Dicembre 3, 2024

216 thoughts on “RISPETTO, ONORE, CORAGGIO, PAURA… PORTAMI RISPETTO di Vins Gallico

  1. Ne approfitto subito per fare i complimenti a Vins Gallico.
    Ho trovato questo suo romanzo d’esordio davvero convincente (e avvincente): una storia di ’Ndrangheta ben raccontata; linguaggio scorrevole, trama forte, personaggi ben caratterizzati… e una contrapposizione tra bene e male, tra buoni e cattivi, che è assai meno netta di come è spesso rappresentata in molti romanzi che hanno a che fare con le organizzazioni criminali.

  2. Il romanzo di Vins Gallico, dicevo, si intitola “Portami rispetto” (pubblicato da Rizzoli)…
    e mi piacerebbe discutere di alcune delle tematiche che emergono dalla storia narrata e che sono legate alle quattro seguenti parole (chiave): rispetto, onore, coraggio e paura.

  3. In quarta di copertina sono riportate queste frasi:
    “Questa non è una terra normale. In Calabria la paura ha avvolto qualsiasi emozione. È un tiranno che non ha bisogno neppure di nascondersi. Magari tra di noi c’è ancora qualche eroe, ma non sarà lui a risolvere la situazione”.

    Un testo che contiene una nota di pessimismo – o forse di disilluso realismo (ne parleremo con l’autore) – e che comunque lascia ben intendere quali sono le problematiche incrociate dal romanzo.

  4. Sul coraggio c’è questa citazione di Hemingway riportata in epigrafe:

    Il coraggio percorre una distanza breve;
    dal cuore alla testa, ma quando se ne va
    non si può sapere dove si ferma;
    in un’emorragia, forse, o in una donna,
    ed è un guaio essere nella corrida quando se n’è andato
    dovunque sia andato.

    Ernest Hemingway, “Morte nel pomeriggio”

  5. Vi propongo, di seguito, altre citazioni sul rispetto, sull’onore, sul coraggio e sulla paura.
    Vi chiedo di scegliere le vostre preferite (e quelle che invece non vi convincono), spiegandone le ragioni.

  6. CITAZIONI SUL RISPETTO

    Tutti dicono che l’onore non conta niente e invece conta più della vita. Senza onore nessuno ti rispetta.
    (Goffredo Parise)

    Un uomo è tanto più rispettabile quante più sono le cose di cui si vergogna.
    (George Bernard Shaw)

    Mi odino pure, purché mi temano.
    (Cicerone)

    Preferisco l’odio che mi rispetta all’amore che mi insulta.
    (Giuseppe Rovani)

    Se dici qualcosa che non offende nessuno, non hai detto niente.
    (Oscar Wilde)

    L’uomo che si annoia fa strada più in fretta degli altri. Se ti annoi ti rispettano.
    (Saul Bellow)

    Le grandi qualità e le grandi virtù vi procureranno il rispetto e l’ammirazione degli uomini; ma sono le qualità minori che devono procurarvi il loro amore e il loro attaccamento.
    (Philip Dormer Chesterfield)

    Se hai un’idea rispettala, non perché è un’idea, ma perché è tua.
    (Jim Morrison)

    Si apprende più facilmente e ci si ricorda più volentieri di ciò che stimola il senso del ridicolo che di ciò che merita stima e rispetto.
    (Orazio Flacco)

  7. CITAZIONI SULL’ONORE

    Ben folle è quegli | che a rischio de la vita onor si merca.
    (Giuseppe Parini)

    Combatta qui chi di campar desia: | la via d’onor de la salute è via.
    (Torquato Tasso)

    L’onore è come i fiammiferi: serve solo una volta.
    (Marcel Pagnol)

    L’onore è sempre una virtù antica.
    (Friedrich Nietzsche)

    L’onore non si può togliere, si può solo perdere.
    (Anton Čechov)

    L’onore va a picco dove il commercio prevale a lungo.
    (Oliver Goldsmith)

    Non si è perduto niente quando ci resta l’onore.
    (Voltaire)

    Ogni persona d’onore sceglie di perdere piuttosto il proprio onore che la propria coscienza. (Michel de Montaigne)

    Però che quello, o figli, è vile onore | cui non adorni alcun passato orrore.
    (Torquato Tasso)

    Se l’onore fosse redditizio, tutti sarebbero onorevoli.
    (Tommaso Moro)

    Tutti dicono che l’onore non conta niente e invece conta più della vita. Senza onore nessuno ti rispetta.
    (Goffredo Parise)

    Un bel morir, tutta la vita onora.
    (Francesco Tetrarca)

    La dignità non consiste nel possedere onori, ma nella coscienza di meritarli.
    (Aristotele)

    La gloria la si deve acquistare, l’onore invece basta non perderlo.
    (Arthur Schopenhauer)

  8. CITAZIONI SUL CORAGGIO

    Ci sono delle persone che sono state considerate coraggiose perché avevano troppa paura per scappare. (Thomas Fuller)

    È la stupidità piuttosto che il coraggio che ti fa negare il pericolo anche quando lo hai davanti. (Arthur Conan Doyle)

    Il coraggio è la prima delle qualità umane, perché è quella che garantisce le altre. (Winston Churchill)

    Il coraggio incute rispetto anche ai nemici. (Alessandro Dumas padre)

    Il coraggio uno non se lo può dare. (Alessandro Manzoni)

    Ci vuole più coraggio per dimenticare che per ricordare.
    (Sören Kierkegaard )
    Nulla infonde più coraggio al pauroso della paura altrui.
    (Umberto Eco)

    Le idee ispirate dal coraggio sono come le pedine negli scacchi, possono essere mangiate ma anche dare avvio ad un gioco vincente.
    (Johann Wolfgang von Goethe)

    Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono niente, o non vale niente lui.
    (Ezra Pound)

    Coraggio ce l’ho. E’ la paura che mi frega.
    (Totò)

  9. CITAZIONI SULLA PAURA

    Accade invariabilmente che il punto di partenza della saggezza sia la paura.
    (Miguel de Unamuno)

    Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola.
    (Giovanni Falcone)

    Dal momento che l’amore e la paura possono difficilmente coesistere, se dobbiamo scegliere fra uno dei due, è molto più sicuro essere temuti che amati.
    (Niccolò Machiavelli)

    È sempre meglio che chi ci incute paura abbia più paura di noi.
    (Umberto Eco)

    L’origine della paura è nel futuro, e chi si è affrancato dal futuro non ha più nulla da temere.
    (Milan Kundera)

    L’uomo che non prova mai paura è perduto.
    (Louis-Ferdinand Céline)

    La mia “paura” è la mia essenza, e probabilmente la parte migliore di me stesso.
    (Franz Kafka)

    La più antica e potente emozione umana è la paura, e la paura più antica e potente è la paura dell’ignoto. (Howard Phillips Lovecraft)

    Non sempre di Codardia compagna è la Paura.
    (Vincenzo Monti)

    Una vigile e provvida paura è la madre della sicurezza.
    (Edmund Burke)
    ***
    ***
    Citazioni di Mahatma Gandhi
    • L’assenza di paura è il primo requisito della spiritualità. I codardi non possono mai essere morali.
    • Dove c’è paura non c’è religione.
    • L’assenza di paura è il sine qua non per lo sviluppo delle altre nobili qualità. Come si può cercare la verità o accarezzare l’Amore senza essere intrepidi?
    • Ci sono tanta superstizione e ipocrisia in giro che si ha paura anche di agire rettamente. Ma se si dà spazio alla paura, si finisce col dovere reprimere anche la verità. La regola d’oro è di agire senza paura in ciò che si ritiene giusto.
    • L’assenza di paura non significa arroganza o aggressività. Quest’ultima è in se stessa un segno di paura. L’assenza di paura presuppone la calma e la pace dell’anima. Per essa è necessario avere una viva fede in Dio.

  10. Tornando al romanzo di Vins…
    sul post potete leggere la scheda del libro.
    La protagonista è questa giovane giornalista sportiva – si chiama Tina Romeo – che si ritrova coinvolta in una vicenda da cronaca nera.
    Da quel momento la sua vita cambierà.

  11. ciao massimo, e un saluto a tutt* coloro che parteciperanno al dibattito.
    partirei dalla definizione di rispetto. se andiamo a trovare questo lemma sul vocabolario si riscontra un riferimento a regole morali o civili di una società che vengono riconosciute dai più. ad es. il rispetto per la vita, il rispetto per gli altri.
    ma ci sono anche altri significati, meno universalmente accettati. il respect del rap, una forma di onore salvavita per le strade dei ghetti, oppure il rispetto mafioso.
    in quest’ultimo caso il carico semantico ribalta la prima definizione che abbiamo dato. perché in terra di ‘ndrangheta il rispetto è potere che provoca paura, è onore che causa schiavitù.

    come vedi non cito a sproposito la parola onore, ma di questo, del rapporto fra onore e rispetto magari ne parliamo domani. a mente fredda…

  12. sono intervenuto dopo l’autore del libro , a cui vanno i miei complimenti. sembra un romanzo molto interessante e il titolo è di quelli che si ricordano.
    carina anche la copertina, non so perché ma mi ricorda gli anni settanta.

  13. sarei tentato di rispondere alle domande. e se non fosse tardi la farei. mi sa che rinvierò a domani.
    buonanotte.

  14. ciao Vins. ho divorato Pr in 4 giorni., è stato bello leggere la nostra città in modo genuino e romanzesco. nessuno l’aveva fatto prima di te. siamo tutti cresciuti a pane e rispetto qui da noi. “Portare rispetto” è darci la mano e baciarci sulle guance anche se non ci si vede da 6 ore. “Portare rispetto” era non guardare la sorelle dei nostri amici cosi come a 14 anni si vorrebbe poter guardare una ragazza. Portare rispetto è pagare il caffèagli amici e a chi è con loro, se li incontri al bar e tu entri dopo di loro. piccole cose queste, ci mancherebbe. Non certo il “rispetto” a cui si allude nel romanzo. ma queste nostre “riverenze” ( dato che “CHISTI SIMU”) sono i nostri peggiori fantasmi?

  15. In molte terre del Sud purtroppo il termine rispetto ha subito una distorsione della sua valenza originaria. SI tratta di un rispetto molto più legato all’opportunità ed alla paura.
    Leggerò questo libro di Vins Gallico.

  16. E quest’altra.
    “Preferisco l’odio che mi rispetta all’amore che mi insulta”.
    (Giuseppe Rovani)
    Motivo? Mi sembrano più vere delle altre.

  17. Altro post molto interessante. Tanti in bocca al lupo a Vins Gallico per il suo “Portami rispetto”.

  18. @Vins Gallico
    Mi colpisce questa frase riportata, leggo, sulla quarta di copertina : “Magari tra di noi c’è ancora qualche eroe, ma non sarà lui a risolvere la situazione”.
    Volevo chiedere questo: forse gli eroi non potranno risolvere la situazione, ma possono contribuire al risveglio della coscienza civile.
    Che ne pensi?

  19. provo a distinguere due gruppi di riflessione: da un lato il blocco rispetto/onore; dall’altro quello paura/coraggio.
    del primo caso sergio nel suo post dell’1.51 dà un breve campionario e riferisce una serie di situazioni al limite. tutti episodi che combinano il folklore, le tradizioni, la cortesia e l’assoluta demenza. perché la sorella di un amico è inguardabile? peeché devo pagare il caffè a degli sconosciuti? sì, sono fantasmi dai quali bisognerebbe liberarsi perché ne fomentano altri di maggiore e più grave entità.
    ma questo significa sdradicarsi, svincolarsi dalle tradizioni, analizzarle, criticarle. questo significa in generale essere critici con l’attacamento alla propria terra d’origine…

  20. questo sdradicamento, “spaesamento”, per dirla con giorgio vasta, si basa su un pensiero elementare.
    il luogo dove noi nasciamo è puramente accidentale!
    questo luogo poi ci influenza, ci forma, ci vincola, ci arricchisce. ma non c’è nulla di cui noi possiamo essere fieri o colpevoli rispetto a quel luogo se non abbiamo contribuito a renderlo come ci si presenta davanti..

