Novembre 21, 2024

260 thoughts on “ESSERE FIGLI D’ARTE: PRIGIONE O OPPORTUNITÀ? IL “TIMOR SACRO” DI STEFANO PIRANDELLO

  1. Lo spunto a proporre questo dibattito mi è stato fornito dalla pubblicazione recentissima del romanzo postumo di Stefano Pirandello (figlio, appunto, di Luigi) intitolato “Timor sacro” e di cui avremo modo di parlare in maniera approfondita.

  2. Per esempio, se Sophie Auster, figlia dello scrittore Paul, anziché fare la cantante e l’attrice avesse deciso di darsi alla letteratura, avrebbe più o meno successo di adesso?

  3. Naturalmente quelli proposti qui sopra sono solo alcuni degli innumerevoli esempi che si potrebbero fare in ogni campo artistico. E magari ogni altro possibile esempio proposto potrebbe portarci su strade e su tesi non sempre coincidenti.

  4. Come ho scritto sul post, non credo sia facile rispondere alle suddette domande…
    In line generale si potrebbe sostenere che il figlio di un gigante dell’arte difficilmente possa raggiungere i risultati del genitore. Anche se è bene non generalizzare in maniera assoluta. Per esempio, prendiamo questi due big di Hollywood: meglio Kirk Douglas o Michael Douglas?

  5. Naturalmente il tema ha origini antiche. Infatti al centro di questo post (e qui torniamo alla letteratura) pongo il rapporto tra Luigi e Stefano Pirandello (avremo modo di approfondirlo nell’ambito della discussione).

  6. L’occasione ce la offre la pubblicazione del già citato romanzo postumo di Stefano Pirandello: “Timor sacro” (Bompiani)
    Stefano, in vita, ha preferito ricorrere a uno pseudonimo (quello di Stefano Landi) per pubblicare i suoi lavori senza incorrere, appunto, nel rischio di rimanere oscurato dall’ombra paterna.

  7. “Timor sacro” può esser considerato come il romanzo della vita di Stefano Pirandello: cominciato negli anni Venti e riveduto più volte fino alla scomparsa dell’autore (avvenuta a Roma il 5 febbraio 1972), è un romanzo che vede la luce per la prima volta in questi giorni grazie all’impegno editoriale della Bompiani e alla cura dell’ordinario di Letteratura Italiana nell’Università di Catania Sarah Zappulla Muscarà (che ha già avuto il merito di dare nuovo lustro alle opere di Bonaviri, Patti e Addamo). Si tratta di una romanzo dalle evidenti caratteristiche metanarrative giacché il protagonista, lo scrittore Simone Gei (alter ego dell’autore), è alle prese con la stesura di un’opera di esaltazione del fascismo. Nella narrazione, la storia di Gei si alterna a quella dell’albanese Selikdàr Vrioni, sfuggito alle arcaiche leggi di vendetta privata della sua stirpe.

  8. Dalla scheda del libro…

    Romanzo di tutta una vita, l’inedito “Timor sacro” di Stefano Pirandello, ripercorsa, per obliqui e misteriosi rimandi autobiografici, attraverso la narrazione di “due vite a specchio”, quella dello scrittore Simone Gei, irretito nella stesura di un’opera di esaltazione del fascismo, e quella dell’albanese Selikdàr Vrioni, sfuggito alle arcaiche leggi di vendetta privata della sua stirpe. Fra fedeltà alla memoria e trasfigurazione letteraria, in un sottile, turbinoso giuoco di rinvìi, ribaltamenti, sovrapposizioni, con i componenti della tormentata famiglia Pirandello e gli amici più intimi di Luigi e di Stefano, s’accampano esponenti di primo piano della politica e della cultura. In un’alchemica combinazione di storia individuale e collettiva e di artificio narrativo, il romanzo “Timor sacro” mescida vagabondaggi affabulatori con episodi realmente accaduti, lumeggiandone aspetti controversi, il consenso dilatato, la proclamazione dell’impero, la pena di morte, la figura del Boia, le leggi razziali. Dispiegandosi su un doppio registro, interiore ed esteriore, “Timor sacro” è insieme serbatoio di verità e mascheramento della realtà. Pervaso dall’ansia di un’irraggiungibile perfezione, lo scrittore Simone-Stefano consente al lettore di sorprenderlo nell’affanno della creazione. “Timor sacro” si dipana infatti lungo il resoconto dell’arduo farsi e disfarsi del romanzo per tentativi esaltanti ed esiti deludenti…

  9. Oltre che della tematica in generale, dunque, avremo modo di discutere anche di questo libro di Stefano Pirandello.
    L’amica Laura Marullo, docente presso facoltà di lettere dell’Università di Catania, mi darà una mano a moderare e ad animare la discussione.

  10. urca, mica facile rispondere. se fossi il figlio d’arte di uno di queste leggende, mi verrebbe sempre il cruccio se la mia eventuale notorietà dipende dal cognome.

  11. però è anche vero che se il mio talento artistico fosse mediocre rimarrei del tutto sconosciuto se non avessi quel cognome famoso.
    sarebbe meglio o peggio?
    prigione o opportunità?
    non lo so. ci devo pensare…
    diavolo, di un Maugeri!

  12. L’argomento è molto interessante, così come pare interessante questo libro di Stefano Pirandello.

  13. L’essere figli di una persona nota in campo artistico, è più un peso o un privilegio (nel caso in cui il figlio volesse ripercorrere la strada del padre)?
    È più una prigione o un’opportunità?
    Qualcosa di cui approfittare o da cui rifuggire?

    Secondo me, dipende. Non è facile dare una risposta univoca. E poi dipende anche dal punto di vista del soggetto interessato.
    Magari il figlio d’arte si lamenta del peso del cognome e gli dà giustamente fastidio il fatto che ogni volta che si parla di lui si parla anche del genitore famoso.
    Invece l’artista figlio di nessuno che non riesce a farcela magari farebbe carte false per essere il figlio del grande nome.
    Questione controversa, comunque.

  14. Nel caso di Pirandello Stefano però il confronto è con un Mostro Sacro. Un Premio Nobel della Letteratura. Capisco la sua scelta di usare uno pseudonimo.

  15. Stefano Pirandello (Roma, 14 giugno 1895 – Roma, 5 febbraio 1972): commediografo italiano, conosciuto anche con lo pseudonimo di Stefano Landi.

    Era figlio del celebre Luigi Pirandello, dal quale ereditò la passione per il teatro. Si sposò nel 1922 con la musicista Maria Olinda Labroca, dalla quale ebbe tre figli: Maria Antonietta (1923), Andrea Luigi (1925) e Giorgio (1926).
    Nell’anno della morte del padre, il 1936, venne insignito del Premio dell’Accademia d’Italia per il teatro.

  16. Per il teatro pubblicò le seguenti opere:
    Bambini, 1923
    La casa a due piani, 1924
    Il falco d’argento, 1938
    L’innocenza di Coriolano, 1939
    Icaro, 1940
    Un gradino più giù, 1942
    Sacrilegio massimo, 1952
    La scuola dei padri, 1957

  17. Per la narrativa pubblicò “Il muro di casa”, 1935.
    Per la poesia, Le forme, 1942.

  18. « Un giro di pensieri chiari e bui
    che non si rompe mai.
    Non si può mai finire
    d’avere il giro delle cose in noi.
    Morire non si può.
    E nascere neppure. In verità,
    come da sempre nati,
    come per sempre vivi, siamo qua. »

    (Versi di Stefano Pirandello inseriti dal padre in Quando si è qualcuno)

  19. sarebbe interessante esaminare le problematiche dal visto di vista dei padri.
    Come deve sentirsi un padre (big in un campo dell’arte) nei confronti del figli che aspira a ricalcarne le orme?
    E come deve sentirsi questo padre nel constatare la frustrazione del figlio derivante dal peso del cognome?

  20. Carissimo Massimo, grazie per la splendida occasione che ci offri consentendoci di parlare di Stefano Pirandello, figlio amatissimo di Luigi, che la schiacciante presenza dell’opera paterna e il giudizio miope e pretestuoso dei critici del tempo contribuirono a relegare in una condizione di marginalità da cui è stato finalmente affrancato. Grazie alla pubblicazione, per i tipi di Bompiani, di “Tutto il teatro”, un elegante cofanetto che raccoglie 19 testi teatrali e un ricco corredo iconografico, Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla hanno puntato i riflettori sull’opera di uno fra gli intellettuali più significativi del Novecento. Ne è emerso uno scrittore moderno la cui opera, di rilevante interesse per temi e stile, consente di conoscere meglio anche l’universo dell’agrigentino. Un’operazione editoriale, quella della scoperta di Stefano, che è continuata con la pubblicazione, da Sciascia editore, di “Nel tempo della lontananza”, il carteggio, curato da Sarah Zappulla Muscarà, che raccoglie lo scambio epistolare intercorso fra padre e figlio dal 1919 e il 1936, e che si è ulteriormte completata con la recente uscita di “Timor sacro”, romanzo inedito di Stefano che si deve alle cure ancora una volta di Sarah Zappulla Muscarà e all’impegno editoriale della casa editrice Bompiani. Adesso, caro Massimo, è grazie anche a te che Stefano potrà essere conosciuto dai lettori del tuo blog.

  21. Caro Massimo, hai centrato pienamente il problema: il difficile rapporto fra un padre genio e un figlio che aspira al mondo dell’arte. La questione nel caso di Stefano si complica ancora di più perché si trova scisso fra due personalità determinanti nella sua vita: un padre genio e una madre folle. E al centro Stefano che, in un singolare ribaltamento di ruoli, si trova a dover assolvere al ruolo genitoriale a favore del padre e della madre che hanno diversamente bisogno di lui. Stefano infatti fu per Luigi il confidente, segretario, amministratore, ma pure il primo lettore della sua opera, il suo procuratore, poiché teneva le fila di un incessante turbinio di relazioni con critici, editori, giornalisti, produttori teatrali e cinematografici, fino a sostituirsi al padre nella stesura di alcuni importanti testi poi pubblicati a firma di Luigi. E per la madre, Maria Antonietta Portulano, continuò a rappresentare la speranza di un affetto sicura per una donna afflitta da grave patologia mentale. Questo tormentoso ambiente famigliare è ritratto in “Timor sacro”, un romanzo di grande interesse che tu, nella bellissima tua recensione, hai magistralmente lumeggiato. Si tratta di un’opera che l’autore riconosceva come il suo testamento spirituale, non soltanto perché vi lavorò per tutta la vita ma anche perché è depositaria di rivelazioni talora impietose relative alla sfera del privato e alla dimensione pubblica, investendo personalità fra le più autorevoli della politica italiana del ventennio.

  22. Come rivela “Timor sacro”, emblematico il titolo, Stefano si sentì sempre prigioniero della notorietà del padre verso il quale nutriva lo stesso ‘timor sacro’ dell’arte. Una condizione dalla quale si è liberato soltanto scrivendo questo romanzo col quale si riappropria del suo cognome e quindi della sua identità.

  23. Non conoscevo Stefano Pirandello. Non sapevo cioè che Luigi Pirandello avesse un figlio che scrivesse romanzi ed opere teatrali. Ringrazio dunque Maugeri che con questo post colma una mia lacuna e Laura Marullo per i suoi illuminanti interventi.

  24. Sulla questione in generale penso questo. Se tu sei un bravo artista e hai talento, ma tuo padre nello stesso campo artistico è un genio dalla grandezza smisurata, la tua bravura ed il tuo talento saranno spazzati via dalla fama di tale genio.
    Immagino che una cosa del genere sia accaduta a Stefano Pirandello.

  25. Il complesso rapporto che si consuma tra Luigi e Stefano è certamente fonte inesauribile di riflessione. Simili e a un tempo diversi, padre e figlio sono non di rado protagonisti di una straordinaria riconfigurazione dei propri ruoli. Chi è il padre? Chi il figlio? Come si evince anche dal carteggio Nel tempo della lontananza, sempre a cura di Sarah Zappulla Muscarà, il più delle volte Stefano assume infatti le veci paterni, con i suoi consigli, le raccomandazioni, gli ammonimenti rivolti al padre. Ma questi due letterati, l’uno e l’altro vocati all’arte in maniera del tutto autonoma ed originale, offrono altresì l’occasione per riflettere sul ruolo dell’intellettuale e sulla sua ritrovata o perduta funzione. A tal proposito si legge in Timor sacro: «Erano già i “temi forti” di Simone Gei. Lui già sentiva che costituivano ciò che egli ha da dire: la ragione per cui fa lo scrittore». Il protagonista (alias Stefano Pirandello) di questo romanzo autobiografico diviene metafora della ragione d’essere dell’atto scrittorio, della necessità di libertà, in altri termini dei presupposti stessi del mestiere di scrittore. I reiterati struggimenti, le continue negoziazioni di Simone Gei con il mondo circostante (la politica e la società) e con il proprio sé, interrogano anche la nostra coscienza.
    Un giornalista, intellettuale avvertito qual è Armando Torno, ha di recente dichiarato che «i funerali dell’intellettuale sono stati celebrati da lungo tempo, in silenzio, senza che nessuno se ne accorgesse». È davvero così? E, qualora si recuperasse qualche superstite, ci si domanda: qual è il compito, la missione, il ruolo (ammesso che ne abbia ancora uno) dello scrittore e/o intellettuale nel Terzo Millennio? Ancora: gode di un’autonomia culturale maggiore rispetto ai tempi di Luigi e di Stefano?

  26. Bella, la domanda di Maria Valeria Sanfilippo. Per me il compito primario dello scrittore e/o intellettuale è mantenere l’indipendenza della propria voce e del proprio pensiero. Il problema di oggi è che forse c’è troppo rumore di fondo per sentire le voci. Forse Armando Torno si riferiva a questo?

  27. Una domanda che forse qualcuno ha già posto. Ma come mai questo “Timor sacro” è rimasto inedito per tutti questi anni?
    Un’altra domanda. Ci sono altri romanzi inediti di questo autore?

  28. Leggerò le eventuali risposte domani. La mattina ho sempre il timor sacro di non sentire la sveglia.

  29. Mio padre – Giorgio Giordani – è stato uno scultore di grande talento.
    Morto trentacinquenne, quando io avevo solo un anno d’età, per me è diventato una figura mitica che cerco anche nelle sue opere scultoree in musei e luoghi aperti, soprattutto a Bologna sua e mia città natale.
    Se avessi ereditate le sue doti, probabilmente soffrirei del confronto.
    Chissà?
    (Il figlio di Pirandello ha invece sofferto molto, anche per la scarsa considerazione in cui era tenuto da quel genio che è stato suo padre, ma questa è storia nota)

  30. il romanzo “Timor Sacro” offre vari spunti di riflessione e grazie alla pubblicazione di quest’opera abbiamo finalmente la consacrazione di Stefano Pirandello tra i grandi della letteratura. Finalmente Staefano ha conquistato il posto che gli spettava di diritto, perchè schiacciato dalla grande ed ingombrante(diciamolo liberamente) presenza del padre Luigi. La meravigliosa trascrizione letteraria della sua vita attraverso le pagine di “Timor Sacro” prende forma e ci dà la possibilità di capire l’interiorità dell’autore e la grande difficoltà di sopravvivere intatto alla grande presenza paterna. Il lavoro della prof.ssa Sarah Zappulla Muscarà è da lodare doppiamente, perchè non solo ha permesso con i suoi studi di far conoscere agli studenti e agli amanti della letteratura la figura di Stefano Pirandello, ma ha dato la possibilità di far emergere dall’anonimato scrittori degni di lode consacrandoli per sempre all’immortalità. Consiglio di leggere vivamente “Timor Sacro”, perchè non solo sottolinea l’anima dell’autore ma descrive perfettamente la realtà del XX secolo.

  31. Tema piu’ che interessante, direi. Io credo che alla fine la differenza la faccia il talento. Se il talento c’e’ in un modo o nell’altro vieni fuori. Magari sei costretto a ricorrere ad uno pseudonimo, come Stefano Pirandello che comunque a parte questo romanzo mi pare che abbia scritto commedie e testi teatrali che hanno avuto buon successo.

  32. Penso pure che il nome famoso diventi opportunità per l’artista mediocre che raggiunge un minimo di fama solo perché ha quel nome e non per la sua arte. Viceversa il grande artista, nome o non nome, viene comunque fuori.

  33. Buon dì, Massi! E buon giorno anche ai tuoi ospiti che desidero ringraziare per i loro interventi. Grazie dunque a Filippo che nonostante non conoscesse Stefano ne ha colto l’intimo dramma: l’esigenza fortemente avvertita di scrivere e l’impossibilità di farsi strada nel mondo della letteratura a causa della presenza ingombrante del grande padre.

  34. Un ringraziamento particolare a Grazia per la sua testimonianza. Anche lei, seppure in maniera diversa, come Stefano ha conosciuto la condizione esistenziale del “figlio d’arte”. Anche lei è, come Stefano, alla ricerca di una figura paterna più o meno idealizzata. E’ il tema di “Un padre ci vuole”, commedia di Stefano che affronta il problema della necessità della figura paterna nella vita di un uomo. Stefano a tal proposito afferma che “un padre ci vuole assolutamente”, che “padre non è quello biologico ma chi fa da padre” e infine che “senza un padre non si entra nella società da uomini liberi”.

  35. Un saluto affettuoso rivolgo a Maria Valeria Sanfilippo e ad Elisa Guccione con le quali condivido la provenienza dalla “bottega” del comune Maestro, la Prof.ssa Sarah Zappulla Muscarà alla quale va la nostra profonda gratitudine per averci dato l’opportunità di conoscere la straordinaria figura di Stefano, ma pure di numerosi altri scrittori siciliani che la sua benemerita attività critica e di ricerca ha sottratto alla dimenticanza: Ercole Patti, Giuseppe Bonaviri, Enzo Marangolo, Sebastiano Addamo, solo per citare alcuni nomi. Un’operazione culturale coraggiosa e meritoria, quella della riscoperta di questi grandi scrittori, che dobbiamo, oltre alle cure della Prof.ssa Muscarà, anche alla Casa editrice Bompiani, con in testa Mario Andreose ed Elisabetta Sgarbi, che ha puntato sulla Sicilia quale proposta culturale.

  36. Rispondo alla domanda di Filippo: come mai “Timor sacro” è rimasto inedito per molto tempo?
    Stefano Pirandello lavorò a questo romanzo per tutta la vita, dagli anni venti fino alla fine dei suoi giorni, con la ferma volontà di farlo uscire postumo. E questo perché considerava l’opera il suo testamento spirituale, il romanzo conclusivo della sua esperienza artistica al quale affidare rivelazioni, confidenze, ritratti talora impietosi di figure afferenti alla famiglia ma pure al mondo della cultura e della politica. Leggendo il romanzo, infatti, è possible scoprire, dietro le sconciature fisiognomiche della trasfigurazione letteraria, intellettuali, editori, politici, ai quali Stefano non risparmia critiche più o meno mordaci. Si spiega quindi anche in tal senso la decisione di non pubblicarlo.

  37. Grazie per la risposta, gentile Laura. Sarò lieto di conoscere il romanziere Pirandello Stefano attraverso la lettura di Timor sacro.

  38. ciao, ieri ho letto il post ed oggi ho riconosciuto la copertina del libro in una libreria di Milano. l’ho comprato ed al più presto vi dirò le mie impressioni di lettura.

  39. Carissimi,
    buon giorno a tutti! Un fortissimo abbraccio alla mia cara Laura e alle sue bellissime spiegazioni su Stefano Pirandello!
    Un bacio alla carissima Sarah Zappulla Muscarà e naturalmente …ciao socio! E’ un post meraviglioso!

  40. E’ molto stimolante chiedersi chi, tra Stefano e Luigi, fosse padre e chi fosse figlio…
    Questa prospettiva consente anche, con il ribaltamento dei ruoli, di pensare a Stefano in modo del tutto originale , e di valorizzare l’unicità di ogni essere umano, la sua esperienza complessa, e commossa, del mondo.
    E così porre l’attenzione sulla strabiliante attualità di questo testo, laddove esso, con sottile provocazione, ci costringe a misurarci con il concetto di libertà…
    Libertà di espressione, e dunque libertà di essere, perchè non vi è identità senza un’autentica vocazione a rappresentare e a rappresentarsi in modo del tutto indipendente.

  41. E allora il rapporto con il padre…non è anche metafora con il dittatore che è il tempo, la storia, gli eventi?
    Non rappresenta anche l’archetipo del dolore del distacco, ma anche della necessità del legame?
    Ecco…mi pare che questo testo ripropomga, attraverso l’esame del rapporto genitoriale, tutta la gamma di impulsi che l’evoluzione di noi esseri umani comporta.
    Amore, odio, vita, morte. E attrazione, repulsione, imitazione e poi un’originalità nata dalle ceneri, dai resti e dalle elargizioni del passato, che s’innestano con la loro novità e unicità dopo un passaggio molto doloroso.
    La crescita, insomma, con le sue conquiste e le sue cadute. E cioè, il campo privilegiato in cui si colloca la riflessione con la libertà dall’altro (il genitore) e poi , e conseguentemente, dal mondo.

