Lucca Comics & Games 2024
«Niente più graphic novel! (Forse)»
Craig Thompson, pluripremiato con Blankets, Habibi, Ginseng Roots, svela a Lucca Comics and Games il suo “stop” alle graphic novel, interrogandosi sulle sue opere in 3 minuti con Letteratitudine
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Lucca, 30/10/24 Auditorium San Romano, 14:30
(a cura di Furio Detti)
Showcase di Craig Thompson, autore rivelazione a 24 anni con Addio Chunky Rice (premiato con l’Harvey Award), e poi con l’autobiografico e personalissimo Blankets, opera intima e tormentata, vincitore di 3 Harvey Awards, 2 Eisner Awards e 2 Ignatz Awards, poi autore di Habibi, storia fiabesca ambientata in un “islam alternativo” e infine ancora col semi-autobiografico Ginseng Roots, che racconta la sua infanzia nei campi di ginseng del Wisconsin.
Modera e guida l’intervento Luca Raffelli. Una serie di domande ovviamente dedicate alla promozione e alla presentazione di Ginseng Roots, di cui sono uscite le raccolte complete negli USA e in Italia (Rizzoli Lizard, 2024), in cui Thompson fa il punto della sua situazione e del suo lavoro, rispondendo generosamente a moltissime (forse troppe) domande sulle imminenti elezioni statunitensi e sulla politica americana degli ultimi anni, fra trumpismo e crisi occupazionale e agricolo-ambientale, ma con grosse sorprese in serbo.
La nascita di Ginseng Roots
Thompson si dichiara un “nomade del fumetto” avendo cambiato per sette volte la propria residenza negli USA durante la realizzazione di Ginger Roots. “Non lo consiglio come metodo di lavoro” (ridiamo). L’idea gli è venuta a Los Angeles, dal desiderio di raccontare la storia americana dal punto di vista di una pianta, di un vegetale, il Panax quinquefolius, per offrire “un punto di vista differente sulla crisi climatica, diverso dall’osservazione degli uomini e degli animali. Come sarebbe stato mettendo al centro della storia una creatura immobile?”, un lavoro di ispirazione e preparatorio che gli è valso la lettura di 100 opere sull’argomento. Il primo intoppo è che, desiderando parlare di crisi economica, ambientalismo, commercio, rapporti di forza e ingiustizie sociali attraverso la storia della monocoltura del ginseng negli USA, Thompson si è accorto di “far sbadigliare le persone” che viceversa si entusiasmavano nello scoprire la sua storia personale di ragazzo impiegato come molti coetanei nelle piantagioni della sua cittadina d’origine. Per metà quindi Thompson ha scelto di tornare all’autobiografia, verso cui era restio, descrivendo la vita quotidiana della sua famiglia e dei suoi coetanei: “Molti di quei contadini che piantarono il Ginseng nel Wisconsin sono ormai morti, ma negli anni passati esso era una monocoltura redditizia. La prima sorpresa è che ho scoperto che senza quella pianta non sarebbero esistiti gli Stati Uniti come nazione, in quanto con essa – assai redditizia alle origini, come adesso -, i Padri Fondatori hanno pagato l’aiuto della Francia durante la Guerra di Indipendenza americana.”
Piante, uomini, una sola lotta
“È così – prosegue Thompson – che la storia di un prodotto ricercato, che tutti credono così esotico e straniero, si è intrecciata con le vite non solo degli Americani ma di tutte quelle persone che dal Laos, dalla Cambogia e dal Vietnam, in seguito alla guerra degli anni ’60 e ’70 erano emigrate sia nel Wisconsin e Minnesota per lavorare nei campi della pianta terapeutica, venduta a caro prezzo. “Uno dei genitori di un compagno nei campi era stato un bambino-soldato e aveva ucciso delle persone nella stessa età in cui noi trascorrevamo tra cartoni animati, spettacoli del pomeriggio e lavoro agricolo!” Ma non ci sono solo le storie tragiche o umane, personali, in Ginseng roots è raccontata anche la vicenda che lega queste agricolture, e le persone che ne vivono, alle forme dello sfruttamento agricolo, economico, commerciale. Dei legami e dei meccanismi che hanno conosciuto un’accelerazione imprevista e sconvolgente con la globalizzazione, la crisi del Covid, la conflittualità politica crescente: “Un mese dopo che ho iniziato il fumetto, nel dicembre 2016, c’è stata l’elezione di Trump, con tutto quello che poi è seguito. Per me è stato un periodo molto complesso e conflittuale, in linea con la realtà che cercavo di descrivere nel mio lavoro. Solo che a un certo punto, stanco di dovermi occupare di rispondere in qualche modo alle osservazioni o domande altrui su come stessero agendo le persone intorno a me o i miei concittadini, e in generale a preoccuparmi di conseguenza, ricordo che sono tornato sui campi dove sono cresciuto, ho estirpato una radice di ginseng, me la sono messa in un vaso con l’acqua a casa e, come farebbe un matto, le ho chiesto cosa dovessi fare per proseguire e concludere la mia storia (che volevo restasse una storia con la pianta al centro, piuttosto che il resto). La pianta mi ha suggerito ‘Torna alle tue radici, torna a casa’, suggerimento che, ironicamente, è lo stesso rivolto da molti elettori di Trump agli stranieri che vengono a lavorare negli USA. Forse è anche per questo che attualmente, finita anche questa graphic novel, io mi senta un po’ distaccato dall’America. Certo c’è anche la circostanza per cui adesso sto girando l’Europa e l’Italia per promuovere il mio lavoro.” “Voterai alle prossime elezioni?” – chiede subito dopo Luca Raffaelli. “Sì. Certamente.” risponde più laconico del solito Craig, con una divertita ironia.
