Pubblico con piacere questo contributo messomi a disposizione dall’amico Franco Pezzini, dedicato alla memoria di Paolo De Crescenzo (che ricordo con particolare affetto anche per via della sua partecipazione al dibattito di Letteratitudine dedicato alla “letteratura dei vampiri“).
Massimo Maugeri
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RICORDO DI PAOLO DE CRESCENZO
di Franco Pezzini
Ci sono persone che hanno la capacità di conciliare il sogno – con quanto di azzardato o cocciuto ciò comporti, perché un sogno è più che un’aspirazione, un forte interesse o persino una passione – con la sana concretezza, impastata di fatica quotidiana: persone che sanno insomma armonizzare i due termini, senza rinunciare al secondo ma senza mai permettere che il primo sia avvilito. Vorrei iniziare a ricordarlo così, Paolo De Crescenzo, rispondendo all’invito dell’amico Maugeri su uno spazio a lui dedicato.
Tengo poi da subito ad aggiungere qualcosa che non riguarda un semplice dettaglio del ritratto, ma la chiave e il combustibile di quella capacità: cioè la sovrabbondanza di umanità (burbera, ironica, esigente ma rispettosissima, affettuosa) che chiunque abbia frequentato un po’ Paolo non poteva non riconoscergli. E che rappresenta – è un discorso già fatto – una merce non troppo considerata sul listino degli interessi diffusi: eppure, senza retorica da coccodrilli, è ciò che rende speciale condividere con una persona, lavorarci insieme. E continuare a ricordarla – e farcela mancare – quando gli occhi si siano chiusi.
Molti aspetti della vita di Paolo sono stati richiamati nei primi articoli a caldo, i giorni successivi alla morte: testimonianze, in particolare, sull’avventura di fondazione e conduzione di una casa editrice votata all’horror di qualità, sullo stile delle scelte autorali, sulla costruzione di una “squadra” italiana, e in ultimo sulla parabola che attraverso crisi economica generale e malattia ha condotto al suo abbandono del timone – e su ciò non tornerei. Mi sembra invece importante riprendere un aspetto particolare dell’esperienza della Camelot gotica edificata in quel breve volgere d’anni, perché permette di non guardare soltanto indietro ma avanti, a un’eredità ideale, a un futuro.
Lo stile di Paolo era di far collaborare le persone. Per carità, in un contesto di base imprenditoriale, non per generico buonismo: eppure tale mettere insieme non era semplicemente funzionale a un risultato di cassa. Il progetto editoriale si configurava come culturale ad ampio raggio: non solo un portfolio di autori più o meno apprezzati dagli acquirenti, non solo una “scuderia” di penne di qualità per introduzioni e prefazioni ai romanzi, ma un bacino di interlocutori con cui confrontarsi e sognare. Di qui progetti continui, fino alla fine: progetti in molti casi portati avanti e approdati a esiti felici, in altri ridefiniti via via o abbandonati per scelta, in altri ancora caduti con la fine della sua direzione. E ciascuno di noi che (in forme diversissime) con Paolo abbiamo collaborato trattiene probabilmente nel proprio archivio qualcuna di queste avventure mancate.
Uno stile, comunque, che permetteva di cogliere senso e sensatezza di un piano altrimenti folle come la fondazione di una factory dell’horror su carta nel nostro paese: e qualcosa della relativa latitudine e profondità può avvertirsi nel vivacissimo scambio in questo stesso sito a proposito della letteratura di vampiri (e altri orrori), con la squadra Gargoyle fortemente presente. L’horror insomma non baraccone di effetti facili, ma linguaggio degli imbarazzi di una società, dei suoi timori e desideri inconfessati o inconfessabili, delle sue crisi; linguaggio-antidoto alle certezze manipolatorie tanto spesso calateci addosso, linguaggio-laboratorio per l’emersione dei demoni di un orizzonte culturale. Linguaggio che irride la conciliazione a poco prezzo, e capace – se valido, “di qualità” – di lasciare il segno nel lettore. Come dice Arthur Machen, l’orrore può aggiungere bellezza alla vita, e anzi il terrore, in qualche modo, è la preghiera alla bellezza sconosciuta. E a questo genere in Italia considerato spesso impresentabile – al punto da favorire l’etichettatura di testi horror come thriller o noir, qualifiche considerate meglio vendibili – Paolo col suo lavoro ha offerto, si può dire, una dignità nuova.