  42. Sono fiera di far parte della “bottega” del grande gruppo di lavoro della meravigliosa Professoressa Sarah Zappulla Muscarà. Tra poco su http://www.siciliatoday.net il giornale per cui scrivo sarà pubblicato un pezzo relativo a “Timor Sacro” con un bell’intervento della professoressa. è giusto che lavori importanti e di grande qualità letteraria e scientifica, come questo, siano pubblicizzati e resi noti a 360°. è doveroso che La Cultura, il sapere, la conoscenza siano accessibili a tutti e vengano pubblicizzati con ogni mezzo, soprattutto, in un mondo in cui la parola cultura e sapere non esistono quasi più. è fondamentale riavvicinare i giovani al teatro, all’arte, alla letteratura ed ogni piccolo passo è una grande conquista per la rinascita di una società migliore, perchè ricordiamoci che il sapere, la cultura rendono liberi.

  43. Provo a calarmi nella parte. Mio padre e’ un grande scrittore. Uno dei piu’ grandi al mondo. E’ conosciuto, letto e stimato ovunque. Lo hanno pure insignito del premio nobel per la letteratura. A me piace scrivere. Che faccio? Se pubblico ed ho successo diranno che e’ tutto merito del cognome. Se pubblico e non ho successo diranno che dovrei vergognarmi a portare quel cognome. Ah, no, amici belli. Io scrivo perché voglio scrivere. E se comunque vada deve essere una frustrazione tanto vale usare uno pseudonimo.

  44. Si’, il ragionamento fila. Probabilmente e’ quello che deve aver fatto Stefano Pirandello. Diciamo che personalmente non lo invidio. E leggero’ il suo romanzo senza pensare al padre ed al cognome.

  45. Carissima Simona,
    è un piacere leggerti. Sono lieta che tu abbia ripreso gli interrogativi del mio intervento: Chi è il padre? Chi il figlio?
    Sarei altresì lieta di sentire il tuo parere di magistrato-scrittrice sul ruolo dell’intellettuale oggi e sul tuo ideale di scrittore. Come pure, sempre sulla questione, mi piacerebbe leggere i giudizi di Massimo, Laura, Elisa e di tutti gli altri amici che stanno intervenendo.
    Quanto al carteggio “Nel tempo della lontananza” lascio la parola alla nostra moderatrice, la collega e amica Laura Marullo, che molto si sta prodigando per questo forum e che saluto caramente. Mi riservo di intervenire dopo.

  46. Simo, Massi, “fratelli d’arte e di spirito”, che bello incontrarci insieme in questo spazio! Un abbraccio fortissimo ad entrambi e in particolare a Simo che saluto per la prima volta. Al padrone di casa, invece, ancora un grazie di cuore! E’ meraviglioso leggere i commenti su Stefano da parte di chi non lo conosce ancora ma manifesta il piacere di approcciarsi allo scrittore senza il pregiudizio legato alla figura paterna. Caro Massi, grazie a te e questo post che hai voluto dedicargli Stefano potrà ulteriormente liberarsi dal “Timor sacro” che gli suscitava il padre!!

  47. Grazie soprattutto a Luca Monfrate che vorrà leggere Stefano senza guardare al fantasma del padre. Un abbraccio ad Elisa e Maria Valeria che ci consentiranno, con i successivi interventi, di scoprire alcune tematiche importanti di “Timor sacro”.

  48. Cara Simo, vorrei riprendere testualmente il tuo lucido, poetico, malioso, bellissimo intervento per porre l’accento sull’esperienza di Stefano, sulla “sua esperienza complessa, e commossa, del mondo. E così porre l’attenzione sulla strabiliante attualità di questo testo, laddove esso, con sottile provocazione, ci costringe a misurarci con il concetto di libertà…
    Libertà di espressione, e dunque libertà di essere, perchè non vi è identità senza un’autentica vocazione a rappresentare e a rappresentarsi in modo del tutto indipendente”. E’ proprio vero quello che tu scrivi, cara Simo. L’esperienza dolorosa di Stefano Pirandello è quella di un uomo “nato a donare”, totalmente consacrato al padre al quale rimase per sempre legato da un “affetto più libero e più schiavo del comune affetto dei figli per il padre”, secondo la sua stessa definizione. E pertanto la”schiavitù” affettiva non gli consentì di conseguire quella libertà, personale e intellettuale, tanto agognata. Ed è proprio il”Timor sacro” che gli suscitava il padre a non permettergli di essere uomo libero. Libero di scrivere per sé (mentre invece non lesinò mai la sua collaborazione al padre che talvolta delegava a Stefano la stesura di opere poi pubblicate a sua firma), libero di dare voce a quell’esigenza di affermare la propria identità sulla pagina scritta.

  49. Cara Simo, ti ringrazio inoltre per la tua domanda relativa allo scambio epistolare intercorso fra Luigi e Stefano pubblicato da Sarah Zappulla Muscarà nel carteggio “Nel tempo della lontanzna”. Impareggiabile veicolo per addentrarsi nelle pieghe più riposte del sodalizio umano e letterario di Luigi e Stefano Pirandello, il carteggio Nel tempo della lontananza, quasi un romanzo epistolare per lo stile letterario della narrazione, è testimonianza della loro vita e della loro opera, dove realtà e rielaborazione artistica spesso si intersecano, e insieme documento di un’intera epoca. Un «amoroso duello epistolare», secondo la felice definizione di Sarah Zappulla Muscarà, che si dipana dal 15 aprile 1919 al 30 settembre 1936, documentando i drammi di quella «sciaguratissima casa distrutta», i difficili esordi di Stefano e l’evoluzione dell’arte pirandelliana, che da quella tragedia familiare trae alimento, attraverso una «tremenda crisi di spirito» che accompagnerà lo scrittore nell’ultima stagione della sua vita: «Io ho ormai tanto schifo della vita, che posso gettarla da un momento all’altro. Non ho più paura che di me». La corrispondenza illumina anche l’intensa attività di Pirandello in giro per il mondo, immerso nel fervido panorama culturale internazionale, popolato da intellettuali, impresari teatrali e cinematografici, registi, produttori, traduttori, artisti, che il densissimo apparato delle note delinea con precisione identificando personalità tra le più prestigiose della cultura del Novecento, nel tentativo di promuovere il suo teatro, da cui vorrebbe trarre delle trasposizioni cinematografiche, e far conoscere il progetto delle «cinemelografie». Innumerevoli le informazioni che emergono, fra l’altro, sulla Compagnia del «Teatro d’Arte», sulla nomina ad Accademico d’Italia, e ancora sull’assegnazione del premio Nobel e su progetti non realizzati quale l’ambizioso «Teatro di Stato». Per quest’ultimo Pirandello si adopera affinché intercedano autorevoli esponenti del regime e lo stesso Mussolini al quale affida le mai sopite speranze di rinnovamento del sistema teatrale e cinematografico italiano («Possibile che Mussolini seguiti a occuparsi di tutto, tranne che del teatro e della letteratura e lasci fare ancora man bassa di tutto ai farabutti e ai ciarlatani?»; «sarebbe bene che Interlandi facesse sapere del fervore con cui il Duce accolse la mia idea di riforma del cinematografo»), auspicando il suo intervento per la nomina al premio Nobel («Interlandi ha già parlato col Duce per il premio Nobel, avendo assicurazione che avrebbe agito. Appena Mussolini torna di Romagna, gliene riparlerà, cercando di fargli concretare i passi verso il rappresentante svedese»), e ad Accademico d’Italia, per poi ribadire la sua altalenante e contraddittoria fiducia nei confronti del Duce («A New York non si parla che di me, e l’Italia ha solo due nomi: Mussolini e Pirandello»; «Ho visto una recente fotografia del Duce nell’atto di parlare a Eboli: m’è parso il Davide di Bernini»).
    Ma ciò che stupisce, scorrendo la narrazione epistolare, è il fervore intellettuale di uno scrittore che, all’apice del successo internazionale, è assillato dall’incessante necessità di far fronte alle esigenze economiche che tenta di risolvere o col «grande affare» cinematografico, oppure con la vendita del villino «mausoleo». Acuisce il suo «disamore alla vita» la perdita di quella «compagnia cara» rappresentata da Marta Abba, musa ispiratrice e oggetto di un sentimento che larvatamente si traduce in cure filiali e attenzioni professionali, intorno alla quale erano sorte non poche maldicenze di cui padre e figlio parlano con disarmante sincerità: «Parliamoci chiaro, Stenù. A che vuoi alludere? Vuoi alludere alla mia relazione con la Signorina Marta Abba? Io ti dissi una volta di che natura è questa relazione: e tu, non ostanti [sic] tutte le infamie con cui s’è voluto insudiciarla, mostrasti di comprenderla e di credere a quanto io ti dissi. Dimmi ora francamente: non lo credi più? Hai torto, Stenù». Unico «contravveleno» rispetto a tanto sconforto, che lo porta a fuggire dall’Italia in un volontario esilio in Germania e in Francia, reso necessario dal clima di crescente ostilità volutamente creato dal regime («fuori, fuori di questo porco paese che non sa dare altro che amarezze e in cui un uomo del mio stile non può non essere considerato altrimenti che un nemico»), l’affetto dei figli e di Stefano in particolare legato a Luigi da un sentimento che definisce «più libero e più schiavo del comune affetto dei figli per il padre», esortandolo a ritornare in patria, ad abbandonare quel «tedio» che lo attanaglia e a lasciare il teatro per tornare alla narrativa, a quell’opera «conclusiva» che «stia contro il Don Chisciotte e contro Guerra e pace».
    Ma l’esercizio della corrispondenza, che il carteggio, inesauribile miniera, ricostruisce con ricchezza di particolari, indagando sui moti più profondi dell’uomo oltre che dello scrittore, ha certo contribuito a lenire tanto amaro disinganno, se Pirandello, che pure dichiara «non so scrivere lettere», indica al figlio la possibilità di riscatto che la scrittura può offrire: «La verità è che ci vendichiamo, scrivendo, d’esser nati».

  50. “La vita o si vive o si scrive. Io non l’ho vissuta se non scrivendola”. Così affermava Luigi Pirandello. La stessa esigenza di vivere la vita nella parola scritta fu anche di Stefano che a “Timor sacro” affida una disperata dichiarazione di esistenza proprio attraverso la scrittura. Simone Gei, protagonista dell’opera e alter ego di Stefano, deve scrivere un’opera di esaltazione del fascismo commissionatagli dal regime e, nonostante i tanti ripensamenti, i cambiamenti di stile, le varie stesure, difende strenuamente quell’opera nella quale è la sua affermazione, la sua identità. Come il suo protagonista, anche Stefano quindi ha riversato in “Timor sacro” il suo vissuto, trasfigurandolo letterariamente, ed ha così conquistato la dimensione di scrittore e uomo libero. Libero dal “Timor sacro” verso il padre e verso l’arte.

  51. Insomma, cari Simo e Massi, Stefano Pirandello va annoverato fra quei personaggi “ammaliati” dalla parola scritta che voi ben conoscete. Come quella Suor Francisca Spitalieri, originaria di Bronte, “ammaliata” dalle “parole belle che hanno il potere di salvare dalla morte” che ci hai regalato tu, cara Simo, nel tuo splendido romanzo d’esordio, “Tu non dici parole” (Giulio Perrone editore), meritatamente premiato col “Vittorini opera prima”. Oppure come Anna, che alla parola scritta affidava la sua reale identità, o Giovanni, che tentava di catturare invece l’identità di Anna “rubando” le sue parole, personaggi di “Stasera Anna dorme presto” (Cavallo di ferro edizioni) questo nuovo, straordinario romanzo che è prova magistrale di una scrittrice “maliarda”, superlativa quale tu sei. E che dire, caro Massi, di Cetti Curfino, stravagante, strampalata, protagonista di “Ratpus”, uno dei meravigliosi racconti della silloge “Viaggio all’alba del millennio” (Perdisapop editore) che è da ascrivere fra le opere più belle e più originali della letteratura contemporanea per la varietà di timbri, per la ricchezza delle voci, per le tematiche di grande attualità. Non a caso “Viaggio all’alba del millennio” è stato insignito del “Premio Addamo” 2011.

  52. E infine a proposito dell'”archetipo del dolore del distacco, ma anche della necessità del legame” che tu, Simo, hai giustamente sottolineato a proposito del complesso rapporto fra Luigi e Stefano, vorrei citare questa bellissima, struggente, emblematica frase tratta da “Timor sacro”. E’ Simone Gei che si rivolge al padre al quale così dice: “Ti amo babbo, ma debbo vivere”. Non credo servano altri commenti!

  53. Cari amici, grazie a tutti per i vostri numerosi e ottimi interventi.
    Un ringraziamento speciale all’ottima Laura Marullo che (da par suo) sta conducendo questo post in maniera magistrale fornendo importanti spunti e ulteriori informazioni su “Timor sacro”, sulla figura di Stefano Pirandello, sul rapporto con il padre Luigi e sulla famiglia Pirandello in generale.
    Ne viene fuori un “quadro” dalle molteplici sfaccettature (tutte meritevoli di essere approfondite).

  54. Un saluto e in ringraziamento a tutti gli altri intervenuti, a partire dalla brava Maria Valeria Sanfilippo (più tardi ti dirò la mia sul ruolo dell’intellettuale e dello scrittore)…

  55. Un ringraziamento speciale a Grazia Giordani (che ci ha accennato al rapporto con il papà artista: Giorgio Giordani), a Elisa Guccione, e alla mia cara socia di scrittura Simona Lo Iacono (grazie, Simo!) per i loro splendidi interventi.

  56. E grazie di cuore anche a Germana e Luca Monfrate.
    Qualcuno di coi è intervenuto su questo blog per la prima volta: benvenuti a Letteratitudine!

    (Torno dopo… buona serata a tutti).

  57. Veramente meritorio avviare un dibattito su un romanzo inedito intrigante, di singolare attualità, quale “Timor sacro” di Stefano Pirandello che va inquadrato nell’ambito di un’attività di ricerca e di studi sulla figura e l’opera del figlio primogenito di Luigi, lunga un ventennio, della curatrice, ordinaria di Letteratura Italiana all’Università degli Studi di Catania. Nel 2004, infatti, Sarah Zappulla Muscarà e Enzo Zappulla hanno pubblicato, sempre per i tipi Bompiani, “Tutto il teatro” di Stefano Pirandello, tre volumi in cofanetto, riccamente illustrati, con cui mettevano a fuoco la multiforme attività drammaturgica di Stefano, fino ad allora del tutto ignorata. Così finalmente il “figlio prigioniero” riemergeva dalle tenebre dell’oblio con tutta la sua forza originale e innovativa. Tuttavia è con l’epistolario, anch’esso inedito, “Nel tempo della lontananza, 1919-1936” (edito da Sciascia) che si rivelano le labirintiche vicende familiari e artistiche in tutto il loro vortice di ruoli scambiati padre-figlio/figlio-padre, preziose per comprendere anche uno scrittore complesso come Luigi Pirandello, grazie al denso corredo di note (oltre settecento) di Sarah Zappulla Muscarà.

  58. La lettura di un romanzo affascinante quale “Timor sacro” può essere affrontata su due piani diversi: come un diario familiare, denso di note autobiografiche, più o meno celate, di quattro generazioni dei Pirandello; viceversa, un viaggio nel tempo, dall’Italia fascista (non mancano i riferimenti a personaggi storici, offuscati talora dietro pseudonimi e con nomi fittizi) agli anni Settanta, dalla dolorosa Resistenza dopo la questione ancora dibattuta del consenso al regime agli incerti passi della Prima Repubblica, dalla guerra “fredda” al lungo e cruento conflitto del Vietnam, alle nuove frontiere mediche con la microminiaturizzazione della scienza, alla pena di morte, al tema tragico dell’emigrazione e dello sradicamento dai luoghi d’origini, e tanto altro ancora. È merito di “Stenù”, com’era affettuosamente chiamato dal padre, riuscire a tradurre questa articolata struttura narrativa, in sé stratificata, attraverso un impianto che sovrappone storia e passioni di Selikdàr su più piani e stili e vede lo stesso Autore incarnarsi in uno scrittore come Simone Gei, responsabile della concatenazione logica del romanzo alle prese con una “case history”, ovvero il racconto di una esperienza specifica ‘realmente accaduta’ che esemplifica l’“esperienza totale del mondo: di quel ‘suo’ proprio mondo”, come afferma Stefano a p. 184 del romanzo.

  59. Cara Lauretta,
    grazie per aver citato Suor Francisca Spitalieri e l’ultima nata, la mia Anna!
    E sì….diceva Pasolini “Chi non parla, è dimenticato”.
    A tal punto la vita passa attraverso la parola, e con essa la possibilità di ribadirsi come esistenti, di vedersi perpetuati, di scagliare dardi contro la morte.
    La scrittura non è mero atto, ma modo di essere, identità rivelata.
    Per questo, credo, è una tiranna che non lesina ingiustizie.
    Tanto che non la si può scegliere.
    TI SCEGLIE.
    Dunque Stefano Pirandello non fece considerazioni. Non valutò se essere figlio d’arte fosse o meno un’opportunità. Semplicemente si arrese alla scrittura, si donò, si fece usare da quella sua padrona, dispotica e incantatrice.
    Disse di sì per amore. Soltanto per amore.

  60. Carissima Maria Valeria! Che bello incontrati qui, insieme a tutti voi carissimi “apprendisti” della “bottega” di Sarah Zappulla Muscarà!
    Mi chiedi quale, a mio avviso, debba essere il ruolo dell’intellettuale oggi.
    Lo dirò, ancora una volta, con Pasolini, per il quale ” Bisogna dire verità impossibili, ma verità”.
    Ecco…per me il ruolo dell’intellettuale è questo, ora e sempre. Schierarsi con la verità, cercarla, amarla.
    E poi: dirla. Scriverla.
    Quindi per me l’intellettuale ideale coincide con lo scrittore ideale.
    Cioè con colui che della parola fa una strada per arrivare al cuore delle cose, al loro segreto. Che a questa parola affida il compito di pungere, di stimolare, di fare un viaggio. Un viaggio umile, sì. Ma coraggioso.
    Un viaggio responsabile.
    L’intellettuale migliore, così come lo scrittore migliore, è quello che cerca un “senso”, e a questa ricerca la sua esistenza, la sua sete di bellezza e verità.
    E’ un viaggio che libera, che accresce e apre all’altro, che inevitabilemnte, e per sua stessa natura, si scontrerà con tutto ciò che opprime, che violenta, che insanguina.
    Il vero intellettuale, così come il vero scrittore, non può che essere un nemico di qualsiasi forma di potere.

  61. Infine, vorrei proporvi una lettura “psicoanalitica” del rapporto genitori figli, e della differenziazione degli uni dagli altri.

    Il concetto della differenziazione del sé, che per Bowen (1979) consiste nella misura in cui una persona diviene emotivamente differenziata dai genitori, più che dai fattori insiti nel bambino dipenderebbe dalla capacità della madre di permettere al figlio di crescere staccandosi da lei.

    Tale capacità, continua Bowen, dipende dalla misura in cui la madre è stata in grado di differenziarsi dai propri genitori, dalla natura della sua relazione con il marito, con i genitori e con le altre persone significative, infine dallo stress di realtà e dalla sua capacità di sopportare la tensione.

    Più basso è il livello di differenziazione, più forte è l’attaccamento emotivo non risolto ai genitori e più intensi sono i meccanismi destinati a controllare l’indifferenziazione implicati nelle nuove relazioni affettive.

    Bowen definisce massa indifferenziata dell’Io familiare, una sorta di stato fusionale gruppale, in cui non si può distinguere dove incomincia il sé dell’uno e dove finisce quello dell’altro. Per differenziarsi l’individuo dovrà contrapporsi a quelle forze emotive che tendono a mantenere uno stato eccessivo di coesione familiare (identità emotiva conglomerata), raggiungendo quella Posizione Io che gli permetterà di sentirsi una persona capace di affermare: “questo è ciò che io penso e credo”, “questo è quello che farò o non farò” senza attribuire la responsabilità della propria felicità agli altri.

  62. …Ne deriva che non leggiamo solo i figli per mezzo dei genitori, ma anche i genitori per mezzo dei figli, e che la conquista dell’identità degli uni apre o sbarra il campo alla conquista della libertà interiore degli altri.
    Genitorialità e libertà, dunque. E ancora: identità e libertà.
    Ossia, liberarsi dal timore (sacro) di essere diversi, di essere se stessi, di essere “altro”.
    *****
    ….Buona ninna a tutti!
    Ciao Lauretta! Ciao Massi!

  63. Ben lungi dal riferirmi al libro citato ma entrando nella discussione a pie’ pari, i figli d’arte, o meglio “figli di papà” sono una prassi in italia, paese notorio per intasare ogni posto con mediocri, vedi l’editoria e lo spettacolo ma pure l’avvocatura, ecc. ecc. Non chiedetemi i nomi per favore, sono troppi. Aggiungerei anche la categoria figli di imprenditori/politici/ecc. che fanno gli artisti che è poi la peggiore di tutte.

