Ci sono argomenti più difficili da trattare, rispetto ad altri; ma non per questo meno importanti.
Il titolo di questo post non ha a che fare con l’astrologia o i segni zodiacali… ma con qualcosa che incide nelle nostre vite in maniera molto più significativa e devastante: la malattia.
“Nel segno del cancro” (Sampognaro & Pupi, € 10) è il titolo di un libro che offre la testimonianza di una donna colpita dal tumore al seno.
Secondo l’Airc, il tumore al seno colpisce una donna su dieci. È il tumore più frequente nel sesso femminile e rappresenta il 25 per cento di tutti i tumori che colpiscono le donne. In Italia sono diagnosticati circa 37.000 casi (152 ogni 100.000 donne). Uno di questi casi è quello di Cinzia Spadola. Ed è lei stessa a raccontarcelo tra le pagine di questo libro che vi propongo.
Nella sua prefazione al testo della Spadola, Gianna Milani scrive: “Da che cosa può nascere l’impellente bisogno (desiderio) di raccontare della propria malattia? Di vincere ritrosia e pudore per spingersi sul terreno della condivisione di fatti (nudi e crudi) e di emozioni (forti e laceranti)? Diverse possono essere le motivazioni. Forse un modo per capire perché «proprio a me», per riappropriarsi del corpo, per restituire alla propria vita il diritto di unicità. Ma anche per non essere più soltanto una diagnosi, una mammella con un nodulo di qualche centimetro, ma una persona“.
A prescindere dalle motivazioni che hanno spinto Cinzia a scrivere questo libro, credo sia importante parlarne: per aiutare a capire che non si è soli, che quel «proprio a me» riguarda tantissima gente; per ribadire che la prevenzione continua a essere l’arma principale per contrastare questo male. E perché il mettere in comune esperienze dolorose – che segnano – può trasformarsi in una risorsa per noi stessi e per coloro con cui le condividiamo.
Parliamone, dunque.
Parteciperanno alla discussione Cinzia Spadola (l’autrice del libro), il dr. Paolo Tralongo, primario del reparto oncologico dell’ospedale di Avola (che ha firmato la postfazione del testo), lo scrittore e critico letterario Salvo Zappulla (che ha recensito questo libro per Letteratitudine)… e tanti altri esperti ed ospiti, tra cui la scrittrice Stefania Nardini (il cui nome metto in evidenza per motivi ben specifici, come capirete nel corso della discussione).
E poi ci siete voi…
Vi chiedo di partecipare al dibattito con particolare trasporto (mettendo in comune esperienze e opinioni). Del resto, come scrive Paolo Tralongo nella postfazione: “Ogni pagina dell’esperienza, per certi aspetti singolare, di Cinzia, riportata in questo volume, è continua testimonianza di quanto gli aspetti comunicativi, relazionali, umanistici, oltre che scientifici, siano rilevanti nel condizionare gli esiti di un programma assistenziale e lo stato di benessere del paziente affetto da cancro“.
Massimo Maugeri
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NEL SEGNO DEL CANCRO di Cinzia Spadola
Edizioni Sampognaro&Pupi – pagg. 65 – € 10.00
recensione di Salvo Zappulla
Rieccoci qua. Dopo tante belle discussioni nel blog, battute e battutacce, dibattiti su argomenti letterari, pause rilassanti e discorsi impegnativi, mi ritrovo coinvolto a presentare questo libro di Cinzia Spadola. Sul CANCRO. Sulla storia di una donna che racconta in prima persona del suo cancro al seno. E cosa c’entro io? mi chiedo. A me il cancro non interessa, Mai posto un simile problema. Fumo un pacchetto di sigarette al giorno, mangio tutto quello che mi capita a portata di ganasce: carne rossa, gialla con anabolizzanti importati dalla Cina, vino al metanolo, vita sregolata, aria della zona industriale insalubre. No, ripeto, il cancro non mi riguarda. Il seno non ce l’ho. Mal che vada potrebbe spuntarmi un nodulo ai testicoli, ma tanto quelli sono già inutilizzabili e, nella peggiore delle ipotesi, con un colpo secco, zac, si possono recidere. Ho cominciato a leggere questo libro alle 8 di mattina e alle 9 avevo già finito. Mi ha fatto riflettere molto. Le prospettive mi sono apparse differenti, la visione della vita anche. Ci comportiamo come se la nostra esistenza dovesse durare all’infinito, litighiamo per un sorpasso, ci scanniamo per l’eredità dello zio buon’anima, ci affanniamo ad accumulare ricchezze e potere, ci crediamo invincibili (Lei non sa chi sono io! La mia famiglia discende direttamente dal re. Ed io allora? Sono parente di trentesimo grado dell’onorevole Truffarelli, specializzato negli appalti sui terremoti) e poi basta un nulla: un ictus, un infarto, un dardo avvelenato che malauguratamente va a cadere sulla nostra testa, per renderci conto di quanto labile sia la nostra permanenza su questa terra. Non ci sono ricchezze che preservino dalle malattie. Non esiste potere in grado di regalarci l’immortalità. Siamo granelli di sabbia nel deserto. La nostra esistenza va salvaguardata, la nostra coscienza pure. La qualità della vita è un bene prezioso. Abbiamo dei doveri verso noi stessi. La protagonista di questo libro con delicata ironia racconta la sua storia ed è come vedere un film dalle scene incalzanti. Mi proietta in una dimensione che ritenevo irreale, mi porta a conoscenza di termini per me astrusi: esami di follow-up, linfonodi sentinella. E a mano a mano che proseguo nella lettura mi accorgo che la mia sigaretta si spegne da sola. Quando arrivo alla postfazione del dott. Paolo Tralongo, primario del reparto oncologico dell’ospedale di Avola (SR) mi rendo conto di averlo ingoiato, il mozzicone della sigaretta. “…non va dimenticato che la diagnosi del cancro ferma il tempo che improvvisamente appare perduto e proiettato a chiudere repentinamente l’esistenza dell’individuo. La disponibilità umana del medico può contribuire a riattivare la speranza (risorsa preziosissima) che il tempo possa essere, in qualche modo, nuovamente percorso con dignità, facendo sì che le proposte terapeutiche considerate dalla comunità scientifica internazionale più vantaggiose possano essere accettate anche quando non completamente risolutive…” Parole di Paolo, medico stimatissimo che ha dedicato alla sua professione l’intera esistenza. Insomma, facendo seguito alle affermazioni di Hermann Boerhaave, clinico olandese, al medico va richiesta la scienza e l’umanità. Senza la seconda, anche la prima vale ben poco. Raccontare della propria malattia in un libro richiede sempre grande coraggio, significa offrirsi nudi, con le proprie paure, le debolezze, le ansie a un pubblico sconosciuto. Lo hanno fatto illustri scrittori prima di Cinzia. Ricordo uno straordinario romanzo di Davide Lajolo che nel 1977 si aggiudicò il Viareggio: “Veder l’erba dalle parti delle radici” in cui lo scrittore descrive minuziosamente e drammaticamente i suoi momenti d’angoscia quando si rende conto di essere stato colto da infarto e si trova solo, senza che nessuno possa prestargli soccorso, nel suo letto. Rivede la propria esistenza, le origini contadine e tutto gli appare sotto un’altra luce. Questo di Cinzia Spadola, che si avvale della prefazione autorevole di Gianna Milano, è un libro forte e violento, un pugno sullo stomaco (e una parte dei proventi andrà alla G.S.T.U. una fondazione che segue in Sicilia i guariti di cancro). Violento, come l’artiglio di un rapace che scende in picchiata a ghermirti la vita. Quando accade un evento sconvolgente condiziona anche l’esistenza delle persone che ci stanno accanto, i familiari, gli amici, le persone che ci amano. Qui hanno un ruolo fondamentale l’affetto dei genitori e la determinazione del marito. Cinzia racconta il suo calvario con grande lucidità e naturalezza, ci sono pagine di straordinaria intensità in questo libro. Cala un velo negli occhi di quanti hanno subìto un trauma di tale portata e quegli occhi non riavranno più la stessa lucentezza. Chiunque potrà identificarsi in questa storia, perché chiunque potrebbe incapparci. Il dramma, il vortice dell´abisso, sentirsi sprofondare senza intravedere una via d´uscita. Lo scoramento, gli ospedali, la tortura della chemioterapia, l´abbruttimento fisico, l´apatia, la fine di ogni speranza. E invece oggi Cinzia è mamma di due splendidi bambini: ha lottato, resistito, vinto. Ed è il primo caso al mondo di una donna che ha portato a termine una gravidanza nonostante i farmaci avrebbero dovuto bloccare le sue funzioni riproduttive. “…Il medico affermò che dopo una chemioterapia e 10 mesi di RH analogo, un’ovulazione e l’immediato concepimento è veramente improbabile, per non dire impossibile, cosa che invece era in qualche modo accaduta…” Un fenomeno? Un miracolo? Lo vogliamo credere e sperare: il miracolo della vita che si impone sulla morte. I medici non sanno trovare la spiegazione scientifica. Una testimonianza importante questa di Cinzia, su un argomento delicatissimo. Una storia di rinascita e di positività. Uno spiraglio di luce che penetra le tenebre e apre alla speranza. Ed ecco che questo libro diventa un documento prezioso da trasmettere agli altri, quasi un manuale che ci insegna come riappropriarci della nostra vita anche quando sembra irrimediabilmente perduta.
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NEL SEGNO DEL CANCRO di Cinzia Spadola
La prefazione di Gianna Milano
Da che cosa può nascere l’impellente bisogno (desiderio) di raccontare della propria malattia? Di vincere ritrosia e pudore per spingersi sul terreno della condivisione di fatti (nudi e crudi) e di emozioni (forti e laceranti)? Diverse possono essere le motivazioni. Forse un modo per capire perché «proprio a me», per riappropriarsi del corpo, per restituire alla propria vita il diritto di unicità. Ma anche per non essere più soltanto una diagnosi, una mammella con un nodulo di qualche centimetro, ma una persona. E per trovare, in definitiva, un nuovo rapporto con se stessi dopo l’esperienza spesso disumanizzante dell’ospedale, non importa se «super» o a quattro stelle, pur sempre un «non luogo» dove i rapporti sono frettolosi, ridotti all’indispensabile, sovente aridi e distaccati.
L’autrice racconta di giorni di angoscia, di ansia, di sofferenze, di reazione alla faciloneria dei medici che spesso si nascondono dietro un linguaggio tecnico e impersonale. Il libro di Cinzia Spadola è la cronaca intima, privata di una lotta durata mesi. Che si apre alla speranza contro tutto e contro tutti. Contro ogni previsione basata sulla medicina delle evidenze scientificamente dimostrate. Una scommessa contro il male che sfocia nella vita, nella nascita di un nuovo essere, del figlio Riccardo che, a dispetto dei pronostici degli esperti (smentiti), sconfigge la malattia della madre e viene al mondo.
La scrittura autobiografica come pratica per attenuare la sofferenza ha precedenti famosi da Giuseppe Berto (Il male oscuro) a Thomas Bernhard (Il respiro), da Lalla Romano (Nei mari estremi) a Tiziano Terzani (Un altro giro di giostra). L’impazienza di raccontare in prima persona, senza più metafore, infermità, dolore, disperazione, speranze, battaglie, guarigioni, sconfitte, e il bisogno di «mettere in piazza i mali dell’anima e delle cellule», come ha scritto la sociologa Simonetta Piccone Stella, superando ogni reticenza e ogni vergogna verso i propri malanni, sono dimostrati dal numero crescente di questo genere di libri. E, soprattutto, sul cancro.
Di nuovo ci si domanda come può essere interpretato questo nuovo desiderio di trovare interlocutori, ossia lettori, inclini a partecipare emotivamente alle vicende personali di un’altra persona? Perché questo bisogno di vivere la malattia autentica con gli altri e di comunicare esperienze vere, vissute sulla propria pelle? Chissà, forse è un modo per difendersi dall’indifferenza della medicina che ha lunghi camici bianchi, che non vede la persona ma il suo male. O, meglio, il suo organo malato. Forse è il desiderio di non vedere tutto ridotto a numeri, statistiche, formule. E, poi, il mondo della salute e della malattia sono confinanti. Un confine davvero labile. Tanto che spesso si confondono. Ma altrettanto spesso noi questo lo ignoriamo.
Narrare credo sia anche un atto di solidarietà verso se stessi. Significa esorcizzare, ma non rimuovere. Anzi, c’è un’appropriazione di tipo personale, un po’ narcisistica, come narcisistica è la condizione del malato. Ma nasce anche dal bisogno di non sentire più la malattia come qualcosa che ci sovrasta, come una spada di Damocle, il cui l’esito dipende anche da noi. Perché, secondo gli esperti di medicina psicosomatica, primo tra tutti Georg Groddeck, è dal modo in cui ci si pone verso la malattia che dipende il suo esito: la vittoria o la sconfitta. La storia di Cinzia sembra dare ragione a coloro che sostengono il ruolo importante della psiche. Del resto, la dicotomia corpo e psiche ha finito per favorire la medicalizzazione di qualsiasi turbamento dell’animo.
Il raccontare la propria sofferenza serve inoltre a oggettivarla, a trasformarla in qualcosa che si passa ad altri (come il testimone in una gara) per coinvolgere, ma anche per uscire dall’isolamento, per creare un filo conduttore tra il prima e il dopo. Infine, per passare attraverso il racconto una testimonianza che lasci una traccia indelebile del proprio vissuto. Lo scrivere, il mettersi a nudo, è simile in fondo alla narrazione orale che avviene durante la psicoterapia: da racconto privato diventa comunicazione pubblica. Con l’analogo scopo di elaborare, di ricercare un equilibrio, di dare senso alla propria sofferenza. Ma anche alla propria esperienza. La rete di comunicazioni, poco alla volta, diventa un affresco in cui si intrecciano i sottili fili delle relazioni. Una rete che produce calore e incoraggia a persistere nella sfida.
La malattia è quasi sempre vissuta con un senso di ingiustizia e di vergogna. Attraverso il racconto il malato riacquista dignità. Perché la malattia è come una violenza subita che abbassa la stima di sé («Perché proprio a me?» ci si chiede) e scrivere la propria storia serve a riacquistare fiducia, dicono coloro che si occupano di antropologia medica. Mettere per iscritto, raccontare ad altri, aiuta a metabolizzare ciò che è successo. L’esperienza dolorosa si trasforma, subisce una metamorfosi, diventa un fatto letterario e va oltre. La «vittima» diventa «protagonista». Dal registro patetico si passa a quello epico-tragico in cui c’è un io narrante (protagonista) e un’antagonista (la malattia).
L’identificazione in chi legge è facile e ha un effetto certamente catartico.
Se per i protestanti la malattia era il castigo di Dio e il successo materiale era essere sani, per i cattolici essa aveva un effetto salvifico per conquistarsi la benevolenza di Dio e quindi il Paradiso. C’è chi ritiene che queste prospettive siano oggi superate. Si assiste infatti a una presa di possesso del proprio corpo, una riappropriazione che pone l’accento su un rapporto nuovo, paritario, con il medico. La protagonista riceve informazioni sulle possibili terapie, sulle eventuali prospettive, sugli inevitabili effetti collaterali, ma poi, in definitiva, è lei a scegliere. A decidere della sua sorte con straordinaria determinazione. Erodoto racconta che i babilonesi portavano i malati sulla piazza del mercato e che a chiunque veniva data la possibilità di accostarsi al malato, consigliarlo sulla malattia. Se qualcuno aveva avuto lo stesso male o sapeva di un altro che l’avesse avuto, si faceva avanti, dava consigli e raccomandava tutto quanto aveva fatto lui stesso o qualcun altro. Non era permesso oltrepassare il malato senza aver chiesto che malattia avesse. Se questa consuetudine tornasse, chissà quanti assembramenti.
C’è chi dice che questo bisogno di confrontarsi attraverso la narrazione nasca da una mutazione della società moderna verso fenomeni condivisi di solidarietà. Un’alternativa alla mentalità borghese. Non c’è lo specialista, ma il mettersi assieme (chi scrive e chi legge) per affrontare un problema comune, magari sottovalutato e difficilmente individuato. Forse è il sintomo del fallimento dell’industria della psiche che punta all’individualismo? Altri vedono in questo fenomeno un’alternativa alla «parzialità» offerta dalla medicina. Una medicina certamente non infallibile. Consapevolezza che è cresciuta grazie anche a una più diffusa distribuzione di informazioni. Consapevolezza che ha ridimensionato la fiducia cieca nella medicina tecnologica capace, come sono andati ripetendoci negli ultimi trent’anni, di vincere ogni malattia.
In questo clima di ripensamento e di sfiducia si è diventati meno disposti a delegare ciecamente all’esperto. Se prima il malato si affidava, oggi tende a riappropriarsi sia del proprio corpo che della propria malattia. Il corpo gli appartiene (questo atteggiamento nasce anche dal lavoro del femminismo) e non l’affida, ma combatte, contratta, si difende, riflette, chiede. Succede che né medici né infermieri siano però disposti a contrattare. Loro sono quello che sanno. E che il recupero della malattia e del proprio corpo sia di matrice femminile lo dimostra il fatto che nove volte su dieci i libri scritti sulla propria malattia sono scritti da donne.
In tutti questi libri in cui i malati raccontano della loro malattia, emerge una critica al sistema sanitario, alla medicina tradizionale che ha trascurato il malato come persona. E torna in mente il racconto che Nanni Moretti ha fatto della sua malattia nel film Caro diario. Una pagina efficace di come andrebbe rivisitato il rapporto medico-paziente. La medicina, da Ippocrate in poi, si esercita tra «techne» e valori umani. E cioè scienza applicata all’uomo e rapporto tra uomini sono i due elementi animatori e categorici del mestiere di medico. Forse è anche questo il messaggio che il nuovo filone editoriale, di cui fa parte questo volume, vuole con forza esprimere. E le parole, si sa, facilmente si dimenticano, mentre gli scritti restano.
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NEL SEGNO DEL CANCRO di Cinzia Spadola
La postfazione di Paolo Tralongo
Il controllo di malattie infettive, l’avvio di programmi di educazione sanitaria ed una migliore igiene di vita hanno contribuito a determinare un prolungamento della vita media dell’individuo; contemporaneamente i progressi scientifici raggiunti negli ultimi anni hanno indotto la remissione di numerose patologie ed il controllo di molte altre.
