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Come catanese non potevo esimermi dal prendere posizione sulla tragedia che ieri sera ha investito la mia città.
Catania tra lutto e vergogna. Catania tra rabbia e incredulità.
Non mi soffermerò molto sulla cronaca. La conosciamo tutti.
In occasione del derby calcistico Catania–Palermo, a seguito di scontri tra bande criminali e forze dell’ordine, è deceduto il poliziotto Filippo Raciti, 38 anni. Filippo lascia la moglie e due figlie.
Questo il fatto più grave. Un morto. E un centinaio di feriti. Un vero e proprio bollettino di guerra.
Chi ha visto le immagini in Tv le avrà scambiate per scene da guerriglia urbana. Un quartiere messo a ferro e fuoco. Da non credere.
Sembravano immagini provenienti da Bagdad, o dal repertorio più aspro degli “anni di piombo”. Invece eravamo a Catania, in una serata del 2 febbraio 2007. Una serata che avrebbe dovuto celebrare il giusto orgoglio siciliano, perché le squadre di calcio delle due più importanti città si incontravano per disputare una partita del massimo campionato partendo da posizioni di classifica invidiabili (terzo e quarto posto). Invece la festa si è trasformata in tragedia. Una tragedia annunciata, ha detto qualcuno. E la tragedia ha generato morte.
È inaccettabile subire qualcosa del genere per consentire lo svolgimento di una partita di calcio. Questo il senso dei messaggi che sono giunti da più parti: dal mondo del calcio a quello della politica, dalla gente comune ai vip. È inaccettabile. E la rabbia si frammischia al dolore per la perdita di Filippo. E il pensiero va alla moglie e alle figlie che non vedranno mai più il marito e il papà. Perché Filippo doveva semplicemente contribuire a garantire l’ordine pubblico durante lo svolgimento di una partita di pallone. E invece è morto nel corso di uno scellerato attacco criminale. Filippo è un caduto di guerra. Solo che non sapeva che stava andando a combattere.
Catania, oggi, è al centro del mondo. Ne parlano nei network internazionali, ne scrivono sulle più importanti testate giornalistiche del globo. Fioccano le immagini di una vergognosa battaglia accompagnate da commenti sferzanti.
È dura essere catanese oggi. È difficile accettare che l’immagine della propria città – una città difficile, certo; contraddittoria – circoli solo come immagine indecente di avvenimenti incivili e scellerati.
Attenzione, però. La tragedia si è svolta a Catania, ma sono tanti i palcoscenici in cui lo spettacolo potrebbe ripetersi.
Il campionato di calcio si ferma. È giusto che sia così. Bisogna fare un esame di coscienza. Privato e collettivo. Bisogna interrogarsi sulle responsabilità, su tutto quello che si poteva fare e non si è fatto per evitare la tragedia.
Spero, però, che non si commetta un grave errore. Sarebbe troppo semplice, e semplicistico, additare ciò che è successo come mero male del calcio. Sarebbe semplice. E miope.
La tragedia di Catania si è consumata al di fuori dell’impianto sportivo. I protagonisti negativi sono stati gruppi di giovani, per lo più minorenni. E non uno sparuto gruppuscolo, ma un drappello consistente. Armato e organizzato. E che ha agito, molto probabilmente, in maniera premeditata. Bande di giovani criminali contro le forze dell’ordine. Gruppi di disadattati contro lo Stato. Se non si capisce questo, sarà impossibile risolvere il problema.
La nostra società è malata, signore e signori. E la malattia interessa una parte significativa delle cellule più giovani del suo organismo. Il calcio è solo un pretesto, un’occasione. Un’occasione di comodo, certo. Perché i giovani criminali possono travestirsi da tifosi e mescolarsi con la folla nella speranza di agire nell’impunità. Perché possono confondersi tra le fazioni di tifosi più estreme (che, al massimo, possono arrivare agli insulti e agli epiteti ingiuriosi).
Potremmo fermare il campionato di calcio per più turni. Potremmo bloccare l’intera stagione. Potremmo decidere che, da ora in poi, le partite di calcio si giocheranno a stadi vuoti e chi vorrà seguirle potrà farlo solo sulle pay tv (con grossa libidine e sfregamento di mani da parte di network televisivi e sponsor). Ma avremmo risolto il problema alla base? Non sarebbe, forse, come decidere che un malato che non riesce a digerire, perché ha un tumore allo stomaco, debba astenersi dal cibo? Se il malato non riesce a digerire per via di un tumore allo stomaco la cura non può essere l’astensione dal cibo. Bisogna tentare di estirpare la vera causa del male: il tumore. A costo di asportare una porzione di stomaco.