  21. Vins ha scritto una cosa che condivido ‘il luogo dove noi nasciamo è puramente accidentale!
    questo luogo poi ci influenza, ci forma, ci vincola, ci arricchisce. ma non c’è nulla di cui noi possiamo essere fieri o colpevoli rispetto a quel luogo se non abbiamo contribuito a renderlo come ci si presenta davanti’
    Nella mia esperienza accade, invece, che difficilmente riusciamo a valutare con distacco i luoghi natii. o meglio, è possibile che NOI (io, per es.) ne parli in maniera critica…. però magari quando ne parla in maniera critica qualcun altro tendo a mettermi sulla difensiva.
    è un problema? credo di sì.

  22. passare al secondo blocco: paura/coraggio mi consente anche di dare una risposta a marco vinci.
    “portami rispetto” è una storia che parla di coraggio, questo è il tema centrale del romanzo. il coraggio osservato non come emozione a pelle, stimolo istintivo, ribellione immediata al sopruso… no, il coraggio misurato, poco eroico, ma quotidiano, diffuso presso ciascun cittadino.
    per questo, marco, credo che gli eroi facciano benissimo nella creazione di una base culturale, ma non siano funzionali all’anti-mafia. stimo moltissimo chi ci mette la faccia, ma per uno sviluppo sociale contro la criminalità considero più produttivo la ramificazione del coraggio, la sua partizione. penso a quanto è successo a capo d’orlando o a palermo contro il pizzo. è la rete a creare resistenza e non il singolo (che tra l’altro rischia molto meno)…

  23. cara stefania, c’è un detto che fa: parrari, quantu voi, sentire non d’ poi…
    cioè tu oratore attivo puoi parlar male, ma sempre tu ascoltatore passivo non sei disposto a sentire critiche sullo stesso tema…

  24. infatti, vins.
    quel detto parla chiaro. spero di poter leggere al più presto il tuo romanzo.
    grazie per la risposta.

  25. Gli argomenti proposti sono molto stimolanti. A pelle mi viene di cogliere una specie di sottile paradosso. Il romanzo di Vins Gallico si intitola “Portami rispetto”, mentre oggi viviamo in una società caratterizzata dall’aggressività, dall’insulto e dall’assenza di rispetto. Almeno secondo me. Paradossalmente quel rispetto di cui se non ho capito male si parla del libro è un rispetto snaturato, legato alla paura.
    Da qui il paradosso.
    Una società civile con poco rispetto, da una parte. Il rispetto snaturato e forzato nei contesti in cui è ambientata la storia del romanzo (criminalità organizzata, ecc.) dall’altro.

  26. cara annamaria,
    il mio tentativo di descrizione in “pr” è focalizzato non su una società occidentale in generale, cioè non è sul progetto economico e antropologico dell’ovest evoluto con i suoi laboratori empirici a new york che mi concentro, ma su una microsocietà che è quella calabrese.
    che ha altre regole, e una diversa valutazione del rispetto, e della sua assenza.
    quindi, credo, parliamo di due società differenti, la seconda che si inserisce a margine della prima.

  27. Grazie Vins. Una curiosità: continui a vivere in Calabria? Che impatto ha avuto questo tuo romanzo nella tua regione?

  28. no, sono andato via dalla calabria ormai quindici anni fa.
    pr ha avuto un’accoglienza strana, per lo meno a reggio. molte critiche per la mia mancanza di scioviniscmo e apprezzamento per un coraggio autoriale (che io tendo molto a ridurre). in generale credo sia stato più criticato da coloro che non l’avevano letto..
    c’è chi ha trovato molto amore per la mia (?) terra, chi ironia, chi polemica politica.
    cmq nonostante sia stato il libro del mese a fahrenheit, “pr” è stato un po’ snobbato dalla stampa locale. pensa che un altro scrittore calabrese mi diceva di aver sentito strane voci. che ora stato antipatico a un paio di persone importanti, che avevano trovato dentro i loro nomi…

  29. Grazie mille, Vins. Forse per meglio raccontare la propria terra, nel bene e nel male, è più utile guardarla da lontano. Come quando guardi una persona che ami piena di difetti e di contraddizioni. Se con quei difetti e contraddizioni ci convivi quotidianamente, rischi di non vederli più.

  30. Le citazioni… devo pensarci un po’.
    Mi piacciono molto quelle del Mahatma Gandhi. D’altronde richiamano quel grido millenario ripetuto da Giovanni Paolo II all’inizio del suo pontificato: “Non abbiate paura”.
    La Sicilia, come e forse più della Calabria, è stata ed è vittima di un malinteso senso dell’onore e del rispetto fondati sulla paura.
    Spero anch’io che non ci sia più bisogno del sangue dei martiri ma che il coraggio diventi condiviso.
    Ieri sera guardavo la storia di Ambrosoli in tv. Un eroe borghese lasciato solo dal potere e da questo stesso ucciso per la sua coerenza, l’incorruttibilità, il desiderio onesto di servire lo Stato. Una vittima del dovere.

  31. Considero “rispetto” uno dei vocaboli che appartengono alla categoria del “linguaggio dei comportamenti” e, come tale, molto diffuso nel parlare, ma attualmente ad alto rischio di estinzione nei modi di agire.
    Oggi – come ieri – “avere/portare rispetto” significa riconoscere all’altro (chiunque egli sia) gli stessi diritti, la stessa dignità, lo stesso decoro che riconosciamo a noi stessi e, dunque, non offendere la sua persona, intesa nella complessità del suo manifestarsi.
    L’indiscutibile perdita di principi umani, morali e sociali nella realtà attuale, unita a una visione prevalentemente solipsistica delle relazioni, porta – come affermavo inizialmente- a sottovalutare il senso del rispetto, con conseguenti ricadute negative sulla nostra società.
    Oggi – come ieri – ogni essere umano dà al rispetto il significato che corrisponde al proprio modo di interpretarlo: dire che in passato il rispetto fosse sempre realmente sentito oppure spesso velato di ipocrisia sarebbe generalizzante e riduttivo.
    Credo sia piuttosto diffusa una distinzione – che considero fuorviante – tra “rispetto” e “onore”: come se il rispetto fosse quanto dobbiamo all’altro e l’onore quanto l’altro deve a noi, in termini di valore morale attribuitoci.
    Ogni individuo realizza il proprio ideale di “onore” sulla propria persona, nel corso della vita, e non credo che l’acquisizione dell’onore possa prescindere dal rispetto che ognuno deve a se stesso, oltre che all’altro.
    La paura non genera rispetto, come il rispetto non genera paura: in teoria dovrebbe essere così.
    La paura è una spontanea forma di auto-difesa messa in atto quando si avverte l’imminenza di un pericolo. L’autoritarismo è un pericolo, cui l’uomo può rispondere istintivamente con la paura, ma esso impone una forma di rispetto coatto, che nulla ha in comune con il significato reale del termine “rispetto”.
    Quando l’uomo – superata l’iniziale paura – si ribella al “pericolo” compie un atto di coraggio che, se scevro di forme deliranti di impudenza, contribuisce a confermare la percezione dell’onore personale e del rispetto verso se stesso.
    Se come pericolo intendiamo la limitazione della libertà personale e collettiva, l’atto di coraggio diviene anche manifestazione di rispetto verso gli altri membri della collettività.
    Le caratteristiche fondamentali del coraggio sono la volontà e la determinazione, la ferma intenzione e il convinto proposito a non arrendersi, succubi delle avversità che talvolta l’esistenza riserva oppure che gli uomini stessi talvolta riservano ai loro simili.
    Il vero rispetto – senza alcun velo di ipocrisia, appunto – non può essere indotto attraverso la pratica dell’autorità (che incute timore e paura), ma ma da un’esercizio consapevole e responsabile dell’autorevolezza, segno di una corretta percezione del sé, dell’altro e delle dinamiche relazionali.
    Forse oggi è questa la prova di coraggio cui tutti indistintamente dovremmo essere pronti.
    Ringrazio, porgo sinceri auguri all’autore e saluto cordialmente.
    Ines Desideri

    Il senso del rispetto viene indotto più dalla paura o dal coraggio? Dall’autorità o dalla autorevolezza?

  32. Caro Massi,
    il tema è davvero denso di implicazioni umane, giuridiche, sociali. E per noi siciliani è anche un’ombra che infierisce, un raggio maligno, un morbo.
    Per questo sento e ho sempre sentito una fratellanza di sangue e destino con la Calabria, proprio perchè vivere negli sguardi che non parlano ma dicono, sotto coppole calcate, e tra segnali e codificazioni dei gesti (quasi un sotto linguaggio che un siciliano o un calabrese si porta inciso nell’anima, pur senza averlo appreso), abitua a decifrare la realtà, l’apparenza, le contraddizioni dell’una e dell’altra.
    Sono quindi ammirata dal modo in cui l’autore affronta il tema, affidando alla parola un riscatto, o la possibilità – attraverso la letteratura – di offrire un’alternativa, un secondo occhio sul mondo.
    Le analogie tra mafia e ‘ndrangheta sono molte (anche se le origini storiche sono diverese) e magari, nei prossimi giorni, avremo anche modo di affrontare il tema da un punto di vista strutturale e giuridico.
    Adesso mi preme però sottolineare che entrambe le due organizzazioni nascono proprio da una distorta idea del coraggio e della paura. Ecco perchè la parola “rispetto” ha un connotato ambiguo e altalenante, che evoca – nel gergo comune – un aggancio alla legalità e al limite (alla norma: vedi, ade esempio il “rispetto della legge”), e in quello criminale, invece, una soggezione.
    Anche da un punto di vista etimologico le due parole nascono dalla medesima idea di “coraggio”.
    Il famoso studioso del folklore G.Pitrè ricava infatti il termine “mafia” dal vocabolo del gergo palermitano che in origine significava “bellezza, coraggio, superiorità.”
    E anche il termine ‘Ndrangheta a parere di alcuni storici sarebbe mediato dal Greco e significherebbe “società degli uomini valorosi”.
    La parola avrebbe origine dalla forma dialettale “ndrino” (uomo dritto che non piega la schiena).
    Coraggio, quindi. Ma in un senso primitivo, barbuto, di sopraffazione e gioco dei ruoli. In Sicilia si dice: “m’a purtari rispettu”.

  33. Poesia sul coraggio:
    ——–
    «È un porto la mente dove il coraggio s’affloscia | di fronte al sogghigno.»

    Alda Merini
    ——-
    «E’ l’amore, l’amore che manca
    se ne aveste notizia
    o se aveste coraggio a nominarlo»

    Mario Luzi
    ———-

    “Nessuno in famiglia è mai morto per amore.

    Chi ha detto che la vita va vissuta con coraggio?…”
    Wislawa Szymborska

  34. Ieri, data l’ora, mi ero dimenticato di inserire la piccola nota biografica di Vins.
    Eccola…

    Vins Gallico è nato nel 1976 in provincia di Reggio Calabria e, dopo aver vissuto sette anni in Germania, attualmente lavora a Roma come libraio e traduttore. “Portami rispetto” è il suo primo romanzo.

  35. Come lo stesso Vins ha accennato, “Portami rispetto” è stato libro del mese a Fahrenheit.

    Ecco l’intervista radiofonica, dove potrete ascoltare la voce di Vins Gallico.
    Basta cliccare qui…

  36. Dibattito davvero ricco di spunti interessanti.
    Sottoscrivo parola per parola quanto detto da Ines Desideri

  37. Se ne è fatto un filone letterario dei mali dell’Italia. Camorra,
    Mafia, ’Ndrangheta. Pare d’esser tornati a un tempo vittoriano, abbondante di delinquenti per la narrativa popolare. Non sto neanche a citare tutti gli autori più o meno famosi che hanno dato vita – ma non visibilità ai problemi connessi alla malavita – a romanzi privi di stile, perlopiù basati su stereotipi situazionali.

    A tal riguardo, l’unico romanzo pienamente letterario che ho avuto la fortuna di leggere è “Cosa di noi. I ragazzi di sala Paradiso” di Vito Benicio Zingales. Un romanzo di sostanza e di stile: Letteratura. Questo romanzo, caro Massimo, risponde bene a tutte le domande a te poste. Io non rispondo, non ce n’è bisogno, non sono uomo di certi ambienti e ripetere cliché presi a prestito dalle letture mi par oltremodo oltraggioso nei confronti di chi la malavita la conosce sul serio e ogni giorno si adopera per combatterla a costo della propria vita.

