Ho incontrato Enrico Gregori e Vito Ferro in maniera rocambolesca.
Stavo per eliminare le mail raccolte nella cartella spam del mio account quando, tra una promozione del viagra e una missiva in cui mi informavano che avrei vinto un milione di euro se (non ho continuato la lettura), scorgo – uno sull’altro – i messaggi di posta elettronica dei due suddetti individui.
Mi accorgo che le mail sono state inviate quasi contestualmente (a distanza di pochi minuti) e contengono informazioni sui libri di cui parleremo in questo post.
Dal breve scambio epistolare intuisco che Enrico e Vito sono accomunati, oltre che dall’essere riconosciuti come “spam” dal mio account di posta elettronica, da uno spiccato senso dell’umorismo.
Così ho pensato bene di metterli in contatto.
Volete che parli dei vostri libri? Facciamo così: spediteveli reciprocamente e recensitevi a vicenda.
Così ho detto, così hanno fatto.
Insomma, quelle che vi propongo sono recensioni incrociate. Vito recensisce il libro di Enrico e viceversa.
Saranno recensioni credibili? Si saranno messi d’accordo?
Leggete e giudicate.
E poi parlatene con gli interessati.
(Massimo Maugeri)
P.s. Guarda cosa si deve inventare uno per parlare di libri in maniera alternativa!
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Un tè prima di morire (di Enrico Gregori) – Editore Bietti, 2007, euro 10, pagg. 138
recensione di Vito Ferro
In un albergo americano che sarà la sede di un importante summit di potere e finanza, un probabile attentatore sanguinario è pronto a colpire il suo bersaglio, un uomo spregevolmente ricco, odiato da tutti. L’albergo, il prestigioso Manovar, diventa così una fortezza presidiata da poliziotti e cecchini, artificieri e agenti antiterrorismo. C’è tensione nell’aria e tutti gli ospiti dell’albergo, gli inservienti, gli abitanti della cittadina attendono un qualcosa che di tragico e devastante dovrà avvenire. E’ questo, in sintesi, l’incipit del bel romanzo di Enrico Gregori, giornalista e scrittore di Roma, che pubblica con Bietti (il libro è acquistabile tramite il sito della casa editrice www.bietti.it) questo avvincente noir (ma vedremo presto quanto l’etichetta stia stretta, molto stretta…) composto da ampie finestre narrative, squarci di vita narrati con lucidità, immediatezza, incisivo fervore. Il libro è, come dicevamo, difficilmente inscrivibile nel genere di thriller canonico: sembra anzi che la vicenda primaria della storia (l’attesa lunga della strage), sia quasi soltanto pretesto e stimolo per mostrarci, vivisezionata alla perfezione, l’esistenza delle singole persone che abitano l’albergo e le pagine del libro, tasselli e ingranaggi di un puzzle o di un meccanismo che mostra e scandisce il tempo verso l’ineluttabile (?), verso l’apoteosi. Si muovono come esseri umani veri, questi personaggi di carta, con le loro ansie, le loro paure, le gioie preservate nell’intimo e le loro missioni: ognuno di loro ha infatti una missione particolare, un senso da dare alla sua immediatezza, uno scopo profondo. C’è chi deve portare a compimento l’attentato, chi deve impedirlo, c’è chi è destinato a subirlo in quanto vittima sacrificale nel gioco dei poteri e della ricchezza, chi si trova nel luogo e sente di essere costretto a dovervi partecipare senza averne ragione o colpa. Dopo l’undici settembre, una vicenda come quella narrata da Gregori, acquista uno spessore e un valore di verità decisiva: figlia dei tempi ormai giunti, la paura e l’attesa (spesso risolta nel dramma, nel sangue) da Deserto dei Tartari, è l’aura che circonda la nostra consapevolezza, ormai certi di poter essere tutti bersaglio della follia terroristica e pagare colpe più grandi, avviluppati nella scacchiera sporca di una politica senza scrupoli, deviata e criminale. Ma il libro va oltre, e la metafora a cui rimanda è quella dell’eterno gioco tra la vita e la morte, la dinamica propria ad ogni esistente che cerca con il proprio particolare agire (e con la rimozione volontaria della consapevolezza che la fine di tutto sia in agguato, dietro l’angolo, dentro ogni passo, movimento, scelta), di scacciare il senso di inevitabile che ci condiziona e marchia tutti. Dentro l’albergo della storia quindi, soggiorniamo tutti noi. Chiunque di noi, che sia povero o ricco, abbia scopi nobili o perversi, provenga da un passato oscuro o abbia condotto la sua vita irreprensibilmente, che sia in fuga o in ricerca, è accumunato dall’avere una stanza nel Manovar (il nome del’albergo che ricorda l’espressione Man on War: uomo in guerra: uomo in guerra costante con se stesso e la vita). Lo scrittore riesce così, grazie ad un linguaggio diretto, franco, vivo, di mostrarci l’intima reazione di ognuno alla paura, a quella paura atavica che ci costringe a guardare al fondo di noi stessi e a fare i conti con una certezza che si preferisce evitare. Densi di un’umanità in affanno, capace di inventarsi manovre e speranze diverse, i personaggi del libro, ci sembrano così vicini, così veri: i poliziotti che maledicono il rischio che devono correre compiendo il loro dovere, l’uomo che sogna un amore e lo coltiva nel suo silenzio, la coppia adulterina sospesa tra desiderio e rimorso, il musicista che insegue la sua passione al di sopra di tutto, la poetessa in cerca del dialogo più intimo, più sincero, gli attori di teatro persi dentro la confusione di un ruolo, e ancora i magnati potenti invischiati nelle lotte per la supremazia disumana, il magnate, Colin Mallory, il bersaglio, lo spietato squalo che odiano tutti e che sembra destinato a scontare la pena accumulata in un vivere amorale, senza regole. E c’è anche, come personaggio aggiunto, il senso di pericolo incombente di cui si ignora quale faccia abbia, quale strategia. In un collage da reality veritiero sono i gesti, i tic, le ansie, le parole cariche di sospiro e trepidazione a connotare questi soggetti come ben altro da semplici comparse. Sono loro il libro, sono le loro interazioni, lo scorrere metodico di tante vicende che si accavallano, sino a sfumare e forse risolversi una volta finita la storia. Bene o male? Non lo dirò mai, ovviamente. Ma solo ricordo e ribadisco quanto il bene e il male, in questa vicenda, si smarriscano uno dentro l’altro, fino a perdere i netti contorti, fino a confondere alibi, ragioni, sentimenti, certezze. Proprio come nella vita di tutti i giorni, dove una colpa è spesso soltanto l’altra faccia di una ingenuità portata all’estremo. Ottima prova del Gregori, quindi, libro avvincente e tagliente, frutto di una capacità di resa narrativa che gli viene sicuramente dal suo lavoro di giornalista e dalla sua esperienza di conoscitore d’uomini. Ma sa anche giocare, e bene, Gregori con questa sua capacità, stravolgendo caratteri e cliché, infarcendoli di un ironia, a volte amara, a volte esilarante: crea un genere a sé che sta a metà strada tra la commedia umana e il noir più tradizionale. E questo grazie ad un linguaggio che non gira attorno alla sua materia in una costante rincorsa narcisistica, ma da essa proviene e ad essa si attiene: la materia dell’amore, del sesso, della morte, della ricerca, della violenza. Sono tutte con l’iniziale minuscola. Sono tutte le cose di cui ci circondiamo, e che, alla resa dei conti, abitano la nostra esistenza. E così come sono ce le presenta l’autore offrendoci questo Tè prima di morire.
Vito Ferro
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L’ho lasciata perché l’amavo troppo (di Vito ferro) – Coniglio Editore, 2007, euro 6,50, pagg. 93
recensione di Enrico Gregori
Un libro di circa 100 pagine pieno di pretesti per lasciare lei o per farsi da lei lasciare. Tale codardo volumetto non poteva che essere pubblicato dall’editore “Coniglio”(www.coniglioeditore.it). Sotterfugi, giustificazioni incredibili, situazioni paranormali. Tutto questo, forse, per non dirsi semplicemente “è finita”.
Vito Ferro ci regala questo manuale che, epidermicamente, pare un libro di barzellette sui carabinieri oppure un diario scolastico d’ultima generazione.
Io, ritenendo che la fantasia può rendere gradevole anche l’orario dei treni, dico che Vito di fantasia ne ha usata a profusione. Quindi, tra battute, monologhi, dialoghi e fandonie, “L’ho lasciata perché l’amavo troppo” è un esercizio cerebrale affrontato con cura e intelligenza. Volendo si ride, volendo si riflette.
Chi ne ha voglia potrebbe anche spulciare nelle psicologie, nelle timidezze, nei diversi approcci che maschietti e femminucce hanno nei confronti dell’abbandono. Io, esprimendo a Vito la mia ammirazione, vorrei semplicemente dire che non è facile, non è affatto facile costruire 100 pagine su un unico concetto.
Fantasia, dunque, e tanto di cappello al giovane autore. Anche con un pizzico di invidia perché se, ad esempio, avessi affontato io il medesimo cimento, avrei scritto un libro di tre sole righe.
Io: “Chi ha composto Eleonor Rigby”?
Lei: “George Michael?”
Io: “Vaffanculo!”
Enrico Gregori
Intanto un’esortazione.
Massacrate i due autori di domande: sui loro libri, naturalmente; ma anche sulle recensioni incrociate.
Colgo anche l’occasione per presentare queste due belle realtà della piccola editoria.
L’editore Bietti (che opera solo per via multimediale).
E l’editore Coniglio, che ha dispetto di quanto scritto nella recensione firmata da Gregori è molto coraggioso datoche sta sfornando libri a raffica.
ne approfitto per salutare Lucrezia Depalma – ufficio stampa “Coniglio” – che non mi fa mai mancare le sue belle email informative.
Prima domanda per Enrico Gregori:
non ti senti un po’ in imbarazzo dal momento che la recensione di Vito (dedicata al TUO libro) è quasi più lunga del SUO libro? E l’imbarazzo non cresce se la confronti alla tua che (diciamolo) è piuttosto mingherlina?
Naturalmente si scherza.
Se non l’avete capito questo è un post di natura goliardica… anche se parliamo di due libri interessanti e particolari.
@ Enrico e Vito:
oh, ragazzi… se volete un post animato vedete di sgobbare anche voi, eh?
Io e Vito siamo stati correttissimi. Nessuno ha rivelato all’altro il contenuto delle “recensioni incrociate”. Io, forse perché più anziano, immaginavo però che l’esimio torinese si sarebbe lasciato andare a una disamina puntuale. Mentre io avrei optato per un resoconto minimalista e “fast-food” figlio del mio trentennale lavoro di cronista di “nera”.
Quella di Vito sul mio libro non è una recensione, ma una traversata a stile libero tra le pagine. Ma se era lui a nuotare, ora il disorientato però sono io.
Io stesso, infatti, dopo aver letto ciò che Vito dice, mi domando: “ma davvero ho scritto tutte ‘ste cose?”.
Non sono incline alla piageria, ma porca troia mi viene da dire che seppure l’unica ragione di scrivere il libro era ricevere una recensione come quella di Vito, beh, ne è valsa la pena.
Io sono stato più stringato, è vero. Ma mi sembrava in linea con “L’ho lasciata perché l’amavo troppo”. Con quei pensierini multicolori che Vito a sparpagliato sulle pagine che scorrono in un baleno. E che in un baleno fanno cambiare le nostre sensazioni a seconda del “mood” del pensierino. Ma quei pensierini li tira fuori chi, comunque, sa tirar fuori anche le palle. Quelle di Vito le abbiamo viste. Le mie non so se si vedranno. Fondamentale, però è che non rompiamo le vostre.
Grazie di cuore anche a Massimo Maugeri, anfitrione esemplare e catalizzante.
Come sapete le mie imprecazioni variano da “perdindirindina” a “porca miseriaccia” (quest’ultima quando sono molto – ma molto – arrabbiato).
Enrico, invece, parla (va be’… scrive) con lo stesso tono “colorito” dei personaggi dei suoi libri.
In tal senso declino ogni responsabilità.
Mi rivolgo soprattutto a eventuali educande che dovessero passare da queste parti.
Dimenticavo.
Prego, Enrico!
–
P.S. Ora vado a nanna. Se Vito non itnerviene… peggio per lui.
