Dicembre 22, 2024

149 thoughts on “OMAGGIO A ELSA MORANTE

  1. Dopo aver ricordato Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini… è la volta di una “ricorrenza” che riguarda Elsa Morante, scomparsa venticinque anni fa (per l’esattezza il 25 novembre del 1985).

  2. La Morante – nata a Roma il 18 agosto 1912 – è senz’altro una delle più importanti autrici italiane dal dopoguerra a oggi. Basti pensare a opere come il suo romanzo d’esordio, “Menzogna e sortilegio” (pubblicato nel 1948 e vincitore del Premio Viareggio); “L’isola di Arturo” (pubblicato nel 1957 e vincitore del Premio Strega); “Il mondo salvato dai ragazzini” (opera mista di poesia, canzoni e una commedia, pubblicato nel 1968); e poi “La Storia” (pubblicato nel 1974: grande successo internazionale). Il suo ultimo romanzo, “Aracoeli”, fu pubblicato nel 1982.

  3. Come ho scritto sul post, qualunque tipo di contributo sulla vita e sulle opere di Elsa Morante (citazioni, stralci di brani, considerazioni, recensioni, link a video e quant’altro) è gradito.

    Siete tutti invitati a intervenire, dunque.
    Vi ringrazio anticipatamente per la partecipazione.

  4. Confesso che di Elsa Morante ho letto solo “La storia” molto tempo fa. Ricordo che mi piacque molto anche se l’ ultima parte lascia pochi spazi alla speranza. Sembra quasi che la storia non sia un cammino dell’ uomo verso la sua liberazione ed evoluzione ma un percorso che ha come conclusione la sconfitta. Per cui forse ebbe ragione Rossana Rossanda a criticare il romanzo. Buona sera a tutti. Franca.

  5. di Elsa Morante ho letto quasi tutto. Le sue narrazioni mi sono sempre entrate nel cuore. per me è la narratrice per eccellenza, insieme alla Ortese.

  6. Devo dire che anche secondo me il 25° della morte della Morante è passato inosservato. Anzi, senza questo post probabilmente nemmeno l’avrei saputo.
    Chissà perché.

  7. Mi viene anche in mente che forse gli scrittori sono più “celebrati” delle scrittrici.
    E’ solo una mia impressione o c’è un fondo di verità in questo pensiero?

  8. Provo a rispondere alle domande:
    1. Che rapporti avete con le opere di Elsa Morante?
    Ho letto “L’isola di Arturo” e “La storia”, due libri diversi ma due capolavori indiscutibili secondo me.

  9. 2. Qual è quella che avete amato di più?
    Tra le due citate, direi “L’isola di Arturo”. Premio Strega meritatissimo.

  10. 3. E l’opera della Morante che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?
    Direi “La storia”, perché è stata l’opera che l’ha resa più celebre a livello internazionale.

  11. 4. Tra le varie “citazione” della Morante di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?
    Mi piace questa:
    “Una delle possibili definizioni giuste di scrittore, per me sarebbe addirittura la seguente: un uomo a cui sta a cuore tutto quanto accade, fuorché la letteratura”.
    Elsa Morante (da Pro o contro la bomba atomica e altri scritti, Adelphi, 1987)

  12. 5. A venticinque anni dalla morte, qual è l’eredità che Elsa Morante ha lasciato nella letteratura italiana?
    Esser riuscita a unire la Storia e la Letteratura in un’opera ambiziosa e memorabile.

  13. Grazie per il video. Guardandolo si vede che la Morante era una donna bella, acuta e molto colta.

  14. Caro Massi,
    è una ricorrenza che sempre dovrebbe essere celebrata.
    Ho letto tutto di Elsa, e l’ho sempre chiamata solo per nome, assimilandone ogni parola come a me data, come un sussurro scivolato all’orecchio.
    Non è solo per quella misteriosa affinità che a volte ci lega a uno scrittore e che crea tra lui e noi una parentela dei sentimenti, della memoria. Ma perchè in Elsa il segreto della scrittura scava vie sotterranee, rimanda continuamente all’amore.
    Credo che sia l’enigma con cui si è scontrata e incontrata per tutta la durata della sua vita: amare ed essere amati, ma in un modo che è conoscitivo dell’intera dinamica dell’esistenza, e che quando si spezza partecipa a un lutto feroce, privativo non solo degli uomini, ma del senso tutto dell’universo.
    Per questo in lei anche la narrazione della crescita (come quella di Arturo) non è solo romanzo di formazione. Per questo oltre alla trama Elsa scoscende verso l’inconoscibile e imprendibile significato dei rapporti umani. Della loro fragilità. Del loro ultimissimo modo di legarci al mondo.
    Tornerò a scrivere di lei, con la commozione di una amica, non di una lettrice. Chiudo per adesso con pochi versi. Un assolo di veglia.
    _____

    E chiedo una tenerezza al buio della stanza, / almeno una decadenza della memoria, / la senilità, l’ equivoco del tempo volgare / Che medica ogni dolore (il mondo salvato dai ragazzini).

  15. Elsa Morante (Roma, 18 agosto 1912 – Roma, 25 novembre 1985)
    ha trascorso la sua infanzia nel quartiere popolare romano di Testaccio. Figlia naturale di una maestra ebrea (Irma Poggibonsi) e di un impiegato delle poste (Francesco Lo Monaco), alla nascita fu riconosciuta da Augusto Morante, sorvegliante in un istituto di correzione giovanile.

  16. La Morante iniziò giovanissima a scrivere filastrocche e favole per bambini, poesie e racconti brevi, che a partire dal 1933, sino all’inizio della seconda guerra mondiale, furono via via pubblicati, anche grazie ai consigli del critico letterario Francesco Bruno, che la lanciò nel 1935, su varie riviste di diversa natura (tra le quali si ricordano Il Corriere dei Piccoli, Il Meridiano di Roma, I Diritti della Scuola, Oggi).

  17. Il suo primo libro fu proprio una selezionata raccolta di alcune di queste sue storie giovanili, Il Gioco Segreto, pubblicato nel 1941 che fu seguito, nel 1942, da un libro per ragazzi, intitolato Le Bellissime Avventure di Caterì dalla Trecciolina (ma poi riscritto nel 1959 con il titolo Le Straordinarie Avventure di Caterina).

  18. Nel 1936 conobbe lo scrittore Alberto Moravia che sposò nel 1941; insieme incontrarono e frequentarono i massimi scrittori e uomini di pensiero italiani del tempo, tra cui Pier Paolo Pasolini, che fu un caro amico per entrambi.

  19. Verso la fine della seconda guerra mondiale, per sfuggire alle rappresaglie dei nazisti, Morante e Moravia lasciarono Roma ormai occupata e si rifugiarono a Fondi, un paesino in provincia di Latina a pochi chilometri dal mare. Tale parte dell’ Italia meridionale appare di frequente nelle opere narrative successive dei due scrittori; Elsa Morante ne parla soprattutto nel romanzo La Storia.

  20. Durante questo periodo iniziò a tradurre il diario di Katherine Mansfield; le sue opere successive mostrano alcune influenze della Mansfield. Dopo la fine della guerra, Morante e Moravia incontrarono il traduttore americano William Weaver, che li aiutò a raggiungere il pubblico americano.

  21. Il primo romanzo che Elsa Morante pubblicò fu “Menzogna e sortilegio”, uscito in Italia nel 1948 che vinse il Premio Viareggio. Il romanzo fu poi pubblicato negli Stati Uniti con il titolo House of Liars nell’anno 1951. Il successivo, “L’isola di Arturo”, uscì in Italia nel 1957 riscuotendo grande successo di pubblico e di critica (Premio Strega). Ne fu tratto anche un film omonimo, diretto da Damiano Damiani.

  22. Durante gli anni sessanta la scrittrice rifletté a lungo sulla sua narrativa, distruggendo molto di ciò che aveva scritto nel frattempo, ad eccezione di poche cose, tra cui una poesia, L’Avventura.

  23. Nel 1963 pubblicò una seconda raccolta dei suoi racconti: “Lo scialle andaluso”. L’opera successiva, “Il mondo salvato dai ragazzini” che è un misto di poesia, canzoni e una commedia, apparve nel 1968.

  24. Morante e Moravia si separarono nel 1961. Elsa continuò a scrivere, sebbene sporadicamente, lavorando in quegli anni ad un romanzo che non vide mai la luce: “Senza i conforti della religione”.

  25. “La Storia”, una storia ambientata a Roma durante la seconda guerra mondiale, uscì nel 1974 ed ebbe fama internazionale, ma ricevette anche attacchi spietati da parte dei critici.
    Luigi Comencini ne trasse uno sceneggiato TV interpretato da Claudia Cardinale.
    Editor de “La storia”, presso la casa editrice Einaudi, fu Elena De Angeli.