    Un romanzo, per quanto scorrevole possa essere, senza stile è uno scritto che ai miei occhi perde molta della sua sostanza, sempreché ne abbia.

    Non so se leggerò mai Vins Gallico. Ma se la sua scrittura merita gli auguro d’aver fortuna.

  38. forse l’ha detto qualcun altro, mi pare. ma anch’io sono rimasto colpito da questa frase letta in quarta di copertina “Magari tra di noi c’è ancora qualche eroe, ma non sarà lui a risolvere la situazione”.
    una sorta di pessimismo, diceva maugeri.
    io dico sano realismo.

  39. ho ascoltato l’intervista di gallico su radio tre, e le sue parole mi hanno confermato la mia impressione.
    come dice in sostanza lo stesso autore: la criminalità organizzata, purtroppo, non si può sconfiggere con i romanzi, nè con le parole.
    mi piace questo atteggiamento e questo è uno dei motivi per cui voglio leggere questo romanzo.

  40. questo però non significa che non sia utile scrivere di questi problemi in forma narrativa, che ( come ha detto qualcun altro ) comunque può dare un contributo alla formazione delle coscienze.

  41. caro massimo,
    rispondo alla prima delle tue domande prima di concedermi una lauta cena calabra.
    ecco, vedi, la fame è un’esigenza. la letteratura non lo è.
    io ho sentito rispondere spesso che le storie avevano bisogno, urgenza, necessità di essere scritte. ma quando mai? sono tutte nostre paranoie egomani da scrittori o pseudo-tali.
    io mi sono divertito come un pazzo a scrivere “pr” (e credo che nella lettura venga fuori). e ho sofferto molto a scriverlo. ma sopravvivevo anche senza.
    detto questo, mi capitava di alzarmi alle 4 di notte e scrivere fino al mattino. mi capitava di sognare tina, rummenigge, pyrros e di vederli, di parlarci. ma sono forme di psicopatologia. l’esigenza è altro.
    per quanto riguarda le altre due domande, rimando al dopo cena.
    grazie cmq a tutt* coloro che finora hanno contribuito a questo dibattito. l’ascolto come la lettura insegnano sempre più della parola attiva, che sputo fuori io, che scrivo io…

  42. L’onore e’ l’onesta’.
    Il rispetto e’ cio’ che e’ dovuto ad ogni creatura vivente, compresi gli alberi.
    Il coraggio e’ quello di chi salva delle vite sacrificando la sua.
    Il senso del rispetto in me viene indotto dalla purezza d’animo e dalla sincerita’, dalla sensibilita’ e dalla tenerezza di un essere umano o di un animale.
    Di rispetto vero fra i cittadini, in Italia, non ce n’e’ mai stato tanto: ecco perche’ siamo ridotti cosi’… a litigare di continuo, piuttosto stupidamente. Perche’ chi litiga con gli altri appena emerge una piccola divergenza di idee, in genere e’ persona stupida. All’estero le persone vanno piu’ d’accordo fra loro o almeno riescono a mantenersi civili anche nei dissidi – cosa che dovremmo imparare anche noi.

    Saluti Cari
    Sergio Sozi

  43. Rispetto e onore sembrano termini obsoleti, cavallereschi di cui si sono perse le tracce nella nostra odierna società urlata e superficiale in cui vigono la sopraffazione e l’ostentazione del potere fine a se stesso.
    Coraggio e paura vengono usati ad arte per manipolare l’opinione pubblica specie nell’accoglienza e nell’integrazione del diverso.
    Mi sovviene il Manzoni e la figura di Don Abbondio, vaso di coccio tra i vasi di ferro, ma uno il coraggio non se lo può dare.
    La paura come fobia….Il coraggio di assumersi le proprie responsabilità…

  44. Carissimo Dottor Maugeri,

    argomento attualissimo e scottante.Perchè non credo che parlare di mafia sia una moda letteraria, come suggeriva qualche commento più su il signor Iannozzi. Semmai solo lo specchio di carta della realtà. E’ quindi ovvio che, in presenza di una società malata e addomesticata dalle infiltrazioni criminali, la letteratura racconti la contemporaneità.
    Come diceva Sthendal…« Un romanzo è uno specchio che passa per una via maestra e ora riflette al vostro occhio l’azzurro dei cieli ora il fango dei pantani. Lo specchio mostra il fango e voi accusate lo specchio! Accusate piuttosto la strada in cui è il pantano, e più ancora l’ispettore stradale che lascia ristagnar l’acqua e il formarsi di pozze. »

  45. Detto ciò, caro Dottor Maugeri e caro Dottor Gallico, vorrei dire che l’espressione “uomo d’onore” non è poetica ma corrisponde a una vera e propria figura all’interno delle organizzazioni criminali. Come è infatti noto la cellula primaria di tali organizzazioni è costituita dalla “famiglia”, una struttura a base territoriale, che controlla una zona della città o un intero centro abitato da cui prende il nome (famiglia di Porta Nuova, famiglia di Villabate e così via).

    La famiglia è composta da “uomini d’onore” o “soldati” coordinati, per ogni gruppo di dieci, da un “capodecina” ed è governata da un capo di nomina elettiva, chiamato anche “rappresentante”, il quale è assistito da un “vice capo” e da uno o più “consiglieri”.
    -L’attività delle famiglie è coordinata da un organismo collegiale, denominato “commissione” o “cupola”, di cui fanno parte i “capi-mandamento” e, cioè, i rappresentanti di tre o più famiglie territorialmente contigue.
    In questo contesto le regole che disciplinano l’ “arruolamento” degli “uomini d’onore” ed i loro doveri di comportamento sono minuziosissime.
    I requisiti richiesti per l’arruolamento sono: salde doti di coraggio e di spietatezza (si ricordi che Leonardo Vitale divenne “uomo d’onore” dopo avere ucciso un uomo); una situazione familiare trasparente (secondo quel concetto di “onore” tipicamente siciliano, su cui tanto si è scritto e detto) e, soprattutto, assoluta mancanza di vincoli di parentela con “sbirri”.
    La prova di coraggio ovviamente non è richiesta per quei personaggi che rappresentano, secondo un’efficace espressione di Salvatore Contorno, la “faccia pulita” della mafia e cioè professionisti, pubblici amministratori, imprenditori che non vengono impiegati generalmente in azioni criminali ma prestano utilissima opera di fiancheggiamento e di copertura in attività apparentemente lecite.
    Il soggetto in possesso di questi requisiti viene cautamente avvicinato per sondare la sua disponibilità a far parte di un’associazione avente lo scopo di “proteggere i deboli ed eliminare le soverchierie”. Ottenutone l’assenso, il neofita viene condotto in un luogo defilato dove, alla presenza di almeno tre uomini della famiglia di cui andrà a far parte, si svolge la cerimonia del giuramento di fedeltà a Cosa Nostra. Egli prende fra le mani un’immagine sacra, la imbratta con il sangue sgorgato da un dito che gli viene punto, quindi le dà fuoco e la palleggia fra le mani fino al totale spegnimento della stessa, ripetendo la formula del giuramento che si conclude con la frase: “Le mie carni debbono bruciare come questa santina se non manterrò fede al giuramento”.
    Lo status di “uomo d’onore”, una volta acquisito, cessa soltanto con la morte; il mafioso, quali che possano essere le vicende della sua vita, e dovunque risieda in Italia o all’estero, rimane sempre tale.

    Quindi l’onore delle cosche non è un atteggiamento, un sentimento o una predisposizione della personalità, ma una categoria di soggetti legati da un vincolo sacro che si perpetua fino alla morte.

    Grazie infinite per gli spunti, e al bravo Vins Gallico infiniti auguri per futuri e meritati successi.
    Professor Emilio

  46. Forse parlare di mafia era una moda letteraria ai tempi di Sciascia e nell’immediato post-Sciascia. Oggi mi pare tutto il contrario. Sono rimasti in pochi a scrivere narrativa sulla criminalità organizzata.
    Mi è rimasto impresso un passaggio di questo post: http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/07/18/memoria-e-coscienza-civile/
    .

    Ad un certo punto Marco Ciaurro scrive:
    “Caro Massimo,
    ho letto con piacere alcuni stralci sulla memoria di un grande uomo come Paolo Borsellino che, insieme a Giovanni Falcone e a sua moglie, è un santo, più un martire dello Stato. Amo, però, ricordare che anche nel campo della scienza e non solo della giustizia, dell’arte, del giornalismo e della letteratura la Sicilia ha avuto esempi unici. Penso a Ettore Majorana. E non mi dilungo oltre neanche su di lui. E’ un paese triste, penso, quello che ha bisogno di eroi per difendere la civiltà, questo è quello che penso e che ricordo pensai in quel afoso luglio del 1992. Ma la letteratura mi sembra assente da questo impegno. E soprattutto mi sembra sempre più lontana dalla responsabilità che gli scrittori dovrebbero custodire. E mi pare che questo nodo di Gordio sia sempre più un argomento tabù nel nostro paese”.
    .
    Massimo Maugeri risponde così:
    “Caro Marco, grazie per essere intervenuto. Tra i caduti per mano della mafia mi piace ricordare l’importantissima figura del giornalista/scrittore Giuseppe (Pippo) Fava, assassinato nella mia città (Catania).
    È vero… la letteratura pare meno impegnata rispetto alla questione delle mafie e della criminalità organizzata. Da questo punto di vista Sciascia ha lasciato un vuoto (anche se per la verità i romanzi che hanno a che fare con la ‘ndrangheta – quelli dei giovani Rosella Postorino e Vins Gallico, per esempio – e sulla camorra non mancano… ).
    Ma forse bisogna anche fare i conti con i cambiamenti della criminalità organizzata moderna… che uccide di meno e investe di più in attività economiche (in maniera illecita, ovviamente) di varia natura.
    In tal senso mi pare illuminante questa intervista che mi ha rilasciato il magistrato Antonio Laudati (nell’ambito della mia trasmissione radiofonica “Letteratitudine in Fm”): http://www.rhprogrammi.com/letteratitudine/puntata%2011%20giugno/letteratitudine_puntata11giugno.mp3
    Ecco… forse questo tipo di criminalità organizzata colpisce un po’ meno l’immaginario di scrittori e lettori… da qui la “penuria” di fiction e l’aumento della pubblicazione di testi di saggistica”.

  47. Caro Vins sono del sud come te. E pergiunta di Catania.
    La mia formazione settentrionale mi permette di unificare il pensiero dell’uomo su un piano universale per quanto riguarda le parole
    rispetto ed onorabilità, in questo senso non ci sono grandi differenze regionali, se “conti al nord” “conti anche al sud”,
    riconosciuto come uno da ammirare, e quindi invidiare per soldi, carriera, fama, genericamente si chiama “status”.
    Il rispetto, quindi, è in rapporto al valore che si attribuisce al modello da emulare, ma questo non è sempre negativo,
    soprattutto per quaqnto riguarda gli ideali o i valori.
    Che la società come scrisse Leonardo Sciascia si divida in “uomini, mezz’omini, ominicchi e quaqquaraquà”
    è altrettanto vero, i vili, i qualunquisti, gli onesti, i giusti, e via dicendo, Dante li aveva già piazzati nei gironi
    dell’inferno, purgatorio e paradiso, peccato che non ne abbia ideato uno apposta per i quaqquaraquà, categoria dei “senza sale”.
    Nel gergo mafioso tuttavia s’invertono i valori, la Divina Commedia viene percorsa al contrario, gli “uomini”
    sono degni di tale termine se all’inferno hanno gerarchicamente conquistato un posto di potere, mezz’omini e ominicchi accrescono la
    loro onorabilità se dal limbo passano alle fiamme.
    E le donne? Un tempo il loro onore era l’illibatezza, un valore al quale si attaccava anche quello dei maschi di famiglia,
    oggi “onorata” è colei che, anche in questo caso, ha raggiunto il prestigio, uno scappellamento al nome, all’economia, non
    importa se proprio o di riflesso. Per raggiungere questo stato di cose in molte hanno scambiato il coraggio con la
    faccia tosta,ancor peggio con la mancanza di scrupoli, insomma “ma chi se ne frega …”
    Per concludere il coraggio ha un alto contenuto morale, poco vendibile, ha giusta e saggia considerazione dell’altrui opinione,
    sostanzialmente libero, è una forma che riflette la coscienza.

    scelgo
    Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono niente, o non vale niente lui.
    (Ezra Pound)

  48. Ho sempre associato all’idea dell’onore un senso di pretesa per un sentimento che ci autovaluta, qualche volta ci sopravvaluta a seconda dell’educazione, del contesto sociale e culturale.Il concetto d’onore è stato fortemente strumentalizzato , è mutato negli anni insieme con i cambiamenti della società.Chi parla più dell'”onore della donna”? Lo stesso delitto d’onore ha visto abrogare le disposizioni nell’ordinamento penale italiano circa trent’anni fa, ma è ancora fortemente presente in molti altri paesi. Mi spaventa il concetto dell’onore perchè è malleabile ad uso e consumo di chi l’onore lo pretende. Il rispetto invece è un sentimento che va donato,è rispetto per se stessi senza il quale nessun essere umano può concepire l’atto del vivere civile,è il rispetto verso le forme di vita che incrociamo nel nostro cammino, verso i nostri limiti e verso le opinioni differenti dalle nostre.E’ un segno di libertà.Non vedo legami del rispetto, almeno per ciò che intendo io, con la paura o con il coraggio, piuttosto con la consapevolezza che qualcuno o qualcosa meritino il rispetto da parte nostra.Quindi nessuna forma di autorità ma certamente una forma di autorevolezza che necessita di una educazione per riconoscerla.
    Grazie Massimo per l’interessante dibattito e auguri all’autore per aver affrontato un tema così importante!
    a domani per altri spunti!