….aggiungo che io e Vito abbiamo concordato (nel senso che lui ha deciso e io ho finto di dargli retta) che farò una recensione esaustiva e dettagliata del suo prossimo libro “Condominio reale”. Un romanzo che dovrebbe uscire nel 2008 e al quale, fin da ora, auguro fortuna e grande considerazione.
ps: mi perdoni, messer Maugeri, ma invece di aizzare me e Vito l’un contro l’altro, ci gratificherebbe prima o poi di una sua opinione? Sa, dopo averla vista nel video che la immortala romanziere premiato e considerato, forse anche io e Vito desidereremmo uno scampolo di immortalità.
Confermo il fatto che i vostri libri sono accomunati da un grande senso dell’umorismo.
Anche il tuo romanzo, Enrico, è molto umoristico; benché gli argomenti trattati abbiano una loro intrinseca efferatezza. È caratterizzato da dialoghi serrati con battuta in punta di lingua.
Mi ha molto colpito la scena del poliziotto che si trova a Central Park nel momento dell’assassinio di John Lennon (correva l’anno 1980, il giorno era l’8 dicembre) perpretato da Chapman.
Buono il ritmo.
Qualcuno, se non ricordo male, ha paragonato la tua scrittura a quella del giovane Ellroy.
L’altro libro di Vito Ferro a cui facevi riferimento è il seguente:
–
CONDOMINIO REALE di Vito Ferro
Edizioni di Latta, Milano 2007
12×20 cm € 12.00
108 Pagine
ISBN 978-88-95466-07-1
http://www.edizionidilattaonline.com
–
(dalla quarta di copertina)
Un condominio come tanti in una città come tante. Fino a che diviene la sede del più seguito reality show del momento. Tutti i condomini ne vengono travolti, aderendo al gioco crudele e ridicolo con indiscriminato piacere e follia. Tutti tranne Ale, il timido protagonista al primo piano, Amanda, la bellissima in mansarda ed il misterioso signor Denti. Loro provano a starne fuori. Ma le telecamere, piazzate ovunque e attive giorno e notte, troveranno il modo di riprenderli lo stesso, dando vita a situazioni tragicomiche, surreali, incontrollabili.
Condominio reale è un romanzo che fa sorridere amaro, nella vividezza delle sue descrizioni, nella immediatezza delle dinamiche raccontate. Una girandola impazzita di situazioni comiche e riflessioni disincantate, un sottile senso di apocalisse che fuoriesce dalle coscienze anestetizzate da milioni di ore di trasmissioni televisive sempre più sfrontate ed eccessive.
Una parabola grottesca che riprende, attualizzandole, tematiche proprie di 1984 di Orwell o de Il Mondo nuovo di Huxley, rivisitandole in chiave prettamente italiana e contemporanea, con tutto ciò che ne consegue.
Chi si può salvare dal dio catodico, quando l’uomo stesso è ormai divenuto homo homini tv colors?
Sì, il paragone l’ha fatto il mio illustre collega Marco Guidi. Gionalista colto, enciclopedico, spesso inviato di guerra e autore di cronache e reportage palpitanti.
Credevo però che dopo avermi paragonato a Ellroy lo avessero chiuso in manicomio. Invece l’ho visto in redazione proprio ieri. E l’ho abbracciato, ovviamente.
@ Enrico e Vito (poi vado a dormire. Davvero!)
Perché non inserite (“postate”) dei brani a scelta dei vostri libri?
Così chi lo desidera potrà farsi un’idea in maniera più diretta.
‘Notte!
Grazie Massimo, l’idea mi pare molto bella. Ci metterò un po’ di tempo in quanto, per rispetto alle educande che passano sul tuo blog, dovrò mettere tanti accipicchia, poffarbacco, scavezzacollo e gaglioffo al posto di tutti i “sacramenti” che uso di solito. 🙂
…..Fatto è che otto mesi dopo Barry Riley si svegliò come tutte le mattine verso le otto con una telefonata del fido Peck.
“Dimmi, novità per il regalino ai miei nipoti?”
“Barry non credo che troveremo i posti. Per quella partita i biglietti sono esauriti”
“Chi l’ha detto?”
“Il sovrintendente di tutti i punti vendita. Lui in persona, e se lo dice lui niente posti”.
“E che altro ha detto?”
“Che aveva una marea di richieste da tempo. Stavolta doveva pur accontentare qualcun altro altrimenti gli si guastano i rapporti. Magari per la prossima non c’è problema”.
“Ok, amen”.
Nessuna partita a nessun gioco, ovviamente. Il gergo anti-intercettazione aveva esposto l’impossibilità che Riley ricevesse dai produttori la tradizionale valanga di cocaina per impiastrarci almeno tre stati. Stavolta la merce doveva andare verso altre “squadre” per evitare ritorsioni o, peggio ancora, contrazioni di fatturato.
D’altro canto, quale partita poteva essere? Riley non lasciava la sua villa-bunker da almeno tre anni. La sua fama era, come dire, “democratica”. Mezzo mondo lo adorava e gli doveva prosperità, l’altro mezzo avrebbe volentieri frustato a sangue i quattro cavalli ai quali fossero legati gli arti di quello stacanovista irlandese ormai stramiliardario grazie alla droga, all’usura e al gioco d’azzardo.
Ma se il mezzo globo cordiale non era un problema, il restante mezzo lo era. Per cui Riley viveva in una sorta di castello nel quale non mancava nulla, nemmeno il night e il cinematografo. Era persino difficile che l’irlandese si avventurasse in giardino o in qualunque altro luogo scoperto. L’unica trasgressione era la nuotatina estiva e mattutina. Verso le nove usciva dal “sepolcro” in costume, sandali e accappatoio per farsi quattro o cinque vasche a rana e stile libero. Le mura protettive altissime e, come sovrappiù, una specie di cupola semiaperta e naturalmente a prova di proiettile, che (planimetrie alla mano) fu eretta per rendere impossibile il cecchinaggio da ogni appostamento possibile nel circondario. Insomma per far fuori Riley bisognava sganciare un confettone da un bombardiere.
“Oddio, bombardiere magari no, ma insomma….”. Pensò un giorno qualcuno.
In una notte silenziosa un altrettanto silenzioso aeromodellino radiocomandato volteggiava sopra la “Graceland” di Riley. Quasi in stallo, poi, planò delicato attraverso la fenditura della cupola. Chi da lontano pilotava quella miniatura di Jet strizzava gli occhi in un binocolo a infrarossi per indirizzare il modellino laddove era d’uopo. Come hangar, vedi un po’, fu scelto un cespuglio a due metri dalla scaletta della piscina.
Il mattino seguente era tutt’altra atmosfera. Sole splendente, visibilità perfetta, silenzio parzialmente interrotto dal lontano sferragliare dei treni e, soprattutto, niente infrarossi per il remoto “pilota”. Un binocolo normale era più che sufficiente. L’irlandese buttò la sigaretta, si stiracchiò per uno stretching pre-natatorio. Lanciò l’accappatoio su una poltroncina, via i sandali e poi il tuffetto a candela nel centro della vasca. La nuotatina lenta ma decorosa svegliava l’ancor passabile muscolatura dell’irlandese che sbracciava ritmicamente lungo i venti metri della piscina. Un quarto d’ora di relax acquatico e poi gli ultimi sciacquettii verso la scaletta.
Contemporaneamente, ai “bip” del telecomando, il mini-Jet lasciava il frondoso hangar per rullare verso il bordo vasca. Riley se lo ritrovò proprio in cima alla scaletta. Nemmeno il tempo di pensare “e che cazzo è?”, che il “bip” da lontano fu impulso del boato ai piedi dell’irlandese. Il modellino si autodistrusse in un’esplosione inimmaginabile. I coriandoli dell’aeroplanino e i frammenti dell’irlandese imbrattarono la piscina, ormai giaciglio per relax eterno. Un’esecuzione, tutto sommato, a prezzi stracciati in barba ai miliardi spesi da Riley per un mausoleo inattaccabile………..
Gentili amici, innanzitutto grazie! garzie per l’attenzione e la simpatia con la quale avete accolto (anche) il mio libro.
Veniamo al cuore della discussione: io il libro di Gregori mica l’ho letto. L’ho fatto leggere ad un cinese che ho assunto a prezzi davvero modici, in realtà viene impiegato a casa mia per cucire le tende, ma siccome ho intravisto in lui un certo interesse per le cose letterarie, poliziesche e piene di parolacce (che lo fanno tanto, tanto ridele), gli ho chiesto questo favore di leggere Gregori e reensirlo. Credo che sia stato davvero ottimo, non trovate? Sti cinesi! Imparano tutto alla svelta. So che lui si è preparato leggendo la rubrica sui libri di costanzo su Oggi, mi pare.
Ora che la recensione è pubblicata, m’è venuta voglia di leggerlo pure a me il libro!
Per quanto riguarda il Gregori e la sua proverbiale “taccagneria” nell’uso di parole, le spiegazioni che mi do sono due:
– il Gregori non ha un cinese personale o comunque lo ha non all’altezza del serio compito di recensire “l’ho lasciata”
– Il Gregori è rimasto abbagliato e scosso dall’umorismo dirompente del testo e non riesce ad articolare, abituato com’è a stagnare tra pozze di sangue e squartamenti, un discorso leggero e divertito e soprattutto lungo.
Le ho contate: ha utilizzato 345 parole, il ragazzo! 345 capite? un telegramma che annuncia la morte del nonno ne ha di più. Mi sento profondamente offeso, perciò chiedo di ritirare parte della recensione: dalla riga 47 alla fine, diciamo.
E dire che il Gregori si era posto così gentile e disponbile nelle mail precendenti alla pubblicazione della recensione! Mi scriveva a tutte le ore, con aprole colme d’affetto e di stima, e mi prometteva mari e monti, compresa una cena a Roma pagata da lui in motorino. Senso di colpa! Ecco cos’era! Viscido senso di colpa.
Vedi come son fatti gli scrittori… dieci minuti che, per forza di cose, sono entrato in questo mondo, e già ne pago lo scotto.
La recensione me la faccio da me, va.
Il mio libro fa ridere, o almeno spero. Ci sono davvero centinaia di motivazioni (più o meno assurdo, più o meno veritiere) per lasciare una persona. Scrivendolo ho raggiunto tre scopi, almeno: parlare male delle donne, parlare male degli uomini, parlare male della stupidità che ci attanaglia (tutti). In più mi sono divertito.
Vi metto qua sotto, random, un po’ di battute, le ho scelte a caso, spero vi piacciano. Se volete farvene un’idea più approfondita, andate su lholasciata.splinder.com e magari “lasciate” il vostro contributo.
Torno da lavoro e riprendo la discussione.
p.s.: Massimo, garzie per il tuo appoggio.
p.p.s.s.: Gregori, scordati il vibratore anale che mi hai chiesto come regalo di natale.
p.p.p.s.s.s.: Gregori, ridammi le manette e il frustino che ho lasciato da te.
L’ho lasciata per la sua migliore amica. Che lascerò per ritornare con lei.
Ridi, ridi. Aspetta che ti dico che ti lascio.
E’ soltanto una banalità come tante! Come dirsi ti amo.
Tranquilla, ti pare che io abbia mai fatto scelte definitive?
Non le credere, l’ho lasciata io invece.
Bellezza mia, la realtà è questa.
Perché? Hai infranto il mio codice morale in ben sei punti: articolo 5, 7, 11, 12, 23, e 49.
Passino le corna: ma non i profilattici usati con l’altro buttati nel mio cassetto!
Mi dispiace Donna Gatto: o salvo te o l’umanità intera.
Prendiamoci un periodo di pausa. Una ventina d’anni penso che siano sufficienti.
Non ti sto lasciando. Ti sto ridando ciò che avevi prima di conoscermi.
Teneva crocifissi dappertutto. Li baciava sempre.
L’ho lasciata quando ho trovato una sua caccola del naso appiccicata sulla lente destra del mio occhiale.
Hai tre secondi per sparire. Poi slego i cani.
Hai le foto delle vacanze. Ricordami com’ero allora.
Adesso ti lascio, ho lasciato la vita sul fuoco.
Ho fatto fare il test del DNA a nostro figlio. Non è mio figlio.
Eh no, tu l’hai fatto tre giorni fa, adesso tocca a me lasciarti.
Cosa vuol dire che non siamo mai stati assieme?
C’è una probabilità su diecimila che io cambi idea. Quindi non venire a dirmi che sono categorico.
Vai via va. Via, vai, va. Vai va, via.
T come Torino I come Isernia L di Lucca A di Ancona S di Savona C di Como I come Isonzo O come Otranto.
L’addio
Ho
Ottenuto:
Lei
Aveva
Sogni
Casalinghi
Io
Ancora
Troppa
Allegria
Non ti lascio in quanto essere che è in sé e di per sé ma in quanto ente che si realizza nel mondo. Non con te.