  26. L’ultimo romanzo di Elsa Morante fu “Aracoeli”, pubblicato nel 1982. Ammalatasi in seguito ad una frattura al femore, tentò il suicidio nel 1983. Nel 1984 ricevette il Prix Médicis per Aracoeli. Morì nel 1985 a seguito di un infarto dopo una seconda operazione chirurgica.

  27. Grandissima voce del nostro Novecento.
    Con lei la parola si fa scavo nel dolore e nel senso dell’esistenza, memoria e sortilegio…
    LA STORIA per me è una pietra miliare. Ma anche IL MONDO SALVATO DAI RAGAZZINI: ci pensate se tutto l’orrore del secolo scorso fosse solo un brutto incubo?
    Strano e bello che la ricordiamo adesso, mentre siamo ancora sconvolti e addolorati per Monicelli.
    Ci sarà un posto in cielo per chi soffre regalando arte e gioia.

  28. Ben fatto. Anche io avevo notato questa mancanza nelle pagine dei giornali. Una dimenticanza grave, direi. La Morante merita di essere ricordata e le sue opere dovrebbero essere rilette e riproposte.

  29. Un ricordo di molti anni fa mi lega principalmente all’opera di Elsa Morante; non voglio qui tentare dunque un approccio critico.
    Lessi il romanzo “La Storia” di Elsa Morante appena venne pubblicato, nei mesi che mi portavano dai diciannove ai miei vent’anni (“Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita”, questo il famoso incipit di “Aden Arabia” di Paul Nizan, parole che risuonavano allora alle orecchie di molti ventenni con feroce verità). Per me “La Storia” ha costituito una sorta di obolo da donare al traghettatore che mi conduceva oltre “la linea d’ombra”, nell’età adulta. Un piccolo rito iniziatico, quella lettura, pagine che mi avevano aiutato inoltre ad abbandonare una visione oleografica del Fascismo e della Resistenza.
    Mi accompagnava nello stesso periodo un altro libro che parlava anch’esso di Fascismo e di lotta clandestina di resistenza al regime, il romanzo d’uno scrittore esule, d’un antifascista: “Vino e pane” di Silone, un’opera oggi forse un po’ ingiustamente dimenticata.
    “La Storia” aveva fatto scaturire una vasta polemica relativa alla morte del romanzo italiano, e alla sua presunta resurrezione rappresentata proprio da questa lunghissima opera della Morante; e come abbiamo visto anche in questi ultimi mesi, a distanza di trentasei anni (“La Storia” è del 1974), qualcuno giunge di nuovo a celebrare il funerale del romanzo; e il romanzo invece, dispettoso, non ne vuole sapere di defungere (ohibò!).

  30. Grande Elsa Morante ,di lei ho letto tutto ciò che ho trovato in biblioteca perchè quando uno scrittore mi piace vado alla ricerca dei suoi scritti come un cane da tartufi e quando non trovo più niente a volte …ricomincio. Parlare di LA STORIA ,di Useppe ,del cane BELLA vuol dire farti venire un magone, ma un magone terribile.Ora leggendo che la scrittrice aveva tentato il suicidio ed essedo già triste per la vicenda di Monicelli mi è venuto quacosa nello stomaco che non va nè sù nè giù e che non voglio chiamare magone per non ripetermi . Per il momento saluto tutti. Ciao

  31. la puntata di fahrenheit sulla Morante è davvero bella. consiglio di ascoltarla.
    tra gli ospiti, c’è il critico Goffredo Fofi, amico della Morante, che prende la parola per ricordare la scrittrice e la sua attualità.
    Perchè sì, Elsa Morante è ancora attuale.

  32. La mia prima lettura di Elsa è stata “L’isola di Arturo”. Tutto d’un fiato, sbalordita dalle coste di Procida che si accendevano sui miei occhi, dall’idea di Arturo Gerace eroe indisturbato dell’isola, teso sul promontorio a scrutare l’arrivo della nave del padre.
    Rimasi incantata. Non solo per quella vocetta di bambino che fantasticava su stelle e carte geografiche, che s’immetteva tra gli scogli e le onde sgusciandone fuori con granchi ballerini tra le mani, alghe e fiori di mare.
    Ma per quel senso di solitudine, di attesa trepidante, per quell’amore covato dentro, in ogni ritorno, in ogni giorno perduto, eternato dai sogni e dalle speranze d’invincibilità che – nell’età infantile – ci fanno sentire perpetui, senza fine, senza ombra.
    In Arturo ogni momento della crescita viene trafitto dal disincanto, ed è come una parabola dell’innocenza tradita e arresa a un’età matura incipiente, cattiva, destinata a corrompere la fame di felicità.
    All’ultima pagina, quando l’isola si allontana e Arturo segna per sempre il suo destino d’adulto, il cuore trasale per una nostalgia feroce, senza rimedio, che è nostra, anche nostra, nell’avere, noi pure, lasciato da qualche parte un’isola.

  33. Come fui sul sedile accanto a Silvestro, nascosi il volto sul braccio, contro lo schienale. E dissi a Silvestro:- Senti. Non mi va di vedere Procida mentre s’allontana, e si confonde, diventa come una cosa grigia… Preferisco fingere che non sia mai esistita. Perciò, fino al momento che non se ne vede più niente, sarà meglio ch’io non guardi là. Tu avvisami, a quel momento.

    E rimasi col viso sul braccio, quasi in un malore senza nessun pensiero, finchè Silvestro mi scosse con delicatezza, e mi disse: – Arturo, su, puoi svegliarti.

    Intorno alla nostra nave, la marina era tutta uniforme, sconfinata come un oceano. L’isola non si vedeva più.
    (L’isola di Arturo)

  34. La “storia” è venuta dopo, e mi ha accompagnata per lunghi mesi, nella borsa. La aprivo davanti alla scuola di mio figlio, in attesa che suonasse la campanella, o alla posta, in banca, ovunque una fila mi predisponesse a risanarne il filo lasciato sperso, sospeso.
    L’ho letta tutta così: attesa dopo attesa, senza riuscire a darle veste continua, ininterrotta.
    Mi piaceva pensare a un appuntamento sempre aperto, a un rebus di possibilità. Fare della Storia “grande” un inciampo quotidiano, perplesso, e dare alla “piccola” la sua veste di umile e laboriosa superstite, infilata tra pacchi della spesa e commissioni, quelle stanche cose di tutti i giorni che – pure – hanno la nostra anima e la nostra impronta, che nulla sanno dei grandi eventi e che li sorpassano piano, in punta di piedi, con la forza della loro imprevista freschezza.
    La Storia fece molto discutere.
    Di essa il Ferroni disse: “la Morante intende formulare un’esplicita condanna della Storia con la S maiuscola, del suo movimento distruttivo e fatale, e rivendica il valore della storia delle vittime, di tutte le cavie che non sanno il perché della loro morte, fatta di vicende marginali, ma di una tragicità ancora più profonda e marginale. Servendosi di parole del Vangelo di Luca, oppone ai protagonisti, ai dotti e ai savi, i piccoli, l’umanità più umile e indifesa; ed inserisce questo orizzonte ideologico in una narrazione legata a schemi del romanzo popolare ottocentesco, a forme limguistiche semplici e piane, con una ricerca di identificazione positiva con i personaggi, e con forti abbandoni sentimentali e patetici”.

  35. Comunque è da rimanere molto perplessi che del 25° dalla morte si sia parlato poco e niente di Elsa Morante. Meno male che c’è il web.