  64. I bambini, soprattutto nei primi anni di vita, assimilano tutta l’essenza dell’ambiente che li circonda. Ogni input dato viene accolto e registrato dalla giovane mente. Dunque è difficile (o forse fin troppo facile!) immaginare di quale essenza fosse intriso il contesto in cui crebbero i piccoli Pirandello, in particolare il primogenito Stefano. L’eredità intellettuale di ciascun genitore necessita di essere continuata, superata o capovolta dai figli, ma come fare se si tratta di un’eredità letteraria di altissima levatura? Nel caso di Stefano Pirandello non si tratta solo di un nome importante, di una tradizione artistica da rinnovare, ma del peso di un’impronta letteraria forte e degli effetti che l’opera di Luigi Pirandello ha avuto su un’epoca. In quanto figlio, frutto di un albero rigoglioso di arte, Stefano ha goduto del beneficio della vicinanza di un tale genitore, ma è stato anche investito dall’onda dell’intensa personalità di Luigi. La prof. ssa Zappulla Muscarà sottolinea il conflitto nella figura dello scrittore Simone Gei di “Timor Sacro”, personaggio riconducibile allo stesso autore: «Simone si scopre minacciato dalla stessa insopprimibile duplicità esistenziale, scisso com’è tra volere e dovere, tra sentimento e ragione, non resta che la fuga dalla famiglia solidale e crudele, dall’aggressione degli eventi e degli obblighi, ma pure dal romanzo, non potendo quell’insanabile conflitto formalizzarsi in un universo creativo». Questa stessa duplicità si può riscontrare in Stefano Pirandello, dalle parole dei carteggi e da quelle delle opere. Un esempio chiaro è la realtà indistinta dei ruoli di padre e di figlio, portata all’attenzione nella commedia “Un padre ci vuole”, o ancora la dedizione con cui il figlio si spende artisticamente per il lavoro del padre, spesso a discapito del proprio.

  65. Ringrazio anche Anonimo per lo sfogo sacrosanto. È vero. Viviamo in tempi difficili e in un paese difficile. Un paese che offre molto poco ai giovani (e non è un caso se poi molti dei nostri migliori giovani sono costretti a lasciarlo per cercare fortuna altrove).
    È vero, chi è figlio di professionisti avviati (o di politici) e volesse ripercorrere le orme del padre ha la strada spianata. In tal senso essere “figli di” è senz’altro un’opportunità.
    Ma se parliamo di produzione artistica in senso stretto (di Arte) forse il discorso è un po’ diverso. Se il figlio dell’artista non ha talento, potrà avere sì delle opportunità in più rispetto ad altri, ma prima o poi si fermerà. Non farà “strada”.
    La problematica che stiamo tentando di affrontare qui si pone in un’ottica ulteriore. Se il figlio dell’artista vuole fare l’artista ed ha il talento per farlo… cosa succede se il padre non è un semplice artista di talento ma un genio, un gigante?
    E qui torniamo al rapporto tra Stefano Pirandello e il padre Luigi…

  66. Purtroppo sono sopravvenuti problemi di rete e scrivo con una connessione “di fortuna”.
    Per quanto riguarda le domande di Maria Valeria sul ruolo dell’intellettuale dello scrittore, sottoscrivo una per una le parole di Simona (e non solo perché e’ la mia “socia di scrittura”).:)

  67. Per quanto concerne il ruolo dello scrittore aggiungo che – a mio avviso – chi scrive ha come compito principale quello di rimanere fedele alla propria scrittura… raccontando con “verità” ed evitando di fornire risposte. In genere in tutti i buoni libri il lettore (oltre al piacere della lettura e, dunque, dell’intrattenimento) troverà chiavi interpretative di se stesso e del mondo. Troverà stimoli a porsi domande.
    Ma non risposte.
    Quelle dovrà trovarle da se’.

  68. Chiedo a Laura se c’e’ la possibilità di farci assaggiare “timor sacro” (inserendo uno o piu’ brani tratti dal libro)… e magari di inserire qualche recensione per conoscere il punto di vista di chi il libro lo ha già letto.

  69. Caro Massimo,
    il post mi ha fatto riflettere, mediante gli interventi di chiari italianisti e di alcuni cultori di letteratura italiana, sulla figura di un artista che conoscevo poco, se non solo per nome. Come mi hanno fatto riflettere due affermazioni contenute nel post.
    Una è di Simona Lo Iacono, che sottolinea quanto il vero intellettuale, alla pari del vero scrittore, non possa che essere un nemico di qualsiasi forma di potere.
    L’altra è di Luigi Pirandello, ovvero il Padre, ed è riportata da Laura Marullo: “La verità è che ci vendichiamo, scrivendo, d’essere nati”.
    A questo punto gradirei che La stessa Laura Marullo descrivesse brevemente il pensiero e le motivazioni del figlio Stefano sia riguardo all’esistenza sia riguardo alle convinzioni ideologiche (non dico politiche). Erano forse in sintonia con l’affermazione di Simona e con quella del Padre Luigi?
    In ultimo, la mia risposta alle domande di Massimo.
    A mio dire, chi ha un familiare o un amico introdotto in un certo mondo, è agevolato rispetto agli altri, a prescindere. Non solo tra la gente e i lavori comuni, ma anche tra gli intellettuali, i manager, gli artisti… Si parte in una corsia preferenziale, in altre parole, ma poi è facile che ci si perda se si rincorrono chimere eccessive, se scarseggia il talento, se si è “costretti” a seguire le cosiddette orme paterne o familiari, e se si è sopraffatti dalla noia o dai complessi d’inferiorità. Tra cui, quello di doversi rapportare o raffrontare con gli Spiriti Eccelsi, come nel caso di Stefano Pirandello.
    Grazie, cordialmente.

  70. Caro Massimo, cari tutti,
    trovo questo post particolarmente interessante e stimolante.
    Come sempre le domande poste implicano risposte non facili e molta riflessione.
    Provo a dire la mia……

  71. L’essere figli di una persona nota in campo artistico, è più un peso o un privilegio (nel caso in cui il figlio volesse ripercorrere la strada del padre)?
    È più una prigione o un’opportunità?
    Qualcosa di cui approfittare o da cui rifuggire?

    Io credo che al centro di tutto, come è già stato fatto notare, ci sia l’entità (la grandezza) del talento.
    Mi spiego. Il figlio di un artista che desidera fare l’artista è ovvio che può beneficiare dei contatti di cui il padre dispone già. E’ stato sempre così e sempre sarà così. In Italia e nel resto del mondo.
    Ma bastano i contatti per avere successo in campo artistico?
    Non credp. Ed è a questo punto che entra in campo il talento. Se il talento non cè, o è scarso, il figlio può vivere per un po’ della luce riflessa della fama del padre (ammesso che ciò gli interessi).
    Ma è solo questione di tempo. Prima o poi quella luce si spegnerà.

  72. Diverso è il caso in cui il figlio d’arte abbia talento vero. In quel caso, dopo gli inizi magari favoriti dalla possibilità di beneficiare di corsie preferenziali, dovrà fare i conti con confronti con la figura paterna.
    E qui entra di nuovo in gioco l’entità del talento. Se il talento del padre è di media portata, il figlio avrà la possibilità di conquistarsi più facilmente una propria autonomia a livello di credibilità della propria arte. E viceversa.

  73. Come è già stato detto mi pare che il caso di Stefano Pirandello rientri nell’ultima fattispecie. La fama del padre è troppo grande, il figlio di conseguenza si rifugia dietro un nome inventato, proprio per evitare il confronto col padre.
    Da quello che ho letto mi pare di capire che Luigi non abbia fatto granché per agevolare la fiducia di Stefano (dal punto di vista artistico, intendo).
    L’impressione che ho, ma correggetemi se sbaglio, è che Stefano si ponga di fronte al padre come una specie di gregario. E che a Luigi questa cosa vada più che bene.
    E’ così?

  74. Ringrazio Massimo e tutte le persone intervenute per avermi fatto conoscere Stefano Pirandello ed il suo Timor sacro. Leggerò con piacere questo romanzo.
    Buona giornata a tutti.

  75. Un caloroso saluto a tutti voi che numerosi state arricchendo questo post. Che gioia di condivisione, caro Massi! E che varietà di osservazioni, di stimoli che suscitano il desiderio di scoprire l’autore. Grazie di cuore, davvero, per i vostri contributi.

  76. Ancora un saluto affettuoso alla mia cara Simo che ci ha offerto una interpretazione psicoanalitica di rilevante interesse per una migliore intelligenza dell’autore. Brava, Simo, come sempre riesci a stupirci.

  77. Desidero inoltre rassicurare il mio carissimo Massi che sarà ‘servito’ con ‘brani gustosissimi’ tratti da T

  78. Dicevo…. Caro Massi, sarai ‘servito’ con ‘brani gustosissimi’ tratti da Timor sacro, potrai dunque assaggiare e degustare una pietanza molto particolare che nutre non il corpo bensì la mente. Magari per cena. Anzi siete tutti invitati a questo banchetto.

  79. Last but not least, un abbraccio forte ad Andrea Tricomi, che si annovera fra i praticanti della “bottega” e che mi piace definire, con Bufalino, “ladro di luce” per la sua passione fotografica. Un caro saluto alla nostra allieva Delia Sambataro che incomincia a conoscere Timor sacro.

  80. Grazie, ancora, alle interessanti sollecitazioni di Amelia Corsi e Ausilio Bertoli cui risponderò con più calma in serata quando tornerò a dedicarmi a questo post. Per ora un arrivederci a tutti.

  81. salve a tutti. sono un appassionato della letteratura di Luigi Pirandello e per questa ragione particolarmente attratto da questo post.
    Ammetto di non aver mai avuto modo di approfondire la conoscenza artistica di Stefano e dunque ringrazio per l’occasione.

  82. Comunque, se non sbaglio Stefano Pirandello ha vinto il Premio Viareggio per un suo romanzo. Sapete se questo romanzo è attualmente disponibile o è fuori commercio? E nella seconda ipotesi, pensate che sarà ripubblicato?
    Ovviamente leggerò ‘Timor Sacro’.
    Grazie. Buona serata.

  83. Il premio Viareggio fu vinto da Stefano Pirandello con lo pseudonimo di Stefano Landi. Il volume in questione si intitola “Il muro di casa”. L’anno è il 1935.
    Non credo che sia attualmente disponibile. Ma chiedo conferma a Laura.

  84. Mio esimio dottor Maugeri
    ma che grande piacere trovare il caro Stefano Pirandello, anche detto Stenù!
    Ne lessi l’epistolario.
    Ne ricavai l’impressione di una dolcezza struggente.
    Lei lo sa. Non ho perizia con la macchina cibernetica…eppure proverò, ottuagenario come mi ritrovo, e con l’artrite a queste dita che battono poco a poco sui tasti, a riportarle passi di grande e commossa bellezza….
    Come questo:
    LUIGI: “Lavoro; ma di tanto in tanto crollo a piombo dal dramma che sto scrivendo al mio dramma vero. Fortuna che sussiste in me, viva, l’arte, e d’una vita sempre più profonda e potente, ma anche, ahimè, sempre più amara” (Roma, settembre ’19).
    STENU?: “Perché devi avere, Papà mio, questo senso atroce della tua vita e di noi che ne siamo le creature? Io penso continuamente alla morte e cerco di tenermi più che posso sereno al pensiero di doverla accogliere da un momento all’altro, ma questo è per il grande amore che ho per la vita!” (Roma, giugno ’26).

  85. Grazie Signor Emilio per la sensibilità che ha avuto citando uno dei passi fondamentali del rapporto tra padre e figlio!

  86. Completo dicendo, cari amici tutti, che passi assai illuminanti del rapporto tra i due nostri autori lo si può trovare nell’opera assai eccelsa di Andrea Camilleri.
    In essa molte spiegazioni emergono di questa relazione filiale.
    Camilleri spiega invero come le aspettative di Luigi intorno al primogenito furono una risposta ai silenzi della moglie,
    ma anche una tardiva reazione al problematico rapporto col proprio genitore.
    Infatti Luigi avvertì, rispetto al padre don Stefano, un sentimento di diversità che Andrea Camilleri interpreta come necessità di realizzarsi in “un figlio cambiato” (e lo divenne emancipandosi nella scrittura). Divenuto genitore, Luigi, come in un processo di compensazione, assecondò in ogni modo le inclinazioni artistiche dei figli e seguì un’irreprensibile condotta monogama, lasciando
    ipotizzare una reazione di contrasto verso ciò che aveva disprezzato nel proprio (che lo aveva, ad esempio, costretto a studi tecnici in spregio alla vocazione letteraria).
    Ma il divario tra le intenzioni e i risultati mostrava un’incongruenza: Luigi esercitò inconsapevolmente su Stefano un’egemonia realizzando, in altre circostanze e con altri abiti mentali, quel dominio psicologico a cui, in passato, lui stesso si era sottratto, rinnegando il rapporto col proprio padre.
    Al riguardo si domanda Camilleri:
    “questa invadente, amorosa paternità sempre presente non solo negli atti […] è una forma di violenza simile nella sostanza, anche se diversa nella forma, a quella che don Stefano era abituato a esercitare nella sua
    famiglia?”
    Con questa domanda, che aleggia su tante, nascoste, violenze delle famiglie, con tanti atti di prepotenza fatti passare per amore, con tante limitazioni fatte passare per giustizia, chiudo, amici cari.
    E invito a riflettere sul silenzio che ammanta molte rivolte, sul mistero che sono le compagini famigliari.
    Infine, sul destino deviato, sulle vocazioni sottratte, sull’esercito di sensi di colpa che si scaglia verso chi è diverso.
    Una buona serata a tutti
    il vostro
    Professor Emilio

  87. Carissimi Simona e Massimo, ci avete senza dubbio alcuno fornito un’intrigante, consentitemi – sanguigna e quanto mai verace – visione dell’intellettuale. Dalle vostre parole viene fuori la lucidità dell’intellettuale, la passione dello scrittore sinceramente vocato. Leggendo “Timor sacro” affiora proprio ciò che efficacemente avete esemplificato. Avrebbe certamente condiviso il nostro “Stefano” giacché i suoi rovelli, le sue frustrazioni più acute, i suoi dissidi tra ratio e cuore derivano proprio da una visione dell’intellettuale e dello scrittore quale voi l’avete profilata.
    La tue affermazioni sul tema, cara Simona, mi hanno riportato alla mente le affermazioni dello psicopedagogista Bruner secondo cui l’arte della narrazione è l’espressione pulsante di quella misteriosa trasformazione che dal mondo dell’ ‘indicativo’ (del presente, della quotidianità) conduce a quello del ‘congiuntivo’ (della possibilità). “Verità” allora anche in termini di possibilità. Possibilità di decodificare la realtà contingente da diverse e inaspettate prospettive. È proprio quello che, con il suo “Timor sacro”, ci invita a fare Stefano.
    Quanto alle asserzioni di Massimo, mi soggiungono alla mente i moniti del quasi Nobel Giuseppe Bonaviri, di cui la Bompiani ha peraltro di recente pubblicato il romanzo “Silvinia” e la silloge di racconti “L’infinito lunare”, entrambi a cura di Sarah Zappulla Muscarà. Una delle cifre più originali di Bonaviri è infatti la sua capacità di lasciare il lettore al libero arbitrio, elevandolo al rango di co-autore. Ne deriva un’opera in progress, perennemente in fieri. Lo stesso potrebbe dirsi per questo “Timor sacro”.

  88. Nell’opera di Stefano Pirandello troviamo indubbiamente il magistero paterno, ma non poteva essere in un altro modo. Tutti i figli di artisti, intellettuali, poeti o scrittori vivono e crescono in un ambiente diverso e speciale, si formano e imparano dai genitori, così come i figli dei medici sono familiarizzati con il vocabolario della medicina o sanno dei gruppi sanguigni fin da piccoli. Ma poi c’è l’ingegno del figlio e la propria vocazione… e Stefano Pirandello è uno di quei figli con ingegno, uno scrittore con una qualità letteraria propria. Possiamo dire che la professoressa Sarah Zappulla Muscarà ne ha fatto giustizia liberandolo dal padre, analizzando e studiando le sue opere e diffondendole non solo in Italia, ma anche in Spagna. Infatti uno studio importante per la conoscenza dell’autore nella Spagna è stato il saggio “Stefano Pirandello drammaturgo”, pubblicato nel 2004 nella Revista de la Sociedad Española de Italianistas (Rivista dell’Associazione Spagnola di Italianisti) dove Zappulla Muscarà ripercorre l’intera opera dell’autore. In questo articolo c’era già qualche informazione sul romanzo inedito Timor sacro, ma sono passati sette anni perché tutti possiamo godere della lettura di quest’opera dove troviamo nuovamente la “scrittura d’amore e di tenebra” –in parole di Zappulla Muscarà- di questo “intellettuale di razza”.
    Non vorrei finire il mio commento senza inviare i miei complimenti a Massimo Maugeri per includere questo argomento nel suo splendido blog letterario e a Laura Marullo per animare la partecipazione.
    Estela González de Sande (Università di Oviedo –Spagna-)

  89. Cara Simona, hai toccato un nervo fondamentale affermando che “non leggiamo solo i figli per mezzo dei genitori, ma anche i genitori per mezzo dei figli”. Ciò calza a pennello a “Timor sacro”, un romanzo che getta fasci di luce sulla figura e l’opera di Stefano ma, di riflesso, anche sull’intricato universo paterno. Una ragione in più per leggerlo!

  90. Hola!!! Nell’inviare i miei interventi mi sono accorta della graditissima presenza estera della giovane studiosa spagnola Estela González, tra le italianiste più agguerrite e intellettualmente palestrate. Grazie per il tuo pregnante contributo. Sono certa che domani il nostro vigile padrone di casa, il caro Massimo, e la nostra preziosa moderatrice, la cara Laura, ti saluteranno a dovere …

  91. Grazie mille, carissima Maria Valeria, ci siamo incrociati con i commenti. Complimenti anche a te per l’analisi acuta dell’opera di Stefano Pirandello.

  92. Cari Amici, compagni di questa avventura culturale, molti dei vostri interventi (in particolare quello di Simona) hanno sfiorato il tema dell’identità, peraltro strettamente legato a quell’altro dell’essere-apparire, tanto caro a Luigi ma anche a Stefano, che lo filtra attraverso la sua personalissima visione della cose.
    Gustatevi questo brano tratto da “Timor sacro”, intitolato Modi nuovi d’essere per un vestito bello, in cui s’accampa Selikdàr (alias Stefano) alle prese con la difficile gestione della sua immagine.
    Che considerevole tasso di autobiografismo è possibile scorgervi …! E quanti significati assume oggi, alla luce dei “must” impartiti dall’era dell’immagine!
    Buona lettura!

    «Ora Selikdàr ogni giorno anche nell’orto doveva portare sempre quell’abito da parata e muovercisi disinvolto; e faceva il possibile per riguardarselo. I compagni gli risparmiavano certi lavori. Si riaccendeva ogni tanto la loro scherzosa ammirazione, come un’eco degli applausi e dei salti e urli di gioia coi quali l’avevano salutato alla prima comparsa: lo chiamavano “il principino” divertendosi a immaginarlo come uno di quei dolci giovinetti nobili, figli di Agà, ai quali ogni giorno le belle vesti concedono il piacere usuale e la dignità dell’eleganza. Egli stesso si vedeva più gentile, quasi con gli occhi degli altri, andava acquistando altri modi, come se li inventasse.
    Un po’ per giorno si rese conto che non poteva più fare un atto che non venisse notato; stava prendendo spicco tra le figure più in vista del monastero. I suoi amici restavano quei pochi di prima, ma quanti erano adesso i visi quasi ignoti da cui si vedeva salutato con un’aria di confidenza come tra vecchie conoscenze. Anche i monaci si voltavano sorridenti al suo passaggio. Da ogni lato gli veniva riconfermata una curiosa impressione, che tutti sapessero come trattarlo: persone davanti a cui egli avrebbe dovuto studiare un momento per entrarci a parlare. S’accorse perfino d’un diffuso compiacimento per il fatto che nel favore di questa popolarità il suo contegno si fosse mantenuto affabile e servizievole a che egli si mostrasse un po’ più sicuro di sé, o qualcosa di simile, tanto che Selikdàr non sapeva talvolta come regolarsi. La rappresentazione offerta quasi per gioco, di quei suoi nuovi modi gentili, andava perdendo questo riso segreto, in ottemperanza a vaghe responsabilità di decoro, che gli altri sembravano aspettarsi e ormai esigevano da lui. Perfino nel camminare sentiva l’opportunità di sorvegliare il passo leggero, il gesto armonioso».

  93. Ciao. Sono tra coloro che vi seguono e vi leggono senza intervenire. Però volevo ringraziarvi per il vostro impegno e per la possibilità che date di imparare cose e storie nuove come questa (per me è nuova!) del rapporto tra Luigi e Stefano Pirandello e della loro relazione artistica oltre che famigliare.
    Continuerò a leggervi.
    Grazie a tutti.

  94. Saluto Laura Marullo e Sarah Zappulla Muscarà…
    Certo che Stefano Pirandello visse un conflitto artistico e familiare non indifferente, dovuto anche alle condizioni della madre, quindi ad una situazione particolare.
    Vorrei segnalare il lavoro della collega Annalisa Stancanelli “Alla scoperta di Stefano Pirandello – Padri e figli nella tragedia ICARO”. La collega interverrà prossimamente.