Situazioni contingenti ed esterne accorse con improvvisa celerità mi vedono costretto ad interrompere il legame fin qui sostenuto con entusiasmo e determinazione. Fiducioso nella sua piena comprensione, la lascio.
In due siamo di troppo.
Ti lascio e me ne vanto.
L’ho lasciata perché faceva la piega agli angoli delle pagine dei libri e ci lasciava in mezzo fiori morti.
Soffriva di cuore. Lasciarla è stato fatale.
Non lo so perché l’ho fatto. Una voce dentro di me imperiosa mi ha comandato di farlo. Diceva di essere lo spirito dello zar Nicola.
L’illuminazione me l’ha data un biglietto che ho trovato dentro il dolcetto di mandorle al ristorante cinese Wua Li Do. Diceva: Libelati da oplessione che glava sul tuo cuole.
Tanto la media della durata di un matrimonio al giorno d’oggi e di tre anni e mezzo.
L’ho lasciata entrando in coma.
L’ho persa al poker.
Mi innamorai di lei vedendola fare il bagno nuda a diciotto anni in un torrente. L’ho lasciata perché da allora non l’ho più vista fare il bagno.
Fatele sapere che l’ho lasciata.
Mi ha convinto il mago Otelma.
Sono entrato in cassa integrazione. Lei faceva le pulizie negli uffici, ma non bastava a tirare avanti in quattro. Il piccolo aveva bisogno dei libri di scuola. Il più grande di operarsi all’orecchio. L’ho fatto per non pesare nel bilancio familiare.
L’ho lasciata una mattina di maggio a Parigi. E’ uno dei ricordi più felici della mia vita.
Ancora aspetto che la vita si vendichi su di me, ripagandomi con la stessa moneta.
Ho pagato la debolezza d’averla amata.
L’ho lasciata perché avevo vergogna di farmi vedere così, senza capelli, dopo tutta la chemio che ho fatto.
Qualcuno mi ha detto: smettila di prenderla in giro.
Credimi, ci sentiremo ancora più vicini.
Sono fatto così. L’adrenalina la sento solo in questi momenti.
L’ho lasciata davanti alla cappella a Las Vegas non appena ho visto tutti suoi parenti colombiani vestiti a festa.
L’ho lasciata perché l’hanno condannata all’ergastolo.
Di Romina non me ne fotte più niente. Solo mi rode non cantare più in coppia Felicità.
L’ho lasciata e poi sono entrato in seminario.
Una volta l’ho lasciata in montagna. Un’altra al mare. Poi al lago. Quando siamo andati in campagna se lo aspettava.
Ti amo troppo.
Non mi ami abbastanza.
Non mi ami come vorrei io.
L’ho lasciata perchè sosteneva che i neri hanno il ritmo nel sangue.
L’ho lasciata perchè ha creduto alla bufala del millennium bag.
L’ho lasciata perchè abbelliva troppo gli aneddoti.
L’ho lasciata perchè guardava “uomini e donne”.
L’ho lasciata perchè io valgo.
Mi teneva la mano, prostrata dalla chemio. Le ho lasciato la mano.
L’ho lasciata alla fine del secondo atto della Tosca.
L’ho lasciata, ovviamente.
L’ho lasciata perchè faceva troppa plin plin.
L’ho lasciata dicendole “ma tu chi sei?”
L’ho lasciata perchè ripeteva life is now.
Fino al tofu ci stavo dentro. Ma alla cotoletta di soia ho detto basta.
L’ho lasciata perchè continuava a fare blog, su blog, su blog…
L’ho lasciata perchè si depilava le gambe con le pinzette per le sopracciglia.
L’ho lasciata perchè mi ha detto : “che brutto, anche quest’anno Pasqua viene di domenica”.
L’ho lasciata, ma guai a voi se glielo dite.
Dio mio, che cosa ho fatto?!
L’ho lasciata mentre era ferma alla casella Parco della Vittoria.
Me l’ha chiesto la mamma.
3,2,1…Via!
Faceva quello strano rumore strofinandosi le unghie. Irritante.
L’ho fatto per updatare la mia vita.
Ciao.
L’ho lasciata e le sere non sono state più nere.
Non provare a seguirmi.
Eh no, tu l’hai fatto tre giorni fa, adesso tocca a me lasciarti.
Giulietta, i tuoi proprio non li sopporto. Mi spiace.
Bonnie, un secondo, smetti di sparare per cortesia. Mi sa che è meglio se la finiamo io e te.
S’era iscritta alla scuola Holden.
Lasciata? Dimostratelo!
Sono fatti miei.
L’ho lasciata perchè aveva un cervello così.
L’ho lasciata perchè era stressante.
Continuava a chiedermi, mangiandosi le unghie tenute piegate ad armonica davanti la bocca:
“E Cambiano l’hai dato?”
“Quant’hai preso?”
“Dicono che è bastardo”
“Il secondo modulo di estetica lo dai?
“E’ difficile?”
E ancora, mangiandosi le unghie tenute piegate ad armonica davanti la bocca:
“Quant’hai preso?”
“E’ difficile?”
“Dicono che è bastardo?”
“Il secondo modulo d’estetica lo dai?”
“E Cambiano l’hai dato?”
Mangiandosi le falangi tenute piegate ad armonica davanti la bocca.
E poi te ne stai sempre ad allattare il bambino… e a me niente.
Francamente me ne infischio.
Magari mi passa.
Fanculo.
Il problema non sei tu, sono io.
Restiamo amici.
Arrivederci amore ciao, guardo le nuvole lassù.
L’ho lasciata perchè non sapeva fare i pompini.
Me lo sono chiesto spesso. Sarà la cosa giusta?
Quante notti tormentate ho trascorso. Il dilemma era tra una vita sostanzialmente noiosa ma serena ed una avventurosa ma probabilmente da solo. Alla fine ho deciso: arrivato a novantasei anni, voglio passare il tempo che mi resta per i fatti miei.
L’ho lasciata. E adesso?
L’ho lasciata dopo aver vinto al lotto.
L’ho lasciata in un puf.
L’ho lasciata solo quando ho scoperto che era morta.
Mi faceva vomitare.
Era di un pistino, ma di un pistino…
Era lei. Non potevo continuare.
L’ho lasciata perchè ripeteva sempre le stesse battute.
E’ venuto fuori croce.
Davvero simpatica quest’idea delle recensioni incrociate, mi sembra che emergano alcuni tratti caratteriali degli autori attraverso l’analisi del libro dell’altro.
Poi, sono decisamente sbilanciate le recensioni ma in effetti probabilmente è la natura stessa dei due libri, sono le diversità di intento, registro, tematiche trattate a permettere un approccio differente nell’analisi.
Purtroppo devo dire a Vito che non sono tra i potenziali acquirenti del suo libro perchè per azioni come quelle di cui si occupa (lasciarsi) io sono per la trasparenza a muso duro: poche storie, parole semplici e fatti. Stop. Per cui… certo che poi incappo nel tuo post precedente e sono già lì a trafficare su ibs! Troppo simpatico!
Il testo di Enrico, invece, è indubbiamente di stampo narrativo più ‘quadrato’ (se mi passate il termine poco usuale). C’è una trama precisa, personaggi da scoprire (e questo mi piace perchè troppo spesso nei noir/thriller/gialli and C. si punta il riflettore sulla trama, gli sviluppi, i morti e la suspance ma si arriva alla fine che non sai una cippa dei personaggi, non li hai conosciuti, sono rimasti estranei…). Insomma c’è analisi.
Complimenti a entrambi in ogni caso, per l’approccio verso una presentazione fuori dal comune e due testi molto diversi eppure…
Barbara
ps: Scusate entrambi se vi ho dato direttamente del tu ma dopo avervi letto mi è venuto naturale… non volevo sembrare irrispettosa…
pps: se qualcuno me lo presta il cinese non disdegno però dovrebbe saperci fare un pochino con le revisioni dei testi, se legge e basta mi fa venire il nervoso perchè è una delle mie attività preferite… se invece mi revisiona il testo (non dico proprio editare, dai) però un minimo di controllo e suggerimenti dove proprio ho scritto carambolate pazzesche… pago bene, assicurato (caramelle, merendine, dolcetti, pagiughi vari… tutto quello che vorrebbe mangiare mio figlio e io tento ogni settimana di non comprargli!)
Complimenti a Massimo per l’idea. Sempre innovativo tu. Parlare di libri con sorriso e intelligenza è una cosa importante.
Ai due autori/recensori faccio pure i complimenti. Per ora ho letto solo l’introduzione di Massimo, ma più tardi leggerò i vostri testi. Promesso.
In effetti, cara Barbara, credo che aver espresso alcune opinioni positive sul mio libro non ti dia alcun diritto di darmi del tu. Quindi, qualora volessi continuare a dialogare con me, sei pregata di rivolgerti verso la mia persona con il “voi”, o “vossia” o magari “colei” che fa tanto chic.
Per quanto riguarda Vito, beh, hai un bel coraggio! L’ultima volta che ci siamo visti mi avevi promesso che ti saresti vestito da infermiera e che lo avremmo fatto a “scosciacapretto” dentro il tomografo della Risonanza magnetica. Invece, ingrigito dalla stessa scadente fantasia con la quale hai scritto il tuo libro, ti sei presentato per l’ennesima volta mascherato come l’operaio dei “Village People”.
Se vorrai che io spenda e sparga parole a profusione sul tuo prossimo romanzo “Condominio reale”, ripassa quella versione hard di “Hansel e Gretel” che ti ho fatto recapitare a Torino tramite Alvaro, detto “er blecckendeccker de Montesacro”.
Lo sapevo che questa discussione avrebbe preso una piega surreale. Con venature pulp, ma quello per colpa del Gregori (che come amante omosex è davvero superato… ). Saluto Barbara che non conosco, ma con cui ho diviso lo spazio in un’antologia della Perrone Editore intitolata “La carica degli ex” (che invito tutti a comprare).
Che dire? Mi sento sempre più onorato a ricevere commenti sul mio libro. Mi rendo conto che la (mia?) recensione cinese al testo del Gregori farà vendere 456.900 copie in più. Che non merita.
Il mio libro è sicuramente più bello del suo e costa meno (6,50 euro!!!! ragazzi: meno di due panini con salsiccia e peperoni dal porcaro di zona). Lo è ancora di più CONDOMINIO REALE di cui vi presento un breve estratto:
Non ho assistito a tutte le sfide della trasmissione tanto meno alle riunioni settimanali (quelle in cui si decide appunto chi deve affrontarsi).
Qualcuna l’ho vista, lo ammetto. È una specie di droga questa trasmissione. Di altre ho letto sui giornali che riportano fedelmente tutto ciò che capita nel palazzo.
Ci saranno almeno dieci riviste specializzate su CONDOMINIO REALE: Condominio Reale news, La rivista del Condominio, Tutto su Reale Tv, e altre simili.
In esse c’è una scheda di ogni personaggio, il riassunto delle puntate precedenti, le azioni salienti, i pronostici su cui scommettere, i gadgets della trasmissione. Con tredici euro e novanta si possono comprare le mutande di Jennifer Sharon Picci, con sei e novanta la borsa dell’acqua calda della suocera Chiappero. Sono in costruzione le maschere in lattice di Carnevale di tutti gli inquilini.
Il paese è preda di una sorta di psicosi.
A volte mi chiedo se sia solo io a percepire la follia di tutto ciò. Non c’è, onestamente, una grande differenza in CONDOMINIO REALE rispetto a tutte le altre trasmissioni che si vedono in tv. Né le altre edizioni furono tanto diverse.
Sarà che essendoci forzatamente dentro, avverto le cose da un altro punto di vista. Per me poi che ero abituato a non guardarla quasi niente la tv, l’impatto continua ad essere fortissimo.
Ogni settimana mi chiedo dove andranno a parare, quale limite supereranno con le loro idee. Passata la settimana poi, mi viene da scordare ciò che ho visto e cresce l’attesa per la prossima, che tutti noi sappiamo essere più carica, più fenomenale, più tutto delle altre. Un escalation senza fine.
Gli eliminati stazionano quasi tutti nelle trasmissioni satellite.
Anche queste ti viene da guardarle, come avessero messaggi subliminali che non ti permettono di cambiare canale o spegnere il televisore.
Rinnovati da abili mani nell’aspetto e nel modo di porsi, gli eliminati sono ospiti fissi in programmi che non fanno altro che commentare, alla nausea, ciò che avviene nel palazzo. Si schierano, continuano dialetticamente la battaglia che vivevano nel condominio, aizzati come cani idrofobi da presentatori senza scrupoli.