  36. vedo che il link non funziona, per accedere bata ricopiare. oppure ci si arriva dal sito del comune di roma
    ciao

  37. @Caro Massi, tu ben conosci l’amore e la dedizione che nutro per questa grande Letterata. Ella possedeva il pregio di scavare con delicata profondità in ogni piega dell’animo umano e delle terrene miserie, riuscendo a coinvolgere e incantare ogni consapevole lettore, con la valenza della inimitabile scrittura. Dolce Massi, come ci avevi chiesto, ben volentieri trascrivo un articolo del sommo critico CARLO BO, pubblicato sul Settimanale “Gente”per la morte di Elsa Morante ;-
    ***** (sottotitolo) La scrittrice che si è spenta all’età di 73 anni, ha sempre rifiutato la realtà quotidiana, cercando rifugio nei sogni che immaginava nei suoi libri. La letteratura fu per lei una regola di vita. “Quando, nei primissimi anni Quaranta, apparve per la prima volta sui settimanali e sulle riviste il nome di Elsa Morante, i lettori più avvertiti e di spirito libero (penso a Landolfi) sentirono che era nata una scrittrice nuova, diciamo pure uno scrittore con il quale si sarebbe dovuto fare i conti per molto tempo. Non era una semplice apparizione e neppure una curiosità, in quelle novelle respirava una forte poesia e un sentimento di vita,al di fuori delle strade battute e delle convenienze della moda.
    Il futuro confermò le ragioni e le aspettative di quei primi giudici, e così quando la Morante passò ad impegni maggiori e si provò a rendere della vita una visione più ampia, ci si accorse che ai lampi e alle folgorazioni erano seguiti degli esperimenti e delle ricerche assai più complesse. Non che la Morante avesse cambiato registro, solo aveva dipanato quella piccola matassa di motivi che avevano colpito la critica per la sua immediatezza e la sua pulizia psicologica. Oggi, a pagina chiusa, si po’ dire che per tutta l’opera della Morante, dai primi racconti fino al recente Aracoeli , corre un filo di fedeltà a quelli che sono stati i temi della sua investigazione, centrata sull’amore dl naturale e dello spontaneo disancorato, anzi contrapposto alla corruzione dell’esistenza e alla miseria della vita. Naturalmente tale tensione la portava spesso a sciogliere la realtà nella favola ma si trattava pur sempre di restare legati alla prima pronuncia, alla prima verità della bellezza.
    ( l’articolo continua, se non mi riprende la febbre spero di riuscire a trascriverlo , mi scuso per gli eventuali errori. Tessy

  38. Che il segreto dell’arte sia qui? Ricordare come l’opera si è vista in uno stato di sogno, ridirla come si è vista, cercare soprattutto di ricordare. Ché forse tutto l’inventare è ricordare.

    (Elsa Morante – Roma, 23 gennaio 1938, da Diario 1938, a cura di Alba Andreini, Einaudi)

  39. Grande civiltà di Napoli: la città più civile del mondo. La vera regina delle città, la più signorile, la più nobile. La sola vera metropoli italiana.
    (Elsa Morante – Citato in http://www.laltrosud.it )

  40. Napoli è tante cose, e molti sono i motivi per cui la si può amare o meno, ma soprattutto Napoli è una grande capitale, ed ha una stupefacente capacità di resistere alla paccottiglia kitsch da cui è oberata, una straordinaria possibilità di essere continuamente altro rispetto agli insopportabili stereotipi che la affliggono.
    (Elsa Morante – Citato in http://www.laltrosud.it )

  41. A un certo punto Moravia cominciò a portare a casa di mio padre Elsa Morante. Non era bella, ma curiosa, intrigante. Aveva una singolare voce acuta, i denti davanti molto aperti; ricordava non saprei quale animale. Ci feci amicizia dopo che si sposarono, e vennero da noi parecchie volte. Ci vedemmo meno quando io ebbi i bambini, e poi fu la guerra a dividerci. Mi piacevano i suoi romanzi, molto più di quelli di Moravia, ma come persona apprezzavo di più lui.
    (Suso Cecchi D’Amico)

  42. Era il mio punto di riferimento, coi suoi begli occhi miopi che tradivano i sentimenti, musicai una sua poesia d’ amore, Alibi, purtroppo litigammo e lei era radicale in questi “divorzi”.
    (Hans Werner Henze)

  43. Insieme a Eduardo, progettammo all’epoca un film da La serata a Colono, il capolavoro della Morante, vertice della poesia italiana del Novecento. Sorbendo il tè nel suo attico al centro, Elsa ci sollecitava a realizzarlo, ritenendoci gli unici in grado di farlo. Testimone allora Carlo Cecchi, che fu vicino alla Morante nei giorni estremi del coma. Ricoverata in questa clinica da quattro soldi, senza più l’uso delle gambe, in miseria, dimenticata da tutti. Aveva rifiutato anche il televisore. Voleva restare lucida sino in fondo. Non so bene se e cosa Moravia abbia fatto per Elsa. L’unica cosa che ho sempre rinfacciato ad Alberto è di non aver saputo impedire quello scempio vano delle collette pubbliche e degli appelli umanitari nei giornali.
    (Carmelo Bene)

  44. Non ho letto molto della Morante, tuttavia il suo ”La Storia” mi colpi’ in maniera direi profonda, tanto da portarmi a non completarne la lettura volontariamente solo per non dover assistere alla tragica fine di Useppe: quella scrittura lucida e verace non permette – penso tuttora – di prendere le distanze dai sentimenti dell’autrice e dei suoi personaggi, uniti anzi osmotici nel rappresentare insieme il dramma umano come un dipinto caravaggesco. Non e’ possibile leggere quel romanzo senza soffrire potentemente, senza condividerlo.
    Ebbene io so che riprendero’, prima o poi, a leggere Morante perche’ quello spirito mi manca ed il suo personale ”realismo” e’ forse uno dei pochi che io ammiri (si sa che non condivido, in genere, il neorealismo italiano). Dunque tornero’ sulla Morante. Ma ”La Storia” non lo finiro’ mai.

  45. Su Moravia.
    Correvano – e corrono – insistenti voci sulla sua non propriamente esemplare generosita’. Perdonatemi l’eufemismo.

  46. E alla cara Simona, per le sue letture (collegate alla vita) e le impressioni sui libri di Elsa Morante.

    Grazie Socia, aspettiamo le tue considerazioni su “Lo scialle andaluso”. :-))

  47. @ M.Teresa Santalucia Scibona
    Mia carissima Tessy,
    grazie di cuore per il tuo prezioso contributo… che condividi con noi nonostante le tue condizioni di salute non ottimali.
    Ti faccio tanti auguri di pronta guarigione da parte di tutta Letteratitudine.

    P.s. ho provato a scriverti, ma la mail torna indietro (probabilmente avrai la casella di posta piena)

  48. 1. Che rapporti avete con le opere di Elsa Morante?

    2. Qual è quella che avete amato di più?

    3. E l’opera della Morante che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

    4. Tra le varie “citazione” della Morante di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

    5. A venticinque anni dalla morte, qual è l’eredità che Elsa Morante ha lasciato nella letteratura italiana?

  49. Sono francese, ho studiato l’italiano, e per me Elsa Morante è la più grande autrice italiana. Ho scritto una tesina sul personaggio della madre nella sua opera romanzesca. Era per me un lavoro di ricerca appassionante. La Morante rimane per me un personaggio affascinante.

  50. Come è stato già detto, “L’isola di Arturo” è uno dei più celebri romanzi di Elsa Morante (vincitrice con tale libro del prestigioso Premio Strega nel 1957).

  51. CENNI SULLA TRAMA
    1939. Arturo Gerace è nato sull’isola di Procida e vive lì tutta l’infanzia e l’adolescenza. L’isola racchiude tutto il suo mondo, e tutti gli altri posti esistono per lui solo nella dimensione della leggenda. Passa il suo tempo a leggere storie sugli “eccellenti condottieri”, a studiare l’atlante per progettare i suoi viaggi futuri e a fare fantasie sulla figura del padre che crede il più grande eroe della storia. Tutto ciò che è legato al padre Wilhelm per lui è sacro. Anche gli amici del padre sono per lui delle figure mitiche: il solo fatto di essere stati degni di amicizia li rende ai suoi occhi delle persone straordinarie.

    Arturo è orfano della madre e non ha mai conosciuto una donna: nei momenti di assenza del padre vive esclusivamente in compagnia della sua cagna Immacolatella a cui è molto legato. Quando il padre porta a casa Nunziata, una nuova sposa, Arturo ne è inconsapevolmente attratto e prova sentimenti contrastanti che non riesce a spiegarsi; non riesce nemmeno a chiamarla per nome reputandola, almeno all’inizio, un essere brutto e inferiore e non tollerando che ella possa sostituirsi alla madre defunta. Nelle lunghe assenze del padre sono loro soli a vivere nella grande casa. Nunziata cerca di instaurare un rapporto con Arturo, ma lui, geloso delle attenzioni che Wilhelm le riserva nei primi mesi di matrimonio, oppone un muro impenetrabile.

    Tutto cambia quando a loro si aggiunge il piccolo Carmine Gerace, il figlio di Nunziatella e del padre. Durante la notte del travaglio, Arturo sente Nunziata urlare e disperarsi, ha il terrore che, come sua madre, anche la matrigna possa morire di parto. Solo allora incomincia a capire cosa prova veramente per lei.

    Dopo la nascita, Nunziatella si dedica completamente a Carmine e Arturo ne diventa terribilmente geloso. Così, per attirare l’attenzione di Nunziatella, decide di tentare il suicidio ingurgitando delle pastiglie di sonnifero lasciate incustodite dal padre.


    Non vi dico altro. Per saperne di più, vi invito a leggere il libro.