In ambito oncologico, l’avvio di programmi di diagnosi precoce, l’applicazione di procedure di integrazione terapeutica multidisciplinare e, infine, l’inserimento nella pratica clinica di nuovi ed efficaci principi attivi hanno modificato la storia naturale di molte neoplasie maligne : la cronicizzazione di tumori di frequente incidenza e di valenza sociale, quali quello mammario o del colon, rappresenta, infatti, un riscontro usuale. I pazienti, oggi, vivono più a lungo e non a caso si parla di lungo sopravviventi, cioè di persone che, superata la fase acuta di malattia, si trovano a vivere una esperienza identificabile come fase post-acuta, caratterizzata da controlli periodici finalizzati alla individuazione di una eventuale ripresa evolutiva di malattia e/o di effetti collaterali tardivi attribuibili ai trattamenti e che possono minacciare la qualità della salute.
Per tale motivo, anche la valutazione della QOL e la sua percezione rispetto ad un trattamento riportata dai pazienti (PROs) rappresentano, oggi, alcuni dei requisiti cui fa riferimento la comunità scientifica per valutare l’efficacia di una procedura terapeutica o di un nuovo principio attivo.
Contestualizzata in questo ambito e nella consapevolezza che la patologia di cui trattasi esprime un decorso cronico, la strategia terapeutica, oltre a considerare il controllo sulla patologia, non può misconoscere una più ampia e completa prospettiva centrata sul paziente, sulla sua unicità fisica e psichica; paziente – persona che dinnanzi agli stati di ansia e di preoccupazione per il proprio futuro chiede al medico – persona un duplice aiuto: tecnico (per la componente medico-scientifica) ed umano (per la componente antropologica). Per poter pianificare concretamente un tale programma terapeutico è necessario che si realizzi un nuovo rapporto medico-paziente, non sbilanciato ed unidirezionale ma equilibrato e bidirezionale, all’interno del quale entrambi manifestano la piena consapevolezza che la loro reciprocità si fonda su una comunicazione piena ed esaustiva anche quando apparentemente difficile e complessa. Alle richieste del paziente deve corrispondere una disponibilità all’ascolto ed alla comunicazione da parte del curante, il quale, considerate le peculiarità (età, sesso, cultura,…) dell’assistito, deve fornire le risposte atte a soddisfarne, per quanto possibile, le esigenze e le attese (recupero del ruolo sociale, nuova pianificazione della propria vita familiare, desiderio di avere un figlio,..) o a giustificarne il loro mancato pieno raggiungimento quando non esistono le condizioni per poterlo fare (guarigione non completa). Questo modus operandi può migliorare l’adesione del paziente alle cure e/o alle verifiche strumentali periodiche e, contestualmente, può ridurre l’inquietudine del paziente per un futuro, sociale e familiare, incerto. Non va dimenticato, infatti, che la diagnosi di cancro ferma il tempo che improvvisamente appare perduto e proiettato a chiudere repentinamente l’esistenza dell’individuo. La disponibilità umana del medico può contribuire a riattivare la speranza che il tempo possa essere, in qualche modo, nuovamente percorso con dignità, facendo si che le proposte terapeutiche considerate dalla comunità scientifica internazionale più vantaggiose possano essere accettate anche quando non completamente risolutive.
Così facendo, da parte sua, il medico ha la possibilità di riappropriarsi di un ruolo che gli è peculiare, cioè quello di ricercatore del benessere della persona ammalata, ricerca che contiene, in nuce, il senso più profondo di una attività assistenziale che si realizza in un contesto di rapporti umani. A questo proposito vale qui ricordare quello che ha scritto Hermann Boerhaave, clinico olandese, e cioè che al medico sono richieste essenzialmente due cose: la prima che possieda la scienza e la seconda che abbia la predisposizione di genio per esercitarla con amabile cordialità (ut exerceat medicinam jucundam).
Ogni pagina dell’esperienza, per certi aspetti singolare, di Cinzia, riportata in questo volume, è continua testimonianza di quanto gli aspetti comunicativi, relazionali, umanistici, oltre che scientifici, siano rilevanti nel condizionare gli esiti di un programma assistenziale e lo stato di benessere del paziente affetto da cancro.
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AGGIORNAMENTO DEL 14 aprile 2010
Giulio Perrone mi ha segnalato questo libro che ha appena pubblicato nella collana Lab (perfettamente in tema con il post): “A dieci centimetri dal cuore” di Claudia Vegana.
Gli amici dell’ufficio stampa Mondadori, invece, mi segnalano il libro di Giacomo Cardaci: “La formula chimica del dolore”.
Pubblico le schede dei due volumi qui di seguito invitando Claudia Vegana e Giacomo Cardaci a partecipare alla discussione (se ne avranno la possibilità) e a dirci qualcosa sui loro libri.
Massimo Maugeri
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“A dieci centimetri dal cuore” di Claudia Vegana (Perrone / Lab, 2010)
Continuo a toccarmi la testa. La sfioro e la tasto con le mani. Quasi ad avere la conferma che stiano davvero ricrescendo i miei nuovi capelli. Mi piace sentire sulle dita il loro pizzichio impertinente e la loro giovinezza. A volte mi sento quasi come un’esploratrice, anzi mi sento proprio un’argonauta giunta alla fine di una missione speciale. Anche se non ho ancora finito il mio viaggio sento che queste prime tappe mi hanno già fortificato
.
Cecilia ha trentotto anni, un lavoro che ama, un marito e il progetto di un figlio quando scopre, accidentalmente, di avere un tumore al seno. È l’inizio di un percorso in salita: l’attesa della diagnosi, la rabbia e poi l’intervento, l’odore di disinfettante dell’ospedale che diventa giorno dopo giorno familiare, la chemioterapia.
La storia di Cecilia è la storia che accomuna migliaia di donne. È la storia di un dolore che modifica la percezione del mondo, di uno squarcio che si apre e che fatica a richiudersi. Ma è anche la testimonianza, vera, della possibilità di tornare alla vita.
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“La formula chimica del dolore” di Giacomo Cardaci (Mondadori, 2010)
Pazienza. Questa è la virtù di cui deve armarsi chiunque si ammala e deve curarsi, mettersi in lista per le visite, attendere i risultati degli esami, le prognosi dei medici, l’effetto delle medicine, sopportare i compagni di corsia – chiunque deve sperare e lottare per guarire. Pazienza: ce ne vuole ancora di più se la malattia, con tutta la sua ingiustizia e assurdità, ti colpisce quando sei nel fiore dell’età più impaziente di tutte, la giovinezza affamata di vita e di futuro. Come l’autore di questo libro, così Filippo, il suo protagonista, si trova a fare i conti con un male temuto a tal punto che spesso non si osa nemmeno pronunciarne il nome, come per una colpa inconfessabile: il tumore. Inizia così la sua odissea attraverso uno dei luoghi più kafkiani dei nostri tempi, l’ospedale. Pur senza smettere per un momento di interrogarsi sulle ragioni del dolore che lo colpisce, Filippo ci racconta la propria guerra contro la malattia con tutta la freschezza della sua giovane età. E dà voce alla folla silenziosa dei tanti pazienti che riempiono loro malgrado quella “prigione degli innocenti” che è l’ospedale, dove si viene rinchiusi senza avere commesso alcun delitto.
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Cari amici, questo è un post molto delicato e a cui tengo tanto… per motivi per avrete difficoltà a comprendere.
L’argomento trattato è tutt’altro che facile, ma di fondamentale importanza.
Intanto, il titolo… “Nel segno del cancro”.
Nulla a che vedere con i segni zodiacali…
Il “cancro che segna”, potremmo dire, non riguarda gli astri, ma la malattia.
Il volume è pubblicato dalla piccola casa editrice “Sampognaro & Pupi” e – come ho scritto sul post – offre la testimonianza di una donna colpita dal tumore al seno.
Secondo l’Airc, il tumore al seno colpisce una donna su dieci. È il tumore più frequente nel sesso femminile e rappresenta il 25 per cento di tutti i tumori che colpiscono le donne. In Italia sono diagnosticati circa 37.000 casi (152 ogni 100.000 donne). Uno di questi casi è quello di Cinzia Spadola. Ed è lei stessa a raccontarcelo tra le pagine di questo libro che vi propongo.
Nella sua prefazione al testo della Spadola, Gianna Milani scrive: “Da che cosa può nascere l’impellente bisogno (desiderio) di raccontare della propria malattia? Di vincere ritrosia e pudore per spingersi sul terreno della condivisione di fatti (nudi e crudi) e di emozioni (forti e laceranti)? Diverse possono essere le motivazioni. Forse un modo per capire perché «proprio a me», per riappropriarsi del corpo, per restituire alla propria vita il diritto di unicità. Ma anche per non essere più soltanto una diagnosi, una mammella con un nodulo di qualche centimetro, ma una persona“.
Ribadisco…
Credo sia importante parlare di questo argomento: per aiutare a capire che non si è soli, che quel «proprio a me» riguarda tantissima gente; per ribadire che la prevenzione continua a essere l’arma principale per contrastare questo male. E perché il mettere in comune esperienze dolorose – che segnano – può trasformarsi in una risorsa per noi stessi e per coloro con cui le condividiamo.
Parliamone, dunque…
Come ho già anticipato, parteciperanno alla discussione Cinzia Spadola (l’autrice del libro), il dr. Paolo Tralongo, primario del reparto oncologico dell’ospedale di Avola (che ha firmato la postfazione del testo), Salvo Zappulla (che ha recensito questo libro per Letteratitudine)… e tanti altri esperti ed ospiti, tra cui la Stefania Nardini (il cui nome metto in evidenza per motivi ben specifici, come capirete nel corso della discussione).
E poi ci siete voi…
Vi chiedo di partecipare al dibattito con particolare trasporto (mettendo in comune esperienze e opinioni).
Come scrive Paolo Tralongo nella postfazione: “Ogni pagina dell’esperienza, per certi aspetti singolare, di Cinzia, riportata in questo volume, è continua testimonianza di quanto gli aspetti comunicativi, relazionali, umanistici, oltre che scientifici, siano rilevanti nel condizionare gli esiti di un programma assistenziale e lo stato di benessere del paziente affetto da cancro“.
Affidiamoci, allora, anche agli “aspetti comunicativi, relazionali, umanistici”…
Ringrazio Salvo per la recensione. E la casa editrice “Sampognaro & Pupi” per aver messo a disposizione di Letteratitudine la prefazione e la postfazione del libro.
Caro Massi,
partecipo con molto trasporto a questa discussione e leggo con moltissima commozione le parole di Salvo, del Dott. Tralongo (che saluto affettuosamente) e di Gianna Milano.
Credo che la guarigione del corpo affondi le sue misteriose radici nell’anima e nella sua percezione dell’amore. Che la vita richiami la vita, e che un corpo amato possa generare anche quando la scienza lo nega.
Siamo un insondabile intreccio di stelle, cielo e terra. Una forma che solo poche ossa servono a circoscrivere. Al di là di esse, e dentro di esse, vibra un intero universo.
La malattia ci mette in contatto con i nostri limiti, è vero. Scardina le nostre pretese di immortalità, detta un tempo. Ma ci insegna anche a innamorarci del segreto dell’esistenza, dell’umiltà dei gesti quotidiani.
Forse, ci insegna, nuovamente a stupirci.
Credo che da questo stupore si possano generare figli e libri.
Entrambi meravigliosi.
Un forte abbraccio a voi tutti e a Cinzia Spadola un augurio di vera felicità.
Simo
Quella che Cinzia Spadola narra nel suo libro (da ciò che ho letto qui su Letteratitudine) è una storia terribile e stupenda allo stesso tempo: da una promessa di morte ad una affermazione incredibiile di vita. Una storia malinconica ma fantastica per il lieto fine, decisamente inatteso, ma il più bello che ci poteva essere. Emozionante e condivisibile anche la recensione di Salvo Zappulla. Del libro, ne avevo letta la
presentazione sul sito di Sampognaro e Pupi e già avevo pensato fosse una testimonianza di chi aveva combattuto in prima linea la sua personale guerra contro questa terribile e spaventosa malattia e mi ero trovata ad ammirare da donna, l’autrice, per il coraggio che ha avuto nel voler rivivere attraverso le pagine del suo libro le tappe della sua malattia. Un modo di esorcizzarla? O il bisogno di comunicare che in qualche caso, il cancro non è invincibile? Forse entrambe le cose. Comunque un monito per ricordarci che nessuno è escluso e fare gli struzzi non porta a nulla se non al cimitero. Apprezzo molto il lavoro che Maugeri fa qui su Letteratitudine per portare la cultura alla portata di tutti ma con l’argomento trattato stasera l’apprezzamento è doppio perchè dimostra che anche così, dalle pagine di un blog letterario, oltre che a presentare un ottimo libro e a fare informazione si può fare prevenzione che, a quello che ci dicono gli studiosi, ad oggi è ancora l’arma più importante di cui attualmente disponiamo.
Grazie dunque a voi tutti e in particolare a Cinzia Spadola, l’illuminata e illuminante autrice di questo libro che sicuramente leggerò quanto prima. Buona serata.
faccio un po’ fatica a dire “che bel post”. cioè bel post vorrebbe dire bell’argomento. e questo non è bello e non è nemmeno un argomento. E’ un’esperienza, è una vita, mi pare di capire. e quindi una cosa delicata, fragile, incantevole e mutevole, unica. E allo stesso tempo collettiva, perchè quell’esperienza fa parte del bagaglio di molti, sia in maniera diretta che indiretta. Ho un’ammirazione che mi paralizza e mi fa diventare muta per chi riesce a parlare di questo, vissuto in prima persona. Per chi riesce a scriverne, poi…
C’è bisogno di questo. Bisogno di persone che ne parlino, che rompano il tabù: “di questo non si parla”, “quella parola non si dice”. Il tabù del “poverino” bisbigliato sottovoce. Bisogno per se stesse, come catarsi, immagino; ma bisogno per gli altri, che possono ritrovarsi, condividere, o anche soltanto conoscere, a seconda che la malattia li abbia presi, toccati, sfiorati, magari anche nella vita degli altri e non nella propria.
C’è bisogno che la paralisi (anche la mia, credo) dovuta alla paura lasci spazio al resto. Il resto è tutto: il coraggio, la vita, il rispetto, la lotta, la speranza.
Credo che questo sia uno dei casi concreti in cui la letteratura abbia una funzione concreta, sociale, civile.
E quindi, bel post, senza dubbio.
Carissima Simo, grazie per il tuo intervento.
Metto in risalto questi due passaggi che mi sembrano particolarmente importanti:
1) Credo che la guarigione del corpo affondi le sue misteriose radici nell’anima e nella sua percezione dell’amore.
2) La malattia ci mette in contatto con i nostri limiti, è vero. Scardina le nostre pretese di immortalità, detta un tempo. Ma ci insegna anche a innamorarci del segreto dell’esistenza, dell’umiltà dei gesti quotidiani.
@ Cinzia Baldini
Cara Cinzia, grazie a te per il commento e per aver condiviso la tua opinione. Anche secondo me – come ho già scritto – la prevenzione (in malattie come quella di cui stiamo parlando) è fondamentale. Ed è sempre bene ribadirlo.
Grazie.
@ Giorgia
Scrivi: C’è bisogno di questo. Bisogno di persone che ne parlino, che rompano il tabù: “di questo non si parla”, “quella parola non si dice”. Il tabù del “poverino” bisbigliato sottovoce. Bisogno per se stesse, come catarsi, immagino; ma bisogno per gli altri, che possono ritrovarsi, condividere, o anche soltanto conoscere, a seconda che la malattia li abbia presi, toccati, sfiorati, magari anche nella vita degli altri e non nella propria.
Grazie a te, Giorgia. Sono proprio d’accordo.
Auguro a tutti una serena notte. Questa discussione continuerà nei prossimi giorni.
Grazie a Simona, Cinzia e Giorgia per i loro interventi qualificati che danno avvio al dibattito. Questo post un po’ mi intimidisce, non si parla solo di letteratura e di libri ma di un caso umano realmente accaduto e realmente vissuto. E sono contento che sia accaduto in Sicilia, in provincia di Siracusa. Ogni tanto accadono cose belle anche da noi. Proprio da questo vorrei prendere spunto, approfittando della presenza di Paolo per chiedergli: In Sicilia c’è una struttura sanitaria adeguata per la cura dei tumori? O bisogna andare a Milano?
A me è capitato qualche volta di andare nel reparto oncologico di Avola per andare a trovare Paolo e l’ho trovato pulito, ordinato (il reparto, non Paolo), con le pareti azzurre verniciate di fresco. Dà un senso di efficienza e di calore. Inoltre nello studio del primario, sopra la scrivania, c’è sempre un vassoio colmo di cioccolattini per gli ospiti (di cui faccio man bassa mentre è girato dall’altra parte). Questo a mio parere è già un segnale importante, ma per il resto come siamo combinati?
Cara Giorgia,
sono d’accordo con te. La comunicazione è un elemnto fondante della prevenzione che se applicata consente di ottenere il massimo dalle terapie. Knowledge is the power!
Caro Salvo,
purtroppo il tumore mammario riguarda anche i maschi anche se in percentuale di rischio bassa (1%), non sarebbe male se tu ti controllassi anche le mammelle oltre ai testicoli, anche se per la tua anagrafe sarebbe più indicata la prostata.
Relativamente alle cure ed alla istituzioni oncologiche ti garantisco che in sicilia esisto diverse strutture che operano in modo scientificamente corretto nella gestione dei pazienti cancerosi; la stessa fondazione GSTU che riceverà una quota parte del ricavo dell vendida di questo libro si prodiga affinchè ricerca e attività clinica di qualità vengano effettuate in Sicilia.
Proprio nei giorni scorsi, grazie ad un grant messo a dispoiszione della fondazione, abbiamo avviato una attività clinica per i lungosopravviventi di cancro.
Cari Massimo, Simona e Cinzia,
oggi è possibile guarire di tumore anche quando questo all’esordio si mostra con caratteristiche biologiche di malignità. Proprio perchè, grazie alla prevenzione ed alle nuove procedure terapeutiche, è possibile ridare tempo alla vita, cronicizzando la malattia, è altrettanto importante considerare tutti gli aspetti del vissuto non solo quelli fisici ma anche quelli psico-sociali.
Solo con una medicina che ha come obiettivo un successo quali-quantitativo è possibile raggiungere una dimensione accettabile di vita rendendola degna di essere vissuta.