  95. SARAH ZAPPULLA MUSCARA’ E MARIO ANDREOSE PARLANO DI TIMOR SACRO DI STEFANO PIRANDELLO E DI ALTRI PROGETTI SULLA LETTERATURA SICILIANA

    Si intitola “Timor Sacro” e ha tutte le carte in regola per diventare un caso editoriale. E’ uscito presso Bompiani il romanzo inedito di Stefano Pirandello, figlio del premio Nobel. “E’ il romanzo di tutta una vita – afferma la studiosa Sarah Zappulla Muscarà- , e già dal titolo si allude al timore reverenziale nei confronti del padre. Fortemente autobiografico, racconta la vicenda esistenziale di Simone Gei, alter ego di Stefano. Sullo sfondo il fascismo, la guerra in Albania, a ritroso anche il risorgimento italiano. Tra le pagine del libro ritroviamo Savinio, Alvaro, Bontempelli, ma anche Pavolini, Bottai, Balbo, Ciano e Interlandi e tutta la tensione politico-intellettuale tipica di quegli anni, i rapporti all’interno della famiglia Pirandello, con il padre Luigi, la madre Antonietta, i fratelli Fausto e Lietta, la moglie Olinda e i figli. Ma è soprattutto un romanzo sull’arte di scrivere un romanzo, con tutta la vanità, le incertezze, il tormento, il furore tipico dello scrittore alle prese con la sua creatura. Così Stefano Pirandello si è liberato artisticamente della figura ingombrante del padre.”
    Di questo evento editoriale ci parla anche Mario Andreose, Direttore editoriale della Rcs libri, uno dei personaggi più influenti nel panorama letterario italiano per aver intrattenuto collaborazioni con scrittori del calibro di Alberto Moravia, Leonardo Sciascia, Ottiero Ottieri, John Irving, Milan Kundera, Gesualdo Bufalino, e successivamente con Pier Vittorio Tondelli e Bret Easton Ellis. Ma è soprattutto con Umberto Eco che ha avuto rapporti di amicizia e di lavoro, essendo attualmente il suo editor personale. Nel 1982 quando subentrò a Raffaele Crovi nella direzione editoriale editoriale della Bompiani portò avanti una serie di importanti iniziative editoriali, tra cui la collana dei Classici. Nel giro di un anno sono previste delle pubblicazioni di prestigio per la letteratura siciliana. Andreose ci ha rivelato delle preziose anticipazioni: “ Oggi pubblicare esordienti, o quasi esordienti, o insoliti esordienti come Stefano Pirandello, rappresenta una grande scommessa per un editore come Bompiani. E’ innanzitutto una voce che proviene dal passato e l’esito di questa sfida dipenderà molto dalla nostra capacità di promuoverlo adeguatamente, e di farlo conoscere a chi si aspetta da Stefano Pirandello una prova insolita. Perché noi abbiamo pubblicato recentemente, con una discreta risposta del mercato, le sue opere teatrali, quindi spetta a noi creare attorno a questo evento letterario una visibilità tale in modo che il lettore se ne accorga. Certo, l’autore, ha vissuto la pesantezza di un cognome importante, anche se ho notato, leggendo una corrispondenza epistolare intercorsa tra lui e Valentino Bompiani, che gli era molto amico, come l’editore lo incoraggiasse a superare i momenti di difficoltà e a concentrarsi sulla sua attività di scrittore e autore teatrale.” Ma questa non è l’unica chicca siciliana, entro un anno Bompiani pubblicherà nella collana “I Classici”, l’opera completa di Ercole Patti (sempre a cura di Sarah Zappulla Muscarà), lo scrittore catanese ingiustamente oblìato, anche se recentemente lo stesso editore ha pensato bene di riproporre nei tascabili le opere più importanti dell’autore di “Un bellissimo novembre” di cui la grande sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico affermava: “Patti era un vero siciliano, un signore d’altri tempi con un forte temperamento caratteriale…” E’ ancora Mario Andreose a darci delle interessanti notizie: “Ci sembrava doverosa questa operazione culturale, dopo la ripubblicazione delle sue opere maggiori, grazie all’interesse di Sarah Zappulla, perché Ercole Patti merita di essere conosciuto da un pubblico più vasto, che non sia spinto dal solito clamore provocato dall’accostamento con Vitaliano Brancati. Io stesso, per motivi anche generazionali, in passato non lo avevo preso molto in considerazione, accostandolo ad un’area regionale che per me aveva già i suoi nomi, dunque la mia percezione di Patti era quella di uno scrittore che dopo Brancati aveva colto il tipo e il paesaggio siciliano nei suoi aspetti più sensuali e passionali, senza coglierne allora la profondità ,anche se mi aveva colpito. Questa sarà un’operazione di riscatto che lo riconsegnerà al grande pubblico dei lettori.” Mario Andreose ha avuto il privilegio di lavorare a fianco di alcuni grandi scrittori, anche con i nostri Bufalino e Sciascia. Che ricordo ha di loro? “Con Bufalino c’era un rapporto di grande intensità ed amicizia, ricordo ancora uno dei nostri primi incontri in un albergo veneziano a fianco di Elisabetta Sgarbi. Il suo spaesamento iniziale, anche se reduce dell’affermazione al Campiello, si tramutò presto in un grande rapporto di fiducia e collaborazione che culmineranno con il trionfo allo Strega con lo straordinario “Le menzogne della notte”, pubblicato da Bompiani. Quando gli capitava di venire a Milano, raramente e per problemi di salute, io ed Elisabetta rappresentavamo la sua famiglia…al di là della sua produzione letteraria ci legava una grande amicizia e stima. Chiacchierare con lui di libri e di cinema era un continuo arricchimento…” E Leonardo Sciascia? “ Sciascia approdò da noi molto tardi, dopo un processo di avvicinamento durato molti anni. Ci fu prima un lungo dialogo intellettuale che sfociò nell’accordo con Bompiani dopo tre fatti decisivi nella vita del grande scrittore siciliano: la morte del suo agente letterario, Erich Linder, di cui si fidava ciecamente, un’importante crisi economica all’Einaudi, e l’abbandono dalla Sellerio. Queste tre circostanze lo fecero approdare nel nostro gruppo, e lui scelse Adelphi. Purtroppo l’inizio del nostro rapporto coincise con l’inizio della sua malattia… a lui si deve la riscoperta di Brancati e Savinio, perché Sciascia, oltre ad essere un grande scrittore, possedeva un eccezionale intuito”.

    Domenico Trischitta

  96. “CCu tarda ma nun manca nun si chiama mancaturi” fa dire Pirandello al suo Liolà…. E quindi, caro Massi, se ho tardato nel proporti i “brani gustosi” tratti da Timor sacro, non intendo più mancare e quindi comincio subito a deliziare i lettori di Letteratitudine con alcuni passi che ci consentiranno anche di affrontare altre tematiche del romanzo. Fra queste di notevole rilievo è sicuramente il rapporto fra intellettuali e politica di cui parla il capitolo II di Timor sacro.

  97. Prima di servirti l’antipasto, consentimi, caro Massi, di salutare i tuoi ospiti che non ho ancora incontrato e ai quali desidero rivolgere il più vivo sentimento di gratitudine per le belle parole che hanno indirizzato alla figura e all’opera di Stefano Pirandello. Saluto e ringrazio Giorgio Ferrara che ha manifestato il desiderio di approfondire l’opera dello scrittore. Come hai giustamente segnalato tu, Massi, che ormai sei un esperto conoscitore della bibliografia di Stefano, “Il muro di casa” non è disponibile. Saluto e ringrazio anche il Prof. Emilio che ha citato una bellissima lettera dell’epistolario, dimostrando una grande familiarità con le tematiche dell’opera Pirandelliana. Un benvenuto e un sincero grazie anche a Giacomo Tessani, Maria Lucia Riccioli, Giorgio Ferrara. Spero di non aver dimenticato nessuno.

  98. Un saluto particolare rivolgo all’amica carissima Estela Gonzalez De Sande, studiosa attivissima e apprezzatissima di Letteratura italiana nell’Università di Oviedo, che ha fra i molti suoi meriti anche quello di avere contribuito alla promozione degli scrittori siciliani in Spagna. Grazie, cara Estela, per il tuo intervento sempre ricco di stimoli che attesta la vicinanza e l’affetto della Spagna all’opera di Stefano Pirandello ma pure l’affetto, l’amicizia e la stima per Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla, fondatori, insieme a Vicente Gonzalez Martin, della “Cattedra Sicilia” a Salamanca, un’iniziativa culturale di alto livello e prestigio che ha già dato importanti risultati.

  99. Un saluto e un ringraziamento di cuore a Domenico Trischitta che, primo fra tutti, si è occupato di Timor sacro nello splendido articolo uscito in anteprima che ha avuto il piacere di inserire in questo post. Bravo Domenico, anche per l’interessante intervista a Mario Andreose che, come ricordato, è fra gli artefici del caso editoriale del momento, ovvero la pubblicazione dell’inedito di Stefano Pirandello.

  100. Dicevamo del rapporto fra intellettuali e potere (che mi consente di rispondere, con le parole di Stefano, al quesito di Ausilio Bertoli). Vi propongo un brano del capitolo II intitolato “Un cenacolo di scrittori italiani in quel momento politico”

    “- Ma è assurdo! – si lanciava a dire Simone fra gli amici quando erano soli, senza intrusi; e parlava di truffa. Simone eccelleva nell’esporre nella cerchia dei più intimi queste linee di difesa, compensato da un caldo senso di orgoglio quando qualcuno gli diceva: è un argomento principe. La truffa d’esigere dagli scrittori adesioni politiche – ferme come diventano in un libro e convalidate da rappresentazioni integrali del mondo, eppoi indelebili: scritte -; quando i politici, “loro” i militanti, dando le proprie semplicemente di presenza e in azione, restano liberi di modificarne di continuo la portata. – Ma sì: e di spostarsi innocentemente un po’ oggi un po’ domani senza dare nell’occhio o anche senz’accorgersene! Rimanendo senza pecca, anzi più puri: militanti che s’adeguano! E con che faccia pretendete da noi – s’accalorava – noi che nemmeno siamo dentro le vostre beghe intestine, un impegno che per forza di cose nei nostri scritti fissa universalizzandolo un semplice ‘momento’ del vostro ‘movimento’ che è in perpetuo trapasso secondo le opportunità? Col risultato che domani c’è il cambio della guardia e, guarda un po’!, io che ignaro m’ero dichiarato conciliatorista alla Bottai come pareva si fosse propensi tutti, ‘dentro’ mi ci ritroverò io e fino al collo, sotto le ire del successore oltranzista, io solo; mentre voi avrete fatto in tempo a orientarvi o, capitati dalla parte soccombente, tornerete ‘buoni’ per un’altra fase: ora vi tirate un passo addietro ed ecco fatto! Capite l’assurdo? La truffa dei politici, degli uomini d’azione?”
    in Stefano Pirandello, “Timor sacro”, a cura di Sarah Zappulla Muscarà, Bompiani, pp. 89-90.

  101. caspita! questo brano mi pare davvero di grandissima attualità! sembra scritto per i nostri tempi…

  102. E ancora…

    “Esclamavano: – Incontestabile! Bravo! Però chi avrebbe sostenuto queste belle cose con Ruffani di Vastogiardi, a faccia a faccia? Al più gli s’era detto: – Non vi basta D’Annunzio?- Persuasivo Scuteri esponeva da un punto di vista equilibrato e internazionale lo stato delle cose come storia contemporanea: il regime va ricollegato (letteralmente) alle Signorie rinascimentali, questo è il modello su cui D’Annunzio aveva di certo ricalcato nel ’19 l’impresa di Fiume come preparazione al grosso colpo di mano su Roma. Fortunatamente battuto sul tempo dal genio politico del Duce, il quale con ben altra concretezza (qualcosa carpendo da Lenin) ne aveva fatto il prototipo propulsore delle “rivoluzioni” progressivamente instaurate in più che mezza Europa. Non bisogna scordare che, se molti in Francia c’invidiavano, sotto Austen Chamberlain (la moglie del quale portava il distintivo fascista) a Londra cortei cantavano in coro “Giovinezza” tradotto in inglese, e nell’imitazione la Germania ci aveva sopravvanzato con Hitler il quale faceva più sul serio del maestro! E non parliamo del prestigio acquistato in America, sia negli USA e sia in tutta quella latina. (Poi, finito Mussolini a piazza Loreto appeso pei piedi – ma questo allora non si poteva sapere -, Winston Churcill fece spendere qualche milione di sterline perchè fosse segretamente ripescato e riconsegnato a lui il suo privato carteggio col prodigioso statista italiano, incoraggiato fino all’imprudenza di consigliarli qualche mossa).
    Ivi, pp. 90-91.

  103. Grazie anche da parte mia per i brani postati.
    Il primo, come dice Tessani, ha davvero forti elementi di attualità.
    Il secondo e’ proprio forte. Anzi direi : tosto!!

  104. Mia cara Lauretta, eccomi a te e alle bellissime pagine di Stefano!
    A mio avviso due poesie rivelano il rapporto profondo e sofferto di Stefano con la madre e con il padre.
    La prima è “Storia di figlio”, dove è dolentemente adombrata la relazione con la figura materna…
    ***********
    Quale m’aveva lasciato la madre
    io per bisogno chiedevo
    d’esser preso e ricucito dentro / […]
    E fui ripartorito tra di noi,
    riallevato, con i piedi d’unghia dura.

  105. La seconda poesia, L’albero morto, è particolarmente significativa invece del rapporto con il padre.
    Questi versi manifestano come Stefano si lasciò dominare dal padre per amore filiale ma anche perché vinto dal fascino della sua genialità.
    Il titolo (L’albero morto o Il figlio arso) è infatti metafora della condizione del figlio che, come un albero, nasce e cresce con le
    radici ben salde alla madre terra. I rami naturalmente sono protesi verso il sole che, illuminandoli, ne determina lo sviluppo. La terra e il sole sono due forze opposte ma complementari che da una parte legano, dall’altra attraggono l’albero. Tuttavia questo legame è alterato nel momento in cui il sole, per eccesso di splendore, penetra oltre misura nell’albero essiccandolo fin alle radici. Questa immagine forte, che chiude la lirica, incarna la storia del figlio/scrittore di Luigi Pirandello.
    ***********
    Poi più possente il sole
    tutto lo guadagnò. Discese a forza,
    dai rami al tronco, fin alle radici.
    Lo prende alle radici e il figlio è arso.

  106. Un bentornato a Estela González de Sande, italianista presso l’Università di Oviedo in Spagna che torna a deliziarci con i suoi contributi.
    Grazie mille, cara Estela, per il tuo intervento su Stefano Pirandello… e considerati sempre a casa qui a Letteratitudine!

  107. Ringrazio anche l’amico scrittore Mimmo Trischitta, per aver messo a nostra disposizione il suo articolo pubblicato su Repubblica (da cui emergono anche le interessantissime impressioni di Mario Andreose.

  108. Tra i vari aspetti, in “Timor sacro” spicca senz’altro (come è stato più volte evidenziato) quello del rapporto padre-figlio.
    È questo un elemento di fortissima attualità, molto sentito anche dagli scrittori degli “anni zero” (quelli, cioè, post 2000).
    A titolo di esempio riporto il link di questo post, relativo a una discussione condotta nel maggio del 2010, dove emerge in maniera significativa il rapporto padre/figlio nei libri pubblicati dagli autori coinvolti nella discussione:
    http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/05/10/padri-e-libri/

  109. Un altro esempio…
    Domani avrò come ospite, nel mio programma radiofonico, Gianrico Carofiglio. Discuteremo del suo nuovo romanzo “Il silenzio dell’onda” (Rizzoli) che – tra le altre cose – è incentrato proprio sul rapporto padre/figlio.

  110. Questi esempi, giusto per sottolineare il fatto che “Timor sacro” di Stefano Pirandello viene pubblicato postumo (dopo quasi quarant’anni dalla morte del suo autore) in un momento storico in cui, evidentemente, questo tema “ancestrale” (“atavico”) del rapporto padre/figlio viene sentito con particolare intensità dagli autori di oggi…

  111. QUEL ‘TIMOR SACRO’ DEL GIOVANE PIRANDELLO

    di Salvatore Ferlita

    Romanzo esorcistico sin dal titolo, “Timor sacro” (Bompiani) di Stefano Pirandello: una sorta di atto apotropaico della scrittura, talismano d’ inchiostro con cui tenere a bada lo spirito beffardo del padre, don Luigi. Da oggi in libreria, per le cure di Sarah Zappulla Muscarà, il romanzo inedito del figlio del drammaturgo agrigentino agglutina in sé rancori, idiosincrasie, frustrazioni, lacerazioni e risentimenti, improvvisi slanci affettivi e disperate ribellioni, in un impasto tumultuoso e spiazzante. È l’ opera di cui si sospettava l’ esistenza, a petto di un rapporto, quello tra il padre famoso e il figlio che con lui condivide la passione per la scrittura, degno di un romanzo di Federigo Tozzi. Una sorta di rivalsa e insieme risarcimento, per uno che era talmente soggiogato dal talento paterno da firmarsi con lo pseudonimo di Stefano Landi. Ma che adesso, nella condizione postuma, finalmente si libera di quella corazza nominale, per appropriarsi definitivamente del vero cognome. “Timor sacro” è infatti la declinazione letteraria del legame tormentato tra figlio e padre, che non risparmia di certo passaggi spietati, affondi autobiografici che riguardano la figura del genitore, posseduto dal demone della scrittura, che attinge a piene mani al serbatoio famigliare, come da un cilindro magico e insieme perverso. Un figlio votato, quasi consacrato al padre, che però registra sovente scatti di indignazione, mascherando recriminazioni, censurando empiti edipici. Il romanzo in questione è l’ opera di tutta una vita: ad esso lavorò Stefano sino alla fine dei suoi giorni, facendone una sorta di laboratorio della scrittura e insieme di stanza della tortura. Anche perché, e questo è il secondo aspetto che affascina, “Timor sacro” si configura alla stregua di un metaromanzo, ossia di un’ opera all’ interno della quale l’ autore riflette continuamente sulle ragioni della sua ispirazione, dannato a una sorta di transumanza dei generi, in uno sforzo di riscrittura continua, di ripensamenti. Ma procediamo con ordine: la trama racconta della parabola esistenziale di Simone Gei, alter ego di Stefano Pirandello, scrittore tormentato al quale viene commissionato dal regime un romanzo sulle vicende di un ragazzo albanese, Selikdar Vrioni, che vuole lasciare a tutti i costi la sua patria, ossia l’ Albania, per trovare rifugio nell’ Italia fascista. Gli ingredienti, dunque: uno scrittore alle prese con la sua opera e con un padre invasivo, la vicenda di un perseguitato, sullo sfondo della guerra in Albania, il ventennio, e a ritroso, il Risorgimento italiano. A fare da contorno, figure quali Savinio, Alvaro, Bontempelli, allineati accanto a Pavolini, Bottai, Balbo, Ciano e Interlandi. Romanzo dunque attraversato, alla stregua di un filo elettrico, da continue scariche: quelle politico-ideologiche, quelle famigliari, e soprattutto lo scrutinio e il rovello metaletterario. Forse troppa carne al fuoco, in un’ opera per la quale l’ autore non ha scritto la parola fine, quasi condannandolo alla condizione postuma, ideale per uno come Stefano Pirandello. Una sorta di ricapitolazione, nella quale il consenso al regime, la proclamazione dell’ Impero, la pena di morte, le leggi razziali, la figura del boia, quella paterna, sagoma demoniaca, si agglutinano. Il tutto, declinato seguendo un doppio registro, quello di un’ interiorità lacerata e sanguinante, e quello esteriore, che riguarda un frangente storico che ha segnato dolorosamente il nostro passato e che allunga minacciosamente la sua ombra sino al nostro presente. Attenzione: “Timor sacro” è solo la conferma di un buon talento, quello di Stefano appunto, cui si deve il romanzo “Il muro di casa”, firmato però con lo pseudonimo, pubblicato da Bompiani e vincitore negli anni Trenta del premio Viareggio: firmandosi Landi, va ricordato, Stefano aveva composto una commedia intitolata, guarda caso, “Un padre ci vuole”: «Quanto di vero in questa affermazione?» chiosava maligno Alberto Savinio in “Maupassant e l’ altro”. Per poi continuare: «Stefano Landi è, come tutti sanno, il figlio di Luigi Pirandello». Qui Savinio sfiora la vera crudeltà: quel “come tutti sanno” infatti risuona oggi alla stregua di un beffardo scacco del destino, il tiro allo sberleffo di un “Caso-Caos”(Pirandello maior docet ), la rivincita di un cognome troppo ingombrante per potersene liberare definitivene. E come il ritorno del rimosso, eccoci dunque Stefano Pirandello quale autore di questo romanzo che si può leggere anche come una sorta di involontaria riflessione saggistica sulla genesi di un’ opera, e che attraverso mascheramenti e laceranti verità, consegna al lettore di oggi un tassello fondamentale del tragico mosaico della più nota e tormentata famiglia del Novecento letterario italiano. Ma configurandosi anche alla stregua di un romanzo civile e politico della nostra storia.
    – SALVATORE FERLITA

    (da Repubblica del 12 ottobre 2011 — pagina 15 sezione: PALERMO)

  112. Si è accennato più volte al volume “Il tempo della lontananza” (Sciascia editore)… l’epistolario tra Luigi e Stefano Pirandello.
    Tempo fa ne ho parlato in radio con Sarah Zappulla Muscarà.
    Chi fosse interessato può ascoltare (o ri-ascoltare) la puntata collegandosi su questa pagina e cliccando sul pulsante “audio mp3” della puntata del 22 ottobre 2010
    http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine-radio-hinterland/

    (Basta far scorrere la pagina verso il basso)

  113. Domani pubblicherò la prefazione di “Timor sacro” firmata dalla stessa Sarah Zappulla Muscarà…
    Per stasera chiudo qui e auguro a tutti voi una serena notte.