  52. INCIPIT de “L’isola di Arturo” (di Elsa Morante)

    Uno dei miei primi vanti era stato il mio nome. Avevo presto imparato (fu lui, mi sembra, il primo ad informarmene), che Arturo è una stella: la luce più rapida e radiosa della figura di Boote, nel cielo boreale! E che inoltre questo nome fu portato da un re dell’antichità, comandante a una schiera di fedeli: i quali erano tutti eroi, come il loro re stesso, e dal loro re trattati alla pari, come fratelli.

  53. Una speranza, a volte, indebolisce le coscienze, come un vizio.

  54. Vivere senza nessun mestiere è la miglior cosa: magari accontentarsi di mangiare pane solo, purché non sia guadagnato.

  55. Il lavoro non è per gli uomini, è per i ciucciarielli. Anche una fatica, magari, può dar gusto qualche volta, purché non sia un lavoro.

  56. E così in eterno ogni perla del mare ricopia la prima perla, e ogni rosa ricopia la prima rosa.

  57. Ah, è un inferno essere amati da chi non ama né la felicità, né la vita, né se stesso, ma soltanto te.

  58. Dalle altre femmine, uno può salvarsi, può scoraggiare il loro amore; ma dalla madre chi ti salva?

  59. L’amore vero è così: non ha nessuno scopo e nessuna ragione, e non si sottomette a nessun potere fuorché alla grazia umana.

  60. A uno non basta la contentezza di essere un valoroso, se tutti quanti gli altri non sono uguali a lui, e non si può fare amicizia. Il giorno che ogni uomo avrà il cuore valoroso e pieno d’onore, come un vero re, tutte le antipatie saranno buttate a mare. E la gente non saprà più che farsene, allora, dei re. Perché ogni uomo, sarà re di se stesso!!

  61. Anche una fatica, magari, può dar gusto qualche volta, purché non sia un lavoro. Una fatica oziosa può riuscire utile e simpatica, ma il lavoro, invece, è una cosa inutile, e mortifica la fantasia.

  62. È meglio non viziare troppo il prossimo e mandarlo ogni tanto all’inferno, altrimenti, sarebbe la fine! la nostra vita andrebbe avanti pesantemente, come un barcone carico di zavorra, e ci porterebbe a fondo a morire asfissiati…

  63. “L’isola di Arturo” ha ormai cinquantatré anni e nemmeno una ruga: il tempo, quello che invecchia i libri alla moda, sembra non aver sfiorato questo romanzo nutrito di fantasie, sogni e misteri tali da far pensare a un racconto avventuroso d’altra epoca.
    (Antonio Debenedetti)

  64. La sola ragione che ho avuta (di cui fossi consapevole) nel mettermi a raccontare la vita di Arturo, è stata (non rida) il mio antico e inguaribile desiderio di essere un ragazzo.
    (Elsa Morante, citato in Corriere della sera, 7 febbraio 2010)

  65. Caro socio,
    ieri sera non c’è stato verso di connettermi…
    Ma questa sera voglio riproporre la lettura de “Lo scialle andaluso”.
    Lo scialle andaluso è il racconto più lungo della raccolta
    dal titolo omonimo. Il tema è costituito dal rapporto madrefiglio
    che richiama vagamente il romanzo Agostino di Alberto
    Moravia. Tuttavia, se i sentimenti di Agostino sono palesemente
    erotizzati (l’identificazione della madre con la
    prostituta), quelli di Andrea sono privi di erotizzazione anche
    se altrettanto possessivi. Si potrebbe invece scorgere una
    certa affinità con Arturo: la mitizzazione della madre, la
    terribile delusione che genera il passaggio dall’infanzia all’
    adolescenza. Diversamente da Arturo però, l’adolescente Andrea
    non fugge di casa ma accetta con la madre il mondo.
    La storia è semplice:una giovane siciliana, Giuditta, vedova e madre di due fanciulli, uno dei quali è Andrea, è ballerina del Teatro dell’
    Opera di Roma. Geloso dell’amore materno per il teatro, Andrea
    si fa seminarista. Durante una passeggiata con i suoi
    compagni seminaristi Andrea vede su un manifesto pubblicizzante
    uno spettacolo di varietà la foto della madre. Spinto
    da un bollente desiderio di assistere ad una trionfale esibizione
    della genitrice, abbandona il seminario e va al teatro.
    Giuditta, ora attricetta matura e non più attraente, è fischiata
    dagli spettatori. Ella decide di abbandonare il teatro per dedicarsi
    esclusivamente ai figli. Euforico Andrea passerà tutta
    la notte avvolto nello scialle andaluso che la madre usava in
    teatro.
    Andrea, purtroppo, non tarda a comprendere che la rinuncia
    della madre al teatro non è stata per l’amore dei figli
    e sì perché nessuno le avrebbe offerto una scrittura. Cadono
    all’improvviso tutte le illusioni del ragazzo: “Andrea cominciò
    a capire che il suo patto con Giuditta, e tutta la sua vita
    precedente, gli avevano nascosto un inganno
    Per questi motivi, egli ebbe pietà di lei, e le perdonò.
    Ma il perdono che nasce dalla compassione è un parente povero
    del perdono che nasce dall’amore”.
    “Egli vorrebbe immaginare il futuro se stesso, e si compiace
    di prestare a questo Ignoto aspetti vittoriosi, abbaglianti,
    trionfi e disinvolute! Ma, per quanto la scacci, ritrova sempre
    là, come una statua, un’immagine, sempre la stessa, importuna:
    un triste, protervo Eroe
    avvolto in uno scialle andaluso”.

  66. Lo scialle andaluso è il simbolo struggente di una crescita incompiuta, del voler essere altro, della necessità di tornare al grembo.
    E’ un dolore ricorrente nella Morante. Tutta la sua scrittura è dominata da un viluppo antico e indistricabile, quello con la madre.
    Ve ne è segno in Arturo, ma anche nel protagonosta di Aracoeli che pensando alla propria nascita e al momento del distacco dal ventre,dice:
    “Io so che il mio è stato un vero pianto di lutto disperato:io non volevo separarmi da lei. Devo averlo già saputo che a quella nostra prima separazione sanguinosa ne seguirebbe un’altra, e un’altra fino all’ultima, la più sanguinosa. Vivere significa:l’esperienza della separazione”

  67. Ecco: questa nostalgia estrema di ciò che viveva unito fino allo spasimo. Una sete inspiegabile di unità, sempre rinnegata dalla vita.
    Questa è la poetica della Morante. Ed è una poetica che la rende sensibilissima, proprio in virtù di quella originaria cesoia dal corpo della madre, con ogni genere di scissione, con ogni mancanza d’amore.
    Elsa è una grande cantrice dell’amore che non c’è perchè viene negato, perchè viene travisato o non restituito. Canta con la voce annodata di chi è sempre dalla parte di chi lo perde, questo amore, di chi lo insegue, o di chi lo trova troppo tardi.
    Non la sentiremo mai distante, mai fredda, mai arroccata su una vetta da cui guarda. Lei è nel taglio netto, nella ferita. Impossibile che non sanguini, impossibile che non pianga.
    Piange anzi la separazione di tutto, l’universale lutto del mondo che non si abbandona alla sua vocazione. Amare e – amando – ricucire quell’originario abandono.

  68. Un ringraziamento speciale a Paolo Di Paolo, che mi ha inviato un bell’articolo dedicato alla Morante.
    Lo trovate sul post (che ho aggiornato appositamente), in basso…

    Grazie, Paolo.

  69. Infine…La soluzione alla separazione è solo una. “Rientrare nella madre. Rannicchiarmi dentro di lei, nell’unica mia tana, persa ormai chissà dove. In quale strapiombo”.
    Una reimmersione. Un’apnea. Ma con una poesia che nessun altro aveva mai cantato.
    …Una buona e commossa notte (anche a te, socio)

  70. La Morante e’ una delle mie autrici preferite, dunque sono molto grata di questo spazio.
    Molto interessanti i contributi pervenuti. Non saprei che altro aggiungere

  71. Di Elsa Morante mi sono rimaste impresse nella memoria soprattutto l’acutezza delle sue analisi psicologiche e la tensione lirica che pregna il suo linguaggio estraendolo dai modelli ottocenteschi – ormai superati – per approdare a nuove sperimentazioni, tutte sue, fuori dagli schemi affermati del neorealismo. Dico questo pensando a “Menzogna e sortilegio” e anche a “L’isola di Arturo”, dove – usando l’io narrante – la Morante si cala appieno nei panni del protagonista Arturo Gerace per descrivere – credo – il proprio Io: solitario, inquieto, passionale, ovvero istintivo, comunque difficile se non “selvatico”, oltre che assetato di conoscenza ed esperienze (Arturo è un gran divoratore di libri). Riuscitissime anche le “immagini”, ossia la descrizione di paesaggi, prospettive e ambienti dell’isola di Procida.
    Due ottimi libri, insomma, letti con piacere.
    Ma penso che “La Storia” sia l’opera che ha reso celebre il nome, la scrittura semplice e incisiva nello stesso tempo con i suoi risvolti tratti dalla parlata del volgo, e quel pessimismo (definito radicale) che infrange le speranze di un riscatto dell’umanità povera, sopraffatta dall’arroganza e dalle angherie dei potenti e delle loro guerre intraprese per angariare ulteriormente l’umanità povera, impedendole di ritrovare l’istinto ribelle che annida in ciascun essere.
    Un lungo e “provocatorio” romanzo che conduce la Morante nel terreno del neorealismo marcato per affrontare credibilmente le violenze, le asprezze, le ingiustizie, gli orrori della vita e della storia, documentata peraltro con puntiglio dal 1900 sino agli anni Sessanta.
    Cordialmente.