Ogni bruttura da loro commessa quando facevano ancora parte del programma, bruttura che a suo tempo sollevò polemiche aspre e discussioni a non finire, pare gli venga condonata, rimessa in un atto di cristiana clemenza.
Mastice ad esempio, lo scapolone che andava a nigeriane, l’altro ieri era su raidue a raccontare di avere aperto una scuola in Etiopia per aiutare i piccoli morti di fame del posto, e il tutto coi soldi ricavati dalla partecipazione a CONDOMINIO REALE.
La presentatrice in quell’occasione, mostrando foto e filmati della scuola in Africa, si commosse e disse, tra i vari elogi rivolti al concorrente, “eroe”. Disse proprio così. “Lei è un eroe”. Il pubblico applaudì per trenta secondi, alzandosi in piedi, gli occhi lucidi. Musica di Ghost che saliva.
Un’altra volta il figlio dei Cosenza, quello che mancava poco perdesse l’occhio per un lancio di rana morta dei De Feo, l’ho visto elencare gaudente, sotto lo sguardo anch’esso mezzo accecato – ma d’orgoglio – dei genitori, il numero di operazioni alla retina per ritornare ad una parvenza di normalità. Parlava come un piccolo reduce che ora non ha più paura di niente. “Questa esperienza mi ha fatto crescere e capire quali siano i veri valori della vita”. Scandiva bene, mento in alto, l‘altro occhio spalancato sulla gloria. Mi dissi che basta, dovevo smetterla di guardare quelle robe e così andai nel cesso a leggere Sciascia, strascicandomi sotto le ciabatte un senso di colpa vischioso.
Buongiorno, io ho letto il libro del Ferro e devo dire che fa ridere. Molto originale. Brava Coniglio! Bravo Ferro!
Quello di Enrico Gregori non l’ho ancora letto ma non credo che lo farò. Mi pare un po’ troppo eccessivo per i miei gusti… mi perdoni l’autore.
Certo che il loro scambio di commenti in questo post meriterebbe un libro a sè, no?
Emilio De Cedi
Ah si, Vito? Eri anche tu nella ‘carica’ del Perrone? Pensa te… ho visto sul tuo blog la dicitura ‘scrittore a ore’… nel senso che hai una tariffa in base alle ore che fatturi? E quando stai solo pensando come fai? Le spacci per preparazioni al testo? Hai un commercialista fisso o ti affidi a più mani nella speranza che i conteggi sballino al rialzo?
Scherzooooo.
Simpatica comunque come definizione.
Veramente il titolo è “Scrittore ad ore” per ricordarmi (nel caso me lo scordassi) che bisogna NON prendersi mail sul serio!
Di soldi non parlo perché credo di essermi scelto una delle passioni meno redditizie che esistano: non trovi? 😉
Anche io ho letto solo “L’ho lasciata perchè l’amavo troppo” ed è molto, molto divertente (ma non solo, aggiungerei). Ma dal blog di Vito Ferro vedo che sa “raccontare” molto bene, per cui sono ancora più curiosa di leggere Condominio Reale. 2008 quindi?
Ciao!
Volevo chiedere a Vito Ferro come è nata l’idea del libro: esperienza personale? 😉
Complimenti!
Ciao!
Ho letto ed apprezzato Max Aub ed i suoi Delitti Esemplari, ed ho fatto tesoro delle confessioni di amici e amiche, dei discorsi rubati per strada, in giro, delle lettere di riviste per donne e per uomini (soprattutto alla posta del cuore). Alla fine mi sono trovato con un campionario di “stupidità” oltrechè d’abbandono: la gente si lascia per cose serie e per cose davvero futili. Segno dei tempi? Non lo so.
Io invece sono quella che ha letto solo Gregori. E dico subito che il libro mi è piaciuto molto: davvero un bel noir, duro, secco e senza concessioni allo svolazzo.
Ps. ma le recensioni incrociate sono un’ottima idea, signor padrone di casa.
” Veramente il titolo è “Scrittore ad ore” per ricordarmi (nel caso me lo scordassi) che bisogna NON prendersi mail sul serio!
Di soldi non parlo perché credo di essermi scelto una delle passioni meno redditizie che esistano: non trovi? ”
^ _ ^
Perfettamente d’accordo. Stavo scherzando. Non prendersi sul serio è un’ottima cosa, non sempre mi riesce, confesso.
In quanto a soldi… oooohhh… ° _ ° io non ne so niente, apprendista senza contributi sono…
Parlare di libri in maniera leggere e facendosi quattro risate non è male come idea. Proprio no!
Bravi tutti.
Smile
“De minimis non curat praetor”, quindi da ora in poi non mi rivolgerò più a quel “qualcosista” di Ferro. Se il suo libro costa quanto due panini con la salsiccia evidentemente è quello che vale. Nel merito, non ho da dargli suggerimenti su quel che deve fare coi panini, semmai avrei idee sulla consona collocazione della salsiccia.
A Barbara Gozzi: prima che autore, sono lettore del genere. E ho sempre apprezzato quei “noir” nei quali i personaggi hanno vita ed emozioni al di là delle revolverate, inseguimenti e scazzottate. Persino il “cattivo”, a volte si dispera, pensa, sogna etc…A me piace (ci provo almeno) a non trattare i personaggi come fossero pistole o pugnali.
A Emilio De Cedi: la tua partecipazione al dibattito è già per me (credimi) un piacere. Per il resto il mio non è il libretto di Mao che uno deve avere per forza sennò lo mandano al confino. Però magari, un calcio in culo….:-)
A Loredana Lipperini: ti amo, sono il tuo zerbino, fai di me quello che vuoi
Sto leggendo questo “piccolo campionario dell’abbandono”, alcune sono davvero ottime! Ho letto anche io Delitti Esemplari, hai scelto bene a chi ispirarti, complimenti! Invece il noir di Gregori si trova solo online?
bè io sono di parte ma beccatevi questa: Vito Ferro ha talento. Aspettate il primo romanzo e la raccolta di racconti, ci saranno ovazioni.
Il libro di Gregori invece inizierò a leggerlo stasera.
Premetto che sono di parte …. ho sempre amato e odiato quell’incredibile essere di Enrico Gregori !!!
Il suo libro gli assomiglia molto …. forte, conciso, crudo, semplice, essenziale, dolce, esagerato, ironico, esilarante, ma soprattutto umano molto umano . Bravo
Anto, che mi hai amato non me ne sono mai accorto! Odiato invece sì.
A Cristina Teodorelli: adesso quel codardo manda avanti le donne a difenderlo? Ha per caso messo in pratica uno di quei pietosi stratagemmi di cui parla nel suo libro e se n’è andato? Io direi…chissenefrega, tanto hai deciso come trascorrere la serata. E il passatempo, credi, è davvero ottimo 🙂
Gregori, e la Anto chi l’ha mandata? Io no di certo. Noto che lei è parca di complimenti nei tuoi confronti… ma quanto li paghi i tuoi supporters? Dieci sacchi ad aggettivo? 😉
Il cinese da me assunto dice che sa il karate. “io possedele antica alte del kalate” mi ha detto guardando torvo i commenti indegni che hai avuto il coraggio di pubblicare (dandomi tra l’altro del “qualcosista”). “io potele spiezzale in due questo blutto individuo lomano!” ha aggiunto addentando un involtino primavera. “Uccidelo!” tac ha fatto con le mani sul tavolo sparpaglaindo nuvole di drago.
“sì, e poi il corpo? che ce ne facciamo del corpo?” ho chiesto dubbioso.
Lui ha detto: “no pleoccupale che a quello noi cinesi siamo blavi”. Una luce strana, che non avevo mai visto prima, ha brillato sulle sue grinze d’occhi.
Quindi ti avviso: stai attento, cambia registro, brutta copia di Gadda che non sei altro! O il cinese te lo mando. Oppure, cosa ancora peggiore, svelo il finale del tuo libro… ahahahahahahahaha (risata diabolica)
“Blavo, blavo, fale bene, tiè!” aggiunge il cinese alla mia idea. Il cinese tra le varie cose si chiama Mario Hu e cerca una donna che lo sposi per avere la cittadinanza.
Non ho letto nessuno dei due ( sì Enrico, lo confesso: avevo iniziato una sera, reduce dall’ennesima serata-massacro che tu ben conosci, davanti a una birra e un pezzo di formaggio, ma poi il sonno mi ha vinta e gli eventi (tra i quali l’opera editoriale che tu sai) mi hanno travolta). Però le recensioni incrociate sono talmente convincenti che nel fine settimana potrei dissotterrare almeno “un tè prima di morire” e leggerlo tutto. A presto
angela
Questo è il secondo commento che cerco di scrivere (il primo è stato triturato dal computer). E’ dura ripetersi, soprattutto per chi ha una confessione da fare: Enrico, il tuo libro l’avevo iniziato in una sera buia e tempestosa, di ritorno da quel piacevole massacro quotidiano che tu ben conosci. Ma davanti a una lattina di birra il sonno mi ha vinta e poi sono stata travolta dagli eventi successivi (e soprattutto dai libri…) Comunque i commenti incrociati sono tanto belli che mi convincono: nel fine settimana dissotterrerò “un tè prima di morire” e lo finirò (in senso buono) . Quanto al campionario dell’abbandono lo conserverò per il prossimo viaggio in treno… spero di darvi presto mie notizie!
angela
“Ascolta me, fale come dico io!”
“Ma come facciamo, scusa?”
“Sta tlanquillo, lipeto! io vado a casa sua. Lui aplile pelchè io fale voce di donnaccia tutta vogliosa. Quello è uomo che vuole donnaccia vogliosa, secondo me!”
“E dopo?”
“E dopo io entlale e fale subito… zaac… così! botta col blaccio destlo sotto la calotide! quello svenile subito! oppule fale mossa dietlo nuca che muole dopo tle giolni! Poi io scappale!”
“Mmm… non sembra male?”
“Che c’entra male? No male, qui in città, a casa sua!”
“No, no, non male come mare, ma male come male… niente male dicevo!”
“Ah io no capile semple come cazzo pallare voi italiani”
“Sarebbe una cosa buona… ma siamo sicuri che nessuno poi possa sospettare di me?”
“Figulati, quello avlà tanti nemici! E’ Odioso!”
“Questo è vero…”
“Li facciamo anche favole: sai quanto vendele suo liblo dopo sua molte?!”
“Mario, sei forte sai? mica lo sapevo io che avevi ste risorse qui, tu!”
“Eh, tu non sapele tante cose di me!”
“Ma quanto vuoi? per l’omicidio dico?”
“io fale glatis! pulo piacele!!!”
“ok, ok… parla piano però che magari ci sente qualcuno…”
Il libro di Gregori fa dormire! il libro di Gregori fa dormire!
Grazie Angela Padrone! son sicuro che il mio libro ti farà passare un bel viaggio in treno (non facendoti dormire).
La mia collega e amica Angela Padrone ha mille cose da fare (non come certi torinesi di mia conoscenza). E’ verissimo che, tra mille impegni, ha dato anche alle stampe “Precari e contenti”, libro di storie e (perchè no) di speranze sul mondo del lavoro. Resto sintonizzato, comunque, in attesa di commenti.
A Vito: la minaccia di rivelare il finale è senza dubbio concreta, visto che il mio libro ha un inizio, un corpo e una fine. Insomma ha un senso. E se fa dormire, almeno, ha una funzione. Il tuo anestetico “L’ho lasciata perché l’amavo troppo”, invece, minaccia persino la solidità del mito nibelungo. Se, per inciso, l’intervento dei miei supporter(s) ti disturba, convinci a partecipare al dibattito tutti i “membri” del circolo transex delle Molinette che abitualmente frequenti.
Ecco a questo punto ve lo devo proprio dire: a parte tutto… la letteratura.. i dibattiti col contropelo… i ragionamenti e tutto quello che volete (che vanno e fanno benissimo, anzi: andate e moltiplicatevi che ce n’è un gran bisogno)… però a parte tutto… oggi avevo proprio bisogno di sorridere!
^ _ ^
Dimenticavo…a Erika Di Giorgio: se sei talmente impegnata da non poter dedicare troppo tempo alla lettura degli estratti, puoi tranquillamente evitare quello di Vito. Tranquilla, me l’ho ha detto lui. Il ragazzo è modesto e altruista. Non ha (come me) uno smisurato ego e necessità clinica di protagonismo. Pensa, l’ultima volta che abbiamo organizzato un triangolo con “Wanda la struscia-bidoni”, Vito ha detto: “Fate voi, come se io non ci fossi”. E’ davvero una personcina a modo.