@Grazie Paolo, molto confortante. Se ne facciamo un problema di anagrafe, ti consiglio di invitare il Maugeri a un ricovero d’urgenza nel tuo ospedale, perché anche se si mantiene bene. è molto più avanti con gli anni.
volevo ringraziare cinzia spadola per il coraggio che deve aver avuto nel raccontare la sua storia. anche secondo me parlarne fa bene. sia a chi racconta, sia a chi ascolta.
E’ un male che può colpire tutti, nessuno escluso. è recentissima questa dichiarazione della ex tennista Martina Navratilova:
http://www.corriere.it/sport/10_aprile_07/navratilova-tumore-seno_ddfe5814-424d-11df-a011-00144f02aabe.shtml
“Martina Navratilova è malata di tumore al seno. Lo riporta il settimanale People. L’ex campionessa di tennis ha 53 anni: «Ho pianto quando ho avuto la diagnosi», ha detto al settimanale. Secondo People, la prognosi per la Navratilova non è grave perché il tumore, scoperto in febbraio, è stato preso in tempo”.
al dott. Paolo Tralongo.
ho sentito dire che ci sarebbe una attinenza tra l’utilizzo di deodoranti e l’insorgenza di cancro al seno. E’ vero o è solo una diceria?
la ringrazio in anticipo.
un grazie a Cinzia Spadola per la sua testimonianza
Massimo mi ha chiamata in causa ed eccomi. Lo ringrazio e ringrazio Cinzia per aver scritto questo libro che a breve farò mio.
Sono una donna che ha vissuto l’esperienza del cancro. L’ho scoperto attraverso il controllo che facevo regolarmente. Mi è andata bene, diciamo, al di là di una mastectomia con ricostruzione ma, per fortuna, non c’è stata necessità di chemio e radio.
Ma il problema non è affrontare la questione sul piano medico, clinico. I problemi sono altri, profondi, di lacerazione interiore. A questo si aggiunge la sanità italiana che funziona come sappiamo.
Io scelsi di operarmi in Italia, anche se vivo in parte in Francia, per evitare di essere un problema per la mia famiglia in un momento in cui era richiesta la nostra presenza in Italia. E devo dire che mi sono armata di tutta la forza che avevo. Forza che veniva minacciata dall’impatto con strutture che non tengono conto della complessità della questione. Non avete bisogno di me per immaginare cosa possa significare. Il seno. Simbolo ancestrale… E le donne ne vengono colpite. Solo e prevalentemente le donne. E’ come un flagello. Un “prezzo” imposto dalla regressione culturale alle nostre conquiste di libertà. Ho vissuto questa esperienza come una maledizione che non colpiva solo me . Massimo, che insieme a tanti amici mi stette vicino in quella fase, ricorderà…. Tra l’altro dopo i due interventi ho avuto un problema post operatorio che dopo tre anni forse risolverò a breve.
Si è sole con il cancro.
Poco fa mi ha scritto un’amica, una scrittrice, che sta vivendo questo momento. In lei ritrovo le mie stesse sensazione, il mio stare male, la solitudine nonostante la forza di reagire perchè la vita deve andare avanti.
Ecco quando uscii dall’ospedale scrissi un piccolo romanzo, “Gli scheletri di via Duomo” . E funzionò meglio del Toradol.
Oggi vorrei continuare a scrivere, ma scrivere di cancro. Ho inziato un lavoro ma forse non sono ancora pronta.
Lo ha fatto Cinzia. Per me, per tutte le donne. Grazie. Perchè comunque siamo vive, e ce la facciamo!
(Leggo e rifletto. Il fatto che non si parli solo di letteratura, o di personaggi, ma di persone vere, e di vere malattie, impone una particolare attenzione. Perciò rifletto e continuo a leggere, prima di intervenire, e per non farlo a sproposito. Un caro saluto a tutti).
@Stefania Nardini. Molto importante la tua testimonianza. Ed è ancora più importante che tu sia qui a raccontare la tua storia. La malattia riguarda tutti gli esseri viventi, non solo le donne. Avevo un carissimo amico, della mia stessa età, si chiamava Salvo Basso (lo cito perchè in Sicilia lo conoscono tutti), era un grande poeta, una persona impegnata, una forza della natura. Un bel giorno mentre si trovava in spiaggia con la sua ragazza è crollato per terra, fulminato. Cancro al cervello. Aveva quarant’anni. Pochi mesi di agonia. Non c’è stato nulla da fare. Ha voluto che lo seppellissero con i suoi libri.
@ Caro Massimo, grazie per l’ argomento scottante e coraggioso.
Avrei tanto da dire, ma è difficile, molto difficile esternare la propria esperienza. Abituata alla progressiva devastazione del mio corpo, la nuova mutilazione del seno destro, avvenuta nel 2003, è stato un colpo duro e inatteso. Inatteso poiché le radiografie precedenti erano normali e il medico mi dette la sgradita notizia, senza la minima preparazione e senza il dovuto tatto..
Il primario di chirurgia oncologica, dopo l’intervento, mi sconsigliò la radioterapia, che non avrei potuto affrontare per la mia già precaria salute. Per una donna che ha sempre tenuto al suo aspetto, non è facile accettare il verdetto e poi riuscire ad accettarsi….
@ a Cinzia l’autrice, esprimo tutta la mia solidarietà e il plauso per l’esperienza che ha voluto condividere. Il suo gesto sarà utile e prezioso per molte persone che ignorano il problema
@ Simona con la sua sensibile saggezza, come sempre, ha trovato le motivazioni giuste, alle quali si arriva solo, dopo un percorso di crudele sofferenza e di lotta interiore. Oltre alla parziale serenità dello spirito, un altro ostacolo potrà sembrare insormontabile, specialmente per coloro che come me… non potranno usufruire del magico ritocchino estetico…!
@ Il Prof. Paolo Tralongo, che stimo e saluto, con la Sua esperta umanità, riuscirà a capire, la ridda di contrastanti sentimenti che si scatenano nella donna, dopo una tale diagnosi e saprà attutire il colpo.
@ Salvo, come sempre è magnifico, come uomo e come persona.
La sua ampia, dettagliata prefazione, rispecchia il vulcanico carattere e giunge diritto al cuore del lettore.
Grazie Salvo e grazie agli amici del blog, per l’umano calore, con il quale sanno affrontare ogni nuova tematica, anche la più ostica e scabrosa.
Tessy
@Tessy. Come uomo?
Ti rammento la mia proposta di matrimonio. Hai tutto il tempo per pensarci, scade nel 2043
Mi scuso con i lettori, da anni sono abituata a firmare solo – Tessy -, il dolce
nomignolo donatomi dagli amici di questo blog.
La mia ripetuta assenza mi ha reso anonima…
Rimedio subito firmandomi col nome ufficiale.
M. Teresa Santalucia Scibona
@ Salvuccio adorato, ho capito il trucco…, e se poi ti chiedessero il riscatto
per il reperto archeologico siglato col titanio? E se qualche vampiro che brama la bellezza dell’orrido, s’invaghisse di me…? Da buon siciliano, avresti il coraggio di sparare a questa povera meschinella?
Accetto! Ci sposeremo il 13 aprile del 2043….
La tua Tessy
cosa li spinge a parlare della propria malattia?
mia madre ha terminato da qualche mese il ciclo di chemio e radio prescritti per combattere il tumore al seno. se prima non ne parlava mai,adesso, almeno in casa, è come un disco rotto. credo che molti donne debabno parlarne spesso, per esorcizzare le loro paure,perchè si trattaa di un male che diventa un tarlo fisso nella loro mente, visto che all’improvviso tutte le persone che ti circondano ricordano di centinaia di casi di cui han sentito parlaree si sentono in dovere di raccontarteli
il tema è forte. ci vuole coraggio per affrontarlo pubblicamente su un blog. la mia ammirazione per tutti. in particolare per cinzia spadola, stefania nardini e m. teresa santalucia scibona
A differenza di quanto accade a Tania, con mia suocera che ha avuto un cancro all’utero (diagnosticabilissimo con un semplice pap test a cui lei non si è mai sottoposta) a casa e con i parenti, non se ne doveva fare menzione in quanto lo ha vissuto, forse perchè era all’utero, come una vergogna, un qualcosa di scoveniente da nascondere. E proprio l’ignoranza in materia e il senso esagerato del pudore l’hanno portata a trascurare tanti piccoli segnali che dopo circa dieci anni si sono trasformati in un adenocarcinoma. Per sua/nostra fortuna ora ne è fuori anche se il ginecologo che l’aveva visitata al suo paese, in Sicilia, ci consigliò (parlo di 6/7 anni fà) di farla operare fuori e quindi la portammo a Roma dove vivo. Mi fa piacere sentire da parte del Dottor Tralongo che anche questi “viaggi della speranza” stanno volgendo al termine, com’è giusto e sacrosanto che sia. Perchè vi garantisco che oltre a combattere con la malattia abbiamo avuto il nostro bel daffare per sollevare il morale della paziente che voleva la sua casa, le sue abitudini, la sua terra.
Un cordiale saluto.
Sono d’accordo con Cinzia Baldini. L’ignoranza in materia e il senso esagerato del pudore sono gli amici migliori di questi tipi di malattia.
Ben vengano libri come questo della Spadola che indicano una direzione diversa. Grazie davvero .
A Stefania,
dico che hai ragione quando scrivi che oltre al problema delle cure ve ne sono altri ed in particolare quello di sistema, di una organizzazione sanitaria che tende a disorientare ulteriormente il paziente colpito da cancro. Su questo argomento siamo impegnati da anni nel tentativo di dimostrare come l’attività clinica in questa branca della medicina deve essere centrata sul paziente e non solo sulla malattia e quanto sia urgente promuovere un nuovo paradigma di assistenza che ascolti il reclamo del paziente ad una nuova alleanza terapeutica. In questo contesto abbiamo anche pubblicato recentemente un lavoro (redatto da me ed Antonellla Surbone della NY University) sul Sole 24ore Sanità, il cui obiettivo è quello di sensibilizzare la comunità scientifica italiana a riflettere su questo importante aspetto dell’assistenza sanitaria oncologica.
tranquillizzo Loretta, non viè alcun rapporto documentato tra deodorante e cancro, al massimo alcuni deodoranti possono provocare una infiammazione dei follicoli piliferi dell’ascella, ma ovviamente niente di importante.
La nostra casa editrice, Sampognaro&Pupi, è sempre impegnata a valorizzare e veicolare contenuti e opere di grande spessore culturale e dall’alto valore formativo.
“Nel sego del cancro” di Cinzia Spadola è un esempio dell’attenzione che la nostra casa editrice ha nei confronti di temi delicati quale quello della salute.
Avendo aderito al NO EAP, no all’editoria a pagamento, ci siamo prefissati la missione di pubblicare solo quelle opere che possono risultare, oltre che letteralmente valide, utili alla comunità per i loro contenuti e per le storie che raccontano.
Personalmente seguo con molto interesse la crescita di questa nuova casa editrice siciliana, ritengo si collochi in un contesto serio ed è destinata a diventare una novità di rilievo nel panorama nazionale. La Sampognaro& Pupi è una realtà editoriale giovanissima, nata nel 2003 da un progetto culturale concepito per la pubblicazione di libri di qualità con una spiccata connotazione territoriale: dalla sicilianità in particolare alla mediterraneità in generale. Dar vita a una casa editrice, oggi, in Sicilia, dove si legge pochissimo, potrebbe sembrare follia pura, considerando le difficoltà di mercato che incontrano le piccole case editrici; difficoltà legate alla distribuzione e alla fatica per trovare spazio nelle librerie, strette dalla morsa famelica dei grossi gruppi editoriali. “Noi intendiamo puntare alto” mi ha spiegato in un’intervista Daniela Tralongo, direttore editoriale della Sampognaro& Pupi. “Non ci basta pubblicare libri sul territorio, miriamo a un mercato nazionale. Il tentativo ultimo che ci proponiamo di realizzare è quello di sprovincializzare la nostra cultura, renderla partecipe di una più vasta e controllata circolazione delle idee e degli studi. La proposta culturale, che per noi rappresenta un atto di grande fiducia, vuole abbracciare la letteratura, la storia, l’antropologia, la sociologia e la critica letteraria, con uno sguardo rivolto anche alla ricerca letteraria di genere più avanzata”.
Il progetto è molto ambizioso, senza dubbio, soprattutto per una casa editrice che si propone di investire fondi propri, senza scadere nella tentazione, piuttosto frequente, (mi duole scriverlo) di tanti piccoli editori i quali preferiscono vivacchiare chiedendo contributi economici ai loro autori. E allora ben venga questa nuova realtà imprenditoriale, con sede a Floridia (SR).
Per Vale
Anche io sono convinto che la testimonianza di Cinzia può contribuire a migliorare lo stato delle cose: è infatti un supporto per chi vive il problema ed uno stimolo ad attenzionare aspetti inusuali per chi come il personale medico ed infermieristico deve promuovere una assistere piena (olistica).
Obiettivo e scopo della nostra casa editrice è infatti quello si rendere fruibile e accessibile a tutti la cultura che spesso si definisce “alta”.
Siamo convinti che per portare la gente a leggere un libro o ad acquistare una rivista non basti proporre la solita solfa fatta di libri banali e riviste che puntano solo al gossip.
Noi, scommettendo solo su noi stessi, puntiamo alla qualità di un prodotto che rispecchi le profonde e sane tradizioni della nostra terra. La nostra meta è appunto il panorama nazionale dove riversare la nostra cultura, spesso sottovalutata, e dove competere con la nostra professionalità.
E in quanto a questo siamo fiduciosi. La nostra presenza anche in queste pagine è la conferma del nostro continuo progresso.
Ho letto recentemente il libro di Cinzia Spadola, che poi ho conosciuto personalmente. Penso che esso sia il frutto di una particolare coincidenza: una storia di malattia molto singolare capitata ad una persona speciale. Ritengo che se a leggerlo sia una persona affetta da cancro, possa derivarne la convinzione che il tumore non é più un male incurabile e che l’attitudine di ciascuna persona ad aggrapparsi alla vita sia probabilmente determinante ai fini del superamento della malattia. Se, invece, a leggere il libro sarà un medico, probabilmente subirà uno scossone a quelle che sono le proprie convizioni scientifiche e contribuirà ad ampliargli l’orizzonte di pensiero al di là del tecnicismo dogmatico cui molto spesso risulta essere sottomesso.
Da questa testimonianza viene fuori come a volte esistono delle situazioni, nel vissuto di una persona affetta da tumore, che possono influenzare la propria malattia in un modo diverso di come la scienza possa spiegarsi le cose. Questo impone la consapevolezza che la malattia tumorale debba essere affontata tenendo in considerazione tanti aspetti della “persona”, ed in qualità di oncologo, me ne rammarico a constatare che ciò non sempre succede nelle corsie degli ospedali.
Ringrazio tutti gli intervenuti per i loro commenti.
@Sampognaro&Pupi
E’ chiaro che per sostenere un tale progetto occorre un team editoriale estremamente qualificato, in grado di operare con rigida e severa professionalità, necessaria a realizzare un catalogo di qualità, mirato a disegnare strategie ben precise che riscontrino interesse di mercato. La Sampognaro & Pupi in questi brevi anni di vita ha pubblicato una quindicina di titoli, alcuni davvero interessanti e accattivanti, quali “Vita e delizie” di Archestrato di Gela, “Il pensiero pedagogico di Pier Paolo Pasolini” di Luca Raimondi, “La brevità della vita” di Seneca. Ma il libro che ha dato un vero slancio propulsivo alla casa editrice, ha fatto discutere e creato dibattiti attorno ad esso, è stato: “La disputa. Le trivellazioni nel Val di Noto”, a cura di Gabriella Tiralongo. Un libro- inchiesta che ha suscitato grande scalpore nei mass-media in quanto denuncia ciò che stava avvenendo nel Val di Noto, patrimonio dell’umanità. Le speculazioni delle compagnie petrolifere (con il beneplacito della Regione siciliana) che rischiavano di compromettere irreparabilmente uno dei luoghi più belli del mondo. E’ mai possibile che gli interessi personali, mascherati da una pseudo, demagogica crescita economica, devono avere il sopravvento sugli interessi della collettività? Le ferite causate nella costa melillese sono ancora aperte. Possibile che la scienza e la tecnologia non riescano a indicare un percorso alternativo alla domanda di energia? Quali speculazioni si nascondono dietro? Trivellare il Val di Noto, che contiene una delle più alte concentrazioni al mondo di beni naturalistici, significa tarpare le ali al turismo, oltre ai danni causati all’ambiente. A chi serve questa strategia di sviluppo? Questi e altri quesiti si pone il libro dossier di Gabriella Tiralongo, e punta a svegliare il senso critico e la coscienza delle comunità locali. Altri libri che stanno proiettando la Casa Editrice all’attenzione della critica nazionale sono: “Un nuovo inizio” di Vincenzo Maimone, un giallo avvincente, finalista allo Scerbanenco; e il libro che stiamo presentando nel blog: “Nel segno del cancro” di Cinzia Spadola, una storia vera, all’insegna della positività, recensito da molte riviste femminili che vanno per la maggiore. So che avete in programma anche una rivista culturale, ce ne volete parlare?
@ Salvo Zappulla
Salvo, grazie ancora per la recensione e per i tuoi successivi interventi. A te il compito di aiutarmi ad animare questa discussione.
Eccoti, qua Salvo.
Colgo il tuo spunto, Salvo, per salutare gli amici della redazione della casa editrice “Sampognaro & Pupi”. Io sono sempre lieto (nel mio piccolo, per quel poco che mi è dato fare) di dare spazio alla piccola editoria di qualità.
E la dichiarazione contro l’editoria a pagamento mi pare requisito essenziale per far parte della piccola editoria di qualità per come la intendo io.
In bocca al lupo per il vostro progetto editoriale (parlatene pure, se volete).
Torno un attimo indietro a scorrere i commenti.
@ Paolo Tralongo
Grazie per essere intervenuto, Paolo. Credo che la tua testimonianza di oncologo sia particolarmente importante in questa discussione.
In parte lo hai già scritto nella tua bella postfazione… ma vorrei comunque chiederti: qual è la peculiarità del caso di Cinzia Spadola (dal punto di vista clinico, intendo)?
E per come la intendo anche io, carissimo Massimo. Nel nostro piccolo (che poi tanto piccolo non è) cerchiamo di portare avanti e di promuovere realtà serie.
Un saluto e un ringrziamento a: Annamaria, Giusy e Loretta.
