Novembre 21, 2024

167 thoughts on “L’ESTRANEO. Incontro con Tommaso Giagni

  1. Sono molto felice di avviare questo nuovo dibattito incentrato sul romanzo d’esordio di Tommaso Giagni: “L’estraneo”.
    Un romanzo che sta già suscitando molto interesse tra la critica.

  2. Un romanzo che – come ho scritto sul post – affronta il tema dell’estraneità approfondendo il rapporto difficile tra periferia e centro, che ci guida tra due ambientazioni speculari della Roma post duemila e che presenta – al tempo stesso – un approccio linguistico originale…

  3. dal sito della Einaudi:
    L’estraneo è un mezzosangue. È figlio della Roma di periferia ma non ci è nato, è cresciuto nella Roma bene senza mai sentirsi accolto. Quando finisce la sua storia con Alba, il giovane guarda in faccia la propria estraneità e decide di azzerare tutto, e ricominciare. Nella «Roma di Quaresima», estrema periferia. Affitta una stanza nell’appartamento occupato di Andrea, suo coetaneo, che si fa le maschere di bellezza e di sé non racconta nulla, a parte il sogno di avere una Ferrari.
    Palazzina G di un comprensorio affacciato sul Viale. Qui, in un territorio per il quale ha il passaporto ma del quale non conosce la lingua, l’estraneo prova disarmato e maldestro a «dare del tu alla vita». Tra maniaci del body-building e riti d’iniziazione in gloria al consumismo, tra pellegrinaggi per il Lupo Liboni e guardie devote allo Stato, incontra Marianna. E se ne innamora perché ha bisogno del suo sguardo, per vedersi. Per cercare ostinatamente un’identità.

  4. E ancora…
    Un ragazzo di oggi, allevato dalla Roma bene ma partorito dalla borgata. Quando la città «delle Rovine» lo rigetta come un corpo estraneo, decide di immergersi nell’estrema periferia, di provare a impararne il ritmo. Ma se è proprio questa la Roma che suo padre gli ha inscritto nel Dna, e da cui voleva affrancarlo col suo impiego da portinaio in centro, non è detto che osservare la città da questa nuova angolazione ribalti la prospettiva. E salvi dal fallimento. Nella grande tradizione letteraria che indaga il rapporto mai risolto tra periferia e centro, Tommaso Giagni aggiunge la sua personalissima voce. Una lingua contaminata e piena d’invenzione, che raccontando le periferie degli anni Zero, disadorne e vivissime, rivela lo spaesamento di un uomo senza appartenenza.

  5. Come ho scritto sul post, vorrei approfondire la conoscenza de “L’estraneo”, invitando l’autore (Tommaso Giagni) a discuterne con noi nell’ambito di un dibattito organizzato su questo romanzo e sui temi che esso affronta.

  6. @ Tommaso Giagni
    Caro Tommaso, come prima domanda te ne pongo una “classica”: come nasce “L’estraneo”? Da quale idea, esigenza o fonte di ispirazione?
    Insomma, raccontaci qualcosa sulla genesi del libro…

  7. Per il momento chiudo qui…
    Attendo il primo intervento di Tommaso (disponibile, ovviamente, a rispondere a vostre eventuali domande).
    E naturalmente attendo le vostre considerazioni sulle tematiche esposte.

  8. Salve Massimo. Non intervengo da un po’, ma le tematiche che sollevi con questo post mi interessano particolarmente.
    Nell’attesa di leggere il romanzo di Tommaso Giagni, che saluto, fornisco le mie risposte alle tue domande.

  9. 1. Nella società odierna, quali significati assume il termine “estraneo”?
    Temo purtroppo che nella società di oggi il concetto di estraneità debba riferirsi a noi stessi, figli di un’epoca che ha perso riferimenti, di un mondo che è cambiato in maniera improvvisa lasciandoci smarriti e, appunto, privi di punti fermi.
    L’uomo di oggi è estraneo a se stesso.

  10. 2. Chi è che oggi può dirsi più “estraneo” di altri? E poi… estraneo a chi? Estraneo a cosa?
    Ho già risposto nel punto precedente. Qui dico che secondo me il senso di estraneità è accentuato dal doversi misurare con un “tempo” ostile che crea difficoltà al singolo di autodeterminarsi.
    E’ probabile, come immagino possa anche risultare dal libro di Tommaso Giagni, che tali considerazioni possano valere soprattutto per i giovani, del tutto abbandonati dalla società post duemila (quella nostrana in particolare)

  11. 3. In generale, che tipo di rapporto lega il centro e le periferie delle metropoli?
    Il rapporto fra centro e periferie non può che essere conflittuale. Ciò è vero in ogni ambito, anche per le città. La periferia si sentirà sempre esclusa e marginale rispetto ad un centro che tenterà di far permanere intatta la proprio “centralità”.

  12. 4. Questo rapporto è cambiato negli ultimi decenni? Che percezione avete?

    Non credo sia particolarmente cambiato. Si tratta di una tendenza che è sempre esistita.

  13. 5. Com’è definireste il rapporto fra centro e periferia nelle vostre città?
    Vivo in una grande città del centro (che non è Roma). Dal mio punto di vista noto uno sfasamento insanabile tra il centro e le periferie. E quando dico insanabile mi riferisco soprattutto a una questione di mentalità, difficile da cambiare.

  14. della parola “estraneo” può interessante considerare l’etimologia : dal latino extraneus, derivazione di extra ossia fuori.

  15. x Tommaso Giagni
    la trama del romanzo mi incuriosisce molto , e lo leggerò. Ma mi colpisce soprattutto quella frase di Montefoschi : ” Era dall’epoca di Pasolini che non si leggevano pagine così crude e sconvolgenti sulle periferie romane “

  16. x Tommaso Giagni
    in attesa di fare domande sul libro che appunto leggerò al più presto ( intanto ascolto le tue interviste in video ed in radio ) , tu cosa risponderesti alle domande di Massimo Maugeri ?

  17. Secondo me, gentili Massimo e Tommaso, siamo tutti degli estranei in questa vita, perché vogliamo sempre qualcosa che ci faccia sentire soddisfatti, realizzati, in sintonia con noi stessi e il mondo, e con la natura. Ma non è così, non potrà essere così, altrimenti la vita perderebbe i suoi connotati di precarietà, fragilità e perderebbe anche quel senso indefinito di attesa, che ci condiziona e sovrasta.
    Ero estraneo agli altri da giovanissimo, quando vivevo in paese, guardando altri orizzonti, e lo sono tuttora, che mi divido tra la campagna e le città, tra gente che invecchia rassegnata e incerta, insicura, e giovani già vecchi, chiusi controvoglia in mondi che detestano, in mondi estranei, senza orizzonti né futuro. Senza sicurezze di nessun genere, in due parole. E senza alternative.
    Come reagire o agire, quindi? Anzitutto aggrappandosi alla fede in se stessi e nelle proprie doti, svincolati dai lupi e dalla miriade di pecore che ostacolano o intralciano il cammino tracciato con la consapevolezza di non tradire la propria identità, la propria vocazione o vis esistenziale.
    Non sarà facile, chiaro: se fosse facile, non esisterebbero i sogni, le ambizioni, le utopie. E nemmeno gli scrittori, i filosofi e… Sì, anche gli imbonitori.
    Penso che Tommaso Giagni davanti a sé abbia orizzonti interessanti da scrutare; il talento per carpire alla vita l’essenza delle cose e del mondo non gli manca di sicuro.
    Ad maiora, cordialmente. A. B.

  18. buongiorno. tema davvero molto interessante. tanti complimenti al giovane scrittore tommaso giagni per questo suo primo libro. cosa significa oggi essere estranei? bella domanda. nel tempo della globalizzazione e dei social network in cui siamo tutti interconnessi, nessuno dovrebbe sentirsi estraneo. eppure non e’ così.

  19. @ Tommaso giagni
    non ho ancora letto il tuo libro, ma vorrei chiederti : il senso di estraneità che attanaglia il protagonista del romanzo e’ in qualche modo irredimibile o può essere compensato, se non proprio risolto?

  20. Buongiorno a tutti, e grazie a Massimo per aver voluto dedicare questo spazio al mio libro.
    Intanto, rispondo alla prima domanda che mi ha posto lo stesso Massimo.