  72. Non avevo mai letto la Morante, ma mi avete fatto venir voglia. Ho acquistato La storia e L’isola di Arturo e spero di leggerli entro le vacanze di Natale

  73. « Uno scandalo che dura da diecimila anni. »

    (La Storia, sottotitolo di copertina della prima edizione)

  74. La Storia è il titolo di uno dei romanzi fra i più conosciuti ma anche fra i più discussi della scrittrice Elsa Morante. L’autrice impiegò tre anni per comporlo e volle che fosse dato alle stampe in edizione tascabile in brossura. È stato pubblicato nel giugno del 1974 nella collana Gli Struzzi dalla casa editrice Einaudi.

  75. Ambientato nella Roma della seconda guerra mondiale e dell’immediato dopoguerra, come romanzo corale è pretesto per un affresco sugli eventi bellici visti in soggettiva con gli occhi dei protagonisti e della popolazione ferita alle prese con problemi vecchi e nuovi dovuti ai tragici avvenimenti di quegli anni.

    I quartieri romani martoriati dai bombardamenti e le borgate di periferia affollate da nuovi e vecchi poveri (San Lorenzo, Testaccio, Pietralata, il ghetto ebraico di Roma) e le alture dei vicini Castelli Romani – in cui si muovono le formazioni partigiane di opposizione al nazifascismo e alcuni dei protagonisti della vicenda che scandisce la narrazione come un naturale fil rouge – vengono descritti con crudo realismo ma anche con una marcata visionarietà poetica.

  76. Dal romanzo è stato tratto nel 1986 il film omonimo – La Storia – diretto da Luigi Comencini ed interpretato da Claudia Cardinale nel ruolo di Ida. Del film sono state distribuite due versioni: una per la televisione della durata di 240 minuti circa ed uno per il cinema, lungo circa 135 minuti.

  77. Un giorno di gennaio dell’anno 1941 Gunther, giovanissimo militare del Reich ubriaco, vaga per Roma alla ricerca di un bordello. Durante la sua (incompiuta) ricerca, incontra una donna, la maestra trentasettenne Ida Ramundo vedova Mancuso (ebrea da parte di madre, figlia di Giuseppe Ramundo e Eleonora Almagià, e madre di un figlio quindicenne di nome Antonio Mancuso, soprannominato Nino).

    Per sfamare la sua sete di sesso, il soldato non trova miglior soluzione che violentare la donna. Da questa violenza nascerà un figlio, Giuseppe, poi soprannominato da suo fratello “Useppe” e così chiamato per la maggior parte del romanzo. Di Gunther non avrà più notizia, e infatti morirà in Africa.

  78. Ida e i suoi figli vivono in una casa del Testaccio. Nino è il classico “burino” di città: fervente fascista (ma solo per braveria: in realtà non ha nessuna idea di cosa sia il Fascismo), linguaggio scurrile, comportamento spavaldo e sfrontato. Non si avvede della gravidanza di sua madre fino alla nascita del bambino, ma già dalla prima volta in cui lo vede se ne innamora, e inizia con lui uno stupendo rapporto di amore fraterno che durerà fino alla sua morte.

    Nel luglio del 1943 Nino riesce a farsi accogliere in un battaglione di Camicie Nere in partenza verso il Nord. Qualche giorno dopo un grosso bombardamento distrugge, oltre al resto, la casa di Ida a San Lorenzo, uccidendo il cane di Nino, Blitz, e lasciando Ida e Useppe senza una dimora.

  79. I due trovano alloggio in uno stanzone a Pietralata, condiviso con un anziano marmoraro comunista, Giuseppe Cucchiarelli (chiamato, per l’inflazione di persone con quello stesso nome, “Giuseppe Secondo” o, nel linguaggio infantile di Useppe, “Eppetondo”), e con una famiglia mezzo napoletana e mezzo romana, talmente numerosa da essere soprannominata la famiglia de I Mille.

    Un giorno nello stanzone di Pietralata giunge un giovane, stravolto dalla fatica, che si presenta come Carlo Vivaldi, bolognese. Scostante e scortese, non è interessato ad avere rapporti con i suoi coinquilini, e se ne sta chiuso nel suo angolo senza comunicare con nessuno.

    Poco tempo dopo, inaspettatamente, ricompare Nino, non più Camicia Nera ma partigiano comunista. Il suo soprannome da partigiano è Assodicuori, e con lui ha portato un suo compagno di guerriglia, Quattropunte. L’arrivo dei due mette Giuseppe Secondo in uno stato di eccitazione ideologica, al punto che, sebbene vecchio e malconcio, decide di unirsi alla compagnia partigiana di Nino, con il nome partigiano di Mosca.

  80. Nino, inoltre, durante la cena, riesce a far parlare Carlo, scoprendo che si tratta di un dissidente politico (anarchico) arrestato dalle SS e fuggito durante la deportazione. Qualche tempo dopo anche Carlo, avuta notizia dell’uccisione di tutta la sua famiglia (di origine borghese) da parte dei nazisti, per vendicarsi si unisce alla Libera (la banda partigiana di Nino), prendendo il nome di Piotr e rivelando la sua vera identità: il suo nome, in realtà, non era Carlo Vivaldi, bensì Davide Segre, ebreo.

    Finalmente I Mille riescono a tornare nella loro Napoli, lasciando Ida e Useppe soli nello stanzone di Pietralata. La loro solitudine dura poco: in breve nuovi sfollati, avuta notizia di quel luogo, vengono ad abitare lo stanzone.

  81. Ovviamente “La storia” continua…
    Ma per saperne di più è meglio leggere il libro.

  82. Ad Ausilio Bertoli,
    non so perche’, ma la scrittura di Morante ha qualcosa di Annarella Magnani… ogni volta che penso alla Morante mi balza in testa l’immagine della Magnani… come mai, secondo te? C’e’ qualcosa che…?

  83. Mi pare che nessuno abbia considerato più di tanto Menzogna e sortilegio, l’opera della Morante che ho amato di più. Le lascio la parola:
    “Il male velenoso della menzogna serpeggia per i rami della mia famiglia, sia paterna che materna. ESso vi apparirà sotto molti aspetti, evidenti o larvati, in diversi personaggi della presente storia, e voi non dovete addebitarlo a vizio della medesima, essendo appunto questa intesa a raccogliere le testimonianze veritiere della nostra antica follia. Tuttavia, se ricerco fra i miei ascendenti toccati da un simile contagio, mi avvedo che per il solito in loro esso prende una forma benigna. Quando non serve addirittura ai loro fini pratici, in molti casi la menzogna non è per loro che millanteria, pretesto, o dissipazione leggera. Ma anche nei casi più seri, e perfino in quelli mortali, il malato, in fondo alla propria coscienza, non cessa dallo stimar la menzogna un surrogato della realtà. Certo, egli cambierebbe volentieri la propria favola con una realtà corretta secondo i suoi voti; e il suo patto con la menzogna gli sembra un’ingiustizia e una maledizione.
    Ma farsi adoratori e monaci della menzogna! fare di questa la propria meditazione, la propria sapienza! rifiutare ogni prova, e non solo quelle doloreose, ma fin le occasioni di felicità possibili fuori dal non-vero! Ecco cosa è stata l’esistenza per me! ed ecco perchè mi vedete consunta e magra al pari dei ragazzetti mangiati dalle streghe del villaggio. Essi dalle streghe, e io dalle favole, pazze e ribalde fattucchiere.”

  84. Io posso aggiungere due parole su “Il mondo salvato dai ragazzini”.
    Si tratta della raccolta di poesie più importante (dopo, forse, “Alibi”) di Elsa Morante, contenente la sua unica commedia.
    Il volume fu pubblicato nel 1968 con il titolo “Il mondo salvato dai ragazzini e altri poemi”.

