Oggi, 18 giugno 2010, è morto José Saramago. È spirato nella sua casa di Lanzarote, a causa di una leucemia cronica. L’orologio segnava all’incirca le ore 13, quando se n’è andato. Accanto a lui, la moglie Pilar del Rio.
Del trapasso del grande scrittore portoghese, premio Nobel per la Letteratura, se ne sta discutendo un po’ ovunque.
Vorrei ricordarlo anche qui, a Letteratitudine. E vorrei farlo insieme a voi, con il vostro supporto.
Il lascito letterario di Saramago è enorme: una grandissima eredità, quella incastonata nei suoi testi.
Fra i tanti, quello che ho amato di più è Cecità (il suo romanzo più celebre).
Un libro su come sarebbe il mondo se non vi fosse luce nei nostri occhi e nei nostri cuori. Un libro metaforico, che – nel buio – fa luce su noi stessi, sulle nostre meschinità, sulla nostra difficoltà a essere solidali.
Vorrei che ricordaste Saramago, lasciando un vostro pensiero… magari con riferimento alle sue opere o alla sua vita (o inserendo citazioni che vi hanno colpito).
Anche questo è condividere, per noi che amiamo i libri e la letteratura.
Vi ringrazio in anticipo.
Massimo Maugeri
P.s. di seguito, un articolo preso in prestito da La Stampa. Il post sarà aggiornato con eventuali interventi di scrittori e addetti ai lavori che invieranno i loro contributi per posta elettronica.
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Il mio generoso amico Saramago, un uomo agli albori dell’umanità
da La Stampa.it
di GIANCARLO DEPRETIS *
* Prof. Ordinario di Letteratura spagnola Università di Torino
A mezzogiorno di oggi, nel momento più luminoso della giornata, José ci ha dato l’ultimo saluto. Si è congedato silenziosamente da me e dall’altro suo amico il poeta Pablo Luis Ávila ammutolito e sicuramente sconcertato, lui che sorvolava oceani ritrovandosi in altre terre dove migliaia di uditori, aggruppati in teatri e sovente negli stadi, avvaloravano i suoi principi rigorosi e universali con grande umanità. Generosità umana, percepibile nei suoi scritti, ma che solo nell’intimità di una fraterna frequentazione può rivelarsi senza riserve a chi gli è stato amico da tanti anni: un’innocenza commovente che lo poneva agli albori dell’umanità.
José Saramago, ancor prima di cedere la sua corona d’alloro (sono sicuro che per lui si trattava della stessa corona di fieno alla quale alludeva Agostino d’Ippona) al premio Nobel, aveva da sempre battagliato con lucidità e passione, con i suoi romanzi ma anche con articoli, lezioni universitarie (qui a Torino, dove gli venne conferita la sua prima laurea honoris causa, nelle aule universitarie era di casa), testi pronunciati in congressi, per l’idea di libertà e giustizia in senso prammatico. Tropi e allegorie che vivacizzano i suoi scritti, traducevano direttamente il lettore o ascoltatore a riconoscersi nei grovigli grotteschi ed artificiosi della propria esistenza condizionata da spazi siderali oscuri. La storia, poi, non è altro che il presente con le sue iniquità e fraintendimenti ancora da sanare. Tuttavia non va interpretata la visione di José Saramago sotto un’angolatura pessimista. Pretende, al contrario, essere una confortante e lucida documentazione degli eventi umani e delle sue contraddizioni: uno specchio non deformante in cui guardarci per trovare possibili soluzioni.
Ricordo che ancor prima del fluire impetuoso dei suoi romanzi a partire dal 25 aprile del 1974, sebbene la loro gestazione fosse già in movimento, José Saramago aveva affidato le sue parabole portatrici di fantasia, compassione ed ironia al genere poetico dove già risultava comprensibile una realtà sempre sfuggente. Sono le raccolte Os poemas possíveis (1966) e Provavelmente alegria (1970) la cui antologizzazione in lingua italiana e spagnola, apparsa con il titolo Scolpire il verso (2002), sottolinea la comune vicinanza culturale dei poeti invitati a ri-crearsi con Saramago, un premio Nobel che si concesse in amicizia ad una piccola, anche se prestigiosa, casa editrice italiana. Tra questi poeti mi viene istintivo riprodurre il testo “io dico pietra” con l’eco della voce dell’amico Sanguineti: “io dico pietra, e dico questa pietra / e questo peso, e dico acqua, e la pallida / luce degli occhi vuoti, e i millenari / fanghi di rimembranze, e dico le ali / fulminate: io dico cose a caso: / e dico terra e guerra, e questo fondo, / e sole e cielo, io che dico messaggi, / e notte senza rotta, interminabile: / dico rami ritorti e ombrosi: io dico / pietra, ma pietra dentro, dove è cruda: / io dico tempo, corde, anima molle, / rose sgozzate: e dico morte: e dico / la mia faccia scomposta, rasa e rosa”. Individuata la pietra, per Saramago non è stato difficile scolpire la parola, l’invettiva, la cordialità e persino il silenzio. Grazie alle sue lezioni di etica solidale, la sua parola e il suo silenzio li portiamo nel cuore come una perenne presenza alla quale aggrapparci nei momenti di sconforto.
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Il post sarà aggiornato con gli interventi di scrittori e addetti ai lavori che invieranno i loro contributi per posta elettronica.
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L’OPINIONE DI ROMANA PETRI
Nessuno è profeta in patria, questo lo sappiamo tutti. Anche Saramago, dunque, unico premio Nobel portoghese, se n’è dovuto andare a vivere nelle Canarie dopo le tempeste che suscitò il suo vangelo. Oggi Cavaco Silva la piange pubblicamente. Solo ieri, invece, metteva un veto a tutto ciò che lo riguardava. Certo i portoghesi illuminati lo amavano moltissimo, ne erano fieri. Quella borghesia piccola piccola, invece, lo ha sempre guardato dall’alto in basso, con quell’ottusa arroganza che solo gli incolti, e magari pure i nuovi ricchi, sanno mostrare verso ciò che è per loro alto e irraggiungibile. Tutto, sì… riesco – anche se a fatica – a capire tutto, ma non un “diselogio” funebre come quello che è uscito ieri, 19 giugno, sull’Avvenire. Posso capire, dissentire con le opinioni politiche e morali di uno scrittore (sebbene farne uso proprio a 24 ore dalla sua morte continui a sembrarmi cosa di cattivo gusto), ma arrivare a dire che anche come scrittore non valeva niente, mi sembra un’esagerata follia… un abuso di rabbia covata, una mancanza di rispetto umano e… chiedo scusa, davvero pochissima capacità di discernere la grandezza dalla banalità. Sì, perché per quello che riguarda Saramago di grandezza conclamata si parla. Certo, si può sempre dire che so “è bravo ma non è il mio genere”, su questo chi vorrebbe mai discutere? Ma dire ” Ci sono scrittori che, per essere al centro dell’attenzione mediatica e per distogliere il giudizio dalla poco rilevante qualità delle loro opere…” e intitolare l’articolo con un offensivo “La prosa debole dell’ateo”, mi sembra davvero di un cattivo gusto senza limite.
Anche tra i Nobel c’è differenza. Non possiamo farci nulla, ma è così. Ci sono quelli di una sola stagione e quelli che restano per sempre. E Saramago è stato e sarà un Nobel per sempre, un indimenticabile. Se ci mettiamo a fare un gioco e diciamo, senza guardare su internet, i nomi più famosi dei Nobel dal 1980 ad oggi, a parte gli ultimissimi che tutti ricordiamo per forza, quanti altri verranno subito in mente? Marquez, certo, come dimenticarlo? A noi italiani Dario Fo (chi a favore, chi meno)… e poi lui, Saramago, perché era un Nobel pienamente meritato, perché il mondo intero si è commosso davanti alle sue bellissime storie, al linguaggio ricercato e semplice insieme, a quella punteggiatura che era solo musica.
Era un uomo acuto, con due parole sapeva mettere a posto chiunque. Perché attaccarlo proprio ora che non può rispondere?
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Romana Petri: scrittrice, traduttrice, editrice è tra i principali conoscitori e divulgatori italiani della letteratura portoghese.
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Oggi, 18 giugno 2010, (già ieri, data l’ora in cui scrivo) è morto José Saramago.
È spirato nella sua casa di Lanzarote, a causa di una leucemia cronica. L’orologio segnava all’incirca le ore 13, quando se n’è andato.
Accanto a lui, la moglie Pilar del Rio.
Del trapasso del grande scrittore portoghese, premio Nobel per la Letteratura, se ne sta discutendo un po’ ovunque.
Vorrei ricordarlo anche qui, a Letteratitudine. E vorrei farlo insieme a voi, con il vostro supporto.
Il lascito letterario di Saramago è enorme: una grandissima eredità, quella incastonata nei suoi testi.
Fra i tanti, quello che ho amato di più è “Cecità” (il suo romanzo più celebre).
Un libro su come sarebbe il mondo se non vi fosse luce nei nostri occhi e nei nostri cuori. Un libro metaforico, che – nel buio – fa luce su noi stessi, sulle nostre meschinità, sulla nostra difficoltà a essere solidali.
Vorrei che ricordaste Saramago, lasciando un vostro pensiero… magari con riferimento alle sue opere o alla sua vita (o inserendo citazioni che vi hanno colpito).
Anche questo è condividere, per noi che amiamo i libri e la letteratura.
Vi ringrazio in anticipo.
Sul post, come avete visto, ho pubblicato un articolo preso in prestito dagli amici de “La Stampa”.
Carissimo Massimo,ho appena scritto che desideravo volgere un pensiero al grande scrittore Saramago scomparso- nel post sui racconti…-ed ho anche detto, essendo perfettamnete in sintonia col tuo pensiero, che ho amato in modo morboso il suo Cecità.Un libro che mi ha sconvolta,affascinata,spaventata,e che ha fatto fatica a lasciarmi anche dopo che l’avevo terminato.Una storia che mi ha scavato dentro,facendomi impressionare,pensare e dubitare come le grande storie sanno fare.Immagini che di tanto in tanto mi tornano alla mente in situazioni apparentemente distanti da quelle del libro,ma che in realtà mi riportano alla profonda verità del libro di Saramago.Facile perdere quella luce che ci fa sentire empatia per l’altro,che ci ricorda che la vita vissuta soltanto per noi stessi è come una morte anticipata.Una vita senza amore universale e coscienza di essere nella specie umana è una vita bassa,nel senso più vero,che non permette all’animo umano di conoscere alcun sentimento che possa elevarlo.Eppure stentiamo a ricordarcene,perchè è fra gli uomini ciechi e spesso incapaci di udire l’umanità dell’altro che ogni giorno ci muoviamo.
Grande grande Saramago.
Grazie, cara Fran.
Credo che “Cecità” sia uno di quei libri terribili che tutti dovrebbero leggere.
Per oggi chiudo qui.
Auguro a voi tutti una serena notte.
Caro Massimo,mi piacerebbe anche ricordare la tecnica usata da Saramago per raccontare la cecità bianca in cui vengono immersi gli individui protagonisti della storia: nessuno nome per i protagonisti e nessun dialogo virgolettato così da far camminare il lettore a tentoni fra una frase e l’altra ,urtando contro immagini e sensazioni proprio come fossimo ciechi in un cammino senza riferimenti. Nessun libro mi ha mai emozionata in modo così carnale come se le parole lette ti restassero appiccicate addosso, sulla pelle,nella testa e nel cuore.Anche il fastidio,il turbamento e l’angoscia che cresce nella lettura che prosegue, sono frutto di un’opera vera che quando termini di leggere ti lascia una gran voglia di andare a stringere la mano all’autore.Ecco,stringo la mano con il pensiero più ammirato a quest’uomo grande artista che non c’è più.
una buona notte a voi tutti,a Massimo speciale.
Per chi avesse desiderio, inserisco il link dell’intervista a Saramago fatta dalla Dandini a Parla con me nello scorso ottobre, dove lo scrittore discute di diversi temi, anche di politica, ma soprattutto di libertà.In questi giorni, in cui la libertà di stampa è messa a rischio dal DDL sulle intercettazioni e la limitazione della libertà di stampa,è bello sentire dire che più si diventa “vecchi” più si dovrebbe essere liberi.
Qui l’intervista:
http://www.ilpost.it/2010/06/18/jose-saramago-nellintervista-di-serena-dandini/
Vi ricordo che Saramago in tarda età ha anche aperto un blog,Il Quaderno, dove ha pubblicato i suoi pensieri, le sue diagnosi, le sue spietate e lucide analisi, poi usciti su carta per Bollati Boringhieri Editori, con prefazione di Umberto Eco. Ne consiglio vivamente la lettura.
Da Cecità:
“I buoni e i cattivi risultati delle nostre parole e delle nostre azioni si vanno distribuendo, presumibilmente in modo alquanto uniforme ed equilibrato, in tutti i giorni del futuro, compresi quelli, infiniti, in cui non saremo più qui per poterlo confermare, per congratularci o chiedere perdono.”
E con questa citazione di Saramago vi lascio per stanotte.
Da qualche parte in casa abbiamo il suo racconto ”L’anno mille993”. Lo lessi diversi anni fa e tanto basta per lasciare qui l’amaro ricordo di un vero talento letterario.
Un talento letterario, Saramago, voglio dire, perche’ scrittore operante, continuamente, partendo da una chiara – per quanto complessa – base d’ordine morale. Gli autori di oggi, invece, in gran parte, non sono in possesso di fondamenti etico-morali altrettanto evidenti, sentiti e netti. Ecco la sua profonda diversita’ dal brusio di fondo della letteratura odierna. Non il solo, certo, ma il principale e piu’ lampante.
io dico pietra, e dico questa pietra e questo peso, e dico acqua, e la pallida luce degli occhi vuoti, e i millenari fanghi di rimembranze, e dico le ali fulminate: io dico cose a caso: e dico terra e guerra, e questo fondo, e sole e cielo, io che dico messaggi, e notte senza rotta, intermi…nabile: dico rami ritorti e ombrosi: io dico pietra, ma pietra dentro, dove è cruda: io dico tempo, corde, anima molle, rose sgozzate: e dico morte: e dico la mia faccia scomposta, rasa e rosa” (Josè Saramago)…
Un grande della letteratura mondiale e non solo…
I suoi libri hanno dato luce nuova ai miei occhi…
” Il mondo è pieno di ciechi vivi…” scriveva Saramago in “Cecità”.
Credo che pochi scrittori abbiano saputo cogliere, interpretare e denunciare l’umana cecità con la stessa efficacia e immediatezza di Samarago.
Siamo ciechi, perché vogliamo esserlo, perché non vedere e soprattutto non guardare rende il nostro cammino di uomini meno complesso e accidentato: siamo figli dell’indifferenza.
“Il viaggio non finisce mai. Sono i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione.” (“Viaggio in Portogallo”).
Samarago è un attento viaggiatore che non finisce, ma si prolunga grazie al patrimonio umano e letterario che ci lascia.
Cerchiamo di farne buon uso.
Grandissima perdita quella di Saramago. “Cecità” è un libro terribile, ma immenso. Ho amato anche il suo seguito “Saggio sulla lucidità”, opera non altrettanto grande, anzi, decisamente minore, ma di piacevole lettura. Un seguito più “politico” (e come tale riveste un aspetto più limitato, meno “universale” rispetto al precedente), dove dagli ex-ciechi nasce e si propaga nella stessa città in modo spontaneo e inconsapevole un sabotaggio alle elezioni, votando in massa “scheda bianca”. E gettando il potere nello scompiglio, costringendolo a usare autoritarismo e forze militari. Una parabola. Che continua ad affascinarmi di fronte alla penosa situazione attuale dell’Italia.
“Se Cicerone vivesse ancora tra voi, italiani, non direbbe: “Fino a quando, Catilina, abuserai della nostra pazienza?”, ma piuttosto:“Fino a quando, Berlusconi, attenterai contro la nostra democrazia?”. Si tratta di questo. Con la sua particolarissima opinione sulla ragione d’essere e il significato dell’istituzione democratica, Berlusconi ha trasformato in pochi anni l’Italia nell’ombra grottesca di un Paese e una grande parte degli italiani in una moltitudine di burattini che lo seguono trascinandosi e senza rendersi conto di camminare verso l’abisso della dimissione civica definitiva, verso il discredito internazionale, verso il ridicolo assoluto.
Con la sua storia, la sua cultura, la sua innegabile grandezza, l’Italia non merita il destino che Berlusconi ha tracciato con cinica freddezza e senza la minima traccia di pudore politico, senza il più elementare senso di vergogna per se stesso. Mi piace pensare che la gigantesca manifestazione di oggi contro la “cosa” Berlusconi, durante la quale verranno lette queste parole, si trasformerà nel primo passo verso la libertà e la rigenerazione dell’Italia. Per fare questo non sono necessarie armi, bastano i voti. Ripongo in voi tutta la mia speranza”.
dal Caderno, 12.07.2009
ricordo questo perché dai romanzi di saramago è difficile trarre un passo senza rischiare di perdere il senso, dato il tessuto continuo di richiami che ne mettono in luce la verità e la grandezza. scelgo questo contro la pusillanimità e il salottierismo di tanti scrittori e intellettuali italiani che non fanno che ribadire che “primaditutto” uno scrittore deve scrivere buoni romanzi. con il che i codardi, gli happyhouristi intanto scrivono, tra l’altro, pessimi romanzi, e il paese è quello che è.
Ricordo da O Caderno de Saramago ” Fino a quando o Berlusconi, abuserai della nostra pazienza?”
Muore la voce che si specchiava nell’uomo, che preferiva sporcarsi le mani, attraversare la vita denunciandola e offrendosi a sferzate e ferite. Non taceva neanche quando gli si rivoltava contro, neanche quando alludeva a posizioni e ruoli, semplicemente narrando e, nel narrare, sovvertendo, rivelando, così come deve fare la scrittura se è attraversamento: la più grande e folle amante della verità.