@ Stefania Nardini
Carissima Stefania, grazie di cuore per il tuo intervento. So che ti è costato fatica, scrivere quelle parole… ma dare testimonianza, mettere in comune le esperienze… può essere d’aiuto per chi ci legge e – magari – si trova proprio adesso in situazioni simili.
Conosco il tuo percorso di dolore, perché abbiamo avuto modo di parlarne… e per questo, ancora una volta, ti ringrazio di cuore per essere intervenuta.
E lo stesso ringraziamento rivolto a Stefania va alla dolce Tessy (alias M. Teresa Santalucia Scibona), che ha avuto la capacità di trasformare il dolore con la bellezza dei suoi versi.
Grazie di cuore anche a te, Tessy.
@ Claudio Morandini
Caro Claudio,
dopo la dovuta riflessione, mi aspetto un tuo intervento, eh…
Prima di chiudere desideravo ringraziare a salutare: Tania01, Giacomo Tessani e Vale.
Grazie per essere intervenuti.
E un caldo benevenuto anche a Giuseppe Caputo (chiedo venia per la rima).
Bello il tuo commento che offre una doppia chiave di lettura (dal punto di vista del lettore-malato, e da quello del medico).
Scrivi: “Da questa testimonianza viene fuori come a volte esistono delle situazioni, nel vissuto di una persona affetta da tumore, che possono influenzare la propria malattia in un modo diverso di come la scienza possa spiegarsi le cose”.
–
Lo chiedo anche a te, nel caso sia possibile un approfondimento: perché il caso di Cinzia Spadola è peculiare?
Per il momento chiudo qui.
Auguro a tutti voi una serena notte.
Dimenticavo due tra i libri più importanti pubblicati dalla Sampognaro&Pupi: “Il vizio della rosa” di Paolo Fai, con prefazione di Luciano Canfora e “Del presepe popolare in Sicilia” dell’altro mio caro amico, prof. sebastiano Burgaretta. E adesso me ne vado a nanna pure io, domani mi devo alzare all’alba, ché devo portare a pascolare le pecore.
Buonanotte.
…vi starete chiedendo: “ma dov’è finita l’autrice del libro?”
Sono qui, davanti allo schermo del mio pc, a leggere con la pelle accapponata i vostri interventi; a stupirmi degli effetti del mio libricino. Perchè si…lo devo confessare; io proprio non lo so cosa mi abbia spinto a scrivere della mia vicenda. Vi racconto com’è andata:
quando mi sono presentata al dott. Tralongo per la prima volta, con la fedele documentazione clinica che mi accompagnava ad ogni visita, Doc pensava ci fosse un errore, così ho iniziato a descrivere esattamente tutto il decorso della malattia. Mi ascoltava come rapito, proprio come mi ascoltano i miei figli quando mi invento una super storia dai risvolti inaspettati, tipo:l’invincibile mostro gigantoso che vuole uccidere la principessa viene invece, non senza fatica, da lei sconfitto e sul campo di battaglia, diventato oramai un deserto, grazie ad una misteriosa magia, nasce un meraviglioso fiore che da nuovo senso alla vita.
(Voi non ci crederete, ma la mia vicenda è quasi altrettanto incredibile; non sembra vera…e invece lo è.)
Doc, allora, ha avuto voce solo per dire “questa storia va raccontata, perchè può essere utile sia ai pazienti che agli operatori in oncologia”.
Ed io, ubbidiente come generalmente non sono, visto che avevo solo da gestire un marito, due figli piccoli e un lavoro a 80 km da casa, ho scritto. Ho vomitato pagina dopo pagina tutto ciò che mi tenevo dentro da tanto tempo; ho rivissuto ogni momento, ogni emozione; mi sono guardata dentro ed ho scoperto cicatrici dell’anima di cui ignoravo l’esistenza; ho pianto (cosa che non avevo fatto prima) descrivendo come il tempo improvvisamente rallentasse mentre il medico pronunciava quella parola: TUMORE. Lettera per lettera il cancro incideva il suo marchio su di me . Ho riprovato la nausea che il cocktail chemioterapico mi ha provocato; ho risentito la stanchezza del corpo e dell’anima.E poi la risalita. Ho gioito nel rivedere la luce alla fine di un tunnel.
Alla fine del mio tunnel però, mi attendeva una sorpresa veramente inaspettata, incredibile, imprevedibile. Era la luce di una vita che nasce, quella che riverbera dei colori della speranza, della vera felicità; la luce di un fiore che nasceva dal mio deserto a dare un nuovo senso alla vita.
Questo è tutto!
Forse vi deludo ammettendo che dietro al mio libricino non c’è una razionale motivazione che mi abbia spinto a scrivere; l’ho fatto di getto, senza pensarci più di tanto. Altra delusione: non sono poi così coraggiosa, perchè a pochi giorni dalla pubblicazione del libro mi è venuto un pò di panico pensando che stavo dando accesso alla parte più intima della mia vita ai lettori. Sono solo una donna che ama la vita e pur di difenderla, ha lottato fino alla fine riportando, come molti di voi, ferite profonde nel corpo e nell’anima.
Vi dico però che ogni volta che, come in questo blog, ho occasione di parlare della mia vicenda in maniera approfondita, di scandagliarne i risvolti,anche quelli più oscuri, mi sento proprio bene!
Grazie a Massimo, Salvo, Cinzia, Simona, Giorgia, Annamaria, Giusy, Tessy,Loretta, Stefania, Claudio,Tanya, Giuseppe, Giacomo e naturalmento a Doc,per avere intrapreso con me questo percorso di riflessione e a tutti quelli che si vorranno unire a noi.
Son qui che “ascolto” in silenzio.
Ed è un tema doveroso da affrontare, da sfogliare, “spulciare”.
Ogni parola qui è dettata dal cuore. Ogni esperienza e punto di vista sa colpire le corde giuste.
La persona con cui vivo sta vivendo “Nel segno del cancro”.
A tal proposito ci ri-tornerò su. Scrivendo semplicemente in pochi versi ciò che ogni giorno ci poniamo come obiettivo: combattere in nome della vita che abbiamo davanti.
Grazie Massimo. Di solito in questo blog sono spettatrice. Oggi no.
Grazie all’autrice Cinzia Spadola, che “mi fa venire allo scoperto”.
Un abbraccio, Glò
|||| POCHE PAROLE ||||
Possiamo avere il coraggio
di rivelarci pugnalate
dalla paura
per colpa della sofferenza
fatale
predestinata
bastarda
se ci lasciamo curare
dalle nostre lanterne interiori
che si burlano
di un sole
scricchiolante nell’indifferenza
-di chi non sa-
Ti raccolgo tra le intermittenze
brillanti.
In atomico appartenerti
senza devastarci
irradiando il maligno
ostinato
ingombrante
-ma insegnate
nell’osservazione
del suo naturale
annientamento-
Glò (14 novembre 2009)
Il male e poi…la luce: cos’é la vita se non un percorso limitato nel tempo in cui il ritmo dell’uomosi manifesta ora gaudente ora sofferente? Se l’autrice ha sentito il bisogno di comunicare con la parola scritta il suo percorso,fatto di paura di sgomento di angoscia, noi lettori non possiamo che esserLe debitori del progetto educativo.Sì, l’autrice ci dice:1)nel fondo, insidiosa la Notte,quella dea orfica che sa e muove tutto e il nostro percorso esistenziale, poi un dio, Zeus ha messo ordine.2)il medico é anche filosofo,così Ippocrate.Insomma, solo chi ha provato un grande dolore(pathos), ha chiarezza(mathos)della vita e ha strumenti per combatterla(forza d’animo=speranza) e chi é scientificamente preposto alla cura deve essere pronto alla cura del cuore, della mente e della volontà della persona infiacchita dal dolore.Un grazie all’autrice, di cui leggerò il romanzo e un affettuoso saluto al dott. Tralongo, di cui ammiro la sensibilità e la competenza; un augurio alla casa editrice che si muove bene nel tessuto sociale cittadino e va oltre.Lucia Arsì
Un affettuoso saluto a Massimo,a Simona e a Salvo, con cui, per vari motivi, non ho potuto condividere riflessioni. Lucia
Allora, il cancro. Mio padre e’ morto nel 1994 di adenocarcinoma del retto, un’operazione nel 1992, un anno di chemioterapia nel 1993, sette mesi di agonia nel 1994. Durante il suo ricovero nel reparto oncologia del San Filippo Neri ho visto morire una persona al giorno. Una al giorno. Tra cui la cantante Maria Carta (ve la ricordate?), ormai privata dalla malattia dei suoi splendidi capelli corvini, ma non della sua forza.
Il cancro e’ un oggetto misterioso, con cui ci ritroviamo ad aver a che fare senza essere preparati, mai. Lo maledissi ogni giorno in quel periodo, perche’ ero consapevole di quello che sarebbe successo: mi stava togliendo la capacita’ di piangere la morte di mio padre. perche’ quando vedi una persona cara morire un po’ al giorno per sette lunghissimi, eterni mesi, quando poi la morte arriva hai finito la scorta di lacrime.
Mio padre fu colpevole, in qualche modo, della sua morte. I segni della malattia aveva cominciato a riceverli almeno sei anni prima. Dimagrimento (ma non era mai stato grasso), stanchezza, erano quelli che anche noi vedevamo. Lui di sicuro ne aveva riscontrati altri. Ma non voleva vederli, non volle vederli fino all’ultimo. Se si fosse sottoposto a una colonscopia all’inizio, sarebbe ancora qui con me, con mia madre, con mia sorella, con le nipotine che non ha mai conosciuto.
La prevenzione e’ fondamentale, la prevenzione e’ rognosissima, la prevenzione costa denaro. Ma va fatta. Dobbiamo essere noi i primi custodi del nostro corpo. E sono felice che esistano testimonianze di guarigioni, come quella di Cinzia, come quella di Stefania Nardini, che ci fanno capire che il nemico e’ subdolo, ma non invincibile.
Grazie a voi tutti, a Massimo in particolare, scrittore sempre accorto e sensibile, alla Signora Cinzia Spadola di cui leggerò il libro e al Dott. Paolo Tralongo e a tutte/i quelli che hanno scritto e raccontato.
Mancavo da un bel pò dal forum di letteratitudine, oggi non posso fare a meno di contribuire con la mia piccola testimonianza.
Tra 2 mesi saranno cinque anni che sono stata operata di tumore al seno preso in tempo fatta solo radioterapia e cure ormonali.
Cosa posso dire che non avete già scritto e detto?!
Nella mia esperienza posso solo dirvi che in quel momento ti crolla il mondo addosso, non capisci bene cosa sta succedendo e perchè.
Non sai cosa fare, come muoverti, a chi rivolgerti.
Poi miracolosamente mi è arrivata una forza pazzesca e ho affrontato tutto con grande lucidità. Sono di Bari qui abbiamo buone strutture e buoni medici, anche se il mio personale rapporto con l’oncologo non è stato idilliaco, poi sono andata a milano e lì ho risolto un pò di cose.
Questa esperienza mi è servita per dirvi che la prevenzione è fondamentale (io l’ho scoperto attraverso un banale controllo) e poi la capacità dei medici di essere umani e comprensivi, di non farti mai sentire un numero di cartella clinica, ma un essere con tutto il suo personale bagaglio. Sono con voi e vicinissima a tutte quelle donne che stanno vivendo questo particolare momento.
Complimenti Cinzia per aver avuto il coraggio di scrivere e raccontare.
A presto e grazie Alina Lattarulo
Che bello aprire queste pagine e scoprire che al mondo ci sono persone pronte ad interagire su temi che non sono leggeri e banali. Perchè diciamocelo, non molti hanno voglia di leggere, interrogarsi, approfondire, pensare anche solo fermarsi e non avere nulla da scrivere ma voler esserci, quando l’argomento è il cancro?
Eppure eccovi qui con me oggi a parlarne. Grazie Lucia e Laura per esservi unite a noi.
Andando un pò sul paradossale, voglio condividere con voi un’inaspettata riflessione, arrivata mentre scrivevo la fine della mia vicenda,proprio come arriva una lacrima su di un sorriso amaro.
“Forse, dopo tutto, devo anche essere un pò grata al mio tumore!”
No, non sono impazzita del tutto. Il fatto è che la diagnosi di tumore mi ha cambiato la vita; mi ha costretta a rendermi conto di quanto amore e amicizia, stima mi circondassero; ha reso visibile la rete di relazioni che, un pò per fortuna, un pò per merito, avevo saputo tessere e che mi sosteneva quando ero più debole, mi abbracciava quando mi sentivo sola, mi riscaldava quando non riuscivo a vedere la fine del tunnel. Noi tutti siamo circondati da questa rete, ma per la frenesia della quotidianità, in parte per la disattenzione al sentimento, forse anche per paura di non essere riusciti a tesserne una dalle maglie fitte e resistenti, oppure perchè non vogliamo ammettere di averne bisogno, questa rete rimane invisibile ai nostri cuori. Io invece l’ho vista e in essa mi sono abbandonata totalmente, con la massima fiducia, come un acrobata che, costretto ad interrompere un esercizio in sospensione, sa che alla fine del vuoto lo accoglierà la rete di sicurezza.
Il tempo sospeso da una diagnosi che, come una clessidra, strozza lo scorrere dei giorni, li costringe a seguire un percorso ben preciso,a rallentare fino a seguire il battito puro della vita; può essere questa solo un’esperienza terribile e dolorosa, che si perda nell’apparente inutilità del dolore?
Un saluto a laura Costantini e a Lucia Arsì. Anche lucia è un’autrice della Sampognaro & Pupi, e il suo libro “L’anima del mito greco” è già alla seconda ristampa. Complimenti Lucia e perdonami per la gaffe ma in questo periodo faccio tutto di fretta.
Pensa che sto scrivendo da un autogrill sulla Salerno- Eeggio Calabria.
PS.
Mandami la tua mail tramite Paolo o viceversa
Salvo Zappulla
La peculiarità del caso di Cinzia risiede nel fatto straordinario (pochi casi al mondo) che ha una gravidanza sebbene sia in menopausa chimica da diversi mesi, menopausa dovuta appunto alle cure per la malattia.
Questo fatto offre lo spunto però per alcune considerazioni fondamentali inerenti l’attività assistenziale :
1) La scienza non è esatta ed il medico deve ricordare che le sue proposte diagnostico-terapeutiche si basano solo su probabilità (evidence based medicine)
2) Tenuto conto che è possibile guarire il paziente neoplastico, prima di formulare una terapia, il medico deve considerare i potenziali costi a lungo termine del trattamento ed operarsi affinchè siano ridotti al massimo dove possibile
3) Di fronte ad una diagnosi di malattia cronica la comunicazione (ed in particolare l’ascolto delle aspettative del paziente) e la reciprocità medico-paziente devono cambiare : non più unidirezionale ma aperta a scelte condivise; solo così il paziente può essere aiutato ad adattarsi anche quando le scelte sono particolarmente impegnative
In considerazione di tutto questo, il libro si addatta benissimo anche ad una lettura di giovani specialisti in oncologia che si accingono ad affrontare questi problemi nella quotidianità lavorativa.
leggendo sul forum le parole di cinzia spadola e quelle delle altre donne che hanno lasciato la loro testimonianza mi sono commossa. grazie. fa bene al cuore sapere che c’è gente che crede nella speranza e la speranza offre. grazie a tutti.
E’ una storia davvero commuovente che ci fa riflettere sull’essenza della vita che spesso dimentichiamo, presi dalla routine.
Di recente é “capitato” ad una cara amica. Con lei ho vissuto un periodo molto doloroso ma intenso. Ma per fortuna é andata bene!
I migliori auguri a Cinzia Spadola:) e complimenti a Massimo per il blog.
Mia madre è andata via dopo aver lottato per 14 anni.
Quando è stata operata nel 1994 le avevano dato sei mesi di vita.
Operata, fatta chemio, è stata bene per 5 anni. Poi recidiva al polmone, ricadute varie, anche al fegato, per altri 8 anni.
Ogni volta ci dicevano che avrebbe avuto davanti a sè soltanto pochi mesi. Ogni volta faceva la chemio e ripartiva, pareva Lazzaro.
Era dura come una cozza, si curava e faceva una vita quasi normale.
A maggio del 2007 fece l’esame che avrebbe diagnosticato il cancro osseo, e mentre aspettava i risultati, prima di sapere quello che già sapeva, dolorante, costrinse mio padre ad accompagnarla nello Yemen.
Sperava che la rapissero i guerriglieri per poter morire laggiù!
Naturalmente mio padre non era molto d’accordo! 🙂
E’ invece tornata entusiasta ed è morta 13 mesi dopo, il 18 giugno del 2008.
Nel frattempo ha vissuto, e piuttosto bene.
E intanto la medicina continua a fare passi da gigante.
Mi ha insegnato che non si deve aver paura.
In fondo se si ha paura della morte si ha paura anche della vita.
Vi abbraccio,
Roberta Lepri
Ho letto il libro una domenica pomeriggio come si beve un bicchere d’acqua quando si ha sete. L’ho letto da medico e da parente di paziente, l’ho letto da coetanea e da donna.
In questi anni mi è capitato di ascoltare tante storie personali, ma una esperienza come quella di Cinzia è difficile che capiti ed è per questo che più di ogni cosa mi è rimasto costante nella mente il pensiero di dover sempre ascoltare, ascoltare e ascoltare. Anche le cose impossibili possono accadere.
Spero di poter condividere il piacere di questa lettura a lieto fine con tante altre giovani donne che dopo aver vissuto l’esperienza della malattia siano ancora nella fase di recupero della fiducia nella vita.
Sono certa che questo libro le aiuterebbe molto.
Grazie all’autrice per essere riuscita a scrivere di un’esperienza così intima in poche pagine lasciando fortissime emozioni e a quanti si uniscono in messaggi di solidarietà, di prevenzione e di speranza.
Giovanna
Grazie Roberta per la tua bella testimonianza e per il tuo coraggio.
Alla prossima.
Una domanda per Paolo Tralongo: come funziona il G.S.T.U? Perchè occorre seguire una persona guarita di cancro? Quale percorso deve compiere ancora?
A Cinzia Spadola i miei migliori complimenti, sta trasmettendo a tutti una bella inezione di fiducia.
Fortunatamente il nostro lavoro di redazione va a gonfie vele. I nostri validi collaboratori, oltre che amanti delle letteratura e della cultura, sono dei veri intenditori, indispensabili per la valutazione dei numerosi manoscritti che ogni settimana giungono in redazione.