  85. Di questo volume Giulio Ferroni scrisse: « Un libro che vuole rivolgersi ai felici pochi che mantengono la coscienza e il senso della bellezza »

  86. Vorrei sottolineare quelle parole di Ferroni riferiti a quei “felici pochi che mantengono la coscienza e il senso della bellezza”.
    Non le trovate attualissime, dati i tempi?

  87. Due parole sulla struttura dell’opera
    ******
    La raccolta si divide in tre libri di lunghezza variabile, contenenti un numero disomogeneo di suddivisioni interne.
    *
    Parte prima – Addio
    *
    Parte seconda – La commedia chimica

    * I La mia bella cartolina dal paradiso
    * II La sera domenicale
    * III La serata a Colono
    * IV La smania dello scandalo
    *
    Parte terza – Canzoni popolari

    * I La canzone degli F.P. e degli I.M. in tre parti
    * II Il mondo salvato dai ragazzini

  88. ADDIO
    Poesia composta per la morte del pittore americano Bill Morrow, all’interno della quale si sente forte il contrasto tra la presenza dell’autrice, in vita, e l’assenza dell’amico morto; molta parte della poesia è spesa a elencare, in blocchi più o meno lunghi di versi, ciò che si può fare in vita, con il ritorno della formula introduttiva qua si può in apertura di ciascun blocco.

  89. LA COMMEDIA CHIMICA
    Particolare attenzione va posta sul terzo componimento della Seconda parte, cioè “La serata a Colono”, parodia dell’Edipo a Colono di Sofocle e risposta al contemporaneo film “Edipo re” dell’amico Pier Paolo Pasolini, cui l’autrice è molto vicina. “La serata a Colono” è l’unica opera teatrale di Elsa Morante.

  90. CANZONI POPOLARI
    Il terzo libro è il più celebre della raccolta, contenente delle poesie formalmente originali, tra cui numerose poesie visuali.

  91. Un’ultima cosa…
    Pier Paolo Pasolini, nel 1971, risponde a questo libro di Elsa Morante con due poesie di “Trasumanar e organizzar”, contenute nella sezione “Poesie su commissione”: i titoli sono rispettivamente” Il mondo salvato dai ragazzini” e “Il mondo salvato dai ragazzini (continuazione e fine)”.

  92. @ Sergio Sozi

    Caro Sergio,
    penso che sia Ida, la protagonista de “La Storia” di Elsa Morante, a ricondurti mentalmente all’amata, grandissima Nannarella, ovvero la Pina di “Roma, città aperta”, tanto per citare la protagonista di un film osannato sia dal pubblico sia dalla critica, interpretato appunto da Anna Magnani.
    Ma oso dire di più: se il ruolo di Ida nel film di Comencini fosse stato interpretato dalla Magnani anziché da Claudia Cardinale, credo che lo stesso film avrebbe assunto un valore, una prospettiva e una credibilità diversi, indubbiamente più consoni alla figura, allo spirito e alla vita della protagonista del romanzo. Perché il “mondo” e la personalità di Annarella nell’immaginario anche mio, oltre che altrui, rispecchia – per parecchi aspetti – il mondo, il sangue, l’anima angustiata di Ida.
    Cordialità.

  93. Mi unisco a tutti voi nel ricordo di Elsa Morante, anche se è strano ricordarne la morte quando la si sente come una persona viva, profondamente contemporanea perché interessata al sentire umano in ogni tempo. Per me è stata una scoperta sconvolgente: ho preso in mano la Storia, una vecchia edizione trovata in casa di un parente, dopo anni di resistenza a questa figura che mi pareva presuntuosa e vanesia, avendo letto solo uno dei suoi primi racconti, “Prima della classe”. Ha ragione chi dice che non si può leggere “La Storia” senza che si inneschi un legame emozionale forte, per me è stato come se dalla commedia vissuta di tutti i giorni aprissi le pagine alla vita reale. E’ stato poi il turno de “L’isola di Arturo”, con tutto lo stupore iniziale di come una donna possa mettersi così bene nei panni di un bambino, con la riscoperta dei miei stessi sentimenti dell’infanzia e dell’adolescenza (alcuni in realtà restano anche crescendo), tutto questo però non per farne un ritratto puntuale ma per un senso di utilità, di crescita umana. Capisco la difficoltà che può rendere ostili all’opera di Elsa Morante, perché è come se per proseguire nella lettura mettesse sempre di fronte alla necessità di capirsi, di scoprirsi con onestà, di togliere un velo dalle proprie ambiguità. C’è anche tanta accettazione però, grazie alla sospensione di ogni morale, che sarebbe probabilmente di intralcio nella scoperta continua del mondo, dell’uomo, della storia. Non so di che utilità può essere per altri questo contributo, ma è quello che sento e che forse da quando ho incontrato Elsa Morante sento ancor più di voler esprimere, dimenticando la paura di un’apertura che possa diventare invasione o giudizio. Mi viene da dire: “Sospendiamo la critica, l’estraneità, leggiamola immersi e fusi nella storia, rischiamo il coinvolgimento, come in amore”. Intanto fuori nevica…

  94. caro massimo,
    prima di tutto vorrei ringraziati per questa occasione,grazie d aver ricordato dell esistenza di una scrittrice molto speciale che purtroppo spesso viene trascurata.
    sono una studentessa di master in letteratura italiana a tunisi, sto preparando la tesi sulla Morante con la professoressa Rawdha Razgallah. anche la mia tesi di laurea era sulla Morante e con La Prof.ssa Razgallh.Era intitolata: il rapporto madre figlio come forma di resistenza in Aracoeli di Elsa Morante. un lavoro in cui ho sotto posto il romanzo ad una lettura femminista e per cui ho vinto il premio Silvana Olla dal Centro studi e ricerche delle donne di Cagliari il febbraio scorso.
    la tesi che sto preparando e anche essa sul rapporto madre figlio pero sull opera morantiana in genere.
    cerchero di rispondere alle domande:
    1- le opere della morante sono speciali, opere che uno deve leggere parecchie volte per poterne parlare,per poterne afferrare il messaggio.nel mio caso sono opere che non finisco mai di leggere.:-)
    2-il mio libro preferito e Aracoeli, il primo libro letto,me ne sono subito innamorata, perche e ricchissimo,pieno di immagini,suoni e di sentimenti intensi.
    3-il ladro dei lumi, e un racconto piccolo piccolo, ma racchiude tutta la Morante.
    4-citazione preferita: tutto quel che t appartiene o che da te proviene
    e ricco d una grazia favolosa.
    la Morante crede nell essere umano, nelle piccole faccende di ogni giorno, la grazia e in noi dobbiamo vederla e non cercarla altrove.
    5- la Morante e stata una scrittrice solitaria, estranea a qualsiasi tradizione letteraria e la sua scrittura tutt oggi non lascia intravedere modelli, uno scrittore puo lasciare un sua impronta non solo nei lettori ma anche nel mondo eterno della letteratura.

  95. Carissima Amina,
    grazie di cuore per il tuo intervento e per la tua testimonianza sulla letteratura di Elsa Morante (che ci offri dalla bellissima Tunisi).
    Grazie per le belle risposte e complimenti per premio “Silvana Olla”.

    Ti prego di salutarmi tantissimo la mia cara amica prof.ssa Rawdha Razgallah (a cui sarò per sempre riconoscente per avermi invitato a presentare, nella vostra bellissima Tunisi, il mio primo romanzo “Identità distorte”).

  96. ELSA MORANTE,
    GRANDE SCRITTRICE, GRANDE DONNA,GRANDE PERSONALITA’ DI QUELLE SEMPRE PIU’ RARE AI NOTRI TEMPI FATTI DI APPARENZA
    NON ABBASTANZA VALORIZZATA

  97. Preferisco fare un’analisi de L’isola di Arturo, pittosto che un commento.

    Introduzione

    Scritto nel 1952, “L’isola di Arturo” narra la difficile vita del giovane protagonista dal nome di una stella. Con quest’opera pubblicata nel 1957, la Morante si garantì il Premio Strega e confermò così le sue doti narrative.

    Biografia dell’autore

    Elsa Morante è nata a Roma nel 1913. Imparò a leggere e a scrivere da sola senza bisogno di frequentare le scuole medie ed elementari. Iniziò ben presto a comporre le sue prime poesie e fiabe; più grande s’iscrisse al liceo classico dove sostenne risultati tanto positivi da permetterle di frequentare l’università. Non ottenne però la laurea perché troppo occupata dall’attività letteraria, avendo cominciato a scrivere novelle e racconti pubblicati su riviste femminili. Nel 1941 uscì la sua prima raccolta di novelle “Il gioco segreto” e nello stesso anno si sposò con lo scrittore Alberto Moravia, con il quale, però si separò nel 1962.
    Il suo primo romanzo, “Menzogna e sortilegio”, fu pubblicato nel 1948 e ricevette il Premio Viareggio, nel 1957 la Morante ricevette il “Premio strega” grazie a “L’isola di Arturo”, successivamente scrisse anche un libro di poesie (Alibi), un libro di racconti (Lo scialle Andaluso) ed una raccolta di poesie e prose (Il mondo salvato dai ragazzini). Nel 1974 compose la sua più famosa opera: “La storia” e il suo ultimo suo romanzo, “Aracolei”, risale al 1982, dopodiché Elsa morì a Roma tre anni dopo.