Perché questi giovani si organizzano in bande criminali? Perché si armano fino ai denti come se dovessero andare sul fronte? Perché attaccano le forze dell’ordine e dunque lo Stato? Qual è la causa della loro frustrazione? La disoccupazione? La mancanza di ideali? L’una e l’altra? O ci sono altri motivi ancora?
Fin quando si continuerà a sostenere che questo è un problema del calcio, o solo del calcio, fin quando non si riconoscerà che si tratta piuttosto di una grave malattia sociale, non credo che avremo la possibilità di giungere a una soluzione vera ed efficace.
Eliminando il calcio è probabile che questi giovani disadattati trovino altre vie per dar corso al loro barbaro sfogo. Quali potrebbero essere le occasioni alternative? Concerti rock? Comizi politici? Qualunque altro evento capace di coagulare folle tra cui nascondersi e agire?
Oppure potremmo decidere di eliminare qualunque occasione di aggregazione. Potremmo rintanarci nelle nostre case e chiudere la porta a chiave. Cosa potrebbe accadere? Che questi giovani sbandati si organizzino in bande rivali per combattersi a vicenda e scaricare così la loro barbara rabbia?
Credo che bisognerà porsi queste domande se c’è davvero la volontà di risolvere il problema. Credo che bisognerà guardarsi allo specchio e riconoscere la malattia.
La soluzione non è a portata di mano. La strada sarà lunga e impervia. Bisognerà coinvolgere sociologi, psicologi ed esperti vari. Nel frattempo temo sia essenziale fare ricorso a misure preventive e repressive, partendo dallo slogan tolleranza zero recitato da più parti. L’importante, tuttavia, è non dimenticare che queste misure saranno dettate dall’esigenza di trovare nell’immediato soluzioni tampone, dunque superficiali e temporanee.
Chiedo al Sindaco della città e al Presidente della Provincia, così come al Presidente della Regione e alle Istituzioni centrali, di impostare i tavoli di lavoro partendo anche dalle suddette considerazioni.
Chiedo alle società di calcio di non cedere al ricatto dei teppisti e di collaborare di più con le Istituzioni per isolare le bande criminali e guerrafondaie.
Chiedo ai tifosi di Catania e Palermo – quelli veri – di incontrarsi e di ragionare insieme sul futuro del calcio siciliano. Forse potrebbe essere un gesto opportuno partecipare congiuntamente ai funerali di Filippo Raciti tenendo gli stendardi di Catania e Palermo calcio l’uno accanto all’altro. Un segnale contro la violenza e la morte. Un segnale per dire che il calcio e il tifo vero si ribellano alle vergognose strategie da guerra urbana.
Chiedo al Presidente del Catania calcio, il dr. Pulvirenti, di non mollare.
Lei, Presidente, ha dato un sogno ai catanesi e ha fatto in modo che quel sogno si trasformasse in realtà. Ha fatto sì che Catania si presentasse sul palcoscenico nazionale, e non solo, con un’immagine – una volta tanto – positiva.
La prego Presidente, non rinunci al sogno. Non si pieghi alle barbarie. Non è questo il calcio. Il calcio è quello che ha portato lei nella nostra città. Per oggi chiniamo il capo di fronte alla morte e al dolore. Stringiamoci tutti intorno alla famiglia Raciti. Poi, però, rialziamo la testa e rimbocchiamoci le maniche. Tutti.
Perché Catania non è quella vista nella maledetta sera del 2 febbraio 2007.
Catania è altra cosa.
È bene che si sappia.
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Massimo Maugeri
03 febbraio 2007
Mentre scrivevo questo pezzo mi è arrivato in posta elettronica il contributo da parte del narratore romano Sergio Sozi che attualmente vive in Slovenia. Inserisco il suo contributo come commento successivo a questo.
Violenza nel calcio: ecco le soluzioni drastiche
Mentre scrivo (verso la mezzanotte del 2 febbraio 2007), i tigì enunciano le orrende cifre dei disordini di Catania-Palermo: feriti a decine, fermati (troppo pochi mi sembra, in confronto alla quantità di poliziotti finiti all’ospedale), un Tutore dell’Ordine addirittura ammazzato. Assassinato da qualcuno che andrebbe infilato in gattabuia (buttando la chiave) e poi tenuto a pane e acqua per il resto dei suoi giorni. E non sto – per carità cristiana – dicendo TUTTO quel che penso e sento nei confronti di quel bastardo assassino. Aprirò invece il mio cuore e il mio pensiero senza alcun riserbo nell’indicare i ”semplici ma impossibili” rimedi seri per questo cancro italiano che da troppi decenni è divenuto il calcio & annessi e connessi.