Come infatti il nostro caro amico Salvo ha sottolineato, abbiamo un catalogo che cresce di settimana in settimana e diverse collane all’interno delle quali possiamo inserire dai saggi di autorevoli personaggi della cultura siciliana e nazionale ai romanzi gialli di autori esordienti. A tal proposito negli ultimi mesi abbiamo avuto l’onore di concorrere, con il romanzo di Vincenzo Maimone, Un nuovo inizio, all’ambito Premio Scerbanenco, fianco a fianco con editori del calibro di Mondadori, Einaudi, Longanesi e tanti altri.
Essere arrivati alle semifinali è stato per noi e per il nostro autore un grande soddisfazione.
E siamo anche convinti che Nel segno del cancro riscuoterà un successo altrettanto soddisfacente.
Il tema trattato, le implicazioni psico-sociali che stanno dietro a quest’opera per non parlare del sempre attuale tema della comunicazione tra medico e paziente non possono che fare del libro di Cinzia Spadola un’opera a 360°, che siamo stati onorati e felici di pubblicare.
La grande soddisfazione della Sampognaro&Pupi è da attribuire anche e soprattutto al fatto che la nostra serietà e professionalità sta dando i suoi frutti. Stiamo riuscendo davvero a sprovincializzare la nostra cultura, non solo esportandola nel panorama nazionale ma anche acquisendo i diritti di opere di autori di importanti città come Genova, Napoli, Bari, Bologna. Realtà dove certamente non mancano editori anche di livello internazionale.
Essere punto di riferimento per autori, o aspiranti tali, di ogni regione d’Italia non è certo cosa da poco.
Per Salvo,
Occorreseguire una persona anche a distanza di tempo dalla diagnosi perchè l’esperienza ha dimostrato che nel tempo possono manifestarsi effetti secondari alla malattia e/ alle terapie. In questo contesto abbiamo bisogno di conoscerne le caratteristiche, l’intensità e l’impatto sulla qualità di vita; nello stesso tempo abbiamo anche la necessità di dover dare risposta ai pazienti che manifestando ora questi sintomi non possono attendere i tempi della ricerca.
La fondazione GSTU si occupa di avviare e sostenere progetti di ricerca ed assistenziali nell’ambito oncologico.
In verità sono amico solo della Sampognaro, Pupi non lo conosco.
Un grazie di cuore a tutti i nuovi intervenuti.
Perchè Sampognaro donna e Pupi maschio ?
Un calorosissimo benvenuto a Cinzia Spadola, che (oltre al libro) ci ha offerto in questi suoi commenti che avete letto qui una ulteriore e toccante testimonianza della sua esperienza.
Grazie, cara Cinzia.
Grazie per aver condiviso.
Un saluto a Paolo Tralongo, che ho appena incrociato tra i commenti… e a Salvo Zappulla.
@ Glò
Grazie mille per il tuo commento e per i tuoi versi.
@ Lucia Arsì
Carissima Lucia, bentornata! È bello ritrovarti qui. Grazie anche a te per il tuo commento… e in bocca al lupo per il tuo libro (di cui, spero, avremo modo di parlare in maniera più approfondita in un’altra occasione).
@ Laura Costantini
Cara Laura,
grazie anche a te per aver messo in comune con noi l’esperienza della malattia di tuo padre.
Metto in evidenza questo passaggio del tuo commento: “La prevenzione e’ fondamentale, la prevenzione e’ rognosissima, la prevenzione costa denaro. Ma va fatta. Dobbiamo essere noi i primi custodi del nostro corpo.”
@ Alina
Carissima Alina,
grazie anche a te per essere intervenuta nella discussione offrendo la tua testimonianza. Credo davvero che sia molto importante. Grazie ancora, dunque.
@ Roberta Lepri
Cara Roberta,
che bella la tua testimonianza! Ci insegna, ancora una volta, che lo spirito e la grinta sono due elementi fondamentali per contrastare la malattia. Grazie.
Cara Giovanna,
grazie anche a te per essere intervenuta.
E grazie anche a Francesca e Veronica Liodato.
(Spero di non aver dimenticato nessuno)
Ho aggiornato il post inserendo le schede di due altri libri:
1) Giulio Perrone mi ha segnalato un libro che ha appena pubblicato nella collana Lab (perfettamente in tema con il post): “A dieci centimetri dal cuore” di Claudia Vegana.
2) Gli amici dell’ufficio stampa Mondadori, invece, mi segnalano il libro di Giacomo Cardaci: “La formula chimica del dolore”.
Sul post (alla fine della pagina, prima dei commenti) trovate i riferimenti ai due libri citati.
Invito Claudia Vegana e Giacomo Cardaci a partecipare alla discussione (se ne avranno la possibilità) e a dirci qualcosa sui loro libri.
A tutti voi, una serena notte.
a me è andata bene. a un paio di miei fratelli maschi no. a due mie sorelle sì. siamo un po’ perseguitati dal mostro… quando scopri di averlo in corpo è la vertigine. a me è andata bene che me la sono cavata con un intervento e decine di tac e con un terrore sordo, cieco, muto, devastante. a me è andata così bene che sono cambiata in tante cose. se tutto si risolve, l’esperienza è un’esperienza che merita di essere vissuta. poi si vedono più chiare tante cose, si ridimensiona la gerarchia dei valori, ci si guarda attorno di più. quando, per anni, si entra periodicamente in un reparto oncologico per fare certi esami si vedono situazioni, tante, tutte assieme, a cui non avresti mai pensato. vedi un po’ se in seguito puoi rimanere lo stesso…
Già: “Nel segno del cancro”, ovvero un titolo che di primo acchito mi ha richiamato alla mente contesti e luoghi fantasiosi, misteriosi, oltre che – naturalmente – atmosfere zodiacali.
No, ho pensato, l’astrologia e le cose di fantascienza non mi interessano, anzi mi indispongono se acquisiscono l’aura della buona letteratura, anziché del semplice intrattenimento.
Invece, soffermandomi sul post, ho scosso la testa: mi ero sbagliato eccome! anche riguardo al titolo, azzeccato perché sdrammatizza, addirittura esorcizza disperazioni, angosce, traumi che sconvolgono terribilmente quanti vengono colpiti dal cancro, specie quando lo vengono a sapere (secondo me).
Chiari e calibrati, oserei dire “esorcizzanti” anche parecchi interventi, a cominciare da quelli di Salvo Zappulla (ho apprezzato molto la sua recensione) e Paolo Tralongo.
C’è veramente bisogno di parlare e parlare di questo male insidioso per affrontarlo con un po’ di speranza, un po’ di fiducia in noi stessi e nelle nostre possibilità o capacità psicologiche (vorrei dire taumaturgiche) e con coraggio. Parlare, insomma comunicare per informare e informarsi, vincendo imbarazzi, remore, solitudini. Più si parla di sé e del proprio male, più il male perde vigore e ostilità per non dire invincibilità.
D’altronde, insieme non si superano mille ostacoli, non si scalano mille montagne?
Un encomio all’autrice Cinzia Spadola, a chi l’ha sostenuta nella pubblicazione del libro, e anche a te, Massimo, per aver acceso la discussione appunto su questo male così avvolto da tante ombre e reticenze. Cordialmente.
complimenti a tutti per il forum. sono rimasta molto colpita dalle testimonianze e volevo solo lasciare traccia della mia gratitudine. ciao a tutti.
Roberta, che forza della natura la tua mamma!
Che vittoria la sua! Se non è questa una vittoria schiacciante sulla malattia…Una grinta travolgente, quell’attaccamento alla vita che lascia orme anche sull’esistenza di coloro che la circondano, che graffia tanto in profondità da lasciare segni indelebili, i solchi di un amore immortale cui gli altri si riferiranno, come i segnali che indicano la direzione da seguire. Una maestra di vita la tua mamma. La lezione è dimostrata con l’esempio personale:non rassegnarsi a farsi trasformare in zombie da una diagnosi; è questa la vittoria. Tutto quello che viene dopo è vita!
@ Grazie Massimo, bel cavaliere dalla camicia celeste e grazie Cinzia Spadola per la spinosa testimonianza posta. Mi sembra che non sia stato affrontato l’argomento cibo, che secondo alcuni sarebbe un elemento importante per ogni malattia.
Da tempo è noto che tutti i derivati del cavolo, per alcuni tipi di cancro,
favoriscono un lieve rallentamento delle cellule malate, per una sostanza
che si trova in questo tipo di pianta. A suo tempo ne parlò positivamente, anche il prof. Veronesi, che è un vegetariano convinto.
Personalmente, all’inizio della mia malattia ( artrite reumatide deformante) mi fu consigliato da un medico tradizionale, una dieta nella quale prevalevano frutta e verdura, ad essa mi sono sempre attenuta.
Infatti, lui mi spiegava, che la mela. ad es. , come i ravanelli rossi possegono proprietà antibiotiche naturali. Etcc.
Naturalmento non si devono mai lasciare le cure mediche assegnate, ma si può scegliere quei determinati cib,i che ci aiutino a stare
un pò meglio.
Ringrazio inoltre il Sig. Giacomo Tessani, il gaudioso Salvo e tutte le
Signore del blog per i sinceri e toccanti contributi espressi.
Tessy
una abbraccio a cinzia spadola ed a tutte le altre testimoni che hanno comunicato la loro esperienza ed il loro pensiero. Come si è detto la prevenzione è fondamentale, così come l’informazione.
dal punto di vista informativo forse sarebbe utile inserire qualche informazione in più.
Per esempio: vi sono diversi fattori di rischio per il cancro al seno, alcuni dei quali prevenibili.
L’età: più dell’80 per cento dei casi di tumore del seno colpisce donne sopra i 50 anni.
La familiarità: circa il 10 per cento delle donne con tumore del seno ha più di un familiare stretto malato (soprattutto nei casi giovanili).
Vi sono anche alcuni geni che predispongono a questo tipo di tumore: sono il BRCA1 e il BRCA2. Le mutazioni di questi geni sono responsabili del 50 per cento circa delle forme ereditarie di cancro del seno e dell’ovaio.
Gli ormoni: svariati studi hanno dimostrato che un uso eccessivo di estrogeni (gli ormoni femminili per eccellenza) facilitano la comparsa del cancro al seno. Per questo tutti i fattori che ne aumentano la presenza hanno un effetto negativo e viceversa (per esempio, le gravidanze, che riducono la produzione degli estrogeni da parte dell’organismo, hanno un effetto protettivo).
Le alterazioni del seno, le cisti e i fibroadenomi che si possono rilevare con un esame del seno non aumentano il rischio di cancro. Sono invece da tenere sotto controllo i seni che alle prime mammografie dimostrano un tessuto molto denso o addirittura una forma benigna di crescita cellulare chiamata iperplasia del seno.
Anche l’obesità e il fumo hanno effetti negativi.
I SINTOMI
In genere le forme iniziali di tumore del seno non provocano dolore. Uno studio effettuato su quasi mille donne con dolore al seno ha dimostrato che solo lo 0,4 per cento di esse aveva una lesione maligna, mentre nel 12,3 per cento erano presenti lesioni benigne (come le cisti) e nel resto dei casi non vi era alcuna lesione.
Il dolore era provocato solo dalle naturali variazioni degli ormoni durante il ciclo.
Da cercare, invece, sono gli eventuali noduli palpabili o addirittura visibili. La metà dei casi di tumore del seno si presenta nel quadrante superiore esterno della mammella.
Importante segnalare al medico anche alterazioni del capezzolo (in fuori o in dentro), perdite da un capezzolo solo (se la perdita è bilaterale il più delle volte la causa è ormonale), cambiamenti della pelle (aspetto a buccia d’arancia localizzato) o della forma del seno.
La maggior parte dei tumori del seno, però, non dà segno di sé e si vede solo con la mammografia (nella donna giovane, tra i 30 e i 45 anni, con l’aiuto anche dell’ecografia).
LA PREVENZIONE
È possibile ridurre il proprio rischio di ammalarsi con un comportamento attento e con pochi esami di controllo elencati più sotto. È bene fare esercizio fisico e alimentarsi con pochi grassi e molti vegetali (frutta e verdura, in particolare broccoli e cavoli, cipolle, tè verde e pomodori).
Anche allattare i figli aiuta a combattere il tumore del seno, perché l’allattamento consente alla cellula del seno di completare la sua maturazione e quindi di essere più resistente a eventuali trasformazioni neoplastiche.
La mammografia è il metodo attualmente più efficace per la diagnosi precoce. Per questa ragione è consigliato, con cadenza annuale, a tutte le donne dopo i 50 anni. Nelle donne che hanno avuto una madre o una sorella malata in genere si comincia prima, verso i 40-45 anni, con cadenza annuale.
L’ecografia è un esame molto utile per esaminare il seno giovane, dato che in questo caso la mammografia non è adatta. Si consiglia di farvi ricorso, su suggerimento del medico, in caso di comparsa di noduli.
La visita: è buona abitudine fare una visita del seno presso un ginecologo o un medico esperto almeno una volta l’anno, indipendentemente dall’età.
L’autopalpazione: è una tecnica che consente alla donna di individuare precocemente eventuali trasformazioni del proprio seno. La sua efficacia in termini di screening è però molto bassa: questo significa che costituisce un di più rispetto alla sola visita e alla mammografia a partire dall’età consigliata, ma non può sostituirle
DIETA PREVENTIVA
Diversi studi scientifici hanno dimostrato l’utilità di una dieta particolare nella prevenzione delle ricadute del cancro del seno in donne già colpite. Ora si sta valutando l’utilità della stessa dieta nella prevenzione primaria, ovvero in chi non ha ancora sviluppato la malattia. Alla base di questa alimentazione c’è un apporto elevato di fitoestrogeni (ormoni vegetali simili agli estrogeni femminili che sono contenuti principalmente nella soia e nei suoi derivati, ma anche nelle alghe, nei semi di lino, nel cavolo, nei legumi, nei frutti di bosco, nei cereali integrali). Inoltre vanno limitati gli zuccheri raffinati, che hanno l’effetto di innalzare l’insulina nel sangue e quindi di indurre il diabete, a favore di zuccheri grezzi e di amidi.
Ancora: si consiglia di consumare molte crucifere (rape, senape, rucola, cavolfiore, cavolini di Bruxelles, ravanelli, cavolo) perché agiscono in modo positivo nei confronti del metabolismo degli ormoni.
Infine è bene privilegiare il pesce rispetto alle altre proteine animali, accompagnato da grandi quantità di fibre (attraverso il consumo di frutta, cereali, verdura, legumi). Da limitare l’apporto di latticini e uova, tenendo però d’occhio la quantità totale di calcio per prevenire l’osteoporosi.
quelle che ho riportato sono notizie molto note. ma credo sia bene approfittare di ogni occasione per divulgarle ulteriormente.
buona prosecuzione e grazie.
quante esperienze, quante testimonianze, quante voci, quante vite appese ad un filo sottile…quello della vita, della speranza…ho vissuto di riflesso questa terribile paura. mia madre, anni fa’ ha affrontato l’operazione (quadrantectomia) che le ha ridato la vita di sempre, era solo sospetto (il cancro) ma la paura, le preoccupazioni, l’ansia sono state grandi. mesi fa’ anche la sorella (mia zia) è stata fulmineamente colpita da una diagnosi di carcinoma maligno. anche lei ha superato con forza e determinazione quell’esperienza, la chemio e le cure ormonali successive.A distanza di tempo, ripenso al cancro al seno, questo terribile nemico delle donne e sono colta da mille pensieri e paure. L’angoscia mi assale ma leggere buone notizie , come quella narrata in questo libro, leggere che dalla presunta diagnosi di morte nasca la vita è davvero emozionante ed incoraggiante, riaccende la speranza. grazie anche al medico, per la sua testimonianza di umanità e vicinanza a chi soffre. c’è tanto bisogno, oggi, di figure come queste, sono la cura migliore insieme a quella farmacologica.
Il libro della Sig.ra Spadola è una testimonianza forte che non è possibile non ascoltare per i molteplici messaggi in essa insiti. Lo è stato anche per me – presto la mia opera come oncologo a Palermo – sebbene sia confrontato quotidianamente con le donne e gli uomini affetti da cancero. In un certo senso i loro problemi sono miei …. E’ anche per questo che faccio parte della Fondazione GSTU – una organizzazione senza scopo di lucro – che sostiene programmi di assistenza e di ricerca sulle persone affette da cancro che sopravvivono a questo terribile evento occupandosi dei molteplici problemi che possono affliggere le loro vite ( http://www.gstu.eu ). Per questo motivo ringrazio la Sig.ra Spadola per l’occasione che ci ha regalato.
Vittorio Gebbia
CdA Fondazione GSTU
Cara Cinzia, non “devi essere grata al tumore”. Devi riconoscere che quella rete, che ti ha tenuta inchiodata fisicamente e psichicamente, oggi si ri-presenta con la stessa energia dato che i suoi nodi discorsivi ti permettono di intrattenerti con persone di cui non avevi sentore.Nodi inferi prima, nodi paradisiaci adesso.E sciogliere i nodi ha il senso di fare esperienza col bene e col male.E ti pare niente a livello di crescita conoscitiva?Tenta di interpretare quel “dolore immenso” non come una tragedia umana,ma come opportunità di paradigma umano, per urlare che la vità é bella,dato che in quel ring c’é possibilità di vera salvezza.Perché la salvezza, come tu ci insegni,sta nella speranza-certezza, che é l’acqua santa cui tutti noi tendiamo per continuare a respirare.Ad maiora!
Un caro saluto a Simo e Maria Lucia. A presto.Lucia Arsì
ciao a tutti e grazie a Maugeri per l’opportunità che ci offre di parlare di questo argomento. Non ho ancora letto questo libro mi ripropongo di farlo nel fine settimana anche se ammiro già l’autrice per il coraggio. Volevo solo fare a tutti voi questa domanda : perchè una diagnosi di cancro ci sgomenta più di una di grave patologia cardiaca? in realtà nella seconda ipotesi le possibilità di morte imminente sono di gran lunga maggiori, allora da dove nasce lo stigma di questa malattia? Nella mia terra fino a qualche decennio fa non lo si nominava neppure il tumore e men che mai il cancro, si diceva “ha un guaio” o un “male” come qualcosa di innominabile, il solo pronunciarlo era tabù. Oggi ci dobbiamo fare i conti un po’ tutti. Un saluto
Caro Massi,
mi commuove leggere e mi commuove ricordare.