    L’esigenza alla base de “L’estraneo”, quando quattro anni fa ho iniziato a lavorarci, era raccontare il senso d’inadeguatezza che prova chi non si riconosce in un’appartenenza, chi non sente di essere – appunto – parte di qualcosa. Volevo poi raccontare il rapporto tra centro e periferia, inteso nel senso più ampio possibile: la dinamica borgata vs centro di una grande città come la mia (Roma) non si discosta – per fare un esempio – dalla dinamica tra una città di provincia e i paesi intorno.

  21. @Antonella

    Alle cinque domande generali di Massimo, preferisco rispondere più avanti: mi interessa leggere le risposte che date voi, intanto, essendo domande importanti che hanno accompagnato la stesura di questo romanzo – il mio pane quotidiano, insomma.

  22. @Giacomo
    La risoluzione o meno del senso d’estraneità, è la domanda definitiva. Sarebbe ingiusto risponderti qui, non avendo tu ancora letto il libro.

  23. mi sembra giusto, tommaso. intanto ho acquistato il tuo libro da un rivenditore online. dovrebbe arrivarmi tra un paio di giorni.

  24. Buon pomeriggio a tutti. In particolare a Massimo ed a Tommaso Giagni.
    Temi importanti ed attuali, quelli lanciati in questo post.
    Provo a rispondere alle domande. Ho letto gli altri interventi e sono in gran parte d’acoordo, dunque spero di non ripetermi.

  25. @ Tommaso Giagni
    Trovo molto originale la copertina del libro. Complimenti a chi l’ha progettata.
    Sembra come se l’essere estranei implicasse l’essere respinti o risucchiati da una realtà altra. E’ così?

  26. @Raffaella
    In queste settimane, la copertina (decisamente originale, anche secondo me) ha scatenato interpretazioni le più diverse. Che il ragazzo della fotografia ascenda o precipiti, che venga respinto o attratto, comunque l’immagine restituisce a pieno il senso di sospensione che è al centro del libro.
    La ricerca iconografica l’ha curata una bravissima photoeditor che si chiama Martina Giorgi; il progetto grafico è di Riccardo Falcinelli.

  27. grazie per la risposta e ancora complimenti per la copertina. Ovviamente leggero’ il libro!

  28. Scusate ma ho ricevuto una visita da… un estraneo (che insisteva nel rifilarmi un contratto con una nuova compagnia energetica).
    Risponderò tra breve.
    Sono d’accordo con Raffaella. La copertina incuriosisce ed ha forti “proprietà immaginifiche”.

  29. 1. Nella società odierna, quali significati assume il termine “estraneo”?

    Sono d’accordo con chi ha sostenuto che il senso di estraneità è dilagante ed riferito principalmente a se stessi. Probabilmente si tratta di qualcosa di connaturato nell’uomo, ma che forse oggi tende ad intensificarsi per una serie di ragioni.

  30. 2. Chi è che oggi può dirsi più “estraneo” di altri? E poi… estraneo a chi? Estraneo a cosa?

    Sono pure d’accordo con chi ha detto che il senso di estraneità peso soprattutto sui giovani e soprattutto oggi. I giovani di oggi sono “tagliati fuori” da tutto. Lo abbiamo detto altre volte. Vivono in una società che offre poco o nulla, specialmente in termini di opportunità.

  31. Mi ero dimenticata di scrivere un’altra riflessione legata alla domanda n. 2
    Sapete chi altri possiamo considerare come i più estranei tra gli estranei?
    Gli immigrati. Coloro che vengono a cercare “il pane” nel nostro contesto sociale, in un momento storicoeconomico di grande incertezza.
    Sono loro i più estranei tra gli estranei.

  32. 3. In generale, che tipo di rapporto lega il centro e le periferie delle metropoli?

    Un rapporto di contrapposizione, certo, come è stato detto. Ma forse bisogna stare attenti a non generalizzare, perché ci sono centri e Centri, e ci sono periferie e Periferie.
    Forse ogni caso andrebbe considerato con la sua specificità.

  33. 4. Questo rapporto è cambiato negli ultimi decenni? Che percezione avete?

    Non saprei. A pelle direi che ci sono periferie che si sono conquistate un ruolo di centralità e centri che risentono di un grande stato di abbandono.
    Dipende. Quello, appunto, che dicevo prima…

  34. 5. Com’è definireste il rapporto fra centro e periferia nelle vostre città?
    Vivo in una metropoli del Nord e proprio per questo dico che non è possibile generalizzare. Nella mia città ci sono periferie “buone” e periferie “cattive”. Ed anche il centro si può dividere in zone più o meno centrali.

  35. @Amelia

    Grazie per le risposte, misurate e oneste, e per lo spunto riguardo gli immigrati – che avvalora quanto scrivevo prima sull’universalità della condizione d’estraneità.
    E grazie per gli auguri.

  36. Una domanda per Tommaso Giagni, che potrebbe risultare odiosa (ma è mera curiosità) e che probabilmente viene posta un po’ a tutti gli scrittori.
    C’è qualche elemento autobiografico nella storia o è tutta finzione pura?

  37. @Vale
    Personalmente credo che nella narrativa gli elementi autobiografici ci entrino “a spinta”, che quindi sia difficile e comunque poco efficace scrivere di qualcosa che non c’entra con quello che sei.
    Nel caso specifico de “L’estraneo”: io ho sempre frequentato entrambi i mondi che racconto (la Roma-bene e la periferia) senza sentirmi davvero ‘parte di’ uno dei due; d’altra parte sono riuscito – a differenza del mio protagonista – a prendere il meglio da ciascun ambiente, e insomma a fare di questa potenziale destabilizzazione una forza.

  38. Grazie per la risposta, Tommaso. Quello che dici è importante. Mi riferisco al fatto che evidentemente hai raccontato queste due versioni di Roma con cognizione di causa. Cosa fondamentale, secondo me, quando si scrive. Motivo in più per leggerti. Ciao.:)

  39. Bellissimo il tema dell’estraneità in letteratura, della ricerca di un’appartenenza. Bravo Massi a proporlo. E bravissimo Tommaso Giagni.
    Anche perchè già l’atto della scrittura fa pensare a questo cercarsi, al viaggio dal fuori al dentro.
    Lo scrivere è, in effetti, quasi un passaggio dalla città bene alla borgata, nel senso che sfronda dall’apparenza, sventra la patina, raschia la superficie.

  40. In effetti la letteratura risolve o tenta di risolvere il nodo dell’estraneità prima di tutto dal mondo, e poi anche da se stessi.
    Ne ha dato una magnifica interpretazione Camus ne “Lo straniero”.

  41. Ma ciò che in Camus sembra approdare all’alienazione, all’esilio, a un tormentoso andare senza consolazione, in questo autore sembra invece fremere di desiderio di salvezza e di malinconia. Della disperata ricerca di un “senso”.

  42. In fondo credo che andare ai margini sia come guadagnare una prospettiva nuova, un’angolazione decentrata, ma comunque un mezzo per sentire, per guardare, per trovarsi a partire da un nuovo luogo. E quindi in un nuovo modo.

  43. Non ho letto il libro e quindi le mie riflessioni sono suggerite solo da quanto ho letto in questo bellissimo post.
    Chiedo quindi a Tommaso Giagni se andare a vivere in periferia non sia forse una maniera (ribaltata) di rivivere il centro.
    Di se stessi.

  44. E per rispondere alle tue bellissime domande, Massi….
    Siamo estranei alla nostra coscienza, se per coscienza intendiamo (come diceva Pirandello) “la presenza dell’altro dentro di noi”.
    Ignoriamo spesso che l’altro è la spia per scoprirci perchè noi non siamo nulla se non in relazione.
    Diventiamo estranei quando questa relazione preziosa si spezza.
    E spezzandosi ci fa perdere chi ci sta accanto, ma anche noi stessi.

  45. ….E infine una buona notte stellata e sognosa a tutti e al bravo Tommaso Giagni.
    Solita postazione in terrazza, caro Massi. Circondata dai gatti e da una luna annebbiata dal calore.
    Il mare tremola lontanissimo.
    Baci
    la tua Simo

  46. @Simona
    Direi che per il protagonista del romanzo, andare in periferia significa vivere il centro di sé stesso per la prima volta: definirsi, cioè fare quello di cui ogni ventenne ha bisogno.