Ecco i rimedi, dunque. QUELLI SERI, ANZI GLI UNICI VERAMENTE UTILI PER DEBELLARE IL FENOMENO VIOLENZA NEGLI STADI (e naturalmente mi sto rivolgendo soprattutto a chi ha il potere di metterli in atto sin da subito):
1) Basta vigilanza a spese pubbliche negli stadi durante le partite. La Forza Pubblica dovrebbe esser garantita solo come se un incontro di calcio fosse una manifestazione come un’altra (che so: la sagra del paese, le celebrazioni del Santo Patrono). Le società delle squadre che giocano le partite dovranno provvedere A PROPRIE SPESE a garantire la sicurezza negli stadi occupati dalle loro formazioni calcistiche. E qualsiasi danno a persone o cose saranno dunque le medesime società a doverli, PER LEGGE, rifondere. Insomma così dovrebbe essere, per esempio: Milan-Roma, mettiamo al San Siro: presenti dieci poliziotti in tutto e duemila incaricati di sicurezza privati, pagati dal Milan e dalla Roma. Un ferito nell’area dello stadio? Pagano (anche come responsabilità penale) fifty-fifty il Milan e la Roma; un’auto danneggiata? Pagano sempre loro; una cabina o un cassonetto distrutti? Il conto alla Roma e al Milan. Fifty-fifty. Sempre. Nel saldare i danni e nell’assunzione di responsabilità penale o civile. Nel caso che le società desiderassero una forza pubblica speciale, dovrebbero corrispondere loro lo stipendio giornaliero ai poliziotti impegnati in loco, pur sempre assumendosi le responsabilità penali e civili per quanto di controproducente accada nell’area dello stadio a persone o cose.
2) Semi-oscuramento mediatico del fenomeno calcio: niente più programmi a questo dedicati o trasmissione di partite; dunque basta con la attuale, esagerata, diffusione di questo sport in televisione. Nel caso che le società desiderassero usufruire di spazi televisivi, LI PAGHINO SALATISSIMI ed entro un risicato limite temporale (che so: un’ora in tutto a settimana).
3) Campagna assidua e incessante di Pubblicità Progresso che dica, in soldoni, ai telespettatori (ma anche sulla carta stampata e alla radio) la verità nuda e cruda: ”Cittadino! Andare a vedere le partite di calcio è un rischio per te e per i tuoi familiari: pratica direttamente lo sport, invece che andare a farti accoltellare in un anonimo e orrendo stadio. A meno che tu non voglia veder sanguinante il tuo figlioletto o tua moglie”.
4) Succede qualche altro fattaccio anche dopo l’attuazione di questi provvedimenti? Quasi nessuno lo sappia. Niente enfasi alla notizia: che la cosa non riscaldi ulteriormente la testa della tanta gentaglia repressa e violenta che circola in Italia.
5) Nelle scuole pubbliche: diffusione di modi alternativi (sono tantissimi) di aggregazione sociale, in maniera che i giovani valorizzino, alla fine della Scuola dell’Obbligo, più un libro che un calcio al pallone. Senza criminalizzare il calcio, beninteso, ma badando bene di non fargli alcuna pubblicità.
In sintesi: basta con la fomentazione dei disordini da parte della televisione. Basta con la responsabilità (economica) civile e penale della Forza Pubblica (cioè delle nostre tasche): privatizziamo seriamente anche gli eventi sportivi a rischio (ovvero tutti, compresi quelli non professionali). Torniamo nell’area del buon senso: le società sportive guadagnano con il calcio, dunque paghino i danni del calcio. Individuino i criminali responsabili di azioni illecite, altrimenti paghino per loro in tribunale. Oltre a questo, ovviamente, andrebbero risolti i problemi italiani che stanno a monte delle violenze calcistiche (ma per farlo ci vuole molto tempo): servono più lavoro e sicurezza sociale, un’acculturazione media molto più elevata, un sussidio di disoccupazione per tutti, delle maggiori garanzie, nonché più tranquillità e armonia sui luoghi di lavoro, il rilancio degli impieghi utili ma bistrattati – come quello agricolo e culturale. Serve una riumanizzazione generalizzata del nostro Paese, se no andiamo ”a carte quarantotto”, come si dice. Allo sfascio.