  49. Una curiosità:nell’antico Giappone il Bushidō (la via del guerriero) era un codice di condotta morale e di vita dei guerrieri giapponesi, in particolare lo divenne per i samurai. L’interpretazione che davano dell’onore era del tutto diversa da quella che ne hanno fatto poi le organizzazioni criminali in occidente.Il Bushidō richiedeva il rispetto dei valori di onestà, lealtà, giustizia, pietà, dovere e onore e il samurai doveva difendere questi valori a costo della sua vita stessa.
    Di seguito la definizione dell’onore:
    Meiyo=Onore
    Vi è un solo giudice dell’onore del Samurai: lui stesso. Le decisioni che prendi e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che sei in realtà. Non puoi nasconderti da te stesso.
    Gli altri valori della via del guerriero:
    Rettitudine o giustizia “Gi”: una delle cinque grandi virtù dei confuciani.
    • Il coraggio, spirito di audacia e di generosità “Yu”: il sereno e freddo coraggio è la qualità suprema per un bushi.

    • Benevolenza o sensibilità verso il dolore “Jin”: sensibilità umana, disposizione d’animo verso la comprensione e l’affetto.

    • Cortesia “Rei”: etichetta, riti, gentilezza, buona educazione, correttezza. Codice di comportamento rituale: conformando la propria vita ad una rigida etichetta, sostengono i confuciani, l’uomo può elevarsi ad acquisire un animo nobile.

    • Veracità e sincerità “Shin” o anche “Makoto”: buona fede.

    • Dovere di lealtà “Chugi”: il codice dell’etica cavalleresca giapponese conosce il valore di devozione e fedeltà verso chi è superiore.
    …e ora davvero una buonanotte a tutti.

  50. La paura.
    Mi è venuta in mente la vicenda di una ragazza che, in cura dallo psicoanalista, gli parlò del suo corpo che tremava in presenza del fratello, così, senza che ci fosse una seria motivazione. Lo specialista, competente in materia d’inconscio, le rispose che anche i cani tremano per paura di essere picchiati dagli uomini e che il fenomeno era dettato dall’ istinto. A quanto pare a ragion veduta, infatti tempo dopo la ragazza denunciò il familiare per averla picchiata durante un litigio, bambinescamente, in affermazione della propria supremazia.
    La paura che si prova senza un motivo apparente, può dunque essere un utile segnale al pericolo, un avviso di guardia che abbaia a quanto si percepisce nell’aria, ma non è di questo che voglio parlare, quanto di coloro che fanno dell’intimidazione un arma di potere. Ancor peggio la suggestione.
    Imporsi con simili metodi non solo sottolinea la codardia di chi vuol spadroneggiare a certi livelli, ma evidenzia prepotenza e malvagità, insomma che gusto c’è nel “farsi obbedire” eludendo il libero arbitrio degli individui, quanto può inorgoglire fare i padrini dentro una rete fognaria e da sotto pretendere vittoria. L’unico modo per incastrarli è rendere evidenti le loro trame, trafiggerli con un raggio di luce.
    Nel frattempo mi rendo conto che diventa impossibile vivere in un stato di costante spavento, le notti segnate da terribili incubi, le albe da timori indotti, di giorno non si sa se arriverà la grazia o se ci si dovrà armare contro ignobili obiettivi, c’è un detto qui da noi che recita così “u fuiri è virgogna, ma è salavamientu ì vita…” (fuggire è vergognoso, ma salva la vita), a mio avviso è un proverbio saggio, posseduto da uomini che conoscono i propri limiti.

  51. finita cena e annessa passeggiata alla festa patronale (ebbene sì, in questi giorni mi trovo casualmente in calabria), provo a rispondere alle due domande in grassetto di massimo.
    tina è la protagonista del romanzo. è una giornalista sportiva, trentenne, una persona normale che ha la sventura di imbattersi in una vicenda più grande di lei. molto più grande di lei. normale nell’aspetto, normale negli atteggiamenti, magari un po’ presuntuosetta e antipatica, vive con uno zio hippie di ritorno, ed è innamorata di un allenatore di calcio. lo ripeto: una persona normale, abbastanza isolata. ma come si comporta una persona normale quando vede innalzarsi all’orizzonte l’onda anomala della ‘ndrangheta?
    le 582 pagine di “pr” sono la sua risposta a quello tzunami.

  52. per quanto riguarda la documentazione mi sono avvalso di tre elementi:
    1) la bibliografia classica (gratteri, ciconte, forgione, nicaso, anche saviano) e molti quotidiani locali;
    2) il ricordo, ovvero la possibilità di estrarre dalla memorie eventi, atteggiamenti, aneddoti dell’infanzia;
    3) la possibilità combinatoria, che non è ovviamente un elemento di preparazione. ma sulla base di alcune supposizioni ho ricostruito un possibile mondo ndranghetista. non mi ha sorpreso quando si è parlato nei giorni scorsi di omosessualità fra i capi ndrangheta o di sms criptati. c’erano già in “pr”…

  53. Cara Francesca Giulia,
    vedo che i giapponesi hanno ancora cio’ che sta alla base della nostra cultura greco-romana. Niente piu’, eccetto sfumature. Allora recuperiamo la nostra, direi, di cultura antica, piu’ che andare a cercarne una analoga altrove, no? Costa meno fatica e… ci starebbe gia’ nel sangue e nella lingua.
    Salutoni Cari e Affettuosi
    Sergio

  54. 1. Cosa significa oggi “avere (e/o portare) rispetto”?
    OGGI, per quanto mi riguarda significa andare controcorrente.
    Parlo in generale, senza riferimenti al libro di Gallico. Viviamo in una società che mi pare abbia dimenticato il senso del rispetto. Si punta molto allo scontro, all’insulto. Anche ai vertici, si tenta di risolvere i contrasti demolendo l’immagine dell’avversario.

  55. 2. Un tempo, il senso del rispetto era più forte… più sentito.
    Siete d’accordo con questa affermazione?
    Sono d’accordo e mi ricollego al mio post precedente. Fino a qualche anno fa, nemmeno tanti, il senso del rispetto era nettamente superiore.

  56. 3. Se così fosse, il rispetto di “un tempo” era reale… o intriso di una sorta di velo ipocrita?
    Forse c’era più diplomazia, non ipocrisia. Anche da questo punto di vista si va controcorrente. L’abbiamo detto più volte anche in questo blog. E’ facile oggi accusare il garbo di buonismo.

  57. @Sergio caro sicuramente c’è un filo sottile che unisce tutte le culture antiche ancora non contaminate e con valori puri, si tende giustamente a ciò che più conosciamo e ci è “nel sangue” come dici tu.Tuttavia la curiosità che ci può spingere nell’avventurarci in culture apparentemente lontane e sconosciute ai più può donarci stimoli immensi e grande apertura mentale nonchè un proficuo allargamento dei nostri orizzonti.
    @Vins Leggendo il commento in cui fai riferimento alla documentazione di cui ti saresti avvalso mi è tornato alla mente un articolo di mesi fa con un’intervista a Saviano.Fra le tante cose, lo scrittore diceva di come molte cosche e famiglie della camorra campana facessero di norma ricorso ai nomi degli antichi romani per chiamare o soprannominre i propri affiliati_ molti Augusto, Cesare,Tiberio etc- e nelle spedizioni si organizzassero come la guardia pretoriana.Insomma fortemente attratti dal passato e dal mito come se tutto ciò comunicasse ulteriore senso del potere all’esterno. Sicuramente per questo tipo di organizzazioni la paura va a braccetto con il rispetto che intendono suscitare e che pretendono dagli altri.
    ancora complimenti per il libro.

  58. 4. In cosa si differiscono onore e rispetto?
    A pelle mi viene da dire che il rispetto è più puro dell’onore. L’onore mi suona come qualcosa di imposto, da difendere. Il rispetto mi richiama alla mente la spontaneità.

  59. 5. Che relazione c’è tra paura e rispetto?
    Una relazione malata. Il rispetto indotto dalla paura è insano e falso.

  60. 6. E tra coraggio e rispetto?
    Il coraggio è un sentimento e un atteggiamento di per sé nobile, e come qualunque altro sentimento e atteggiamento nobile rivolto all’esterno genera rispetto.

  61. 7. Quali sono le caratteristiche del coraggio?
    Ne vedo una sola: non piegarsi alla paura, continuando ad averne coscienza.

  62. 8. Il senso del rispetto viene indotto più dalla paura o dal coraggio? Dall’autorità o dalla autorevolezza?
    Ho risposto prima: dal coraggio, altriemnti non è vero rispetto. E, ovviamente, dall’autorevolezza.

  63. Tra le varie citazioni proposte scelgo proprio quella, bellissima, di Hemingway scelta dallo stesso Vins Gallico a cui vanno tanti saluti e complimenti per questo libro, oltre a tanti in bocca al lupo per il futuro.

  64. [… Una storia di ’Ndrangheta ben raccontata, questa di Vins Gallico: linguaggio scorrevole, trama forte, personaggi ben caratterizzati e una contrapposizione tra bene e male, tra buoni e cattivi, che è assai meno netta di come è spesso rappresentata in molti romanzi che hanno a che fare con le organizzazioni criminali… ]
    http://it.paperblog.com/rispetto-onore-coraggio-paura-portami-rispetto-di-vins-gallico-97977/

  65. volevo dire al professor emilio che a livello di atti giudiziari si riscontrano assemblamenti e gerarchie un po’ più complesse nell’ambito della ndrangheta. ci sono parecchie differenze con cosa nostra, anche se le indagini che hanno portato ai 300 arresti di luglio, hanno in parte ribaltato quanto predicavano gli esperti di ndrangheta finora. cioè l’inesistenza di una cupola e l’affiliazione soltanto familiare…
    per il resto è ovvio, giustificato e auspicabile che noi proviamo a dare una forma per catalogare il mostro.

  66. rispetto alla mondanità del filone ndrangheta:
    esiste in effetti un affiorare di una letteratura locale calabrese. e molto spesso se è letteratura sociale non può prescindere da un fenomeno così espanso e devastante. in questo filone ci può essere chi scrive bene e chi scrive male. chi fa letteratura e chi non la fa.
    io probabilmente mi inserisco più nel secondo gruppo. e non per falsa modestia.
    vi confesso comunque che molto spesso quest’etichetta (di scrittore di ndrangheta) mi risulta più nociva che vantaggiosa.

  67. ne approfitto inoltre per ringraziare di nuovo tutt* coloro che sono intervenuti finora, anche per gli auguri e i complimenti che mi sono stati rivolti. ma sono soprattutto io che mi devo complimentare per l’ottimo livello tematico del post.

  68. ieri sera, spinto da quanto letto sul post, ho comprato il romanzo di Vins Gallico. ho lgià etto le prime pagine, la scena con cui i due criminali appiccano l’incendio nel bosco legando alla coda del cane una specie di torcia.
    il cane corre all’impazzata tra gli alberi e il fuoco divampa.
    folgorante e raccapricciante.
    complimenti a Vins.

