Il nuovo appuntamento della rubrica PELLICOLE ITALICHE da rivedere, curata da Gordiano Lupi, è dedicato a uno dei più celebri film di Nanni Moretti: “Il caimano”.
Se vi va, potremmo cogliere l’occasione e approfittare di questo post per discutere del cinema di Moretti in generale.
Di seguito, oltre all’articolo di Lupi, la locandina e il trailer del film.
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IL CAIMANO (2006) – di Nanni Moretti
recensione di Gordiano Lupi
Regia: Nanni Moretti. Soggetto: Nani Moretti, Heidrun Schleefer. Sceneggiatura: Nanni Moretti, Francesco Piccolo, Federica Pontremoli. Fotografia: Arnaldo Catinari. Montaggio: Esmeralda Calabria. Musiche. Franco Piersanti. Scenografia: Giancarlo Basili. Costumi: Lina Nerli Taviani. Genere: Commedia, Drammatico, Politico. Durata: 112’. Produttore: Angelo Barbagallo e Nanni Moretti. Case di Produzione: Sacher Film, Bac Films, Stephan Films, France 3 Cinema, con la collaborazione di Wild Bunch, Canal+, Cinecinema. Distribuzione: Sacher Distribuzione. Interpreti: Silvio Orlando (Bruno Bonomo), Margherita Buy (Paola Bonomo/ Aidra), Jasmine Trinca (Teresa, la regista), Michele Placido (Michele Pulici/Silvio Berlusconi), Elio De Capitani (Silvio Berlusconi), Paolo Sorrentino (cammeo in Cateratte), Paolo Virzì (cammeo in Cateratte), Giuliano Montaldo (Franco Caspio, vecchio regista), Tatti Sanguineti (Beppe Savonese, il critico), Toni Bertorelli (Indro Montanelli), Lucia Arikò (Marica, la sceneggiatrice), Nanni Moretti (se stesso/Silvio Berlusconi), Jerzy Stuhr (Jerzy Sturovsky, produttore polacco), Matteo Garrone (direttore della fotografia), Luisa De Santis (Marisa, la segretaria di Bonomo), Anna Bonaiuto (Ilda Bocassini), Valerio Mastandrea (Cesari, il finanziere), Sofia Vigliar (baby-sitter), Cecilia Dazzi (Luisa), Carlo Mazzacurati (cameriere), Antonio Petrocelli (legale del caimano), Dario Cantarelli (critico gastronomico).
Il caimano è un film importante, tra i migliori realizzati da Nanni Moretti, non tanto per la feroce critica allo stile di vita incarnato dal modello berlusconiano, quanto per la piccola storia di fallimento esistenziale raccontata da uno straordinario protagonista. Silvo Orlando si cala con partecipazione nei panni di Bruno Bonomo, un produttore cinematografico che sta attraversando un periodo difficile, professionale e sentimentale. Negli anni Settanta faceva furore con il cinema trash, pellicole di genere dai titoli improbabili (Maciste contro Freud, Viterbo violenta, Violenza a Cosenza, Mocassini assassini, La vendetta di Aidra e il mitico Cateratte), la moglie (Buy) era al suo fianco e interpretava il ruolo di Aidra, eroina vendicatrice assetata di sangue. Adesso tutto è finito: la casa di produzione sta per fallire, il matrimonio va a pezzi, anche se il produttore è ancora innamorato della moglie, gli amici lo abbandonano, persino un vecchio collega (Montaldo) è stanco di lavorare per lui. A un certo punto si presenta una giovane regista (Trinca) con una sceneggiatura intitolata Il caimano, che lui scambia per cinema di genere, mentre si tratta di un film politico su Silvio Berlusconi. Bonomo dopo alcuni tentennamenti decide di fare il film, anche se in passato non ha mai voluto fare film impegnati, cerca un produttore polacco, un attore importante (Placido) e parte per l’avventura con una troupe di fedelissimi. Il mondo, intanto, gli crolla intorno, sua moglie vede un’altra persona, lui è costretto a incontrare i figli in uno squallido residence, il vecchio regista gli ruba un progetto su Cristoforo Colombo e persino l’attore importante abbandona il progetto Berlusconi. Bonomo è sull’orlo del fallimento, ma con i pochi soldi che gli restano gira un giorno della vita di Silvio Berlusconi: il processo al caimano, che si conclude con una profetica condanna a sette anni di reclusione e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Finale imprevedibile con Berlusconi (Moretti) che esce dal Palazzo di Giustizia tra gli applausi mentre il popolo si ribella ai magistrati e li colpisce con sassate e bombe molotov.