    I personaggi

    I personaggi di questo libro non sono classificabili in classe precisa, in primo piano c’è la famiglia del protagonista che, nonostante le apparenze, è sufficientemente ricca per rinunciare al lavoro, invece, sullo sfondo ci sono gli abitanti dell’isola di Procida, gente semplice che svolge i mestieri tipici del luogo e del tempo.

    Arturo Gerace

    Arturo Gerace è il vivace protagonista della storia, un giovane di quattordici, che fa della sua isola un mondo incantato.
    Arturo, che è la voce narrante, si descrive da solo: un bel ragazzino che di statura superava di poco il metro, ma fiero dei suoi occhi neri e dei bei capelli mori, che tagliava solo per non sembrare una ragazza, sempre spettinati e d’estate addirittura incrostati di sale.Compiuti sedici anni il giovane Gerace diventò un uomo, alto e forte capace di attirare su di sé le attenzioni delle giovani compaesane.
    Da piccolo era cresciuto con la sua balia Silvestro, perché la madre era morta nel metterlo alla luce e il padre era sempre lontano dall’isola per compiere chi sa quali viaggi avventurosi. Così Arturo, allattato con latte di capra, dovette abituarsi presto ad essere grande ed a badare a se stesso, l’unico inseparabile amico che aveva era un cane femmina di nome Immacolatella.
    Man mano che il giovane cresceva aumentava in lui l’ammirazione per suo padre, che a causa dei lunghi e continui viaggi, era diventato irraggiungibile come un dio, almeno finché non fosse cresciuto e con questo desiderio di crescere, Arturo passava le giornate aspettando.
    L’isola rappresentava per il protagonista tante cose, in certi giorni gli pareva una prigione, nella quale era costretto ad attendere il giorno del suo sedicesimo compleanno, a volte lo rassicurava, perché finché lui fosse rimasto a Procida suo padre sarebbe sempre tornato, e altre volte si rendeva conto che quello era il suo mondo e il solo pensiero di allontanarsene gli stringeva il cuore come una morsa d’acciaio.
    Si può affermare che Arturo fosse molto ingenuo, non aveva mai ricevuto una vera istruzione e tutto ciò che sapeva sul mondo lo aveva appreso in qualche libro di avventura, il suo genere preferito. Non conosceva nulla dell’altro sesso, che considerava come un insieme di creature inferiori, brutte e goffe nelle loro forme abbondanti, ma queste idee gli erano state tramandate dal padre e quando Arturo imparò a conoscere le donne i suoi atteggiamenti nei loro confronti cambiarono, almeno in parte.

    Wilhelm Gerace

    Wilhelm è il trentacinquenne padre di Arturo, nato da una breve relazione tra Antonio Garace e una giovane ragazza tedesca.
    Da come ce lo descrive Arturo, che per lui aveva una vera e propria adorazione, è un uomo bellissimo, alto, con i capelli biondi e lucenti come l’oro, e due così azzurri, che nella loro bellezza e purezza, potevano essere eguagliati solo dal mare di Procida.
    Il giovane era approdato su quest’isola vent’anni prima, quando suo padre, in punto di morte, lo aveva chiamato al suo seguito per lasciargli l’eredità Gerace: un modesto patrimonio frutto di anni e anni trascorsi da avventuriero.
    Arrivato sull’isola, Wilhelm conobbe Romeo l’Amalfitano, detto solamente “l’Amalfitano”, instaurando con lui un rapporto d’amicizia, perché simili tra loro, avevano in comune l’odio per le donne e il disprezzo per il resto della società, e quando Romeo ormai vecchio e mal ridotto, morì, gli lasciò in eredità la casa dei Guaglioni, così Wilhelm si stabilì a Procida, non rinunciando però ai suoi viaggi.
    Egli era, infatti, incapace di trattenersi in un posto fisso troppo a lungo, e nel corso degli anni le sue abitudini non cambiarono, nemmeno con la nascita di Arturo, o il matrimonio con Nunziata o l’arrivo di Carmine- Arturo: non lo si può proprio definire uno spirito libero, ma quasi.
    Solo in seguito si scoprirà che i suoi viaggi non erano avventurosi come il figlio, per molto tempo, aveva creduto: egli al massimo arrivava ai confini della città di Napoli (però su questi argomenti, l’autore non fornisce molte spiegazioni).

    Nunziata

    Nunziata è il nome della sedicenne sposa di Wilhelm; prima di approdare a Procida viveva a Napoli in un monolocale, con la famiglia composta dalla madre Violante, tanti fratelli e sorelle più piccoli e una comare.
    Nunziata non era di certo una ragazza bellissima, perché il suo corpo era di una bambina che stava crescendo e che ancora non aveva raggiunto le forme di un’adulta, la sua statura era normale, ma le gambe sembravano troppo tozze e corte, sproporzionate, rispetto al resto.
    Però Nunziata poteva vantarsi di una chioma lussureggiante di bellissimi capelli ricci e neri come la notte, che in un brivido di pazzia, le scendevano a ciuffi sulle spalle e sul viso, coprendo delicatamente le orecchiette.
    La pelle del collo e del viso era tenue, tinta di un rosa candito, che solamente sulle gote si ravvivava di tonalità scarlatte, gli occhi neri, screziati di viola, facevano capolino sotto due folte sopracciglia more, che si congiungevano all’altezza del naso e le labbra, dal colore di una fragola, spiccavano in quell’insieme immacolato come una rosa in mazzo di gigli bianchi.
    Dal suo sguardo si capiva immediatamente che era una ragazza dolce e fragile, che non osava mai ribellarsi al volere degli altri: soprattutto col marito, che la umiliava e la scherniva, si comportava come una bestia da lavoro, sempre timorosa del padrone, ma allo stesso tempo affezionata, e sottomessa a lui.
    Arrivata a Procida Nunziata aveva come unica compagnia quella dei suoi ritratti delle Vergini e così fu per i primi tempi, ma poi abbandonò la sua timidezza e si fece amiche molte donne del paese, che la aiutarono quando rimase incinta.
    Di lei si può dire che era molto buona e devota, infatti, non osava mai infrangere uno dei dieci comandamenti, e anche quando il suo cuore, in fondo in fondo, provava dell’ amore sincero per Arturo, il suo buon senso e la sua coscienza le impedirono di manifestare i suoi sentimenti.

    Lo spazio

    Le avventure del giovane Arturo sono ambientate a Procida, un’isoletta a largo della costa napoletana, che il narratore descrive minuziosamente in ogni particolare.
    L’isola era per la maggior parte coperta dalla campagna che d’estate si ricopriva di bellissime ginestre; su per le colline verso la campagna, era attraversata di straducce chiuse fra muri, oltre i quali si stendevano come giardini imperiali, i frutteti e i vigneti. Sulla costa c’erano varie spiagge dalla sabbia fine e delicata e altre più piccole e nascoste fra le scogliere, coperte di ciottoli e conchiglie, che i gabbiani sceglievano per loro dimore.
    L’isola ovviamente era fornita di un porto, ma quello di Procida non era molto grande, perché non vi attraccano mai imbarcazioni eleganti come le navi da crociera, che invece, popolano gli altri porti dell’arcipelago, ma piccole chiatte o barconi mercantili o il traghetto per Napoli, oltre le barche da pesca degli isolani.
    Intorno al porto le case erano così fitte e ravvicinate, che le viuzze apparivano come angusti e severi corridoi, nonostante i muri fossero dipinti con i vivaci colori delle conchiglie.
    L’isola era sovrastata dall’imponente stazza del Castello Penitenziario e del suo borgo, che raccoglieva i peggiori criminali di quella zona, e perciò, molto spesso, il nome “Procida” era associato alla gran prigione.
    La Casa dei Guaglioni, con vista sul penitenziario, era la dimora del protagonista: non apparteneva al patrimonio della stirpe Gerace, ma era stata regalata a Wilhelm da un vecchio amico molto ricco di nome Romeo l’Amalfitano.
    Il castello Gerace, così scherzosamente chiamato da Arturo, era assai immenso, costruito sull’alto di un monticello, in mezzo ad un terreno incolto; la facciata principale volgeva al paese mentre a destra c’era una piccola scala che congiungeva con il piano carrozzabile, dietro, infine, si stendeva una larga spianata, giù dalla quale il terreno diventava scosceso e impervio e attraverso una lunga frana si arrivava ad una spiaggetta dalla forma triangolare dov’era attraccata la Torpediniera delle Antille, la barca di Arturo.
    I muri esterni, costruiti senza grazia e mal dipinti di rosa stinto, facevano apparire il palazzo grezzo come un casale di campagna, se non fosse stato per il maestoso portone centrale e le inferiate ricurve.
    All’interno c’erano una ventina di stanze a al pian terreno una grande cucina e un immenso salone; le pareti erano ovunque ricoperte di carta di Francia e portavano i segni di trent’anni di feste e di ozio. La camera di Arturo era piccola, con il letto accostato al muro e dei cassettoni dove egli riponeva i suoi indumenti, c’era anche una finestra con le inferiate scure che la mattina faceva entrare i primi raggi dell’alba.
    A fianco di questa stanza c’era la camera del suo balio Silvestro, uno sgabuzzino angusto con una branda in metallo e delle ceste che fungevano da armadio, dentro le quali Arturo si ricorda di essere stato nascosto da piccolo.
    La camera del padre era la più grande di tutta la casa, dentro c’erano solo un letto enorme di legno massello, un armadio e una cassettiera, il pavimento era sempre sporco di polvere e dappertutto si notavano i mozziconi delle sigarette lasciati lì da Arturo e Wilhelm.
    Tutta la casa era sporca e disordinata perché da quando Romeo l’Amalfitano era morto nessuno l’aveva più pulita, fatta eccezione per la cucina, dove il cuoco si prendeva il disturbo di riordinare un po’ ogni tanto.