  69. Sono piacevolmente colpito dalla mestizia mostrata da Vins Gallico.
    Riprendo questo suo passaggio : “io mi sono divertito come un pazzo a scrivere “pr” (e credo che nella lettura venga fuori). e ho sofferto molto a scriverlo. ma sopravvivevo anche senza.
    detto questo, mi capitava di alzarmi alle 4 di notte e scrivere fino al mattino. mi capitava di sognare tina, rummenigge, pyrros e di vederli, di parlarci. ma sono forme di psicopatologia. l’esigenza è altro”.

    Non sono d’accordo su una cosa.
    Per sopravvivere è necessario mangiare, bere, respirare, dormire e ottemperare ad altre funzioni fisiologiche. Ma queste sono appunto “necessità”, non “esigenza”.
    L’esigenza, invece, è quella di divertirsi come un pazzo quando si scrive. Di rispondere all’impulso di alzarsi alle 4 del mattino per continuare la storia. Di sfogare, anche nella scrittura se ci si riesce, le proprie forme di psicopatologia.
    Queste sono esigenze e non, appunto, necessità.

  70. Per me, per esempio, è un’esigenza la lettura (a scrivere ho già rinunciato da tempo perché non è cosa mia). Ho l’esigenza di perdermi in mondi raccontati da altri.
    E credo, caro Vins Gallico, che darò sfogo a questa mia esigenza leggendo anche il tuo libro che mi pare davvero interessante. 🙂

  71. La mia citazione preferita sul rispetto è questa:
    Se hai un’idea rispettala, non perché è un’idea, ma perché è tua.
    (Jim Morrison)

    Forse solo perché amo Jim Morrison.

  72. ma come mestizia?!
    caro marco (sei anche omonimo di uno dei miei personaggi preferiti di “pr”, nino vinci), ti rispondo dicendo che nella mia accezione necessità ed esigenza hanno un peso e un significato simili. per quanto riguarda la mia produzione letteraria considero la scrittura un bene, non un bisogno primario (nell’accezione economica del termine). la scrittura non è dunque funzionale alla mia sopravvivenza fisiologica. anche se, senza scrittura, mi sentirei indubbiamente più morto.
    osservando un livello più generale, meno personalistico, da un punto di vista sociologico direi, bisognerebbe invece che si applicasse un’inversione a 180 gradi.
    spesso la cultura viene vista come un surplus e non si capisce che invece è il sostrato sul quale andrebbe fondata una società. (è la tipica scusa dei tagli alla cultura…)
    grazie mille a francesco per la fiducia.

  73. Caro Vins, se un personaggio del tuo libro porta il tuo cognome ho un motivo in più per leggerlo.
    E sono d’accordo su tutto quello che hai scritto sopra. Soprattutto con questa frase : “spesso la cultura viene vista come un surplus e non si capisce che invece è il sostrato sul quale andrebbe fondata una società. (è la tipica scusa dei tagli alla cultura…)”.
    Sottoscrivo.
    Bravo Vins.

  74. volevo dire : se un personaggio del tuo libro porta il MIO cognome ho un motivo in più per leggerlo…
    scusate, sono cotto.
    pranzo e vado a fare la mia pennichella,

  75. Come spesso accade sono in perfetta sintonia con Simona, che dice al meglio quello che io riesco solo a pensare in maniera confusa.
    .
    sul coraggio mi è cara questa poesia di Bruno Franchi
    .

    CORAGGIO

    Senza di te la vita s’abbandona alla paura,
    rimane intrappolata in pulsioni soffocanti di viltà,
    codardia, pusillamine, vigliaccheria,
    e così che vive l’esistenza obbediente
    sempre preda a soffocar il grido della nascita,
    quando tutta arrossata usciva da un grembo di natura
    e strillava tra il sangue e la placenta l’urlo impetuoso della vita,
    vagito libero che gridan tutti al principio per far sentire la propria voce,
    il diritto alla libertà naturale, ma il mondo non vuol ribelli,
    esseri disubbidienti, irrequieti, insofferenti, indomiti,
    ogni vita che viene alla luce diventa ombra di se stessa,
    perché il mondo vuol vite sottomesse, disciplinate, obbedienti,
    pacifiche, arrendevoli, docili, miti, e paurose di tutto,
    ma non tutta la vita vien educata alla paura,
    ci son vite e vite scampate all’olocausto della distorsione,
    cuori ardenti che non han paura delle regole assurde del mondo,
    impavidi e temerari non s’arrendono mai, son cuori liberi.

    Le gabbie, gli zoo, le prigioni,
    son luoghi di terrore da combattere
    per chi non vuol essere legato dalla distorsione,
    il male del mondo che soffoca la vita
    per paura d’essere annientata,
    spazzata via dalla pulsione libera d’ogni vita che nasce,
    la chiamano ardimento, forza, audacia, eroismo,
    temerarietà, valore, fermezza,
    tutti aggettivi per descrivere una parola sola:

    CORAGGIO!!!!!!!! CORAGGIO!!!!!
    CORAGGIO VITA!!!!!

    Non t’arrendere, continua a gridare,
    urlare a squarcia gola,
    perché la tua follia naturale può cambiare tutto,
    perché il tuo immenso coraggio ad essere te stessa
    può far crollare tutto quanto,
    coraggio allora, continua la corsa,
    continua ad essere coraggiosa fino in fondo,
    per liberare questo posto dalla paura di vivere.
    ————————————————————-
    ho letto commenti davvero interessanti e condivisibili.
    un grazie e un caro saluto a Massimo, e a tutti gli ospiti.

  76. Il rispetto, la paura, l’onore, il coraggio di cui si chiedono qui definizioni non sono quei sentimenti o modi di sentire con conseguenti atteggiamenti e comportamenti…un li bro che parla di ‘ndrangheta non può non parlare del rispetto, della paura, dell’onore e del coraggio se non intesi, visti, letti, con anima e occhi di calabrese…dico che esistono un rispetto, un onore, un coraggio, una paura come noi calabresi li intendiamo, come il duende, o il sentido abandonico, o la saudade eccetera…in tutto questo aggiungo una perfetta sintesi di non ricordo chi, che parlando di Calabria e di ‘nrangheta parla di ”familismo amorale” calabro…ecco, questa è un’altra condizione imprescindibile della realtà calabrese.
    Mi complimento vivamene per il suo impegno, un blog molto ma molto interessante. Grazie.

  77. @vins gallico
    ho letto nei tuoi commenti che apprezzi la letteratura anglosassone e che in questo libro, se ho ben capito, si unisce questo approccio narrativo a quello tipico del noir mediterraneo.
    anche a me piace molto la letteratura anglosassone (di qualità).
    volevo chiederti, quali sono i tuoi autori preferiti?
    complimenti e auguri per questo tuo libro d’esordio.

  78. complimenti all’autore per la sua pubblicazione.
    il tema trattato è – come si vede dalle citazioni riportate e dalle risposte – molto vasto. ma ho letto tutti gli interventi con vivo interesse.

  79. Portare rispetto, per me, non significa pensarla come l’altro, ma apprezzarlo nella sua dimensione di sincerità e capacità di amare . Le opinioni sono secondarie, la sincerità d’animo e l’affettuosità sono predominanti.

  80. Riporto di seguito le mie risposte a domande essenziali, che provano a dare il loro nome alle cose:

    1. Cosa significa oggi “avere (e/o portare) rispetto”?
    Rispetto è saper ascoltare, sapersi mettere necessariamente in discussione. Al concetto di tolleranza antepongo di gran lunga quello di rispetto

    2. Un tempo, il senso del rispetto era più forte… più sentito.
    Siete d’accordo con questa affermazione?
    Se rispetto va inteso nel senso della capacità di ascolto, la risposta non può esaurirsi in una battuta e assume più di una sfaccettatura e di un distinguo
    3. Se così fosse, il rispetto di “un tempo” era reale… o intriso di una sorta di velo ipocrita?
    “La seconda che hai detto”

    4. In cosa si differiscono onore e rispetto?
    Onore è una parola complessa, inquinata e compromessa, ahinoi, come Heimat in tedesco.

    5. Che relazione c’è tra paura e rispetto?
    Non ne vedo

    6. E tra coraggio e rispetto?
    Una relazione stretta: si tratta del coraggio di sapersi mettere in discussione.

    7. Quali sono le caratteristiche del coraggio?
    Mi sembra, che in questi ” tempi oscuri per la lirica” il coraggio si avvicini al coraggio civile

    8. Il senso del rispetto viene indotto più dalla paura o dal coraggio? Dall’autorità o dalla autorevolezza?
    La risposta è una naturale conseguenza del ragionamento ‘secco’ condotto finora

  81. cara laura,
    uno dei miei romanzi preferiti è il falò delle vanità di tom wolfe. adoro quel respiro ampio e comunque incalzante. ma potrei citarti franzen, de lillo, auster, roth. per quanto riguarda il noir mediterraneo mi prostro davanti a izzo.

  82. Ne approfitto, come sempre, per salutare e ringraziare i nuovi intervenuti.
    A partire da: Valerio, Giuseppe, Mariano Gentili, Sergio Sozi, Albertina della Maddalena, il prof. Emilio…

  83. Un ringraziamento speciale ad Anna Maria (ne sono intervnute due diverse)…
    fa impressione vedersi citati all’interno del proprio blog, da un post all’altro.
    (mi riferisco al commento del 13 settembre 2010 alle 10:21 pm).
    Grazie mille.

  84. @ Vins
    Caro Vins, come ha detto tu stesso “Portami rispetto” è un romanzo piuttosto corposo.
    Un paio di curiosità…
    Quanto tempo hai impegato a scriverlo?
    L’hai scritto in maniera continua e regolare, o ti sei preso delle pause?

  85. Come vi dicevo, Tina Romeo è una giornalista sportiva che – suo malgrado – si ritrova avviluppata in “vicende” di cronaca nera che finiranno con il cambiarle la vita…
    A un certo punto scrive un articolo che comincia a infastidire qualcuno.
    Ho chiesto a Tina di mandarcelo.
    Potete leggerlo di seguito…

  86. Una terra normale
    di Tina Romeo

    Non sono nata in una terra normale. Non si può definire normale una terra come questa. Lo si nota da piccoli particolari. Da come la gente si comporta, da come parcheggia in doppia fila, da come sporca la spiaggia, da come guida sulla 106, da come urla. Da come guarda e considera noi donne.
    Minuscoli particolari, che indicano il totale disinteresse per la “res publica”, i diritti umani e civili, la buona educazione. È una terra di ciechi, di sordi, di conniventi, di assassini.
    Due giorni fa il nostro giornale apriva con la notizia della morte “accidentale” di due giovani greci alle pendici del monte Comito. Georgios Elytis e Stamatios Seferis erano due promesse del Paok Salonicco, forse un giorno sarebbero venuti a giocare in Italia in un club di serie A. Invece sono morti. Uccisi da una mano piromane.
    Gli incendi sono una cosa normale in questa terra che non è normale. Stamattina è stato rinvenuto un cadavere all’interno di una Lancia Croma a poche centinaia di metri dal centro di Agatea sulla strada che va al monte Comito. All’interno dell’abitacolo, deceduto per avvelenamento da monossido di carbonio, un suicida reo confesso. Questo è il biglietto che Giovanni Cutrupi ha lasciato: “Fui io medesimo a mentere l’incendio. Lo feci per il grege di mio padre, sensa che lui lo sapeva, per migghiorare l’erbe e il mangiare alle pecore. Ò molto dispiaciere per i ragazzi morti. Non vogghio che la mia famigghia pensa che sono un’asassino. Non e così. Non volevo. Chiedo per dono dei pecati che o comesso”.
    Lo pubblichiamo senza correzioni agli errori ortografici del defunto. Non per deriderlo, ma riteniamo corretto denunciarne l’ignoranza. La sua ignoranza, come l’ignoranza di coloro che non capiscono le responsabilità del vivere comune. Appiccare un incendio vuol dire rischiare di uccidere.
    È successo a Giovanni Cutrupi, il cui pentimento adesso serve a poco.
    Le autorità hanno ricollegato il nome di Cutrupi a quello di un noto malavitoso locale, Giuseppe Parisi, latitante, boss di una ‘ndrina operante nella zona.
    In questa terra anormale può darsi che il suicidio di Cutrupi non sia un vero suicidio e le morti di Georgios Elytis e Stamatios Seferis non siano del tutto accidentali. Nostre fonti lasciano trapelare che dopo l’autopsia effettuata sui corpi carbonizzati dei due ragazzi gli anatomopatologi abbiano riscontrato profonde ferite alla testa. Le forze dell’ordine non confermano, né smentiscono quest’indiscrezione. Ma da questi dati ufficiosi sembrerebbe emergere che i due giovani giocatori siano stati brutalmente colpiti.
    Ma tutto ciò, qui in Calabria, forse è normale.
    Come è normale che sempre ieri notte, ancora una volta nei pressi di Agatea, contrada Roncaglio, un altro pregiudicato locale, Domenico Quattrone, sia volato con la sua jeep in una scarpata. Ovviamente dovremmo ritenere normale che il corpo di Quattrone fosse all’esterno dell’automobile. Un altro incidente normale.
    Tanto la nostra vita procede ogni giorno.
    Normale.