  47. Caro sig. Giagni,
    credo che definirsi, o trovare se stessi per la prima volta, sia l’aspirazione di ogni cuore umano, anche un po’ più che ventenne!
    Lo dico da signora ormai attempata, ma sempre su quella soglia che lei descrive, su quel limite tra un luogo e l’altro (periferia, centro), inteso, mi par di capire, come metafora del crinale della conoscenza.
    Non sarà che anche noi cinquantenni abbiamo bisongo di un soffio di gioventù?
    Mi complimento dunque per avere interpretato un bisogno che – mi creda – non ha età.
    Una buona serata e compimenti per la sua attività di narratore.
    R.

  48. io mi ritrovo abbastanza nel protagonista di questo libro, avendo poco più di vent’anni. mi pare però di capire che la crisi del protagonista del romanzo nasce nel momento in cui perde l’amore. chiedo quindi a tommaso: che rapporto c’è tra perdita dell’amore e ricerca di identità?

  49. e poi, tommaso vuoi parlarci di questo quartiere di roma? perchè si chiama così? richiama una penitenza? è una metafora?

  50. Mio caro e buon Maugeri,
    tema fascinoso assai per il quale faccio mio il richiamo della dottoressa Lo Iacono a “Lo straniero” di Camus.
    Ma non mancano altri e succosi paralleli che certo anche lei avrà notato. Tra cui campeggia la tradizione pirandelliana e “L’esclusa” in primo luogo.
    Vorrei chiedere al nostro giovane scrittore se ha pensato a questi precedenti letterari (o se è solo un pedante professore di lettere classiche come me ad averli immaginati!).

  51. Noto poi con vivo piacere dalla scheda del libro la presenza di molti e interessanti personaggi secondari. Comprimari direi quasi.
    Chi è, ad esempio, Luciano Liboni detto Lupo?
    E l’aspirante coatta Marianna, una che “quando si scopa non si ride”?
    Da buon ottuagenario (e oltre) questo colorito linguaggio mi seduce.
    Non per la novità …già il Boccaccio, e Dante, e l’Aretino, sia benedetto, sapevano che la lingua è animale strano e movimentatissimo, che attinge dal basso e dall’alto.
    Ma per la capacità di unire a un atto intimo (l’unione carnale) la tristezza.
    Fare l’amore e non ridere.
    Niente di più disperato, mi sembra.

  52. E poi, caro Maugeri, e caro sig. Giagni.
    Da voi mi separano molte generazioni (il Giagni, poi, ha l’età di mio nipote, sia benedetto anche lui, e il suo master in Cina in lingue orientali).
    Eppure sento di condividere questa ricerca che ancora non m’appaga, questo tentativo di definirsi che è ancora mio, nonostante la fossa degli anni e le intemperie della vita.
    Non sarà che rimaniamo estranei per sempre? E che l’unico modo per trovarci è solo evitare di darsi una risposta?
    Mi abbia suo, buon Maugeri.
    E mille felicitazioni al nostro bravo e giovane autore.
    Il suo affezionato
    professor Emilio

  53. Buona serata a tutti!
    Bel tema, carissimo Giagni!
    Io, invece, da buon amante del fantasy, vorrei citare “L’estraneo” (outsider) di Lovecraft!
    Ci sono connessioni?
    Buon proseguimento!

  54. Ben detto,Stefano!
    Ci avevo pensato anche io!
    Ricordo che ne “L’estraneo” di Lovecraft, il soggetto del racconto si trova a esplorare un’ala sconosciuta del castello in cui vive. La vicenda è dominata dalla suspense presente dall’inizio alla fine della storia e il narratore è esterno alla vicenda. Il punto principale di questo racconto è la scalata verso l’ignoto, rappresentata dal fatto che il protagonista attraversa ciò che non conosce per scoprire una nuova dimensione.
    Anche qui i luoghi, l’ambientazione, come spazio in cui cercarsi!
    Ci aveva pensato, caro Giagni?
    Complimenti! Bel libro!

  55. Grazie di avere rilanciato, caro Riccardo!
    E allora un’altra piccola provocazione….
    La riflessione sull’estraneo ha origini antiche.
    Prende le mosse dalla tradizione greca della “legge dell’ospitalità”, in quanto momento emblematico che, nella figura dell’hospes – come insegna l’analisi filologica del termine –, contempla insieme sia il soggetto portatore dell’identità e dell’appartenenza – il padrone di casa (ancora oggi la parola “ospite” indica sia chi dà sia chi riceve ospitalità) –, sia lo straniero e il nemico.

  56. Aggiungerò poi, da bravo sociologo, che l’Occidente ha sempre avuto bisogno dell’altro per determinare e definire la propria identità, che deve restare pertanto un concetto relazionale.
    E, lungo la sua intera storia, fino a oggi, l’Occidente è andato a cercare l’altro sempre fuori dai suoi confini: dall’Odissea in poi, la nostra storia è stata caratterizzata esemplarmente da esploratori e missionari. Ecco dunque che giungiamo al contesto della globalizzazione, dove sta accadendo una svolta rispetto al passato nella concezione dell’estraneità.
    In una maniera senza precedenti con queste proporzioni, è adesso l’altro, l’estraneo che viene in Occidente.
    Oggi con l’estraneo dobbiamo condividere il nostro spazio proprio. A saltare, a diventare poroso, a negoziare costantemente la sua posizione è il confine tradizionale tra “proprio” ed “estraneo”, già all’interno, dentro le nostre città.
    Facciamo quotidianamente esperienza non più soltanto della differenza tra il proprio e l’estraneo, bensì anche dell’estraneità del proprio, del proprio spazio e della propria casa, che spiega e giustifica pertanto il riferimento sempre più diffuso alla tradizione greca dell’ospitalità.
    Ogni luogo è, al contempo, familiare ed estraneo (“perturbante”: non è affatto un caso che lo psicanalista Antonio Vitolo, chiami in causa il concetto freudiano dell’Unheimliche), qui e “altrove”: l’estraneità si dà, dunque, anche topograficamente.
    Proprio come il nostro Giagni insegna.

  57. Sarà perchè lo amo.Però a me questo romanzo del giovanissimo Tommaso ha fatto pensare ad alcuni momenti di Pasolini, alla sua Roma, alle sue periferie.
    E’ solo una mia impressione, caro Tommaso?

  58. Non lancerò ulteriori spunti, perché ne avete “messi in campo” tantissimi nella giornata di oggi.
    Dunque mi limito a ringraziarvi e a salutarvi – come sempre – uno per uno.

  59. E grazie mille anche a: Simona Lo Iacono (ciao, socia!), Renata Mangiagli, il prof. Emilio (sempre unico!), terzo anno lettere moderne, Stefano, Riccardo G., Gioia.

  60. Molti spunti davvero, e vi ringrazio uno per uno per averli proposti. Provo a rispondere a tutti:

    @ Renata
    Sono d’accordo: la definizione di sé mi sembra un percorso che si comincia davvero con i vent’anni e continua per tutta la vita.
    Giusta poi la sua intuizione che questo romanzo racconti, oltre il confine tra periferia e centro, anche quello che separa l’adolescenza dall’età adulta.

    @terzo anno di lettere moderne
    Il rapporto tra perdita dell’amore e ricerca d’identità non è immediato, in termini assoluti. Nel caso specifico, però, la fine dell’amore tra il protagonista e Alba rappresenta simbolicamente il disconoscimento di un’identità (quella borghese, che Alba pretende nel suo compagno e che l’Estraneo non ha) e diventa così la spinta ad andare in borgata per trovarne un’altra.
    Questa borgata si chiama genericamente “il Quartiere” e non corrisponde a una borgata reale – comprendendo in sé, d’altronde, qualsiasi borgata. La “Roma di Quaresima” è il nome che ho dato all’intera Roma periferica. Nella recensione che ha fatto al mio libro, Walter Siti ha dato una definizione di questa città che mi pare perfetta: “la penitenza senza scopo”.

    @Emilio, @stefano, @riccardo g. e @gioia
    Riguardo i riferimenti letterari: c’è sicuramente molto Pirandello, c’è Camus, manca Lovecraft.
    A Pasolini e al suo approccio ovviamente non ho potuto non guardare. Anche se la sua periferia non c’è più, e non c’è più quell’Italia, perché si sono trasformate in altro. Questo è un romanzo che dialoga con la letteratura che ha raccontato la Roma marginale postpasoliniana (rimasta intatta dall’inizio degli anni Novanta fino a oggi): per fare qualche nome, oltre a Walter Siti, Sandro Onofri, Claudio Camarca, Andrea Carraro.
    Altri libri con cui, soprattutto sul piano tematico, “L’estraneo” ha a che fare, sono: “Memoriale” di Volponi, “L’odore del sangue” di Parise, “Il libro dell’inquietudine” di Pessoa.

