
Alcuni giustificano l’indifferenza chiamandola rassegnazione o impotenza
o altro ma in effetti si tratta di una scelta di abdicazione morale.