Io che del Vangelo amo ogni sillaba, che credo nel Cristo donatoci e ridonatoci attraverso la resurrezione, non ho potuto – comunque – non innamorarmi del Gesù di Saramago che affonda nella carne. Della sua innocenza originaria e indifesa. Del suo essere bambino in un feroce assalto dell’ombra e della colpa. Della sua perplessità nel conoscere il bene, e il male, e l’ambiguità di entrambi nel pensiero dell’uomo.
Non muore, in verità, Saramago. A Lanzarote, che, pure, è un’isola nata da cenere e da un rigurgito di vulcano, dove affondare i piedi vuol dire calpestare il fuoco a stento trattenuto, non ci sarà tomba.
«I viaggiatori possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero.» Josè Saramago
Il guaio Massimo è che non ho parole.
Io ho amato moltissimo Saramago. Come faccio sempre quando ho una fulminazione letteraria, io ho passato un periodo in cui ho letto tutto il Saramago tradotto disponibile, fino a raggiungere il punto di saturazione – che mi combacia sempre col punto di comprensione e di sussunzione. Memoriale del convento è il mio libro del comodino – il mio Saramago storico, e magico, e immaginifico, e quel modo di incastrare la prosa e i pensieri nella narrazione, scavalcando le distinzioni tra discorso diretto e indiretto. Il vero flusso di coscienza della realtà romanziera che si narra e che tutto impasta.
“Una volta mi disse che le persone più sagge che avesse mai conosciuto erano i suoi nonni analfabeti. Mi mancherà questa semplicità” afferma Roberto Saviano nell’ articolo di Miguel Mora, El Páis, 19 giugno 2010
bellissimo il pensiero di Saviano: non serve avere un livello culturale di spessore per rimpiangere la scomparsa di un Grande…
Ho percorso in lungo e in largo la sua terra sulle tracce delle storie del suo “Viaggio in Portogallo”. Al termine del mio pellegrinaggio, a Lisbona, durante una fiera del libro, ho avuto persino il piacere di stringergli la mano e di ringraziarlo per l’emozione che avevo provato grazie a lui.
Mi sarebbe piaciuto conoscerlo…
Ho letto “Il Vangelo secondo Gesù” e pur non condividendo la lettura che Saramago fa della figura di Cristo ho ammirato la grandezza di questo scrittore, il suo coraggio e la sua lucidità intellettuale.
Bloom, il grande critico, ha ragione nel dire che Saramago apparteneva a una schiera di scrittori in via di estinzione.
Ho letto Cecità e questo libro mi è rimasto in testa. La storia, le parole, la vita che Saramago ha messo nelle sue pagine sono analisi profondissime della natura più intima degli uomini, delle dolorose debolezze con cui convivere…senza potervisi sottrarre
Fra tutti i romanzi di Saramago che ho letto mi piace ricordare “Cecità”, una grande metafofora di una certa condizione umana che teme e avversa tutto ciò che non capisce e sovverte gli schemi più comuni e semplici del pensiero.
Saramago disturba anche nel giorno della sua morte.
Con la consueta carità cristiana che accompagna i defunti nell’aldilà “L’Osservatore Romano”, organo di stampa del Vaticano, pubblica oggi un durissimo articolo contro Saramago.
*
Nell’estate di quasi dieci anni fa ho visitato in Portogallo, a Mafra, il convento (con all’interno una magnifica biblioteca, con i suoi 40.000 volumi sistemati in splendide scaffalature di legno) di cui si parla in “Memoriale del convento”: un viaggio multidimensionale, nella realtà di quei miei giorni e nella realtà letteraria.
« Il Maestro è uno degli ultimi titani di un genere letterario in via di estinzione »
(Harold Bloom su Saramago, Il genio, BUR, 2003)
José de Sousa Saramago – pron. ʒuˈzɛ sɐɾɐˈmaɡu – (Azinhaga, 16 novembre 1922 – Tías, 18 giugno 2010) è stato uno scrittore, poeta e critico letterario portoghese, premio Nobel per la letteratura nel 1998.
Il padre di Saramago, José de Sousa, era un agricoltore, che si trasferì con la famiglia a Lisbona nel 1924, dove trovò lavoro come poliziotto. Il fratello minore di Saramago, Francisco, morì a soli due anni, pochi mesi dopo l’arrivo a Lisbona.
A causa delle difficoltà economiche, Saramago fu costretto ad abbandonare gli studi all’Istituto Tecnico. Dopo occupazioni precarie di ogni tipo, trovò un impiego stabile nel campo dell’editoria e per dodici anni lavorò come direttore di produzione.
Saramago sposò Ida Reis nel 1944. La loro unica figlia, Violante, nacque nel 1947.
Nel 1947 scrisse il suo primo romanzo Terra del peccato (che in seguito ripudiò come un figlio scapestrato), ma il dittatore del Portogallo, Salazar, a cui Saramago si era sempre opposto tenacemente e dal quale era sempre stato pesantemente censurato nella propria attività giornalistica, non l’accolse benevolmente. S’iscrisse clandestinamente al Partito Comunista portoghese nel 1969, riuscendo sempre ad evitare di finire nelle mani della polizia politica del regime.
Durante gli anni sessanta riscosse molto successo la sua attività di critico letterario per la rivista Seara Nova. La sua prima raccolta di poesie I poemi possibili risale a quegli anni, precisamente al 1966.
Negli anni settanta diventò direttore di produzione per una casa editrice e, dal 1972 al 1973, curò l’edizione del giornale Diario de Lisboa. In quegli stessi anni pubblicò diverse poesie, Probabilmente allegria (1970), diverse cronache, come Di questo e d’altro mondo (1971), Il bagaglio del viaggiatore (1973) e Le opinioni che DL ebbe (1974), ma anche testi teatrali, romanzi e racconti.
Dal 1974 in poi, in seguito alla cosiddetta “Rivoluzione dei garofani” Saramago si dedicò completamente alla scrittura e gettò le fondamenta di quello che può essere definito un nuovo stile letterario ed una nuova generazione post-rivoluzionaria.
Saramago pubblicò qualche anno dopo, nel 1977, il romanzo Manuale di pittura e calligrafia e, nel 1980, Una terra chiamata Alentejo. Il successo arrivò, però, con Memoriale del convento (1982). Nello spazio di pochi anni videro la luce altre due opere importanti, L’anno della morte di Ricardo Reis e La zattera di pietra, che gli varranno, oltre al successo di pubblico, numerosi riconoscimenti della critica.
Il riconoscimento a livello internazionale arrivò solo negli anni novanta, con Storia dell’assedio di Lisbona, una delle più belle storie d’amore mai scritte, il controverso Il Vangelo secondo Gesù Cristo e Cecità.
Nel 2002 fu eletto presidente onorario dell’Associazione Luca Coscioni (associazione Radicale) per la libertà di ricerca scientifica.
Saramago è morto il 18 giugno 2010 intorno alle 13,00 nella sua residenza di Tías, nelle Isole Canarie
*Il rapporto con la religione*
Le sue posizioni sulla religione (si è dichiarato ateo) hanno suscitato notevoli controversie in Portogallo. Dopo la pubblicazione de Il Vangelo secondo Gesù Cristo, le aspre critiche rivoltegli lo indussero a lasciare il paese per vivere alle Canarie. Di nuovo, nel 2009, con l’uscita del suo ultimo romanzo Caino, Saramago si trovò a polemizzare con la chiesa cattolica portoghese, criticando la Bibbia, poiché descrive un Dio «vendicativo, rancoroso, cattivo, indegno di fiducia».
*Le accuse di antisemitismo*
Nel commentare il conflitto israelo-palestinese, Saramago aveva recentemente affermato che gli ebrei non si meriterebbero più «comprensione per le sofferenze patite durante l’olocausto. Vivere nell’ombra dell’olocausto ed aspettarsi di essere perdonati di ogni cosa che fanno, a motivo della loro sofferenza passata, mi sembra un eccesso di pretese. Evidentemente non hanno imparato molto dalla sofferenza dei loro genitori e dei loro nonni». La Lega per l’Anti-Diffamazione (ADL), potente associazione lobbistica ebraica per i diritti civili, ha definito queste affermazioni anti-semite. Abraham Foxman, presidente dell’ADL, ha dichiarato: «I commenti di José Saramago sono sovversivi e profondamente offensivi, oltre a dimostrare l’ignoranza relativa agli argomenti che porta a sostegno dei suoi pregiudizi nei confronti degli ebrei».
Saramago dichiarò, per contro, che i suoi commenti erano diretti alla politica dello Stato di Israele nei confronti dei palestinesi. Sostenne che Israele non poteva affermare di rappresentare legittimamente il giudaismo a livello mondiale e che stava usando le accuse di anti-semitismo per sminuire qualsiasi critica riguardante azioni ingiustificabili e che sarebbero considerate inaccettabili se perpetrate da qualsiasi altro Stato medio-orientale. Tutto ciò è spiegato in questa lettera scritta con altri intellettuali:
« Una lettera di John Berger, Noam Chomsky, Harold Pinter, José Saramago, Gore Vidal
Il capitolo più recente del conflitto tra Israele e Palestina è iniziato quando effettivi israeliani hanno prelevato con la forza da Gaza due civili, un medico e suo fratello. Di questo incidente non si è parlato da nessuna parte, eccetto sulla stampa turca. Il giorno dopo i palestinesi hanno catturato un soldato israeliano proponendo uno scambio con i prigionieri in mano agli israeliani: ce ne sono circa 10 mila nelle carceri di Israele.
Che questo “rapimento” sia ritenuto un’atrocità, mentre si considera un fatto deplorevole ma che fa parte della vita che le Forze di Difesa Israeliane esercitino l’illegale occupazione militare della Cisgiordania e l’appropriazione sistematica delle sue risorse naturali, in particolare dell’acqua, è tipica della doppia morale usata con ricorrenza dall’Occidente di fronte a quanto sopravvenuto ai palestinesi, negli ultimi settanta anni, nella terra assegnata loro dai trattati internazionali.
Oggi, all’atrocità segue un’altra atrocità: i razzi artigianali si incrociano con i sofisticati missili. Questi ultimi hanno il loro bersaglio dove vivono i poveri ed i diseredati che aspettano l’arrivo di quello che qualche volta si è chiamata giustizia. Entrambe le categorie di proiettili lacerano i corpi in maniera orribile; chi, salvo i comandanti in campo, può dimenticare questo per un momento?
Ogni provocazione ed il suo contraccolpo vengono impugnati e sono motivo di sermoni. Ma gli argomenti che seguono, accuse e solenni promesse, servono solo da distrazione per evitare che il mondo presti attenzione ad uno stratagemma militare, economico e geografico di lungo termine il cui obiettivo politico non è niente di meno che la liquidazione della nazione palestinese.
Questo bisogna dirlo forte e chiaro perché lo stratagemma, solo per metà manifesto, ed a volte occulto, avanza molto rapidamente nei giorni che passano e, secondo la nostra opinione, dobbiamo riconoscerlo quale è, incessantemente ed eternamente, ed opporci ad esso.
Mieussy, Francia
23 luglio 2006 »
*La polemica sulle vignette anti-islamiche*
Nel 2007 José Saramago fu al centro di numerose critiche relative all’atteggiamento tenuto nei confronti delle reazioni verificatesi in alcuni paesi musulmani, dopo la pubblicazione da parte di un quotidiano danese di alcune vignette satiriche antiislamiche.
Saramago si pronunciò in questo modo:
« quello che mi ha davvero spiazzato è l’ irresponsabilità dell’ autore o degli autori di quei disegni. Alcuni ritengono che la libertà di espressione sia un diritto assoluto. Ma la cruda realtà impone dei limiti »
parole che da più parti vennero ritenute quantomeno in disaccordo con l’abituale atteggiamento senza compromessi tenuto dallo scrittore portoghese nei confronti della religione cristiana.
*L’iberismo*
Saramago è stato un convinto sostenitore dell’iberismo (cioè la necessità di avere un’unica entità politica nella penisola iberica). A luglio 2007 in una lunga intervista al Diario de Noticias (che ha pure diretto) affermò che tra Spagna e Portogallo vi sarebbe stata una naturale integrazione che avrebbe portato ad una futura unità.
*Lo stile narrativo*
Uno dei tratti che più caratterizzano le opere di Saramago è il narrare eventi da prospettive piuttosto insolite e controverse, cercando di mettere in luce il fattore umano dietro l’evento. Sotto molti aspetti, alcune sue opere potrebbero essere definite allegoriche.
Saramago tende a scrivere frasi molto lunghe, usando la punteggiatura in un modo anticonvenzionale. Ad esempio, non usa le virgolette per delimitare i dialoghi, non segna le domande col punto interrogativo; i periodi possono essere lunghi anche più di una pagina e interrotti solo da virgole dove la maggior parte degli scrittori userebbe dei punti.
Molte delle sue opere, come Cecità, Saggio sulla lucidità e Le intermittenze della morte iniziano con un avvenimento inaspettato, surreale o impossibile, che si verifica in un luogo imprecisato. Non ci si deve domandare come sia potuto accadere: è successo, punto e basta. Da questo avvenimento scaturisce poi una storia complessa, occasione per studiare le mille forme del comportamento e del pensiero umano. I protagonisti (spesso senza nomi propri) devono cercare con le loro sole forze di uscire dalla situazione che si è venuta a creare.
È frequente l’uso dell’ironia: ai personaggi non vengono risparmiate critiche per i loro comportamenti, spesso discutibili, ma profondamente umani. Non ci sono eroi, ma semplicemente uomini, con i loro pregi ed i loro difetti. Ed in effetti non manca la pietà e la compassione dello scrittore per essi, piccoli rappresentanti del genere umano.
*Il blog*
« “Até quando, ó Berlusconi, abusarás da nossa paciência?” Fino a quando, o Berlusconi, abuserai della nostra pazienza? »
( José Saramago, dal suo libro «O Caderno de Saramago» ISBN 9788535914917)
Saramago aveva aperto un blog dove scriveva costantemente, mantenendo così il contatto diretto con i suoi lettori. Dalle sue pagine aveva anche contestato il premier italiano Silvio Berlusconi per la sua politica. In seguito a tale articolo, la casa editrice Einaudi (Gruppo Mondadori) annunciò che non avrebbe pubblicato la raccolta dei suoi scritti sul blog denominata Il quaderno, la quale invece sarà poi edita in Italia da Bollati Boringhieri. L’opera di Saramago è oggi pubblicata in Italia da Giangiacomo Feltrinelli Editore.
Le suddette notizie sono prese da wikipedia. Mi sembrava utile riportarla qua.
Un inchino anche da parte mia al ricordo di questo grande autore che è venuto a mancare, uno dei più grandi Premi Nobel della Letteratura degli ultimi decenni.
Io ho pubblicato sul blog il video tributo che ha voluto dedicargli Feltrinelli. Molto adeguato.
http://www.storiacontinua.com/autori/addio-jose-saramago
Samarago ci ha lasciato una testimonianza importante: ci accorgiamo della nostra cecità, ergo sumus. Ci è data la facoltà di cercare chi e che cosa “abbia parole di vita eterna”.
Ne sentiremo la mancanza. L’Einaudi che si lascia intimorire da certe sue affermazioni, e non pubblica la raccolta degli scritti del blog.. Che magra figura.
Cecità non ritengo sia la sua opera maggiore. Per me ha segnato l’abbandono di Saramago.
Ho avuto la fortuna di incontrarlo, ascoltarlo e parlargli negli anno ’80, molto prima che ricevesse il Nobel. Molto prima che tutti fingessero di averlo letto. Un uomo sobrio, socievole, amabile. Sembrava uno di quei chiacchieroni signori frequentatori delle osterie dell’entroterra portoghese. MEMORIALE DEL CONVENTO, UNA TERRA CHIAMATA ALENTEJO, LA ZATTERA DI PIETRA. Questi sono i romanzi che mi accompagneranno tutta la vita
Caro Josè de Sousa, ti voglio chiamare con il tuo nome e cognome perchè nel mondo dove vedi quel Dio che non hai voluto mai riconoscere come Padre, le sovrastrutture, neanche i soprannomi, non servono più, neanche se sono Samarago.
Ho letto tutti i tuoi libri, fino all’ultimo “Caino”, e la “noche oscura” con cui tu dipingi questo mondo non l’ho mai condivisa. Hai sempre dichiarato che sei “un uomo fedele a se stesso” come un vanto, come colui che non tradisce la propria identità credendo con questo di farsene un vanto.
Io penso invece che la tua rigida identità ti abbia impedito di vedere la realtà sotto un altro punto di vista. Il tuo dogmatismo, costruito attraverso quei doni ricevuti come eredità Paterna da quel Dio cattivo e vendicatore nel quale fermamente hai creduto, ti hanno impedito di vivere e lottare, di fruire della libertà che ti ha dato in modo da non fermarti alla parte destrues
del creato e della società ma di andare oltre verso la parte costruens per la quale Dio ha chiesto la collaborazione dell’uomo.
Le tue disamine, le tue metafore,e le allegorie ti hanno definito uno scrittore non conformista, invece gli interrogativi che passano sotto la tua penna sono di un conformismo allucinante (come la domanda sullo scopo della vita…..ecc, o il perchè si muore) e rivelano i tuoi pesanti limiti.
Secondo me ‘ anche se dici che hai scritto per la società e non per te, hai scritto per esporre il fascino della tua parola che non ti è mai venuta meno ed hai usato per incantare, più che far prendere coscienza delle possibilità che ci sono in ogni essere umano di modificare la realtà in cui vive.
Scusami se ti dico che nonostante il successo delle tue opere hai mantenuto fino alla fine, come scrittore, la mentalità dell’impiegato/burocrate e sarebbe troppo lungo esporre qui i motivi, per cui chiudo augurandoti che l’incontro con il Padre sia stato incontro di luce,di pace e di perdono, ma lo voglio sottolineare con il fatalismo con cui dicevi”O que tenha que ser meu serà” ed io sono certa che lo sarà e lo sarà proprio per quella dinamica che non hai voluto accettare:”la sofferenza”, e tu hai sofferto molto.Il tuo esilio a Lanzarote mi ricorda il salmo 137 di cui voglio dedicartene un pezzetto:
Sui fiumi di babilonia
là sedevamo piangendo
al ricordo di Sion.