  87. la gestazione di “pr” è stata abbastanza rapida, se escludiamo la fase di concepimento. ho scritto il prologo e un’altra quarantina di pagine nell’inverno del 2007. il resto, invece, dall’agosto del 2009 (quindi in contemporanea agli eventi narrati) fino all’8 marzo del 2010. da dicembre a gennaio ho avuto una media di una decina di ore al giorno. gli ultimi giorni da invasato mi capitava di scrivere anche blocchi continui da 15 pagine.

    (per fortuna che esistono gli editor)

  88. caro massimo,
    tu mi stuzzichi perché in un pageturner con una base thriller non si può dire troppo dei personaggi.
    accenno a rummenigge e bergomi, che sono due malavitosi di basso calibro, chiamati così per la loro somiglianza con i calciatori. hanno deciso di fare il passo più lungo della gamba e pagheranno la loro hybris.
    rummenigge mio malgrado è uno dei personaggi meglio riusciti. è insopportabile aver reso un mafioso così umano, così padre, così marito. ribadisco la mia condanna assoluta nei confronti del mafioso, e mi vergogno per la mia immotivata simpatia per l’uomo.
    bergomi invece è di un’altra pasta, uno sbruffone, e infatti…

  89. nino vinci è il “coinquilino” di tina. suo zio. prima era un serio professore di musica al liceo, un po’ legnoso e impettito, poi un evento tragico cambia la sua vita e lui ritiene insopportabile qualsiasi legame con la precedente esperienza. perciò si dà ormai in età molto matura al consumo delle droghe leggere e all’ascolto indefesso della musica anni 70.
    la sua scena al cimitero è uno dei passaggi che mi ha più colpito allo stomaco, mentre la scrivevo, mentre la rileggevo.

  90. modafferi (cognome sdrucciolo, con l’accento sulla a, lo dico perché ho notato che al nord si tende a farlo diventare un cognome piano) è un ispettore sui generis. laureato in lettere classiche, non porta la divisa, né l’arma d’ordinanza. ha uno stomaco debolissimo, che cura con rimedi omeopatici. è un duro a modo suo, senza essere un macho.
    e ha un immenso problema dentro la meravigliosa casa, in cui – apparentemente – abita da solo.

  91. @vins gallico
    grazie per la risposta. anch’io amo molto gli autori che hai citato, e aspetto con molta impazienza il nuovo franzen di cui in america parlano un gran bene.

  92. ah dimenticavo. belli e intriganti i tuoi personaggi. naturalmente parteggio per tina ancor prima di iniziare a leggere la storia.

  93. Gran bella discussione, complimenti a tutti. In particolare all’autore del libro Vins Gallico.
    Per quanto riguarda ‘il rispetto’, in senso generale, mi viene in mente la canzone di Zucchero: non c’è più rispetto, neanche tra di noi.
    Purtroppo.
    Ciao a tutti.

  94. Ho letto le citazioni.
    Sul rispetto scelgo questa.
    “Si apprende più facilmente e ci si ricorda più volentieri di ciò che stimola il senso del ridicolo che di ciò che merita stima e rispetto”.
    (Orazio Flacco)
    Il motivo è che temo sia vero, soprattutto di questi tempi.

  95. Sull’onore scelgo questa.
    “Ogni persona d’onore sceglie di perdere piuttosto il proprio onore che la propria coscienza”.
    (Michel de Montaigne)
    Il motivo è che credo che debba essere proprio così.

  96. Sul coraggio scelgo questa.
    “Coraggio ce l’ho. E’ la paura che mi frega”.
    (Totò)
    Il motivo è che mi fa ridere e un po’ mi ci ritrovo.

  97. Sulla paura scelgo il grande Giovanni Falcone.
    “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”.
    (Giovanni Falcone)
    Il motivo è perché è bella ed è in tema con questa discussione.
    Auguri a Vins Gallico per il libro. Saluti a tutti.

  98. Per chi si fosse connesso solo ora, e avesse voglia di fornire risposte, ri-propongo le domande del post:

    1. Cosa significa oggi “avere (e/o portare) rispetto”?

    2. Un tempo, il senso del rispetto era più forte… più sentito.
    Siete d’accordo con questa affermazione?

    3. Se così fosse, il rispetto di “un tempo” era reale… o intriso di una sorta di velo ipocrita?

    4. In cosa si differiscon-o onore e rispetto?

    5. Che relazione c’è tra paura e rispetto?

    6. E tra coraggio e rispetto?

    7. Quali sono le caratteristiche del coraggio?

    8. Il senso del rispetto viene indotto più dalla paura o dal coraggio? Dall’autorità o dalla autorevolezza?

  99. Desideravo solo fare gli auguri a vins gallico e al suo personaggio Tina Romeo che, dall’art letto, mi piace proprio tanto

  100. grazie mille, cara gloria. i vostri auguri mi stanno portando bene. ho ricevuto ieri la notizia che “pr” è uno dei due finalisti al premio belgioioso come miglior esordio giallo dell’anno.
    quanto a tina, credo che massimo la farà parlare di nuovo…

  101. complimenti per la finale al premio belgioioso. faccio il tifo per te.
    anche a me il personaggio tina piace tanto…

  102. Intanto auguri all’autore del libro e un saluto ai partecipanti.
    Poi, vorrei provare a rispondere alle domande. Dunque raccolgo l’invito nella speranza di non dire banalità.

  103. 1. Cosa significa oggi “avere (e/o portare) rispetto”?
    Io credo che quando si parla di rispetto bisogna rivolgersi soprattutto a noi stessi. Portare rispetto a se stessi significa, secondo me, rimaner fedeli alle proprie idee e ai propri principi.
    Per me è questo il significato prevalente.
    Oggi temo che abbiamo poco rispetto di noi stessi.

  104. 2. Un tempo, il senso del rispetto era più forte… più sentito.
    Siete d’accordo con questa affermazione?
    Credo sia vera.

  105. 3. Se così fosse, il rispetto di “un tempo” era reale… o intriso di una sorta di velo ipocrita?
    Non credo. Credo piuttosto che avevamo maggiore considerazione di certi valori e di noi stessi.

  106. 4. In cosa si differiscono onore e rispetto?
    L’onore è qualcosa da difendere, il rispetto è qualcosa da conquistare.

  107. 5. Che relazione c’è tra paura e rispetto?
    Una relazione distorta. Il rispetto indotto dalla paura non è rispetto: è schiavitù mascherata.

  108. 7. Quali sono le caratteristiche del coraggio?
    Per me avere coraggio significa riuscire ad andare controcorrente, nonostante le difficoltà.

  109. 8. Il senso del rispetto viene indotto più dalla paura o dal coraggio? Dall’autorità o dalla autorevolezza?

    Ho già risposto nella 5 e nella 6

  110. @Vins e Massimo:la citazione di Montaigne si riferisce a coloro che si fanno scudo dell’onore (di un malinteso senso dell’onore)per non agire secondo coscienza.

  111. E parlavamo di Tina Romeo
    Dopo quell’articolo (che avete letto sopra) a Tina accadono parecchie cose… non tanto carine, per la verità (di più non posso dirvi).
    Però lei non demorde… continua la sua battaglia.
    Al giornale le danno spazio e lei pubblica un ulteriore articolo.
    Ho chiesto a Tina di inviarmelo e di autorizzarmi a pubblicarlo qui, per farvelo leggere.
    Eccolo di seguito.

  112. A forza di parole
    di Tina Romeo

    Quanta forza ha una parola? E quanta ne hanno molte, messe insieme a formare una frase? O un articolo di giornale? Riescono le parole ad avere così tanta forza da restituirmi la salute dell’uomo che amo? Me lo ridanno sano e salvo? Mi riportano indietro nel tempo alla settimana scorsa?
    Perché io fino alla settimana scorsa mi occupavo unicamente di sport e scrivevo parole di sport. Guardavo partite di calcio, gare di ciclismo, sfide di basket, meeting di atletica leggera e vivevo un’esistenza tranquilla. Oggi apprendo dalle maggiori testate nazionali che sono in pericolo, che la ‘ndrangheta mi minaccia.
    Ieri è stata bruciata l’automobile che i miei genitori mi avevano regalato per la laurea ed è stata gravemente ferita la persona di cui sono innamorata. Nel punto in cui è avvenuto l’attentato ai miei danni sono stati ritrovati poco dopo i corpi morti di Rocco Papalia e Alberto Corsaro, due esponenti della ‘ndrina di Don Peppe Parisi.
    Avevo citato questo nome in un precedente articolo che Roberto Saviano ha avuto la bontà di commentare. Devo arguire che ho subito la punizione che spetta a chi si prende il rischio nientemeno di nominare un capetto mafioso.
    Tanta forza hanno dunque le parole!
    Fosse per me e potessi tornare indietro, non scriverei più quell’articolo e chiederei di vivere senza avere a che fare con dei criminali. Ma siccome non posso tornare indietro, mi tocca affrontare la mia drammatica situazione. E l’unico modo che ho per difendermi è usarle di nuovo, le mie parole.
    Se è stato Giuseppe Parisi a provocare tutto ciò, solo perché il suo nome è stato nominato invano, voglio ricordargli che lui non è Dio in terra e il suo nome io, come chiunque in una nazione libera, posso pronunciarlo, ripeterlo e trascriverlo quante volte mi pare. Così: Don Peppe Parisi, Don Peppe Parisi, Don Peppe Parisi.
    Per quanto riguarda le due persone trovate assassinate ho già riportato la mia versione dei fatti alle autorità competenti e non ne parlerò con la stampa, né su “Il Quotidiano”, né con altri colleghi.
    Questo pomeriggio ho avuto fortissima la tentazione di mollare, di non digitare più neanche mezza parola su un foglio, poi ho capito che sarei morta in quel modo.
    Che le parole potevano salvarmi. Salvare me e tutti noi altri che abitiamo in questa terra in mano a pochi delinquenti. Vorrei che le parole avessero davvero la forza per scacciarli via.
    Che bastasse un urlo: ANDATEVENE!

  113. Ringrazio Tina per avermi inviato l’articolo ed essere stata qui. Vi invito – se vi va – a commentarlo…
    O magari a riflettere (anche in silenzio) sulla forza delle parole (ne abbiamo già parlato).
    Fin dove può arrivare il peso di una parola detta e /o una parola scritta?