Tutto ciò permette di guardare avanti. E non entro ora nel merito specificamente editoriale, ma piuttosto in quello di uno stile, un modo di rapportarsi. Paolo faceva incontrare le persone, le faceva sognare insieme. Bene, se gli autori da Paolo radunati, in controtendenza a un mondo culturale spesso nel segno dell’individualismo, riusciranno a mantenere vivo quel tessuto e inventarsi occasioni d’incontro, magari più vivaci e personali di uno scambio su youtube; se al di là dei diversi marchi delle pubblicazioni e dei confini del fandom, continueranno a condividere i sogni – un sognare che è ragionare e progettare insieme, anche se non ha connotati di idillio e non toglie fatica; se riusciranno a contagiare altri con questo stile, mostrando che il Fantastico non è solo o banalmente un’evasione ma una messa a fuoco alla giusta distanza del mondo in cui siamo immersi, allora potrà cambiare anche in Italia la percezione dell’horror. Un risultato che non si consumerebbe in una semplice questione di target, traducendosi in una ben più ampia circolazione di istanze critiche, di salutari provocazioni e spiazzamenti. Una sfida insomma che, per quanto ardua in una situazione come quella italiana, non giace nel limbo delle utopie irrealizzabili – e ci farebbe un gran bene.
E ciò, ripetiamolo, in particolare grazie a Paolo.
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Pubblico con piacere questo contributo messomi a disposizione dall’amico Franco Pezzini, dedicato alla memoria di Paolo De Crescenzo.
Come ho specificato sul post, ricordo con particolare affetto Paolo De Crescenzo anche per via della sua partecipazione al dibattito di Letteratitudine dedicato alla “letteratura dei vampiri“
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/03/01/letteratura-dei-vampiri/
Ne approfitto per ringraziare Franco per il pezzo…
(Grazie mille, carissimo Franco).
Lo “spazio commenti” è aperto per raccogliere eventuali altri contributi.
Penso, per esempio, a Gianfranco Manfredi (leader del grande dibattito sulla “letteratura dei vampiri”).
Qualunque altro commento o contributo sarà (ovviamente) bene accolto.
Grazie mille in anticipo.
Auguro a tutti una splendida serata.
Grazie a te, Massimo, per l’opportunità offerta di ricordare un amico.
Non conoscevo Paolo De Crescenzo, ma leggendo le parole di Pezzini mi sarebbe piaciuto conoscerlo.
Grazie a Maugeri per l’opportunità offerta con questo post.
omaggio anch’io paolo de crescenzo pur non avendolo conosciuto.
aggiungo questo: spero che l’eredità che ha lasciato sia stata prontamente raccolta.
Il bel intervento di Pezzini ha già detto molto, in particolare riguardo agli scrittori italiani e ai ricercatori e saggisti italiani che Paolo aveva saputo radunare intorno a sè, sulla base di un progetto preciso, ma mai unilaterale o asfittico, anzi aperto alla diversità, anche estrema, dei contributi e delle proposte. Io qui vorrei ricordare il catalogo (soprattutto straniero) che nei suoi cinque o sei anni di attività, Paolo ci ha lasciato. Sì, perché quel catalogo è davvero il suo lascito, e ci fa capire meglio di ogni altra valutazione come Paolo guardava all’horror, come lo interpretava da cultore e da editore. Preciso di non aver letto tutti i libri pubblicati da Gargoyle, anche se Paolo me li inviava regolarmente, ma la cosa non ha molta importanza perché il primo punto è proprio questo: Paolo non inseguiva la stretta attualità, puntava a un catalogo che potesse restare nel tempo. I romanzi (è bene ricordarlo) non è strettamente necessario leggerli al momento dell’uscita, magari sotto pressione promozionale, o sperando in chissà quale evento. Si possono comprare, conservare, e leggere anche molto tempo dopo l’uscita. Il tempo