Il caimano è cinema nel cinema, costruito tra continui flashback, con il film su Berlusconi che si interseca in maniera geniale alla piccola storia di Paolo Bonomo. Nanni Moretti sceglie di far interpretare Berlusconi da tre attori, per sottolineare quanto sia difficile descrivere monodimensionalmente il personaggio: Elio De Capitani (Bonomo legge la sceneggiatura e immagina la storia), Michele Placido (l’attore prescelto che ne dà un’interpretazione simpatica) e se stesso (il finale apocalittico). Il caimano è un lavoro metacinematografico zeppo di citazioni al cinema del passato, un vero e proprio omaggio al tanto vituperato cinema di genere italiano. Non credo che Moretti odi il nostro cinema di genere, come afferma certa critica. Orlando esprime in poche parole il pensiero del regista: “Il cinema d’autore e il cinema di genere erano soltanto due modi diversi di fare lo stesso lavoro”. Numerosi cammei di personaggi del cinema, a cominciare dalle prime sequenze – estratte da un inesistente Cateratte – con Paolo Virzì nei panni di un dirigente maoista e Paolo Sorrentino trafitto da un tridente di Aidra. Tatti Sanguineti interpreta se stesso nei panni di un critico cinematografico, tra l’altro è un cinefilo importante che nel corso del tempo ha cambiato spesso idea sul valore del nostro cinema popolare. Basti pensare che vituperava come pochi Franco & Ciccio, ma dopo la morte di entrambi passa il tempo in televisione a rivalutarli. Il regista Giuliano Montaldo è il vecchio regista Franco Caspio, collega di tante battaglie a fianco del produttore che finisce per tradirlo. Ricordiamo altri cammei di Carlo Mazzacurati, Renato De Maria, Stefano Rulli, Matteo Garrone, Antonello Grimaldi. Sono geniali i due spezzoni di cinema che vedono protagonista Aidra, girati con la tecnica delle vecchie pellicole di genere, eccessive e piene di sangue. Moretti cita il genere splatter a più riprese, in un frangente si prende anche la soddisfazione di far divorare un critico (gastronomico, ma fa lo stesso) da alcuni astici vivi, infine lo travolge con un pentolone di acqua bollente e lo fa sbudellare da Aidra. Dario Cantarelli è perfetto nella caratterizzazione eccessiva del critico, così come era straordinario nei panni del preside in Bianca. Il produttore utilizza le storie di Aidra come favole per far addormentare i figli, sono ricordi del suo passato che vuol condividere almeno con loro, visto che la moglie ha rinnegato il passato per dedicarsi alla musica. Silvio Orlando presta la sua maschera dolente per un personaggio straordinariamente riuscito, un uomo vero travolto dai problemi, inadeguato ad affrontare la realtà che lo circonda. Bonomo vive di ricordi, dorme nei suoi studi che i creditori gli stanno portando via, passeggia nella piscina priva di acqua dove ha girato l’ultimo film di pirati e le locandine del tanto amato cinema trash che i giovani ricercano per celebrarlo nel corso di inutili retrospettive. Il piano sequenza con Silvio Orlando che attraversa disperato il Lungotevere mostra – tra immagini stupende e musica suadente – la sconfitta definitiva di un uomo che non riesce ad affrontare la vita. Nanni Moretti gira con bravura un film che si rivide con piacere a distanza di tempo e interpreta con ironia la parte di se stesso: “È sempre il tempo di fare una commedia!”, dirà alla giovane regista. “Io non l’ho letta la tua sceneggiatura ma tanto lo so cosa c’è scritto: le solite cose che il pubblico di sinistra vuole sentirsi dire su Berlusconi. Io voglio fare una commedia, adesso!”. Bravo anche nella parte finale dove interpreta Berlusconi recitando le stesse parole pronunciate dall’ex premier. Alcuni spezzoni d’epoca completano il film politico, che si ricorda anche per alcune parti oniriche molto ben girate: i soldi che piovono dal cielo sfondando il soffitto, l’atterraggio dell’elicottero di Berlusconi in un campo sportivo. Un film che va oltre i generi, come ogni pellicola di Nanni Moretti: commedia, dramma esistenziale, film sociale e satira politica.