Sergio Sozi
Che dire dopo un commento cosi? Ha già detto tutto…Sono pienamente daccordo…
Anch’io da (quasi) catanese provo vergogna..anch’io ho sentito il bisogno di scrivere…(ieri e oggi)per capire, elaborare, elaborare e riparare..senza edulcorare la realtà…ch’è di tutti..e la facciamo tutti noi, “ben pensanti” e “ben integrati” compresi..(compresi quei ragazzini violenti fermati…magari di “buona famiglia”..)
Salute,
Frida
tristezza, vergogna e testa bassa.
Pensando a Catania.
Avevo idea che il mondo fosse buono e bello
Avevo idea che i sogni si realizzino
Avevo idea che ci si amasse tutti
Avevo idea che si nascesse giusti, onesti e fedeli
Avevo idea che i ricchi aiutino i poveri
E i poveri prima o poi non ci fossero più
Avevo idea che lo sport del calcio ci rendesse felici
Avevo idea che ci fossero uomini che per il loro lavoro e come esseri umani
fossero da rispettare al massimo:
i bambini
i genitori
i fratelli
gli amici
i sacerdoti
i medici
i maestri
e i poliziotti tra i primi.
Avevo idea che la vita avesse lo stesso valore per tutti
Avevo idea che ci fosse per ognuno di noi egualmente
Il sole
La luna
Acqua e Pane
Giustizia e Gioia
Ma cielo e terra
Non si incontrano sempre
E tra cielo e terra vedo che
c’è l’Inferno!
Avevo idea…..avevo….. (mgc)
2 febbraio 2007
Non sono per niente d’accordo sul fatto che vengano sospese le partite.
La responsabilità penale è personale: chi commette un reato va perseguito. Punto. Sospendere le partite è la via più breve per nascondere le inadeguatezze del Ministero dell’Interno in materia investigativa/preventiva. Anche progettare reati è un reato.
“Ich ein Berliner” disse Kennedy davanti al muro.
“Mi sento Catanese” davanti al muro umano della vergogna.
La stessa amplificazione mediatica non c’è stata per Napoli, quando sono stati assaltati i poliziotti dalle famiglie dei criminali, perchè non c’è stato il morto, ma la gravità è pari se non superiore.
Quando cittadini assaltano le polizie è perchè sono lo strumento offensivo di una dittatura e in questo occidente devastato dalla commercializzazione sfrenata l’unico dittatore è il Dio Euro e il suo diabolico attuale mezzo, la televisione.
Quando un ragazzo mi dice di conoscere Pippo Franco e Cornacchione (ai giovani piace l’umorismo)e non Bergonzoni e Luttazzi, la cosa è grave (Gaber? Era uno di Al-Quaeda?).
I rimedi? Ma adesso come fai a togliere i telefonini e la pubblicità dei gipponi? (“Solo 175 euro al mese per un Mercedes? e loro ci credono!)
Li condanni a venti giorni di reclusione in una Libreria Feltrinelli?
Si signori, da vecchio pacifista di sinistra, dobbiamo chedere “tolleranza zero”, prima che accada l’irreparabile, prima che gruppi di cittadini si possano organizzare in “ronde private”, prima che rinasca una “Volante Rossa”, e il rischio c’è.
Qualcuno ricordi “Il Borghese piccoplo-piccolo”, capolavoro di Alberto Sordi. Non vorrei vedere ragazzini-teppisti lasciati uccisi all’angolo di una strada, senza processo con la scritta dietro le spalle:”Banditen”!
Sarebbe la morte di questa ipocrita civiltà, ma può accadere.
Catania non è fatto isolato, quindi riengo legittimo sospendere l’oramai utopico gioco. Avete asscoltato l’inervista dell’ultras ripreso di spalle? Una cosa si può affermare olte al dolore “anche la vergogna si turberebbe.”
caro Massimo, mi aggiungo al coro dei tristi, doloranti, delusi. E credo che sia sempre più importante ripartire dal basso. Dalla scuola, dalla famiglia, persino dall’oratorio e dalle sedi di partito. Dalla televisione spenta e dai cartoni animati. Dalla musica e ovviamente, dallo sport. Se questa nostra “migliore” gioventù finisce così è perchè lo specchio rimanda violenza, aggressività, rancore, rabbia. Ognuno di noi cova, reprime, contiene. Qualcuno per noi esplode. C’è tutto da rivedere ma nessuno può chiamarsi fuori. Buona settimana. Stacco la spina per un po’. Ti abbraccio.