Ai salici di quella terra
appendemmo le nostre cetre
Là ci chiedevano parole di canto
coloro che ci avevano deportato
canzoni di gioia, i nostri oppressori:
“cantateci i canti di Sion!”
Come cantare i canti di del Signore
in terra straniera?
…………………
errata corrige:Saramago
La scrittura di Saramago è profondamente “giovane”, a dispetto dell’età dello scrittore. Se si leggono i suoi primi libri e li si confronta con gli ultimi, si nota una evoluzione particolare: la lingua, il tono, l’ironia, ma soprattutto la dolcezza, cambiano, si traformano, ringiovaniscono. Sembra più vecchio da giovane. Questa gioventù, come la intendo io, è la cosa che renderà i suoi testi vivi per molto, molto tempo. Attuali e presenti, universali. Una freschezza di pensiero, di cuore. Capace di dirci le verità più scabrose, e le bugie più comuni, senza filtri di ipocrisia, di diplomatica “socialità”. La sua scrittura, al di là di alcuni geniali espedienti tecnici (penso ai dialoghi diretti, risolti in un flusso senza punteggiatura vibrante e vero), le sue storie hanno tutte un pregio immenso: ci parlano del male solo per far vivere il bene. E grazie alla saggezza, tipica dei giovani dentro (ingenui? forse, ma meglio che scaltri), il bene non è prerogativa degli ottusi, degli stupidi, dei noiosi. Saramago ha legittimato il bene: i personaggi positivi, a differenza di molti altri scrittori, sono delineati con profondità, con spessore, verosimiglianza, concretezza. E sono modelli. I loro atti, spesso minimi, gesti di affettuosa semplicità, commuovono senza nauseare, invogliano all’azione, al pensiero, all’imitazione. C’è, ovviamente, una forte desolazione di fondo, un diffuso sentire negativo, dietro alle poche figure umane, le sole ad avere “un nome” proprio in un mondo di entità senza nomi: Saramago non ha bisogno di inventarsi uno Stavrogin, ce ne sono a bizzeffe nel mondo attorno a noi, siamo noi non appena si verifichino le giuste condizioni. Basta spegnere la luce, et voilà: il mondo è dei Demoni. Ma questo è anche il momento delle poche ombre di carne e di luce che si aggirano piano, portando gioia: trasmettendola, contagiando. Più passa il tempo, più ritengo che la letteratura possa/debba svolgere questo compito: non c’è più bisogno di puntare i fari sul male, questo si è esteso come macchia in ogni luogo; quello che è necessario è l’antidoto, che abbiamo smarrito. Saramago ci ha insegnato la carezza furtiva, la parola al momento giusto, la rinuncia all’orgoglio, la pacatezza dell’animo. Antidoti a questo vivere male, a questo male di vivere che è la norma. E lo ha fatto “semplicemente” combinando delle parole insieme. Non si è vissuto invano, ad aver letto Saramago.
“Penso che nella società attuale ci manchi la filosofia. Filosofia come spazio, luogo, metodo di riflessione, che può anche non avere un obiettivo determinato, come la scienza che invece procede per soddisfare i suoi obiettivi. Ci manca la riflessione, pensare, necessitiamo del lavoro di pensare e mi sembra che, senza idee, non andiamo da nessuna parte”
.
l’ultimo post pubblicato sul blog di José Saramago:
http://caderno.josesaramago.org/
“Cecità” è splendido. Lo è in modo doloroso, per come tasta, scava, si aggira. Ed è, come dire, necessario.
Ho amato soprattutto “Storia dell’assedio di Lisbona”, il suo straordinario protagonista Raimundo Silva e le due pagine e mezza in cui lui e Maria Sara fanno l’amore per la prima volta. Terminano così:
“…sembrava che il mondo esterno si fosse messo in attesa di un miracolo nuovo, ma nessuno se ne accorse quando accadde, qui, quando i sessi di questi due esseri si sentirono per la prima volta, quando per la prima volta gemettero insieme, quando sordamente gridarono, quando tutte le cateratte del diluvio si aprirono sulla terra e sulle acque della terra, e poi la calma, il largo estuario dl Tago, due corpi l’uno accanto all’altro a navigare, tenendosi per mano, uno dice, Oh, amore mio, e l’altro, Che nulla in futuro sia meno di tutto questo, e all’improvviso entrambi ebbero paura di quello che avevano detto e si abbracciarono, la stanza era buia, Accendi la luce, disse lei, voglio sapere se è tutto vero”.
Caro Massimo,
il tuo servizio, per noi “scrivitori”, e di grande utilità e di grande arricchimento. Colgo l’occasione di questo triste evento per ricordare come “la parola”, oggi, rimanga l’unica speranza per combattere contro un mondo più vile che mai. Il grande Saramago lo sapeva, lo ha sempre saputo. Lui era nato, così come tanti altri grandi scrittori, con una missione ben precisa; una sorta di predestinato. E’ nato per “abbeverare”, col suo pensiero filosofico, quelle aiuole d’uomini che spesso perdono la speranza. Lo fa con le parole, in fondo anche Cristo ha fatto così: ha parlato. Il Verbo o la parola si fanno scudo e spada per continuare a cercare la verità; per credere ancora nell’uomo; per sperare in un nuovo umanesimo.
La verità, caro Massimo, l’uomo la conosce già; è come se la portasse nella mappa genetica ed è questa consapevolezza che lo rende impotente. Saramago sosteneva che Dio è stato creato dall’uomo, forse perché diversamente egli impazzirebbe. L’uomo sa che non esiste giustizia né divina né umana eppure conserva il concetto di giustizia. Dio è morto perché è morto l’amore e non quello verso di Lui ma quello verso l’uomo stesso.
Ecco perché siamo diventati ciechi e spietati (Cecità docet).
Ciò che mi aiuta a sperare (e mentre scrivo sto pensando costantemente al pensiero di Saramago) è che uomini come quello che stiamo ricordando con malinconica gradevolezza e passione, riescano a comunicare; a vincere il Premio Nobel, nonostante Chiese e Autoritarismi governino il mondo. Come a dire che nonostante tutto gente come Saramago, ma, diciamolo pure, anche come Dario Fo, vincano il Nobel: meno male! Siamo ancora salvi. Ma la strada è lunga, anzi, stiamo rovinosamente precipitando in un baratro di oscurantismo senza precedenti, visto i mezzi tecnologici che i Potenti e i falsi Dei hanno a disposizione.
Quindi, più che parlare del grande scrittore portoghese (i post che precedono il mio lo hanno fatto ampiamente) ho colto l’occasione che mi dai perché ho sentito il dovere di aggiungere la mia voce a quella di coloro che amano la libertà di pensiero, la ricerca della verità e si affidano alla parola (che importa se scritta o cantata o cuntata) per sperare (e dobbiamo farlo anche se sapessimo che è tempo perso) in un mondo migliore.
P.S. Per riguarda Berlusconi altro non è che l’espressione dell’italianità. Siamo abituati a queste figure: quanta è noiosa la storia.
E i marinai, domandò lei, Non è venuto nessuno, come potete vedere, Ma li avete ingaggiati, almeno, insistette lei, Mi hanno detto che di isole sconosciute non ce ne sono più e che, anche se ci fossero, non hanno nessuna intenzione di lasciare la tranquillità delle loro case e la bella vita delle navi da crociera per imbarcarsi in avventure oceaniche, alla ricerca dell’impossibile, come se fossimo ancora al tempo del mare tenebroso, E voi, che cosa gli avete risposto, Che il mare è sempre tenebroso, E non gli avete parlato dell’isola sconosciuta, Come avrei potuto parlare di un’isola sconosciuta, se non la conosco, Ma siete sicuro che esiste, Tanto quanto è tenebroso il mare.
(da “Il racconto dell’isola sconosciuta”)
Il suo elogio della bontà, di quello credo non si possa fare a meno 🙂
abbraccio
Liz
Ho imparato in questo mestiere che chi comanda non solo non si ferma davanti a ciò che noi definiamo assurdità, ma se ne serve per intorpidire le coscienze e annullare la ragione.
(da “Saggio sulla lucidità”)
Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito.
(da “Viaggio in Portogallo”)
Quell’opera incompiuta nel suo pc.
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SARAMAGO ha lasciato nel suo computer un romanzo incompiuto sul traffico d’armi che aveva intitolato ” Alabarde, alabarde, spingarde, spingarde”, usando un verso del poeta e drammaturgo lusitano Gil Vincente, mentre tra le sue ulime letture vi è – ” Alla cieca” di Claudio Magris.
Particolarmente commosso un altro grande della letteratura contemporanea, l’uruguayano Edoardo Galeano:-
” Ci mancherà molto, però continueremo a sentire la sua voce tramite l’eco dei suoi libri”. Galeano ha inoltre sottolineato il valore dell’opera
di colui ” che è sempre stato a fianco dei perdenti”.
( Da ” La Nazione pagina 31, di Sabato 19 giugno 2010)
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Anche se non condivido le sue posizioni morali, la morte di un bravo scrittore rappresenta una perdita incalcolabile per tutta la Letteratura.
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” La religione è il sospiro dell’anima per un mondo senz’anima ”
CARLO MARX.
Buona serata.
Tessy
Ringrazio tutti per i numerosi contributi pervenuti.
Non ho la possibilità di ringraziarvi uno per uno (spero di riuscire a farlo nei prossimi giorni). Intanto, grazie di cuore a tutti.
Non c’è dubbio che Saramago abbia fatto discutere per le sue posizioni, tuttavia il suo valore di scrittore è altissimo (e il suo lascito letterario è enorme).
Attendo altri contributi…
Ne approfitto per augurarvi una serena notte e un ottimo inizio di settimana.
E’ indubbio che la scomparsa di Saramago costituisca una perdita enorme per la letturatura mondiale, essendo stato il nostro, maestro e modello di scrittura, costruttore di narrazioni perfette negli incastri e inquietanti per gli esiti e gli spunti di riflessione capaci di suscitare. Così come è indubbio (a mio modestissimo avviso) che il partito preso di una resistenza ideologica nella sua poetica ha nondimeno irrigidito assai spesso il suo discorso, non tanto sul piano dei valori o degli esiti letterari (sempre alti e talvolta altissimi) quanto piuttosto sulla capacità di superare certi “confini” e “barriere” pregiudiziali che in quella ideologia trovano alimento (anche se, a differenza di Vincenzo Consolo, anche lui risucchiato nei gangli di un attassante vetero marxismo, la sua vena non ha conosciuto battute d’arresto, ne ingolfamenti ma è rimasto per lo più assai felice e capace di parlare al lettore…). Vorrei però spendere una parola per stigmatizzare il clamoroso articolo uscito sull’Osservatore Romano a firma di Toscano, il quale più che a una commemorazione somigliava tanto alla messa al rogo di un eretico.
Da cattolico sono indignato per la totale mancanza di pietà che quell’articolo trasuda e da critico non posso accettare che si liquidi in quella becera maniera la produzione letteraria di un “grande” quale Saramago e tanto più che si usi come categoria l'”inaccettabile” affibiato all’ultimo suo romanzo “Caino”, uscito nello scorso aprile da Feltrinelli. In teoria in critica letteraria nulla è inaccetabile (almeno riguardo ai temi trattati), tutto è plausibile, eccetto la sciatteria di molti scrittori di successo di oggi e l’altrettanto sbrigativa e leggera trombaggine di molti poco avvertiti e presunti critici letterari.
Domenico
Trovarsi d’accordo non sempre significa condividere una ragione, la cosa più abituale è che un gruppo di persone si riuniscano all’ombra di un’opinione come se fosse un parapioggia.
(da “L’uomo duplicato”)
Così è, figlia mia, e quanto più si prolungherà la tua vita, tanto più vedrai che il mondo è come una grande ombra che passa dentro al nostro cuore, per questo il mondo diventa vuoto e il cuore non resiste, Oh, madre mia, che cos’è nascere, Nascere è morire, Maria Barbara.
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citazione da “Memoriale del convento”
Dovrebbe bastar questo, dire di uno come si chiama e aspettare il resto della vita per sapere chi è, se mai lo sapremo, poiché essere non significa essere stato, essere stato non significa sarà.
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citazione da “Memoriale del convento”
È un difetto comune degli uomini, di dire più facilmente quello che credono che gli altri vogliono sentire piuttosto che attenersi alla verità, Tuttavia, perché gli uomini possano attenersi alla verità, dovranno prima conoscere gli errori, E commetterli.
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citazione da “Memoriale del convento”
E se il cuore non ha capito, non arriva ad esser menzogna il detto della bocca, ma piuttosto assenza.
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citazione da “Memoriale del convento”
Il tempo, a volte, sembra che non passi, è come una rondine che fa il nido sulla grondaia, esce ed entra, va e viene, ma sempre sotto i nostri occhi.
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citazione da “Memoriale del convento”
Oltre alla conversazione delle donne, sono i sogni che trattengono il mondo nella sua orbita.
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citazione da “Memoriale del convento”
Tutto nel mondo sta dando risposte, quel che tarda è il tempo delle domande.
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citazione da “Memoriale del convento”
Un uomo ha bisogno di fare la sua provvista di sogni.
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citazione da “Memoriale del convento”
Anche secondo me Cecità è stato uno dei più grandi romanzi di Saramago.
Su wikipedia c’è una bella pagina dedicata. Posso utilizzarla come contributo?
Cecità (titolo originale, in lingua portoghese: Ensaio sobre a Cegueira, Saggio sulla cecità) è un romanzo dello scrittore e premio Nobel per la letteratura portoghese José Saramago, pubblicato nel 1995. In Italia, il titolo è stato tradotto eliminando parte di quello in lingua originale per esigenze editoriali; si è ritenuto infatti che Saggio sulla cecità avrebbe scoraggiato i lettori.
In un romanzo successivo di Saramago, Saggio sulla lucidità, si ritrovano personaggi presenti in Cecità. I fatti raccontati nei due romanzi sono legati, al punto che Saggio sulla lucidità può essere considerato come il “seguito” di Cecità.
LA TRAMA
In una città mai nominata, un automobilista fermo al semaforo si accorge di essere diventato improvvisamente cieco. La sua malattia, però, è peculiare: infatti egli vede tutto bianco. Tornato a casa con l’aiuto di un altro uomo (che ben presto si rivelerà un ladro) racconta l’accaduto a sua moglie. I due si recano da un medico specialista, dove trovano un vecchio con una benda nera su un occhio, un ragazzino che sembrava strabico, accompagnato da una donna e una ragazza dagli occhiali scuri.
Il medico, dopo aver esaminato l’uomo (che, nel seguito della storia, sarà chiamato il primo cieco), si accorge di non avere spiegazioni per quella improvvisa cecità. Ben presto, però, la cecità comincia a diffondersi. Il ladro di automobili, il medico, la moglie del primo cieco, sono tutti colpiti dalla strana malattia. La moglie del medico sembra l’unica a non essere contagiata. L’epidemia si diffonde in tutta la città e il governo del paese decide, provvisoriamente, di rinchiudere i gruppi di ciechi in vari edifici, allo scopo di evitare il contagio. Ogni giorno le guardie avrebbero fornito il cibo agli internati.
« Fra i ciechi c’era una donna che dava l’impressione di trovarsi contemporaneamente dappertutto, aiutando a caricare, comportandosi come se guidasse gli uomini, cosa evidentemente impossibile per una cieca, e più di una volta, o per caso o di proposito, si girò verso l’ala dei contagiati »
Il medico, la moglie del medico (l’unica dotata della vista), il primo cieco e sua moglie, la ragazza dagli occhiali scuri, ladro di automobili e il ragazzino strabico si ritrovano tutti nello stesso edificio, un ex manicomio. Inizialmente, la distribuzione degli alimenti avviene regolarmente, ma ben presto i ciechi si ritrovano abbandonati, perché la cecità si diffonde anche tra i soldati e i politici, fino a colpire tutto il paese (tranne la moglie del medico). All’interno del manicomio, inoltre, un gruppo di ciechi (i “ciechi malvagi”) si impossessa di tutte le razioni di cibo provenienti dall’esterno per poter ricattare gli altri malati e ottenere potere e altri vantaggi, compresi rapporti sessuali con le donne. Proprio durante uno di questi stupri collettivi, la moglie del medico uccideil capo dei “ciechi malvagi”. Nel tentativo di rendere inoffensivi questi ultimi, un’altra donna dà fuoco ad un mucchio di coperte nella loro camerata, ma il fuoco si diffonde e finisce per avvolgere tutto l’edificio. Molti ciechi muoiono, ma una parte di loro (tra questi, il gruppo della moglie del medico), riesce a uscire all’aria aperta.
All’esterno dell’ex manicomio, la moglie del medico vedrà i risultati dell’epidemia. Morti per le strade, la città in totale abbandono, gruppi di ciechi che occupano le case altrui e lottano l’uno contro l’altro per assicurarsi del cibo. Mentre il gruppo della moglie del medico cerca di organizzare la vita del gruppo, tutti i ciechi guariscono inspiegabilmente, senza alcuna ragione apparente, proprio come all’inizio della vicenda era sopraggiunta l’epidemia.
stile e tematiche
In questa opera, come in altre opere di Saramago, viene utilizzato uno stile che prevede l’assenza di nomi propri per i personaggi, identificati tramite espressioni impersonali (come la ragazza dagli occhiali scuri, il vecchio con la benda e il ragazzino strabico, e così via). I dialoghi non sono introdotti dai due punti, né vengono utilizzate le virgolette. I dialoghi vedono le frasi dei vari partecipanti separate da una virgola, seguita da una parola che inizia con una lettera maiuscola.
« Il medico gli domandò, Non le era mai accaduto prima, voglio dire, la stessa cosa di adesso, o qualcosa di simile, Mai , dottore, io non porto neanche gli occhiali »
(Un esempio di come si svolgono i dialoghi nell’opera)
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Il tema fondamentale del romanzo è quello dell’indifferenza, che esplode con il dilagare della cecità, ma che era già presente prima degli avvenimenti in questione.
« Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono »
(La moglie del medico)
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Lo stesso scrittore, nel discorso fatto in seguito all’assegnazione del Premio Nobel, ha sottolineato come la società contemporanea sia cieca poiché si è perso il senso di solidarietà fra le persone.
Inoltre, il romanzo indaga a fondo la nostra società e le sue strutture di potere; essendo ambientato in un tempo e un luogo indefiniti, questa vicenda può riguardare chiunque. Durante la reclusione dei malati nel manicomio, infatti, essi si ritrovano in una situazione che ha fatto tabula rasa di tutte le condizioni sociali precedenti, lasciando loro la libertà di una organizzazione nuova e più equa, etica. Il pessimismo antropologico dell’autore, però, non fa sì che gli internati creino una società idillica, ma che attuino invece una regressione, che li porta a vivere in uno stato di natura hobbesiano in cui l’unica legge che conta è quella del più forte, e in cui viene messa in atto una guerra di tutti contro tutti per la sopravvivenza. L’unica organizzazione possibile risulta essere una dittatura di pochi che, tramite la violenza, tengono in scacco la maggior parte dei malati.
Nell’episodio del razionamento del cibo da parte dei ciechi malvagi si può inoltre notare la profonda riflessione dell’autore riguardo al problema della fame nel mondo: i ciechi malvagi infatti tengono gli altri internati in uno stato di fame perenne, accentrando nella loro camerata tutti i cibi che vengono portati dall’esterno e lasciando deperire quelli che per loro sono di troppo: la fame nella struttura non è dunque dovuta ad una mancanza reale di cibo, quanto piuttosto alla brutalità e all’egoismo di chi detiene il potere di distribuirlo.
Infine, fra i personaggi del romanzo non si sviluppa mai una vera solidarietà, che rimane circoscritta alle donne, le quali, in seguito al trauma collettivo dello stupro da parte dei ciechi malvagi, formano un nuovo noi, una comunità che assume una valenza salvifica nella figura della moglie del medico. Nonostante questo sia il personaggio più positivo della vicenda, però, anch’essa si macchia di alcuni crimini legati alla necessità della sopravvivenza, benché, nel suo caso, questi non siano rivolti solo alla sua persona ma al gruppo di cui ha deciso di farsi carico.
TRASPOSIZIONI
Cinema. Dal romanzo di Saramago è stato tratto il film omonimo per la regia del brasiliano Fernando Meirelles e interpretato, tra gli altri, da Julianne Moore, Mark Ruffalo, Alice Braga e Gael García Bernal. Presentato al Festival Internazionale di Cannes nel 2008, il film è giunto nelle sale statunitensi nell’ottobre dello stesso anno e sarà distribuito in italia da Mikado nel corso del 2010.
“ Premettendo che Dio non esiste”, diceva l’unico vedente in un mondo di ciechi, l’ onnisciente e onniveggente Saramago, “se pure mi fosse apparso, che cosa gli avrei dovuto chiedere? Che mi prolungasse la vita? Moriremo quando dovremo morire. Mi hanno salvato i medici, mi ha salvato Pilar, mi ha salvato il cuore eccellente che ho ancora, nonostante l’ età. Tutto il resto è letteratura, e della peggiore ».
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Caro San Saramago – premettendo che “de mortuis nihil nisi bonum”, dei morti non si parla mai male, ma che quando ti ho visto ultimamente in tv dalla Dandini, più che il “campione di generosità umana” che oggi viene santificato sull’altare e il mortorio di tanti blog, sembravi solo un vecchio stronzo amareggiato con i pantaloni arrotolati ed un bastone – anche le tue buffe esternazioni sono letteratura, e della peggiore: una letteratura engagèe da forzato dell’invettiva, saccente e noiosa fino alla morte.
Per quanto anch’io soffra di attacchi d’orticaria per la pretenziosa letteratura engagèe di Saramago & Co., trovo comunque che l’accanirsi non giovi a nessuno. Il rimando è alla mitezza, insomma: la nostra, di noi tutti, quella del vecchio con bastone che sta per tirare le cuoia. E poi un po’ di leggerezza non guasterebbe, per nessuno…
Certo, la mitezza e anche un po’ di leggerezza da “mistero buffo”, perché no ? 🙂
…magari gioverebbe ricordarne le opere, come è stato fatto da tanti nel blog di Massimo e altrove, che poi non si condivida il pensiero, l’atteggiamento e soprattutto le ultime apparizioni in tv io credo, molto modestamente, che sia tutt’altra storia. Fra l’altro ci si contrappone al pensiero di un signore che se giudicato “vecchio stronzo amareggiato” non ha neanche l’opportunità di rispondere. Non mi sembra per niente carino.Concordo con Calcaterra.
caro Josè Saramago, ti ringrazio per le tue opere che mi hanno deliziato e che mi hanno aiutato a riflettere e che rimarranno imperituri nella storia della letteratura.
Ho intenzione di rileggermi alcuni dei tuoi libri che ho amato di più.
Premettere “de mortuis nihil nisi bonum”, dei morti non si parla mai male… e poi subito dopo dare del “vecchio stronzo amareggiato” a una persona appena morta mi sembra proprio ipocrita e di cattivo gusto.
Della letteratura di Saramago ho apprezzato soprattutto l’elemento allegorico, che mi sembra caratterizzante della produzione artistica di questo autore.
Girando in rete, e con riferimento al romanzo “Cecità”, ho trovato queste parole di Saramago sull’allegoria…
……………..
“Cecità è un romanzo realista non nel senso classico del termine proprio perché ricorre all’allegoria, ossia ad un modo di dire le cose attraverso la narrazione di altre cose, attraverso simbolismi e metafore. Oggi la vera funzione del romanzo non è più solo quella descrittiva, quanto soprattutto quella riflessiva: a poco a poco il romanzo dovrà aprirsi alla filosofia e alla scienza, diventare la summa delle diverse esperienze umane, e questo nuovo tipo di romanzo – una sorta di simbiosi tra romanzo e saggio – ricorrerà all’allegoria.”
Come a dire che ciò che non può essere descritto tramite i semplici caratteri alfabetici, che risulta arduo per ogni tipo di comprensione analitica, ha bisogno del “geroglifico”, di un’immagine che riassuma e tenga conto di tutte le estensioni possibili della tema trattato e che le svolga in funzione di una maggiore comprensione dell’argomento stesso.
[…]
In Cecità l’allegoria assume un altro tipo di efficacia: il romanzo non si svolge in un luogo definito, i personaggi non hanno nome e in più sono progressivamente affetti da una cecità “bianca”. Questa nebulosa è il mondo: vi ho voluto rappresentare il mondo. Ciò implica che l’elemento narrato non si identifica più in ciò che è ma in ciò che significa. Se avessi scritto Cecità in modo tradizionale non avrei ottenuto lo stesso effetto e non ci sarebbe stato lo stesso impatto. In questo caso l’allegoria ha potuto sostituire un modo di comunicare ormai liso e privo di mordente.”
Non giochiamo, per favore, l’antico gioco di massacrare l’uomo e fermiamoci al valore indiscutibile non di tutta l’opera certo, ma di alcune scritture narrative tra le più alte e meglio concepite del secondo Novecento. Discutiamo dell’ingegno narrativo e non delle (eventuali) miserie dell’uomo.
Non si faccia come si fece due secoli orsono con Emilio Praga…
A proposito della collega che ha mostrato l’intento di rileggere le cose più significative di Saramogo, trovo che Cecità sia il libro più profetico e che più abbia ancora da insegnarici. Modesto avviso, da lettore.
Saluti!
Domenico
Bene Domenico,era ciò che intendevo anch’io. Ho comprato Le Intermittenze della morte, che non ho mai letto, nelle opere che leggo non cerco l’autore ma ciò che traspare dalla sua scrittura, il segno e la trasfigurazione del suo pensiero, tradotto in un linguaggio universale di cui possiamo tutti fruire per uno sguardo alternativo alle cose della vita.
Cecità, mi ha dato tutto questo e anche molto di più, emozioni, sgomento, dubbi, sensazioni forti, immagini che non mi hanno abbandonata facilmente. Vera suggestione dell’alta letteratura.
Se avete libri di Saramago da consigliarmi con particolari indicazioni, oltre Cecità e Il Vangelo secondo Gesù Cristo, ve ne sono grata.
cari saluti
Incipit di Cecità
—–
Il disco giallo si illuminò. Due delle automobili in testa accelerarono prima che apparisse il rosso. Nel segnale pedonale comparve la sagoma dell’omino verde. La gente in attesa cominciò ad attraversare la strada camminando sulle strisce bianche dipinte sul nero dell’asfalto, non c’è niente che assomigli meno a una zebra, eppure le chiamano così. Gli automobilisti, impazienti, con il piede sul pedale della frizione, tenevano le macchine in tensione, avanzando, indietreggiando, come cavalli nervosi che sentissero arrivare nell’aria la frustata. Ormai i pedoni sono passati, ma il segnale di via libera per le macchine tarderà ancora alcuni secondi, c’è chi dice che questo indugio, in apparenza tanto insignificante, se moltiplicato per le migliaia di semafori esistenti nella città e per i successivi cambiamenti dei tre colori di ciascuno, è una delle più significative cause degli ingorghi, o imbottigliamenti, se vogliamo usare il termine corrente, della circolazione automobilistica.
Finalmente si accese il verde, le macchine partirono bruscamente, ma si notò subito che non erano partite tutte quante. La prima della fila di mezzo è ferma, dev’esserci un problema meccanico, l’acceleratore rotto, la leva del cambio che si è bloccata, o un’avaria nell’impianto idraulico, blocco dei freni, interruzione del circuito elettrico, a meno che non le sia semplicemente finita la benzina, non sarebbe la prima volta. Il nuovo raggruppamento di pedoni che si sta formando sui marciapiedi vede il conducente dell’automobile immobilizzata sbracciarsi dietro il parabrezza, mentre le macchine appresso a lui suonano il clacson freneticamente. Alcuni conducenti sono già balzati fuori, disposti a spingere l’automobile in panne fin là dove non blocchi il traffico, picchiano furiosamente sui finestrini chiusi, l’uomo che sta dentro volta la testa verso di loro, da un lato, dall’altro, si vede che urla qualche cosa, dai movimenti della bocca si capisce che ripete una parola, non una, due, infatti è così, come si viene a sapere quando qualcuno, finalmente, riesce ad aprire uno sportello, Sono cieco.
Ecco, anche l’apparire in tv della figura di uno che sembra “solo un vecchio stronzo amareggiato con i pantaloni arrotolati ed un bastone” è solo un’allegoria, non priva di mordente, e non un giudizio sulla persona e il suo mistero (magari anche “buffo”, come direbbe Dario Fo).
Occorre forse ricordare che, in non pochi casi, l’apparenza, anche di santità, inganna ?
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Quanto all’accusa di ipocrisia & cattivo gusto, ci sarebbe spazio per mille discorsi sull’opportunità o meno di fare battute ai funerali. In genere, il morto richiede “un minuto di silenzio”.
E silenzio – come osservava magistralmente Reik – “significa dunque morte, condensata con senso di colpa per pensieri malvagi. Coloro che non parlano sono i morti e, nella stessa condensazione, che si sentono in colpa per la morte, e quindi si identificano con il morto”.
Come dire: “Noi ti amiamo, ti rispettiamo, e quindi siamo momentaneamente muti, ciechi e morti come te”.
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Forse non è superfluo menzionare che anche oggi, nel rendere omaggio a un deceduto, oltre ad alzarsi in piedi e “rispettare” qualche minuto di silenzio, non è raro che qualcuno faccia una battuta, e così facendo evoca le ragioni della vita, allegerendo l’aria del mortorio che rischia di generalizzarsi.
.
Per quanto commovente e toccante possa essere questa ubiquitaria e diffusa santificazione di Saramago, occorre ricordare che oggi tutto è discutibile.
E a chi ha protestato vorrei ricordare proprio le parole di Saramago, in occasione della protesta di alcuni cattolici che chiedevano di fermarsi davanti ai simboli più cari della religione cristiana: «Crediamo fermamente che un valore fondamentale delle società democratiche, come quello della libertà di espressione e di creazione, non possa essere sottomesso o soggiogato a regole morali».
E ancora: «Dobbiamo rifiutare categoricamente questo uso interessato, che pretende solamente di reprimere, controllare, giudicare cittadine e cittadini nell’ esercizio dei loro diritti».
Saramago inveisce contro i tentativi di censura e di repressione dell’ arte, della creatività estetica e dell’allegoria – che non può certo fermarsi, aggiungerei, davanti alla figura di “un grande intellettuale comunista scomparso” e alle peripezie di San Saramago: “un grande intellettuale comunista scomparso”, come si sente oggi vociferare da più parti, con l’impressione – soggettiva e discutibile, per carità – che in queste celebrazioni, sinistre sopravvalutazioni e allegorie ci sia qualcosa di cieco, di affabulazione e forse di storto.
Di Martino, la mia opinione è rafforzata da questo tuo nuovo post.
De Martino, mi correggo.
Non sapevo d’una intervista di Saramago nel programma tv della Dandini. L’ho appreso da questa discussione. Ho potuto vederla su You Tube poco fa: per i miei gusti, molto bella e interessante. Non alla moda e del tutto estranea a qualsiasi vezzo televisivo.
E’ visibile qui:
http://www.youtube.com/watch?v=YFnVT4PBofU
De Martino, fa bene a mettere in guardia dalla ipocrisia e dal “buonismo” e anche io dal canto mio nutro non poche riserve su certe esternazioni e posizioni di Saramago (si veda per esempio la sua anti-teologia elementare o la camicia di forza ideologica che con grigia coerenza ha indossato). La mia idea non era la santificazione, ma il riconoscimento del valore formale delle sue opere (non tutte) e il rilevare come non sia necessario operare dello sciacallaggio post mortem. Come dire: sto in parte anche con De Martino senza però sentire l’urgenza di dover massacrare il massacrante (in vita) Saramago. Perché questo cannibalismo?… Comunque De Martino mi è simpatico.
Domenico
sabato 19 giugno l’incontro all’interno di palazzo conventati si e’ chiuso con un saluto al grande maestro ricordandolo con una frase del suo libro caino. grazie a voi
Ho amato molto (anzi, perchè adoperare il passato?) AMO la scrittura di Saramago. L’ho conosciuto con “Tutti i nomi” e l’ho seguito, cercato, letto e riletto. Il suo “vangelo secondo Gesù” mi ha scavato la corazza che (a volte) ogni “buon cattolico” si cuce addosso, ma non per questo mi ha allontanata dalla fede, anzi, ha “scrostato” la pelle vecchia per far respirare quella nuova. Una cosa resta innegabile, al di là di posizioni e ideologie, la prosa di Josè Saramago è Vera Scrittura.
Ringrazio tutti per i numerosi commenti pervenuti.
Da credente e da cattolico, nemmeno io ho condiviso alcune delle posizione espresse da José Saramago. In tal senso le mie idee equivalgono a quelle espresse qui sopra da (giusto per fare qualche esempio): Simona Lo Iacono, Maria Lucia Riccioli, M.Teresa Santalucia Scibona, Domenico Calcaterra e tanti altri.
Questo non mi impedisce né di considerare José Saramago uno dei più grandi scrittori del Novecento, né di considerare (secondo il mio gusto e la mia valutazione personale) “Cecità” uno dei romanzi più belli e importanti che abbia letto nella mia vita.
Ma trattandosi, appunto, di gusto e di valutazione personale… sono – per definizione – inevitabilmente opinabili.
@ Gianni De Martino
Carissimo Gianni,
sono perfettamente d’accordo con te quando sostieni che “tutto è discutibile”.
Dunque non ti offenderai se considero discutibile il tuo commento del 21 giugno 2010 h. 10:51 am, da cui mi dissocio decisamente non condividendo il tipo di approccio prescelto per esprimere una tua (legittima) critica.
Ognuno è libero di pensare come meglio crede. Io, personalmente, credo che la modalità dell’esercizio del diritto di critica debba essere ispirata ai principi della proporzionalità e della continenza (tenuto conto anche del momento in cui essa viene espressa).
E da questa mia idea deriva anche l’impronta che cerco di dare a questo blog.
Il rischio è quello di essere tacciato di “buonismo”.
Ma è un rischio che corro volentieri.
Apprezzo, invece, Caro Gianni, il tuo commento del 21 giugno 2010 h.2:29 pm in cui hai precisato che quel tuo commento era “solo un’allegoria, non priva di mordente, e non un giudizio sulla persona”.
Grazie, in ogni caso, per la tua partecipazione alle discussioni che propongo.
Ciò detto, gradirei che la polemica si esaurisse qui e che ci soffermassimo sul valore (o anche disvalore, perché no) letterario delle opere di Saramago.
Io ho già espresso la mia opinione in riferimento a “Cecità”, spiegandone le ragioni.
Molti di voi hanno fatto altrettanto… e di questo vi ringrazio.
Ieri non ne avevo avuto la possibilità, ma oggi non eviterò di ringraziarvi tutti personalmente… 😉
Grazie dunque a: Francesca Giulia Marone, Sergio Sozi, Lorenza, Ines Desideri, Carlo S., Lucy, Vera Pagliarisi…
Ecco, mi accorgo adesso, di trovarmi pienamento d’accordo con Massimo Maugeri: la sua posizione è analoga alla mia, per non dire identica. Anche sul modo di fare la critica, credo che l’insulto e l’illazione non facciano nonore a nessuno che voglia esercitare il proprio diritto di esprimere un giudizio di valore. Se qualcuno come il sottoscritto lamenta certi eccesso non è per un desiderio di censurare opinioni divergenti, ma credo sia questione di stile oltre che soprattutto di metodo. E per finire, trovo estremamente giusto chi si soffermi sul valore della qualità di scrittura prodotta da José Saramago: è quello, al di là delle idee corsare che agitato nel corso della sua battagliera esistenza, il vero valore del suo percorso di scrittore. E che lo pone tra i massimi del Novecento.