Ironia, convinzioni e una rivelazione
La stessa ironia fa da fil rouge a molte delle storie confluite in Ginseng Roots, e Thompson la ritrova nelle reazioni ai suoi precedenti lavori: “Per Blankets sono stato accusato dalla destra di aver avuto posizioni anticristiane e blasfeme, persino oscene sulla religione. Col lavoro successivo, Habibi, invece, è stata la sinistra a accusarmi di ‘appropriazione culturale’ per aver parlato di una società para-islamica e delle relazioni fra una donna e una persona di colore, da bianco. Come vedete c’è tanta ironia a disposizione, in un mondo in cui gli artisti e gli autori di graphic novel sono così maltrattati e censurati, almeno negli USA ove sono spesso banditi dalle biblioteche anche pubbliche o sono al centro di polemiche infuocate per aver raccontato una storia. Forse è anche per questo motivo e anche per un certo clima di ostinazione e scontro, che non credo che scriverò più graphic novel dopo Ginseng Roots, un po’ il mio canto del cigno.”
Dopo questa rivelazione è la volta delle domande del pubblico. La nostra:
Se Blankets e Ginseng Roots sono due lavori non solo autobiografici ma politicamente realistici, a dispetto della tua annunciata intenzione di smettere con il media del fumetto, vorresti tornare a quel “realismo fiabesco” così capace di svelare il reale, forse meglio di tanti fumetti di cronaca o cronistoria?
Thompson: – “Sarebbe interessante. A dire il vero forse ho in mente di affrontare il tema della memoria. Argomento che mi affascina e un po’ mi spaventa. Forse tornerò a disegnare per questo… Ho in progetto anche qualcosa di nuovo.”
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La nostra Intervista: 3 domande, 3 minuti a Craig Thompson
Craig Thompson è autore di tre graphic novel monumentali nel senso dell’approccio alla narrativa: Blankets, Habibi e Ginseng Roots.
Letteratitudine – La prima domanda è: hai appena detto, qualche secondo fa, che avresti smesso di disegnare graphic novel, e se dovessi davvero farlo, in che senso e come guarderesti a queste tre opere che rappresentano la tua visione artistica. Esiste un filo conduttore che le lega, o no?
Craig Thompson – Credo che ci sia un’ovvia qualità di sequel per Ginseng Roots rispetto a Blankets, almeno per metà di Ginseng Roots, che descrive di nuovo il rapporto con la mia famiglia, le persone a me care, i miei vicini e la mia adolescenza nella mia cittadina. L’altra metà invece parla di questa pianta, il Ginseng, apprezzata dalla medicina cinese, un prodotto che ci riporta alla mitologia e alla cultura cinesi, e questa parte è a sua volta connessa a Habibi, opera ispirata alla cultura di un altro paese straniero, l’arabia e l’Islam. Negli USA non mi è stato permesso di occuparmi di altre culture che della mia; e credo che Ginseng Roots sia stata la contestuale risposta a queste critiche, non già perché io pensi di avere chi sa che risposta, ma perché ho ritorto la domanda al mittente: Che cosa succede quando la tua cultura si sovrappone a una cultura differente? Che è quello che ho vissuto da ragazzo: lavorare nella coltivazione di un prodotto che è apprezzato, valorizzato e venerato da una cultura che non è la nostra. Questo mi ha incuriosito, riguardo a questa pianta e alla cultura a cui fa riferimento, ossia quella cinese.
Letteratitudine: – Parliamo di “confort zone”: finora hai usato la narrazione del personale, intimo e autobiografico per raccontare storie più generali, collettive, globali. Te la sentiresti di fare l’inverso, ossia disegnare delle storie altrui, come per esempio la Divina Commedia, uscendo dal personale; per dire, raccontare la letteratura o le storie altrui, disegnando?
CT – Ah questo è un gran suggerimento. La Divina Commedia! In effetti il progetto, il “memoriale” a cui sto guardando ha un riflesso a altre esperienze artistiche. Non voglio “sbottonarmi” troppo, ma parla di forme d’arte religiosa.
Letteratitudine: – Pensando al cinema, ti ispiri mai a film o a registi che ti hanno colpito? Noi pensiamo per esempio che il tuo modo di affrontare la narrazione somigli, per scelte e soggetti, a quello di Pasolini (il mondo “altro” e incorrotto delle terre lontane, primitive, originarie, la metafora della fiaba delle mille e una notte…)
CT – Pasolini! Grazie del complimento. Parlavo proprio stamani dei film, e in particolare di Michel Haneke; o del mio film preferito dell’anno scorso, The Zone of Interest, di Jonathan Glazer, o potremmo parlare di Ari Aster, o di Triangle of Sadness, di Ruben Östlund, abbiamo parlato di Scorsese, sì, il cinema mi ispira moltissimo. Sicuro.
Ti ringraziamo moltissimo a nome di Letteratitudine e continua con le storie, che sono epiche, noi crediamo, perché parlano degli uomini e del divino.
CT – Grazie, anche a voi!
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