    Grazie ancora per i complimenti e per l’interesse che state dedicando al mio romanzo.

  61. @ Tommaso Giagni
    Pubblicare con Einaudi Stile libero a ventisette anni significa salpare dalle sponde dell’immenso mare letterario col vento in poppa.
    C’è qualcuno, in particiolare, che ti ha scoperto e ha creduto nel tuo talento di romanziere? E’ una mia curiosità.
    Perdonami il tu, cordialmente, A. B.

  62. Ho letto. Struggente. Bellissimo.Una lingua viva, a metà tra poesia e parlato.
    E sì, molto Pasolini. Ma anche, credo, i giorni nostri indecifrabili, e – al tempo stesso – i temi di sempre: le aspettative dei genitori. Di chi ci precede. Le illusioni perdute ( ma anche le promesse non fatte, la scalata sociale mai veramente riuscita).
    Insomma….la vita che non va mai come pensavamo.
    Bravo, Giagni. A vent’anni ha portato sul libro l’intera esperienza italiana.
    Con simpatia,
    Gioia

  63. Concordo, Gioia.
    Bellissimo.
    E illuminante.
    Dunque questo andare in periferia è un tornare alle origini, in fondo.
    E’ così, caro Giagni?

  64. Mattinieri, vedo bene.
    E salottieri, amici miei.
    Grazie, egregio Giagni, delle sue cortesissime risposte ai miei assunti.
    Lei non mi conosce, ma qui sanno con quanta passione guardo a voi ragazzi (ho insegnato per più di 45 anni e non mi rassegnai ancora alla mia veneranda età).
    Dunque vorrei ancora sapere dei personaggi secondari di cui ieri non mi disse, affollato com’era di domande e spunti.
    Mi parli di questo Lupo e di questa coatta che mi piace assai. Molta Roma anche in loro, mi par di capire.
    E mi abbia suo
    Professor Emilio

  65. Trovo bellissimo il nome dato al quartiere! La quaresima precede la resurrezione, è così o mi sbaglio?
    C’è salvezza, caro Giagni, alla fine di questo splendido libro?

  66. Brava Angela.
    Bella intuizione.
    Anche io avevo avuto l’impressione che non fosse solo un romanzo classico di “formazione”, come la letteratura ci ha insegnato.
    Ma anche di approdo.
    Che ne dice, Tommaso?
    C’è già una risposta…oppure…al prossimo libro?

  67. Figlioli miei, il mio Giagni così me lo confondete!
    Intervenga sig. Maugeri, questi lo tartassarono di domande al povero picciotto.
    Mi permetto solo un’ultima riflessione ma si sa…a me tutto è concesso data l’autorità degli anni.
    Ed è…che Italia è quella che racconta?
    In cosa crede?…….
    E ora a lavoro, amici.
    Possibile che nessuno oggi debba correre in ufficio o a scuola?
    Eppure i ragazzi si stanno maturando.
    Vedeste la tv? Ormai…prove telematiche! Ai tempi miei altro che codici d’accesso.
    I temi me li portavano i carabinieri!
    Peccato. Che fascino, che simbolo, quella divisa.
    Mi sento nostalgico, caro Giagni.
    Il suo professor Emilio

  68. Complimenti per la bella discussione. Il rapporto tra “centro e periferia” mi interessa molto, come tematica.
    Più tardi posterò qualcosa, come mio contributo.

  69. Buongiorno a tutti.

    @Ausilio Bertoli
    In verità è un ambiente che ho conosciuto già parecchio prima di questo libro (ho iniziato a pubblicare racconti nel 2004). Non parlerei proprio di “scoperta”, insomma. Detto questo, all’interno di Einaudi Stile libero, è stata Rosella Postorino (l’editor che poi mi ha seguito, di stesura in stesura) a segnalarmi e per prima volermi come autore.

    @gioia
    Grazie, sono felice di questo che scrivi. Le illusioni perdute sono sicuramente una chiave importante del romanzo.

    @stefano
    Direi che l’andare in periferia non è tanto un ritorno, quanto una ricerca delle origini.

    @Angela e @ Stefano
    Mi perdonerete, ma rivelare se c’è salvezza oppure no in fondo al libro sarebbe ingeneroso per tutti quelli che ancora non l’hanno letto.

    @Emilio
    Professore, il suo entusiasmo fa davvero piacere. Mi scusi per il ritardo sui personaggi di cui mi chiede.
    Intanto, “il Lupo” Luciano Liboni non è un personaggio di fiction, bensì un bandito che fece parlare di sé per aver ucciso un carabiniere e che fu poi a sua volta ucciso nel 2004 in un conflitto armato particolarmente scenografico al Circo Massimo di Roma. Liboni è diventato una sorta di simbolo dell’anti-Stato, in certi ambienti, ed è a lui che (stavolta entriamo nella fiction) alcuni ragazzi del Quartiere del mio romanzo dedicano un pellegrinaggio dalla borgata al Circo Massimo – appunto.
    Marianna, la “aspirante coatta”, è nel libro una signorina di buona famiglia che per capriccio e snobismo comincia a frequentare le periferie. Nel Quartiere incontra il mio protagonista, i due si innamorano e l’Estraneo scopre che lo sguardo di Marianna può essere una chiave per – finalmente – riuscire a definire sé stesso.
    Mi riservo di rispondere con più calma alle ultime domande che mi pone, sull’Italia, avendo bisogno di più tempo di quello che purtroppo ho a disposizione ora.
    Un saluto a tutti, e grazie.

  70. Trovo molto convincente il riferimento a “Memoriale” di Paolo Volponi.
    Perchè anche in quel libro l’aggancio al luogo diventa strumento di espulsione, di mancato riconoscimento.
    Lì il protagonista vive l’universo della fabbrica, un micro mondo con regole e scopi che identificano, e che – se non raggiunti – decretano un allontanamento.
    Spazio disumano ed alienante, la fabbrica si realizza infatti unicamente nelle proprie funzioni: chi, per qualsiasi motivo, non è in grado di partecipare a questa logica tutta finalizzata alla produzione, viene rifiutato.
    È quanto accade al protagonista al quale viene diagnosticata una grave forma di tubercolosi.
    Ne viene fuori la complessa dialettica tra tradizione e innovazione, cultura rurale e industrializzazione, tensione al nuovo e fedeltà alle origini: antinomie su cui si è formata quella che forse è la più feconda generazione di scrittori italiani del Novecento (basti pensare a Pavese, Pasolini e Calvino).
    Giagni si annovera tra quindi tra questi letterati, ed è sorprendente in un narratore così giovane!
    Vorrei quindi sapere dall’autore se “Memoriale” ha suscitato questo tipo di suggestioni, o altre e di che natura.
    E con ciò chiudo….pena le bacchettate del prof. Emilio!
    Una buona mattina a tutti!

  71. Ciao, Simona. Devo dire che questo dibattito e’ sorprendente per la qualità, l’alto livello delle considerazioni e la varietà dei temi trattati.
    Un saluto a tutti, specialmente a Massimo ed a Tommaso Giagni.

  72. mi sento toccata molto da vicino da questo romanzo. lo dico non avendolo ancora letto e basandomi sulle suggestioni datemi dalla scheda e dalla pagina linkata. io mi sento estranea alla mia famiglia, ai miei genitori, a questo maledetto paesino che mi avvelena l’esistenza e da cui fuggirò non appena completerò la scuola.
    mi chiedo e vi chiedo : c’e’ un antidoto contro il senso di estraneità che ti uccide dentro senza nemmeno che te ne accorgi?

  73. Devo una risposta @Emilio, innanzitutto:
    L’Italia che racconto nel romanzo è un Paese diviso tra una borghesia buona solo ad autocelebrarsi, incapace di aprirsi, ripiegata su sé stessa, e una periferia isolata e svuotata della poesia pasoliniana, abitata da piccolo-borghesi, alla rincorsa di sogni lontanissimi che lei stessa pone a una distanza da tale da non poterli raggiungere. Un’Italia disorientata dalla morte della politica e della fede. Io credo in una borghesia dinamica e aperta, e in una periferia che possa diventare risorsa attraverso la mediazione delle istituzioni (civili e religiose).
    @simona lo iacono
    Su Volponi, è esattamente come scrivi.
    @lorella geraci
    Il senso d’estraneità è doloroso, capisco bene. Più che alla sua risoluzione, ti consiglio di trarne forza: se non ti riconosci in quello che hai intorno, vuol dire che sei “oltre” (per sensibilità, per voglia di stimoli altri) e che – brutalmente – quello che hai intorno non ti merita e non sei tu a non meritarlo.

