Gary Groth sul ring del fumetto USA
L’editor degli editor, il publisher dei publisher indipendenti, si confessa a LCG24: Fantagraphics e The Comics Journal sempre al centro delle lotte per i diritti autoriali, delle diatribe, della critica “calda” sui comics
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1/11/25, Lucca, Camera di Commercio, Sala Oro
(a cura di Furio Detti)
Un titano della critica fumettistica: Gary Groth fonda nel 1976 Fantagraphics con Mike Catron, e da allora l’attività di editore indipendente ha collocato fior di stelle nel firmamento dei comics, oltre a aver aperto il filone della critica d’autore del fumetto con “The Comics Journal”: oggi, primo novembre 2024, Gary è con noi al Press-Cafe di LCG24.
Gary Groth, arbitro dello scontro fra Stan Lee e Jack Kirby su come si lavorava in Marvel; Gary Groth che pubblica l’underground dei fumetti USA con i Fratelli Hernandez (Love&Rockets), Robert Crumb, Peter Bagge (Hate), Gilbert Shelton (The Fabolous Furry Freak Brothers), ma anche i giganti autori Disney come Carl Barks e Don Rosa; Gary Groth che ospita ancora in questi giorni il journalism comics di Joe Sacco con War on Gaza; Gary Groth all’origine dei due più importanti premi USA per le nuvolette (Harvey Award e Eisner Award), risponde alle domande dei giornalisti senza freni e con inarrestabile verve…
L’evoluzione dei comics USA: Strisce-Underground-Crisi-Rinascimento-Pessime Graphic Novel
Che cosa rimane di quegli anni fra Ottanta e Novanta per il fumetto e l’editing? Groth: «Credo restino i più grandi di noi: Harvey Kurtzman per DC Comics e la coppia Art Spiegelman–Françoise Mouly con la rivista “Raw”; nel fumetto mainstream c’erano ottimi editor in DC Comix.» Quanto a un bilancio di quel periodo, e al destino del fumetto indipendente adesso, Groth osserva che agli inizi di TCJ erano ben consapevoli di fare una rivista di opposizione, in controtendenza, anti status quo, se vogliamo; ricorda che negli anni Ottanta TCJ collezionava parecchie querele per diffamazione. Poi nei primi anni Ottanta c’è stata la seconda rivoluzione, dopo quella del fumetto underground; è allora che si sono fatti vivi gli autori che a suo giudizio dovevano esserci. Potremmo collocare la fine dell’epoca underground dei Comics nel 1976 – continua Groth – un anno pessimo: «Tra l’altro in quel momento era uscita l’ultima rivista che potremmo chiamare underground, “Arcade” di Spiegelman. A noi non restava che esplorare la terra arida di un paese in cui il fumetto mainstream era pattume (“crap”). Una realtà in cui troppi adulti sfruttavano i ragazzini con un’offerta decisamente degna di persone proprio poco sveglie. Per noi quel momento fu un tradimento dello spirito dei comics, io avevo 21 anni all’epoca e avevo altre aspirazioni. Quando incontrai nel 1982 gli autori di cui parlo, per me fu davvero l’incontro con i comic di qualità, col futuro del fumetto, con opere in cui c’erano coerenza, profondità, espressione autentica, la vera espressione individuale: i citati Hernandez, Bagge, Joe Sacco… era il Rinascimento del fumetto americano di cui volevo essere parte.» Per il fumetto indipendente, adesso, Groth vede nel moltiplicarsi delle major, oltre a Marvel e DC, solo una riedizione della «pessima versione delle graphic novel. Un catalogo di tutto ciò che secondo me non dovrebbe essere fumetto. C’è un tale inquinamento in giro che vale ancora di più il ruolo dell’editore indipendente! Sono quasi 50 anni che facciamo questo lavoro e abbiamo visto i cicli e i controcicli di questi sviluppi. Anche se non è mai stato semplice è dura mantenere la barra dritta nel mare delle graphic novel, adesso più di prima.»