della letteratura, inclusa quella di genere, è e deve restare diverso dal tempo della cronaca. A furia di inseguire il libro “attuale” in grado di suscitare scalpore immediato, l’editoria ha finito per produrre libri occasionali che muoiono di senescenza precoce due mesi dopo l’uscita, senza lasciare nemmeno rimpianti (se non quello d’aver buttato i propri soldi). Romanzi destinati a durare (anche per la loro veste) e ad essere conservati: questo editava Paolo. Il primo pubblicato fu “Hotel Transilvania” di Chelsea Quinn Yarbro, un’autrice americana pubblicata in molti paesi del mondo , ma fino ad allora mai tradotta in Italiano. Quello fu il primo di una serie di suoi romanzi tanto vampirici quanto storici, lungo un percorso letterario parallelo a quello di Anne Rice, ma con un’attenzione ai dettagli storico-culturali molto maggiore e un gusto avventuroso, ironico e “lieve” rarissimo nella narrativa horror. Tra gli altri autori americani, impossibile non citare Robert McCammon e Dan Simmons di cui Paolo ripubblicò (con traduzioni fresche) titoli già pubblicati a suo tempo da Marco Tropea e Laura Grimaldi in Interno Giallo. E questo è un altro punto fondamentale: ristampare (e ritradurre) ha un senso quando aiuta i lettori a riscoprire l’importanza di autori capaci di durare nel tempo per la qualità della loro scrittura e l’originalità “d’autore” delle loro opere. Terzo: i romanzi di John Passarella, quello (straordinario) di Jack Ketchum (“La ragazza della porta accanto”) , la stranezza assoluta del romanzo di George R.R.Martin “Il battello del delirio” (già pubblicato in passato in Italia), l’altra stravaganza di Graham Masterson (“Il sangue di Manitou”, da cui venne tratto un film altrettanto unico nel suo genere) , “Il Morso sul Collo”, romanzo di un autore “maledetto” come Simon Raven, presentavano degli scostamenti dal mainstream , che nel caso dell’horror, è assolutamente necessario esplorare , togliendo dalla penombra autori insoliti e illuminando temi poco frequentati. E tra le grandi riscoperte, impossibile non riconoscere il merito culturale di Paolo nell’aver proposto per la prima volta in Italia, o in qualche caso ri-proposto, dei classici da noi ingiustamente dimenticati se non addirittura ignorati. Cito ad esempio “Lo Zio Silas” di Sheridan Le Fanu, l’edizione integrale in tre volumi di “Varney Il Vampiro” (impresa tanto “dissanguante” sotto il profilo commerciale, quanto importante dal punto di vista culturale) , la riscoperta di Marie Corelli (“Vendetta!”) giustamente omaggiata da Melania Mazzucco in una sua notevole recensione sulle pagine culturali di Repubblica. Neppure va dimenticato il brillante esordio narrativo di Clanash Farjeon , propiziato da Paolo, con il suo “Le Memorie di Jack lo Squartatore” romanzo nuovo, ma destinato sicuramente a restare nel tempo come uno dei migliori dedicati a The Ripper. E i nuovi Sherlock Holmes, personaggio che esercitava su Paolo un fascino tutto particolare, da vero appassionato. Non ho citato tutto, ma quanto basta e avanza a chiarire che Paolo De Crescenzo era un editore “di progetto” , che non si limitava a inseguire titoli, ma li sceglieva e pubblicava secondo un criterio , nel tentativo di riscattare la narrativa horror dal ghetto dell’eterna Serie B e dal bestsellerismo di maniera, mostrandone insomma sia la specificità sia il valore letterario. Paolo ha seguito questa sua ispirazione regalandoci giorni e giorni di lettura stimolante, e questo lascito non è disperso. E’ un catalogo. Un catalogo costruito con estrema lucidità, con un impegno personale e una dedizione totali, ma soprattutto con amore per un genere (l’horror) colpevolmente trascurato dalle nostre vetuste accademie. Grazie, Paolo.