    Il tempo

    La storia è ambientata in un tempo non precisato, tuttavia da alcune frasi è possibile dedurlo: “Cominciano a richiamare la gente in vista della guerra”, “Egli m’andava spiegando, che nonostante una recente intesa di pace firmata con cerimonie grandiose delle Potenze (dovevano essere stati questi, ora lo capivo, i famosi eventi internazionali cui Stella alludeva, origine dell’amnistia, e della sua libertà), la guerra mondiale, in realtà, era imminente, senza rimedio. Poteva prorompere da un mese all’altro, forse da un giorno all’altro. E anche chi era contrario, come lui, ci andava in mezzo, in quest’imbroglio demoniaco.”, “Udite simili novità, io rimasi qualche istante a riflettere…”.
    Dai riferimenti dei personaggi si può dedurre che la storia si svolge pochi anni prima l’inizio della prima guerra mondiale, e quindi vicino all’epoca in cui la Morante scrisse il libro.

    Fabula e intreccio

    I fatti sono narrati in analessi, poiché il protagonista, che si presume sia adulto, ricorda i giorni della sua infanzia fino al momento in cui abbandona la sua isola per entrare nell’esercito.
    Spesso in questa analessi, che ripercorre gli anni e i giorni in ordine cronologico, vengono inseriti altri flash-back, perciò fabula e intreccio non corrispondono; ci sono anche numerose digressioni, come le lunghe descrizioni dei personaggi o dell’ambiente circostante, e a volte delle prolessi, che perlopiù anticipano di poco gli eventi raccontati.
    La storia racconta un arco di sedici anni, ma mentre gli ultimi due sono descritti accuratamente, dei primi quattordici si nominano solo gli eventi più importanti, e così facendo il ritmo della narrazione risulta prima vivace poi lento.

    Lingua-stile-punto di vista

    Il genere scelto dall’autore è quello del romanzo, ossia un testo narrativo in prosa, di una discreta ampiezza, che tratta di vicende reali o fantastiche di uno o più personaggi.
    Le tecniche narrative usate sono la narrazione in prima persona, il discorso diretto (“Arturo, – soggiunse quindi, fieramente.- è rimasto a Procida senza di me mille volte, e non ha mai fatto storie, a vedermi partire. Ecco che cosa si guadagna, a intrigarsi con le femmine.”), le prolessi (“… io non sapevo che, davvero, doveva essere l’ultimo anno da me passato sull’isola!”), che il narratore inserisce per invogliare il lettore e tenere la sua concentrazione fissa sulla storia che è in atto. Ogni tanto nel corso della storia vengono inseriti anche delle digressioni, momenti in cui la storia si ferma e lascia spazio alle considerazioni del protagonista o alle descrizioni dei paesaggi e degli ambienti; ci sono dei brevi flash-back, per lo più ricordi lontani, come quello della cesta in cui Arturo fu nascosto da piccolo per evitare che i parenti della madre defunta rivendicassero il neonato.
    La sintassi è paratattica e le proposizioni sono in maggioranza lunghe (“Appena arrivato a casa, pareva già pentito di trovarcisi, fino alla disperazione: così che si affrettava a ripartire, sebbene poi, al momento dei saluti, si staccasse da Procida a malincuore; e magari di lì a due o tre giorni, ricomparisse fra noi un’altra volta!”).
    Il registro stilistico è medio e il lessico semplice e comune, quando c’è la narrazione in prima persona, basso e con presenza di parole dialettali quando sono i vari personaggi a parlare: “Eh guagliò, sei uno solo, e ti credevo una banda!”.
    Le figure retoriche più utilizzate sono le similitudini, ad esempio “Fra un momento, già questo colore sarà diverso, variazioni impercettibili, come una ridda di favolosi insetti girano senza posa nella luce.”, oppure “… la vita, là nel fondo, rimane come un punto acceso, moltiplicato da mille specchi.”; a volte compaiono anche delle metafore (“Perfino il triste Penitenziario, là sulla punta della collina, è un arcobaleno di mille colori mutevoli dal mattino alla sera.”) e delle enumerazioni (“Vuole il dramma e il sacrificio, quella brutta razza, vuole il tempo, il decadiemto, la strage, la speranza… vuole la morte!”).

    Riassunto

    Arturo è vissuto a Procida con la sola compagnia del cane Immacolatella, mentre suo padre, Wilhelm Gerace, era sempre lontano, in giro per il mondo impegnato in viaggi avventurosi.
    Il tempo sull’isola passava e Arturo intanto cresceva aspettando il ritorno improvviso del padre; un giorno quando Wilhelm tornò gli annunciò che sarebbe ripartito presto e altrettanto presto sarebbe tornato in compagnia della nuova moglie Nunziata. Così pochi giorni dopo ecco i due novelli sposini scendere dal piroscafo e dal quel momento la vita del ragazzo cambiò totalmente.
    Non si sa per quale strano motivo, egli aveva in odio la matrigna, e senza chiamarla mai per nome, le sue giornate con lei trascorrevano lente e strazianti: Arturo, mentre il padre non c’era, passava più ore possibili lontano dalla casa dei Guaglioni, rimuginando il suo odio per quella creatura goffa e sgraziata che aveva conquistato l’amore del suo idolo.
    Presto la matrigna rimase incinta e Arturo nel vederla in quello stato la trova bella per la prima volta; nella sera del 22 novembre, il giovane venne svegliato improvvisamente dalle urla strazianti di Nunziata, e così corse in paese per chiamare la mammana, cioè l’ostetrica. Al suo ritorno Carmine-Arturo era già nato e da quella sera Nunziata, che aveva sempre riposto le sue cure verso Arturo, si dedicò solamente a Carminiello.
    Il protagonista ingelosito decise di inscenare un finto suicidio per attirare l’attenzione su di sé e riuscito nel suo intento, si fece accudire per una settimana, al termine della quale, confessò a Nunziata i suoi sentimenti con un bacio appassionato, ma l’effetto non fu quello desiderato e la loro amicizia si ruppe per sempre.
    Per riconquistarla intraprese una relazione con una sua amica di nome Assuntina, ma ciò non bastò ed anzi, il loro rapporto si oscurò ulteriormente.
    Intanto le visite del padre si erano fatte più frequenti e lunghe, durante le quali trascorreva la maggior parte delle giornate chiuse in casa o al penitenziario per trovare l’amico Stella, questo ovviamente all’insaputa di tutti.
    Una sera tornando a casa, Arturo si trovò ad affrontare Stella, e in quell’occasione tra i due scoppiò una lite violenta che alla fine coinvolse anche Wilhelm.
    La mattina seguente il padre partì con l’amico, ignorando completamente la promessa che aveva fatto al figlio quand’era piccolo, ossia di viaggiare con lui appena avesse compiuto sedici anni. Arturo, offeso nell’orgoglio, si chiuse in camera sua e ne uscì solamente il giorno dopo per litigare con Nunziata, dopodiché scappò di casa e si rifugiò in una grotta fingendosi morto.
    Verso sera però ricevette la visita di Silvestro e assieme a lui partì per la guerra, lasciando per sempre Procida.

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