Belle le recensioni incrociate. Mi ha colpita soprattutto “Un te’ prima di morire” e per un motivo in fondo egoistico. A me e a Loredana falcone (scriviamo a quattro mani) e’ stato imputato un preccato originale di quelli che ti portano subito all’inferno degli scrittori esordienti (che p###e questa definizione dopo decenni di scrittura!): io e Lory scriviamo libri che NON sono ambientati in Italia. Pare sia la cosa peggiore si possa fare al mondo (nel senso di letteratura italiota). Quindi scoprire che non siamo le sole e che anche Enrico Gregori (che tra l’altro e’ un collega visto che e’ giornalista e vive pure a Roma) scrive storie ambientate fuori dalle mura di casa, mi consola enormemente.
laura
A Barbara Gozzi: vorresti moltiplicare Vito Ferro? Io ho letto delle cose scrtte da te e mi sembravi una ragazza piena di valori. Invece scopro che sei una depravata. Che delusione cocente!
A Laura Costantini: la collocazione geografica dei romanzi, in effetti, assume troppo spesso un’importanza straordinaria. Mi faccio una domanda e mi do una risposta (come un frenetico Marzullo): ma di quei bei libri di fantascienza ambientati in mondi che non esistono, che ne facciamo? Per me ce li teniamo stretti. Se poi vogliamo affermare a tutti i costi che i gialli italiani non ambientati in Italia fanno schifo, vabbè amen.
Peraltro non credo che un autore parta dal luogo, ma semmai dalla storia. Per esempio: ho completato un secondo libro che si svolge tra New York e Roma. Ne sto finendo un terzo che è ambientato solo a Roma. Se piaceranno o meno non credo che dipenderà dal fatto che un protagonista mangi l’hot-dog oppure i rigatoni con la pajata.
Ma del Gregori che c’ha sta fissa del sesso (continuamente eh!) ne vogliamo parlare? Ansia da prestazione di mezza età superata? Coda di paglia? Pene piccolo? Trauma infantile (nella sterminata periferia romana post guerra, un piccolo e mingherlino scribacchino incontra i ragazzi di vita… e l’incontro lo ricorda ancora). La cosa è seria, secondo me.
Confermo di essermi defilato nel menage tra il Gregori e la Wanda. Solo perchè la Wanda aveva più peli in faccia e nel naso di un Cocker, e soprattutto il sex appeal di Goobles. Gregò, c’hai gusti strani.
La signorina Gozzi è intelligente e preparate e ha capito tutto.
Gentile Laura, son contento che le sia piaciuta la mia recensione: lo chef bravo sa fare un piatto degno anche da due zucchine, un porro e del dado marcio. (questa è pesante!) 😉
A parte gli scherzi (ma al punto in cui siamo, sarà possibile? mah…), posso confessare una cosa, magari stupida, e che mi farà sfottere da tutti: ebbene, io e la mia dolce metà, in libreria, vediamo il libro esposto tra Woody Allen e la littizzetto. Sotto il mio scaffale stava Luttazzi. io tremo. Di felicità. Mi sentivo stupido e un poco mi vergognavo, ma ragazzi, cercate di capire! Bene, per questa emozione devo ringraziare alcune persone (l’ho già fatto nel libro) e vorrei farlo anche qui:
i miei genitori, Angela e Edy, Cri, Giorgio (che ha apprezzato il mio amico cinese), Antonella Filippi, Ombre, Angelo Santagata, Alessandra Sabatini (grande!), Dino Buzzati, Henry Miller, Dik. Spero che per me sia l’inizio di una lunga cavalcata sopra i brividi. Uao.
Capisco, caro Vito: l’insuccesso ti ha dato alla testa. Il mio editore, che è persona intelligente ed elegante, ha risolto il problema mettendo in vendita il mio libro solo on-line. Aveva infatti ricevuto da Cormac McCarthy, Steven Spielberg, e Norman Mailer lettere di questo tenore: “siamo terrorizzati da un’eventuale uscita in libreria del romanzo di Gregori. Qualora fossimo così sfortunati da vederlo collocato accanto alle nostre ultime scempiaggini, capite bene che noi verremmo oscurati da quella folgore letteraria che vi siete assicurati con raro acume manageriale. Vi preghiamo di avere pietà e di risparmiarci l’impietoso confronto”. Io e l’editore abbiamo detto: “ma sì, poveri cristi!”. E abbiamo risolto.
@ Loredana Lipperini:
grazie per il tuo intervento e per aver apprezzato l’idea delle recensioni incrociate 😉
@ Enrico e Vito:
Ho ricevuto una telefonata arrabbiatissima da parte della direttrice delle educande. Sono stato redarguito per – cito testualmente – “aver consentito a due villani della risma di Enrico Gregori e Vito Ferro di lasciarsi andare, senza remore, ad affermazioni sconvenienti ed espressioni deprecabili.”
Poi, prima di sbattermi il telefono in faccia, mi ha detto che avrebbe scritto al Presidente della Repubblica. Tutto registrato dalla mia segreteria telefonica.
Conoscete qualcuno “vicino” a Napolitano?
Non si sa mai.
Io sono pronto a scusarmi per la volgarità da me dimostrata. Non solo con la direttrice delle educande – che ha ragione da vendere – ma con tutti gli ospiti/partecipanti di questo blog intellettuale e significativo nel panorama della promozione letteraria. In effetti, in questa sede, sono andato ben oltre i miei confini del turpiloquio e ho detto cose capaci di offendere persino le orecchie di ussari ubriachi. Per esempio che il libro di Vito Ferro è bello. Lo so, ho esagerato. non si ripeterà……..cazzo!
….Fred Gibson ebbe tutt’altro percorso. Non aveva ancora vent’anni quando l’8 dicembre del 1980 era di normale pattuglia nelle strade adiacenti il Central Park. Lui non era un marcantonio alla Domino. Tutt’altro. Alto circa un metro e ottanta, era però molto magro, quasi gracile. Però si doveva comunque faticare per renderlo innocuo in quanto una decina d’anni di kung-fu ad alto livello li aveva fatti. Solo che era cagionevole e freddoloso.
Ed era piuttosto rigido il clima quel giorno dalle parti del Central. Lui e il suo collega camminavano più per tentare di riscaldarsi che per reali esigenze di servizio. Erano a pochi metri dal Dakota Building quando un sovraffollamento insolito fece capire ai due giovani poliziotti che stava accadendo qualcosa di speciale. Oddio, la stragrande maggioranza degli abitanti erano ormai abituati a vedere John Lennon uscire e rientrare nella casa che condivideva con l’ormai inseparabile Yoko Ono. Ma qualche “ospite” di passaggio veniva colto di sorpresa dalla camminata dinoccolata dell’ex Beatles.
Nonostante lo scioglimento dei “fab four” fosse avvenuto dieci anni prima, Lennon continuava a essere il più riconoscibile dei quattro baronetti di Liverpool. Per lui, insomma, il plotocino di fans non mancava mai.
Tra loro, quel giorno, un fan speciale, molto speciale. Così coinvolto da Lennon da esserne ossessionato. Fu un attimo, e appena l’ex-Beatles fu di spalle, Mark David Chapman gli sparò cinque revolverate nella schiena facendo stramazzare senza vita chi, forse, alla vita aveva regalato alcune delle più belle canzoni mai scritte.
Paradossale, tutto ciò. Chapman era lì anche qualche ora prima, quando Lennon lasciava il Dakota. Voleva sparargli subito e come approccio si parò davanti a Lennon con una copia del neonato “Double Fantasy” per farsela autografare da John. Ma l’oracolo di “Imagine” lo spiazzò.
“Posso fare altro per te, amico?”, disse all’ammiratore dopo aver impresso la sua firma sul Long Playing. Chapman evidentemente non si aspettava questa ulteriore apertura di disponibilità da parte del “Mito” e perse qualunque voglia e forza di tirare fuori la pistola.
Rimase lì, più di quattro ore, a masticare rabbia. Contro la sua codardia, contro quell’idolo universale che, con quell’amichevole semplicità, si era manifestato ancor più gigantesco e ingombrante di quanto 25 anni di rock avevano potuto.
Rivoltando e friggendo le sue viscere fino alle ulcere lancinanti, Chapman non schiodò da quel marciapiede prima che Lennon tornasse. Ora sì, a freddo, poteva agire. E lo fece.
Non ci volle molto a Gibson e al suo amico per saltare addosso al killer inebetito e bloccarlo faccia al pavimento. Solo in quel momento il giovane agente realizzò cosa fosse successo: stroncato un artista inimitabile; stroncato il sogno di due generazioni di ragazzi; stroncata per sempre l’ipotesi affascinante e forse un po’ nostalgica di una ricostituzione del più celebre complesso musicale di tutti i tempi….
Complimenti a tutti e tre: al padrone di casa perchè l’idea delle recensioni incrociate è decisamente efficace; a Vito per la sua accurata recensione che ha centrato l’essenza dello stile di Enrico (a proposito, il suo libro mi incuriosisce e credo lo regalerò il prossimo San Valentino al mio fidanzato); a Enrico per il suo noir misto. l’ho letto, ed è stato tempo impiegato egregiamente. buon lavoro.
Monica V non è “una qualunque”. Oddio, in effetti nessuno sulla terra è “uno qualunque”, ma se lei ha optato per una sorta di anonimato io la rispetterò. E (visto che Ferro latita e non partecipa) posso suggerirle di accaparrarsi quanto prima il libro di Vito. E’ una chicca esilarante ed elegante. Talmente arguta, intelligente e a volte profonda da farmi venire il dubbio che l’abbia scritta qualcun altro.
Il Gregori è partito. Si è montanto la testa. Ed è pure invidioso: voleva scriverlo lui, il mio “l’ho lasciata”!
Mi pento e mi dolgo, io, torinese doc con reminescenze sicule, di essermi lasciato trascinare nella baraonda infernale dal peggiore bar di Porta Portese creata ad hoc dal Gregori per camuffare i limiti evidenti della sua opera e persona. Dico solo che il signor Bietti, Gino Bietti, dopo la mia recensione ha esclamato: “ma davvero l’abbiamo pubblicato noi quel libro? Fatemelo rileggere và, che non me lo ricordavo mica così io”.
E’ tutto dire.
Caro Massimo Maugeri, questa tua iniziativa del confronto raffronto tra autori e testi, potrebbe risultare un’ottima area test, utile agli editori: gli scrittori emergenti “un’identità nascosta”, i lettori con velleità da scrittori, il mercato del romanzo che non c’è.
Ma quanto copie si venderanno dei rispettivi libri.
Ho letto gli estratti sia di Vito Ferro che di Enrico Gregori. Ciascuno ha il suo stile di genere è ha un lettore normale, come me, può sembrare, sia l’una che l’altra storia, un esercizio di scrittura individuale senza pretese. Invece, ho trovato interessante la recensione degli autori; quella di Vito Ferro, verosimilmente, che ha intravisto contenuti filosofici e psicologici dei personaggi, leggendo il romanzo di Enrico Gregori.” Un tè prima di morire”, lo stesso autore ha ritenuto la recensione di Vito Ferro lusinghiera ma che andava oltre la sua volontà. A sua volta Enrico Gregori non ha stravolto il peso, lo spessore, narrativo di “L’ho lasciata perché l’amavo troppo”.
I due scrittori, secondo me, sono di generazioni diverse: Vito Ferro, dissacrante, fine intelligenza, può riconoscere i valori e le ideologie del passato, ma crede che oggi non esiste niente a cui credere,quindi, trasferire in letteratura. Ci sta prendendo in giro. Sta facendo i versi agli scrittori ex- emergenti come: FEDERICO MOCCIA: SCUSA PERCHE’ TI CHIAMO AMORE.
Enrico Gregori, secondo me, è un uomo colto che ha fantasia da vendere e non si prende sul serio, e, questo si legge nel suo racconto. Più anzianotto rispetto a Vito Ferro ma solido e capace di riconoscere un vero scrittore, senza invidia.
Un saluto a Massimo e a tutti Voi del forum.
Luca Gallina ex-Luca random
non posso che ringraziare Luca per il suo intervento che reputo, per quanto riguarda me, vero fino alla spudoratezza. Le sue sono parole che credo conserverò a lungo. Grazie davvero ancora.
Vito
Ringrazio anch’io Luca per l’apprezzamento dell’idea delle “recensioni incrociate”.
Caro Luca, finora io e Vito (ma penso che continuereno a farlo) ci siamo presi in giro, svillaneggiati e dissacrati. Se ciò è (anche) per esorcizzare ciò che facciamo prima che siano gli altri a prenderci per i fondelli, onestamente non lo so.