  114. Francesca Giulia,
    cara e sensibile amica: ovviamente nel mio precedente intervento, io parlavo senza voler ”chiudere” alcunche’ (figuriamoci la cultura, l’acculturazione…) semmai proponevo (e propongo ancora) a tutti gli italiani di tornare a cercare di capire cosa essi fossero e cosa cioe’ siamo noi tutti – noi nati in queste lande – visto che oggi tutti gli ”pseudoitaliani” leggono roba straniera, Joyce e Proust e l’ultimo best seller americano, ma nessuno di loro sa piu’ da dove viene lui stesso ne’ da dove veniamo noi tutti (il latino se lo sono buttato alle spalle, gli italiani, e Manzoni lo si vede in tivu’, Dante se non c’e’ Benigni a leggerlo in piazza diventa un ”illustre sconosciuto” e Petrarca peggio che mai, eccetera, a scendere verso il basso di ”Acciaio” e ”La solitudine dei numeri primi”, per non dire di Moccia et minus habentes).
    Allora, cara Francesca Giulia, sentimi ti prego: sessanta milioni, siamo, sessanta! E anche se fossimo un solo milione di italiani… be’, non importa: se conosci te stesso e le tue radici, hai le ”stampelle” che ti sorreggono nella vita per interpretare i miliardi di uomini del mondo, gli stranieri. Altrimenti, senza radici, si resta semplicemente sradicati. E si perde quel che si ha. Cioe’ quel che non si ha.
    Ma, ripeto senza alcun rancore: chiunque sappia da dove viene, sa cio’ che e’ e cosi’, pertanto, puo’ capire cio’ che non e’.
    Altrimenti non e’ e punto. Non e’.
    Come gli italiani di oggi, che, fra Chin Chaming Huong e Francois de la Marmere, Manuel Pourinho e Boris Grudovisov, resta un pollastro ignorante e provinciale di Rieti o di Abbiccidi’ in provincia di Cucu’ – Italia.
    Ovviamente non mi riferisco a te, sia chiaro, ma parlo in generale: la propria patria culturale, linguistica, spirituale, geografica e civile e’ la base. L’isola dalla quale si decolla. Senza pista di partenza, non e’ data pista d’atterraggio.
    Tutto qua.
    Bacioni
    Sergio

  115. P.S.
    Scusami per una mancanza di concordanza: ”gli italiani… resta…” volevo dire: ”restano dei pollastri ”eccetera, a concordare. Pardon.

  116. @Sergio naturalmente concordo su diversi aspetti e sono sempre felice di dialogare con te.Io a mia figlia per le letture consiglio sempre un classico e poi un attuale anche “alla moda”ma che abbia un minimo di dignità letteraria,è certo che debba conoscere Dante e Petrarca e Manzoni ma bisognerebbe aiutarla ad apprezzarli e goderli non come un dovere scolastico- questo è un altro interessante discorso da aprire magari sul post scuola!”.Quella dell’ ”esterofilia” è una tendenza che imperversa in tanti campi purtroppo, sull’importanza fondamentale del latino e il greco per comprendere le basi della lingua italiana sono perfettamente d’accordo con te.
    un abbraccio grande e a presto risentirti.

  117. Manuela La Ferla e Paolo Di Stefano, ospiti di Massimo Maugeri a “Letteratitudine in Fm” del 17 settembre 2010, h. 12.30

    Con Manuela La Ferla (editor di letteratura italiana) e Paolo Di Stefano (scrittore e firma delle pagine culturali del Corriere della Sera) si discuterà dell’editoria di ieri e di oggi. Lo spunto ce lo fornisce la pubblicazione del nuovo libro di Paolo Di Stefano: “Potresti anche dirmi grazie. Gli scrittori raccontati dagli editori”, pubblicato dalla Rizzoli: http://rizzoli.rcslibri.corriere.it/libro/3373_potresti_anche_dirmi_grazie_di_stefano.html

    Potete ascoltarci su Radio Hinterland, FM 94,60 nelle provincie di Milano e Pavia; o in streaming via Internet da qui: http://www.radiohinterland.com/streaming/radiolimpia.asx

  118. Accennavo al lavoro di Vito B. Zingales, che a mio avviso è uno dei migliori scrittori che ha saputo parlare della malavita senza rinnegare né lo stile né la sostanza. Ed allora vi segnalo la critica e l’intervista all’autore. Credo di non andare in OT, essendo che comunque si parla di libri di un certo genere, di autori che raccontano la malavita.

    In ogni caso, caro Massimo, se dovessi trovare inopportuna invasiva o non conveniente la segnalazione, ti prego di cancellare questo commento e ti prego di scusarmi sin d’ora.

    http://iannozzigiuseppe.wordpress.com/2010/09/17/vito-benicio-zingales-in-viaggio-nella-follia-dell%E2%80%99uomo-diavolo-con-il-truccatore-dei-morti/

  119. l’interpretazione di Emy della citazione di Montaigne corrisponde a quella che avevo dato io.
    Grazie a Emy.

  120. anch’io ringrazio per il chiarimento.

    secondo me, voi non sapete quanto è insopportabile a volte tina romeo..

  121. cosa ha di insopportabile Tina Romeo?
    A me sembra una ragazza coraggiosa, di quelle che mi piacerebbe avere come amica.

  122. guarda un po’. non avrei mai immaginato che mi sarei trovata a difendere un personaggio letterario dal suo autore 🙂

  123. è una testa dura, è presuntuosa, è istintiva. tratta malissimo alcune persone che stravedono per lei. deve rifarsi delle batoste che ha preso fino a ora. parla un pessimo inglese. riesce a essere molto acida, a volte.
    e non ha amiche… (pensaci, questo dovrà significare qualcosa)

  124. a me piacerebbe proprio conoscerla. penso che potrei essere una sua buona amica, e spero di ritrovarla in un tuo prossimo libro.

  125. Be’, in effetti la cara Tina ha un caratterino niente male. E in effetti, a volte… “taglia corto”.
    Ne sa qualcosa il giovane Giulio: il fotoreporter del giornale che la segue nella sua inchiesta.

  126. @ Giuseppe Iannozzi
    Caro Giuseppe, come sai intervengo sui commenti solo laddove (come recita la nota “avvertenza” inserita nella colonna di sinistra del blog) dovessero essere considerati fuori argomento, o offensivi e/o irrispettosi nei confronti di persone e opinioni.
    Oppure quando mettono “in imbarazzo” i miei ospiti.
    Non solo quel tuo commento non rientra in nessuna delle suddette tipologie, ma ti ringrazio pure perché ci dài la possibilità di conoscere Vito B. Zingales.

  127. Anzi, Giuseppe… poiché Letteratitudine si basa sui principii dell’accoglienza e del coinvolgimento ti chiedo (se ti fa piacere… e se dovesse far piacere anche all’interessato) di far intervenire Zingales in questo dibattito.
    Magari potrebbe fornire una sua risposta a una o più delle domande del post.
    E poi ci potrebbe far conoscere un po’ di più questo suo libro che hai recensito sul tuo blog.

  128. @Iannozzi anche a me interessa molto approfondire il libro di cui hai parlato, ho letto con piacere la tua recensione sul tuo blog.Inoltre Bulgakov è stato uno dei primi romanzi che mi ha rapita da ragazza e dopo averlo divorato mi sono appassionata al tema “diavolo” e ne ho letti ed amati altri( Hoffman, Cazotte etc). Grazie mille della segnalazione!
    un saluto special a Massimo!!!

  129. @Vins Gallico
    Come mai hai scelto una giornalista come protagonista del libro? E non i ‘classici’ e ben collaudati commissari, ispettori, ecc. ?

  130. caro alfredo, lo dicevo ieri in un’intervista in radio. tina poteva essere una baby-sitter, una dog-sitter, una bidella, una netturbina, una maestra, un’operaia. volevo una persona normale, come me, come te. come chiunque si trovi adesso in calabria.
    e immaginati cosa succede quando la longa manus della ‘ndrangheta colpisce una persona normale. non una che per scelta ha deciso di lottare contro il crimine.
    poi ovviamente il giornale è una buona scusa per avere un’amplificazione mediatica o una possibilità investigativa (sicuramente più che una dog-sitter).
    e poi basta con i classici commissari, ispettori, ecc… non sono un po’ tutti uguali, anche nelle loro originalità?

  131. Caro Vins, in chiusura di discussione potremmo offrire un altro “assaggio” del libro.
    Pensi possa essere possibile?
    Stavo pensando all’inizio del romanzo… che come qualcuno ha fatto notare, è molto forte.
    Che ne dici?

  132. caro massimo, con piacere.
    volevo ringraziare tutt* coloro che hanno partecipato a questa discussione. per la profondità e la gentilezza con cui si è svolta.
    se qualcuno di voi adoperasse quell’infernale strumento che è facebook, volevo dirvi che c’è un’apposita pagina dove ci sono aggiornamenti sulle presentazioni e varie ed eventuali su portami rispetto.
    la pagina è rintracciabile con: vins gallico portami rispetto
    di nuovo grazie e già mi scuso per la lunghezza del testo che inserirò..

  133. sono ricascato nell’errore dell’anomino.
    eccovi l’attacco, il primo dei tre capitoli del prologo.