E riguardo al passato remoto? «Beh parliamo dell’epoca delle strisce, con interpreti eccelsi, come Segar, fino a Schulz, ma non ho mai considerato il mondo delle strip come l’idea che sognavo per il fumetto. Le strisce nell’economia editoriale dei quotidiani erano un’appendice, un piccolo territorio artistico in cui non c’era gran margine di espressione. »
Tra anni ’80 e ’90 TCJ ha allargato il suo raggio d’azione, dedicandosi anche agli autori mainstream che fecero ottime cose. C’era la voglia di fare luce su alcune eccezioni del fumetto da major.
Stan Lee vs Kirby (e TCJ): “Prima di rispondervi gelerà l’inferno!”
Come è nata la querelle in casa Marvel? All’inizio degli anni ’80 Marvel decise di restituire le tavole originali ai propri autori. Ciò era fatto con la firma di un contratto che rilasciava agli autori le tavole fisiche, ma conservava alla Marvel tutti i diritti di sfruttamento. Era un accordo di una pagina soltanto. Quando toccò a Kirby non solo gli chiesero di sottoscrivere un contratto di tre pagine ma gli diedero indietro solo 88 originali, sulle migliaia di tavole realizzate! Ciò oltretutto a seguito di una battaglia fiscale e legale che da anni tempestava la major, grazie proprio all’iniziativa dell’artista Neal Adams e al supporto del “The Comics Journal” di Groth, assai critico con le major delle nuvolette e in particolare della casa in cui militava anche Stan Lee! Era inconcepibile che la Marvel maltrattasse così uno dei più grandi, forse il più grande autore della loro scuderia. Ne avevano fatto quindi una campagna e una raccolta di firme per tutelare i diritti degli autori. Del resto Groth e Kirby erano finiti per essere vicini di casa, in un certo periodo. Alla fine la lotta pagò: Kirby ebbe il suo contratto di una singola pagina e riebbe indietro un congruo numero delle sue tavole; il caso Kirby fomentò ulteriormente l’acredine di Stan Lee e della Marvel verso il TCJ. Kirby rispose con l’intervista che conosciamo tutti e il resto è storia. Addirittura, alla fine, uno dei nostri redattori per permettere a tutti di ascoltare anche l’altra versione dei fatti mandò una proposta di intervista a Stan Lee. Non avevamo grandi aspettative o speranze, tanto che infatti Lee replicò: “Prima di rispondervi, gelerà l’inferno!”
Gli Hernandez Bros: una festa per gli occhi
Come è stato lavorare con i Fratelli Hernandez e le loro storie decisamente “oscure”, piene di sottintesi molto complessi e difficili da raccontare? «Naturalmente è stato fantastico, ma anche ora lo è. All’epoca di Love&Rockets ne uscivano solo quattro all’anno, e per me ogni volta riceverne uno era una vera festa. Io leggevo il numero nuovo a casa loro, o loro a casa mia. Ci si leggeva una vera gioia negli occhi. Lo stesso quando ricevevo o ricevo i lavori di Joe Sacco o Daniel Clowes (Eightball).»
La domanda di Letteratitudine
All’editor di tutti gli editor chiediamo quali siano le tre caratteristiche principali di un buon curatore di comics: sono cambiate, oggi, rispetto al passato? E quali sono i tre difetti di un “cattivo” editor?
Gary Groth – «Grazie per averlo chiesto, apprezzo molto. La prima qualità richiesta è il gusto. La seconda il rispetto: rispetto e apprezzamento nei confronti degli autori in cui ci imbattiamo, nei confronti del loro lavoro, del loro processo creativo, della loro individualità e caratteristiche. Un buon editor sa “lasciar fare” i propri autori. Sarebbe ridicolo da parte di gente come noi pretendere di insegnare il mestiere a artisti come quelli che ho conosciuto; mettere le mani sul loro lavoro è impensabile. Prendete per esempio Love&Rockets: per i 40 anni del titolo di recente abbiamo avuto modo di realizzare un’edizione speciale che riproponesse i primi 50 numeri della serie in cofanetto. Nel raccogliere di nuovo il materiale mi sono sentito con gli Hernandez (Gilbert e Jaime) tutte le settimane; è venuto fuori che una volta io gli avevo rifiutato una storia. Ebbene, mi sono sentito in colpa per un simile diniego, anni dopo, pur con tutta la solidità e stabilità del nostro rapporto!
«Ho saputo oggi di aver rifiutato un lavoro degli Hernandez, e me ne pento come non mai!»
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