Un saluo affettuoso a Massimo Maugeri.
Domenico
E ancora grazie e saluti a: Simona Lo Iacono, Mariangela, Zauberei, Flavia Cartoni, Paola, Giovanni Sorrentino, Maria Lucia Riccioli, Carmen, Gianfranco Cambosu, Subhaga Gaetano Failla…
Un saluto a te, caro Domenico. :-))
E devo ancora ringraziare e salutare: Filippo, Scrid, gabri210, Anna, Mela Mondì, Vito Ferro, Claudio Morandini, Gloria, Alfio Patti, Liz, M.Teresa Santalucia Scibona, Domenico Calcaterra, Silvana, Gianni De Martino, Marina Loreto, Giulia, Marco Vinci, Michela, Valeria Corciolani.
E grazie mille agli anomini per le numerose citazioni.
Spero di non aver dimenticato nessuno. Nell’eventualità chiedo preventivamente scusa.
Credo che qualcuno di voi sia intervenuto qui per la prima volta.
A voi neo-letteratitudiniani… un caldo benvenuto a Letteratitudine! 🙂
Caro Massimo,
leggo con molto piacere il tuo invito alla moderazione. “Buonismo” è un neologismo nato non a caso in questi anni urlati.
Non ho mai letto “Cecità”. Stimolato dal tuo giudizio (e di altri in questo post) su questa opera, sto andando proprio adesso in biblioteca a prenderlo in prestito.
Ti ringrazio. Un abbraccio,
Gaetano
Caro Gaetano,
leggi “Cecità” e poi dimmi… con sincerità. 🙂
E se non dovesse piacerti, dammi pure del cieco (da un punto di vista letterario).
Per il momento chiudo qui.
Auguro a tutti voi una buona serata e una buona prosecuzione.
Le opinioni sembrano talvolta delle forme di insipienza fondate sulle passioni, quindi una doxa pubblica che, specialmente se nana, non può che rafforzarsi e proclamarsi a gran voce ( “AMO la scrittura di Saramago”.
Mi pare che il ricorso all’AMORE, quanto di più lontano dall’approccio critico giustamente sollecitato da Massimo, e alle MAIUSCOLE ( “Vera Scrittura”) sia fare un po’ come fa la follia, quando sale e grida sopra i tetti.
D’altra parte è anche vero che gli uomini preferiscono le tenebre, Gentlemen Prefer Darkness, e che ci si possa innamorare pervicacente dell’uomo sbagliato. Comunque grazie a chi vorrà farmi delle correzioni. Tanto più che non scrivo per il Potere o per il Ribelle, ma, a quanto pare, carissimo Maugeri, per essere gentilmente ripreso, se non punito.
–
Ciao Gaetano. A proposito di vezzi televisivi, ma perché Serena Dandini ride, ride sempre e si gratta ( non so se hai notato) , riempendosi la bocca di Saramago & C. ?
–
x Domenico Calcaterra. Niente cannibalismo, sono d’accordo, ci mancherebbe. Si mangia infatti ciò che è buono da mangiare, nutriente, non a rischio, tra l’altro, di strane forme di orticaria. 🙂
ERRATA CORRIGE
( “AMO la scrittura di Saramago”).
Caro Gianni,
qui l’unico che merita di essere punito sono io, quando non riesco a indirizzare le discussioni sugli auspicati binari della serenità (pur in presenza di opinioni contrapposte).
Per il resto… le passioni sono soggettive, come le orticarie e le opinioni… che peraltro possono cambiare.
Vedo che, in chiusura, ti sei corretto scrivendo: “AMO la scrittura di Saramago”.
Ne prendo atto!
😉
–
Scherzi a parte, stretta di mano e via… trovo sia bello potersi stimare e apprezzare anche quando la si pensa in maniera diversa. 🙂
Condivido quello che ha scritto l’Osservatore Romano sullo scrittore. Peccato che uno con le sue qualità narrative si sia messo al servizio dell’ateismo nichilista.
Le storie narrate non sono al servizio di nessuno, se non del lettore con la mente aperta capace dunque di accoglierle. Ho molto apprezzato il post di Valeria Corciolani, con cui mi trovo in sintonia.
Ciao Gianni. Nella televisione imperversa la risata da iena, generalmente immobile sul viso. Evidentemente funziona, forse perchè in perfetta sintonia con l’immobilità stuporosa di chi sta di fronte allo scatolone magico. D’altronde, anche le nazioni possono essere guidate da un Homo ridens. Funziona. Nell’intervista da te inizialmente citata, Saramago, come dicevo, rimane del tutto estraneo a qualsiasi vezzo televisivo.
Non credo che se una persona venisse apostrofata con gli stessi epiteti con cui tu hai apostrofato Saramago gli verrebbe da pensare a qualche figura retorica – allegoria o altro… (Non riesco a usare le faccine, emoticons mi pare si chiamino, per mia vecchia abitudine… Ci provo con i puntini sospensivi…). A me Saramaco piace, per quel che so di lui e della sua opera, sia come uomo sia come autore. Tuttavia, mi pare che non sia questa la sede per approfondire le questioni tirate in ballo.
Buonanotte e buon solstizio d’estate,
Gaetano
@ Massimo
Ho appena preso in prestito “Cecità”: ne ho letto d’un fiato il primo capitolo. Folgorante.
Grazie ancora. Buonanotte e buon solstizio d’estate,
Gaetano
Ho già espresso la mia opinione sulla recensione di Toscano su L’Osservatore Romano. Mi pare un ripagare con la stessa moneta le sortite folli che certe volte (anzi assai spesso) la buon’anima aveva. Non mi pare non ci sia nulla di critico se non un processo. Peccato: perché Toscano non è affatto un cretino.
Gaetano: ” Nell’intervista… Saramago, come dicevo, rimane del tutto estraneo a qualsiasi vezzo televisivo”. Sì, forse per via della tarda età già sembrava ( com’era suo diritto, per carità!) piuttosto “estraneo”. Non mi pare una buona ragione per rinvivirlo subito come Anti-Papa.
–
Caro Massimo, non mi piaceva Saramago come scrittore e – a parte qualche eccezione – neanche la gente cui lui piaceva al punto da officiarlo, esclamatizzarlo, MAIUSCHIZZARLO e incensarlo.
Quelli sulla parodia del Primo Testamento e dei Vangeli sono in verità i suoi libri più deboli. Come diceva un amico: sono condizionabile dalle masse, ahimè.
Naturalmente le opinioni possono cambiare, ma quello che viene riportato oggi dai media è di tal genere che di sicuro non mi piacerà leggerlo nemmeno nei secoli futuri. Del resto, i libri sono tanti e non è solo questione di opinione ma proprio di pensieri, di sensibilità e di cultura, o perlomeno di quello che ne resta in tempi di nichilismo attivo.
Aggiungerei che non mi piace neanche l’imperversare della folle risata di iena in tv o altrove.
Oppure chi dissente dev’essere invitato a pagare il canone e a tacere per non turbare la serenità dell’universo?
Di un universo nichilista in cui tutti ( eccetto San Saramago destinato a svolazzare beato su facebook e nei blog), sarebbero chiamati a morire di moderazione? Strisciare in adorazione della Buonanima Amareggiata, questo sì che sarebbe un peccato, un peccato piuttosto cretino.
@Gaetano
sono molto contento che tu stia leggendo “Cecità”: è uno dei libri più significativi del ‘900, checchè alcuni, anche qui, non siano d’accordo. Ma tu, ne sono sicuro, lo saprai apprezzare.
Quanto al commento di markhope, quoto senz’altro Filippo: se c’era qualcuno che si sentiva libero da qualsiasi servilismo, questi era proprio Saramago! Ma che, dobbiamo dividere il mondo tra servi dell’ateismo nihilista e servi della cattolica romana ecclesia? Ma quale strano paese è diventato mai questo!
Quanto al commento di Gianni De Martino, chiaramente (e legittimamente) in disacccordo con me e gli altri “incensatori di Saramago”, vorrei fargli notare che l’universo è tutt’altro che sereno di questi tempi. E che se lui si lamenta di pagare il canone per la Dandini, che dovremmo dire noi riguardo ai Tg di Minzolini, o della TV di Bruno Vespa? Io non credo in una rai che possa andare bene a tutti, ma mi auguro che possa continuare a esistere uno spazio per tutti all’interno del servizio pubblico. Che il pubblico possa scegliere quello che più gli aggrada, pagando il canone per questi e per quelli, in pratica perchè possa esistere informazione e intrattenimento per tutti. Personalmente trovo molto più scandaloso di quella mezz’oretta della Dandini tre o quattro (tarde) sere a settimana, il fatto che per essere minimamete informati si debba andare su La7 o su Skynews.
Saluti.
Per Saramago ”Il Dio della Bibbia è vendicativo, rancoroso, cattivo e indegno di fiducia.” Non si tratta di « dividere il mondo tra servi dell’ateismo nihilista e servi della cattolica romana ecclesia ». Si dà infatti il caso che Saramago attaccava le credenze religiose, in particolare la fede cattolica da cui proveniva per formazione e meno l’islam nelle sue derive fondamentaliste.
Ciao Carlo! Sono supercontento del tuo commento vivificante! Stavo quasi deprimendomi… Sono del tutto d’accordo con il te e con la tua conclusione: “Ma quale strano paese è diventato mai questo!”
Riprendo adesso la lettura di “Cecità”.
correggo: con te
Sulla posizione anticattolica di Saramago ho già detto la mia. Sono personalmente in disaccordo con lo scrittore portoghese, ma questo non mi impedisce di alzarmi e applaudire di fronte a un libro come “Cecità”.
Ma, ribadisco… considero normale e giusto che un libro che a me piace possa non piacere ad altri.
Forse c’è meno interesse per un dio che non si conosce bene rispetto a quello nel rispetto del quale siamo cresciuti e siamo stati educati. E ritengo chiunque sia libero di esprimere la propria opinione, senza dover per forza accomunare religioni diverse in un giudizio globale.
Non credo, se è questo, Saramago abbia mai nutrito simpatia alcuna per i talebanesimi di qualsiasi provenienza, anche se ha preferito scrivere di bibbie e di vangeli (che forse meglio pensava di conoscere) piuttosto che di corani. Ma perchè considerarli “attacchi” e non semplicemente “opinioni”, come se fossimo in guerra? Che bisogno c’è di sentirsi continuamente accerchiati dalle forze del male?
Forse che il Gesù dell’ “Inquisitore ” di Dostoyesky non è anche questo un attacco alla concezione “papistica” della chiesa? Forse è che non proveniva da un “nichilista-ateo”, ma da un credente, a suo modo, anche se non cattolico?
Mi sa che in merito a quest’ultima parte della discussione siamo di fronte a un impasse… ma va bene anche così.
Direi, però, (se avete voglia) di tornare alle opere di Saramago. Approfondendo, magari, altri libri (mi pare che ci siamo concentrati principalmente su “Cecità”).
Mi è venuto in mente un possibile nuovo spunto di discussione…
(ve lo illustro nel commento che segue).
Sia Borges che Saramago sono ossessionati dall’idea della biblioteca come un contenitore di sapienza e fantasia, ma anche come un essere autonomo e solitario. E pure umberto Eco ne “Il nome della Rosa” ambienta la ricerca nell’immensa biblioteca del monastero. La biblioteca, poi, riprende il mito del labirinto…
Vi lascio un paio di brevissimi brani…
“L’ultima immagine che abbiamo del Brasile è quella di una libreria, una cattedrale di libri… una libreria per acquistare libri, certo, ma anche per godere dell’impressionante spettacolo di tanti titoli organizzati in modo così attraente, come se non fosse un negozio, come se si trattasse di un’opera d’arte.”
(Il quaderno, Saramago)
“lo m’arrischio a insinuare questa soluzione: La Biblioteca è illimitata e periodica. Se un eterno viaggiatore la traversasse in una direzione qualsiasi, constaterebbe alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono nello stesso disordine.”
(Borges, la biblioteca di Babele)
Chi ha voglia di approfondire questi spunti?
Uno sfinito uomo con la camicia celeste augura a tutti voi un buon sonno ristoratore.
A Josè de Sousa
Ti voglio chiamare con il tuo nome e cognome.
Nel mondo dove sei non contano più,
anche se famosi,
i soprannomi.
Scompare l’odore di morte
che ti perseguitava
la solitudine che ti stava dentro ed attorno
e ti spiava:
“la terra sparisce ed il cielo comincia”*
o Saramago!
A sinistra
c’è la cronaca
dove i poeti oggi cercano le storie
e i rituali lamenti giornalieri
per salvare se stessi ed il presente,
trovare l’eternità in una simbologia permanente.
Nell’oratorio profano,
a Lanzarote,
le parole dal fascino incantatore
la prosa, la lirica, la musica
fanno coro al comando di te ,
maestro,
a cui ha voluto obbedire
nel naturale tempo l’arbitraria azione
spettacolare:
dialoghi concitati, calma
sintesi e riflessione
che il nostro gusto tragico
accetta senza esitazione
ma
nelle retrovie dove c’è freddo
e manca l’allegria..
Visitatore di tombe
cantaci ancora
le “filastrocche” del Portogallo
con le fatalistiche parole di tuo padre:
“O que tenha que ser meu serà”
Guardo stasera la tua fotografia
e leggo sul tuo volto la storia del pensare
e del soffrire-che avresti voluto spiegarti
con una nuova filosofia.
Nel disorientamento e nell’angoscia
ti è stato difficile trovare la “Porta”
per passare oltre
la “noche oscura”
per vincere la pochezza
e le paure
rispondere alle invidie subite
alle frustrazioni tollerate
spesso tradotte in impeto sociale
senza un rigoglio di Bellezza
che faccia palpitare.
mela mondì
18/06/2010
*il contrario dell’incipit de
”L’anno della morte di Ricardo Reis”
“Paura,Mi sono spaventato un poco quando ho sentito bussare, non avevo pensato che potessi essere tu, ma non avevo paura era soltanto la solitudine.Questa poi, la solitudine, quanto dovrai ancora imparare per sapere cosa sia,Ho sempre vissuto da solo,Anch’io,ma la solitudine non è vivere da soli, la solitudine è il non essere capaci di fare compagnia a qualcuno o a qualcosa che è dentro di noi. La solitudine non è un albero in mezzo alla pianura dove ci sia solo lui, è la distanza tra la linfa profonda e la corteccia, tra la foglia e la radice…..”
da Saramago:L’ANNO DELLA MORTE DI RICCARDO REIS ed.la Biblioteca di Repubblica.pag 188
Il problema è che Saramago non ha saputo dare un nome a questo qualcuno o qualcosa che stava dentro dilui.
Vorrei rispondere a Gianni De Martino che dice” per Saramago il Dio della Bibbia è vendicativo…. ecc.E’ vero nella Bibbia c’è questo Dio ma per concludere che nella Bibbia c’è un dio Padre e un padre adopera tutte le arti per salvare il figlio.Il discorso è veramente molto più complesso ma ALLA FINE CI PORTA VERSO UN DIO Amore. Per quanto riguarda Saramago e il suo non rapporto con Dio non si può parlare sic et sempliciter di ateismo,
perchè Saramago era uno che cercava sempre l’oggetto di cui formulava una ipotesi tant’è che alla fine sperava in qualcuno che escogitasse un nuovo sistema filosofico, quasi quasi per aiutarlo ad uscire dal disco rotto in cui era caduto. Saramago non era un ateo ma un puntiglioso, uno che nonostante le sue capacità non aveva smesso di fare il contadino. Era talmente innamorato di suo padre e dei suoi nonni che si arrabbiava con la società perchè li aveva messi ad allevare porci.
Le proposizioni atee di Saramago sono fuori dalle sue opere , dentro le opere è grande. Ci sono pagine bellissime quando si lascia andare e ci sono pagine in cui si sentono i suoi denti stretti.
Non dimentichiamo poi che il suo modello fu Pessoa ma per la paura di non superarlo lo capovolse .Pessoa rapporta le emozioni alla fede e dà tre tipi di credo
il credo negli Dei(entità terrene e superficiali) il credo in Dio e il credo nel Fato. Saramago accettò gli Dei e il fato e rifiutò Dio che gli avrebbe creato complicazioni e non avrebbe potuto dominare col la sua scrittura.
A titolo di servizio, segnalo l’articolo di uno scrittore circonfuso di tenerezza e pietà in ogni suo gesto o scritto come Maurizio Maggiani, il quale ha scritto sul Secolo XIX un sua commemorazione nel suo caldo e confortante stile con l’occhio sempre teso (come Saramago?) al destino dell’umanità:
http://www.feltrinellieditore.it/FattiLibriInterna?id_fatto=11329&utm_source=news_autore_160247&utm_medium=email
Buona lettura.
Domenico
Ha detto il revisore, Sì, il nome di questo segno è deleatur, lo usiamo quando abbiamo bisogno di sopprimere e cancellare, la parola stessa lo dice, e vale sia per lettere singole che per parole intere, Mi ricorda un serpente che si fosse pentito al momento di mordersi la coda, Ben detto, dottore, davvero, per quanto siamo aggrappati alla vita, perfino una serpe esiterebbe dinanzi all’eternità, Mi faccia il disegno, ma lentamente, È facilissimo, basta prendere il verso, guardando distrattamente si pensa che la mano stia tracciando il terribile cerchio, invece no, noti che non ho chiuso il movimento qui dove lo avevo cominciato, ci sono passato accanto, all’interno, e adesso proseguirò verso il basso fino a tagliare la parte inferiore della curva, in fondo sembra proprio la lettera Q maiuscola, niente di più, Che peccato, un disegno che prometteva tanto, Accontentiamoci con l’illusione della somiglianza, ma in verità le dico, dottore, se posso esprimermi in stile profetico, che l’interessante della vita è sempre stato proprio nelle differenze.
Calma, dirà Maria Sara, non ci stanno più cose in un anno che in un minuto soltanto perché si tratta di un minuto e di un anno, non è la dimensione del vaso che importa, ma quello che ognuno di noi riesce a mettervi, anche se dovrà traboccare e andare perduto.