  114. “C’è chi, osannato da cori internazionali, ha la libertà di rispondere a sberleffi e sarcasmi crescendo nell’ammirazione generale: uomo superiore, geniale! E c’è Simone che suda ogni suo silenzioso passetto da cui poi sospirando torna indietro”. Scrive così Simone Gei (alias Stefano Pirandello) ne “la stesura ironica” dell’inedito Timor sacro. Essere figlio di Luigi Pirandello non ha costituito per Stefano un vantaggio, un percorso preferenziale perché come tanti figli di personalità celebri ne ha sentito il peso, patito il confronto, generato conflittualità e, al contempo, ammirazione. Le commedie Icaro, Un padre ci vuole, la lirica Giro, i carteggi recentemente pubblicati da Sara Zappulla Muscara’ ne sono emblematica testimonianza. Timor sacro, non va letto solamente nell’ottica “contrasto padre-figlio”, “timore reverenziale” nei riguardi di un genitore indiscusso genio e innovatore del teatro del novecento, quanto, piuttosto, di un inconscio senso di inadeguatezza che pervade Stefano Pirandello mentre verga la sua opera e, anche, di ribellione verso la committenza fascista, che, vuole da lui un testo letterario di pura propaganda.

  115. bel tema, che abbiamo imparato ad amare attraverso stefano e attraverso le nostre vite. c’è forse da aggiungere che stefano a lungo soffrì di un senso di colpa per aver permesso l’internamento della madre Antonietta in una casa di cura, rendendosi passivamente accondiscendente con le motivazioni addotte da luigi. in questa
    prospettiva stefano, come l’oreste mitico, assecondando il volere del padre compì il “matricidio” (permettendo l’internamento), e scontò le conseguenze della sua scelta a partire dal rimorso.

  116. ….e ancora….
    luigi, direttore del teatro d’arte dall’agosto del 1924, scelse marta abba come prima attrice della compagnia. da quel momento in poi lei ebbe un ruolo privilegiato nella vita pubblica e privata del maestro. per luigi lei divenne una “figlia d’elezione”, in virtù del loro legame artistico ed
    intellettuale. I pettegolezzi parlarono verosimilmente di un innamoramento senile non ricambiato. questa relazione, resa pubblica per la fama di luigi, colpì molto stefano che, pur accettando la loro amicizia, soffrì molto nel sentirsi scavalcato dalla donna nel ruolo accanto al padre. E’ chiaro che la commedia “Un padre ci vuole” ripropone una situazione simile.

  117. Cari amici,
    è un vero piacere che si parli qui di un libro di Stefano Pirandello e che
    si dedichi spazio ad autori, i quali, malgrado la loro capacità e forse anche malgrado il cognome, sono stati relegati in secondo piano o addirittura obliati. Per questo motivo è ancor più meritevole il lavoro fatto dalla professoressa Sarah Zappulla Muscarà per far venire alla luce Stefano Pirandello, a cominciare dallo Stefano drammaturgo, continuando con Stefano narratore. Essere figlio del grande Pirandello non doveva essere facile per Stefano, specialmente se legato al padre per molti nodi:l’affetto, l’ammirazione, gli interessi letterari e culturali comuni, il lavoro. Stefano aiutava il padre non solo nella scrittura,
    ma gli faceva da segretario. L’opera di Stefano – come non poteva essere diversamente – è piena del padre, dei loro rapporti, frutto anche di tutte quelle esperienze che gli si sono offerte appunto in quanto figlio
    di Luigi, delle sue abituali conversazioni… Per Stefano, di sicuro,
    essere figlio di Pirandello è stato non di rado una prigione. Come non
    essere paragonato al padre, anzi schiacciato dalla fama e anche dalla
    personalità di Luigi? Ma si è rivelata anche un’opportunità per crescere,
    per conoscere gente e imparare un mestiere, quello dello scrittore. Comunque sia, Stefano Pirandello rimane un grande della letteratura italiana, che merita di essere studiato in profondità e soprattutto di essere letto.
    Milagro Martín Clavijo, Università di Salamanca, Spagna

  118. Buon pomeriggio a tutti. E’ da diversi mesi che non intervengo sul blog, lo faccio adesso per dirvi che sto seguendo questo post con grandissimo interesse e non solo perché sono una grande estimatrice di Luigi Pirandello.
    La sensazione che si ha e’ quella di sfogliare un giornale che giorno dopo giorno si arricchisce di nuove bellissime pagine.
    Grazie a tutti per l’impegno!

  119. Grazie soprattutto per avermi fatto conoscere Stefano Pirandello, che conoscerò meglio leggendo il libro.
    Triste dover ricorrere a un falso nome per poter pubblicare un proprio libro. La figura di Luigi da questo punto di vista sembra proprio ingombrante.

  120. Angela ha espresso in maniera perfetta ciò che volevo dire pure io. Dunque mi associo e sottoscrivo le sue parole.
    Un ottimo post all’insegna della Cultura.

  121. Cari amici,
    buona serata a tutti con molto affetto.
    Vorrei lasciare, se il dott. Maugeri permette, il testo di una lettera indirizzata a Valentino Bompiani, divenuto confidente di Stefano, che rivela aspetti sin allora taciuti sulla complessa relazione col genitore:
    ” Io a mio Padre ho dato esattamente quarantadue anni della vita mia. E
    sono […] in dovere d’essere vivo per me, da dovermi difendere questo
    resto di vita in nome mio […] ho voluto servire mio Padre finché ebbe
    un alito di vita […] [gli ho dato] non solo tutto il mio amore e tutto il mio
    tempo, ma anche il mio ingegno, ma addirittura la mia collaborazione
    creativa (pur avendo da creare per me) […] E da Lui ho sopportato più
    di un tradimento: che m’ha costretto […] a un raddoppio di amorosa
    servitù da parte mia, ad abbandonare di volta in volta quelle che mi
    parevano le ultime difese della mia personalità. Quando mi è morto,
    per un anno, forse per due anni, non capivo più che ci fosse da fare
    nella vita. Poi ho ricominciato grado a grado a sentirmi rinascere io.
    Sono poco più di tre anni. Ora, tutto ciò che vorrebbe richiamarmi a
    quelle condizioni, a quelle relazioni con le mie origini, è per me quasi
    un sopruso […] Quella relazione è divenuta un segreto
    inaccessibilmente ‘mio’ […] mi sono conquistato il potere, e il modo, e
    il diritto di farlo ora tutta cosa mia, mio Padre: come io sono stato cosa
    sua. Non posso più servire, non posso più essere chiamato a fare il
    figlio. […] non posso più occuparmi, nemmeno per un momento, di
    quanto riguarda mio Padre: so questo, che sì, vecchio, forse tornerò il
    figlio: ma quando avrò finito di dare espressione al mio mondo […]
    Stefano Landi potrebbe essere nato da un ignoto: perché ho ritrovato,
    come ogni altro che sia qualcuno, le mie origini in me stesso”.
    Abbiatemi vostro
    professor Emilio

  122. Ed ecco, parimenti, un saggio della perspicacia di Valentino Bompiani, che decifrò anzitempo l’anomalia del legame padre-figlio:
    “Il rapporto di Stefano col padre era del tutto fisiologico: Stefano aveva
    un cervello simile, ma critico, e Pirandello se ne serviva come di un
    proprio organo”.

  123. Un caldo saluto di benvenuto a Alessandra Rapisarda (dell’Università di Catania) e a Milagro Martín Clavijo (che ci scrive dall’Università di Salamanca).
    Un caldo benvenuto su Letteratitudine e grazie per i vostri contributi!

  124. Ringrazio anche il prof. Emilio per la sua generosa e preziosissima partecipazione a questo dibattito.
    Peraltro il frammento di lettera che ha gentilmento inserito qui sopra è stato ripreso anche da Paolo Mauri nel suo articolo pubblicato su Repubblica del 20 ottobre.
    Lo inserisco di seguito come ulteriore contributo.

  125. L’ OFFICINA PIRANDELLO SVELATA DAL FIGLIO

    di Paolo Mauri

    Il 15 gennaio 1942 Stefano Landi scriveva all’ editore Valentino Bompiani: «Io a mio Padre ho dato esattamente quarantadue anni della vita mia. E sono al punto, essendo perdio vivo io anche, e in dovere d’ esser vivo per me, da dovermi difendere questo resto di vita in mio nome. Io – e talvolta gli altri mi fanno pensare che sono stato uno sciocco – ho voluto servire mio Padre, finché ebbe un alito di vita. E mai mi sono servito di Lui. Mai: gli ho dato, rinnovando continuamente la Sua vita, non solo tutto il mio amore e tutto il mio tempo… ma anche il mio ingegno, ma addirittura la mia collaborazione creativa». Stefano Landi si chiamava in realtà Stefano Pirandello: il “nom de plume” era d’ obbligo per chi, nella sua situazione di figlio di papà, aveva tentato, con qualche merito e qualche successo, la strada del teatro e della narrativa. Il suo teatro è stato riproposto qualche anno fa da Bompiani ed ora è la volta di un suo romanzo, inedito, Timor sacro che sempre Bompiani pubblica a cura di Sarah Zappulla Muscarà, la stessa studiosa che, con Enzo Zappulla, aveva anche curato il carteggio, cospicuo, tra Luigi e Stefano. Un vero e proprio libro di famiglia, la trama segreta e fittissima dell’ officina Pirandello con tutte le angustie e i dettagli dei problemi economici, talvolta notevoli nonostantei guadagni dello scrittore fossero spesso ingenti, della malattia della madre, del rapporto tra Luigi e Marta Abba. Luigi è spesso all’ estero e Stefano appare pronto ad adoperarsi in tutte le circostanze, molte delle quali amministrative, talvolta scrivendo materialmente lui, su indicazione del padre, articoli o soggetti cinematografici o prestandosi ad intervistarlo con qualche pseudonimo. Spesso accade che i ruoli siano invertiti e tocchi a Stefano fare da padre sollecito che interviene per smussare le depressioni e i tormenti dell’ altro. Arrivò, Stefano, a scrivere a Mussolini (siamo nel ‘ 32) perché sollecitasse il padre a lavorare, certo che una pressione tanto autorevole gli avrebbe giovato. Intanto, di suo, Stefano aveva scritto anche un romanzo Il muro di casa, nel 1935, che aveva vinto il Premio Viareggio, sia pure ex aequo con Mario Massa. Era la storia della sua lunga prigionia all’ epoca della Grande Guerra. Timor sacro è un romanzo complesso, nelle intenzioni quasi una sfida: doveva essere il “punto” su una generazione di intellettuali maturati col fascismo. Intanto vi compare uno scrittore, Simone Gei, alter ego dell’ autore, intento a scrivere un romanzo. Gli verrà suggerito, ad un certo punto, di dedicarsi alla storia di un albanese, Selikdàr Vrioni, un geniale inventore di cannoni a tiro rapido che seguendo l’ esercito italiano viene in Italia e diventa commendatore. In breve, come si dirà nel romanzo, la storia di un barbaro che a contatto con la civiltà del regime fascista diventa civile anche lui. Ma Timor sacro, più che un romanzo è la storia di un romanzo da scrivere, nella quale Stefano Pirandello convoca, travestendoli, i suoi famigliari, a cominciare dal padre, e i suoi amici. C’ è il giornalista influente M. (che secondo la curatrice è Missiroli) e il romanziere amico e concorrente Mastroleo (Corrado Alvaro). Nato nel ‘ 95 e morto nel 1972, Stefano Pirandello portò avanti il progetto di Timor sacro per molti anni. Nella storia si parte dal ‘ 36, dall’ Italia che conquista l’ Abissinia (è anche l’ anno della morte del padre) ma vi sono riferimenti a piazzale Loreto, alla Resistenza, quando l’ albanese Vrioni si nasconde sotto falso nome fingendosi custode della Galleria Borghese, e alle elezioni del ‘ 48. Non sappiamo se Stefano Pirandello avesse deciso di pubblicare o meno questo suo inedito. E’ probabile che fino all’ ultimo lo considerasse un’ opera imperfetta: e tale secondo noi rimane. C’ è un passaggio in cui il protagonista Simone Gei si sente dire, o quasi implorare, dal figlio malato Jacopuccio di completare il suo libro. Ma poteva essere completato quel libro, cioè questo romanzo? Paradossalmente no: lo dice l’ autore stesso nelle prime righe: «L’ eterno a cui guarda l’ opera qui in pratica era passato al fare di Simone: lui faceva come se avesse il potere di rilavorarsela in eterno. La storia sua e di Selidkàr, due vite a specchio…». Ma Stefano aveva già vissuto una vita a specchio, quella di “prigioniero” della vicenda del padre Luigi, che persino negli ultimi istanti gli sussurra il finale dei Giganti della montagna, che restò incompiuto. Del padre, nonostante le sollecitazioni, non riuscì a scrivere la biografia. Troppo l’ aveva vissuta. Questo romanzo resta un ulteriore documento dei suoi tormenti e della sua difficile condizione.
    – PAOLO MAURI
    Repubblica del 20 ottobre 2011 — pagina 51 sezione: CULTURA

  126. In questo momento credo che la pagina enciclopedica più aggiornata su Stefano Pirandello sia proprio questa di letteratitudine.
    Ciao 🙂

  127. Caro Massimo, grazie per i tuoi gentili saluti. Da anni, ormai, studio Stefano Pirandello, autore che non finirò mai di amare! Mi auguro che Timor sacro, romanzo così tanto meditato da Stefano, possa avere il successo letterario che merita! Colgo l’occasione di porgere i miei saluti a Mila che non la vedo dal convegno CILEC dello scorso anno e ai miei colleghi Laura Marullo, Andrea Tricomi e Maria Valeria Sanfilippo.

  128. Caro Massi, che belli gli interventi dei tuoi lettori!! Importanti anche perché ci danno la misura del desiderio di scoprire Stefano Pirandello ritenuto, come giustamente ci ricorda Angela che saluto e ringrazio, scrittore dotato ma che “ha avuto una fortuna inferiore ai suoi meriti.’ Sono certa che la pubblicazione delle sue opere possa riscattarlo da tanto immeritato oblio riscontrando il gradimento del pubblico contemporaneo.

  129. Un saluto affettuoso e i segni della più viva gratitudine rivolgo a Mila Martin Clavijo, studiosa di Letteratura italiana nell’Università di Salamanca, la cui benemerita attività di ricerca ha consentito una migliore interpretazione delle opere dei nostri scrittori, contribuendo anche alla loro divulgazione in terra di Spagna. Grazie, cara Mila, per gli spunti di riflessione che ci hai offerto sull’opera di Stefano Pirandello.

  130. Un ringraziamento particolare rivolgo al Professor Emilio che ha inserito alcune fra le più belle lettere tratte da “Nel tempo della lontananza” dimostrando sempre più una conoscenza approfondita dell’universo de “I Pirandello”.

  131. Caro Massi, soddisfo con piacere la tua richiesta di inserire alcuni brani tratti dalla bella introduzione a Timor sacro di Sarah Zappulla Muscarà. Vorrei proporvi un passo che ci consentirà di spiegare meglio perché Timor sacro è considerato un esempio di meta-romanzo così come il padre Luigi rivoluzionò la drammaturgia di tutti i tempi con il meta-teatro.
    Scrive Sarah Zappulla Muscarà: “Romanzo sulla genesi del romanzo Timor sa-cro, secondo schemi fluidi, irti di svariate possibilità. Tant’è che la vicenda pare rimanere sospesa nella più assoluta indeterminatezza. O mal concludere. Nell’impresa le posizioni, come in uno scontro bellico, sono conquistate, perdute e riconquistate più volte. La stessa situazione è narrata con diversificati registri, quasi a rifare il verso alla ricerca, ai ripensamenti, ai tanti modi dello scrivere con cui l’autore si confronta. Paul Valéry ha avvertito della necessità di un lavoro incessante di rifacimento, sostituzione, capovolgimento. Nell’artista soltanto «ricerche volontarie, sottomissione dei pensieri, ac-quiescenza dell’anima a costrizioni squisite, il con-tinuo trionfo del sacrificio». Importa poco, osservava, «della conchiglia nel suo stato finale», molto di più «del modo in cui è arrivata pian piano a costituirsi». È il progetto di Stefano Pirandello. Quello di consentire al lettore, cui lo scrittore più volte si rivolge, di sorprenderlo (come Diego Velázquez che ne Las meninas si ritrae mentre dipinge) nell’affanno della creazione che si traduce, fra tormento ed estasi, fra piccole gioie di traguardi e immediate delusioni, nella favolosa, mitica fatica di un novello Sisifo. Lo scrittore non è, osserva Roland Barthes, una sorta di «dio interiore che parla ogni momento». I labirinti narrativi di cui Jorge Luis Borges era innamorato sono un’immagine esemplare del fascino della non-compiutezza. Nessun’opera, d’altra parte, riconosce ancora Karl Popper, può dirsi veramente compiuta. Un’idea può continuare ad estendersi, a svilupparsi generando altre traiettorie, una spira mirabilis la cui attrattiva prima non risiede nella risultanza, ma nel meccani-smo che la genera e riproduce, in una tensione che non vuole esaurirsi. Cifra di un arcano di cui non riusciamo a cogliere i contorni”.
    In Stefano Pirandello, “Timor sacro”, a cura di Sarah Zappulla Muscarà, Bompiani, p. 16.

  132. E ancora, sullo stesso tema: “Timor sacro si dipana così attraverso il reso-conto dell’arduo farsi e disfarsi del romanzo per tentativi esaltanti e esiti deludenti, del complesso processo d’ideazione e realizzazione delle diverse stesure che s’intersecano con la biografia di Simone Gei. Nel rivendicare la dignità del proprio ruolo, nello scoprire, inventare o ricomporre la propria esistenza – Jean Paul Sartre sostiene che scrivere è correggere –, dal disarmante sorriso persino nella sofferenza, lo scrittore spalanca una finestra sulle laceranti tensioni del XX secolo. E sono lepide digressioni, amare considerazioni, dissertazioni filosofiche sulle vicende storiche del Ventennio e oltre.
    Opera innovativa, romanzo semeiotico, a suo modo calviniano, sull’elaborazione del racconto, sui dubbi circa una scelta piuttosto che un’altra, sulle implicazioni autobiografiche, e in tal senso anticalviniano, portando a galla le emergenze per-sonali ed emotive dell’autore, Timor sacro attua una radicale eversione dei congegni narrativi, an-nullando i confini del testo dilatati fuori misura, prefigurando un finale aperto, spostando l’attenzione dalla trama alla progettualità, allo stre-nuo esercizio compositivo. Nella ricerca ostinata di soluzioni appaganti per un romanzo che pena a trovare una forma definitiva. Missione impossibile per Simone Gei, che talora sente, come il suo autore, pesare l’alea del fallimento, di maniacale perfezione, di raffinata dialettica, produttore di «meravigliosità». In sentore di stravaganza disperso in un giuoco di voci e presenze molteplici, coi pensieri in aria, non disciplinabili secondo ragione. «Nulla di ciò che viene immaginato è da considerare inesistente», annota Edgar Allan Poe”.
    Ivi, p. 18.

  133. Quanto invece alla trasfigurazione letteraria di avvenimenti storici, abbiamo già ricordato la presenza nel romanzo dell’epoca fascista e di alcuni fra i personaggi più noti della politica del tempo. Non abbiamo però ancora sottolineato il viaggio a ritroso nel tempo compiuto da Stefano che fa tappa persino nel Risorgimento. Un tema questo, come sappiamo, di grande attualità nell’ambito delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia che, fra l’altro, ci consente di conoscere il sentimento, talora ambiguo, dell’intera famiglia Pirandello, patriottica e risorgimentale a partire dal padre di Luigi. Scrive Sarah Zappulla Muscarà: “in un turbinoso gioco di rimandi che investe letteratura e storia anche familiare, fa narrare al protagonista Simone Gei di aver baciato il sangue di Garibaldi rappreso sul foro dello stivale donato al prozio materno, Rocco Ricci Gramitto, suo luogotenente, dal Generale che egli aveva soccorso ferito ad Aspromonte. Prima che dal fratello di Rocco, Vincenzo, fosse donato al museo del Risorgimento di Roma, dove è custodito, il padre Luigi, “schieratili, i tre maschi e dietro le femmine, a ciascuno aveva consegnato la reliquia perché accostassero le labbra trepidanti al foro sul malleolo, contornato da quell’orlo rugginoso, rimasuglio reale – reale! – del preziosissimo sangue. Che vertigine al contatto!”. Cimelio passato poi in eredità a Luigi Pirandello che lo avrebbe donato a sua volta al Museo del Risorgimento. Un matrimonio patriottico e risorgimentale d’altra parte era stato quello del nonno Stefano, carabiniere garibaldino anch’egli ad Aspromonte, con Caterina Ricci Gramitto che, a soli tredici anni, insiema a tutta la famiglia, aveva partecipato, al dramma del padre Giovanni, avvocato di Girgenti, uno dei massimi esponenti dei moti rivoluzionari del 1848, esiliato dai Borboni, spogliato di tutto, a Malta dov’era morto quarantaseienne nel 1850. Un Risorgimento poi per tanti aspetti tradito, come con acrimonia attesta quel “lembo di carta con su scritto a stampatello PORCA ITAGLIA” trovato dal tenente Simone sul “suo covaccio”. […] E tuttavia fieramente rivendicato da Stefano il Risorgimento quale momento fondativo della coscienza nazionale di un popolo sorretto dalla comune aspirazione alla “libertà”, quel quel valore assoluto che fa dell’Italia un modello di democrazia per Selikdar: “Qua, con tanto popolo su poco spazio – una natura impidocchiata – qua invece aveva visto e vedeva come per merito di uomini tra i quali si sa cos’è la Storia – il nostro Risorgimento! Quei prodigiosi italiani d’allora tutti armoniosamente uniti, uniti per darsi la ‘propria’ legge, sicura – vedeva come allora può costituirsi largo e arioso un mondo umano, civile, nella libertà”.
    Ivi, pp. 20-21.