Elisabetta
Caro Massimo, ho letto solo ora il tuo emozionato ed emozionante intervento sui dolorosi fatti di Catania. Il caso ha voluto che il primo intervento arrivasse dalla Slovenia, dalla ex-Jugoslavia, luogo in cui, in civile epoca moderna, si è scientificamente sperimentato l’utilizzo della violenza potenziale dei giovani sbandati. Qualche anno fa, quando il giorno della Memoria non era ancora stato ufficializzato, organizzai a Lecco una serie d’incontri sul tema dei fascismi; tre serate a cui parteciparono, figure diverse e a vario titolo rappresentanti della Comunità ebraica di Milano, giornalisti e profughi dell’ex Jugoslavia, sindacalisti, sacerdoti e insegnanti. Avanzammo dei raffronti fra lo sterminio organizzato in epoca nazista e le atrocità della guerra che, grazie alla complicità e/o all’indifferenza dei Paesi europei, si stava compiendo a pochi passi da noi. Gli slavi parlarono del calcio; dei giovani tifosi reclutati dai “signori della guerra” ( Raspodari rata , se non ricordo male era il titolo di una mostra organizzata per l’occasione) e impiegati come macellai criminali nelle azioni di pulizia etnica. Di fronte al nostro domandare incredulo, un giornalista ci rispose con queste parole “anche qui è possibile, anche voi avete una massa bruta, disgregata, amorale, bestiale, pronta a vendersi e a trovare un posto da protagonista; sono a disposizione, come lo erano da noi, per i disegni più oscuri. La grande massa disumanizzata che aumenta ogni anno in modo esponenziale, occupando e invadendo ogni spazio, dalla scuola agli oratori.”
Tornando all’oggi, nell’ultimo bollettino parrocchiale, il “Don” che si occupa dell’Oratorio, si rivolgeva ai fedeli chiedendo aiuto con una lettera aperta, bella ed argomentata. “Cosa fare con questi giovani che stanno seduti sui gradini della chiesa, che bestemmiano, rompono panchine, sporcano, urlano, sfregiano le macchine? Fino a quanto siamo rassegnati ad aver paura dei nostri figli?”
Siamo noi che facciamo paura, ed Elisabetta ha ragione: dobbiamo rimetterci in discussione.
Un abbraccio, Miriam
Ricevo una mail dall’Australia da parte di Antonio Casella.
Antonio Casella è uno scrittore australiano, che scrive in lingua inglese, nato in Sicilia (dove ha vissuto la parte iniziale della sua vita).
* * *
“Caro Massimo,
Mi dispiace tanto per Catania, citta’ che ho nel cuore, e per i suoi cittadini. Purtroppo questo colpo ferisce non solo Catania ma l’immagine di tutta la Sicilia all’estero, e nel resto d’Italia. Ho poco d’aggiungere a cio’ che tu hai scritto con grande passione. Direi solo che al di la’ di un dovuto senso di oltraggio, serve un po’ si sangue freddo per prendere delle misure forti e decisive, ma anche a non darsi al ‘over-reaction’ che potrebbe fare il gioco di questi teppisti. Non so, per esempio, se sia stata cosa giusta fermare tutto il campionato. Potrebbe far capire, ad elementi di questo tipo, che un atto folle ha il potere di destabilizzare tutto il paese. Nella logica del teppista potrebbe sembrare come un invito a ripeterlo altrove per poter creare anarchia.
Spero comunque che il tuo post: forte e accorato abbia effetto positivo sulle autorita’.
Un abbraccio,
Antonio Casella”
Purtroppo la squadra di calcio avversaria da concorrente con cui competere si sta via via trasformando in un nemico da abbattere con ogni
mezzo.
Troppo spesso, dietro un rigore negato s’innesta un delirio collettivo
che fa perdere l’equilibrio, anche a troppa gente apparentemente normale, non solo a gruppi terroristici organizzati.
Credo che gli stadi dovrebbero passare dai Comuni alle Società in modo che siano quest’ultime a dover garantire l’ordine sociale. I molti miliardi a loro disposizione per l’acquisto di calciatori potrebbero, in parte, venire utilizzati per le necessarie ristrutturazioni.
Che dire?
Sono desolato, dispiaciuto, amareggiato.
Amo moltissimo il calcio sono tifoso della mia squadra (Cesena) e mi reco spesso allo stadio.
Vado in curva e qualche volta canto i cori degli ultras, ma quando fanno cori offensivi contro la polizia mi metto a braccia conserte e sto ocn la bocca chiusa, perchè attaccare coloro che devono fare rispettare l’ordine, piena solidarietà alla polizia.
Caro Massimo, che scrivere?
