IO E TE di Bernardo Bertolucci
con Jacopo Olmi Antinori e Tea Falco
Recensione di Ornella Sgroi
Non c’è sensazione più appagante di quella che si prova uscendo da una sala cinematografica con la certezza di avere visto un grande film. Senza dubbi, senza sospesi, senza perplessità. Ancor di più quando la sensazione della sua grandezza non è legata a maestosità e magniloquenza, quanto piuttosto ad una lineare e chiara semplicità di sentimenti ed emozioni. Come quella che attraversa Io e te, il nuovo film di Bernardo Bertolucci che, ispirato dall’omonimo racconto di Niccolò Ammaniti, è tornato dietro la macchina da presa dopo nove anni (The Dreamers è del 2003) vincendo l’immobilità che lo tiene legato alla sua “sedia elettrica” – come lui stesso l’ha ironicamente definita.
E il suo nuovo film è tutt’altro che immobile, nonostante sia girato quasi interamente all’interno di una cantina, enorme e stipata di oggetti provenienti da un passato polveroso che odora di muffa. Antro sotterraneo nel quale si rifugia Lorenzo (Jacopo Olmi Antinori), un quattordicenne in cerca di libertà dalla sua stessa adolescenza problematica, fingendo con i genitori di essere in settimana bianca con i compagni di classe. Computer, playstation, cibo-spazzatura, musica sparata nelle cuffie. Un microcosmo perfetto, il cui equilibrio viene infranto dall’arrivo inatteso della sorellastra più grande Olivia (Tea Falco), eroinomane in crisi di astinenza che Lorenzo non vede da anni. Due mondi distanti anni luce, paralleli, destinati a non incontrarsi mai. Che invece si scontrano, collidono, esplodono, per poi rigenerarsi.
I due protagonisti, creati da Ammaniti e interpretati per Bertolucci da due giovani esordienti straordinari, insieme e ciascuno per sé, sono in fondo due immagini speculari dell’adolescenza. Quella di Lorenzo, ancora in corsa e piena di possibilità. Quella di Olivia, negata e perduta nella degenerazione della sua complessità.
Dal loro scontro-incontro il regista ne estrae un film intimo e caldo, nutrito dalla fisicità di due corpi e dalla fragilità di due anime che si respingono e allo stesso tempo si attraggono, diffidenti ma anche bisognosi di un contatto inevitabile. Un film asciutto, privo di divagazioni, eppure pieno di sfumature colte da Bertolucci con lo sguardo del grande maestro che è. Facendo tesoro degli elementi caratterizzanti del suo cinema, dalla curiosità per la psicanalisi alla sua ben nota cinefilia, che però rielabora senza troppe contorsioni per metterle al servizio di una storia che gli ha restituito l’entusiasmo per il suo mestiere. Del resto, sebbene la narrazione avvenga con unità di luogo e di tempo, in quel tempo sospeso che c’è tra un prima e un dopo, il suo Io e te è anche carico di vitalità. Di quella vitalità che è propria dei suoi due giovani protagonisti, più forte del loro già forte disagio che contagia anche lo spettatore, coinvolto in un percorso di crescita disturbante e liberatorio. Per il quale Bernardo Bertolucci, con i suoi settantuno anni, rinuncia al finale tragico del racconto affidato al sentore di un lontano presagio, optando per la speranza. Che ferma per sempre la storia in uno scatto fotografico, fissando negli occhi dello spettatore il sorriso appena scoperto di un ragazzo in fuga che si apre al mondo perché ha promesso, e deciso, di non fuggire più.
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Leggi l’introduzione di Massimo Maugeri
Il trailer del film
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