  74. Caro Massimo
    raramente intervengo ma leggo sempre. Ho trovato coraggio di dire la mia perchè nessuno come me, prima clandestino, e ora immigrato regolare, sa cosa sia essere estraneo.
    Io mi considero esule, perchè non voglio pensare a fuga da mio paese come cosa definitiva. Sogno di tornare,là dove insegnavo e la mattina nasceva senza lacrime (Tunisia).
    Qualcuno chiede soluzione a estraneità. Molti domandano in blog se c’è salvezza.
    Io dico che salvezza da estraneità non è che una. Libertà. E che “ci sarà tanta più libertà quante più parole riusciremo a prenderci”.
    buona giornata

  75. Antonio….mi hai commossa….
    le tue parole mi hanno fatto anche ricordare una bella prefazione di Sofri a “Lo sguardo estraneo” del nobel Herta Muller.
    Lo conoscete?
    Lo conosce Giagni?
    —————–
    ” Lo sguardo estraneo è (…) la metafora di un modo perduto d’essere, e dunque di pensare e raccontare e scrivere, in cui le cose scorrono, si succedono l’una all’altra piacevolmente e logicamente, seguono una musica continua. La scrittura di Herta è, al contrario, rotta e slegata (slegato è aggettivo decisivo, in lei), e non solo la scrittura, ma l’esistenza intera, le notti e i giorni. Sul suo spartito, il tempo è spezzato. Lo sguardo estraneo, nella varietà di nomi che l’hanno definito, è una solida categoria della letteratura e delle arti in genere: la battaglia di Waterloo vista con gli occhi di una cavalla ferita a morte, o il genere umano con quelli del vecchio trottatore pezzato Cholstomer, finoall’ effetto di straniamento teorizzato e praticato dal teatro di Brecht.” (d Adriano Sofri)

  76. Anche a me è piaciuto molto l’intervento di Antonio.
    E credo che anche il suo viaggio dal sud del mondo sia come un’epopea della distanza tra centro e periferia.
    Credo comunque che il sentirsi estranei possa anche diventare una risorsa.
    Come dice Carl Gustav Jung : «Diamo al tempo la possibilità di farci da madre».
    Che ne dice, Giagni?

  77. …grazie.
    Volevo dire anche io stessa cosa di Stefano. Sì, estraneità può anche diventare risorsa.
    Perchè una volta estraneo verso gli altri, trovi patria in te stesso, e trovata patria in te stesso sei pronto a ritornare ad altri.
    Mille viaggi, insomma, dal fuori al dentro e poi di nuovo al fuori.
    Ma per questo andare e tornare è come dice Giagni Tommaso. Serve anche fede. Sguardo religioso, etico.
    Amore per l’altro.
    Di nuovo grazie.
    Buona giornata

  78. Anche a me ha colpito tanto l’intervento di Antonio. Molto bello. Grazie Antonio. In parte conferma le mie risposte alle prime domande di Massimo.

  79. Grazie @Antonio per quello che scrive. Che poi rafforza il discorso che facevo riguardo le tante declinazioni che si possono attribuire ai concetti di “centro”, “periferia”, “estraneità”.
    @gioia
    Non ho letto il libro della Müller, ma questo passaggio della prefazione di Sofri mi pare esaltare il concetto di sguardo laterale che sento molto vicino. Grazie, insomma.
    @stefano
    Come scrivevo con altre parole qualche post fa, il mancato riconoscersi in ciò che si ha intorno va ribaltato in forza, in strumenti. Certo, serve carattere per sentirsi orgogliosi della diversità.

  80. grazie mille per la risposta, Tommaso. chiedo scusa a te ed a tutti se mi sono lasciata un po’ andare, ma condivido in tutto le tue parole. grazie. leggerò il tuo romanzo sapendo che mi ci ritroverò immersa fino al collo.

  81. Mi complimento per le risposte accurate, caro Giagni.
    E mi dico che questo dello straniero è tema fatale, che reca in sè vita e morte, forse perchè nulla come ciò che è distante, diverso, inascoltato evoca il significato stesso della vita. Il suo mistero.
    In effetti…cosa se non la vita, è la grande estranea?
    Il suo essere. E il suo finire.
    Il suo concedersi e negarsi. Il suo manifestarsi nella bellezza, ma anche nel dolore, nel tradimento, nel precipizio.
    E mi viene in mente la magnifica Turandot, della quale non so se conosce la storia.
    Anche lì c’è uno straniero, Calaf, che deve risolvere i tre indovinelli della principessa.
    Tiene nascosto il nome, Calaf. E lo rivelerà alla fine solo per amore.
    Ho sempre creduto che questo atto finale, dire il proprio nome, suggelli la fine di ogni estraneità.
    Non a caso, nella fiaba di Turandot, la rivelazione coincide anche con la decisione finale di Turandot: far vivere Calaf o farlo morire.
    Quindi impariamo dalla favola che trovarsi, annullare la diversità, comporta almeno due conseguenze:
    1- avere coraggio
    2-consegnare alla risposta finale anche l’esito ultimo dell’esistenza.
    Non crede?
    Mi abbia suo, picciotto caro.
    E perdoni le riflessioni di un vecchio innamorato dell’opera di Puccini.
    Professor Emilio

  82. @Emilio
    Professore, non ho la sua esperienza riguardo la lirica né (tantomeno!) riguardo la vita. Le sue riflessioni sono – come mi ha abituato – assai pertinenti, e io non posso che confermarle che il mio Estraneo incrocia la Turandot, dal momento che per l’intero romanzo non ne conosceremo il nome.

  83. anche se non intervengo, io vi leggo, eh?
    anzi, quando mi allontano dal pc, non vedo l’ora di ricollegarmi per vedere se sono arrivati nuovi post.
    volevo giusto dirvelo.

  84. @ lorella geraci
    secondo me il miglior rimedio contro l’estraneità è riconoscerla, guardarla in faccia e, se possibile, voltarle le spalle e seguire nuovi itinerari. praticamente quello che ti ha consigliato tommaso g.
    il rischio secondo me è far diventare l’estraneità come l’ordinario. quando capita così, non se ne esce.
    sono curioso di vedere -anzi, leggere- cosa capita al personaggio del libro di tommaso.
    ciao.

  85. Salve. Come vi avevo anticipato desideravo lasciare qualche contributo sul rapporto tra “centro e periferia”. Ne approfitto per salutare Tommaso Giagni, protagonista di questo dibattito, ed autore de “L’estraneo”, romanzo – stando a quel che ho letto – davvero pregevole e meritevole di tanta fortuna.

  86. Esiste uno stretto rapporto tra centro/periferia anche a livello sociologico e politico, come ben descrive Derek W. Urwin nella sua “Enciclopedia delle Scienze Sociali” (1991), di cui riporterò qualche estratto.

  87. Ragioniamo in termini di rapporto centro/periferie a livello di Paese e/o Stato…
    In linea generale l’esistenza di centri e periferie può essere dimostrata ovunque; ciò che sono dipende dal punto di vista concettuale adottato: potrebbe trattarsi di condizioni materiali e/o di atteggiamenti mentali. Inoltre, troppo spesso si tende a ipotizzare un rapporto biunivoco fra centro e periferia: individuato un centro, si individua di solito anche una periferia dipendente e, viceversa, ogni periferia viene spesso giudicata in funzione dei suoi rapporti con un particolare centro.
    In breve, sorgono difficoltà perché i concetti usati sono troppo generali, mentre un’analisi empirica deve affrontare il problema delle differenze, presumibilmente considerevoli, tra centri e periferie di paesi diversi. Di luoghi diversi.
    Per rivelarsi di qualche valore, il paradigma deve essere applicato al rapporto complessivo tra tutte le aree all’interno di un sistema territoriale, rapporto che, almeno teoricamente, può assumere nove configurazioni alternative, dal momento che un paese può avere nessuno, uno o più di un centro e nessuna, una o più di una periferia. Inoltre, se si vuole che il modello sia dinamico, si deve tener conto dei cambiamenti nel corso del tempo, il che porta a chiedersi fino a che punto si debba considerare (per es.) il confine politico di uno Stato come inviolabile. Non solo un centro (politico) può stabilire relazioni con altri centri (politici) – relazioni internazionali -, ma una periferia può mantenere una relazione stabile con centri diversi da quello che esercita il controllo politico su di essa. I confini politici sono sempre stati contingenti, mai permanenti.