——
[Citazione di José Saramago, da Storia dell’assedio di Lisbona (História do cerco de Lisboa), traduzione di Rita Desti, Bompiani, 1989. ISBN 8845216519]
C’era la luna piena, di quelle che trasformano il mondo in fantasma, quando tutte le cose, le animate e le inanimate, stanno sussurrando misteriose rivelazioni, ma ciascuna dicendo la sua, e tutte discordanti, perciò non riusciamo a capire e patiamo quest’angoscia di essere sul punto di conoscerle e di non conoscerle.
——
[Citazione di José Saramago, da Storia dell’assedio di Lisbona (História do cerco de Lisboa), traduzione di Rita Desti, Bompiani, 1989. ISBN]
Chiaro che siamo in guerra, ed è una guerra di accerchiamento, ognuno di noi assedia l’altro ed è assediato, vogliamo abbattere le mura dell’altro e mantenere le nostre, l’amore verrà quando non ci saranno più barriere, l’amore è la fine dell’assedio.
——
[Citazione di José Saramago, da Storia dell’assedio di Lisbona (História do cerco de Lisboa), traduzione di Rita Desti, Bompiani, 1989. ISBN]
L’uomo che guida il camioncino si chiama Cipriano Algor, fa il vasaio di mestiere e ha sessantaquattro anni, anche se a vederlo sembra meno anziano. L’uomo che gli sta seduto accanto è il genero, si chiama Marçal Gacho, e ancora non è arrivato ai trenta. In ogni modo, con la faccia che ha, nessuno glieli darebbe. Come si sarà notato, sia l’uno che l’altro hanno appiccicati al nome proprio dei cognomi insoliti di cui s’ignorano l’origine, il significato e la ragione. La cosa più probabile è che si dispiacerebbero se mai giungessero a sapere che algor, algora, significa freddo intenso del corpo, preannuncio di febbre, e che il gacho è né più né meno che la parte del collo di bue su cui poggia il giogo.
—–
[José Saramago, La caverna (A caverna), traduzione di Rita Desti, Einaudi, 2000]
Lì rimasero per più di due ore il cane e il suo padrone, ciascuno con i propri pensieri, ormai senza lacrime piante dall’uno e asciugate dall’altro, chissà, forse in attesa che la rotazione del mondo rimettesse tutte le cose ai loro posti, senza dimenticarne qualcuna che fino ad ora non è ancora riuscita a trovare il proprio.
—–
[José Saramago, La caverna (A caverna), traduzione di Rita Desti, Einaudi, 2000]
La gioventù non sa quel che può, la maturità non può quel che sa.
—–
[José Saramago, La caverna (A caverna), traduzione di Rita Desti, Einaudi, 2000]
Si dice che ogni persona è un’isola, e non è vero, ogni persona è un silenzio, questo sì, un silenzio, ciascuna con il proprio silenzio, ciascuna con il silenzio che è.
—–
[José Saramago, La caverna (A caverna), traduzione di Rita Desti, Einaudi, 2000]
Grande, grande Saramago…
Grazie
Giulia
Caro Massi,
tutta la metafora della biblioteca in Borges come in Saramago (e ancor prima in Dante) allude al viaggio dentro di sè, al sacro che abbiamo perduto e che ancora cerchiamo, al tentativo, sempre imperfetto, di avvicinarci alla verità.
Ed è quindi atto religioso, pietoso e umilissimo, che forse può illuminare sulla spiritualità di Saramago.
Sia per Borges che per Saramago (e ancor prima per Dante), infatti, la metafora rappresentativa dell’universo è il libro. Il valore assoluto è dato dal bisogno della ricerca del libro primo, motore dei rimanenti, finiti libri, e dall’esistenza certa del libro primo, che Dante, medievale, tomista, cristiano, contemplerà al termine del suo viaggio.
Borges scrive ne “La biblioteca di Babele”, che come tutti gli uomini abitanti della Biblioteca del mondo, anche lui ha viaggiato, ha “peregrinato in cerca di un libro, forse del catalogo dei cataloghi” . Una spinta, questa, dovuta all’incancellabile esigenza di incontrare la Verità, anche se il viaggio è dentro e attraverso un numero di volumi interminabile, infinito: Borges afferma infatti che un libro (o un testo) letterario non può essere considerato come un sistema chiuso, di cui l’autore è l’unico decifratore e l’unico detentore della chiave di volta. Considerare un libro come un sistema dalla logica serrata, perimetrale, equivale a distruggere il libro nella sua essenza di opera aperta, secondo la terminología di Eco; ciò che è ancora più affascinante è che l’operazione della lettura provoca “ripercussioni incalcolabili” in cui il lettore aggiunge granelli interpretativi nuovi alla ricerca constante e mai appagata del libro.
Perciò la ricerca del libro è un’operazione fondamentale, perché strutturale all’uomo, ma la Biblioteca perdurerà incorruttibile e segreta come sempre.
Dietro la massiccia metafora della Biblioteca, Borges e Saramago ci additano che il cammino necessario e quasi impellente dell’individuo alla ricerca del dio nascosto nelle pieghe dei libri è l’atto sacro della lettura.
“….La Biblioteca esiste ab aeterno. Di questa verità, il cui
corollario inmediato è l’eternità futura del mondo,
nessuna mente ragionevole può dubitare. L’uomo,
questo imperfetto bibliotecario, può essere opera del
caso o di demiurghi malevoli; l’universo, con la sua
elegante dotazione di scaffali, di tomi enigmatici, di
infaticabili scale per il viaggiatore e di latrine per il
bibliotecario seduto, non può essere che l’opera di un
dio. Per avvertire la distanza che c’è tra il divino e
l’umano, basta paragonare questi rozzi, tremuli simboli
che la mia fallibile mano sgorbia sulla copertina di un
libro, con le lettere organiche dell’interno: puntuali,
delicate, nerissime, inimitabilmente simmetriche”…. (pp.
67-68, Borges, La biblioteca di Babele)
Gli spunti sulla biblioteca saramago-borgesiana lanciati da Massimo Maugeri erano interessanti. Simona Lo Iacono li ha raccolti ed approfonditi in maniera eccelsa. Complimenti.
A proposito di biblioteche, Saramago aveva donato a Lanzarote la sua Biblioteca di ventiduemila volumi, frequentatissima soprattutto dai giovani e dai bambini delle scuole.
Cito la frase finale del precedente post di Simona Lo Iacono : “Dietro la massiccia metafora della Biblioteca, Borges e Saramago ci additano che il cammino necessario e quasi impellente dell’individuo alla ricerca del dio nascosto nelle pieghe dei libri è l’atto sacro della lettura”.
Addio José, grazie per tutte le parole che mi hai dedicato. Dannata morte che non ci farà più parlare assieme davanti ad una menta, nella tua isola. Che la terra ti sia lieve, che quest’ultimo viaggio sia dolce. Le tue parole continueranno a formare libere anime.
ROBERTO SAVIANO
–
continua qui http://www.robertosaviano.it/articoli/addio-jose/
Penso a Roberto Saviano, minacciato di morte per aver scritto un libro di denuncia di un’organizzazione criminale capace di sequestrare un’intera città e chi ci vive, penso a Roberto Saviano che ha la testa non messa a taglia ma a termine, e mi chiedo se un giorno ci risveglieremo dall’incubo che la vita è per tanti, perseguitati perché dicono la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Mi sento umile, quasi insignificante, davanti alla dignità e al coraggio dello scrittore e giornalista Roberto Saviano, maestro di vita.
(da “Il Quaderno”, traduzione di Giulia Lanciani, Bollati Boringhieri, Torino, 2009)
Consiglio di leggere ‘L’anno della morte di Ricardo Reis’, secondo me uno dei suoi migliori libri. Ho letto anche ‘L’uomo duplicato’, altro grande libro.
Se posso, approfondisco domani. Saluti.
Concordo con Simona… l’atto di ricerca che è la lettura ha valore direi religioso per il suo afflato verso un Dio o dio che si nasconde, lascia tracce in ogni libro che il lettore paziente e instancabile si sforza per tutta la vita di decifrare.
La Biblioteca… Universo e Paradiso essa stessa.
Borges e Saramago ce lo ricordano nei loro scritti.
Auguro a questi “grandi vecchi” di aver incontrato lo Spirito che ha scritto il Libro e ha ispirato tutti i libri.
Grazie dei suggerimenti: mi ripropongo di leggere i libri che avete segnalato qui. Tutte tappe dentro e verso La Biblioteca, verso il Bibliotecario.
si può avere una grande spiritualità anche lontano dalle religioni. lo spirito non è per forza santo, e il sacro non appartiene alla chiesa romana, non è suo appannaggio. secondo me ateo e nichilista, soprattutto nichilista, a saramago non si dovrebbe neanche lontanamente pensare di poterli attribuire, semplicemente perché non vogliono dire nulla. e poi uno che ha il coraggio di dipingerci brutti e pericolosi e ridicoli come siamo, senz’anima, codardi e fingitori, beh è molto vicino allo spirito.
Carissimo Dottor Maugeri,
concordo con quanto sin qui detto sulla spiritualità di Saramago, sul suo essere, comunque, in ricerca.
Colgo l’occasione per salutare l’affascinante sig.ra M. Teresa Santalucia Scibona e per associarmi alle osservazioni della dott.ssa Simona Lo Iacono.
E riporto con profondissima commozione le meravigliose parole di Maurizio Maggiani che ho potuto leggere grazie al link postato dal sig. Domenico Calcaterra qualche commento più su.
Grazie dottor Maugeri, per la possibilità datami di unirmi al coro di quanti piangono il grande Saramago, uomo in tutto, e in tutti gli uomini.
Il suo sempre affezionatissimo
Professor Emilio
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“…..non c’è Dio di nessuna fede, di nessun popolo, di nessun uomo che possa resistere alle attenzione che Saramago gli ha rivolto per tutta la sua vita, per tutti i suoi romanzi. Quell’uomo ha trascorso la sua esistenza letteraria incaponito in una sola domanda incalzando un unico destinatario: Dio, perché? Nel modo ostinato fino alla ferocia che solo un figlio può riservare a un padre, allo stesso modo di Caino, non ha mai cessato di chiedergli conto di ciò che Dio si è assunto in sua potestà. Lo ha fatto quotidianamente per tutto ciò che di irragionevole e perverso e disumano attiene alla vita degli uomini e dell’intero Creato. La sua diuturna contesa con Dio ha generato una famigliarità tra loro che non credo possano vantare che pochissimi santi, rari profeti, certamente ben pochi tra i ferventi praticanti. Sì, tra loro era proprio una questione di famiglia, tra padre e figlio. Non so se si proclamasse ateo, ma se anche lo avesse fatto, chi ha letto i suoi libri non può che pensare alla fremente abiura che conclude, sempre provvisoriamente, le rivendicazioni di un figlio contro l’autorità paterna: tu non sei mio padre. Cosa assai diversa da chi dice: tu non sei mio figlio”.
Cecità: un mondo così , di certo, non sopravviverà!
Se ognuno di noi vedrà tutto soltanto con gli occhi,
cielo, mare e terra appariran alquanto distorti,
l’umanità bestiale e feroce
con razionalità non saprà più discernere le cose,
abbruttimento, violenza, degradazione
si impossesseranno di ogni stato, di ogni regione,
indifferenza ed egoismo si daran la mano
rendendo ogni uomo più incivile e disumano!
Grazie a te Saramago,ragione, luce e salvezza
diverran sorelle di altruismo, solidarietà e certezza!
Questo è il mio pensiero per te
Tu che per molti sarai per sempre il grande José!
Con affetto, ilarì
Scusatemi, ma scrivendo di getto ho sbagliato un concetto
Cecità: un mondo così , di certo, non sopravviverà!
Se ognuno di noi vedrà tutto soltanto con gli occhi,
cielo, mare e terra appariran alquanto distorti,
l’umanità bestiale e feroce
senza razionalità non saprà più discernere le cose,
abbruttimento, violenza, degradazione
si impossesseranno di ogni stato, di ogni regione,
indifferenza ed egoismo si daran la mano
rendendo ogni uomo più incivile e disumano!
Grazie a te Saramago,ragione, luce e salvezza
diverran sorelle di altruismo, solidarietà e certezza!
Questo è il mio pensiero per te
Tu che per molti sarai per sempre il grande José!
Con affetto, ilarì
Ringrazio tutti per i nuovi commenti pervenuti.
Un ringraziamento specialissimo a Simona (grazie di cuore, Simo!) che ha raccolto lo spunto “bibliotecario” ampliandolo da par suo…
@ Mela Mondì
Grazie per il componimento e per le tue riflessioni che mi sento di condividere.
@ Domenico Calcaterra
Grazie per aver linkato l’articolo di Maurizio Maggiani (grande scrittore che ho sempre apprezzato). Hai svolto un ottimo servizio 😉
Un ringraziamento collettivo agli anonimo (o all’anonimo) per le citazioni lasciate.
Un caro saluto a: Giulia, Filippo, Antonella, Lucy, Maria Lucia, il prof. Emilio (uomo d’altri tempi), Ilarì.
Una serena notte a voi.
Tempo pessimo per votare, si lagnò il presidente di seggio della sezione elettorale dopo aver chiuso violentemente il parapioggia inzuppato ed essersi tolto un impermeabile che a ben poco gli era servito nell’affannato trotto di quaranta metri da dove aveva lasciato l’auto fino alla porta da cui, col cuore in gola, era appena entrato. Spero di non essere l’ultimo, disse al segretario che lo aspettava qualche passo indietro, al riparo dalle raffiche che, sospinte dal vento, allagavano il pavimento. Manca ancora il suo supplente, ma siamo in orario, tranquillizzò il segretario, Se continua a piovere così sarà una vera impresa se arriveremo tutti, disse il presidente mentre si trasferivano nella sala dove si sarebbe svolta la votazione. Salutò per primi i colleghi di seggio che avrebbero fatto gli scrutatori, poi i rappresentanti di lista e i loro rispettivi supplenti. Usò l’attenzione di adottare per tutti le stesse parole, non lasciando trasparire nel viso né nel tono della voce alcun indizio che consentisse di cogliere le sue personali tendenze politiche e ideologiche. Un presidente, sia pure di una sezione elettorale tanto normale come questa, dovrà regolarsi in tutte le situazioni secondo il più rigoroso senso di indipendenza, o, in altre parole, mantenere le apparenze.
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[José Saramago, Saggio sulla lucidità (Ensajo sobre a Lucidez), traduzione di Rita Desti, Einaudi, 2007]
Ci sono momenti così, crediamo nell’importanza di ciò che abbiamo detto o scritto fino a quel punto, soltanto perché non è stato possibile far tacere i suoni o cancellare i tratti, ma ci entra nel corpo la tentazione del silenzio, il fascino dell’immobilità, stare come stanno gli dèi, zitti e tranquilli, solo ad assistere.
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[José Saramago, Saggio sulla lucidità (Ensajo sobre a Lucidez), traduzione di Rita Desti, Einaudi, 2007]
Un uomo non può camminare a caso, non sono solo i ciechi ad aver bisogno del bastone che tasti un palmo avanti o del cane che fiuti i pericoli, anche un uomo con i propri due occhi intatti ha bisogno di una luce che lo preceda, quello in cui crede o a cui aspira, anche i dubbi servono, in mancanza di meglio.
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[José Saramago, Saggio sulla lucidità (Ensajo sobre a Lucidez), traduzione di Rita Desti, Einaudi, 2007]
E’ quasi sempre così, un uomo si tormenta, si preoccupa, teme il peggio, crede che li mondo gli chiederà un rendiconto completo, e il mondo è già avanti, a pensare ad altri fatti.
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[José Saramago, Saggio sulla lucidità (Ensajo sobre a Lucidez), traduzione di Rita Desti, Einaudi, 2007]
Tutti noi soffriamo di una malattia, di una malattia di base, per così dire, che è inseparabile da ciò che siamo e che, in un certo modo, fa ciò che siamo, se anzi non è più esatto dire che ciascuno di noi è la propria malattia, per causa sua siamo così poco, così come per causa sua riusciamo a essere tanto […]
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[José Saramago, Saggio sulla lucidità (Ensajo sobre a Lucidez), traduzione di Rita Desti, Einaudi, 2007]
La solitudine non è vivere da soli, la solitudine è il non essere capaci di fare compagnia a qualcuno o a qualcosa che sta dentro di noi, la solitudine non è un albero in mezzo a una pianura dove ci sia solo lui, è la distanza tra la linfa profonda e la corteccia, tra la foglia e la radice.
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[José Saramago, Saggio sulla lucidità (Ensajo sobre a Lucidez), traduzione di Rita Desti, Einaudi, 2007]
Che splendide citazioni… tutte di una profondità, di una sensibilità, di una lucidità meravigliosa. Scritte in maniera magistrale. E complimenti ai traduttori che le hanno traghettate nella nostra lingua.
Lucy, concordo… spiritualità e religione non coincidono. Saramago ha dimostrato come l’interrogazione continua e tenace sui massimi sistemi sia possibile anche senza il lume della fede, per sola ragione, ostinata e lucida. E come scrivere sia un atto religioso, una religione della ragione e dello spirito umano.