    PORTAMI RISPETTO
    Il coraggio percorre una distanza breve; dal cuore alla testa, ma quando se
    ne va non si può sapere dove si ferma; in un’emorragia, forse, o in una
    donna, ed è un guaio essere nella corrida quando se n’è andato, dovunque
    sia andato. (E. Hemingway)
    PROLOGO
    1.
    Giovanni si voltò lentamente e disse: “Va’ e pigghia u cani”, un ordine
    gutturale da eseguire senza discussioni.
    Pasquale non rispose. Distingueva appena i contorni del viso buio del
    cugino, ma riusciva a immaginarlo con precisione. Negli ultimi dieci anni
    aveva fissato la faccia di Giovanni quasi ogni pomeriggio, trascorso a
    giocare a tressette a loro bar in piazza. Capiva dalla mimica le carte che
    l’altro aveva in mano. Carte buone: Giovanni stiracchiava le guance da
    mastino napoletano e si sfiorava i baffoni neri. Carte fetenti: deglutiva nel
    doppio mento che pareva un collare ortopedico.
    “Va’, moviti”, sibilò di nuovo Giovanni, a denti stretti, “non mu fari diri
    n’atra vota.”
    Pasquale sbuffò. Rimase immobile a squadrare la sagoma di Giovanni,
    piantata fra i tronchi dei pini larici. Non era più come quando erano
    bambini al mare ad Africo e il nonno o gli zii di Reggio o il compare della
    Piana affidavano a lui il comando. Nessuno stavolta gli aveva detto:
    “Giuanninu, ti raccumandu i muccusi, soprattuttu i to’ cuggini: a Pascali e
    a Linuzzu”.
    Stavolta Don Rocco aveva parlato chiaro, aveva detto: “Voi due”. Li aveva
    messi sullo stesso piano. Voi due…
    “Ancora ‘cca sii?”, insistette Giovanni: “Vai”.
    Pasquale non si mosse.
    E quando Giovanni gli si avvicinò minaccioso con il broncio in avanti a
    forma di incudine, Pasquale l’afferrò per la manica: “Iamu”, gli disse
    strattonandolo dalla giacca militare, “Iamu aniti ieu e tia, che è megghiu”.
    Giovanni si dimenò per liberarsi dalla presa, ma Pasquale aveva dita forti
    come tenaglie. Lo trascinò nel bosco e se lo tirò dietro fra i rovi di lamponi
    e i biancospini, fino a raggiungere la strada sterrata dove avevano
    parcheggiato.
    “Tu u pigghi e ieu c’ mbiddu ddu morsu i stoffa”, disse Pasquale indicando
    il bagagliaio della Fiat Croma.
    Là dentro, quello a cui voleva attaccare il pezzo di stoffa si agitava.
    Ringhiando.
    Don Rocco gli aveva assicurato che era un cane affettuoso.
    Si chiamava Gildo e l’aveva selezionato lui in persona.
    Ma Giovanni aveva somministrato a Gildo una dose eccessiva di Sedaxilan
    e Gildo adesso ronfava in una cantina di Agatea, inconsapevole che
    quell’iniezione gli aveva salvato la pelle, almeno per il momento.
    Don Rocco se ne intendeva di cani. Gli piacevano quelle bestie. Gli erano
    brillati gli occhi mentre emetteva il verdetto: sarebbe stato un peccato per
    Gildo, ma era il più adatto.
    L’aveva descritto nei minimi particolari: il corpo elastico e asciutto, il pelo
    corto bianco a chiazze di roano marrone, le orecchie ciondolanti, lo
    sguardo profondo e pacifico.
    I bracchi non sono molto veloci, per questo Gildo si prestava bene al caso,
    aveva spiegato Don Rocco dondolando sulla poltrona girevole. Se a loro
    fosse servita una scheggia, allora lui gli avrebbe messo a disposizione un
    whippet.
    “Sapiti chi è u whippet?”.
    Giovanni e Pasquale Cutrupi avevano scosso entrambi la testa, senza
    proferire parola.
    “Quelli con la faccia da topo, tutti ossa. Grigi tipo il velluto. Li utilizzano
    nella caccia alle lepri in Inghilterra. Si vedono anche in certi quadri
    antichi”, aveva chiosato Don Rocco, stavolta senza usare il dialetto e
    aspirando dal sigaro.
    I due cugini Cutrupi erano gente ignorante e non se ne intendevano di
    pittura del XIV secolo.
    Allora Don Rocco aveva lasciato perdere e ribadito le condizioni. Aveva
    chiarito per filo e per segno perché erano stati chiamati, li aveva fatti
    bendare di nuovo – come all’andata quando gli era stato concesso di entrare
    nel bunker sotterraneo – e li aveva mandati via.
    Era un onore che l’avessero potuto vedere in faccia, in carne e ossa, lui,
    Don Rocco Stillitani, uno dei latitanti più ricercati dalla DIA da oltre un
    decennio.
    Magari questo avrebbe potuto farli insospettire, ma quelli niente, si erano
    fatti smielare dalle sue promesse e avevano preso tutto per buono.
    Così la sera del 13 Agosto, a quasi due anni dalla strage di Duisburg,
    Giovanni e Pasquale Cutrupi si erano vestiti di scuro e si erano avventurati
    con la vecchia Croma di Giovanni per l’Aspromonte, salendo verso San
    Luca e poi in direzione Platì, puntando proprio lì, al cuore del triangolo
    delle Bermuda della ‘ndrangheta.
    Giovanni aveva guidato, senza fretta.
    Avevano trascorso ad Africo, al mare, l’intera giornata, che si era spenta
    bollente e più appiccicosa di com’era cominciata. Verso sera, si era alzato
    un soffio caldo di scirocco che preannunciava sabbia sahariana e una notte
    di sudore.
    Il vento gli avrebbe fatto comodo.
    Prima di partire per i monti Giovanni era entrato nel cesso di un bar di
    Sant’Anna con una busta. Vedendolo uscire Pasquale aveva scosso la testa:
    mancava soltanto il passamontagna che suo cugino s’era travestito da ninja.
    Ma che credeva di fare?, gli aveva chiesto.
    Punto nell’orgoglio Giovanni era saltato in macchina, aveva messo in moto
    e domandato a sua volta se lui, l’Orbu, invece di fare ironia da quattro soldi
    aveva appresso il secchio e il tubo di gomma o se invece li era scordati
    insieme alla sua solita testa di minchia.
    Pasquale l’aveva guardato male, sgranando il suo unico occhio: “Purtai
    puru i fogghi i giurnali”. Non li aveva ancora appallottolati per fare le
    caramelle, nel caso li fermassero gli sbirri. Poi gli aveva mostrato le
    sigarette e i fiammiferi.
    “Giuannì”, aveva aggiunto, “m’ poi zanniari pi tutti i cosi, ma pi l’occhiu
    no”, indicando la cavità orbitaria in cui mancava il bulbo. Lo sapevano tutti
    che Pasquale non gradiva ironia in riferimento al suo monoculismo.
    Giovanni non aveva aggiunto nulla e se n’era rimasto zitto con lo sguardo
    fisso e bioculare sulla strada serpentina che si arrampicava verso
    l’Aspromonte.
    Con la prima pausa alle porte di San Luca erano cominciati i problemi: un
    pastore dello Zomaro avrebbe dovuto consegnare Gildo ai Cutrupi, ma il
    cane non ne voleva sapere di accomodarsi sulla Croma, s’era agitato e
    Giovanni per convincerlo aveva esagerato coi sedativi.
    Il risultato era stato che se l’erano ritrovato zampe all’aria in stato
    catalettico.
    Avevano optato per un piano alternativo. L’avevano caricato in macchina e
    confinato ad Agatea nella cantina di Pasquale. Pesava l’ira di Dio quella
    bestia e, appena se l’erano tolto dai piedi, si erano messi a caccia di un
    sostituto. L’avevano trovato in un mezzo bastardo, che faceva la guardia a
    un oliveto nei dintorni della fiumara. Con due mazzate e una sprizzata del
    cloridato di xylazina residuo l’avevano convinto ad aggregarsi alla
    spedizione. Prima di infilarlo nel bagagliaio a Pasquale era venuta l’idea di
    legargli sul muso una corda che fungesse da museruola.
    Era stata una buona pensata. Il Mezzo Bastardo si era risvegliato durante il
    viaggio e aveva preso ad agitarsi, fra ringhi disperati e singhiozzi.
    Probabilmente gli aveva pisciato nel cofano.
    “Che? Ti schianti pi l’occhiu?”, disse Giovanni.
    Pasquale lo lanciò contro la Croma: “Iapri, e viri non m’ ‘ndi fuj”.
    Giovanni si rialzò dal bagagliaio e fece finta di scrollarsi di dosso
    dell’ipotetica polvere. Sfoggiò nuovamente il ridicolo sguardo da gangster
    che provava davanti a ogni specchio.
    L’eventualità che al Mezzo Bastardo gli venisse lo sghiribizzo di darsela a
    zampe levate non era da escludere. Don Rocco non l’avrebbe presa bene.
    “E iutami…”, disse Giovanni.
    “Iapri!”, gli intimò Pasquale.
    Giovanni fece scattare la serratura. Mentre il cofano si sollevava, si voltò
    per controllare che il cugino fosse rimasto al suo fianco. La lucina interna
    della Croma si stampò in faccia ai due come un faro. Sembravano molto
    più vecchi di quanto in realtà dichiarassero le loro carte d’identità.
    Con il bagagliaio aperto il Mezzo Bastardo allungò il muso e sarebbe
    balzato fuori, se l’occhio di Pasquale non l’avesse notato in controluce. Lo
    colpì con una pedata sul naso. Il cane rimbalzò sul portellone del
    bagagliaio, che si alzò come una mandibola spalancata e si richiuse a
    ghigliottina sul cranio dell’animale.
    “Pigghiamulu”, disse Pasquale.
    Il Mezzo Bastardo intontito non oppose resistenza. Pasquale ebbe il tempo
    di legargli un’altra corda al collo e lo straccio alla coda.
    Intanto Giovanni aveva estratto dal cofano il tubo di gomma e il secchio.
    Inserì il tubo di gomma nel serbatoio e aspirò per creare un vuoto d’aria
    così da mettere la benzina in circolo. Il carburante iniziò a venir fuori
    come una fontanella, Pasquale lo raccolse nel secchio fino a riempirne
    metà, poi ordinò a Giovanni di fermare il getto.
    “Chiuri puru ‘a machina”, disse Pasquale, mentre il cugino interrompeva il
    passaggio della benzina dal serbatoio al secchio, “ma prima pigghia i
    carameddi”.
    S’incamminarono per la seconda volta sul sentiero che s’immergeva nel
    bosco, tirandosi appresso il Mezzo Bastardo claudicante. Pasquale
    trasportava la benzina facendo attenzione che non debordasse.
    Nuvole basse, spinte dallo scirocco, schiacciavano l’afa dal mare verso la
    costa. Un quarto di luna fra le nuvole sorprese i cugini prima che fossero
    risucchiati dalla vegetazione.
    I Cutrupi si addentrarono per un centinaio di metri nella boscaglia.
    “Partimu i ‘cca?”, domandò Giovanni, ormai in balia di Pasquale.
    Pasquale fece segno di aspettare, camminarono sino a quando davanti a un
    arbusto di fillirea disse: “U bagghiolu”.
    Giovanni gli porse il secchio. Pasquale vi immerse la coda del Mezzo
    Bastardo e la propaggine di stoffa.
    Quindi diede fuoco allo straccio.
    Il Mezzo Bastardo improvvisamente sembrò svegliarsi, provò ad abbaiare,
    ma aveva le fauci bloccate. Puntò dritto verso il cuore del bosco,
    terrorizzato dalle fiamme che lo inseguivano e che presto lo avrebbero reso
    un tizzone a quattro zampe. Nel suo scatto si tirò appresso uno strascico di
    sterpi, dove il fuoco aveva già attecchito.
    “Tu vai a desthra e ieu a manca. Pigghiati na para i carameddi”, disse
    Pasquale dandogli le pallette di carta, le cui estremità ricordavano la forma
    delle confezioni di caramelle, “Ndi virimu aundè a machina”.
    Non vedeva l’ora di tornare ad Agatea e godersi dal balcone di casa lo
    spettacolo delle fiamme che si alzavano nella notte.
    “Giuannì”, aggiunse con un fare quasi paterno, “viri nun m’ ti bampi”.
    Non sarebbe stato facile spiegare a Don Peppe Parisi e ai suoi scagnozzi
    un’eventuale scottatura.
    Che gli avrebbero raccontato se gliel’avessero chiesto? Che erano passati,
    come infami traditori, dall’altra parte?
    Don Rocco Stillitani aveva detto di non preoccuparsi. Gli aveva promesso
    che avrebbe pensato lui a tutto quanto, nessuno della ‘ndrina avversaria gli
    avrebbe torto un capello.
    E Don Rocco Stillitani finora era stato un uomo d’onore.

  134. Davvero avvincente l’inizio di questo romanzo, dialoghi secchi, sembrano incisi con lo scappello, e perfettamente dosati con le descrizioni. L’uso del dialetto li rende ancora più efficaci. L’autore riesce sin dalle prime righe a creare un clima di attesa per qualcosa di grave che sta per accadere. Complimenti Vins, lo trovo molto vicino alle atmosfere siciliane. Anche da noi esisteva questa triste usanza di utilizzare i cani per incendiare le sterpaglie. Qualche volta lo facevano i pastori per ripulire il terreno in attesa delle piogge autunnali. Mio padre era un pastore ma spero non abbia mai adoperato questo macabro espediente. Ci ho provato io, una volta, con una tartaruga ma non ha sortito alcun effetto, ha impiegato tre giorni per percorre 5 metri e nel frattempo il fuoco si era spento.
    Un abbraccio a tutti.

  135. davvero bello il primo capitolo del libro di vins gallico. una scrittura tagliente, che cattura.
    complimenti.

  136. Caro Vins,
    grazie a te per la partecipazione e ancora complimenti per questo tuo primo romanzo.
    Ti faccio tanti in bocca al lupo per la tua futura attività di scrittore.

  137. grazie a voi per l’attenzione.
    progetti per il futuro… tanti. tutti ancora incerti. per ora giro con il mio taccuino a prendere appunti…

  138. Caro Massimo, tema troppo complesso quello che hai dato da commentare, per cui non mi cimento affatto: non basterebbe, oggi, tutto lo spazio del tuo Blog.
    Rispetto, onore, sono sostantivi che nel mio mondo normale non c’è l’abitudine di definirli perchè si vivono e basta. La paura ed il coraggio hanno un carattere molto personale. A me fanno paura i coccodrilli, ho bisogno di coraggio per soccorrere un ammalato…….ma ritengo che Vins Gallico usi questi sostantivi dentro un terzo mondo che conosco soltanto e per fortuna per le conseguenze che uomini di rispetto e d’onore hanno generato nella nostra società scardinandola ed obbligandoci a cercare nel vocabolario il significato autentico ed universale di onore e rispetto.

  139. Comprerò il libro di Vins Gallico anche per vedere le sue paure e il suo coraggio nel parlare della morte, si perchè quando si parla di drangheta, di mafia, di camorra credo che si parli solo ed eslusivamente di morte sia essa reale o ontica, morale o metafisica e quindi la paura ed il coraggio si inseguono a vicenda.
    C’è nel codice di queste pendici paludose della società tanto capitale di malvagità che lo stesso scrittore non può mettere in atto un distacco razionale dal tema che tratta, non può non gemere con l’agonia di Falcone e Borsellino, e non piangere sulla vita spezzata di tanti innocenti.
    Ci vuole coraggio….e questo, capisco, all’autore non sarà mancato.
    per cui mi complimento per avere trattato di onore, di rispetto, di coraggio e di paura, anche perchè la società civile rischia di trasferirli nei propri comportamenti…..e questo è l’inizio della fine. Il meglio che possa capitarci è un’accelerazione verso il Medioevo.

  140. Un libro e un bicchiere (pieno),

    Alla Libreria Zalib a via della gatta, in occasione della Notte Tricolore,

    un happyhour per il nuovo libro di Vins Gallico “Portami rispetto”, Rizzoli Editore.

    Con l’autore ne parlerà Valentina Colasanti.

    Reading a cura di Marco Oliviero.

    libreria zalib via dela gatta 1b, roma

    mercoledì 16 h. 19:30

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