  88. Se per centro intendiamo una città dominante, o metropoli, allora la Germania e la Svizzera, nonché gli Stati Uniti e il Canada, possono essere considerati paesi con molteplici centri e, forse, con molteplici periferie, nei quali la capitale politica non coincide con i centri finanziari, economici e culturali. Al contrario altre nazioni posseggono un unico centro: esempi illustri di questo caso sono la Francia e l’Austria, dove le metropoli di Parigi e Vienna predominano in molti campi dell’attività umana. Una nazione con un solo centro può anche possedere più periferie, tutte distinte tra loro per uno o più aspetti. Da questa constatazione prende le mosse il classico studio sulla Norvegia di Rokkan (v., 1967); altri possibili esempi sono il Regno Unito (Scozia, Galles, Irlanda del Nord) e la Francia (Bretagna, Alsazia, Occitania, Corsica). Viceversa, può darsi il caso di due o più centri che si contendono il controllo di uno stesso hinterland, assimilabile, in pratica, a una ‘periferia’: un esempio di queste situazioni è offerto dalla Siria, con la storica rivalità tra le città di Aleppo e Damasco. Le periferie, inoltre, possono essere collegate a più di un centro da legami culturali, economici e politici. L’Alto Adige (Sud Tirolo), per esempio, benché politicamente faccia parte dell’Italia, a causa della comunanza linguistica si identifica, sotto diversi aspetti, con il mondo di lingua tedesca e con lo Stato austriaco.

  89. Se definiamo la centralità in termini analoghi a quelli usati da Renan (v., 1970, pp. 61-83), che definisce l’identità nazionale come ‘plebiscito quotidiano’, allora, psicologicamente, le relazioni più centrali per ogni individuo sono quelle ‘faccia-a-faccia’, stabilite nella località in cui vive. Da questo punto di vista la località, anche se oggettivamente periferica, diventa centrale: tutto ciò che sta fuori, incluso il centro dello Stato, diventa periferico. È necessario tener conto di questo punto di vista per una comprensione più approfondita della mobilitazione politica periferica, comunque motivata: da rivendicazioni economiche o da una qualche forma di nazionalismo.
    Per esempio, nel caso dell’Irlanda del Nord, Belfast può essere considerata un’area periferica rispetto sia a Dublino che a Londra. Tuttavia, un protestante dell’Ulster considererà centrale Belfast e periferiche sia Dublino che Londra, fino al punto di giustificare l’esistenza di un regime separato dell’Irlanda del Nord.
    È questa complessità che pone ostacoli all’utilizzazione del paradigma centro-periferia come strumento di analisi; comunque, i concetti di centro e periferia possono essere impiegati con profitto, a patto di considerare ogni aspetto della relazione. È in questo spirito che tali concetti – intesi come due elementi di un archetipo spaziale in cui la periferia è subordinata all’autorità del centro (v. Rokkan, 1975; v. Rokkan e Urwin, 1983) – sono stati applicati con successo al tema della costruzione dello Stato e della nazione.

  90. davvero, caro Tommaso?
    L’estraneo non ha nome? Rimane innominato (scusi l’accostamento manzoniano) fino alla fine?
    E allora come si riferisce a lui lungo il corso della storia? Vuol farci un esempio?

  91. Probabilmente questa complessità della valutazione dei rapporti centro/periferie la si potrebbe applicare al romanzo di Tommaso Giagni e al suo protagonista.
    Qual è il “vero” centro e la “vera” periferia romana per il protagonista del libro?
    E’ possibile riscontrare davvero una perifericità e una centralità capaci di comprendere meglio l’estraneità a cui si fa riferimento?

  92. Spero di non esser andato troppo fuori tema, ma prima di lasciare questi commenti ho chiesto l’autorizzazione via email al responsabile del blog.

  93. Bel tema.
    Direi biblico.
    Mi sia concesso questo riferimento all’Antico Testamento, tutto pervaso dalla presenza di estranei in patria d’altri.
    ———————–

    “Non lederai il diritto dello straniero o dell’orfano e non prenderai in pegno la veste dalla vedova; ma ti ricorderai che sei
    stato schiavo in Egitto e che di là ti ha redento l’Eterno, il tuo Dio; perciò ti comandò di fare questo. Quando fai la
    mietitura nel tuo campo e dimentichi nel campo un covone, non tornerai indietro a prenderlo; sarà per lo straniero, per
    l’orfano e per la vedova, affinché l’Eterno, il tuo Dio, ti benedica in tutta l’opera delle tue mani. Quando bacchierai i tuoi
    ulivi, non tornerai a ripassare sui rami; le olive rimaste saranno per lo straniero, per l’orfano e per la vedova. Quando
    vendemmierai la tua vigna, non ripasserai una seconda volta; i grappoli rimasti saranno per lo straniero, per l’orfano e
    per la vedova. E ti ricorderai che sei stato schiavo nel paese d’Egitto; perciò ti comando di fare questo.”
    DEUTERONOMIO, 24, 17-22

  94. @gioia
    Davvero, sì, il protagonista non ha nome. Essendo il romanzo scritto in prima persona (il narratore è l’Estraneo stesso) non ci sono stati particolari problemi nel riferirmi a lui.
    @ Antonio Pisano
    Non riesco a risponderle in questo poco tempo che ho. Vedrò di rimediare il prima possibile. Comunque grazie, intanto, per aver inserito i brani (molto interessanti) da Urwin.
    @ riccardo g
    Le mie conoscenze bibliche sono colpevolmente scarse, e il riferimento che propone non lo conoscevo. Ho però inserito nel romanzo una deformazione sul tema salomonico, che mi sembrava calzante per raccontare le due Roma (le due donne) e il protagonista (il neonato) nel mezzo.

  95. Grazie a lei. Spero di non aver ecceduto o di non esser stato troppo prolisso. Ci sarebbero altri passaggi interessanti che potrei inserire ( su cui riflettere e magari relazionare col suo romanzo ).
    Ma prima attendo indicazioni da parte di Massimo Maugeri.
    Non vorrei né andare fuori tema, né apparire invadente o eccessivo.

  96. Cari amici, l’impressione è che questo dibattito si sia sviluppato con un “turbo”.
    Grazie di cuore a tutti per la splendida partecipazione. E grazie a Tommaso per la sua presenza (so che questa esperienza a Letteratitudine gli sta piacendo molto).

  97. Un saluto e un ringraziamento speciale per Antonio.
    Caro Antonio, ho un legame particolare con la Tunisia. Qualche anno fa sono stato ospitato dall’Università di Lettere di Tunisi e dall’Istituto Italiano di Cultura tunisino in merito a un mio romanzo.
    E poi ci tengo a segnalare questo post dedicato all’immigrazione clandestina curato dal Simona Lo Iacono (ciao, Simo) e con la partecipazione di Evelina Santangelo.
    Forse può essere di suo interesse: http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/03/09/un-angelo-clandestino/

  98. Ne approfitto per salutare e ringraziare gli intervenuti di oggi: Ausilio Bertoli, Gioia, Stefano, il prof. Emilio (sempre grazie, caro prof.), Angela, Antonio Pisano, Simona Lo Iacono (ciao, cara socia!), Amelia Corsi, Lorella Geraci (forza e coraggio! Trova il tuo centro!), Riccardo G.
    Grazie di cuore a tutti!

  99. Mi chiedevo ancora…
    ho letto il frammento che è disponibile on line e ho avuto l’impressione che anche la lingua sia in bilico tra periferia e centro.
    Neologismi, sonorità, e raffinatezza, soprattutto nell’impatto sincero e lucido con la storia.
    Una lingua schietta e limpida, insomma, che non gioca con messe in scena ma si impone per la sua capacità di inventare e stupire.
    Che ne dice di questa riflessione, Giagni?