Paolo era dei Gemelli. Lo riscrivo con più chiarezza: apparteneva al segno zodiacale dei Gemelli. Come me e come un sacco d’altre persone. Un Gemelli, di solito, non è così irrazionale da andarsi a leggere l’oroscopo quotidiano. Ma si riconosce alla grande nella tipologia che l’astrologo gli prospetta. Sotto questo profilo, i Gemelli sono un Club quasi esclusivo: vi basti ricordare che la triade Peter Cushing, Chris Lee e Vincent Price appartiene al segno nel ristretto spazio dei pochi giorni finali del mese di maggio. Io sono del 28 e me ne vanto. I Gemelli, consapevoli di esserlo, tra loro comunicano soltanto per metafore e sottintesi, duttilità di significati e ambiguità di umorismo. Con Paolo, una volta chiarito l’alveo stellare comune, si interagiva così. Uno spasso intellettuale senza lasciarsi mai andare alla risata. Tutt’al più un sogghigno. Perché Paolo, come molti hanno ricordato, era un vero signore. Duole anche ricordare che l’umorismo – anche un po’ macabro che ci è proprio – lo ha accompagnato anche in certe fasi più dure della sua crudele malattia. Qualche volta, al telefono, mi ha tolto dall’imbarazzo con una battuta fulminante che magari riguardava le sue sorti. Sapeva sorridere sul destino. Per consolare forse gli amici.
Con Paolo ho vissuto un’esperienza letteraria, unica, almeno per me, nel suo genere. Una volta che gli prospettai – a grande linee – il plot de “L’estate di Montebuio”, iniziai a produrre e a mandargli un paio di capitoli per volta. Lui me li rimandava con le sue puntuali osservazioni, con un rispetto assoluto dell’autore. Sempre ne facevo tesoro e non pecco di prospettiva se affermo che è stato, in buona parte, un lavoro a 4 mani. Di questo non potrò che essergli grato. Di lui mi resterà impressa per sempre la dedizione alla sua mission, al genere, all’idea di “scuderia” degli italiani: elementi per i quali si è speso in ogni sua cellula. Mi unisco a Gianfranco in un “grazie” non di circostanza.
Neanche io purtroppo conoscevo Paolo De Crescenzo… ringrazio l’autore di questo contributo perché servirà a me in primis e ad altri per inquadrare meglio questa figura.
LETTERATURA DEI VAMPIRI…
Mi viene in mente un’idea che butto qui – o lì? – e magari Maugeri e Pezzini ci penseranno su, se la riterranno valida. Si potrebbe organizzare qualche iniziativa on line, magari una raccolta di racconti a tema, un’antologia, un contest… che ne dite?
che belli gli interventi di gianfranco manfredi e danilo arona!
grazie!
@ maria lucia r.
buona idea. però già il post ‘letteratura dei vampiri’ è di per se’ un patrimonio unico. cosa ne pensate?
se non sbaglio ci sono anche gli interventi di paolo de crescenzo…
Oggi ho conosciuto Paolo De Crescenzo. Di questo ringrazio Massimo Maugeri, Franco Pezzini, Gianfranco Manfredi e Danilo Arona.
Darò un’occhiata al catalogo Gargoyle, seguendo i consigli offerti.
Posso dire soltanto di essere stato molto contento di averlo conosciuto personalmente e di aver chiacchierato spesso con lui dei suoi progetti dei quali è sempre stato giustamente entusiasta. Con Gargoyle ha creato davvero qualcosa di speciale. Qualità ed eleganza, due cose che oggi come oggi sono più rare dei quadrifogli.
Mi unisco al pensiero dedicato a Paolo De Crescenzo. Mi ricordo benissimo la sua partecipazione al dibattito sulla letteratura dei vampiri e di altri orrori.
Ringrazio anch’io per i contributi di Pezzini, Manfredi e Arona.
Molto, molto belli!
Care amiche e cari amici,
vi ringrazio per i vostri commenti.
Ne approfitto per salutare Matteo Sartoni, Giacomo Tessani, Maria Lucia Riccioli, Vale, Amelia Corsi.
Un ringraziamento specialissimo ai cari Gianfranco Manfredi e Danilo Arona che hanno avuto la possibilità di lavorare con Paolo.
Grazie per le vostre testimonianze.
E ancora grazie a Franco Pezzini…
Spero che giungano altri contributi.
Intanto ne approfitto per augurarvi una serena notte.
Invitato dall’amico Franco Pezzini a lasciare un commento (invito lanciato con il raro tatto che lo contraddistingue), eccomi qua, senza nemmeno avere le idee chiare su cosa scrivere. Vorrei assolutamente evitare l’effetto “coccodrillo”, e ancor più vorrei schivare l’effetto “agiografico”, che disincarna in certa misura la persona ricordata.
Mi permetterò pertanto di tracciare una asciutta testimonianza soggettiva. Asciutta perché originata da una conoscenza piuttosto breve; soggettiva perché basata su una concreta esperienza personale.