Il film scatenò molte reazioni perché uscì in periodo elettorale e molti politici chiesero con forza di posticiparne la programmazione. Ha ragione Moretti quando afferma che “Il caimano non è un film politico, ma un film intimista, la storia di una coppia che si sta separando, mentre la vicenda Berlusconi è il film nel film, quello che nella finzione si sta girando, e fa soltanto da cornice alla storia principale”. Tra l’altro Moretti non critica tanto Berlusconi, quanto il berlusconismo, vuol sottolineare il fatto che un certo modo di pensare e tanta brutta televisione abbiano cambiato in peggio gli italiani. “Volevate quella televisione grigia e triste con soltanto due canali e quelle ballerine vestite? Io vi ho dato la televisione piena di luci e colori, a ogni ora del giorno. È tutto merito mio”, dirà il Berlusconi al pubblico di uno show televisivo in mezzo a ballerine discinte. Berlusconi la prese con ironia: “Un ottimo regista italiano ha raccontato una fiaba e mi ha dato un soprannome che mi mancava: signori, io sono il caimano”.
Alcuni passaggi televisivi importanti: Sky Cinema Mania (27 aprile 2007), La7 (30 aprile 2011), Rai 3 (19 giugno 2011 – 12,97% di share, circa tre milioni di spettatori), infine di nuovo su La7 (4 ottobre 2013), programma Film Evento condotto da Enrico Mentana, come spunto per un dibattito politico sulla decadenza di Berlusconi da parlamentare, dopo la nota sentenza di condanna.
Ottima la colonna sonora di Franco Piersanti che torna a collaborare con Moretti a 23 anni di distanza, dopo il film Bianca. Assistenti alla regia sono Cosimo Messeri, figlio dell’attore Marco, e Alice Di Giacomo, figlia del direttore della fotografia Franco, che aveva collaborato ai primi tre film di Moretti. Tra le citazioni d’autore ricordiamo alcune sequenze de La città incantata di Hayao Miyazaki, premio Oscar 2001 come miglior film di animazione. Partecipa al film anche il Nuovo Coro Sinfonico Romano che esegue il Dixit Dominus di Händel. Molte analogie con la realtà per quel che riguarda la profetica parte finale, sia per lo svolgimento del processo che per la durata della pena inflitta dalla corte. La scena finale apocalittica, invece, dobbiamo augurarci che sia meno profetica. Tra gli attori la sola a convincere poco è la bella ma inespressiva Jasmine Trinca.
Rassegna critica. Paolo Mereghetti (tre stelle): “Moretti fa decantare le proprie ossessioni grazie all’interpretazione di Silvio Orlando, ma non rinuncia a un punto di vita personale per riflettere sull’Italia. Berlusconi diventa una specie di concreto esempio e di illuminante metafora della realtà, che Moretti racconta come un elemento interno e soggettivo che interagisce con la vita di chi vuole interessarsi a lui. La fallimentare vita privata di Bonomo diventa l’altra faccia di un paese che ha perso le sue certezze, mentre i diversi stili con cui è rappresentato il caimano sono esempi concreti della difficoltà di trovare un unico linguaggio per narrare e per spiegare l’Italia”. Troppo politico come giudizio. Preferiamo Morando Morandini (tre stelle per la critica, quattro stelle per il pubblico), che parla di cinema nel cinema: “Il caimano è anzitutto un film sul cinema, la storia di un film da fare. Disomogeneo fin che si vuole, ma è difficile negarne l’originalità. Dopo una mala partenza (col peggio di quella commedia all’italiana che Moretti ha sempre irriso) arriva al bersaglio con un duro finale fantapolitico di anticipazione. Un Silvio Orlando da premio”. Non siamo così convinti sul giudizio negativo di Moretti nei confronti del cinema popolare italiano che ci pare trattato con il massimo rispetto. Pino Farinotti concede due stelle, salva soltanto il segmento privato e non ama il compitino politico su Berlusconi, ma riconosce a Moretti la genialità del grande autore.
Il caimano riscuote molti premi prestigiosi. David di Donatello 2006: miglior film, regista, produttore, attore protagonista, musica, fonico in presa diretta. Nastro d’argento 2007: produttore, attori protagonisti. Ciack d’oro 2006: miglior film, regia, attori protagonisti, sceneggiatura, musica, produzione, montaggio e persino manifesto. Globo d’oro 2006. Nomination al Festival di Cannes e all’European Film Awards 2006.
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Care amiche e cari amici di Letteratitudine,
come avete già visto dal post, il nuovo appuntamento della rubrica PELLICOLE ITALICHE da rivedere, curata da Gordiano Lupi, è dedicato a uno dei più celebri film di Nanni Moretti: “Il caimano”.