  100. Ebbene si cari amici, esisto ancora!
    Ritornata in Sicilia con la recente “transumanza” fuori dall’isola e quel senso di estraneità molto vicino all’autismo … Badate bene non è questione di territorio, di censo o di cultura, ma di com(prensione) dell’altro, tant’è che anche in ambiti strettamente familiari sentirsi estranei non è un fenomeno raro.
    Il senso di estraneità te lo senti addosso come un vestito che non ti appartiene, chi sono stati i sarti? : in genere il disagio arriva quando non ci si sente accettati o veniamo a contatto con forme al di là delle quali c’è soltanto il muro, o meglio i contenuti sono avversari, qualcosa ha deciso per la chiusura, quasi sempre per convenienza.
    saluti
    Rossella

  101. Buongiorno a tutti.
    @Massimo Maugeri. Grazie in giornata proverò a mettere altri brani e riflessioni.
    @Tommaso Giagni. Ma lei conosceva Urwin e i suoi scritti?

  102. Buongiorno a voi, un saluto. Rispondo:

    @Antonio Pisano
    Non conoscevo gli scritti di Urwin, e infatti la ringrazio per averli inseriti.
    Riguardo la risposta che le dovevo: in realtà il problema andrebbe spostato su un altro piano. Il dramma del mio protagonista non è essere ‘periferia’ rispetto a un ‘centro’, ma non sentirsi a casa né nell’una né nell’altro. Individuare quelli che per lui sono ‘centro’ e ‘periferia’ non sposta la sua condizione d’estraneità, mentre aggiunge uno spunto interessante al nostro ben più ampio e consapevole dibattito.

    @riccardo g
    Mi fa piacere emergano tutte queste cose dal poco disponibile online. In effetti è una lingua piuttosto in bilico anch’essa, quella del protagonista narrante: un registro medio-alto che a tratti scade verso il basso (nei momenti di particolare tensione) e a tratti va invece verso l’alto, in una complessità che sa di cortocircuito.
    Sul pezzo di cui mi chiede, quello uscito su ‘minima & moralia’, sì: c’era sicuramente la periferia e c’era l’identità della periferia. D’altronde è ciò di cui mi sono occupato in questi anni.

  103. Caro Tommaso, ancora grazie per la tua partecipazione.
    Ne approfitto per salutare e ringraziare Rossella G. (bentornata in Sicilia!). E saluto anche gli autori dei più recenti commenti: Riccardo, Renata Mangiagli e Antonio Pisano.

  104. @ Tommaso Giagni
    Caro Tommaso, ti andrebbe di inserire – qui tra i commenti – un ulteriore brano tratto dal tuo libro?
    Così lo facciamo assaggiare un altro po’…

  105. grazie per l’augurio, Massimo. non so se troverò il mio centro. mi accontenterei di trovare la mia strada.
    ciao anche a Tommaso.

  106. carissimi
    vi leggo con moltissimo trasporto. Che entusiasmante discussione!
    Torno adesso da una serata tra amici e penso: quanta estraneità tra le solite chiacchiere, nei soliti labirinti in cui cade una comitiva il sabato sera.
    Persino in un sabato sera focoso come questo.

  107. Parlando di labirinti non posso che pensare all’esclusione per eccellenza, alla estraneità su tutto,persino su se stessi.
    Quella del minotauro.

  108. Avete letto “Il minotauro” di Durrenmatt?
    Una delle creature più innocenti della letteratura, che non sa come sia capitato nel labirinto, che gioca con i riflessi degli specchi, con le ombre, con il pensiero su se stesso.

  109. “L’essere danzò per il labirinto, attraverso il mondo delle sue immagini, danzò come un bimbo mostruoso, danzò come un mostruoso padre di se stesso, danzò come un dio mostruoso attraverso l’universo delle sue immagini”

  110. Il mostro danza come un bambino. Un ballo che è come un vortice di entusiasmo ancora vergine, intatto, non contaminato dal mondo, dalla relazione con l’altro.
    Finché non scorge degli esseri che non danzano, delle immagini che non ubbidiscono ai suoi movimenti. Scorge le immagini riflesse di una fanciulla.

  111. Inizia l’estraneità.
    Qualcuno che non è come te. Che non fa i tuoi movimenti, che non balla, che non riconosci.
    Eccolo.
    L’altro.

  112. Il racconto di Dürrenmatt non è solo il racconto dell’impossibilità di conoscere se stessi, ma anche del tragico incontro scontro dell’essere con l’alterità, del tentativo e allo stesso tempo dell’incapacità di conoscere se stessi attraverso gli altri.
    L’incontro col diverso porta inevitabilmente verso un tragico epilogo. L’illusoria realtà del minotauro si infrange nel momento in cui incontra l’altro. La fanciulla prima, Teseo e Arianna poi, i quali con una crudeltà tutta umana escogitano un inganno per uccidere il mostro.

  113. Il paradosso del racconto risiede forse proprio in questo : quando il minotauro scopre la mistificazione degli specchi che gli avevano fatto credere di non esser l’unico, ecco che gli appare dinanzi Teseo mascherato da minotauro e la sua ingenuità gli impedisce di riconoscere la menzogna.

  114. “Il minotauro proruppe in un urlo, anche se fu più un mugghio che un urlo, un grido di gioia per non essere più l’unico, il contemporaneamente escluso e rinchiuso, perché c’era un secondo minotauro, non soltanto il suo Io, ma anche un Tu. Il minotauro cominciò a danzare. Danzò la danza della fratellanza, la danza dell’amicizia, la danza della sicurezza, la danza dell’amore, la danza della vicinanza, la danza del calore. Danzò la sua felicità, danzò la sua dualità, danzò la sua liberazione, danzòò il tramonto del labirinto, lo sprofondare fragoroso di pareti e specchi nella terra, danzò l’amicizia fra minotauri, uomini, animali e dei”

  115. E quando fiducioso il mostro si getta fra le braccia di quello che crede essere un amico, questi lo colpisce col pugnale. Ciò che resta è il corpo senza vita del minotauro e gli specchi non riflettono altro che il suo scuro cadavere.
    La possibilità di conoscere l’altro, il tu e, attraverso il tu, comprendere anche l’io, non è altro che una chimera, un vagheggiamento, una menzogna.
    Il minotauro diviene così paradigma della condizione dell’uomo destinato a scontrarsi tragicamente con il diverso, con l’altro da sé, destinato a non raggiungere mai la verità.
    Estraneo.

  116. Caro Giagni, complimenti per questo tema che affonda le sue radici più sofferte nel mito.
    Conosce “Il minotauro” di Durrenmatt?

  117. Un saluto a tutti.
    @sabrina
    Grazie per le sue considerazioni. Non ho letto “Il minotauro”, no.

  118. Sono d’accordo e capisco benissimo le considerazioni rivolte al personaggio del suo libro. Non si sente né centro, né periferia. E, del resto, l’assenza di senso di appartenenza rientra, a mio avviso, nel nugolo delle peggiori tragedie umane.
    Continuo ad inserire altre riflessioni sul rapporto centro/periferia con l’aiuto di Urwin, così come d’accordo.

  119. Una riflessione importante, a mio avviso (e la cita anche Urwin), è la seguente: i centri costituiscono una forma di ‘imperialismo temporale’ (v. Innis, 1951, pp. 92-131).
    Quale che sia la ragione che ha determinato la scelta del luogo dove il centro è stato fondato, esso viene conservato gelosamente nel tempo come area privilegiata del territorio dove i detentori delle risorse-chiave politiche, economiche e culturali si riuniscono in apposite istituzioni per esercitare il loro potere decisionale.
    Questa considerazione può essere estesa a qualunque tipo di centro.

  120. Un’altissima concentrazione di ogni tipo di risorsa in una piccola area geografica dà luogo a quella che può essere definita una struttura monocefala, dove i detentori delle risorse tendono a vivere e a lavorare a stretto contatto l’uno con l’altro e quindi a interagire reciprocamente.
    Al contrario, quando esiste una marcata dispersione geografica dei detentori delle risorse e dei differenti tipi di istituzioni dove si esercita il potere decisionale, si può parlare di struttura policefala: un modello di distribuzione spaziale delle risorse e di coloro che le controllano, e una catena di centri particolari, ciascuno con un proprio tipo di élite.

    Ragionando in termini più ampi, queste strutture sono il risultato di differenti esperienze nella costruzione dello Stato e possono avere conseguenze politiche nell’epoca della politica di massa.