La tua analisi è completa. Mi preme solo sottolineare che i criminali di venerdì sera non hanno niente in comune con l’amore per il calcio, e con il calcio stesso: si trovavano lì per causare disordini, incidenti, creare una guerra vera e propria. Poi da stamane “tutti devoti” a S. Agata! L’immensa “devozione” purificherà i loro animi, dopo aver distrutto una famiglia e infangato i colori di una città e della sua squadra! SI VERGOGNINO! La “Festa” per questi criminali è solo un’altra occasione di rendersi protagonisti. Non mi risulta che l’omicidio del prossimo sia contemplato nella religione cattolica.
Riflettiamo e cerchiamo di ritrovare i veri valori, il rispetto per le forze dell’ordine, il rispetto per la vita.
Un saluto
Caro Massimo, da catanese avverto la necessità di dichiarare la mia piena condivisione della tua analisi e del tuo appello. Concordo, infatti, con la tua opinione (e, a quanto ho letto, non solo tua) secondo cui le cause di tali efferati e incomprensibili gesti siano da ricercare allargando lo sguardo all’intera nostra società (malata). Mi unisco anche al cordoglio per l’agente di polizia ucciso. Voglio aggiungere che, a mio avviso, l’atto di esprimere la propria indignazione impegni già ciascuno di noi in un’analisi della realtà che è, essa stessa, una presa di coscienza di quest’ultima. E ciò è bene. Perchè spinge a interrogarsi su possibili rimedi. A partire dalla nostra singola realtà, per quanto piccola possa essere. Purché non si dimentichi la propria coscienza, la ragione, la Costituzione e (se la si ha) la propria fede religiosa.Componenti, queste, che dovrebbero essere presnti nell’educazione dei giovani, per evitare che possano andare alla deriva perché spinti da valori distorti e/o distorcenti e accecati da un fanatismo che incanala e supporta impulsi violenti e omicidi di cui si serve, poi, la criminalità organizzata. A tale proposito, scuote e interroga il bello ma inquietante articolo di Emanuela Audisio, apparso su “Repubblica” di domenica 4 febbraio 2007 in cui è riportata un’intervista condotta dalla giornalista ad un giovane ultrà catanese appartenente ad una “normale” famiglia. Scuote ed interroga il fanatismo assoluto di questo giovane che associa l’attaccamento alla propria squadra di calcio, a quello per il proprio il proprio gruppo, e, perfino, a quello per la devozione verso Sant’Agata, patrona di Catania, festeggiata in questi stessi giorni.E tutto, considerato da una prospettiva eccessivamente campanilistica che non può escludere la violenza. Scuote e interroga me, la mia coscienza di credente, e conduce a chiedermi sul modo con cui vengono trasmessi ai giovani passioni sportive, appartenenze a determinate comunità, devozioni religiose, tutte cose positive in sé, per carità, ma che si possono rivelare tragicamente esplosive in un contesto distorto. Come si è visto. Purtorppo.
Saluti.
Gabriele Montemango.
Parole sagge, sia quelle di Massimo che quelle di Sergio, e saggi anche molti degli interventi che a queste seguono. Il calcio monopolizza la vita di troppe persone. vedono solo quello, si occupano solo di quello. Dietro c’è il vuoto. Invece l’amore per lo sport, per il calcio, dovrebbe essere sempre accompagnato da un senso di misura, dalla consapevolezza che la vita è anche altro. Così si abbassano i toni, si ridimensiona il tutto.
Aggiungo che molti giovani che vivono, per loro sfortuna, in quartieri violenti, a rischio – e dove la Polizia raramente si fa vedere – crescono con l’abitudine a infrangere le leggi, a non riconoscere il ruolo dei tutori dell’ordine. Fino a quando, trovandosi in talune circostanze, come una partita di calcio, per giunta un derby, si trovano di fronte i poliziotti e i carabinieri, cui loro non attribuiscono, sbagliando grandemente, un ruolo importante e istituzionale. Allora reagiscono, increduli che qualcuno in divisa possa loro dare ordini; reagiscono per ignoranza, verrebbe da dire, ignoranza delle più elementari norme di vivere civile. Vedono i poliziotti come nemici, non come giovani che, per uno stipendio non alto, fanno questo lavoro pericoloso. E li aggrediscono, li odiano (scritte sui muri). E’ soprattutto ignoranza, poca conoscenza del mondo in cui vivono. In una parola, immaturità.
Allora istruiamoli, in una scuola cambiata e migliore. Allora blocchiamo sul nascere le manifestazioni di intolleranza e di offesa alle leggi. E abituiamoli, da domani, e per sempre, a vedere le macchine della Polizia e dei Carabinieri passare, tranquille e lente, in tutti i loro quartieri. Solo allora, a poco a poco, le Forze dell’ordine potranno essere capite, accolte, rispettate, potranno svolgere bene e con compiutezza il loro lavoro, come in molti Paesi civili; ma anche in quelli reazionari e dittatoriali.