Ora, con una botta di sincerità e di serietà (coi miei limiti, s’intende) posso dire che se non avessi trovato (a mio gusto, ci mancherebbe) il libro di Vito pieno di spunti, di idee, di intuizioni e di originalità, delle due l’una: non lo avrei recensito oppure lo avrei trattato così come ritenevo andasse trattato.
Quello che, per esempio, qui non sapete è quante mail, sms o telefonate io e Vito ci scambiamo. Posso dire che la conversazione con lui (in qualunque modo avvenga) è per me stimolante e interessante. Oltre che divertente. E’ vero, sono più “anzianotto” (e di questa osservazione, caro Luca, ti ringrazio augurandoti che ti si scassino i termosifoni la notte di Natale), e con l’età si incancreniscono anche i difetti. Se a 20 anni ero stronzo 10, oggi sono stronzo 1000. Se non trovassi Vito ben più che brillante e in grado di scrivere libri degni del massimo interesse, quando mi chiamasse risponderei al cellulare dicendo “questa è la segreteria telefonica di Enrico Gregori. Chiunque voi siate lasciate un messaggio e verrete richiamati. Nel caso fossi Vito Ferro attaccati alla canna del gas e abbandona questa valle di lacrime”.
Per Enrico Gregori e Vito Ferro.
Una curiosità, ma voi due come vi siete conosciuti?
Cara Lucia, io e Vito ci siamo conosciuti “virtualmente” un paio di settimane fa su intercessione di Massimo Maugeri che (non so se avesse ragione) ) riteneva che in qualche modo fossimo “compatibili” per un dibattito sui nostri libri e altro, partendo con le ormai famigerate “recensioni incrociate”.
Purtroppo il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Quindi, dato che la compatibilità frutto della conoscenza virtuale ha dato buoni risultati, ora Vito vuol conoscermi anche carnalmente. Non che io abbia nulla in contrario, ma alla mia età servono stimoli nuovi per non cadere nel pregresso già mangiato e digerito. Insomma, è la quinta volta che gli chiedo di vestirsi da Heidi, ma lui trova sempre delle scuse. “Ma a me le caprette non mi fanno ciao…e mio nonno a chi lo lascio….”. Insomma, dovremmo vederci a Roma a dicembre, ma a quel tempo avrò rinunciato all’ipotesi di godere delle sue grazie.
Un’altra domanda che mi viene in mente é………. come si fa a entrare nelle grazie di Massimo Maugeri? 🙂
Cara Lucia, grazie per il tuo intervento. Purtroppo temo serva poco entrare nelle grazie di Massimo Maugeri. Te lo dice uno che pensa di esserci “entrato” ma non ne ha tratto alcun beneficio.
In ogni caso ho sentito dire che un primo passo potrebbe essere il seguente: ridurre l’uso dei puntini di sospensione, ma se proprio è necessario usarli… che siano i tre canonici (non uno di più, non uno di meno).
Grazie ancora 😉
@ Monica V.
Ciao Monica, ti ringrazio molto per i complimenti e per aver gradito l’idea delle “recensioni incrociate”.
P.S. Qualora volessi intervistarmi sappi che sono a tua completa disposizione 😉
Carissima Lucia, da Maugeri si è “eletti” e lui come ogni bizzoso ma munifico mecenate, sceglie in base ai suoi parametri. Le sue predilezioni, direi, si orientano verso l’arte, il genio, la creatività, l’intelligenza, l’originalità e la profondità del pensiero. Da ciò evinci agevolmente che il giorno in cui io e Vito siamo entrati nelle sue grazie, Massimo Maugeri non era lui, ma in preda ad allucinazioni da peyote.
ps: però sui puntini c’ha un po’ ragione. nun te ‘ncazza’! 🙂
Premesso che è la prima volta che scrivo in un blog di questo tipo, ed è strano perchè leggo molto, vorrei esprimere la mia opinione: il libro di Enrico Gregori è stato chiaramente scritto sotto l’effetto di stupefacenti. Il giovane (?!?!) Enrico è molto timido, riservato, virginale, come sicuramente avete capito dai sui post qui pubblicati, e quella facilità e scorrevolezza della lettura del suo libro non può dipendere altro che dall’aiuto di un pusher esperto.
Ho commesso anche lo sciocco errore di chiedere se e quando ne uscirà un secondo, figuartevi ! Forse anch’io non sono tanto lucido.
Parlando seriamente (non mi sarà per niente facile) oltre che ad Ellroy, mi ha fatto venire in mente anche il secondo Lansdale, almeno nelle atmosfere che è riuscito a creare.
Il libro di Vito non ce l’ho ancora, ma sicuramente lo prenderò; al giorno d’oggi un pò di sana ironia che ci strappi un sorriso, se non una risata ogni tanto, non ha prezzo, tipo pubblicità della Mastercard.
Vi aspetto al varco con la prossima prova scritta (occhio, spesso è più difficile della prima), ed un grosso in bocca al lupo.
Grazie anche a Massimo Maugeri per lo spazio che ci ha messo a disposizione, e che ho sfruttato senza pudore alcuno.
Gluck
Gregori è un girnalista, bravo che ha deciso di misurarsi con la scrittura eterna: quella del libro. Ci riesce benissimo ma si evince che ha passato i dolori di tutti coloro che hanno dovuto decidere di pubblicare un libro.
. Dice Leonardo Sciascia, che come Gregori amava la cronaca nera e dalla Cronaca nera arrivava alla filosofia. Ma perché Gregori ha voluto scrivre? Su questo punto voglio discutere. Il gironalista che diventa scrittore con glistessi strumenti di tutti i giorni: la scrittura.
Prima di tutto bisogna sapere che chi lavora nei giornali, al contrario di ciò che si crede è una lettore prima di essere un giornalista. lettore di quotidiani per capire che succede, per avere idee, per conoscere, per capire il ritmo di una città e alla fine della carriere per un piacere infinito che dà la lettura della pagina degli Esteri, della Cultura o della Cronaca. Lo scrivere ha invece un altro percorso. Spesso intimo. Arrogante e presentuoso: bisogna vincere il pudore discrivere meglio di Hemingway, di Sciascia, di Saint Exupery. Ma anche di Feltri, di Cavallari, di Rita Sala. Bisogna avere idee, intelligere la realtà e dire una cosa in più. Correttamente o scorrettamente come fa Enrico Gregori nel suo libro “Un tè prima dimorire”. Poche pagine, quanto il suo pudore. (Per ora spero io).
Il blog è lo stesso, solo credo duri meno di 35 minuti, quando sembra duri la lettura di un giornale.
A cosa ci costringerà questo dibattito?
Marcella Smocovich
mmsmamey@yhaoo.it
Un saluto e un benvenuto a Gianluca Gentili e a Marcella Smocovich (anche lei nota giornalista del Messaggero)
Io non so, Marcella, a cosa ci costringerà questo dibattito. Secondo te?
Ho la sensazione che tu abbia una risposta a questa domanda.
🙂
Gianluca Gentili (detto Gluck), non è mai riuscito a superare il trauma del suo trasferimento da Roma a Milano. Oramai è nel capoluogo lombardo da tanti anni, eppure una sorta di perenne jet-lag gli provoca il perenne obnubilamento del sensorio. Ciò appare chiaro dal suo depravato desiderio di leggere anche un mio secondo libro. Lo disse tempo fa e qui non ha timore di ribadirlo sebbene questa sede messa a disposizione di Maugeri abbia (ma ormai potremmo dire “avesse”) il requisito della serietà. Che dire, ovemai un eventuale secondo libro, caro Gianluca, te lo sarai meritato.
Per quanto riguarda Marcella, invece, temo di dover correggere Massimo. Infatti non credo che la collega abbia una risposta alla domanda. Io e Marcella, infatti, condividiamo lo stesso spazio redazionale e lei, per motivi logistici, è costretta a passare spesso davanti alla mia scrivania. Le volte in cui mi dice “quanto sei fico!” sono assolutamente pari a quelle in cui mi dice “quanto sei stronzo!”. Ecco, è su questo che si potrebbe aprire un dibattito 🙂
Una domanda per Enrico.
Essere giornalista facilita il lavoro di scrittore?
Oppure è il contrario perché i tempi del romanzo sono diversi, più dilatati e diluiti, mentre il cronista tende a dire tutto subito?
Vabbé, due domande.
Scontata: quanto c’è di autobiografico nel tuo (bel) libro?
Ancora una.
Ci sono personaggi che non finiranno con questo libro?
Ultima, prometto. Come si concilia la tua ironia con uno stile noir?
Caro Ferruccio, è evidente che anche tu sei dotato del dono dell’ironia. Infatti poni alcuni quesiti come se nulla sapessi della professione giornalistica. Vuoi forse negare di essere ciò che sei? Bene, allora ti sputtano io! Ferruccio Sansa è un collega bravissimo quanto umile (dote rara) con il quale ho lavorato felicemente a Il Messaggero. Poi lui è passato a Repubblica e infine al Secolo XIX. Insomma Sansa sa benissimo di cosa sta parlando.
Comunque rispondo a pioggia dicendo che, nel mio caso, occuparmi di cronaca nera è abbastanza utile a farmi venire idee per i noir. Conosco tecniche e retroscena investigativi e usi e costumi degli inquirenti. Da lì a tirar fuori un romanzo, però, ce ne corre.
Quanto all’autobiografia, oddio. Nel libro ci sono moltissime cose che ho visto, mediato, stravolto e carpito dalle consuetudini. Di autobiografico “stretto” c’è solo lo “spaccato” sul “nipote del girasole”…..ma cazzo, sei curioso come un giornalista vero!…..In un altro libro, in effetti, tornerà un personaggio del libro che hai letto. Circa la convivenza dell’ironia con il noir questo (secondo me) dipende dal fatto che anche in un’unica giornata, nessuno di noi è sempre e solo allegro, sempre e solo triste, sempre e solo innamorato, sempre e solo distaccato. Ci sono momenti e momenti, insomma. E ogni momento ha il suo stato d’animo. Se adesso replichi dicendo che il mio libro è un po’ come la vita, ti tolgo il saluto 🙂
Quello che dici su di me è un’ulteriore dimostrazione della tua ironia.
Detto questo penso che ognuno – al di sopra dei diciotto anni – dovrebbe passare una giornata in redazione con enrico. non c’entra molto con il libro, o forse sì, ma Enrico è capace (senza inventare nulla) di rendere epica anche la notizia di un signore che cade dalle scale.
E riesce perfino a mantenere un certo “candore” (spero che questo non lo offenda) e a rispettare sempre le persone.
E poi è capace di associazioni, di rime di pensieri, che purtroppo spesso non possono trovare spazio in un articolo.
Meno male che è arrivato il libro.
Ferruccio, sulla cifra eravamo d’accordo. Purtroppo ho smarrito il numero del tuo conto corrente bancario. Se me lo rimandi provvedo al versamento concordato. A un ligure come te questo discorso dovrebbe suonare come i concerti brandeburghesi di Bach.
Ho letto il libro di Gregori: devo ammettere che non mi è piaciuto molto. Cercherò di spiegare perchè: l’impianto vuole essere quello del noir americano, ma a mio avviso ci sono troppe cose (dialoghi, espressioni, parole singole) che rimandano ad una realtà troppo italiana, provinciale, stridente. Sentivo questo sfasamento leggendolo, che non mi ha permesso una vera immedesimazione nei personaggi. Ci sono figure poco tratteggiate che rimangono solo abbozzi di soggetti. Alcuni dei comprimari non si capisce che senso abbiano nel’economia del libro (sembrano buttati lì per fare volume). Il finale è un po’ prevedibile (per chi come me si reputa abbastanza “smaliziata”, dopo tante e tante letture di libri di genere). Il noir è una tipologia di racconto molto più difficile di quanto si pensi: esige accuratezza, profondità psicologica, rigore. Tutto dovrebbe avere una funzione e niente restare lasciato al caso. E’ la mia personalissima opinione e spero che l’autore non se la prenda, ma tutte queste caratteristiche non si riscontrano nel suo libro. Che ha, certo, spunti interessanti (penso alla descrizione e alla storia dei due agenti all’inizio), ma si perde ad inseguire trovate ad effetto che scadono un po’ nella banalità.
Marta va ringraziata due volte, e non è piageria. Probabilmente ha avvertito fin dalle prime pagine che il libro non era di suo gusto e ha comunque proseguito fino alla fine. Se quelle sono le sue impressioni non posso che accettarle. Io posso esprimere solo un parere, come dire, tecnico.