  134. Una rappresentazione del Risorgimento riscattata, dunque, che assume un significato ancor più rilevante perché affidata ad un romanzo che ha per l’autore il valore di un testamento spirituale. Da quel Risorgimento scaturisce inoltre la visione dell’Italia quale sede della bellezza, dell’arte, della cultura, come si evince dal capitolo conclusivo del romanzo in cui l’albanese Selikdar contempla, nascosto nella Galleria Borghese di Roma, lo splendido, seducente quadro di Tiziano Amor sacro e amor profano. Quale migliore inno, accorato e orgoglioso, alla grandezza dell’Italia in occasione delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità nazionale?

  135. Caro Massi, tornerò più tardi per continuare a conoscere meglio Timor sacro con brani tratti dall’opera e dall’introduzione. Intanto ti ringrazio anche per aver inserito le recensioni, tutte entusiaste, che sono già state pubblicate. Sono certa che ne inserirai altre perché a te nulla sfugge!!

  136. Gentile Laura, sono io che ringrazio Lei e tutti gli altri suoi colleghi delle Università per il tempo e le energie che state dedicando alla divulgazione di quest’opera.
    In passato ho sempre visto l’Università come un luogo chiuso in se stesso. Invece voi, nonostante i tempi duri che stanno vivendo le università di oggi, a anche grazie alla disponibilità data da questo blog, state dimostrando grande apertura verso il mondo esterno e verso il più generale pubblico dei lettori.
    Questa cosa mi riempie di tanta gioia, per cui la ringrazio molto.

  137. Mi ha colpita questa frase della prefazione ‘in un turbinoso gioco di rimandi che investe letteratura e storia anche familiare, fa narrare al protagonista Simone Gei di aver baciato il sangue di Garibaldi rappreso sul foro dello stivale donato al prozio materno’.
    L’immagine del personaggio Gei, alter ego di Pirandello Stefano, che bacia il sangue rappreso di Garibaldi è molto forte. Sembra quasi avere assonanze cristologiche…

  138. buon giono a tutti. discussione molto interessante, come è stato detto.
    avrei una curiosità (dettata dal fatto che sto cercando di introdurmi nell’ambito di alcuni stage relativi all’editoria).
    il testo di Stefano Pirandello è stato sottoposto a editing da parte della Bompiani, oppure è stato pubblicato così com’era?
    Non so se qualcuno sarà in grado di rispondermi. Comunque sia grazie e buon proseguimento del forum.

  139. bellissima iniziativa l’idea di questo blog letterario. davvero interessante il tutto. stasera andrò in libreria e acquisterò il libro. mi è venuta una voglia matta di leggerlo. ho scoperto i Pirandello grazie ad una mia amica. ho letto tutti gli interventi con estrema attenzione e ho cercato su internet tutto ciò che si può trovare su Timor Sacro e su Stenù. c’è anche un breve ma intenso intervento della curatrice del libro fatto in una interessante intervista da una giornalista che ha scritto su questo foro letterario. non male. continuate così e aggiornateci …la cultura non fa mai male…anzi….

  140. a integrazione del mio precedente post.
    la mia curiosità è dovuta al fatto che qui siamo di fronte ad un romanzo pubblicato postumo. in casi del genere, mi chiedo, si effettua comunque un lavoro di editing oppure, dato che l’autore è scomparso, si pubblica il testo così com’è?
    scusate se la domanda è un po’ fuori tema.

  141. Buongiorno, cari amici!
    Purtroppo ho avuto qualche problema di connessione, ma ci tenevo a ringraziarvi per i nuovi contributi e commenti.
    Tornerò nel pomeriggio. Intanto ne approfitto per augurare a tutti una buona domenica…
    A più tardi!

  142. Grazie anche a Michele Fabiani che chiede: “il testo di Stefano Pirandello è stato sottoposto a editing da parte della Bompiani, oppure è stato pubblicato così com’era? (…) la mia curiosità è dovuta al fatto che qui siamo di fronte ad un romanzo pubblicato postumo. in casi del genere, mi chiedo, si effettua comunque un lavoro di editing oppure, dato che l’autore è scomparso, si pubblica il testo così com’è?”

    A questa domanda no so risponderti, caro Michele.
    Forse ne sa qualcosa in più la nostra Laura…

  143. Si può intervenire senza aver letto tutta la discussione? Provo a farlo. Sulla questione padri e figli d’arte penso questo: se il talento c’e’ presto o tardi esce fuori. Certo, si spera un po’ prima di Stefano Pirandello. In ogni caso da quel che ho letto qualche successo in vita lo ha ottenuto. Ha vinto il premio Viareggio ed ha messo in scena commedie su importanti palcoscenici?

  144. Scusate, il punto interrogativo del precedente post non c’entra nulla.
    Volevo chiedervi, secondo voi Stefano Pirandello rende meglio come drammaturgo o come narratore?

  145. Ciao Massimo, ci siamo conosciuti per pochi minuti. Eri con le tue figlie Quel che mi ha colpito è stata una profonda umiltà di cuore che faceva da contrappeso alla genialità del tuo ingegno che mi è sembrato veder trasparire nell’occhio limpido, vivace e contemplativo nei tuoi confronti delle tue belle creature.Adesso con questo tema mi è venuto alla mente quell’incontro.
    Adesso passo al tema che ci proponi.
    Il rapporto tra padre e figlio ha tormentato tutta la psicoanalisi fin dalla sua nascita. ” le colpe dei padri ricadono sui figli” è stato sempre detto fino a quando, però, non ci siamo accorti che “le colpe dei figli ricadono sui padri” .
    E’ difficile immaginare il TIMOR SACRO di Stefano perchè il padre non era sincronizzato con niente e con nessuno. Egli era UNO NESSUNO E CENTOMILA ed un figlio per conoscerlo, imitarlo, vivere doveva attraversare miliardi di “continenti” per trovarlo, conoscerlo ed amarlo, tant’è che soltanto per intreccaiarne la storia,Stefano ha dovuto attraversare tutta una vita senza però forse aver colto il messaggio più importante che suo padre gli aveva lasciato, ” la sincerità”, ossia l’unico sentimento che ci fa unici e ci dà la “coscienza del sè”.
    L’uomo figlio deve sempre lottare con quella figura di padre che Freud descrive in Totem et tabù, ossia con quella figura di scimmione che caccia fuori dal recinto tutti i figli maschi.Un padre che sia Pirandello o un artista famoso, o il pezzente che troviamo sul bordo della strada è sempre un totem per il figlio il quale deve ingaggiare con se stesso una lotta impari da cui ne può uscire vincitore soltanto se riesce ad “uccidere il padre” che c’è dentro di lui. Altrimenti non finirà mai di chiedersi se nel suo essere c’è un presente o semplicemente lui stesso è ombra di un passato , ossia uno che fa ombra a se stesso ed a suo padre .

  146. In risposta al Signor Michele Fabiani.
    In questo caso giacché la curatela si deve ad una appassionata studiosa e profonda conoscitrice di Stefano Pirandello, come Sarah Zappulla Muscarà, che ha scritto anche l’introduzione e che ha portato alla luce, negli anni, con grande scrupolo filologico, non soltanto questo scrittore ma pure ha curato pure l’opera di tanti altri autori (da Francesco Lanza a Nino Savarese, da Giuseppe Bonaviri a Ercole Patti, da Enzo Marangolo a Sebastiano Addamo), il romanzo è stato, come è naturale, fedelmente riprodotto.

  147. @ roby monvito
    Meglio lo Stefano Pirandello autore di testi teatrali, o lo Stefano Pirandello narratore?
    Dipende dai gusti di chi legge, ovviamente. Ma per rispondere bisogfna leggere gli uni e gli altri (teatro e romanzi).
    😉

  148. grazie per la cortese risposta!
    siete davvero molto gentili.
    Complimenti per il dibattito e per il sito. E tanta fortuna editoriale a Timor sacro!!!

  149. Fino a pochi anni fa si parlava solo di Luigi Pirandello, sicuramente uno dei più geniali autori del secolo scorso. Ora si comincia anche a dare il giusto valore alle opere teatrali e di narrativa del figlio Stefano, ingiustamente annichilito dall’immensità del padre. E proprio di Stefano, che per tutta la vita ha firmato i suoi testi con lo pseudonimo Landi, viene ora ripubblicato ‘Timor sacro’, un romanzo autobiografico in cui l’autore racconta la sua tribolata esistenza di figlio, senza risparmiare passi spietati e aneddoti di vita in cui tratteggia il padre come un uomo per certi versi divorato dalla sua arte, che attinge spesso alle disgrazie famigliari quale fonte di ispirazione. Stefano trascorre i suoi anni cercando di schivare l’ombra del padre sotto la quale pure si va spesso a riparare. Nello slalom dei suoi faticosi giorni, diventa così di volta in volta il servitore, e poi una protesi del cervello, di ‘don’ Luigi, il suo alter ego (quanti articoli scritti per conto del genitore!). Un figlio devoto, che ogni tanto si incavola per le pretese paterne, ma che sempre finisce con il mettere una pezza ai troppi strappi, economici e affettivi, dell’insigne scrittore e commediografo, celebrato in tutto il mondo.

  150. Caro Massi, una felice giornata a te e a tutti i tuoi ospiti! Ritorno con gioia, dopo una breve pausa, a parlare di Timor sacro, di questo romanzo che sta riscuotendo grande interesse, catalizzando l’attenzione su Stefano che finalmente può riappropriarsi della sua identità, del suo ruolo di scrittore autonomo ed originale rispetto all’opera paterna. Grazie, caro Massi, per avere inserito la mia recensione a Timor sacro pubblicata sul Giornale di Sicilia. Come ho già detto, a te nulla sfugge!!!

  151. Caro Massi, desidero adesso focalizzare l’attenzione su un aspetto importante del rapporto fra Luigi e Stefano di cui si parla in Timor sacro. Mi riferisco a quel ribaltamento di ruoli di cui abbiamo già accennato ma che vale la pena approfondire per capire come in realtà Stefano abbia spesso dovuto confortare o spronare il padre sempre più attanagliato da quella grave “crisi di spirito” di cui tuttavia riusciva a servirsi per la sua arte. Scopriamo quindi un figlio che indossa i panni del padre pronto a scuotere il genitore con ‘amorevoli rimproveri’, nella consapevolezza che Luigi si sarebbe comunque nutrito di quelle sue sciagure. Annota giustamente a tal riguardo Sarah Zappulla Muscarà nella sua introduzione a Timor sacro:
    “Nella ricordata lettera del 10 giugno 1926, da Roma, il figlio scrive: «Perché devi avere, Papà mio, questo senso atroce della tua vita e di noi che ne siamo le creature? Io vedo che sei sempre arrivato ad approfittarti di ogni sciagura, di ogni contrarietà, per la tua arte – sei sempre riuscito a astrarle dalle determinazioni dei tuoi casi e a poterci lavorar sopra. Tu hai sempre dominato te stesso e la tua sorte. Se tu avessi avuto una sorte più facile a che ti sarebbe servito possedere tanta energia?». Luigi si lagna insistentemente della sua infelicità, ma poiché è da «sciagure» e «contrarietà» che egli trae corpo, linfa, sangue per la sua arte, ben vengano: «Essere infelice, come tu sei, Papà mio, vale bene la pena di esserlo!». Struggente, a proposito della capacità del padre di metabolizzare ogni dolore, di farne sua vivida sostanza, l’acre persuasione cui giunge il figlio nella maturità ripensando alla loro corrispondenza negli anni della prigionia, alle accorate raccomandazioni di prudenza: «Sapeva ora che quell’umiltà e passione con cui il padre lo supplicava di restargli vivo, così commovente e ingenua, così tutta di cuore, di povero padre tutto padre, era soltanto il modo di non aver orrore del suo sentimento vero, vitale, dov’egli certo era oscuramente consapevole che, dopo aver dato e quasi imposto al figlio quella fiducia ch’egli potesse aver vita solo nell’ambito della loro comunione, se egli fosse morto, non soltanto la sua grande forza l’avrebbe lasciato vivo, da solo, ma si sarebbe perfino rinutrito prodigiosamente di questa sventura come una pianta di una potatura, amandola come egli non poteva far a meno d’amare tutte le sue prove, le più crudeli, tutte utili, tutte necessarie alla faticosa e gloriosa liberazione del suo spirito. Dalla morte del figlio sarebbe forse nata la sua opera più bella. E pover’uomo non voleva»”
    in Stefano Pirandello, “Timor sacro”, a cura di Sarah Zappulla Muscarà, Bompiani, pp. 28-29.

  152. Ancora sulla capacità di Stefano di spronare il padre, vi propongo il seguente lucido, intenso brano tratto dall’Introduzione di Sarah Zappulla Muscarà:

    “Dichiara consapevole Stefano: «Enorme e determinante peso hanno avuto su di me fin dall’infanzia le due entità di Padre e di Madre. Esse hanno assunto talora aspetti tragici, in conflitto come erano e chiuse ognuna in una sua sfera di integrale giustificazione: il che scindeva il mio animo». E in una lettera a Luigi del 10 giugno 1926: «Non so che cosa non farei per darti il sentimento reale che il mio affetto, il mio amore per te è una cosa importante più libero e più schiavo del comune affetto dei figli per il padre». Quanto al rapporto con la madre Antonietta: «Restava nel giovane l’immagine della madre autorità lontana, ininfluente nella vita presente, ma l’unica che avesse voce», leggiamo di Selikdàr. Con gli anni, però, la visione e il sentimento di Stefano s’ampliano viepiù: «Figlio da sempre, io», si definisce nella poesia Giro della silloge Le Forme, ma poco più avanti, «padre per sempre, io», in una conquistata circolarità, in una «comunione di padre-e-figlio». I ruoli infatti talvolta si possono capovolgere «e chi ormai è il figlio o chi il padre … chi può distinguerlo più?» si chiede Oreste nella commedia, dall’emblematico titolo, Un padre ci vuole, stesa da Stefano nel 1936 ma a lungo rimaneggiata. Sottilmente beffarda, razionalmente acuta, fortemente autobiografica, la commedia insiste sul tema della paternità come missione. «Nella bestia padre è chi è, ma nell’uomo solo chi fa, chi fa da padre! Che può esser l’istesso, ma non importa se è un altro! chiunque! Ma perfino dentro di te puoi trovarlo: te lo fai da te! e può perfino apparire in tuo figlio, ma un padre ci vuole! Ci vuole assolutamente!». E giacché padre non è soltanto quello biologico, ma chiunque ti insegna qualcosa, ti aiuta a crescere, con moderna sensibilità Ione, protagonista dell’omonima tragedia di Euripide, afferma: «Onoro chi mi nutre. Chi mi fa del bene io lo chiamo “mio padre”». Nel caso di Stefano, è il figlio stesso ad assumersi il ruolo di padre. In una toccante lettera del 24 febbraio 1932, intrisa di amorevole sollecitudine, dichiaratosi anch’egli come Luigi «nato a donarsi», Stefano invita pressantemente il padre, che da Parigi dove si trova gli ha confessato il suo «disamore di tutto», a rientrare in Italia, stabilirsi presso la sua famiglia, rituffarsi nell’arte «disinteressata», rinunciando al «grande affare» teatrale e, soprattutto, cinematografico (con cui dare pure, motivazione non secondaria, visibilità internazionale a Marta Abba). Sarà Stefano a prendersi cura di lui: «Dà un calcio a tutte le vanità che ti levano aria ai polmoni e la terra sotto i piedi: non pensare ai guadagni. […] Qui si vive la nostra vita: anche se si soffrissero soltanto i nostri dolori, e non ci fosse alcuna soddisfazione, alcun orgoglio per compenso, sarebbe sempre me-glio che il non aver nulla da dare fuori, né gioja né dolore, a un altro popolo». Negli anni successivi, infatti, gli sarà molto vicino, aiutandolo perfino nel lavoro artistico, a detrimento talora del proprio. Della loro eccezionale simbiosi letteraria Valentino Bompiani scrive: «Il rapporto di Stefano col padre era del tutto fisiologico: Stefano aveva un cervello simile, ma critico, e Pirandello se ne serviva come di un proprio organo». È per questo che, scomparso il padre, riscattatosi dai duri doveri filiali che si era sentito in obbligo di adempiere, si riappropria della libertà creativa, seppur senza aver ancora elaborato del tutto un lutto lacerante”.
    n Stefano Pirandello, “Timor sacro”, a cura di Sarah Zappulla Muscarà, Bompiani, pp. 25-27.

  153. Vorrei sottolineare un elemento di non secondaria importanza di questo per tanti aspetti straordinario romanzo “Timor sacro”: la bellezza della copertina, il quadro di Tiziano, “Amor sacro e amor profano” (realizzato nel 1513), con i suoi incantevoli rosso-tiziano, come da allora sono definiti, custodito nella Galleria di Villa Borghese a Roma, di cui l’albanese Selikdàr Vrioni sta in incantata contemplazione, ‘simbolo’ di una delle vette più alte dell’arte italiana. Leggiamo:

    La Galleria buia e deserta. Descrisse loro la
    scena. Chissà perché lui, il Marchini, si era svegliato con
    l’impulso a scendere dal letto e fare un giro d’ispezione. Mentre
    arrivava alla sala dell’“Amor sacro e amor profano” aveva visto
    una luce. Allora spense la lampadina tascabile al lume della
    quale procedeva. E davanti al quadro aveva scorto l’altro, lì
    anche lui con la sua lampadina, stava lì a sedere, fisso al disco
    di luce che dirigeva sul dipinto e che andava spostando lì
    sopra, da parte a parte, avvivando nel piccolo fuoco centrale
    più luminoso un particolare dietro l’altro. Al vedersi preso
    nel raggio improvviso dell’altra luce, riaccesa dietro di lui,
    con un grido era balzato su scontraffatto e minaccioso
    quasi che l’avessero colto a malfare. Ma appena riconosciuto il
    compagno, la commozione l’aveva indotto alle confidenze.
    Parlò allora di quei poteri superiori dell’uomo, inimmaginabili
    altrove, e che l’Italia è fatta apposta per rendere concreti
    e operanti con questo agio felice, quasi li desse la natura. Voi
    non capite in che mondo avete la fortuna di nascere, diceva.
    Alla fine era così abbandonato alla sua ingenuità che uscì a
    dire: “Come farò, adesso, quando sarà finito questo periodo,
    ad abbandonare questo luogo, a rientrare nella solita vita. Mi
    dovrò consolare col ricordo! E questo tempo che ho passato
    qui mi resterà come un sogno, un sogno felice”.
    (pp. 325-326)

    Scrive al riguardo Sarah Zappulla Muscarà, nell’intensa e lucida introduzione:
    “Orgoglioso di essere divenuto un perfetto italiano e ripudiate definitivamente le sue origini, con la decisione di non ritornare mai più in Albania per non continuare il ciclo di vendette di sangue, insistentemente ricordato dalla dura madre Elena Glinka (nome che rinvia a quello di una scrittrice russa del Novecento, memorialista del gulag), Selikdàr rimane intrappolato nelle ambigue manovre del regime e, scoppiata la guerra, per paura di essere arrestato, si nasconderà sotto le mentite spoglie di custode a Villa Borghese, luogo simbolo dell’arte italiana. L’avventura di Selikdàr sembra così svanire in modo quasi surreale, dinnanzi alle due splendide figure femminili, all’epifania di colori, al paesaggio assorto e misterioso, fortemente giorgionesco, del celebre quadro di Tiziano “Amor sacro e amor profano”. (p. 23)

  154. Grazie per questi nuovi brani inseriti. Questa frase è fortissima ” Dalla morte del figlio sarebbe forse nata la sua opera più bella. “

  155. E’ vero, cara Amelia: la frase da te citata è davvero forte. Ci sarebbe
    tanto da dire, e da scrivere, su una frase come questa. Una frase che, peraltro, ci fornisce una importante chiave di lettura rispetto alla discussione che stiamo affrontando.
    Una serena notte a tutti!

  156. Da quel che ho letto, Stefano Pirandello ha svolto il ruolo di Ghost writer (almeno per quanto riguarda la redazione di articoli) a beneficio del padre.
    Mi incuriosisce molto questa storia. Grazie per avermela fatta conoscere.

  157. Adesso dico una cosa che potrà farvi rizzare i capelli. Si potrebbe scrivere una biografia romanzata sul rapporto tra i due Pirandello.
    Ci ha mai pensato qualcuno?

  158. Ho comprato “Timor sacro” stamattina. Mi ha fatto una piacevole impressione sfogliarlo e iniziarlo a leggere dopo aver seguito lo sviluppo di questo forum.
    Saluti.