Questo non è da considerarsi un augurio per uno Stato di polizia, che è cosa sbagliata; bensì un invito a dare alla Polizia i mezzi necessari; e immettere gli agenti in un’atmosfera nuova, in cui muoversi con agilità e senza tensioni.
Insomma, la legalità, innanzi tutto.
Ciao Massimo, sono assolutamente d’accordo con te (e con la maggior parte degli altri che sono intervenuti), non c’è altro da aggiungere; spero solo che stavolta ci sia una vera svolta e che non finisca come altre vicende italiche a “tarallucci e vino” e che si trovi il coraggio di reagire da parte di tutti noi, e non solo dalle istituzioni.
Le leggi esistono e basta applicarle, anziché prorogare le deroghe alla normativa Pisanu.
Se questa società vuole continuare a considerare il calcio e il mondo che ruota attorno, come zona franca dove far violenza, beh io di questo calcio posso anche fare a meno.
E un’ultima cosa: ci siamo accorti della violenza allo stadio solo dopo il morto. E’ troppo tardi
Ciao Massimo, ho letto il tuo articolo e sinceramente l’ho trovato magnifico, mi fa piacere sapere che ancora, riesci a trovare quella fiamma di speranza per la città. Anch’io come te, mi unisco al dolore della famiglia Raciti per la grave perdita; devi sapere che il mio migliore amico è un poliziotto e spesso fa servizio al campo proprio come servizio scorta, capisco perfettamente il terrore che si prova, perchè anch’io provo paura quando so che è lì per lavoro.
Spero vivamente che le cose possano migliorare, per la città e per il mondo del calcio.
Un bacio
Manu
Ringrazio, intanto, tutti gli amici che hanno lasciato i loro commenti su questo post molto sentito.
Devo dirvi che ho letto tanto, in questi giorni, sui vari quotidiani locali e nazionali.
Ho scelto di riportarvi uno stralcio dell’articolo di Mariano Maugeri pubblicato su Il Sole 24Ore del 4 febbraio 2007, pag. 17.
“La Catania dei malacarne, dei quartieri ghetto di Librino, Villaggio Sant’Agata, Monte Po, ha fatto il botto. Solo chi non conosce questa città può pensare che il calcio sia l’inizio e la fine della battaglia tra gli ultras della curva Nord e la polizia.
Nei quartieri periferici che a poco a poco stanno fagocitando quel che resta delle zone bene, la polizia fronteggia quasi ogni giorno decine di criminali che osteggiano in tutti i modi l’arresto del malavitoso di turno. Se il vecchio Cibali è una zona franca, allora significa che zone franche sono tutti quei quartieri dove vivono la maggioranza dei catanesi. I 3mila della curva Nord del Cibali si risvegliano ogni mattina in palazzi alti 15 piani senza fogne, senza licei, senza biblioteche, senza posti di polizia, senza socialità. Una segregazione non razziale ma di censo, che produce da quarant’anni l’unica cosa che luoghi così possono produrre: emarginazione, ferocia e mafia.”
Il mio omonimo (di cognome) ha ragione nel sostenere ciò che ha scritto sulle pagine del Sole. Tuttavia, a leggera rettifica, vorrei precisare che tra i 3mila che abitualmente occupano la curva Nord del Cibali c’è anche tanta gente perbene e civile. E tra questi molti appartengono ai quartieri degradati citati nell’articolo. Del resto, tra gli arrestati coinvolti nelle tragiche vicende catanesi del venerdì 2 febbraio figurano anche figli di famiglie-bene (per es. figli di medici, persino il figlio di un poliziotto).
Sarebbe un errore generalizzare. Così come sarebbe un errore far finta che le problematiche stigmatizzate da Mariano, nel suo articolo, non siano vere.
Però, che sia chiaro, Catania non è l’inferno degli inferni.
Come ho già evidenziato, Catania è una città difficile e contraddittoria che soffre dei degradi e dei paradossi di quasi tutte le aree metropolitane. Vogliamo forse far finta che altre aree metropolitane non vivono, o meglio subiscono, situazioni similari? Non c’è dubbio che la realtà delle periferie delle periferie è più complessa e virulenta di altre. E comunque torno sul punto principale espresso sul post. Il problema delle violenze intorno al calcio e agli stadi deve essere visto dalle autorità politiche e da tutti noi (che ciascuno si prenda le proprie responsabilità!) come un vero e proprio male sociale. E in quanto tale dev’essere affrontato. Ciò non toglie, come ho già scritto, che è necessario – e nell’immediato – dare vita e misure forti e repressive.