Visto che ci si accalora tanto a trovare le differenze tra “noir”, “giallo” e “poliziesco”, allora mi unisco ai ricercatori e mi sbilancio a dire che il mio è un thriller, secondo la concezione di Alfred Hitchcock (e non parlo di livello, ci mancherebbe). Secondo il Maestro si è nel thriller quando l’autore fa capire abbastanza chiaramente cosa deve avvenire, lasciando il dubbio sul quando e sul come. Disseminare elementi per spingere a capire è proprio una scelta. Con tutto ciò, per ora sei l’unica che ha capito esattamente come andava a finire, e anche come e quando. Ma lo hai detto tu, ti reputi abbastanza smaliziata.
Complimenti e grazie
Ma perchè, il libro di Enrico andava letto, ed anche capito ?!?
Potrei anche provare a riprenderlo da dove l’ho messo, per leggerlo, ma poi dovrei trovare qualcosa d’altro per fare da spessore sotto la gamba del tavolo più corta rispetto alle altre 3. Peccato però perchè era della misura perfetta.
In effetti, il suo libro man mano che lo leggevo (ooops, mi son tradito) proponeva sviluppi che spesso avevo immaginato e anticipato mentalmente, ma questo aspetto mi conferma la bontà dello scritto, non il contrario. Vuol dire che l’ambientazione era giusta, il timing corretto, il lettore viene accompagnato (e non spinto) nell’evoluzione della storia. In molti libri del genere, talvolta si ha la sensazione di essere “forzati” ad assistere a qualcosa, al classico colpo di scena; ma in molti casi questi colpi ad effetto non hanno nè capo nè coda, e sono messi là solo perchè fa moldo chic, alla moda.
Enrico è probabilmente uno scrittore onesto, come sicuramente onesto è nella vita: nella sua biografia ho letto che è stato in passato un giocatore di bridge, mondo che ha abbandonato perchè ONESTAMENTE ha riconosciuto di non saper distinguere le picche dalle cuori, e la cosa gli fa onore.
🙂
Caro gluck, se avessimo conosciuto prima le opinioni di Marta, avresti potuto risparmiare i soldi dell’acquisto e attendere nascosto nella sua pattumiera quando lei ci avesse scaraventato il mio libro. E nella medesima pattumiera, se li hai conservati, dovresti buttare anche i tuoi score che portavi al termine degli incontri di bridge. Farci i conti era impossibile, in compenso l’esame autoptico era piuttosto interessante.
Ho letto l’opinione di Marta e di gluck, sul libro di Gregori.Ho subito pensato, meno male che non ho fatto la “vivisezione” al libro, mi sarei persa, il piacere di immaginare i personaggi molto ben descritti (o sono io che ho tanta fantasia?), il piacere di rimanere incredibilmente sorpresa (con conseguente risata) dal consiglio dato dall’avvocato al bancario, il piacere dell’aspetto umano evidenziato dal nipote alla ricerca di…, il piacere della complicità nella trasgressione dei due colleghi etc.etc. Noi semplici lettori, un libro lo riteniamo gradevole quando ci introduce nella storia senza troppa fatica e al termine della lettura ci lascia una traccia. In questo caso specifico, ancora oggi sorrido pensando al gioco psicologico utilizzato dal bancario…e ho fatto mia la battuta “ha la testa disabitata” usandola all’occorrenza quando desidero essere offensiva in maniera sottile e ironica. Ciò che non ho gradito sono i ruoli a cui sono stati relegati i personaggi femminili. Non lo scrivo, è facile dedurlo. Vedremo se è un caso o se Mr. Gregori è affetto da misoginia nei prossimi libri.Lascio agli addetti ai lavori, le critiche relative agli aspetti tecnici.
Ps.: ho apprezzato la critica di Marta, perché mi ha fatto notare alcuni particolari a cui non avevo fatto caso (impianto noir che stride con i dialoghi che rimandano ad una realtà troppo italiana e provinciale..vero!).. Gluck, ho l’impressione che sia intervenuto solo per fare il detrattore. Invidia? …peccato, poteva contribuire a illuminare chi legge le critiche come me.
Alt alt alt……faccio un attimo l’arbitro. Gluck è un amico. E araba (amica anche lei ma da poco tempo) forse non ha visto i commenti precedenti. L’ultimo di Gluck è evidentemente scherzoso. Gluck (ossia Gianluca) ha usato parole imbarazzanti per esprimere opinioni positive sul mio libro. Un po’ di successiva presa per i fondelli fa solo bene allo spirito.
Quanto alle critiche, ben vengano. Ci mancherebbe! Solo a titolo di confronto e per dimostrare come il mondo continua a essere bello perchè vario, vi riposto un’impressione di Loredana Lipperini, “padrona” del blog http://loredanalipperini.blog.kataweb.it che a 4 occhi mi ha detto “un libro ambientato in una ipotetica città americana, che però non scimmiotta gli americani…..bene!”
Poi ci sarebbe l’opinione di un altro “tenutario” di lit-blog, Gian Paolo Serino (http://satisfiction.typepad.com). Ma non ho il coraggio di ripetere qui quello che mi ha detto in privato al telefono. Semmai chiedetelo a lui intervenendo nel suo bel blog.
Le opinioni, in definitiva, sono tutte ben accette. Se intelligenti, ovviamente. Quelle di Marta e di Araba lo sono senza ombra di dubbio.
Ma, perdonatemi tutti, se mai ricevessi un’opinione positiva sul mio libro da Sergio Sozi, andrei in ginocchio da Roma al santuario di Loreto intonando il Te Deum alla fine di ogni chilometro percorso. 🙂
Interesse privato in atti d’ufficio, lo so. Ma ho avuto il permesso da Massimo Maugeri in persona 🙂 Mi rendo conto che il seguente annuncio potrà essere recepito solo dai romani, ma questo passa il convento e per l’annuncio medesimo tenterò di fare un pezzo giornalistico………..
Il tè non è solo quel liquido dal dubbio colore e dall’improbabile sapore che reclamizzano in tivvù. Il tè è cultura, storia e leggenda. La mia collega Carla Massi (giornalista, ma anche somellier di tè), spiegherà tutto di questo affascinante mondo martedì 9 ottobre alle ore 18.30 a piazza San Lorenzo in Lucina, Roma, nello spazio-cultura dove una volta c’era il cinema Etoile.
Sapevate, per esempio, che esistono dei tè da degustare insieme ai formaggi piccanti? Carla ve lo spiegherà insieme ada altri “segreti” custoditi nel suo libro intitolato “E’ l’ora del tè”.
Sapevate che con le bustine del tè si possono confezionare abiti? Una sarta ve ne parlerà e vi farà vedere alcune sue creazioni.
Poi, per la serie “facciamoci del male”, un maestro gelataio offrirà il suo fiore all’occhiello, un gelato alla cioccolata e tè nero che, sembra, sia un must a Roma e non solo.
Ma siccome non si può mai stare tranquilli, nell’ambito della kermesse ci sarà anche il tè “assassino”, un incontro live con il vostro affezionato autore di “Un tè prima di morire”.
Qualora….ci si vede
Caro Enrico,
scusami se non sono ancora intervenuto. Lo faro’ ben presto – perche’ attualmente sto bestemmiando sul libro di esordio di un certo Marco Pasquini che mi e’ appena giunto a casa e devo finire entro quattro giorni un lavoro su Diego Marani per conto di un editore sloveno. Abbi pazienza. Arrivo!
Sergio
Un tuo intervento eventuale, caro Sergio, è come il blue jeans: non passa mai di moda 🙂
E va bene, facciamo sul serio.
Da un libro si capisce quanto lo scrittore ha letto, quanto ha scritto e quanto è vanitoso. Chi non conosce Enrico Gregori, non sa che lui è nell’ordine: un eccellenze collega di lavoro perchè non fa canagliate alle spalle, non è un leccaculo e sa fare il suo mestiere. Lle sue vanità pertanto non si manifestano in redazione.
Dal suo libro invece si scoprono alcune vanità come qualla di sapere diaver lettomolto, forse tutto quello ha potuto sul noir (compreso Borges, ti ho scoperto a pagina 105 di “Stanza 55: dialoghi circolari” di “Un tè prima di morire (ed. Bietti pag138 10 euro) non ha resistito alla più irresistibile delle vanità: scrivere un libro.
Misurarsi cioé con la scrittura eterna di ciò che resterà nella biblioteca nazionale, della Camera dei Deputati, e nella mia. Per sempre.
Un libro ben scritto nei dialoghi, nella storia con un linguaggio crudo e moderno. ma per chi lo conosce un pregevole esercizio letterario con sé stesso, con o contro il Gregori di tutti i giorni, manovale a perdere di una pagina e del desk. Che nei titoli dura 35 minuti di un giorno, nel libro ha appena cominciato il suo viaggio verso l’eternità.
Ci sarebbe da fare “pezzo” su queste recensioni incrociate, ma i “critici” spesso non sanno nemmeno usare un blog…
marcella smocovich
Cara marcella, spero di rimanere consegnato all’immortalità anche se quel passo di Borges che avrei “immagazzinato” io non l’ho mai letto. Da quello che tu dici, è evidente che io e Borges (ognuno all’insaputa dell’altro) abbiamo scritto una cosa più o meno identica. Naturalmente ciò non va a mio onore, ma semmai a disdoro di Borges 🙂
Cara araba, mi spiace che non ti sia sentita illuminata dal mio post, ma in effetti io senza interruttori, o almeno senza un accendino, riesco ad illuminare ben poco.
Speravo comunque che si evincesse la mia valutazione positiva, forse ti sei fermata alle prime righe in cui ho scritto che usavo il libro di Enrico come “sottogamba” di un tavolo, dato il suo “spessore”.
Chiedo venia, se ho approfittato della confidenza che ho con l’Autore è stato solo perchè il libro è un bel libro, e merita di essere letto.
E se poi tu avessi un tavolinetto traballante perchè ha una gamba più corta, beh, sarebbe proprio il massimo !
Infine, per rispondere a Marcella, a me sembra che l’unica cosa che hanno in comune Enrico Gregori e Borges sia l’anno di nascita (1899), però non sono preparato sul loro segno zodiacale.
Gluck è amico da decenni
Araba è persona spontanea e coraggiosa
Marcella è una collega molto sincera
credo quindi che l’eventuale polemica tra tre persone così sia priva di senso. Capisco, per carità che state dissertando sul mio libro e allora, ecco, è possibile una sorta di battaglia tra Accademie sul valore, chessò, della Divina Commedia. Ma io, l’autore del capolavoro noir, vi stupirò dicendo che, ebbene sì, accetto anche le osservazioni negative 🙂
Aridaje… Enrì, ma allora sei proprio veramente rinco !
1) Non pensavo di essere in polemica con araba, anzi, visto che rileggendo il mio post esso si poteva interpretare come una gratuita detrazione del tuo libro, o almeno così ha fatto l’amica araba, ho voluto solo riconfermare la mia valutazione assolutamente positiva. Ed i motivi li avevo già esposti in precedenti post non sospetti.
Che poi non sia in grado di illuminare niente e nessuno, beh, è una mera constatazione, essendo non un critico ma un lettore, che valuta un libro in base a parametri assolutamente personali, tipo se ci sono personaggi simpatici o curiosi, se la trama ha un senso, se stimola o meno alcuni ragionamenti, se penso che l’ambientazione sia ok…. cose così.
2) Men che meno mi permetterei di essere in polemica con Marcella, che anzi mi aveva dato lo spunto, parlando di Borges, per notificare a tutti la tua vera età. Oltretutto, se ti sopporta anche come collega, deve avere doti di pazienza non comuni, ed ha quindi tutta la mia stima ed il mio rispetto.
Un saluto a tutti e tre.
Caro Gluck,
non sono assolutamente in polemica con te (ci mancherebbe).
Ho senza ombra di dubbio, travisato il tuo commento che in effetti ho letto frettolosamente e poi…a dirla propio tutta, probabilmente un po’ mi girava storta…
Ti dirò, rileggendo il tuo commento l’ho trovato divertente come anche la risposta di Gregori. Accolgo volentieri il tuo consiglio di usare il libro come “sottogamba” (stavolta speriamo non si alteri Gregori). E per quanto riguarda “l’illuminazione”…. va bene anche l’accendino.
Cordialmente e con tanta simpatia…araba
Questi ultimi interventi profumano di romanitas: la citta’ dove – nel rione San Saba – nacqui 42 anni or sono (fui battezzato alla clinica del Divino Amore). Vedo che la spontaneita’ trasteverina non accenna, fortunatamente, ad estinguersi.
Ebbravi! Roma e’ sempre Roma.