Anche io anni fa. Una macchia sulle lastre. Un incomprensibile alone bianco sull’utero. E poi, un’unica soluzione. Operiamo.
Non fu solo la sorpresa di ritrovarmi figlia avendo messo da poco al mondo un figlio, o di interrompere l’allattamento, o di contare i giorni che passavano in clinica, sempre uguali.
Fu l’audacia di quella malattia nel prendermi. Nel sommarmi addosso la sua decisione.
Fu quel suo essere più tenace di me a dare un senso.
Da lì in poi non ho più dimenticato chi mi ha sorriso. Chi mi ha lavato. Chi mi ha accompagnato in bagno. Ho avuto bisogno di tutto e di tutti.
Ho miracolosamente scoperto la mia inutilità.
Sono grata a quell’abbandono nelle braccia degli altri. A quel bisogno. A quel dover chiedere.
Ho imparato l’umiltà.
Tempo dopo, non avrei più temuto il male del corpo. Ma quello dell’anima. Quando è la vita a inciderci come un cancro. Perchè la malattia è tante cose. E’ molti momenti. A volte è anche un passato che affiora a tradimento o una ferita che si incide sulla felicità.
Ma anche allora la guarigione è nello sguardo innamorato di coloro che ci soccorrono. E’ nella pazienza, nell’accoglienza, nell’attesa.
E’ nel coraggio di chi ci ama anche quando abbiamo paura.
Grazie per questi ricordi.
Un bacio
Simo
Leggendo tutte queste toccanti, vibranti testimonianze, quasi quasi mi vergogno di aver fatto solo le tonsille. In compenso soffro di depressione, che scarico scrivendo baggianate nei blog.
PS. Brava Simonuccia, come sempre, riesci a trasformare in poesia anche il dolore.
Siamo veramente entusiasti per la grande partecipazione al blog e per la consistenza dei commenti.
Vorremmo tanto far emergere la sensibilità di quanti stanno intervenendo in queste pagine.
Salvo che ne diresti di fare qualche bella intervista per Notabilis ai nostri blogger e pubblicarla sulla nostra rivista?
Potremmo sfruttare il suo carattere regionale per far sapere alla gente di tutta la Sicilia, se mai ce ne fosse bisogno, quanta attenzione e intelligente curiosità emerge in tematiche come questa.
Perchè no? Potrebbe essere una cosa molto interessante. E poi se me lo chiede pubblicamente la redazione, non posso rifiutarmi, so che rischierei il licenziamento in tronco. Intanto perchè non spiegate cos’è Notabilis, cosa si propone, la tiratura, la distribuzione, i collaboratori. Lanciare una rivista culturale richiede grande impegno e grande sforzo economico ma sicuramente darà molto prestigio alla Casa Editrice.
Cari amici, vi ringrazio tutti per i nuovi commenti.
Ne approfitto, come sempre, per salutare i nuovi intervenuti.
@ Lucy
Cara Lucy, grazie per la tua testimonianza e per la forza che traspare dal tuo commento. Un grande in bocca al lupo anche alle tue sorelle.
Ne approfitto per salutare Ausilio Bertoli, Lorella, Tiziana Magrì (grazie per le notizie che hai inserito).
E ancora grazie a Cinzia per essere tornata a intervenire.
Grazie anche a Chiara per la sua testimonianza.
A Vittorio Gebbia faccio tanti auguri per il futuro di GSTU.
@ Serena Laporta
Sono io che ringrazio te, Serena. Per rispondere alle tue domande… credo che il cancro spaventi di più di altre malattie altrettanto devastanti sia per la grande diffusione, sia per il “calvario” connesso al decorso della malattia stessa
Cara Simo,
mi avevi già raccontato la terribile esperienza che dovesti affrontare quando il tuo bimbo era ancora piccolissimo. Ti sono personalmente grato per averla condivisa con tutti noi.
Poi vai oltre e parli di qualcosa di altrettanto temibile.
Scrivi: Tempo dopo, non avrei più temuto il male del corpo. Ma quello dell’anima. Quando è la vita a inciderci come un cancro. Perchè la malattia è tante cose. E’ molti momenti. A volte è anche un passato che affiora a tradimento o una ferita che si incide sulla felicità.
Ma anche allora la guarigione è nello sguardo innamorato di coloro che ci soccorrono. E’ nella pazienza, nell’accoglienza, nell’attesa.
–
Grazie, Simo… auguro a tutti noi di poterci sempre affidare con fiducia allo “sguardo innamorato di coloro che ci soccorrono”.
Ancora grazie… e un bacio a te.
E ancora grazie a Tessy, a Salvo, a Lucia e a tutti coloro che ho dimenticato di citare.
@ Sampognaro&Pupi
Cos’è Notabilis?
Per stasera chiudo qui.
Una serena notte a tutti.
Sono grata per questa discussione che scava così in profondità nell’anima. E sono grata per le testimonianze di coloro che sono intervenuti.
Non aggiungo altro, perché qualunque altra cosa mi sembrerebbe superflua e banale.
mi unisco al post di Amelia,nel senso che anch’io ho letto con trasporto e ringrazio , ma non sono in grado di apportare nulla alla discussione. ma non potevo non ringraziare per le cose importanti che sono state dette.
…prendo al balzo la palla lanciata da Tiziana Magrì per “personalizzare” le importantissime informazioni sul mostro mostruosissimo che non è più imbattibile.
Vi faccio il quadro della mia situazione: quando ho scoperto il “mio” tumore avevo appena compiuto 29 anni,non avevo mai avuto casi in famiglia, ero normopeso, carne solo di rado con un’alimentazione tendenzialmente sana, praticavo pallavolo a livello agonistico , mai fumato, in un paesino del sud della Sicilia l’inquinamento non è eccessivo…che manca per dire che è stata una pura, semplice, imprevedibile sfiga?Ma visto che la statistica era stata inclemente prima, ho poi avuto il suo favore quando, rimanendo incinta in una situazione piuttosto avversa, sono riuscita ad avere una figlia sana, senza subire complicanze o ricadute. Legge della compensazione? mah!
Ma non è finita! -Giudicate voi se non è strano. Quando un anno fa, come ogni anno, io assieme a tutte le femmine della mia famiglia ( mamma, zia e sorella) ci recammo a fare i rituali controlli al seno, tornammo con una diagnosi di tumore sulla mia mamma.
Chi ha letto il mio libro, sa che sono stata operata a Milano e con un decorso non del tutto lineare. Ma da allora son cambiate tante cose:
La mia mamma è stata sottoposta a quadrantectomia a Lentini (80 km di distanza da Rosolini) dopo appena due settimane da quel fatidico giorno. Ha fatto la chemio ad Avola (30 Km) sotto la supervisione del Doc, e la radioterapia a Ragusa (40 Km). Morale: a parte qualche disturbo, dopo un anno la mamma ha ripreso la totale normalità della sua vita che non è mai stata sconvolta dalla malattia, oggi ha una meravigliosa chioma bianco-neve ed ha ritrovato quella voglia matta di vivere che per un pò la depressione le aveva rubato. Vi confido un segreto: anche lei ha visto l’invisibile rete che la circonda, ed ora è più serena e più sicura.
In conclusione vogli citare le parole del chirurgo che ha operato la mamma: “Devi ringraziare le tue figlie che ti costringono a fare i controlli a breve distanza, perchè dopo appena 1 anno e 4 mesi il tuo tumore aveva già intaccato i linfonodi ascellari e progrediva veloce e aggressivo”.
…la prevenzione!
Ciao ragazzi!
Mi chiamo Giacomo e sono il ragazzo che ha scritto “La formula chimica del dolore”. Vorrei intervenire anch’io con qualche mia riflessione, sperando di non annoiarvi.
Ho scritto il libro fra un ciclo di chemioterapia ad alte dosi e l’altro, spesso di notte, quando ero ricoverato in ospedale e non riuscivo a prendere sonno per “la tosse del soldato”, ovvero i rantoli di quegli anziani che combattevano contro la malattia che gli sbranava il corpo, tossendo, mugolando anche di notte, rubandomi il sonno con quegli aiuto-aiutatemi-aiuto che sentivo provenire dalle altre camere del reparto; ricordo che, quando ero in camera sterile, litigavo col caposala perché notoriamente la tastiera del computer è l’oggetto più infetto che si possa immaginare, ma su quadernetti dove annotare le mie sensazioni o dettagli salienti dei miei compagni di camera, e sul computer dove rielaborarli in racconti, non ero disposto a transigere: a costo di farmi venire un febbrone per quei “batteri-batteri-batteri!” che erano banditi dal reparto. Scrivere il libro è stata per me l’altra faccia della terapia: certo, il novantrone e il melfalan mi hanno distrutto le cellule schizofreniche del corpo, ma cos’ha rasserenato le cellule impazzite dei miei pensieri? In questo senso il libro è stato salvifico, una specie di terapia che scorreva fra le mie vene contemporaneamente a quella tradizionale farmacologica: e che al posto di farmi bollire nel calderone della chemio, mi restituiva l’armonia di cui avevano bisogno.
La ragione per cui ho deciso di pubblicare il libro è che… io, quando ero ammalato, sentivo il bisogno spasmodico di non sentirmi solo nel mio dolore. Ero l’unico ragazzo in un centro che si occupava prevalentemente di anziani spesso con una prognosi infausta: i miei amici morivano accanto a me, l’aria puzzava di morte e io mi sentivo risucchiato verso l’obitorio del seminterrato. Ricordo che appena avevo quei 3000 globuli bianchi sufficienti per farmi uscire di casa senza correre il rischio di prendermi un febbrone, andavo in libreria e cercavo libri nei quali speravo di trovare quelle rassicurazioni che spesso i medici non ci danno. A volte i dottori sono geniali nell’interpretare i nostri valori del sangue e nel prescriverci roboticamente i farmaci più adeguati, ma si dimenticano di somministrarci quell’elisir portentoso di cui io avevo un bisogno viscerale, spasmodico: la speranza. Ricordo che spesso “rubavo” la rete wireless dell’ospedale per connettermi a facebook o entrare in blog/forum come questo, per leggere le storie degli altri e trovare in loro consolazione e coraggio: avrei potuto tenere il mio manoscritto per me, come memoria storica dei fatti che mi sono accaduti, ogni pagina una fotografia dei miei stati d’animo e un monito a volersi bene sempre anche solo per avercela fatta, ma ho deciso di liberarlo dal computer e di condividerlo con tutti coloro che come me avevano o hanno bisogno di sentirsi meno soli nelle loro riflessioni e nelle loro paure notturne o diurne: a costo di essere tacciato come autoreferenziale, il mio libro è un atto d’amore per chi ha avuto o sta ancora combattendo contro l’alieno-cancro, e per chi ha bisogno di un pezzo di carta che gli dica: “non ti preoccupare, ce la farai”.
g.
Giacomo, sei grande, sei forte, sei magnifico.E sai perché?perché sei uno tranquillo(emerge una semantica che sapora di sole, che odora di frizzi goliardici ),perché la tua voce é fonda come la tua parola scritta e perciò paideutica, perché sei fondamentalmente umano( Specie in estinzione tra pseudi uomini che lottano per il potere o per l’arrogante visibilità). Una notizia in più per leggere il tuo libro. Sii te stesso, nel bene e nel male.Complimenti. Lucia Arsì
Caro Giacomo, intanto grazie per quei “ragazzi” che ci fa ringalluzzire. Qui la media degli anni è sui settanta, a parte quelli della redazione Sampognaro &Pupi che vanno in giro con il biberon. Sì, concordo con te, la scrittura è salvifica, un rifugio per gli animi in tempesta. E anche il computer si sta rivelando un bene prezioso perché ci permette la condivisione, di fare gruppo tra persone anche distanti migliaia di chilometri. Gran bella cosa la tecnologia quando è usata per i giusti fini. E’ tremenda la solitudine, insopportabile in una situazione di debolezza quale una malattia grave. Proprio oggi ho letto su “La Sicilia” che da noi, a proposito del tumore al seno, si registra una maggiore mortalità, a causa di una non adeguata organizzazione dei servizi negli ospedali. Mentre, a quanto pare, i medici fanno per intero il loro dovere, e anche le strutture e le attrezzature sono adeguate. Il problema, mi è sembrato di capire, è l’impossibilità per le donne di fare lo screening o una radioterapia in tempi brevi. Così denuncia il prof. Carmelo Iacono, direttore del dipartimento di Oncologia di Ragusa Un po’ come avviene negli altri reparti: se prenoti una gastroscopia con la mutua c’è da attendere sei mesi, se la fai in uno studio privato a pagamento, sei servito e riverito entro una settimana. Dott Tralongo chiedo il tuo soccorso, se ho scritto inesattezze, sarò felice di essermi sbagliato.
@ Giacomo Cardaci
Caro Giacomo, scrivo al volo per ringraziarti di cuore per essere intervenuto. La tua testimonianza è particolarmente importante.
Dal tuo commento (come ha già fatto notare Lucia) traspare tanta forza e serenità.
Tornerò stasera, aggiornando il post con l’inserimento di un video su youtube che mi è stato segnalato dall’ufficio stampa Mondadori.
Un saluto ad Amelia Corsi e Beatrice Vandini.
Grazie per essere intervenute.
@ Cinzia Spadola
Ancora grazie, Cinzia, per continuare a partecipare a questa discussione con i tuoi preziosissimi commenti.
@ Paolo Tralongo
Caro Paolo,
seguendo la scia del commento di Salvo, desidero chiederti: secondo te quando si parla di “malasanità” in Sicilia si esagera, o c’è un fondo di verità? E come vedi, in tal senso, la situazione della nostra regione rispetto al resto del paese?
@ Giacomo Cardaci
Caro Giacomo, che tipo di riscontro sta avendo questo tuo libro? Puoi raccontarci qualcosa in proposito?
E’ toccante leggervi.E’ commovente sentire tutti questi respiri insieme che condividono il dolore,la paura,la malattia,la voglia di non mollare,la resistenza della vita in ogni suo gesto.Sono imbarazzata,è da giorni che vi leggo e non vorrei dire banalità,ho molto rispetto per le parole dette,l’esperienze vissute e raccontate,grazie Salvo per la bella recensione che mi pare anche riduttivo chiamare così,dato l’argomento trattato,grazie a Cinzia, Paolo, e il bellissimo commento di Giacomo,grazie a Simona,insomma credo che sentirsi meno soli nel momento in cui il dolore e la malattia vogliono metterci in un angolo è veramente una grande forza.Talvolta siamo così distratti che tutto ci sembra dovuto,scontato e certo,anche l’affetto,l’amore,la luce,la voce e la gioia,mentre appena ci sfiora il senso di impotenza della malattia e il pensiero della morte per noi o per chi amiamo,tutto torna ad essere precario e instabile,come è giusto che sia.E’ giusto che ci rammentiamo di quanto non siamo padroni della nostra vita e di quanto ogni istante ogni gioia sia un dono vero da non gettare via, da preservare con cura e amore.Sono quelli i momenti che sembrano essere i peggiori della vita ma da cui può nascere la forza immane dell’amore e dell’attaccamento alla vita stessa,al valore della vita.E’ la capacità di trasformare da un angolo buio uno sguardo di luce sulla vita,quella meravigliosa capacità che tanti di voi hanno raccontato qui,che ci da l’illusione e la speranza che un amore universale possa reggere ancora il destino degli uomini.
Grazie e un bacio a tutti,a Massimo per la discussione delicata e importante.
Leggo solo adesso la coinvolgente recensione di Salvo Zappulla. E ho dato uno sguardo troppo frettoloso e frammentario a tutto il resto per poterne dire qualcosa. Mi soffermo dunque solo sulle parole di Salvo, al quale vanno i miei complimenti più sinceri. Una recensione che mi ha particolarmente emozionato forse per una semplice ragione: Salvo sta parlando della nostra condizione umana senza finzioni, e con un sorriso bonario. L’ascolto delle parole buone d’un amico. Il nostro identificarci con l’inessenziale, che solo di fronte ad eventi che ci scuotono si svela come tale. Poi, come spesso capita, dimentichiamo di nuovo, e ritorniamo ad essere invischiati – come automi, come sonnambuli – nell’inessenziale, incapaci di percepire la meraviglia.
Il problema delle liste di attesa in sanità è un problema diffuso, non solo isolano. E’ verosimile che la disponibilità di approfodimenti diagnostici sofisticati ed efficaci ha lievitato rapidamente il numero di richieste; a questo si aggiunge che, in questo contesto, non vi è selezione centrata sulle motivazioni delle richieste per cui a valle si vanno ad assommare richieste di chi ha realisticamente bisogno con richieste di chi potrebbe, invece, aspettare.
Relativamente,poi, alla richiesta di Massimo, mi sento di rispondere che anche i problemi di malasanità non sono solo siciliani (basta leggere le cronAche degli ultimi giorni) e che molto spesso il conflitto medico-pazinete è legato a problemi di comunicazione. Come dimostra l’esperienza di Cinzia la reciprocità medico-paziente è fondamentale anche ai fini del successo dell’esito finale.
Francesca Giulia e Gaetano. Grazie, mi fate arrossire. Fa sempre piacere ricevere complimenti.
Perché no, Salvo, potrebbe interessare ai lettori del blog. Notabilis è la naturale evoluzione della precedente rivista Illustrazione Siracusana, il bimestrale che per anni ha raccontato i fatti, gli eventi e i personaggi della nostra provincia.
Notabilis, forte delle precedente e fortunata esperienza, amplierà i propri orizzonti fino a comprendere tutta la Sicilia.
Il compito è sicuramente arduo ma allo stesso tempo emozionante e affascinante. Sono poche le realtà che si sono cimentate in questo, e si contano nelle dita di una mano quelle che lo hanno fatto con la nostra stessa linea editoriale. Siamo lontani da ogni faziosità politica, sociale e religiosa. Con la massima oggettività cerchiamo di raccontare la realtà così com’è, cercando però di far emergere quanto di positivo accade nella nostra Sicilia.
Realtà spesso relegate in secondo piano ma in verità la forza motrice della nostra cultura, della nostra economia e della nostra società.
Notabilis è sicuramente un bimestrale che mira a un livello culturale medio alto, senza disdegnare però quegli aspetti curiosi, bizzarri o aneddotici che la nostra straordinaria e poliedrica isola ci dona.
E poi stiamo mettendo su una squadra di alto livello.