  159. Cari Amici,
    ho continuato a leggervi con piacere e ho notato che diversi interventi ritornano (e non a torto) sull’intrigante rapporto che si consuma tra padre e figlio, nonché sull’ormai celebre concetto di “timor sacro”. Nel corso del romanzo sono disseminate innumerevoli spie, chiavi di volta, ora velate ora manifeste, che consentono di decodificare sentimenti e stati d’animo di questa singolare relazione animata da Luigi e da Stefano.
    Il capitolo intitolato “Alla Scienza: comunione coi figli”, in cui il vecchio maestro Alì Sèquet si misura con il giovane Selikdàr (ma potrebbe anche dirsi esattamente il contrario), è paradigmatico:

    «Alì Sèqet aveva una faccia poco più grande di una mela aggrinzita, anche la fronte era breve e secca, scura, nodosa, e pareva un vecchietto qualunque, pieno di ciuffi candidi, pure sugli occhi; nessuno sapeva più, da vent’anni, dove fosse arrivato con quella mente isolata che, da pochi testi antichi, aveva riscoperto tutta la matematica pensata finora, perché non parlava più a nessuno e da vent’anni non aveva avuto più pazienza di farsi un allievo. Ora rideva fra sé nel vedere che, nonostante la miseria del suo aspetto e la fralezza e l’arroganza che vi albergano, egli ha cominciato ad apparire poco meno di un Dio. C’è qualcuno ai cui occhi egli è, quanto a intelletto, questo Intelletto che non trova limiti. Oh, un Dio come Dio può essere in terra, con l’ironia con la quale Dio si nasconde. “Questo ragazzo veramente mi ridona l’esser mio tra noi, mi riporta fra quegli unici esseri sovrannaturali che, nel creato incapace di fingere e tutto naturale albero o stella, siamo noi uomini. Aver trovato uno che mi seguiti: è questo. Mentre io morivo tutto, come una bestia. Una bestia stranissima, sapiente: ma bestia”.
    Morto lui, sarebbero morte, tutte, chiuse in lui. No! no! Solo perché gli mancava la lena di almeno lasciarle scritte? Oh, gliele detterò, si disse; e gl’ingiunse di prendere carta e penna. Ma dettare a uno che non sa di che si tratta risultò peggio che niente. Dalla rabbia Alì Sèqet abbaiava come un cucciolo invelenito, graffiava la porta, dava calci in aria, faceva paura e pietà. A un tratto si calmò; sorrideva astratto, poi si volse a fissare Selikdàr. – Devi imparare queste cose, – sussurrò, stringendogli il polso. – Imparare? Io? – Alì Sèqet seguitava a fissarlo, e i suoi occhi divennero inguardabili. – Tutto, dal principio, – disse a voce bassa, con un’aria di mistero e di congiura – occorre solo che tu non abbia timore, mai timore. Ti affiderai a me. Io sarò dolce dolce. Chiama in te il puro silenzio, il gran silenzio, non serve altro. E ora vedrai come è semplice la parola e come il pensiero è chiaro: tu ascolta con attenzione, e prendi e conserva, fallo per me o per te, caro, bada, se vuoi vivere ancora.
    Attaccarono subito a studiare, festanti: negli occhi di Selikdàr si era vista una resa senza riserve. “Dove mi porterà? Sarà bello!” si lasciò risucchiare in vortici aerei, l’anima affascinata. Stretti uno all’altro quasi per lasciare attorno un po’ di spazio nell’angustia della cella, si godevano quelle ore segrete della seconda metà della notte, le più intime e tese per chi può appropriarsele, coricatosi per tempo al tramonto e contento di poco sonno. Ma non si perdeva un momento. Studiando sotto questo solitario sapiente che in lui solo riversava la scienza di tutta una vita, la giovane mente di Selikdàr doveva inarcarsi in fatiche freddissime, mentre il cuore sovrabbondava d’un ardore che gli arrivava alle guance e alla pancia come fa il succo d’un cibo caloroso.
    […] Passavano gli anni, e Alì Sèqet, che avrebbe potuto da un pezzo essere fuori dal mondo, al lume di una lucernetta di rame nel sepolcreto di quella cella, sgridando sottovoce con collera micidiale o beandosi compiaciuto alle risposte esatte, ripigliava vita ogni giorno di più, maestro di un’avventura mentale che allenava il suo agile alunno ad acrobazie vertiginose, quelle a cui i numeri chiamano l’audacia dell’uomo via via che essi divengono più immateriali.
    Avventure arrischiate in cui incappava talvolta anche l’intelletto del maestro, tentato dall’energia che gli riverberava addosso la fede incauta e incitante dell’altro. Questi numeri davano ebbrezza e davano la pazzia, a certe loro fatali dissoluzioni, quando il genio felice che aveva sforzati quei simboli a relazioni ignote e spinte all’estremo, pareva schiantarsi, esplodendo al brusco contatto d’un approdo che si svelava falso; quasi a un modo dell’Essere chiaramente negato, impossibile.
    Vecchio e fanciullo abbrividivano in quel Nulla improvviso, spauriti di precipitare dal loro volo, e col rancore di essersi traditi scambievolmente. – Vattene! – diceva affannato Alì Sèqet respingendo l’altro, che non era meno affannato di lui. – Vattene, brutto malvagio: tu tiri a contaminarmi la mente coi sogni! Vattene, maledetto.
    Ma dopo averlo incolpato dell’errore commesso insieme, l’abbraccia piangendo. – Per l’amore di vederti felice io da me stesso mi sono affascinato, – riconosceva. E magari poi si rideva di quel gran sogno nullificato da un banale errore di calcolo quando questo prima o poi, nel rifare al ritroso il cammino, finiva col saltar fuori: e la mente ne restava soddisfatta.»

  160. Certa del vostro desiderio di conoscere più a fondo il romanzo di Stefano, che si presta a molteplici interpretazioni, vorrei condividere con voi un altro stralcio, tra i più pregnanti, irrinunciabile testimonianza dell’amorosa e a un tempo insidiosa selva in cui padre e figlio proiettano ideali e azioni:

    «Quella casa paterna, da cui l’aveva escluso il suo ribelle matrimonio con Lora, sotto il nome di torre del faro era stata a lungo per Simone ragazzo un’immaginazione, costruita man mano col tornarvi su, torre del faro esprimeva proprio quei sensi; e gli piaceva, conclusivamente, indugiare al riparo di muri massicci, suoi, invano flagellati di fuori dalle tempeste, ed egli era lì uno che si gode la stabilità dell’interno, assolto il compito di badare alle luce pei naviganti. In verità da semplice aiutante, in sottordine: il vecchio guardiano responsabile era il babbo. Ma ora gli saliva alle labbra l’altro nome, casa fidente. Il babbo la rendeva una roccaforte dell’alta cultura, mentre dai fratelli e dalle sorelle, che non dovevano perder di vista lo scopo per cui si era sotto pressione, farsi uno stato onorevole, prendeva l’aria d’un noviziato bene accetto, giacché non c’era scelta; una figliolanza numerosa, tenuta stretta e verginale, a giudicare dai loro turbamenti, derisi se trapelavano, e partecipi solo al più intimo, in segreto, per consiglio o conforto. Simone oggi era pieno d’ammirazione; ma già allora gli appariva misteriosa la capacità di quell’uomo d’assicurare a tutti loro, imperturbabile, coi soli proventi della cattedra universitaria e delle sudate incalzanti “pubblicazioni”, l’agio di prepararsi scrupolosamente alle professioni liberali cui li destinava il loro nome, un obbligo morale.[…] Ma era Simone, e non il padre, che s’industriava a scrivere, a ricostruire una stagione passata, a mettere in campo ragioni. Presi nel sortilegio di ore incatenate nessuno dei due, né Simone né Lora, s’avvedeva che l’idea stessa del libro la diceva lunga su quella soggezione. Un invincibile timor sacro.»

  161. A questo punto mi piacerebbe sentire da voi qualche commento e/o osservazione. È sempre proficuo confrontarsi. S’impara dagli altri che, con le loro opinioni, contribuiscono a illuminare le nostre stesse interpretazioni. Insomma, sulla scia di Stefano, aiutato dal suo romanzo, un libro che «attraversa la vita e va oltre», vincete anche voi questo “timor sacro” …!!!

  162. Cara Maria Valeria,
    grazie per i tuoi nuovi interventi, per gli nuovi brani tratti dal romanzo e per il tuo invito a commentare gli stessi… che provo a rilanciare invitando gli amici di Letteratitudine a dire la loro.

  163. Ringrazio anche Leo, Gianna e Fabio Murabito.
    Cara Gianna, l’idea della biografia romanzata dei due Pirandello è intrigante. Intanto, però, per conoscerli meglio sarebbe utile leggere “Il tempo della lontananza” (citato in precedenza) e questo “Timor sacro” che include elementi autobiografici, più o meno mascherati, dell’autore.

  164. Metto in evidenza quest’ultimo passaggio del brano postato da Maria Valeria.
    Mi pare molto “indicativo”…
    Simone oggi era pieno d’ammirazione; ma già allora gli appariva misteriosa la capacità di quell’uomo d’assicurare a tutti loro, imperturbabile, coi soli proventi della cattedra universitaria e delle sudate incalzanti “pubblicazioni”, l’agio di prepararsi scrupolosamente alle professioni liberali cui li destinava il loro nome, un obbligo morale.[…] Ma era Simone, e non il padre, che s’industriava a scrivere, a ricostruire una stagione passata, a mettere in campo ragioni. Presi nel sortilegio di ore incatenate nessuno dei due, né Simone né Lora, s’avvedeva che l’idea stessa del libro la diceva lunga su quella soggezione. Un invincibile timor sacro.

  165. Ho letto con piacere i nuovi brani postati, dai quali -secondo me- si evince ancora una volta come questo romanzo può fornire una chiave interpretativa per capire meglio i rapporti tra Stefano e Luigi Pirandello.

  166. Naturalmente è un libro che ha una sua valenza letteraria che prescinde dal rapporto pirandelliano padre/figlio e che dunque andrebbe letto a prescindere.

  167. Miei carissimi amici,
    che bello che la discussione continui! E che belli i frammenti letterari che ci propongono Laura e Valeria!
    Volevo aggiungere quanto sia significativo, anche, da parte di Stefano l’uso dello pseudonimo: Stefano Landi.
    A ben pensarci, infatti,l’uso della pseudonimia è un atto di fortissima affermazione di libertà. E’ come un generarsi da sè dandosi un nome, vestendosi dalla nascita, scegliendo chi essere.
    Un atto, anche, che – proprio perchè sottolinea la rottura con chi ci precede – è come un battesimo, un rito di iniziazione.
    Darsi un nome, infatti, è più che denominarsi.
    E’ scegliersi un destino, o evitare di essere travolti da quello antecedente, è fondarsi, così come si fondano le basi di una città, è radicarsi, quindi, anche in una identità, e con essa,in una nuova possibilità di vita e di felicità. Ecco perchè la conversio nominis di un artista, coincide spesso con una conversio animi. Perchè se il nome salda l’identità con la storia famigliare, mutarlo vuol dire affermare uno scarto con tale memoria, abbandonare un’eredità.
    D’altra parte l’uomo diventa scrittore quando riesce ad affermare il proprio nome attraverso la sua opera.
    A riguardo scrive Brenot:
    ” L’effettiva nascita del creatore sopravviene, in realtà, il giorno in cui
    riesce ad affermare il proprio nome”.

  168. Cari amici,
    ritorno con vero piacere a discutere con voi su Timor sacro di Stefano Pirandello. Sono state scritte fiumi di parole sul legame familiare Stefano- Luigi. Sovente, quando si parla di Stefano Pirandello ricorre l’inevitabile discorso sul rapporto padre-figlio. Queste disquisizioni, benché fondate, a mio parere, ci allontanano da una mera analisi della poetica di questo singolare autore. Proviamo a leggere questo straordinario romanzo senza pensare che colui che lo ha scritto e’ il figlio di Luigi Pirandello!!! Soltanto con un’attenta lettura critica priva del pregiudizio dell’acclarato padre, potremo mettere ancora di più in luce la sua grandezza.

  169. “Scrivi il tuo libro, papa’”, … ” Jacopo era perduto con le pene che aveva richieste. Gli anni migliori della vita, per aiutarlo da padre a uscire dal mondo, come se fosse stato per farvisi strada. Di questo senso di fine, conto chiuso verso la cara persona cosciente, Simone s’avvalse naturalmente per mettere da parte il libro come cosa a cui non poteva più pensare almeno per il momento, diceva. Lo aveva agghiacciato l’aspetto tutto diverso – irresponsabile – sotto cui i tratti piu’ schietti del racconto, e tutto l’implicito accordo di lui “con la nazione” – suo presuntuoso sostegno, sorpassate e mai più riproducibili quelle inflessioni nel tono dei rapporto sociali correnti – già apparivano come voci stonate e calcoli sbagliati. Ma quale mai accordo? Come poteva seguitare favolosamente a cantare i prodigi che la nostra civiltà fomenta nella vergine natura di un primitivo quando qui da noi hanno varato le leggi razziali? Così scrive Stefano nel paragrafo “Jacopo muore, ma stiamo a conoscerci fino all’ultimo” di Timor sacro. Scrivi il tuo libro, papa’, sono le ultime accorate esortazioni di Jacopo, il figlio fascista di Simone Gei, a continuare la sua opera. Ad una prima osservazione, questa esortazione ci riconduce al legame intellettuale di Stefano con il padre Luigi Pirandello (cfr il Carteggio “Luigi e Stefano Pirandello Nel tempo della lontananza” di Sarah Zappulla Muscara’). Proviamo ad analizzare la figura di Jacopo, senza pensare al rapporto padre-figlio. Jacopo il figlio fascista, che muore prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, rappresenta il tramonto dell’ideologia fascista dello stesso Stefano, che prende coscienza del vuoto culturale e morale che si nasconde dietro di essa.

  170. Tra gli argomenti, per così dire di “ultima generazione”, proposti da “Timor sacro”, trovo molto interessante quello dell’integrazione, oggi fortemente di moda. La parabola di Selikdàr (alias Stefano) ci porta a considerare che esistono due tipi di cittadinanza. Quella riconosciuta per vie ufficiali, nero su bianco, con tanto di bollo, e quell’altra “effettiva” che “solo in privato si ottiene, non per meriti e servigi” bensì con “l’amore e l’unione” (cito testualmente dal nostro libro). Una scrittura che rinvia a scenari di grande attualità, in cui protagonista si erge quel popolo di persone, sempre più crescente, che si sente estraneo in un Paese che non è il proprio. Ma la vicenda di Selikdàr ci costringe a fare i conti anche con un altro tipo di estraneità, quella che talora si avverte anche in casa propria, fra la propria gente, quando si ha il coraggio di remare contro corrente, di pensare con la propria testa, senza omologazioni e spersonalizzazioni.

  171. Immagino che molti degli Amici di questo blog si siano già immersi nella lettura di “Timor sacro”. Sarei curiosa di sapere quali temi e/o problemi avete individuato, quali impressioni, dubbi, curiosità sono maturati già in questi primi “incontri” con Stefano. Tutti, in fondo, siamo neofiti, in materia di Stefano Pirandello. Il lato interessante è proprio questo: non dobbiamo confrontarci con logiche prestabilite, studi critici pubblicati, scuole di pensiero radicate. Basta fare il nostro dovere di lettori … per dire la nostra.

  172. Sto leggendo “Timor sacro”. Confesso che dopo una difficoltà iniziale (non si tratta, evidentemente, di un libro di facile intrattenimento), mi sono immersa nella lettura e sto ritrovando molti dei temi che state dibattendo qui.

  173. Aggiungo che la prefazione di S. Z. Muscarà è più di una semplice prefazione. E’ un vero e proprio saggio. Penso di rileggerla da capo a lettura ultimata.

  174. Cara Beatrice,
    mi pare proprio un’ottima idea quella di rileggere l’introduzione a lettura ultimata.
    Se trovi motivi, temi, problemi, qualunque altra cosa ti colpisca nel corso della tua “avventura”, palesati. In tal modo, se vorrai, potremo discuterne insieme … Il confronto con gli altri arricchisce sempre!

  175. Cara Maria Valeria, innanzitutto mi preme ringraziarti per gli ulteriori spunti che hai fornito e per gli stimoli a intervenire rivolti agli amici che ci leggono.
    Grazie!!!

  176. Nei prossimi giorni pubblicherò nuovi post, ma questo spazio dedicato a Stefano Pirandello e al suo “Timor sacro” rimarrà sempre aperto.
    Sarà questo un luogo dove convergeranno informazioni e scambi di opinioni sul libro, notizie riguardanti le presentazioni (e appuntamenti vari), e quant’altro riguarda la figura di Stefano Pirandello e questa sua opera pubblicata postuma.
    Ringrazio, dunque, ancora una volta, tutti coloro che continueranno a collaborare per rendere vivo questo spazio… con il solito spirito di condivisione che caratterizza questo blog.
    Grazie di cuore!

  177. Chissà quali sono le impressioni a caldo di Fabio Murabito e degli altri che si stanno imbattendo in “Timor sacro”. Staranno certo aspettando di fare una scorpacciata di pagine …

  178. Non c’è dubbio che la vita di Stefano Pirandello sia stata profondamente segnata dalla malattia della madre e del cattivo rapporto tra il padre Luigi e la madre. Nella sua biografia va sottolineato il fatto che, infatuato dagli ideali risorgimentali, si arruola volontario per partecipare alla guerra del 1915/18. Qui viene fatto prigioniero e portato per ben due volte nel campo di concentramento di Mathausen (dove per fortuna non ci sono ancora i forni crematori di Hitler). Questa avventura militare lo segna profondamente e gli fanno comprendere la realtà della vita contro le idealità ingannevoli quali quelli patriottardi di vario stampo.

    Si sposa il 18.3.1922.

    Ha scritto due romanzi: Il muro di casa e Timor Sacro e 19 testi teatrali che i coniugi Zappulla hanno riunito in tre volumi esaudendo una della maggiori aspirazioni di Stefano Pirandello e una esigenza degli intellettuali italiani che potranno avere riunitpo tutto il teatro di così significativo autore.

    Stefano Pirandello si rese conto del fatto che la fama del padre lo avrebbe sicuramente danneggiato e per questo pubblicò le sue operecon lo pseudonimo di Stefano Landi forse in omaggio a un personaggio pirandelliani de “I vecchi e i Giovani” Lando Laurentano intellettuale socialista, erede della grande tradizione liberale risorgimentale.

  179. Sto leggendo anch’io “Timor sacro” un romanzo pregno di fascino il cui valore, a mio avviso, prescinde dai pur interessanti riferimenti autobiografici.

  180. Caro Massi, che piacere ritrovarsi su Letteratitudine insieme ai tanti tuoi ospiti che desidero ringraziare per i loro interventi sempre ricchi di stimoli. Riabbraccio con affetto la nostra cara Simo che riesce sempre ad affascinarci con i suoi dotti riferimenti tradotti per noi in immagini vibranti di poesia. Cara Simo, come hai giustamente sottolineato, “l’uomo diventa scrittore quando riesce ad affermare il proprio nome attraverso la sua opera”. Pertanto la pubblicazione di questo testo inedito assolve pienamente al più alto scopo della letteratura: restituire il valore imperituro della memoria all’autore e all’opera, affermare l’identità di Stefano Pirandello che finalmente si libera del “Timor sacro” verso il padre e verso l’arte.

  181. Un saluto particolare rivolgo ai miei colleghi, Andrea, Maria Valeria, Alessandra, che hanno lumeggiato con rara perizia aspetti di rilevante interesse del testo. Carissimi, sono certa che vi unirete a me nel ringraziamento che desidero rivolgere a Massimo per averci regalato questa splendida occasione di confronto culturale che, come avete giustamente sottolineato, è per noi molto importante perché ci consente di guardare con occhi nuovi all’opera di Stefano Pirandello della quale non smetteremo mai di cogliere nuovi spunti che ci derivano dalle stimolanti sollecitazioni dei lettori.

  182. E a proposito di nuove prospettive attraverso le quali guardare all’opera di Stefano Pirandello, mi piace ricordare l’attività di traduzione di opere di Stefano Pirandello che attesta il grande successo riscosso dall’autore nell’ambito dei paesi europei. La prima traduzione è in francese e riguarda il testo teatrale “Un padre ci vuole” divenuto “Un père, il en faut bien un” (Edizioni L’Avant-scène théatre) ad opera di Myriam Tanant. Ma ciò che è importante sottolineare è che questa traduzione è il frutto di una operazione culturale virtuosa e di grande respiro avviata sin dal 2006 da Salvatore Costanzo e Caterina Maugeri ideatori, insieme a Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla, del Premio Mediterraneo per la Cultura, un’iniziativa ben presto impostasi come una delle realtà più significative non soltanto per prestigio ma anche per essere finanziata interamente da privati, che intende premiare la cultura dell’area del Mediterraneo e promuoverla in ambito internazionale attraverso le traduzioni. Una grande benemerenza dei coniugi Costanzo che propugnano con determinazione la teoria secondo la quale un’azienda deve avvertire il dovere di contribuire alla crescita culturale del territorio in cui opera. E la determinazione è dimostrata dalla ferma volontà di continuare ad attivare traduzioni da Stefano Pirandello. Ne è prova la scelta di premiare quest’anno il greco Anteos Chrysostomides che tradurrà “Un padre ci vuole”. Altre traduzioni delle opere di Stefano Pirandello sono già in cantiere. Fra queste le traduzioni promosse dalla Cattedra Sicilia fondata da Vicente Gonzalez Martin, Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla nell’Università di Salamanca. Ma di questo importante progetto vi parlerò in seguito.