Con affetto
Sergio Sozi
P.S.
Ne ho respirato l’aria fino all’eta’ di quattro anni e mezzo ed anche mia madre e’ capitolina. Il resto per me e’ Umbria e Slovenia.
insomma caro sergio, sei partito bene. poi ti sei rovinato, aimè 🙂
“In Un tè prima di morire di Enrico Gregori le storie dei singoli ospiti sono seguite con una tecnica a mosaico che, lo sappiamo, deve fornirci qualche indizio. Così la vicenda si spezzetta in tante istantanee. Lo fa senza però perdere il ritmo, che è quello dei grandi noir all’americana (a noi è venuto in mente il giovane Ellroy).Un racconto che appassiona e come in ogni buon noir che si rispetti, ghermisce il lettore,costringendolo a proseguire fino alla fine, senza smettere”.
(Marco Guidi, da Il Messaggero)
“Enrico Gregori è il capo della cronaca nera romana de Il Messaggero. Si è occupato del terrorismo, della banda della Magliana e di tutti i delitti più importanti avvenuti a Roma. Lo stile del suo romanzo è secco, crudo, anche violento, continuo è il contrasto fra la gente di strada e gli uomini diventati importanti”
(Andrea Garibaldi da Il Corriere della Sera)
“In un tè prima di morire di Enrico Gregori ogni stanza è una finestra web su questa specie di 11 settembre collettivo. Un noir pieno di ritmi rock e tensione”.
(Fabrizio Paladini da Panorama)
“Un tè prima di morire di Enrico Gregori è secco, essenziale e affilato, con pochissimi o nulli compiacimenti formali a dispetto di una trama difficile, perché interamente costruita sull’attesa di un crimine previsto e che deve essere impedito”.
(Loredana Lipperini su http://www.lipperatura.it)
“Il romanzo di Enrico Gregori è anche molto umoristico; benché gli argomenti trattati abbiano una loro intrinseca efferatezza. E’ caratterizzato da dialoghi serrati con battuta in punta di lingua. Mi ha molto colpito la scena del poliziotto che si trova a Central Park nel momento dell’assassinio di John Lennon”.
(Massimo Maugeri su http://www.litteratitudine.it)
“Una vicenda come quella narrata da Gregori, acquista uno spessore e un valore di verità decisiva: figlia dei tempi ormai giunti, la paura e l’attesa (spesso risolta nel sangue e nel dramma) da Deserto dei Tartari, è l’aura che circonda la nostra consapevolezza, ormai certi di poter essere tutti bersaglio della follia terroristica e pagare colpe più grandi, avviluppati nella scacchiera sporca di una politica senza scrupoli, deviata e criminale”.
(Vito Ferro, scrittore)
“Ringrazio Enrico Gregori innanzitutto da lettore perché mi ha fatto leggere qualcosa di impensabile. Da critico dico che nel suo noir si assiste allo stravolgimento dei parametri. Nei gialli, infatti, a un certo punto ci si domanda chi potrebbe essere il colpevole. In Un tè prima di morire di Enrico Gregori, invece, ci si chiede chi mai potrà essere innocente. Straordinario!”
(Gian Paolo Serino http://satisfiction.typepad.com/)
Previa autorizzazione di Massimo Maugeri comunico che la presentazione del mio libro “Un tè prima di morire” avverrà venerdì 26 ottobre alle ore 18 presso la Domus Talenti, via Quattro Fontane 113. Roma.
Il libro verrà presentato dal prefetto Nicola Cavaliere (vice capo della Polizia) e dal colonnello Vittorio Tomasone, comandante provinciale dei Carabinieri di Roma.
Chiunque non abbia di meglio da fare potrà intervenire. L’invito è esteso anche a intellettuali che si trovano casualmente in Slovenia. Magari con un elicottero possono farcela. Hai capito Sergio? 🙂
Mannaggia, Enri’! Se potessi verrei come un fulmine dell’egideo Giove! Mi dispiace!
Godete in comitiva, comunque!
Sergio
Non ci andare Sergio!
È un tranello per farti arrestare!
–
Scherzi a parte, in bocca al lupo a Enrico e complimenti per lo spessore dei relatori. Magari nel corso del dibattito non sarebbe male che qualcuno ricordasse che – effettivamente – l’Horcynus Orca è uno dei più grandi capolavori del Novecento.
Chi la pensa diversamente… è una Fera.
😉
Io, il prefetto Cavaliere, l’ho conosciuto quanda prestava servizio a Perugia, circa dieci anni fa. E’ persona interessante e colta. Temerei maggiormente un arresto da parte di Enrico direttamente (botta da pazzo questa, eh?)
‘Notte
Sergio
Scusa, Massimo, ma che cosa vuol dire che ”e’ una Fera”? Una fera e’ in italiano una bestia feroce. Cos’altro?
S.
Mi scuso con Enrico se andrò fuori argomento.
–
Il titolo provvisorio dell’Horcynus Orca era “I fatti della Fera”.
–
Fera è una forma dialettale per delfino, diffusa sulla costa ionica della Sicilia e in altre zone costiere del Meridione. Fere o delfini, quindi, si sono contese l’onore del titolo prima dell’orca e non certo per caso: in tutto il romanzo non c’è un paesaggio marino che non sia invaso dalle fere, tanto da indurre a pensare che siano le vere protagoniste del romanzo, dal momento in cui cominciano a marcare, sulla spiaggia, il ritorno a casa di ‘Ndrja, fino all’ultima grande impresa: lo scodamento dell’orca che la porta alla morte. Una delle poche se non l’unica scena di mare libera dalle fere è lo specchio d’acqua in cui si consuma la morte di ‘Ndrja, alla fine del libro.
Per i pescatori di Acqualatroni, le fere, astutissime e crudeli nemiche dell’uomo, sono molto lontane dall’idea comune del delfino, termine che in quel mondo non è mai usato. Emblematica è la risposta che il padre di ‘Ndrja dà al caporione fascista, nell’episodio del primo “casobello” fera-delfino: “Questa… noi la chiamiamo fera e fera effettivamente è. E fera vuole dire bestino, tutto una fetenzìa che non vale un soldo, ma ruba, rovina, fa assassinaggio”. E qualche pagina dopo il Signor Broggini replica: “Non parli mica del delfino, caro? No, non puoi palare del delfino in questi termini”.
Grazie, Massimo.
Sergio
P.S.
Come ti avevo gia’ detto mesi fa, io il capolavoro di D’Arrigo non l’ho letto, ne ho solo una cognizione critica. Magari potrei farti discorrere con mio padre Giuliano, il quale invece lo lesse anni fa. Pero’ papa’ non frequenta Internet e affini bestialita’: lui legge e scrive, per fortuna. Pensando sempre.
Sergio
Scusarvi di cosa? Che nel post “mio e di Ferro” si parli di un libro ritenuto un grande capolavoro del Novecento è un onore. E magari può suggerire l’impressione che il mio libro e quello di Vito siano i capolavori del Duemila :-).
a Sergio: hai mai fatto l’esame del Dna per sapere se effettivamente il signor Giuliano sia tuo padre. Sai, lui pensa! 🙂
Allora preciso questo.
Secondo me “Horcynus Orca” è un libro difficile da leggere anche per via del linguaggio creato da D’Arrigo in vent’anni di lavoro duro e certosino.
Nonostante le difficoltà, quando lo lessi la prima volta ne rimasi affascinato ed entusiasmato. È uno di quei libri che credo continueranno a essere studiati anche nei secoli che verranno (come – cito a esempio il primo libro che mi viene in mente – la “Gerusalemme liberata” di Tasso).
Un te’ prima di morire. Non sentivo Enrico da qualche anno.E’ stata un’occasione per riaprire i contatti ,anche se solo per email, dopo anni di grande amicizia mai dimenticata.
Il suo racconto mi ha decisamente appassionato per la tecnica narrativa (tagliente come una lama ), la storia ( si capisce gli anni passati nella vera cronaca nera) e , per un amante della musica come me , dei riferimenti ‘subliminali’ a personaggi del rock degli anii 70′.
Vai con il Bisibidabo’ !!
Piero.
E quanto, caro Piero, sudammo sulle chitarre per “copiare” i nostri miti?
Come vedi non abbiamo dimenticato nulla, comprese le stramberie delle Medie. Al di là del tuo giudizio sul libro, mi fa piacere che tu abbia colto tutti i riferimenti “subliminali” e rockettari. Ti abbraccio
Un libro in tre righe?sarebbe stato meglio.
e sarebbe anche meglio (senza impegno) se m.g. esplicitasse meglio il suo pensiero. se non altro per rispondere su una base un po’ più consistente
Mi esplicito, scusandomi del ritardo,peraltro dovuto alla innocente convinzione che quella mia laconica frase sarebbe stata cestinata o ignorata,invece Lei,con giusto intuito investigativo,e con grande cortesia di linguaggio(!) l’ha colta.Quanto meno le devo la spiegazione.Mi riferivo al suo commento al libro del Ferro,in cui alla fine si rammaricava,al contrario, della sua scarsa fantasia che l’ avrebbe portata a liquidare lo stesso argomento in tre frasi.Mi permetto di dissentire.Va bene l’ironia,l’umorismo leggero,la lettura scacciapensieri,volutamente frivola per disimpegno programmatico dalla pesantezza del vivere.ma per un libro cosi,come giustamente da lei definito,una specie di rassegna di barzellette sui carabinieri,e’ stato giusto abbattere tanti innocenti e utili alberi?e vogliamo anche definirlo esempio di letteratura?ma quale,quella pret-a
-porter?lei che invece e’ tanto”gentile e tanto onesto'(pare),avrebbe liquidato l’argomento in tre frasi.E se ne rammarica?E non voglio infine soffermarmi su un aspetto tematico che funge da capitale aggravante:il tema dell’abbandono,che nell’altro verso della medaglia,quello concreto e reale,e’ un fatto tragico,che,lei me lo insregna, troppa materia fornisce al suo lavoro. Rispetto e apprezzo invece il suo libro,non come genere,che non e’ il mio target,ma come impegno e creazione letteraria,se lo desidera ne parlerò in un prossimo post.Ora il mio mal di testa me lo impedisce.Mi scusi.
m.g.
Innanzitutto la ringrazio dell’intervento e, ovviamente di cuore, del suo apprezzamento nei confronti del mio libro. Quando al libro di Ferro, devo dire che lei ha colto un aspetto parziale del mio discorso. Lo stesso autore, infatti, è perfettamente conscio di avere scritto un volumetto rapido e ironico. Io, però, ho osservato che non è comunque facile scrivere 100 pagine girando intorno a un unico concetto. Anche nelle cose minimaliste, a mio avviso, devono ricorrere i requisiti dell’intelligenza e del buon gusto. E, in questo, a parer mio Vito Ferro è stato davvero bravo. Peraltro è un autore che scrive anche dell’altro. Mi sembra comunque doveroso sollecitare lo stesso Ferro a una eventuale replica qualora ne abbia tempo e voglia. La ringrazio ancora.
per ora ho solo sfogliato “L’ho lasciata ecc ecc”, in compenso ho sbirciato il blog di Ferro e sono portata a credere che scriva molto bene, dalle poesie ai racconti e perchè no, alla “letteratura leggera scacciapensieri”. Ma “Condomio Reale” si trova già in libreria?
Non dubiti che io non abbia compreso le sue buone intenzioni nel commentare il libro di Ferro.sono stata io a forzarne il senso per piegarlo alle mie impressioni e al mio giudizio.in altre parole:mi assumo la piena responsabilita’ di quanto affermato,e non saro’ io a minare i vostri ottimi (!) rapporti.Rimango comunque del mio avviso di prima su di lui.qualora volesse replicare io sono pronta a leggere.
M. G., le sue impressioni sono sacrosante e le mie non valgono certo più delle sue. Se io e Vito abbiamo dei rapporti cordiali questo non ha nulla a che vedere con ciò che possiamo pensare dei nostri scritti. Che lei si assume le responsabilità di quello che dice mi pare ovvio, ma peraltro non ho ravvisato alcunché di offensivo nei confronti di Vito. Credo di arguire che lei ritiene il libro di Ferro di scarso interesse e alquanto superficiale. Vito se vorra replicherà. Io personalmente ritengo che quando chiunque renda pubblico un qualcosa (specialmente se a pagamento) debba accettare le opinioni positive quanto le critiche negative. Fa parte del gioco.
“Condominio reale” è per ora disponibile ordinandolo sul sito della casa editrice http://www.edizionidilattaonline.com e, da gennaio in tutte le librerie. Grazie a tutti per l’interessamento!
Vito