Prima di tutto: non ho mai incontrato “fisicamente” Paolo De Crescenzo. Ci sono state alcune sue proposte telefoniche per realizzare tale prospettiva, ma, un po’ per la distanza (abito in Belgio), un po’ per la sua salute che andava peggiorando, questi propositi non sono sfociati in un abboccamento che si aprisse e si chiudesse con una bella stretta di mano.
Ci sono però state varie e-mail, e qualche telefonata. A dire il vero penso che Paolo ed io ci siamo “sfiorati” nel 2009 al Salone Internazionale del Libro a Torino, nel senso che entrambi eravamo presenti, ma senza poterci riconoscere dal momento che, di fatto, non ci conoscevamo.
È stato il buon Gianfranco Manfredi a metterci in contatto, caldeggiando una mia proposta editoriale (un romanzo da riscoprire) che, nel giro di poche e-mail e di un invio postale cartaceo, era stata accolta con un’apertura mentale ed una cortesia che da subito mi avevano meravigliato, considerando i lunghi tempi, i silenzi o gli ambigui temporeggiamenti che contraddistinguono tanti altri editori.
Per la cronaca, dirò subito che, per quelli che sono stati gli infausti sviluppi della malattia di Paolo (e su cui, credo, sia meglio non ritornare), il progetto non ha visto la luce. La vedrà – salvo imprevisti – tra circa un anno, per i tipi di un altro editore ovviamente. Finché non stringerò in mano il libro stampato, non canterò vittoria, ma va da sé che il testo in questione, nel caso, lo dedicherò a lui.
Insomma, per le cosiddette “cause di forza maggiore”, della mia proposta non se ne fece nulla. Ma non si creda, tuttavia, che quel contatto “acceso” da Gianfranco Manfredi non mi abbia portato frutto. Tutt’altro: dette luogo a un proficuo, sincero, caloroso scambio di messaggi, di vedute, di opinioni sul mondo dell’horror e del fantastico e non solo, che non starò qui ad elencare. Perché De Crescenzo dava parole di incoraggiamento e riflessioni positive (positive: non buoniste, per carità…) che oltrepassavano il puro campo dei nostri comuni interessi, e che non perdevano di vista i suoi problemi come neppure i miei: e parlo dei cosiddetti “problemi della vita”, quelli veri (mi si perdoni – e mi si conceda – l’uso di una così usurata espressione, di cui non riesco, ciononostante, a trovare su due piedi una valida locuzione sostitutiva e altrettanto pregnante).
Ho il piacere di stendere un ricordo che, nella sua banalità, penso la dica lunga sulla persona. A un certo punto Paolo decise che gli dovevo fare la prefazione a un volume che aveva in cantiere: la prima traduzione italiana di “Black Magic” di Marjorie Bowen. Questa prefazione, seppe estorcermela con impareggiabile maestria, quasi scusandosi per la cifra “irrisoria” con cui me l’avrebbe pagata, e al tempo stesso instillandomi un appetito incalzante di non lasciarmela sfuggire. A onor del vero, la cifra propostami non era per nulla irrisoria (specialmente in rapporto agli attuali, rivoltanti sciacallaggi operati in ambito editoriale) e, data il tipo di lavoro, avrei naturalmente potuto acconsentire per il puro piacere di farlo.
E questo, chiaramente, Paolo lo sapeva; ma voleva ugualmente che il mio impegno fosse retribuito, in termini che per lui erano puramente simbolici (ma non per questo meno importanti) e che, per me, erano più che dignitosi.
Com’era prevedibile, una volta consegnata la prefazione non tardò a farmi versare – in piena regolarità fiscale, si badi bene – il compenso pattuito.
Mi fermo qua perché, ahimè, non posso vantare una conoscenza più approfondita dell’uomo, così come hanno avuto modo (e fortuna) di sperimentare Franco Pezzini, Gianfranco Manfredi, Danilo Arona e altri. Ciò che posso – e voglio – dire in tutta franchezza è che, alla luce di un rapporto sostanzialmente “superficiale”, se dovessi condensare l’opinione che – a pelle e nei fatti – ho maturato di Paolo De Crescenzo, non esisterei a definirlo un vero “signore”.