  121. I centri possono anche essere individuati in base alle attività degli abitanti, verificando come si guadagnino da vivere e a quali reti di attività cooperative partecipino. In termini di attività umana, un centro, in quanto parte di un sistema spaziale di autorità e di subordinazione, può essere definito come quell’area che possiede la maggiore concentrazione di individui capaci di determinare, realmente o simbolicamente, l’ambiente degli altri e di dire loro quello che devono fare.
    Un centro svolge un ruolo decisivo nell’elaborazione e nella comunicazione a lunga distanza delle informazioni e delle istruzioni. Una percentuale significativa della popolazione di un centro risulta perciò impiegata nel settore ‘quaternario’ dell’economia, cioè negli enti e nelle istituzioni responsabili della registrazione, della manipolazione e della divulgazione nel territorio di decisioni, ordini, istruzioni e informazioni. La Francia costituisce un esempio significativo di accentramento estremo, in quanto le risorse sono concentrate a Parigi e nell’Île de France, mentre la Germania e la Svizzera presentano un modello di distribuzione molto più differenziato territorialmente.

  122. Va comunque sottolineato che i centri territoriali, in quanto insediamenti che forniscono servizi, elaborano informazioni e controllano transazioni su grandi distanze, non possono essere analizzati isolatamente: vanno considerati complessivamente, evidenziandone gli eventuali rapporti gerarchici e le reti di comunicazione che li collegano. I centri devono perciò essere analizzati a due livelli; bisogna cioè valutare, da un lato, la centralità del singolo sito e, dall’altro, il suo grado di centralizzazione all’interno della rete di cui fa parte.

  123. In breve, sia la centralità stessa che il grado di centralizzazione possono variare secondo molte combinazioni di localizzazione geografica, sviluppo economico e decisioni politiche. Questi sono gli elementi essenziali su cui si basano l”imperialismo temporale’ e la costruzione di infrastrutture istituzionali, e sono essi che determinano il modo in cui il retaggio del passato può influire sui criteri di fondazione di un nuovo centro e sulle strategie di conquista del potere politico. I fattori-chiave che determinano la centralità di un insediamento sono, quindi, la dotazione di risorse e i canali di comunicazione. Un centro controlla la maggior parte delle transazioni tra i detentori delle risorse di un dato territorio, in genere sorge in prossimità delle aree ricche di risorse (sia umane che materiali) e domina il flusso delle comunicazioni, in particolare attraverso la diffusione nel territorio di un linguaggio standardizzato e attraverso il controllo di una serie di istituzioni a carattere consultivo e direttivo.

  124. Per il momento preferisco non aggiungere altro. Ringrazio Maugeri per la disponibilità datami nel rilasciare queste riflessioni.
    Saluti cari.

  125. Salve,
    ho trovato il libro di Giagni per caso frugando spasmodicamente in libreria alla ricerca di qualcosa di nuovo. da lì, incuriosita, ho cercato notizie e sono approdata a questo blog.
    vorrei porre una domanda su tutte all’autore
    premetto che sono nata e cresciuta a roma, ed ho 25 anni. (e credo che questi fattori siano determinanti nell’ottica della lettura del libro e delle domande che sorgono)

    caro Tommaso,
    sbaglio o nella storia non esiste per i tuoi personaggi possibilità di salvezza?
    non si salva Claudio, traditore agli occhi dell’estraneo.
    non si salva Andrea, che vende se stesso per qualcosa che non vedrà mai.
    non sono salve Alba o Marianna, l’una condannata dall’estraneo per la sua scelta di non staccarsi dal perbenismo ipocrita ma appagante del centro città, l’altra felice di aver trovato il cambiamento ma incapace di quell’amore che ci fa accettare l’altro anche se diverso da noi.
    non si salva neanche il padre dell’estraneo che volendo consegnargli una vita migliore lo ha costretto ad un senso di non appartenenza perenne.
    e l’estraneo..lui davvero non si salva.
    qualcuno mi dica che mi sbaglio, che ho letto la storia all’incontrario.
    qualcuno mi dica che c’era la salvezza e io non l’ho vista.
    qualcuno mi dica che un giovane autore emergente, le cui pagine si leggono scorrevolmente, cercando di intuire come va a finire la storia e al tempo stesso apprezzando la lingua e le finezze stilistiche usate, crede nella speranza.
    qualcuno mi dica che i sogni non sono, come sostiene Marianna, cose da borghesi.

  126. cara amalia, sto iniziando a leggere il libro di giagni. per quanto mi riguarda, non ho mai comprato un libro per cercare la speranza. ne abbiamo parlato altre volte, anche in questo blog: la letteratura non deve dare speranza, ma un buon “pugno nello stomaco”, se ci riesce. in genere diffido dalla letteratura che da’ speranza. poi, naturalmente, ci sono storie e storie.
    ma vediamo che ci dice tommaso giagni.

  127. Grazie @Antonio Pisano
    per i nuovi brani da Urwin.
    @Amalia R.
    La possibilità di salvezza da una condizione d’estraneità passa, secondo me, per strumenti culturali ed elementi caratteriali che non tutti hanno. Che io creda o meno “nella speranza” è secondario: la fiction è fiction, e il percorso e le convinzioni di un protagonista/prima persona narrante non coincidono necessariamente con quelli dell’autore. Non sono d’accordo con l’analisi che fai riguardo Claudio e soprattutto Alba e Marianna, ma non mi pare giusto influenzare qui chi sta leggendo o vuole iniziare a leggere il libro.
    @giacomo tessani
    Anche a me in linea di massima interessa di più la letteratura che sia un “pugno nello stomaco” (fonte di dubbi e conflitti), piuttosto che consolazione.

  128. Hallo a tutti. Sono ancora viva. Sono stata assente a causa del computer, ma esso ha sette spiriti come i gatti ed è rinvenuto concedendomi la gioia di ritrovare questo gratissimo , come si chiama? Blog. Ciao Massimo ti partecipo che la mia silloge “La vita dell’essenza sfiorata dall’ombra” recensita anche da Renzo Montagnoli ha ricevuto il primo premio assoluto di poesia “Arenella- Città di Palermo 2012” Associazione culturale “Palermo cult-pensiero.” con la seguente motivazione:
    “La voce poetica di Carmela Mondì Sanò si è affermata nel campo letterario grazie ad una fertile ricerca di motivi e linguaggi, di forme e di stili che si è sviluppata fuori da ogni scuola letteraria di attualità; una voce perciò quasi appartata ma attenta alle esigenze dell’anima ed ai segni più vivi del nostro tempo……………”

  129. L’estraneità che stiamo vivendo,secondo me, è legata alla caducità, all’effimero, alla superficialità (che è la caratteristica della pluralità), alla perdita del presente ma è proprio nell’estraneità, nella precarietà, la condizione propria per costruire il mutamento che costituisce l’orizzonte vero di ogni esistenza.
    Rilke dice” chiedi il mutamento…Ciò che nel rimanere si chiude, è ormai pietrificato”.
    Forse ci siamo affossati nel pietrificato, in un mondo che è stato e non ci appartiene più e ci sentiamo estranei.
    Io penso infatti che non è il mondo che ci è estraneo ma siamo noi estranei a noi stessi perchè non riusciamo a sincronizzarci con esso e di conseguenza non riusciamo incontrare l’altro.
    Quando l’uomo si sente estraneo alza muri e il novecento è l’epoca dei muri da quello di Berlino , a quello di pochi centimetri delle due Coree (ma sempre un muro), a quello alto, svettante e cementificato della Palestina.
    Siccome quello dell’estraneità è uno status permanente dell’essere soggetto storico e tutti i filosofi si sono cimentati per dare una risposta,come cristiana sostengo che l’estraneità la viviamo fin dalla nascita, una estraneità che a poco a poco diventa nostalgia del luogo da dove siamo venuti e verso cui la nostra anima vorrebbe andare.
    Forse dietro l’estraneità c’è l’idea che ci fa sentire ospiti ed emigranti.
    Credo di non aver detto di più di quanto è stato detto più sopra.
    Allo scrittore del L’estraneo va il merito di avere messo in evidenza una caratteristica dell’uomo moderno ma secondo me ha sbagliato se l’estraneità l’addebita ai cambiamenti di residenza, alle differenze sociali. In questo senso taglia le gambe alla speranza ma non apre la porta al lutto dal quale poi nasce la vita. Lo leggerò.

  130. … e grazie per il tuo intervento sul concetto di “estraneità”.
    Per quanto riguarda Tommaso Giagni, posso dirti che il suo personaggio rimane comunque estraneo a prescindere dai cambiamenti di residenza e/o sociali. Si tratta di una estraneità che nasce dal di dentro.
    Ti abbraccio.

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