Basti pensare alle firme che possiamo vantare: Giuseppe Matarazzo, economista di diverse testate tra cui “Panorama”, Salvatore Ferlita, giornalista del “La Sicilia”, e ancora Filippo Arriva, giornalista, scrittore, critico e autore teatrale. E tanti altri, impazienti di dar voce a una Sicilia che ha voglia di rilanciarsi.
@Paolo. Al di là dei problemi di malasanità, che a volte è dovuta alla negligenza degli uomini. o semplicemente ad errori (umanissimi per carità) è anche vero che in Sicilia ci sono carenze più gravi rispetto ad altre regioni: scarsissima la presenza dei servizi di medicina nucleare indispensabili per una corretta esecuzione del test del “linfonodo sentinella” (a me sto linfonodo sentinella mi sta proprio sui… sembra un guerriero posto là dal nemico per opporsi con la lancia all’arrivo dei buoni) e di anatomia patologica. I livelli di migrazione sanitaria registrati in Sicilia sono del resto indicatori di una situazione negativa, visto e considerato che a Trapani, per esempio, il 35% dei ricoveri avviene fuori provincia e il 23% fuori regione. Altrettanto dicasi per Siracusa, mentre in taluni territori, come ad esempio Agrigento, mancano del tutto servizi diagnostici, indispensbili per valutare fattori prognostici e predittivi di ripresa della malattia.
PS. Questi dati li ho presi da “La sicilia”.
@Sampognaro&Pupi.
Ok ragazzi, mi sembra un progetto molto ambizioso. In bocca al lupo. Una piccola precisazione: Salvatore Ferlita collabora a “La Repubblica” e Giuseppe Matarazzo è redattore della pagina economica di “Avvenire”. E poi avete dimenticato il collaboratore più importante cioè il sottoscritto (ve possino…)
Carissimo Giacomo Cardaci,
sono felice che la tastiera del computer abbia resistito ai divieti del reparto! E che la speranza si sia formata sotto le tue dita, tra i pulsanti della tastiera e le notti di tosse.
Vorrei chiederti le ragioni del titolo. Perchè la formula chimica del dolore?
E’ davvero bellissimo e mi fa pensare che anche il segreto del dolore possa essere svelato, come le formule.
Forse non sarà una formula univoca, e ognuno troverà la sua alchimia. Ma cercarla, cercarsi, affollarsi di vita e di ombra, attendere la tregua e poi di nuovo il male, in una parola colmarsi di un’esistenza che si rivela in tutto, persino nella malattia….ecco, credo che sia questo, il mistero del dolore. Forse, la sua formula.
Un bacio, caro Giacomo, che regali speranza semplicemente raccontandoti.
Io non amo molto questo argomento, per vigliaccheria. Ne ho molta paura. Tutti i miei familiari ( nonni, nonne, zii) sono morti così. Li ho visti soffrire e ricordo il loro sguardo disperato, cioè senza speranza alcuna.
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, scriveva Pavese.
Non credo mi toccherà una sorte diversa, ed è per questo che ho terrore di affrontarlo. Ma credo anche che, come scrive qualcuno, l’affetto e l’amore possano “vincere” questo male, anche se non sempre. Credo che qualcosa dentro alcune persone lo “respinga e combatta” con tutte le forze. Ho visto anche persone che l’hanno sconfitto. Credo che volessero vivere per i propri figli, che non potevano lasciare soli da piccoli. Forse è un caso. O forse no. Non saprei.
Mi piacerebbe essere vissuta in una società che non ha paura della morte e delle malattie, che esalta meno la giovinezza, la prosperità materiale e la longevità…o la vita eterna…o l’eterna giovinezza. Non so se sia unimmagine “mitica”, ma dicono che in India la morte sia sentita più naturalmente che in Occidente. Forse sono più spirituali degli occidentali.
Ringrazio Francesca Giulia, Gaetano, Salvo, Simona e Roberta per i loro commenti.
Paolo, grazie per la tua risposta.
@ Sampognaro&Pupi
In bocca al lupo per il progetto Notabilis.
Ho aggiornato il post con il video/testimonianza di Giacomo Cardaci… che è anche il booktrailer del suo libro: “La formula chimica del dolore”.
Guardatelo. È molto bello.
Ho pubblicato un nuovo post, ma spero che qui la discussione possa continuare…
Il tutto riporta al ‘principio classico dell’ helper, secondo cui chi ha provato una sofferenza è in grado di dare una mano a chi è attraversato dalla stessa esperienza’. Per il Prof. Salvatore Natoli ‘ il self-help è un luogo in cui il dolore può finalmente emergere come parte della realtà e diventare dicibile. Una dicibilità collettiva…………..Nella società ci sono quindi luoghi dove il dolore può dirsi e assumere il suo tratto di patrimonio comune, qualcosa in cui anche chi non soffre si può rispecchiare perchè tutti siamo potenzialmente sofferenti, nessuno di noi si può chiamare fuori….. E poi una capacità di ottimismo tragico, cioè essere forti nonostante tutto. Sapere che il dolore appartiene alla vita, e che la vita è un tessuto di gioia e infelicità. E allora assumerselo il dolore, senza dicotomizzare l’esistenza. Se si comprende sino in fondo che la sofferenza è un momento ineliminabile dell’esistenza, e che però nonostante questo l’esistenza ha una sua bellezza, riusciamo meglio a diventare responsabili di noi nella sofferenza e dire sì alla vita nonostante tutto’.
Eccomi di nuovo qui, sono Giacomo Cardaci e faccio ancora incursione fra i vostri post. Innanzitutto ringrazio @Salvo, @Lucia, @Massimo e @Simona e rispondo subito alla domanda di quest’ultima, raccontandole/vi che il titolo “la formula chimica del dolore” è stato scelto all’ultimo secondo, poco prima che il libro andasse in stampa: sono stato molto indeciso e per tanti mesi l’unico titolo possibile mi era sembrato “la tosse del soldato”, che è un’immagine – o forse un suono – che evoca efficacemente l’atmosfera notturna dell’ospedale, quando non si riesce a prendere sonno per i rantoli dei soldati/pazienti che combattono una guerra ridicola contro il proprio corpo, con armi nucleari – le chemioterapie – che fanno esplodere dentro sè stessi, e pastiglie-pallottole che sparano a sé stessi. Il libro, infatti, si apre e si chiude col suono della tosse.
Poi, però, ho deciso improvvisamente di invertire la rotta perché “la formula chimica del dolore” mi sembrava un titolo magnetico, che racchiude in sé l’idea principale del romanzo e cioè che il dolore non ammali soltanto i pensieri e l’anima, ma anche il corpo: come se questo stato d’animo, questa sensazione emotiva, d’un tratto si concretizzasse, prendesse forma, si coagulasse dentro di noi sino a trasformarsi in un sassolino che depositandosi nel nostro petto comincia a mangiarcelo. In un tumore, insomma. E’ un processo metabolico inspiegabile e misterioso, che mi è venuto in mente osservando le lacrime: anche queste, forme corporee di un dolore immateriale che… non ha una formula chimica, eppure è dentro di noi, e ci fa straripare l’anima e le cellule. Voi cosa ne dite, era meglio tenere “la tosse del soldato” o ho fatto bene a optare per questo titolo? Per ora sento pareri molto contrastati.
Per quanto riguarda le reazioni dei lettori al mio libro, mi si gonfia il petto di felicità, come se dentro ci navigasse una nuvola, quando ricevo lettere di persone che l’hanno letto: gli ammalati hanno gli strumenti e la sensibilità per comprendere i messaggi che gli lancio con le mie righe, ma questo è un libro che vuole somministrare un po’ di speranza e di allegria a tutti: perchè, come mi dicono in molti, nonostante il titolo è un romanzo allegro. Spero che sia davvero così: io, scrivendolo, ho spesso sostituito la mia tosse grassa con… grasse risate.
g.
Sono diversi gli amici che ho visto morire di cancro e affrontare insieme ai loro faliliari immani difficoltà, prima che perdessero la vita.
Le ferite che ho ancora nel cuore non si sono del tutto rimarginate, per questo ho deciso di lottare perchè i malati di cancro, come del resto tutti gli altri malati vengano rispettati, sempre, e aiutati a sconfiggere i vari nemici della vita. Essendo responsabile del Tribunale per i diritti del Malato (rete di Cittadinanzattiva) molto spesso sono a contatto con le persone che soffrono. Pertanto, fungendo da “mediatori di fiducia” tra loro e gli Operatori sanitari, nel mio , anzi nel nostro piccolo, cerchiamo di soddisfare i bisogni delle persone che sono direttamente o indirettamente a contatto con l’acerrima nemica della vita.
Io oso
Tu nemico e bestia inferocita
troppo spesso ti impossessi e calpesti la vita,
entri subdolamente in un corpo inerme,
sconvolgi ed annienti la gente.
Con te è difficile intraprendere la guerra,
a volte cadi tu,
altre volte son molti gli uomini per terra.
Ciò che non si sopporta di te
è che regni e comandi come un re,
imponi e scandisci la durata del tempo,
io cerco di resistere con coraggio, oppure mi pento.
Ora che ci penso bene,
un mezzo c’è per allontanare le pene:
è sminuirti e sfidarti sempre,
imponendo questo credo al corpo ed alla mente,
poi, anche se tu mi farai morire,
io gusterò tutto e imporrò di non soffrire,
deciderò io quando spegnere la luce,
e intraprendere un’altra strada che al ciel conduce.
In questo modo nemico avido e frettoloso,
non mi annienterai più, e ti dirò:
“io oso!”
ilarì
Grido di dolore , disperazione e rabbia
Stando a contatto con la gente ed indirettamente con le loro diverse tipologie di malattie, quasi quotidianamente ho modo di ascoltare storie di dolore, di paura e di rabbia.
I protagonisti sono o i malati o i loro familiari.
Le grida vengono emesse soprattutto quando si ha a che fare con il cancro.
Questo mostro dai mille tentacoli, purtroppo ancora riesce ad atterrire, ad annientare e a mietere vittime.
Le sue vittime non sono soltanto persone adulte ma anche giovani .
Il paziente ammalato di cancro oltre alla tremenda diagnosi che all’improvviso gli viene comunicata, deve anche sopportare numerosi calvari diagnostici e terapeutici, molti dei quali si potrebbero, non dico eliminare, ma alleviare o evitare.
Quanti viaggi infatti vengono intrapresi sperando che, soprattutto al nord, questo nemico venga debellato?
Ed allora mi chiedo e chiedo perché coloro che sono preposti ad avere in cura il malato non gli spiegano ciò che deve o potrebbe fare? A chi deve o potrebbe rivolgersi, fornendo non un unico percorso terapeutico “eccellente”, ma più percorsi e più nomi di medici che potrebbero essere contattati?
Perché non si informa il malato che magari certi esami sono inutili o addirittura sorpassati?
Perché il malato deve attendere lunghe file nelle strutture pubbliche e al contrario sostenere un esame importante, subito, nelle strutture private?
Perché a volte alcune regioni preferiscono inviare i malati in altre regioni, spendendo di più, e non incrementano le prestazione nelle loro strutture sanitarie?
Perché per sostenere ad esempio lo svuotamento e la ricostruzione di una mammella, in una struttura privata si devono pagare 50 mila euro, mentre in quella pubblica no, ma per l’intervento si devono attendere mesi e mesi?
Uno Stato che fa pagare prestazioni sanitarie, per lo meno quelle essenziali per la sopravvivenza e che non riesce a soddisfare i bisogni dei cittadini malati, a mio avviso non è uno Stato degno di essere chiamato tale.
Ritornando al discorso iniziale, non è umano né giusto che una persona, ammalata di tumore, se non viene aiutata da qualcuno a trovare un suo percorso sanitario e terapeutico, sia abbandonata al suo destino, impazzendo insieme ai suoi familiari su “ IL DA FARSI”.
Il punto cruciale che fa emettere a queste persone ed ai foro familiari grida di dolore, di paura e di rabbia sono proprio queste tre parole: “COSA DEBBO FARE?” “DOVE DEBBO ANDARE?”
Possibile che soltanto se CONOSCI qualcuno che ti sa indirizzare la strada da prendere riesci a barcamenarti più o meno bene e a sentirti un po’ più sollevato?
Per fortuna in questo Paese ci sono ancora molti Operatori sanitari che ricordano il giuramento fatto ad Ippocrate e soprattutto ai malati nel momento essi si rivolgono a loro!
Per fortuna non tutti gli Operatori sanitari sono venali o interessati soltanto alla loro scalata sociale ed economica!
Per fortuna ci sono ancora molti Operatori sanitari che lavorano in silenzio per il malato e non per “DIVENTARE FAMOSI!”
Ed allora è per questo che invito coloro che vogliono raccontarsi e comunicare le proprie storie ad utilizzare la pagina “Testimonianze”per informare, per condividere spaccati di vita molto dolorosi
e soprattutto non sentirsi soli ad affrontare strade tutte in salita, ma anche per INFORMARE. Presto fornirò dettagli del mio sito che è ancora in fase di costruzione.
Un abbraccio a tutti,
ilarì
@ Maria Pace
Grazie per il tuo bel commento, Maria.
@ Giacomo Cardaci
Caro Giacomo, grazie per essere intervenuto ancora. Come hai visto ho aggiornato il post inserendo il tuo video.
A me piace il titolo finale che è stato prescelto per il libro.
Un abbraccio.
Cara Ilarì,
intanto un grande in bocca al lupo per la tua attività di responsabile del Tribunale per i diritti del Malato.
Grazie mille per il tuo commento e per la poesia.
Cara Ilarì, in bocca al lupo anche per il tuo sito in fase di costruzione (mi riferisco al tuo secondo commento). E grazie anche per le tue domande (magari qualcuno potrebbe provare a rispondere).
@Ilari. Hai messo, come si suole banalmente dire, il dito sulla piaga. Hai sviluppato in maniera ampia e dettagliata alcune mie preoccupazioni, riprese anche da Massimo. E cioè il fatto che anche attorno a un problema così drammatico possa innescarsi il business. La sensazione che molte strutture pubbliche non funzionino di proposito per poter dirottare i pazienti sul privato, e la cosa, francamente, mi fa rivoltare lo stomaco. Purtroppo l’uomo (non sempre per fortuna) riesce a distorcere anche i princìpi più nobili in nome del dio denaro. Penso che chi sceglie la professione di medico o di infermiere dovrebbe intenderla come una missione al servizio dei suoi simili; allo stesso modo un politico dovrebbe porsi al servizio della collettività e un sacerdote spogliarsi delle sue vesti terrene per consacrarsi alla parola del Signore. Purtroppo non è così.
Vi racconto un episodio che mi è capitato qualche anno addietro in un ospedale siciliano. Era agosto, si moriva dal caldo, dovevo pagare il ticket prima di effettuare una radiografia. C’era un unico sportello all’interno dell’ospedale e una fila chilometrica. La gente sbuffava spazientita. Senonchè ogni tanto arrivava qualcuno con un bigliettino in mano e scavalcava la fila. “Mi manda suor Celestina” diceva rivolgendosi all’impiegata dello sportello, “la responsabile dell’ufficio”. Uno due, tre, quattro… decisi che suor Celestina non rappresentava più la giustizia divina, nè quella delle anime peccatrici. Possibile che si debbano pure raccomandare le persone per evitare la fila? Imbufalito vado nel suo ufficio e gliene dico di tutti i colori: “Lei deve fare da tramite tra le persone e il Padreterno, non tra i pazienti e la burocrazia, perchè in questo modo tradisce la veste che indossa”. Suor Celestina divenne color viola. Io dovetti rifare di nuovo la fila.
Bentornato, Salvo… e grazie per l’aneddoto.
Ti ri-affido l’animazione del post (per oggi devo chiudere qui).
@Giacomo. Hai una forza dentro prorompente, la capacità di fare autoironia, prerogativa delle persone intelligenti. Il titolo secondo me è azzeccatissimo e se il libro riflette la tua verve sarà sicuramente un libro con i fiocchi. Mi hai incuriosito molto, lo vado a cercare subito in libreria.
Bene Massimo, allora ne racconto un altro: c’è una mia amica che fa il neurochirurgo al “Garibaldi di Catania, persona splendida, mi racconta di bambini con problemi gravi, molti destinati a non farcela. La mia amica dà il suo numero di cellulare alle mamme di questi bambini, in modo che possano contattarla in qualsiasi momento per chiedere consigli, anche quando lei non è in servizio. Il suo cellulare squilla in continuazione, e lei risponde con infinita pazienza a tutti. Ecco, questo è il caso di un medico che ha fatto della sua professione una missione per cui spendersi senza calcoli o limiti di tempo.
Se nel mio primo post ammettevo di aver pubblicato il libro sulla mia malattia, anzi meglio, sulla mia guarigione, con una certa dose di incoscenza e di casualità, oggi di una cosa sono certa: è stata un’ottima scelta!
Non avrei mai immaginato che dal mio libricino potesse venire tanto: tanta umanità vera, tanta riflessione sul senso di un’esistenza che, non potrebbe mai essere completa, se non ne fosse parte anche il dolore.
Con Giacomo condivido l’effetto terapeutico ritrovato nella scrittura. Io ho scritto la mia vicenda in differita, dopo 7 anni e mi è servito a liberarmi dei fantasmi di un dolore che covava, subdolo e micidiale, appesantendomi con la sua apparente inutilità. Tramite questo libro ho trovato, tra lacrime e sorrisi, il senso della sofferenza. Grazie ad ogniuno di voi per aver arricchito questo senso con ogni intervento, esperienza, contributo.
Giacomo, mi piace la tagliente ironia con la quale incidi la superficialità del pietismo che avvolge l’argomento cancro, soprattutto quando colpisce persone giovani. Anch’io me ne sono servita, sviscerando i risvolti anche i più grotteschi, a volte propiamente comici, della malattia. Dobbiamo proprio fare uno scambio di libri!