APPELLO APERTO ALLA CATANIA DEMOCRATICA E CIVILE
I tragici avvenimenti di venerdì 2 febbraio sono l’ultimo e più inquietante segnale del degrado sociale, culturale e civile di Catania.
In seguito ad un violenza barbara ed insensata è stato ucciso, mentre svolgeva il proprio lavoro, l’ispettore di pubblica sicurezza Filippo Raciti, servitore dello Stato, marito e padre di due figli.
L’imbarbarimento della società catanese pone energicamente la QUESTIONE DEMOCRATICA nella nostra città; cultura e senso di solidarietà hanno lasciato il posto a egoismo sociale e violenza.
E’ necessario che la città si interroghi sui fenomeni che hanno in questi ultimi anni distrutto ogni forma di civile convivenza.
La città deve gridare BASTA!
E’ fondamentale che ogni cittadino onesto e democratico, preoccupato delle sorti civili e sociali di Catania, reagisca e si impegni per far rinascere la città.
NO AL DEGRADO E ALLA VIOLENZA.
VENERDI’ 9 FEBBRAIO ORE 18:00 ASSEMBLEA CITTADINA PIAZZA SPEDINI CATANIA
Info: cataniainpiazza@gmail.com
HANNO GIA’ ADERITO:
Associazione Centro Storico Catania
Associazione Fava
Casablanca
CittàFelice
Cittainsieme
CittàInsiemeGiovani
Comitato AddioPizzo
FGCI
Gapa
GirodiVite.it
I Cordai
Il Ficcanaso
Isola Possibile
LaBarchetta.Net
Osservatorio Mafia
Unione degli Universitari
U.D.I. – Unione Donne Italiane
Cittalibera
Carissimo Massimo,
mi aggrego anch’io al coro di chi giustamente si scandalizza, si vergogna, di chi piange la perdita di un padre (non ho potuto trattenere le lacrime quando ho visto Fabiana dire al funerale del papà quelle cose così struggenti e desolanti: solo chi è padre può capire il dolore di un figlio e può immedesimarsi in esso), di chi è psicologicamente distrutto dall’inesorabile decadenza culturale, sociale e spirituale di questi ragazzi catanesi, ma anche di tanti altri giovani, che come naufraghi disperati vagano in un mondo senza lavoro, senza valori, senza certezze. Domenica si torna a giocare al calcio. Non so con quale coraggio, non so se sia giusto o sbagliato. Fosse stato per me, avrei fermato i campionati per un anno almeno. Ma, come si suol dire in questi casi? “show must go on”. Evviva allora anche il ruspante cinismo di un pugliese come Antonio Matarrese, che dice che i morti nel calcio, come nella vita sono purtroppo un prezzo da pagare e fanno parte del…”Sistema”. Lascio a Te Massimo e a voi, cari amici di questo bel blog, ogni ulteriore commento. Aggiungo solo che, secondo me, sarebbe stato meglio tacere, piuttosto che dire sui giornali e in tivù altre galattiche scempiaggini del genere. E ne ho sentite…Eccome!
Caro Massimo,
non riesco a tenermi dentro la profonda commozione per la vedova dell’ufficiale ucciso allo stadio. Come si fa ad avere una così straordinaria forza d’animo? Al suo confronto, in un solo attimo, sono spariti tutti: le società, i ministri, i tifosi, i vescovi. C’era solo lei con il suo dolore e i suoi figli. Un dolore profondo che non la lascerà più, eppure senza rabbia. Una comprensione che solo i giusti sanno regalare. Perché, nella tragedia, quella signora ha donato a tutti noi l’immagine dell’Uomo. Di quello che l’umano dovrebbe essere. Come catanese dovresti sentirti orgoglioso.
Un caro saluto, Miriam
Ringrazio ancora una volta tutti per i vostri commenti.
Hai ragione Miriam,
la vedova Raciti ha dato una grandissima lezione a tutti noi e con il suo coraggio e la sua forza d’animo ha riabilitato l’immagine della città.
Spero che Monica Maugeri non abbia dimenticato il primo perché: perché gli USA hanno attaccato l’Iraq
ciao
fara
Buongiorno, Fara Bush. Anche se siamo fuori argomento ritengo di poter dire che Monica, da grande professionista qual è, si sia posta tutti gli interrogativi possibili.
Ciao a te.