Nel senso meno retorico e inconsistente della parola, che, purtroppo, soprattutto nel campo editoriale sembra essersi un po’ perso, in un’Italia in cui i fatui e tronfi titoli di “dottore” non solo non si negano a nessuno, come recita il vecchio adagio, ma che addirittura sono sempre più aggressivamente sbattuti sul tavolo, nell’emulazione suicida della compravendita finanziaria e del mercato più mafioso.
Non so, a dir la verità, se De Crescenzo fosse laureato o meno. Di certo era un signore, e ciò gli rende grande onore.
Bello anche l’intervento di Fabrizio Foni. Grazie!
Non conoscevo Paolo De Crescenzo, ma le testimonianze che ho letto sono molto belle.
Spero che la sua eredità sia stata raccolta e che potrà fruttare.
Un saluto a tutti i partecipanti di questo bel blog.
Molto apprezzabile questo ricordo di De Crescenzo, perché era davvero una persona che lo meritava. L’ho conosciuto quasi di sfuggita, ospiti di convention o per due chiacchiere al Salone del Libro di Torino, dove avevamo persino ipotizzato di prendere uno stand in comune. Era una persona cortese e corretta e animata, come me – anche se il genere di elezione non era lo stesso – dall’entusiasmo e dalla voglia di fare e promuovere la sua passione.
Ho letto con molto piacere tutti gli interventi, in particolare quello di Franco Pezzini (a cui sono debitore di aver fatto il mio nome per la prefazione allo Zio Silas, con cui iniziai la mia, purtroppo breve, collaborazione con la Gargoyle Books) e sono molto contento che la figura e la personalità di Paolo De Crescenzo vengano ricordate e diffuse con tanto calore e affettuosità.
Che piacere leggere tanti commenti così pieni di affetto, grazie di cuore a tutti quanti gli amici che hanno trovato il tempo di elaborare un contributo o un ricordo per animare questa pagina. Approfitto dello spazio per rispondere simpaticamente alla domanda che si pone Fabrizio. Mio padre Paolo era laureato in giurisprudenza ma accettava di farsi dare del “dottò” soltanto dai parcheggiatori abusivi… scherzi a parte, è stato un uomo alla mano che si rapportava alla pari con chiunque, ed è un peccato che le vostre conversazioni non abbiano più di frequente varcato i confini del professionale… calcio, cinema, musica, ristoranti e potrei seguitare… su qualunque terreno lo si portasse andava, per dire la sua o imparare a farlo. Non ci parlo da tre mesi, ma non mi stancherò mai di parlarne o sentirne parlare, e di questo ringrazio ancora tutti voi.
Ringrazio Sandro Melani per le gentili parole: in effetti uno dei tanti aspetti belli di lavorare con Paolo consisteva proprio nel dialogo in termini di fiducia e schiettezza che sapeva instaurare, confrontandosi e consigliandosi, senza peraltro restare prigioniero delle valutazioni altrui. Con risultati anche editorialmente eccellenti come nel coinvolgimento nell’importante operazione-‘Zio Silas’ di un esperto straordinario come Melani.
Una postilla personalissima al divertente aneddoto/precisazione del figlio Simone: per quanto possa suonare retorico, mi sarebbe piaciuto passare del tempo con Paolo De Crescenzo, e – perché no? – andare anche insieme in qualche ristorante, per chiacchierare di fronte a un bel piatto, a un buon bicchiere. Mi spiace molto che la mia esperienza dell’ “uomo” De Crescenzo (corta, peraltro) sia circoscritta quasi esclusivamente all’ambito professionale…
Desidero ringraziare Fabrizio Foni, Silvio Sosio, Sandro Melani, e Simone De Crescenzo per i loro interventi.
Grazie mille a tutti!
Un saluto anche ad Amelia Corsi e a Adriana Giglio.
E un abbraccio a Franco Pezzini.
Un abbraccio, Massimo – e buon weekend a tutti.
Commosso omaggio ad una grande persona. Complimenti. Merli M.
Grazie, caro Matteo!
Abbiamo avuto il privilegio dell’amicizia di Paolo e della sua meravigliosa famiglia. Paolo,oltre ad essere una persona di elevata cultura, ha tracciato percorsi di geniale creativita’in cui il linguaggio non era solo comunicazione ma dialogo tra le persone. Lucio ed Irene
Grazie mille per la testimonianza, cari Lucio e Irene.