“La cosa Berlusconi”
di José Saramago, “El Pais”, domenica 7 giugno 2009
[Traduzione di Irene Campari]
“Non vedo come altrimenti la potrei chiamare. Una cosa pericolosa, una cosa che organizza feste e orge. Questa cosa, questa malattia, questo virus minaccia di costituirsi come la morte morale del Paese di Verdi se un rigurgito profondo non verrà dalla coscienza degli Italiani prima che il veleno non corrompa le vene e non atrofizzi il cuore di uno dei Paesi europei più ricchi di cultura. I valori fondanti della convivenza umana vengono calpestati tutti i giorni dalla consistenza vischiosa della cosa di Berlusconi che, tra i suoi molteplici talenti, c’è anche la capacità funambolica di abusare delle parole, stravolgendo in modo perverso le emozioni e le intenzioni, come nel caso del Popolo delle Libertà, il nome del partito tramite il quale è andato al potere. L’ho chiamata “delinquente” questa cosa e non me ne pento. Per ragioni semantiche, che altri sapranno spiegare meglio di me, il termine delinquente ha in Italia una carica negativa più forte che in altri idiomi europei. Per tradurre in forma chiara e incisiva ciò che penso della cosa di Berlusconi uso il termine nella accezione che la lingua di Dante gli attribuisce abitualmente, nonostante sia dubbioso sul fatto che Dante lo abbia mai utilizzato. Delinquenza, nel mio portoghese, significa, in accordo con i dizionari e la pratica corrente della comunicazione, “azione delittuosa, in spregio alla legge o ai dettami morali”. La definizione si attaglia perfettamente alla cosa di Berlusconi, non facendo una grinza, quasi come una seconda pelle. Da anni Berlusconi commette delitti di gravità variabile e sempre dimostrata. Tuttavia, non è che disobbedisca di per sé alle leggi, piuttosto le fa fare a salvaguardia dei suoi interessi privati e politici. Non c’è ormai più nessuno che non sappia in Italia e nel mondo di quale natura sia la cosa di Berlusconi e di come sia caduta nella più totale abiezione. E’ il primo ministro italiano, è la cosa che il popolo italiano ha eletto due volte affinché le serva da modello ma questo è il cammino verso la distruzione di valori quali libertà e dignità, valori di cui era impregnata la musica di Verdi e l’azione politica di Garibaldi durante le battaglie per l’unificazione, valori che fecero il XX secolo, che sono anche quelli ereditati dall’Europa. E’ questo che la cosa di Berlusconi vuole gettare nella spazzatura della Storia? Glielo permetteranno gli Italiani?”
Grazie Josè, di cuore.
Per quanto incongruente possa sembrare a chi non tenga in attenta considerazione l’importanza delle alcove, siano esse sacramentate, laiche o irregolari, nel buon funzionamento delle amministrazioni pubbliche, il primo passo dello straordinario viaggio di un elefante verso l’austria che ci proponiamo di narrare fu fatto negli appartamenti reali della corte portoghese, più o meno all’ora di andare a letto. Si registri sin da subito che non è un semplice caso se sono state utilizzate qui queste parole imprecise, più o meno. Ci siamo dispensati cosí, con notevole eleganza, di entrare in particolari di ordine fisico e fisiologico un po’ sordidi, e quasi sempre ridicoli, che, tirati in ballo sulla carta, offenderebbero il cattolicesimo rigoroso di dom joão, il terzo, re di portogallo e degli algarvi, e di donna caterina d’austria, sua sposa e futura nonna di quel dom sebastião che andrà a combattere ad alcácer-quibir e laggiù morirà al primo assalto, o al secondo, quantunque non manchi chi afferma che trapassò per malattia alla vigilia della battaglia.
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incipit di “Il viaggio dell’elefante” di José Saramago
L’uomo che è appena entrato nel negozio per noleggiare una videocassetta ha nella sua carta d’identità un nome tutt’altro che comune, di un sapore classico che il tempo ha reso stantio, niente di meno che Tertuliano Máximo Afonso. Il Máximo e l’Afonso, di applicazione piú corrente, riesce ancora ad ammetterli, a seconda, però, della disposizione di spirito in cui si trovi, ma il Tertuliano gli pesa come un macigno fin dal primo giorno in cui ha capito che l’infausto nome si prestava a essere pronunciato con un’ironia che poteva essere offensiva. È professore di Storia in una scuola media, e la videocassetta gli era stata suggerita da un collega di lavoro che tuttavia non si era dimenticato di preavvisare, Non che si tratti di un capolavoro del cinema, ma potrà intrattenerla per un’ora e mezza.
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incipit di “L’uomo duplicato” di José Saramago
Il giorno seguente non morì nessuno. Il fatto, poiché assolutamente contrario alle norme della vita, causò negli spiriti un enorme turbamento, cosa del tutto giustificata, ci basterà ricordare che non si riscontrava notizia nei quaranta volumi della storia universale, sia pur che si trattasse di un solo caso per campione, che fosse mai occorso un fenomeno simile, che trascorresse un giorno intero, con tutte le sue prodighe ventiquattr’ore, fra diurne e notturne, mattutine e vespertine, senza che fosse intervenuto un decesso per malattia, una caduta mortale, un suicidio condotto a buon fine, niente di niente, zero spaccato.
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incipit di “L’intermittenza della morte” di José Saramago
Sopra la cornice della porta c’è una placca metallica lunga e stretta, rivestita di smalto. Su sfondo bianco, le lettere nere annunciano Conservatoria Generale dell’Anagrafe. Lo smalto è crepato e sbrecciato in alcuni punti. La porta è antica, l’ultimo strato di vernice marrone si sta scrostando, le venature del legno, visibili, ricordano una pelle striata. Ci sono cinque finestre sulla facciata. Appena si varca la soglia, si sente l’odore della carta vecchia.
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incipit di “Tutti i nomi” di José Saramago
Scusami Vaimax ma cosa ha detto di nuovo Saramago di quella…cosa?
Mi piacerebbe soffermarmi sullo stile della scrittura di Saramago e sull’uso della punteggiatura. Avete notato che non usa segni, o virgolette nei dialoghi? La scrittura di Saramago è come una massa unitaria che non concede e non si concede pause. Non è facile gestire questa tecnica evitando il rischio di confondere il lettore. Ma Saramago è molto bravo e ci riesce bene.
« Siete voi, sì, soltanto voi, i colpevoli, siete voi, sì, che ignominiosamente avete disertato dal concerto nazionale per seguire il cammino contorto della sovversione, della indisciplina, della più perversa e diabolica sfida al potere legittimo dello stato di cui si abbia memoria in tutta la storia delle nazioni. »
(Un passo del discorso del presidente della repubblica agli abitanti della città che ha votato in massa scheda bianca)
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[José Saramago, Saggio sulla lucidità, collana ET Scrittori, 1369, traduzione di Rita Desti, Giulio Einaudi Editore, 2005. pp. 290]
“Saggio sulla lucidità” (titolo originale, in lingua portoghese: Ensaio sobre a Lucidez) è un romanzo di José Saramago, edito nel 2004. È una sorta di seguito del romanzo Cecità (Ensaio sobre a Cegueira, che gli valse il Nobel nel 1998) del 1995, in quanto accomunato a questo dalla presenza di alcuni personaggi.
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[José Saramago, Saggio sulla lucidità, collana ET Scrittori, 1369, traduzione di Rita Desti, Giulio Einaudi Editore, 2005. pp. 290]
LA TRAMA (parte prima)
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I risultati delle elezioni amministrative in una capitale senza nome di un paese, anch’esso senza nome, mostrano l’insolita preferenza dei cittadini (oltre il 70%) per le schede bianche. Il governo del paese, retto da un non meglio specificato p.d.d. (partito di destra), che si contende il potere con il p.d.m. (partito di mezzo) e il minoritario p.d.s. (partito di sinistra), decide di far spiare i cittadini dalla polizia e di indire nuove elezioni, annullando le precedenti. Nonostante i metodi molto duri e repressivi, la polizia non riesce a scoprire nulla di nuovo, non c’è nessuna traccia dell’organizzazione criminale e sovversiva cercata dal governo, e le nuove elezioni danno un risultato ancora più sorprendente: l’83% delle schede scrutinate risulta essere composto da schede bianche.
Visti i pochi progressi delle indagini, il governo decide di auto-esiliarsi e di porre la capitale in stato d’assedio, ritirando ogni traccia delle istituzioni centrali, comprese le forze di polizia, eccetto per quel che riguarda elementi che hanno il compito di scoprire le cause di quanto avvenuto. Ben presto viene compiuto un attentato in una stazione della metropolitana, che lo stesso governo, nella persona del ministro dell’interno, ha ordito, ma la colpa viene addossata ai cosiddetti biancosi, cioè all’organizzazione sediziosa accusata dal governo di aver fatto votare scheda bianca alla grande maggioranza della popolazione della capitale.
In risposta a un lancio di volantini sulla città da parte del governo, una lettera giunge nelle mani del presidente della repubblica, del primo ministro e del ministro dell’interno. Un uomo, che si rivela essere il primo cieco, confessa di conoscere una donna che al tempo della “cecità bianca” di quattro anni prima, era stata l’unica a non perdere la vista e aveva anche ucciso un uomo. Effettivamente, in Cecità, la donna (denominata la moglie del medico) aveva ucciso un uomo, che, insieme ad altri ciechi, costringeva una parte delle persone internate dal governo in un ex manicomio a scambiare il cibo con rapporti sessuali. Il ministro dell’interno mette immediatamente in relazione la cecità dell’epoca e i risultati delle elezioni, sostenendo che la “colpevole” della sedizione non può che essere l’unica a non essere diventata cieca anni addietro.
« Ti domando se dire che un accusato è innocente significa fallire una indagine, Sì, se l’indagine è stata concertata per fare di un innocente un colpevole »
(Uno scambio di battute tra il commissario e l’ispettore)
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[José Saramago, Saggio sulla lucidità, collana ET Scrittori, 1369, traduzione di Rita Desti, Giulio Einaudi Editore, 2005. pp. 290]
LA TRAMA (parte seconda)
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Per accertare questo, o, meglio, per far creare prove false a supporto di questa ipotesi, il ministro dell’interno invia un commissario, un ispettore e un agente di seconda classe in città. Questi avrebbero avuto il compito di interrogare il primo cieco, sua moglie, la moglie del medico e suo marito, il vecchio con la benda e quella che, alla fine dell’epidemia di cecità, era diventata la sua compagna, una ex-prostituta, denominata la ragazza con gli occhiali scuri. Queste persone, infatti, avevano fatto parte del gruppo di ciechi guidati dalla moglie del medico, l’unica dotata della vista. Dopo i primi interrogatori e pedinamenti, il gruppo di poliziotti finisce per solidarizzare con i componenti del gruppo. Questo rende il commissario, che maggiormente si fa portatore di critiche all’operato del governo, un nemico per il ministro dell’interno, protagonista e promotore delle scelte dell’esecutivo. Il ministro, dopo aver richiesto al commissario di fornirgli una foto del gruppo, consegnandola all’uomo con la cravatta blu a pallini bianchi, lascia da solo il commissario, facendo uscire dalla città i due sottoposti. Il commissario, lasciato solo, viene ucciso dallo stesso uomo, su ordine del ministro dell’interno. Quest’ultimo viene rimosso dal suo incarico dal primo ministro, ma ciò non mette fine alle azioni dell’uomo con la cravatta blu a pallini bianchi, il quale, approfittando della solitudine della moglie del medico (suo marito è stato arrestato dalla polizia), la uccide, sparando a lei e al suo cane (il cane delle lacrime), con un fucile di precisione.
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[José Saramago, Saggio sulla lucidità, collana ET Scrittori, 1369, traduzione di Rita Desti, Giulio Einaudi Editore, 2005. pp. 290]
STILE E TEMATICHE
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In questa opera, come in altre opere di Saramago, viene utilizzato uno stile che prevede l’assenza di nomi propri per i personaggi, identificati tramite espressioni impersonali (come il commissario, l’agente di seconda classe, la moglie del medico, e così via). I dialoghi non sono introdotti dai due punti, né vengono utilizzate le virgolette. I dialoghi vedono le frasi dei vari partecipanti separate da una virgola, seguita da una parola che inizia con una lettera maiuscola.
« Venne ad aprire la moglie del medico, che domandò, Chi siete, che volete, Siamo agenti di polizia »
(Un esempio di come si svolgono i dialoghi nell’opera)
Una tematica ricorrente nel libro è quello dell’arroganza del potere, che Saramago mette molto in risalto, nei rapporti tra i vari esponenti del governo, in quelli tra il governo e il popolo, in quelli tra i vari livelli di governo (il ministro dell’interno e il sindaco della città), nei rapporti tra il ministro dell’interno e il commissario, nei rapporti tra il commissario e i suoi sottoposti. Altro tema è quello delle bugie degli esponenti del governo, che mettono in piedi un autoattentato (alla metropolitana) e fanno uccidere il commissario, salvo poi elevare questo a “eroe della patria” per guadagnare voti.
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[José Saramago, Saggio sulla lucidità, collana ET Scrittori, 1369, traduzione di Rita Desti, Giulio Einaudi Editore, 2005. pp. 290]
LA RECENSIONE DE “L’INDICE”
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Partiamo dall’aneddoto che dà avvio al romanzo e che si potrebbe riassumere così: in una capitale non identificata di un paese non identificato in cui vige un sistema democratico, i cittadini chiamati alle urne votano in massa scheda bianca. A un primo turno, sfociato in un’inammissibile 74 per cento di schede in bianco, è infatti seguito un secondo turno dall’esito ancora peggiore, in cui si registra un 82 per cento di voti di protesta. Perché di questo si tratta: nel pieno esercizio del loro diritto di voto, i cittadini sembrano usarlo come unico mezzo a loro disposizione per esprimere il proprio dissenso. Non disertano le urne in un vago – e variamente interpretabile – assenteismo, ma votando in bianco dichiarano di criticare l’offerta di tutti e tre i partiti in lizza, i non meglio identificati p.d.d. (partito di destra) p.d.m. (partito di mezzo), p.d.s. (partito di sinistra). I cittadini non sono rimasti a casa per evitare le piogge torrenziali abbattutesi sulla città, né hanno preferito rincorrere il sole in qualche ameno luogo di villeggiatura o semplicemente trascorrere la domenica al cinema o con gli amici, per comodità, pigrizia o indifferenza. No. Sono andati ai seggi e hanno votato. Inequivocabilmente. Come reagisce il sistema? Che cosa accadrà? Non è il compito di un recensore svelarlo, si sappia soltanto che c’è un momento in cui tutte le autorità decidono di abbandonare la capitale e che, ciononostante, i cittadini sembrano continuare a vivere in modo curiosamente armonico, attraversando un periodo, sia pur breve, di anarchia ideale.
Queste cose non accadono nella vita reale, si sa. Ma non è necessariamente il compito di un romanziere quello di raccontare la vita così com’è. Quantomeno non per José Saramago. Chi conosce la sua opera non si stupirà dinanzi a questa ennesima sfida impossibile lanciata dallo scrittore portoghese. Infatti, se si eccettuano il Manuale di pittura e calligrafia e le memorie autobiografiche di Viaggio in Portogallo, tutti i libri di Saramago germogliano intorno a un episodio sconcertante e paradossale: l’eteronimo di Pessoa che si incontra con il suo autore redivivo in L’anno della morte di Ricardo Reis, la penisola iberica che si stacca dal continente europeo in La zattera di pietra, il correttore di bozze che nega una verità storica in Storia dell’assedio di Lisbona, il potere della protagonista di Memoriale del convento di vedere attraverso la pelle, la più che apocrifa esegesi di Il vangelo secondo Gesù Cristo, l’apocalittica perdita della vista da parte di un’intera popolazione in Cecità, l’improbabile identificazione della caverna di Platone con un orwelliano centro commerciale in La caverna, l’impossibile archivio della piranesiana Conservatoria di Tutti i nomi, la duplicazione fisica ed esistenziale del protagonista di L’uomo duplicato. Del resto, nel corso di svariate interviste, Saramago ha illustrato il suo metodo nel porsi dinanzi alla pagina bianca: a differenza di quegli scrittori che vanno in giro con un taccuino annotando gli spunti che vengono suggeriti loro dalla vita reale, egli inizia col “fare il vuoto” dentro di sé e incomincia a immaginare a partire da un’ipotesi o da una domanda: “che cosa accadrebbe se…?”.
Di recente, a Milano, proprio in occasione della presentazione di Saggio sulla lucidità, Umberto Eco ha suggerito un accostamento fra le storie raccontate da Saramago e i contes philosophiques, che è piaciuto molto allo scrittore portoghese al punto di indurlo a confessare il desiderio giovanile di diventare un filosofo e la sensazione odierna di essere, in qualche misura, un “saggista mancato”, come testimoniano le parole predilette in gran parte dei suoi titoli: manuale, memoriale, storia, vangelo, saggio. E a proposito di saggio, come già il romanzo Ensaio sobre a cegueira – uscito in Italia impropriamente con il solo titolo di Cecità – anche questo Saggio sulla lucidità, (che non a caso contiene anche un rimando interno alle vicende narrate in quel precedente romanzo) è una riflessione in forma di apologo sulla condizione politica dell’uomo moderno, che non offre soluzioni utopistiche o consolatorie, ma apre stimolanti interrogativi ai lettori. Si sa che un atteggiamento filosofico nei confronti delle questioni chiave dell’esistenza non presuppone tanto la conquista di una verità quanto un approfondimento della loro complessità e che i filosofi, a differenza degli scienziati, non lavorano per uscire dal dubbio quanto per addentrarsi in esso. Ebbene, se certi scrittori, primo fra tutti Borges, hanno usato la filosofia – nel suo caso la metafisica – come strumento letterario, si può dire che in qualche misura Saramago usi la letteratura come strumento filosofico.
Il lucido “se” sviluppato da quest’ultimo romanzo propone al lettore una riflessione sullo “stato dell’arte” delle democrazie capitalistiche, che non avrebbe eguale impatto emotivo se fosse posto in forma realistica o saggistica. Lo scenario prospettato dall’apologo del voto in bianco, mette in luce la malattia di cui soffre un sistema valido in principio, ma di fatto messo in crisi dai condizionamenti e dalle amputazioni operate dal concubinato fra potere politico e potere economico. La democrazia che racconta Saramago è infatti una democrazia formalmente ineccepibile, in cui i cittadini vengono chiamati ogni quattro anni a sostituire un governo con un altro, ma proprio qui sta il punto dolente: che oltre a questo i cittadini non possono incidere sulla realtà, vale a dire sull’immutato e immutabile rapporto di sudditanza dei governi nei confronti dei poteri economici – si legga le multinazionali – che di fatto prendono decisioni al loro posto. Così, la “congiura delle schede bianche”, come la definiscono i politicanti senza nome del romanzo, sta a indicare la pericolosità di una rivoluzione della democrazia dal suo interno, grazie all’utilizzo di una delle sue principali prerogative: il voto popolare. Con la scheda bianca, che non a caso è più sgradita ai politici dell’astensionismo, il cittadino dice democraticamente “no” al sistema così com’è gestito, dà voce al suo dissenso, piuttosto che sprofondare nel qualunquismo di un voto nullo.