  183. Il fatto che Stefano Pirandello stia iniziando ad essere tradotto anche all’estero è il segno che il processo del “riappropriarsi” del suo nome, superando il Timor sacro del padre e dell’arte, è già avviato.

  184. È vero, Filippo. Il fatto che Stefano Pirandello sia tradotto (è dunque letto) anche all’estero è il segno che l’opera di divulgazione del suo nome e della sua letteratura procede in maniera efficace.
    Grazie a Laura per averci informati.

  185. Caro Massi, il dibattito su “Timor sacro” continua. Vi segnalo la recensione di Alessandra Bonaccorsi apparsa oggi sul “Giornale di Sicilia”:

    “Che fatica scrivere, quando non si è qualcuno”. “I Pirandello. Esce ‘Timor sacro’ scritto da Stefano, figlio del grande drammaturgo, volutamente postumo per paura di un confronto impari”.
    “Un romanzo ‘pericoloso’. Volutamente postumo. ‘Pericoloso sin dall’incipit, già nei versi dello scherzo di mordente ironia che lo precede’. Sarah Zappulla Muscarà rende omaggio ancora una volta a Stefano Pirandello e crea un ulteriore tassello nel mosaico complesso della famiglia Pirandello. E’ in libreria ‘Timor sacro’, edito da Bompiani, romanzo inedito e dal titolo emblematico, scritto dal primogenito dello scrittore agrigentino, suo prezioso collaboratore e anch’egli autore di teatro. A ‘Timor sacro’, iniziato negli anni ’20, Pirandello junior ha lavorato tutta una vita, fino alla morte (Roma, 5 febbraio 1972), l’ha continuamente modificato e arricchito, con la ferma volontà di farlo uscire postumo. ‘Romanzo di tutta una vita, dunque, ripercorsa, per obliqui e misteriosi rimandi autobiografici, attraverso la narrazione di due vite a specchio: quella dello scrittore Simone Gei, irretito nella stesura di un’opera di esaltazione del fascismo, e quella dell’albanese Selikdar Vrioni, sfuggito alle arcaiche leggi di vendetta privata della sua stirpe’, spiega la docente universitaria. Viaggia in parallelo su un doppio registro, interiore ed esteriore. Verità e mascheramento della realtà. Stefano è pervaso dall’ansia di un’irrangiungibile perfezione. E questo traspare nitidamente. E’ un racconto che si sviluppa attraverso il resoconto ‘dell’arduo farsi e disfarsi del romanzo per tentativi esaltanti ed esiti deludenti. spostando l’attenzione dalla trama alla progettualità, allo strenuo esercizio compositivo’. Mascherati sotto nomi fittizi, o palesemente trasparenti, compaiono gli amici Corrado Alvaro, Corrado Pavolini, Massimo Bontempelli, i politici Ciano e Bottai, scrittori come d’Annunzio o Malaparte, Alberto Savinio o Silvio d’Amico. Storia individuale e collettiva si intrecciano e vanno a nozze con l’artificio narrativo. Secondo quanto spiega Sarah Zappulla Muscarà: ‘Il romanzo unisce vagabondaggi affabulatori a episodi realmente accaduti, lumeggiandone aspetti controversi: il consenso dilatato, la proclamazione dell’impero, la pena di morte, la figura del boia, le leggi razziali. E al contempo, sul piano esistenzaile, è il romanzo dove campeggia il forte legame col padre, totale, tormentato, amoroso e tirannico. Fatale soggezione da cui Stefano si è liberato proprio scrivendo, trovando lui stesso ‘una parola da lasciare”.

  186. E ancora a proposito di recensioni, eccovi quella di Tano Gullo su Repubblica sezione di Palermo:

    L’ALTRO PIRANDELLO L’OMBRA LUNGA DEL NOBEL NEL ROMANZO DEL FIGLIO
    13 novembre 2011 — pagina 14 sezione: PALERMO

    1. Un brutto risveglio di Simone Gei, lo scrittore.

    L’eterno a cui guarda l’opera qui in pratica era passato al fare di Simone: lui faceva come se avesse il potere di rilavorarsela in eterno. La storia sua e di Selikdàr, due vite a specchio.

    Aveva perso di vista la situazione. Cominciò a sospettare quanto si fosse fatta brutta, nel momento che per un’impennata di polverume e foglie secche dietro i vetri ebbe un annebbiamento di vista. Che fosse finita per lui? Durò un batter di ciglia. E il modo più naturale e diretto di ridirsi l’accaduto risultò inadoperabile a causa della forma d’immaginuzza letteraria, spontanea per il narratore. Infatti “vedi sulla pagina? Scorre”.

    Però la mente mortificata vedeva anche che tra gli amici non sarebbe passata senza un ammicco. Eppoi in tribunale, sfegatata la Parte civile a richiedere sanzioni: “Il teste ha giurato di dire la verità, tutta la verità!”, le risate del pubblico – Ah ah” – , le scampanellate. E tutto era dipeso, lui lo sapeva, da quel momento di fiacca nel mezzo di un normale sforzo di mente a tavolino, nel rimettersi al lavoro dopo l’interruzione a causa d’un attacco un po’ più duro dei soliti malanni. Così almeno si ridisse per convincersene: una défaillance, non altro per questo.

    La settimana prima, lo stupore d’avere riaperto gli occhi nel silenzio della notte o nei dormiveglia soleggiati in veranda…

    Incipit del romanzo di Stefano Pirandello Timor sacro (a cura di Sarah Zappulla Mascarà, edizioni Bompiani, 332 pagine, 14 euro) Quanti danni possono fare i padri ai figli. E quante ammaccature nell’anima i figli si procurano nel tentativo di competere coni padri, di emularlio di esecrarli. Se ti chiami Stefano Pirandello, sei figlio di quel genio di Luigi, e decidi di fare lo scrittore è chiaro che qualche bernoccolo nella testa te lo vai a cercare. Se poi insegui il capolavoro assoluto sei proprio un masochista che vuole fare del male a se stesso e ai lettori.

    È intitolato Timor sacro Il romanzo di una vita di Stefano Pirandello che esce postumo da Bompiani a cura di Sarah Zappulla Mascarà.

    Del rapporto complicato tra Stefano e Luigi, con il giovane schiavizzato e colpevolizzato, si sa tutto o quasi – ne sono testimonianza le decine di lettere tra i due pubblicate recentemente nelle edizioni Sciascia – ; della sua consapevolezza di figlio di un genio che «non potesse essere un altro Pirandello oltre Pirandello», anche; del fatto che abbia pubblicato due romanzi e diciannove testi teatrali sotto le mentite spoglie di Stefano Landi, è altrettanto notorio. Ora questo libro indirettamente svela, al di la di ogni ragionevole dubbio, quanto l’ombra dell’ingombrante padre lo abbia depistato in territori minati.

    E mette a nudo tanti retroscena di una difficile convivenza in una famiglia, «ariosa quanto una camera a gas», schiacciata da un patriarca possessivo ed egoista e una madre insanita. Più che la critica letteraria di questo romanzo dovrebbe occuparsi la psicoanalisi.

    C’è tantissimo Pirandello, nel senso di Luigi, in questo Timor sacro: l’identico impianto in cui il narratore catapulta dentro la trama amicie parenti, cannibalizzandone psiche, fisico e tic; la stessa lettura su diversi livelli della realtà indagata. E ancora quella ricerca affannosa di un’innovazione nello stile e nei contenuti (ricordate i Sei personaggi in cerca d’autore o il più pretenzioso I giganti della montagna ?) dejà vue nella produzione letteraria del Nobel; il medesimo sforzo, ma con risultanti diversi, di entrare nelle teste di protagonisti e comprimari per montarne e smontarne,i meccanismi mentali.

    E, infine, lo sfoggio di una dispendiosa cultura filosofica, tanto per mettere in chiaro il suo spessore culturale. La differenza dei risultati sta tutta in un dettaglio: uno era un genio, l’altro una discreto scalpellino della parola; un buon letterato se non si fosse chiamato Pirandello. Non sono, infatti, male le sue opere, a cominciare da Il muro di casa con il quale nel 1935 – un anno prima della morte del padre – aveva vinto il Viareggio. Ma il raffronto con uno dei più grandi narratori del Novecento europeo, è davvero improponibile.

    La trama è una sorta di ragnatela in cui restano invischiate diverse vite: quella dell’autore che scarica le proprie pulsioni sul suo alter ego Simone Gei, protagonista del romanzo, che a sua volta è uno scrittore intento a raccontare l’esistenza dell’albanese Selikdàr Vrioni, diventato un eroe nell’Italia fascista per avere inventato un cannone a tiro rapido. L’uomo, sfugge a un destino di vendette come vorrebbe la legge della sua stirpe,e grazie alla sua genialità balistica segue l’esercito italiano e da noi diventa commendatore. Comincia da qui un gioco di specchi che rimbalza figure, le moltiplica in un continuo rimando tra autore, protagonista letterarioe personaggio che lui modella. Un guazzabuglio che finisce con il coinvolgimento di troppi. Figure che tracimano da ogni parte debordano fuori dalle pagine. Vengono in mente gli strani baccelli, embrioni di umani clonati dagli alieni, del film geniale di Don Siegel L’invasione degli ultracorpi (1956).

    Anche Stefano Pirandello entra nei corpi e nelle teste dei componenti del suo clan familiare e li allaccia ai suoi fili di puparo. Replicanti, funzionali al suo furore narrativo, che si muovono dentro un’Italia provata dal fascismo e dalla guerra, di cui Stefano, internato in un campo di concentramento tedesco, ne aveva assaporato gli orrori.

    Nelle pagine oltre ai parenti stretti, in una narrazione a chiave, sfila il corteo dei grandi testimoni del tempo: D’Annunzio, Malaparte, Croce, Savino, Gentile, Missiroli, Alvaro, Bontempelli. Ma anche Lenin, Balbo, Ciano, Chamberlain, Ciombè e altri protagonisti dell’epoca. «Fra fedeltà alla memoria e trasfigurazione letteraria, in un sottile turbinoso giuoco di rinvii, ribaltamenti, sovrapposizioni, con i componenti della famiglia Pirandello, s’accampano esponenti di primo piano della politica e della cultura – come scrive la Zappulla nella prefazione – In un’alchemica combinazione di storia individualee collettiva, il romanzo Timor sacro, mescida vagabondaggi affabulatori con episodi realmente accaduti». E la sua memoria non è il deposito delle cose accadute ma è un continuo rimescolamento tra vero, verosimile, falso interiorizzato che diventa più vero del vero «vissuto di striscio». Senza alcun pudore nei confronti di coloro che quelle vicende hanno visto da vicino, testimoni scomodi di una verità che l’autore, così come aveva fatto il padre, manipola a suo uso e consumo. È la magia della letteratura e del teatro. Ma anche una scappatoia di Stefano per sfuggire a una vita da “vinto”. Seguendo per altre strade quel che avevano già fatto la sorella Lietta straniera in Argentina al seguito del marito, il fratello Fausto profugo a Parigi per mettere in salvo la sua pittura dai malefici influssi paterni. Rimanendoi due maschi entrambi succubi di una visione del mondo nel segno del disfacimento, come provano le figure colorate di Fausto e i personaggi di carta di Stefano. Baccelli di quegli umani “visitati” dagli alieni.

    – TANO GULLO

  187. Mi fa piacere constatare che questo post continua. Grazie a Laura Marullo per gli aggiornamenti

  188. Cara Laura, cari lettori e frequentatori di questo post…
    Domani Sarah Zappulla Muscarà sarà ospite del mio programma radiofonico.
    Trovate informazioni sul post attualmente in evidenza.

  189. Caro Massimo, un invito per te e per tutti i tuoi ospiti, oggi pomeriggio, alle ore 17,30, alle Ciminiere, Simonetta Agnello Hornby, Vicente Gonzalez Martin e Sarah Zappulla Muscarà relazioneranno su “I Pirandello” soffermandosi naturalmente su Timor sacro.
    Vi aspettiamo!!!!!

  190. In Timor sacro, il romanzo inedito – ora pubblicato
    da Bompiani a cura di Sarah
    Zappulla Muscarà – che ha impegnato per tutta la vita il primogenito di Luigi Pirandello,
    in arte Stefano Landi, ci imbattiamo in Mastro Titta, il famoso Boia pontificio qui ridotto a
    balocco, donato da un padre a
    un figlio per la sua festa, dentro una delle storie di cui il libro prolifera. Già il Boia, col
    suo carico di volute rifrazioni
    allegoriche: e cioè, come ancora si legge nel romanzo, quell’
    autorità che, quando è in azione, può far diventare «fittizie»
    tutte le altre in carica, comprese quelle «del Papa e del Duce». Sarà magari un caso: ma il
    1936 (nel cui segno Timor sacro
    si conclude), quando cioè muore il padre Luigi, è anche la data dopo cui arrivano, per lo
    scrittore Simone Gei (il protagonista alter-ego dell’autore),
    «anni (…) di mai visto fervore»,
    la stessa data in cui Stefano
    Landi congeda la commedia
    Un padre ci vuole, là dove – ancora Savinio – «un figlio fa da padre al proprio padre».
    Di certo, quello della paternità, nelle sue declinazioni psicologiche, civili e religiose, direi
    proprio nelle sue precoci e lungimiranti, modernissime, implicazioni bio-politiche, resta il
    gran tema del romanzo. Certo,
    come sottolinea Zappulla Muscarà nella prefazione, Timor
    sacro rappresenta anche un
    esempio, in largo anticipo sui
    tempi, di metaromanzo: se è vero che accampa in primo piano
    la vicenda, impossibile da riassumere, di Simone Gei impegnato a raccontarci, in un complicato giuoco di specchi coi
    suoi personaggi, del tentativo
    di scrivere un libro su un giovane albanese fuggito dalla sua
    patria, in vista del miraggio della fascistissima e civilissima Italia, per essersi rifiutato di vendicare l’assassinio del padre, e destinato a un’integrazione inizialmente gloriosa. Tutto ciò, non
    senza arenamenti, accelerazioni e digressioni, se non depistaggi: nella piena consapevolezza intellettuale dell’esperimento, compresi i rischi d’apologia politica.
    Epperò, dei due motivi – il metaromanzo e la vischiosa resa dei
    conti autobiografica -, entrambi registrati da Zappulla Muscarà, proprio il secondo mi pare di gran lunga il più importante e suggestivo: sferragliando il
    primo, non senza rugginosi cigolii, sui binari morti del secolo
    appena trascorso, per mera
    inerzia documentale.
    Una famiglia eccezionale, un
    paesaggio culturale con molti volti noti e riconoscibili, un ventennio
    lugubre e faticoso in orbace: è a
    questo livello che, in Timor sacro,
    lo scandaglio di Stefano Landi non
    può avere rivali, per forza di un’
    esperienza unica e privatissima,
    ma anche per singolarità di categorie interpretative, non solo letterarie. Che Stefano Landi sia stato
    un personaggio di primissimo ordine – come il fratello Fausto del
    resto, pittore eminente -, è dimostrato benissimo ora dai tre volumi in cui, nel 2004, Zappulla Muscarà ha raccolto sempre per
    Bompiani Tutto il teatro, e dalla
    biografia, di quasi 400 pagine, che
    vi ha premesso: solo l’aver avuto
    quel padre lì, ne ha potuto ritardare, ancora oggi, il riconoscimento.
    Ma è stato anche il passaggio sotto quelle forche caudine che gli ha
    fornito le chiavi per interpretare
    la nostra orfana modernità: a partire appunto dal padre. Ne è venuto fuori uno dei romanzi più misteriosi del Novecento italiano.

  191. Divagazione per accendere e attualizzare il dibattito. Cito l’intervento di Delia Sambataro. <>

    Per Delia che cita:”..scisso com’è tra volere e dovere, tra sentimento e ragione, non resta che la fuga dalla famiglia”. Vorrei chiedere Cosa succede quando si fugge anche dall’amore ? Quale Timor di Dio se con un comportamento carico di egoistico disinteresse, si ferisce? a che serve la poesia e il romantico se si voltano le spalle a chi per anni ci ha amati,rispettati, non traditi… si uccide l’altro con una frase? A che serve la poesia, lo studio, la ragione, i voti belli, la carriera..se po si ferisce privi del timor di Dio?se ci si trasforma in bestie, che non vedono più l’altro..e ci si dimentica che l’uomo è tenuto a comportamenti eticamente e umanamente corretti, è tenuto ad avere Timor di Dio?? Infondo “non Uccidere” è un comandamento e non si uccide solo fisicamente.Chi uccide viola una norma dettata da Dio e dimostra di non averne timore, nel agire scorrettamente, nel ferire, nello scomparire… si uccide. Fuggire dalla propria famiglia è un delitto grave, voltare le spalle a chi ci ama è un vero e proprio omicidio. Tradire la fiducia è un comportamento screanzato. Come mai spesso proprio i poeti e i grandi autori, che cantano l’amore,le persone apparentemente buone e docili, hanno per prime un comportamento del genere?? Grazie per l’eventuale risposta e buon Natale.

  192. @ Paolo
    gesù fu venduto da uno dei suoi apostoli. un altro apostolo lo rinnegò tre volte mentre moriva.
    l’umanità è questa, ma non bisogna disperare.
    inoltre credo che i poeti e gli scrittori non cantino affatto l’amore. ma quando mai?
    la maggior parte delle loro opere, da che mondo e mondo, dipinge l’umanità con tutti i suoi vizi e le sue nefandezze.
    in generale, poi, il timor sacro pare quasi un sentimento fuori moda. non sarebbe male riappropriarsene. intanto per sé, prima che per gli altri.
    buon Natale a te.

  193. Il «Timor sacro» di Pirandello jr, versione romanziere

    Esce il romanzo del figlio del premio Nobel per la letteratura che per tutta la sua vita lavorò e sudò su queste pagine per raccontare il fenomeno di un’opera di narrativa raccontata nel corso del suo divenire

    di Stefano Giani – 22 novembre 2011

    Sarah Zappulla Muscarà che di Pirandello è una delle maggiori esegete viventi ha definito «Timor sacro» (Bompiani, pp. 336, euro 14) di Stefano Pirandello «il romanzo di tutta una vita». E racchiude in poche brevi parole la verità più eloquente che si può esprimere sul conto di un libro che è una magmatica realtà di parole che descrivono il divenire di un’opera. In «Timor sacro» entrano infatti episodi di vita vissuta, personaggi con i quali l’autore fu o entrò in contatto, il rapporto col padre Luigi premio Nobel, i legami con la propria famiglia. Nondimeno e’ al tempo stesso un romanzo che descrive se stesso. Nel senso che illustra il travaglio di una creazione, quella appunto di un romanzo nel suo farsi. Nel suo diventare vita. Nel suo essere storia.
    E la storia infatti non è raccontabile, ne’ è possibile descriverla se non per succinti capi. Perche’ si tratta di un’esistenza che si specchia in una sua controfigura. Simone Gei, alter ego dell’autore, è uno scrittore impegnato nella stesura di un volume di esaltazione del fascismo, che si contrappone a Selikdar Vrioni, sfuggito alle arcaiche leggi di vendetta privata contro la sua stirpe. In questo continuo gioco di rimandi e di alternanze procede la narrazione di due «vite a specchio» che si fermano, riprendono, decollano, dibattono con loro stesse e i mille personaggi che le attraversano.
    «Timor sacro» è infatti ricchissimo di vagabondaggi affabulatori riguardanti episodi realmente accaduti che si fondono come un tutt’uno, talvolta, oltre che con balzi di fantasia ed esperienze psicologiche personali. Compare così il tema della pena di morte insieme alla figura del boia e alle leggi razziali che si accavallano con il forte legame Stefano-Luigi. Figlio-padre. Entrambi scrittori. Il primo soggiogato dall’imponente statura del secondo, premio Nobel per la letteratura. E da questa forma di soggezione Stefano si affranca scrivendo il proprio romanzo, questo «Timor sacro» che costituisce la sua parola da regalare ai posteri. Il libro infatti attraversa tutta la vita di Stefano e ora vede le stampe in pubblicazione postuma (morì il 5 febbraio 1972) perch´ l’autore non smise mai di lavorarci. Di ricorreggerlo. Di aggiungere episodi e modificarne altri. Oltre agli scritti per il teatro, di Stefano Pirandello ci è rimasto «Il muro di casa» con cui vinse il premio Viareggio nel 1935, ancora vivo papà, all’alba dei suoi quarant’anni.
    Lettura d’impegno che costringe il lettore a uno sforzo continuo di concentrazione per non perdersi nei mille rivoli in cui il libro appare segmentato, nel tentativo di descrivere le ansie e le domande cui si sottopone uno scrittore al momento di creare, queste pagine danno vita e voce a personaggi che hanno fatto grande la letteratura italiana di questo secolo. Da Alvaro a Bontempelli. Da Malaparte a D’Annunzio. E personaggi storici come Galeazzo Ciano e Giuseppe Bottai. O uomini di cultura come Alberto Savinio e Silvio D’Amico. In un eterogeneo svolgersi di accadimenti.

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