Ilari, quanta verità nei tuoi post…
Io sono tra quelli che, dalla Sicilia, ha compiuto un viaggio della speranza fino a Milano, per poter essere curata. Penso, però, che le miei vicissitudini siano, ancora una volta, una testimonianza contro corrente. Anzitutto mi fu chiaramente detto che, se avessi voluto sottopormi ad intervento in tempi brevi, avrei dovuto effettuarlo privatamente. Alla fine, com i tempi della mutua, aspettai 20 giorni (…molti meno di quanti me ne avevano prospettati). Sebbene l’ “ospedhotel” nel quale fui operata, fosse una struttura all’avanguardia, sembrava un forno da panificio. Non erano passate neanche 20 ore dall’intervento e mi ritrovai con il foglio di dimissioni in mano ed il mio letto già pronto per essere occupato. Il problema è che tanta fretta, nel mio caso, ha portato a tutta una serie di complicanze: non mi fu prescritta nessuna cura antibiotica, non avevo una fasciatura compressiva, ne un drenaggio. Morale della favola: dopo 10 giorni, mi si riaprì la ferita. Dovetti tornare in ospedale, tutti i giorni, per una settimana per far defluire il grosso edema che si era formato sul fianco; solo allora mi venne prescritta una terapia antibiotica d’urgenza, nonchè una cura per via dell’eccessiva perdita di sangue. Non posso dire che fu il massimo…
Il bello però venne quando l’oncologa mi sottopose la possibilità di scegliere una terapia alternativa alla chemioterapia: una semplice pillolina efficacissima contro le recidive di tumore, che però avrebbe avuto effetti teratogeni (negativi sul feto) per lungo periodo.
Sebbene non avessi in programma un’imminente gravidanza, optai comunque per la chemio…non si sa mai! Il mio sconvolgimento fu totale quando comunicai la mia decisione all’oncologa, giustificandola con la volontà di non mettere a repentaglio la salute di un eventuale figlio futuro; mi venne risposto: “Meglio un figlio malformato che orfano!”
Che colpo basso! Quelle parole minarono il mio equilibrio, già abbastanza provato. Altro che, attenzione per le aspettative di vita e rispetto dei progetti futuri del malato. Il mio ottimismo fu raso al suolo…ma a me non piace vincere facile! Alla fine ho vinto io: il mio trofeo è mia figlia, imprevista e, grazie a quella decisione, sanissima e, ad oggi non orfana!
Caro Salvo, molto bella l’esperienza della tua amica che fa il neurochirurgo al “Garibaldi di Catania”. Sono i medici come lei, che riescono a fare la differenza in positivo.
Alla fine hai vinto tu, Cinzia, sì!
Grazie, ancora una volta, per l’ulteriore testimonianza che hai lasciato nel precedente commento.
@ Cinzia Spadola e Giacomo Cardaci
Se avete in programma presentazioni dei vostri libri (nei giorni, settimane, mesi a venire) vi invito a segnalarle qui.
Dedicata ad una grande donna: Cinzia e a quanti come lei, con coraggio, hanno scelto di lottare per la vita
Il mio amico G: una battaglia per la vita
Il mio amico G. , nonostante curasse le patologie di malati le cui sinapsi non rispondevano più ai ruoli loro stabiliti dalla natura, un giorno di Settembre, quando tutti si preparavano ad affrontare il gelido inverno, scoprì che il suo corpo non era più lo stesso.
In lui alcune delle sue cellule linfatiche erano talmente affamate che, rispetto alle altre, volevano precocemente ingrossare a dismisura.
Il mio amico G. consapevole di ciò che stava avvenendo, iniziò a sentire dentro di sé quelle sensazioni che molti dei suoi pazienti, per altre cause provavano: paura, confusione, insicurezza, sgomento e tanta, tanta rabbia.
Rabbia contro la vita che egli amava molto e che ora sembrava essersi dimenticata di lui.
Dopo i primi giorni trascorsi immerso in una profonda inquietudine, decise di reagire affrontando il male.
Indossata quella corazza che era solito appoggiare sulla sua anima, ogni volta che ascoltava i suoi pazienti per non lasciarsi coinvolgere troppo dalle loro problematiche, il mio amico G. iniziò a sottoporsi diligentemente agli esami di routine: analisi, visite specialistiche, TAC e Risonanza magnetica.
Alla fine, un primo responso: un linfoma maligno era diventato padrone assoluto di una parte del suo corpo.
Esso stava crescendo talmente in fretta che in pochissimi mesi si sarebbe impossessato della sua vita.
Ubriacato da questo verdetto senza possibilità di appello, il mio amico G. vedeva scorrere davanti ai suoi occhi la vita vissuta fino a quel momento: gli affetti, i successi, le gioie, la casa, gli amici.
Poi, proprio come chi improvvisamente perde la vista, si sentì catapultato nel buio e sommerso da esso.
Tutto attorno a lui sembrava tenebroso ed impenetrabile. La luce, sua compagna di sempre, lo aveva lasciato senza preavviso.
Il suo posto venne preso dalla disperazione e da un buco nero che in fretta si impadronì di lui inghiottendolo dentro il suo ventre.
Il mio amico G. non aveva più la forza di ascoltare e di parlarsi, di porsi domande e di trovare risposte adeguate al suo stato.
I secondi, i minuti, le ore ed i giorni trascorrevano all’insegna dell’inerzia e della più completa non curanza di sé e della sua condizione di uomo, di marito, di padre, di amico e di professionista.
Poi, un giorno, la voglia di sopravvivere ad ogni costo si impossessò di lui e lo trascinò via da quella imprudente e fatale pigrizia.
La vita lo richiamava alla vita, ad uscire da quel tunnel che sembrava essere senza vie d’uscita.
La vita lo richiamava a lottare, perché dimostrasse di essere un vero uomo che avrebbe tentato con tutte le sue forze di sconfiggere il suo ospite parassita.
Ed allora ecco che iniziò la battaglia per la vita.
Il mio amico G. spronato da quella forza interiore che sembrava l’avesse abbandonato, decise di non arrendersi. Di non permettere a quel linfoma spietato e famelico di distruggere quelle cellule sane che ancora gli permettevano di mangiare, vedere, parlare, camminare, ascoltarsi ed ascoltare.
E così, un giorno di primavera, si ritrovò su un aereo che lo avrebbe portato a Parigi.
Parigi, città di fascino, di magia, di piacere ma per lui soltanto di dolore.
Destinazione non le meraviglie della città, ma un piccolo albergo vicino all’ospedale di Saint-Louis.
Da quel momento il mio amico G. fece un percorso tutto in salita.
Il suo corpo oramai non era più suo, ma di coloro che lo avrebbero violato, sottoponendolo a diverse prove. L’ultima l’asportazione di un suo organo di forma ovoidale, situato profondamente nell’ipocondrio sinistro della cavità addominale, dietro lo stomaco, subito al di sotto del diaframma.
Un organo non certo vitale, ma non per questo insignificante: la milza abilitata dalla natura a distruggere i globuli rossi alterati o morti, e a produrre i globuli bianchi preposti alla difesa dell’organismo.
Dopo la sua asportazione, il mio amico G. ha iniziato la sua scalata per raggiungere alte cime, ora tempestose, ora bianche ed incontaminate.
Quante sofferenze! Quanta solitudine! Quanta disperazione!
Quell’anima battagliera sembrava stesse ancora una volta per arrendersi, accettando quel corpo stanco e torturato da dosi massicce di chemioterapia.
Una lingua gonfia da non poter far passare nulla, neanche una piccola gocciolina d’acqua o emettere una sola parola.
Quella testa priva di capelli, lucida e di color olivastro, quel corpo indolenzito sembravano non appartenergli più.
Poi, dopo mesi vegetativi, il mio amico G. sentendo al telefono una voce amica che lo supplicava e lo obbligava a combattere e a non lasciarsi morire, ha iniziato a pregustare il sapore della vita.
Aprendo quelle palpebre stanche, un giorno vide scendere lentamente dei candidi fiocchi di neve
sui tetti dell’ospedale di Saint Louis e su Parigi.
Giorno dopo giorno, anno dopo anno, la battaglia contro quel nemico subdolo, chiamato tumore, che ancora purtroppo fa soffrire il corpo e l’anima di molte persone, è continuata alla grande.
E, come un formidabile stratega militare, il mio amico G. a distanza di circa 25 anni, resiste. Resiste ancora.
Da bravo capitano dirige il timone della sua barca verso mari trasparenti e puliti. Verso isole incontaminate dove incantevoli tramonti sposano splendenti aurore che preannunciano giorni intensi di vita. Giorni in cui non c’è più posto per la rassegnazione e per le numerose tempeste esistenziali.
Il mio amico G. sta ancora combattendo i suoi acciacchi, le sue quotidiane battaglie, ma ha la consapevolezza di vincerle tutte, perché lui è un grande a cui si aggrappano tanti deboli.
Lui è indispensabile alla vita che lo ha messo e lo sta mettendo spesso alla prova con le sue trappole invisibili.
Ma, sono certa che il mio amico G. ,oramai forte e coraggioso, saprà schivarle con la sua energia vitale e la sua smisurata voglia di amare il mondo e tutti i suoi esseri e tra essi anche se stesso.
A distanza di tanti anni il mio amico G. sta assaporando a pieno la vita.
ilarì
Ciao Cinzia! Grazie per avermi invitata a scrivere la mia su questo blog…porterò la riflessione un pò “fuori-tema”, però, nonostante che sia una prof. di lettere:-)) Non posso dire nulla sul cancro, ma posso forse portare il mio contributo sull’esperienza della malattia e del dolore. Ci sono momenti in cui la sofferenza, fisica o psichica, ci mette davvero alla prova e dobbiamo aggrapparci con tutte le nostre forze alla voglia di vivere per non sprofondare e gettare la spugna; la rete di amici, quelli veri, quelli scelti nei momenti di maggiore contatto con la parte saggia e creativa di noi stessi, diventa allora fondamentale, come anche quella capacità di cui parlavi anche tu di fidarsi, di lasciarsi andare nelle loro braccia, sicuri che sapranno portarci loro al traguardo. E’ difficilissimo, o almeno così per me è stato e, in parte, lo è ancora, visto che non ne sono fuori al 100%… E’ complicato anche riuscire a trovare i giusti supporti medici che ci possano aiutare, barcamenandoci tra medicina tradizionale, medicina omeopatica, cure alternative, cure olistiche e via dicendo….c’è tanto pressapochismo da un lato e tanto scetticismo da parte della medicina tradizionale nei confronti delle nuove terapie che stanno emergendo e che tentano di far comunicare corpo e mente, fisicità e anima o anche solo di creare una relazione biunivoca tra paziente e specialista. Credo che ci sia da fare ancora tanta strada…e purtroppo la mia storia familiare parla di persone che non ce l’hanno fatta, che hanno scelto di non esserci più o che, comunque, si sono abbandonate agli effetti devastanti della malattia cronica irreversibile. Ogni tanto si, anch’io credo di essere una specie di “miracolo” solo per il fatto di essere ancora qui; ma di tutta questa storia di sofferenza e malattia porto i segni indelebili nell’anima e nel corpo, proprio come hai scritto anche tu di te stessa. Si, certo, c’è la passione per la vita che, non so se per fortuna o per quale altra strana alchimia, riesce ad averla vinta su tutto il resto e a spingermi ancora avanti a fare progetti e a creare…ma a volte mi chiedo quanto durerà e se ce la potrà fare a sopportare ancora un’altra prova se dovesse ripresentarsi. Intanto mi godo questo ritrovato contatto con te, con il tuo libro e con questo blog di persone così sensibili e appassionate….Grazie di avermi coinvolta e grazie di ciò che hai scritto: è davvero una piccola-grande luce di speranza!
Claudia
Ancora un ringraziamento a Ilarì.
Un ringraziamento e un saluto di benvenuto a Claudia Giella.
Gli interventi di Ilari e Claudia, sottolineano l’importanza dell’amicizia; di quella rete invisibile che tessiamo attorno a noi e che, se abbiamo avuto la fortuna di annodare relazioni con persone speciali, diventa fonte inesauribile di gioia di vivere, di forza, di sostegno e calore.
Tra le mie persone speciali c’è sicuramente Claudia, una forza della natura, come può esserlo una margheritina in un immenso prato. Lei non sa di essere una coraggiosissima margheritina soffocata com’è dall’erba prepotente, e non conosce la grande forza della sua delicatezza.
Ci vediamo a Milano Claudia!
Cinzia
Carissimo Massimo,
colgo al volo l’occasione per segnalare la prossima presentazione del mio libro.
Sabato 8 maggio, ore 18.00, presso la libreria “Utopia” di via della Moscova, 52 a Milano.
Sarebbe bellissimo incontrare di persona qualcuno dei partecipanti a questo blog…mi sentirei in famiglia!
Uno su mille ce la fa! Ben venga, ma chi è così fortunato o protetto dalla Provvidenza ,come dir si voglia , la smetta di infierire con queste “belle parole” che danno una pseudo-speranza a chi , invece, sa benissimo di non potercela fare. Il cancro UCCIDE ancora e non è con la semplice ” voglia di non arrendersi” che si riesce a sconfiggere una malattia tanto violenta quanto letale. La realtà ha una luce ben diversa ed è quella che deve emergere sopra le righe di questa sorta di slogan ottimista ” CREDERCI SEMPRE , ARRENDERSI MAI” a tutti i costi. Si deve sperare piuttosto nella ricerca , adoperarsi affinchè la medicina faccia passi da gigante e mettere da parte le ” vane illusioni” che attanagliano ancora di più i malati terminali e che li fanno sprofondare,qualora non fosse abbastanza,nel dolore e nella sofferenza più totale. Salute all’ ” UNO SU MILLE CHE CE L’HA FATTA “, rispetto però, ai ” NOVECENTONOVANTANOVE” consapevoli, invece, che la loro vita terminerà presto.
Caro Anonimo, grazie per essere intervenuto e per averci offerto il suo punto di vista.
Le garantisco, però, che qui nessuno vuole né “infierire” né “illudere” nessuno. Se scorre i commenti, noterà che – oltre a storie di chi ce l’ha fatta – sono state raccontate storie di chi non ce l’ha fatta. In entrambi i casi, però, lo spirito è stato quello della condivisione delle esperienze.
Ci auguriamo tutti che la medicina possa fare passi da giganti e che questo terribile male, che (come lei giustamente mette in evidenza) continua a mietere vittime, possa essere debellato.
Al momento, tuttavia, l’unica vera strategia in nostro possesso per contrastarlo è quella della prevenzione. E questo è stato più volte ribadito nell’ambito della discussione sia da me, sia da altri.
Ancora grazie per il suo intervento.
@ Cinzia
In bocca al lupo per la presentazione dell’8 maggio. Tienici aggiornati.
Questa sera sono molto triste, anzi tristissima in quanto un altro uomo-combattente sta morendo di cancro e la famiglia, nonostante si sia data da fare per risolvere e poi pian piano tamponare gli effetti della malattia, si sta arrendendo alla morte. Purtroppo le difficoltà che stanno incontrando sono enormi, perchè soli a gestire questa situazione ingestibile.
E’ disumano ed incivile che nelle società occidentali, dove regna il benessere, per pochi, ci siano molte persone che debbono arrangiarsi per far morire dignitosamente i propri cari.
Queste società non hanno più nulla di umano e di solidale, la sofferenza degli altri non interessa; è scandaloso che in queste società dove deve regnare l’ottimismo a tutti i costi e si deve ridere, sempre, per morire bisogna incontrare le persone “giuste”.
Queste società anche se mi fanno veramente ribrezzo spero ancora che si possano cambiare per difendere i diritti della gente comune che non ha santi in paradiso.
By, ilarì
Enrico, uomo-combattente è morto sabato, dopo aver lottato dignitosamente come un leone per sconfiggere il cancro. Anche se alcuni medici più di un anno fa gli avevano detto che se si fosse sottoposto a interventi chirurgici e chemioterapie, ciò sarebbe stato solo un accanimento terapeutico, lui ha preferito non arrendersi e vivere ancora un anno.
Il suo ricordo, unitamente a quello dei molti miei amici che sono stati stroncati da questo subdolo mostro, sarà indelebile e mi insegnerà a combattere perchè le persone malate di tumore possano morire senza soffrire e con dignità, su tutto il territorio italiano. Bisogna inoltre pretendere che il personale sanitario preposto ad assistere un malato di cancro sia umano e preparato professionalmente e non che non lo consideri un malato terminale da “spazzar via il prima possibile”
Enrico, uomo-combattente è morto sabato, dopo aver lottato dignitosamente come un leone per sconfiggere il cancro. Anche se alcuni medici più di un anno fa gli avevano detto che se si fosse sottoposto a interventi chirurgici e chemioterapie, ciò sarebbe stato solo un accanimento terapeutico, lui ha preferito non arrendersi e vivere ancora un anno.
Il suo ricordo, unitamente a quello dei molti miei amici che sono stati stroncati da questo subdolo mostro, sarà indelebile e mi insegnerà a combattere perchè le persone malate di tumore possano morire senza soffrire e con dignità, su tutto il territorio italiano. Bisogna inoltre pretendere che il personale sanitario preposto ad assistere un malato di cancro sia umano e preparato professionalmente e che non lo consideri un malato terminale da “spazzar via il prima possibile”
Ciao Ilari, grazie per essere intervenuta. Sono d’accordo con te.
E grazie per averci accennato della storia di Enrico, e della sua battaglia.
il cancro continua a bussare, perchè noi non lo affrontiamo più?
Caro Massimo, ritengo che non si debba abbassare la guardia neanche su questo fronte, dove ogni giorno questo nemico lascia morti su varie trincee italiane e straniere. Dobbiamo parlarne, sempre, anche se capisco che questo è un tema non molto allettante e gettonato, proprio perchè intimorisce, terrorizza e intristisce gli animi. Ma, a mio avviso ce lo reclamano coloro che hanno lottato sino alla fine : i tanti Enzo, Enrico, Valeriana, Daniela ecc.., e noi non dobbiamo dimenticarli, mai.
ilarì
Il cancro è un vampiro che succhia la vita. Noi crediamo che esso non verrà mai a trovarci, ma può darsi che è dentro di noi, e noi non lo sappiamo fino a quando non indosserà il suo abito nero e avvolgerà il nostro corpo col suo mantello, impossessandosene senza aver chiesto alcuna autorizzazione.
Sono disposta ad ascoltare quanti vorranno affrontare questo tema, anche in piena estate.
By, ilarì
Dio mio.
x Sergio
Se la tua espressione “Dio mio”era rivolta al mio commento, rileggendolo mi sono accorta di essere stata molto lugubre, anzi troppo lugubre. Ma, devi sapere che in questi anni ho visto morire di cancro troppe persone amiche. Per questo ritengo che dobbiamo far sì che questa malattia non spaventi più delle altre.
Se ne parleremo con normalità, sono certa che pian piano essa verrà affrontata diversamente. In questo è doveroso l’impegno non solo di chi è ammalato, ma anche degli operatori sanitari.
Mi scuso ancora per essermi espressa con un tono nero, nero.
By, ilarì
Grazie Ilarì… ne abbiamo discusso anche per questo.