Come scrittore, e non come politico né come filosofo, Saramago si permette di immaginare una realtà diversa e permette al lettore di immaginarla. Non dà risposte, come il lettore si accorgerà alla fine del romanzo, ma gli lascia in eredità delle domande, stimolando una lucidità non sempre scontata, poiché si rischia di vivere troppo da vicino e dall’interno il sistema democratico come male minore per riuscire a metterlo a fuoco. Di qui la necessità della provocazione da parte dello scrittore, il cercare delle impossibilità per poi materializzarle, rendendole plausibili, in un romanzo o in un racconto, al puro fine di instaurare un dialogo intelligente e costruttivo con il lettore su temi scottanti della nostra realtà. Del resto, come ha fatto notare l’autore in più di un’occasione, l’elemento fantastico utilizzato dal Saramago scrittore non è, in fondo, che un altro strumento dell’osservazione realista che il cittadino Saramago fa del mondo. Il vantaggio del primo sul secondo è quello di poter ricostruire il mondo con altri materiali desunti esclusivamente dall’immaginazione e, se si vuole, dal desiderio sempre sotteso a ogni utopia.
Anche per quanto riguarda lo stile di questo Saggio sulla lucidità, nessuna nuova e quindi buone nuove per il lettore affezionato. Quel lieve masochismo necessario per agganciarsi al ritmo di una scrittura quasi priva di punteggiatura e destinata a esigere più attenzione di quella normalmente riservata a un testo scritto, è una “penitenza” – come la chiama scherzosamente Eco – altamente remunerata, poiché lo coinvolge attivamente in una melodia in assenza della quale, confessa l’autore, il romanzo non sarebbe nemmeno nato. E qui sta l’elemento che differenza il would be filosofo o saggista dal Saramago narratore autentico: la necessità di volgere quanto racconta in musica, come ha illustrato la primavera scorsa dinanzi alla platea del Teatro dell’Archivolto di Genova: “Credo che vi sia una presenza di oralità nella mia scrittura ma al contempo vi sia un grado di ‘udibilità’ nel senso di qualcosa che è scritto per essere udito. Io ho bisogno di ascoltare la musica delle parole dentro la mia testa e credo che anche il lettore, pur inconsapevolmente, venga a sua volta trascinato da questo flusso che è al contempo della scrittura e della musica”. Un ritmo e un flusso, ci teniamo a precisare, mirabilmente conservati nella sempre puntuale traduzione di Rita Desti.
Mi piacerebbe che qualcuno intervenisse sulla differenza tra la tecnica narrativa di Samarago e quella di Joyce. Entrambi credo vogliono liberare la scrittura dai segni convenzionali. Joyce fa della scrittura una protagonista:un soggetto umano parlante e Saramago?
gentile mela mondì, non so se può essere utile rispetto alla sollecitazione che ha lanciato, ma in rete ho trovato questa pagina che mi sembra interessante http://www.rivistaorigine.it/scritturasaramago.html
riguarda proprio la scrittura di saramago.
saluti a lei ed a tutti.
Ho scoperto Saramago per caso e mi ha accompagnato come uno di quegli amici indispensabili per capire e dubitare.
Quegli amici con i quali ti capita di essere in disaccordo ma di cui riconosci l’onestà intellettuale e la lucidità metaforica.
Dal 18 giugno siamo tutti un pò più soli, io almeno lo sarò.
Addio Josè
Per rispondere a Mela Mondì dico che secondo me la scrittura di Joyce è più sperimentale di quella di Saramago.
In quella di Saramago non c’è un vero e proprio flusso di coscienza, ma un blocco narrativo ben congegnati che contiene anche i dialoghi.
I dialoghi, indicati nel testo sensa segni distintivi, acquisiscono un’aura suggestiva che accompagna bene i contenuti metaforici della letteratura di Saramago.
Joyce entra di più nella testa dei personaggi al punto da far coincidere il caos del pensiero con l’ordine della scrittura.
Chiedo scusa per i refusi del mio post dovuti alla fretta.
Probabilmente fuori tempo massimo per i miei problemi di trasloco, volevo però dire qualcosa. Ho sentito Saramago come uno dei più grandi scrittori del novecento. E anche come uno dei grandi del nuovo secolo, con Mc Carthy, Ellis e pochi altri. Posso aggiungere che il suo modo di usare i dialoghi è stato per me di grnde importanza.
Grazie a Marianna.g per avermi segnalato la interessante pagina riguardante la scrittura di Saramago. Non commento. Ho bisogno di riflettere.
Ciao Valeria mi piace leggere che Saramago fa coincidere il caos dei pensieri con l’ordine della scrittura, ma se capisco perchè Joyce si è inventata quella forma di scrittura senza pause, forma che ciascuno di noi può sperimentare ascoltando un’amica che ti racconta la sua anima senza prendere fiato, non capisco Saramago, nella cui scrittura circola sempre
ed in ogni angolo l’esistente che si fa storia. Forse che il punto, la virgola e lettera maiuscola vogliano essere proprio una metafora della storia.?…………. Ci devo pensare. Grazie comunque per l’attenzione che hai prestato alla mia riflessione.
“Le intermittenze della morte” è un romanzo che José Saramago scrisse a Lisbona nel 2005.
LA TRAMA DEL ROMANZO
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In una nazione mai citata nessuno più muore perché, semplicemente, la Morte ha smesso di fare il suo lavoro. Invece, appena fuori dal confine, il ciclo procede normalmente. L’avvenimento suscita nel popolo sentimenti di trionfo e felicità e per le strade avvengono manifestazioni di patriottismo, perché la continua ricerca dell’immortalità ha avuto termine.
Superato il primo momento d’euforia, si manifestano i primi problemi: nelle agenzie di pompe funebri e nelle compagnie d’assicurazione restano senza lavoro migliaia di lavoratori e di imprenditori; alle case di riposo si continuerà a badare ad anziani sempre più vecchi ed in quantità sempre maggiori, nelle case e negli ospedali ci saranno persone in condizioni terribili, incapaci di guarire, ma ora anche di morire. Perfino le comunità religiose, fra cui la Chiesa, sono seriamente preoccupate per l’assenza della morte: infatti, senza lei non ci può essere resurrezione e senza resurrezione è difficile mantenere vivo il messaggio di salvezza eterna dell’anima.
In seguito, tuttavia, si scopre che basta portare il moribondo fuori dal confine per porre fine alle sue agonie, e così la mafia, anzi, “la maphia e i suoi maphiosi”, come indicato nel libro, comincia ad organizzare viaggi, per far raggiungere la condizione di “caro deceduto”, con garantita sepoltura appena fuori dal territorio nazionale, senza che il governo, minacciato dai continui rinvenimenti d’agenti posti di guardia al confine ridotti in coma, possa fare qualcosa.
Questo scompiglio dura sette mesi, dopo i quali sarà la morte stessa (o meglio l’essere superiore che si occupa della morte in quello specifico paese, con una missiva manoscritta in una busta di colore violetto indirizzata ai mezzi di comunicazione che supera ogni esame grafologico per individuarne l’autore, di cui si giunge solo a scoprire che si tratta di una scrittura femminile), ad annunciare la ripresa della sua normale produttività. In seguito altre lettere di colore violetto continuano ad arrivare nelle case dei rispettivi destinatari con il loro nefasto contenuto.
Una sola missiva non raggiunge il destinatario, un violoncellista, e viene per ben tre volte rispedita al mittente. Così, la morte, in forma di una donna di 36 o 37 anni, decide di consegnare personalmente la lettera al legittimo e sventurato destinatario. Questa volta, però, vuole conoscere la sua prossima “vittima” e inizia a spiarlo. S’introduce, non vista, a casa sua, e va a sentirlo suonare. S’instaura quindi tra la morte e il violoncellista un rapporto particolare, che rende la morte più “umana”, facendole dimenticare il suo ruolo. E ricomincia lo sciopero …
Il libro, come afferma l’autore, non è una riflessione filosofica sulla vita e neanche una “meditazione metafisica” sulla Morte. È una situazione assurda espressa con un tono ironico e sarcastico, possibile grazie all’abilità dello scrittore, che dà giudizi severi sulla politica, sulla Chiesa e anche sull’uomo contemporaneo che, nonostante il suo trionfo sulla natura, senza la presenza della morte, riscopre tutta la sua fragilità. L’autore chiede di sospendere per un attimo il comune senso di realtà, inserire un aspetto nuovo, impossibile, assurdo e semplicemente di credervi. Tutto prenderà così senso e ogni cosa sarà perfettamente coerente e ovvia. Ci offre un panorama dove ci sono personaggi legati insieme da un’unica paradossale situazione, quell’appunto dell’assenza della morte, tutti presi a progettare e a filosofeggiare sulla nuova e anomala realtà presente davanti a loro. La protagonista assoluta è la morte, che vuole conoscere da vicino il violoncellista, resa antropomorfa, legata alle vicende umane, non astratta, impersonale, e invincibile. Il libro è narrato da un narratore eterodiegetico e contiene opinioni e commenti dell’autore.
PROGRAMA
No esforço de nascer está o final,
Na raiva de crescer se continua,
Na prova de viver azeda o sal,
Na cava do amor sua e tressua.
Remédio, só morrendo: bom sinal.
(José Saramago – Os poemas possíveis)
PROGRAMMA
Nello sforzo di nascere c’è già tutto il finale,
nella rabbia di crescere s’insiste a continuare,
nella prova di vivere inacerbisce il sale,
nello scavo d’amore si suda e si strasuda.
Rimedio, sol la morte: buon segnale.
(José Saramago – Le poesie possibili – Trad. it. di Fernanda Toriello)
Eccomi di nuovo qui.
Perdonate l’assenza e grazie per i nuovi contributi pervenuti.
Ne approfitto per ringraziare e salutare i nuovi intervenuti: Marianna G., Luigino Giliberto, Valeria, Alessandro Defilippi, Mela Mondì, Razão Estética.
Un ulteriore ringraziamento per le citazioni e i brani inseriti.
Nel novembre del 2002 José Saramago venne a Siena per ricevere la Laurea Honoris causa dall’Università per Stranieri, a quel tempo ancora situata nella vecchia sede di via Pantaneto, con la sua bella – ma alquanto piccola – sala rossa, gremita oltre misura. La Lectio Doctoralis consistette in un excursus vertiginoso sui “buchi neri” dell’oblio della galasssia umana, che, con un gioco di specchi, andò infine ad appuntarsi sul personaggio immaginario: un professore di storia presso la stessa Università, capace di trasformare la storia in memoria e vita partendo dal ‘presente’ concreto, dal come e dal perché, senza arretrare nell’impegno di ricerca e conoscenza.
Conservo la plaquette di quella lezione con affetto, come un dono prezioso. Ne ricopio qui la parte finale, dove il professor Tertuliano Maximo Afonso (tale è il nome del personaggio) consegna ai suoi allievi la loro missione. La traduzione è, anche in questo caso, della fedele Rita Desti.
“Ora è il vostro turno, ciascuno di voi, nella misura delle conoscenze che abbia acquisito, faccia, rispetto al paese da cui è originario, lo stesso lavoro che io ho fatto qui rispetto all’Italia, che ciascuno di voi sia, al tempo stesso, maestro dei suoi condiscepoli e maestro mio, e che, dopo aver appreso con me, possiamo tutti cominciare ad apprendere da tutti”.
Consegno questo mio piccolo contributo alla memoria non tanto e non solo di Saramago, ma di tutti noi, appunto.
La Lectio magistralis fu tenuta in tarda mattinata. Al pomeriggio, di nuovo, Saramago parlò nella sala del Palazzo Pubblico: alle sue spalle, il grande affresco della meravigliosa Maestà di Simone Martini. Nessuna dissonanza.
@ Maria Rosa Tabellini
Grazie di cuore anche a te, Maria Rosa.
In questo momento prevale il ricordo dell´uomo su tutto il resto e poi quello che avete scritto in molti lo condivido in pieno. sono andato invece a rileggermi la bellissima testimonianza iniziale di Giancarlo de Prestis. Fu proprio grazie a lui e a Pablo Avila che ebbi l´occasione di incontrare saramago durant eun convegnmo all´universita´di Torino, replicato poi l´anno successivo. ne nacque anche una breve intervista per una rivista cui allora collaboravo: IL segnale. Mi colpi´la sua eleganza, lo stile impareggiabile che dalla pagina arrivava alla persona. Sullo scrittore non ho nulla da aggiungere, ma in questi clima sordido m opiace ricordare una cosa. Tucididie quando gli chiesero come voleva essere ricordato da morto, rispetto a quanto aveva scritto, disse di no che voleva esser ricordato con una frase che cuito in modo impreciso forse ma che suonava piu´o meno: ho cotribuito a fermare i persiani ai confini della Grecia. Cosa voleva dire con quello il grande Tucidide? Che uno scrittore se rimane nella storia lo diranno i secoli e i millenni ma che un uomo deve esser giudicato per come ha saputo stare nel suo tempo. Credo che anche saramago vada oggi ricordato per quello, i secolirenderanno piena giustizia allo scrittore. . Luomo pero´non si sottraeva a nulla nemmeno alle prese diposizione di scomodo nonotante postesse farne a meno. per esempio quella ricordata da qualcuno di voi e che gli e´costata naturalmenteún accusa che perlatro e´facile da giuadagnarsi oggi da parte dei noverlli genocidi delpopolo palestinese e cioe´l´accusa infamante di antisemitismo. Grazie di questo coraggio che manca a molti scrittori contemporanei, prima di tutto e grazie ai suoi grandi libri
Grazie Franco per il tuo acutissimo intervento su Saramago. Spero di rivederti presto. Ti abbraccio
@ Franco Romanò
Grazie anche da parta mia, caro Franco.
@ Gaetano Failla
Attendo la tua recensione di “Cecità”. 😉
D’accordo Massimo! Siccome sono abituato a leggere più libri contemporaneamente, in questi giorni invece la mia attenzione sarà solo nitidamente focalizzata (!) su “Cecità”.
Note d’impeto su CECITÀ di José Saramago
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Il lettore davanti a una storia è cieco. Il narratore gli presta i propri occhi e lo prende per mano, accompagnandolo nel dedalo della storia.
In “Cecità” di Saramago il narratore (che non è mai l’autore, si badi bene, anche quando l’autore medesimo, qualsiasi autore, vorrebbe esserlo) accompagna il lettore in un mondo di ciechi senza nome, perseguitati dalla ferocia dei vedenti e al contempo dalla loro stessa ferocia di vittime. Una doppia irrisione.
Ma vi è una ulteriore crudelissima beffa. I ciechi di questo libro potente, affannoso, urgente, non sono immersi nell’oscurità. Vedono un unanime splendore latteo, e nient’altro, quasi fossero dentro un flusso catodico che abbaglia e stordisce, e lascia per un poco una estrema illusione di vedente – quella d’un chiarore inintelligibile, un bagliore che imprigiona, grottesca illusione della intorpidita Grande Mente contemporanea.
Saramago, fratello elettivo d’un magnifico vedente, Borges il Cieco, non consegna ai personaggi di “Cecità” il dono della visionarietà come universo parallelo dove abitare. Essi sono preda del labirinto. Ma c’è una speranza.
In questo dedalo, nell’ex manicomio dove vengono rinchiusi i ciechi, una donna, moglie d’uno dei personaggi colpiti dalla incomprensibile malattia contagiosa che toglie la vista, si lascia imprigionare, per amore (sì, sembra retorico, ma è proprio così: per amore. Siamo così disperati da non credere più all’amore?). Si è lasciata imprigionare con un sotterfugio, fingendosi cieca; presta i propri occhi al marito e a tutti noi lettori: uno sguardo dolentissimo nel dedalo dell’orrore, della brutalità umana e dell’obnubilamento della coscienza, del sonno delle menti e dell’atrofia dei cuori.
Questa donna è il ribelle, l’individuo che ci salva e si salva. Lontana dal brusio della Folla – che esiste solo, la bestia informe della Folla, quando svanisce l’individualità. Monito alle future genti! E a quelle odierne! Auspicio per il ritorno all’individualità, di per sé ribelle, sorriso amaro rivolto a coloro che hanno spinto a forza Saramago nel clichè d’un marxismo scolastico, meccanicistico e massificato, un marxismo lontano da Marx.
Un altro grande utopista come Saramago, lo scrittore inglese H. G. Wells, percorre i territori di una analoga metafora, con esiti finali altamente lirici e fiduciosi, nel racconto (memorabile, inevitabile) “Il paese dei ciechi”.
Il lettore che abbia abbandonato a un certo punto il romanzo, respinto dall’orrore, potrà considerare “Cecità” un libro immerso nella disperazione, o addirittura un libro disperato. Troviamo in esso, invece, tanta compassione, quella di chi ha ancora l’umano coraggio di osservare con sguardo limpido il dramma di tutti noi, misteriosi esseri smarriti nella luce.
@ Massimo e Carlo
Devo la lettura di “Cecità” – un capolavoro prezioso – ai vostri pareri entusiastici. Grazie.
Grazie a te: una bellissima recensione. E sapevo che ti sarebbe piaciuto enormemete. Ciao.
un Maestro, di Vita e non solo.
grazie
Blue
omaggio a Saramago
“Mondo”
Non si scopre quello che si vede
chiusi gli occhi un mondo altro
vediamo nel sensibile
sperimentare dei sensi.
un saluto Massimo
il film di animazione di Juan Pablo Etcheverry tratto dal racconto “Il più grande fiore del mondo”
http://flocos.tv/curta/a-flor-mais-grande-do-mundo/
Grazie di cuore per la bella recensione, caro Gaetano.
Un saluto e un ringraziamento a Blue, ad Anna Maria Ercilli e ad Akio.