Si tratta di un film non “antico” (è solo del 2006), ma è da considerarsi uno dei più celebri di Moretti.
Anzi, se volete, potremmo approfittare di questo post per discutere del cinema di Moretti in generale.
Sul post, oltre all’articolo di Gordiano, ho inserito la locandina e il trailer del film.
Ne approfitto, naturalmente, per ringraziare Gordiano Lupi.
Se dovessi scegliere il mio film preferito tra quelli di Nanni Moretti probabilmente opterei per “La stanza del figlio” (film del 2001).
Però, da ragazzo, al “gioco dei mimi” (conoscete il gioco dei mimi?) sceglievo sempre “Io sono un autarchico” (film del 1976) da proporre agli avversari.
Film difficilissimo da mimare. 😉
E voi? Cosa ne pensate del cinema di Nanni Moretti?
Ciao! Adoro Nanni Moretti. Secondo me è uno dei più grandi del cinema italiano.
La recensione del “Caimano” scritta da Gordiano Lupi è molto bella.
Contribuisco copiando la bella biografia di Moretti scritta sulla mitica enciclopedia Treccani.
NANNI MORETTI è regista, attore, sceneggiatore e produttore cinematografico, nato a Brunico (Bolzano) il 19 agosto 1953. Tra i registi più rappresentativi e significativi del cinema italiano dalla fine degli anni Settanta, ha posto al centro dei suoi film i conflitti generazionali, il disagio (giovanile e familiare), il disincanto politico, l’aridità e la superficialità dei sentimenti e dell’eros, la denuncia e il rifiuto dell’indifferenziata omologazione audiovisiva circostante, la rivendicazione dell’autenticità del linguaggio.
Sempre interprete dei suoi film ‒ da Io sono un autarchico (1977) a Palombella rossa (1989), e con l’eccezione di La messa è finita (1985), nel ruolo di Michele Apicella, suo alter ego ‒, ha spesso mescolato elementi di finzione con frammenti documentaristici, portando in scena sé stesso, la sua figura di regista e aprendo frammenti via via più ampi sul proprio mondo, oggetto di serrate analisi e di feroce autoironia. Attento a tutte le fasi di lavorazione del film, M. appare l’unico cineasta in Italia ad avere un controllo totale dell’opera sul modello di Stanley Kubrick.
Osannato dalla critica francese, in particolare dai “Cahiers du cinéma”, è stato premiato al Festival di Cannes nel 1994 per la migliore regia per Caro diario (1993) e nel 2001 con la Palma d’oro per il miglior film per La stanza del figlio. Ha inoltre vinto il Premio speciale della giuria alla Mostra del cinema di Venezia, conferitogli da Italo Calvino, per Sogni d’oro (1981) e l’Orso d’argento al Festival di Berlino per La messa è finita.
Figlio dell’antichista Luigi Moretti, frequentò la facoltà di Lettere prima di rivolgersi al cinema. Dopo alcuni brevi film in super 8 (La sconfitta e Pâté de bourgeois, entrambi del 1973; Come parli frate?, 1974), girati con il sostegno e la collaborazione di amici e conoscenti, poté realizzare e interpretare, nel 1977, sempre in formato ridotto, il lungometraggio Io sono un autarchico, girato in tre mesi in piena autonomia, al costo di lire 3.700.000. Il cineclub romano Filmstudio accettò di programmarlo e la visione suscitò lusinghieri giudizi della critica nonché il caloroso interesse di A. Moravia. Il film, gonfiato in 16 mm a spese dell’Arci, ebbe una distribuzione nazionale in alcune sale d’essai e nei cineclub delle principali città. Nell’ottobre 1977 venne trasmesso dalla RAI, e nel 1978 fu proiettato al Forum del Festival di Berlino e in una sala cinematografica parigina. Il mondo giovanile, la politica, lo straniamento dei sentimenti e del sesso, Roma come centro dell’ambientazione ma anche come luogo di dispersione, il ruolo dell’arte, in questo caso il teatro, come mera supplenza del nichilismo dominante sono i temi specifici di quest’opera, resi attraverso uno stile asciutto e penetrante, una forma narrativa puntata sugli incastri, le ellissi e i climax improvvisi, una comicità di battuta e di situazione crudele e surreale, e una potentissima presenza d’attore dello stesso M., che non verrà mai meno, ai limiti del divismo. Nel titolo, la formula che avrebbe accompagnato il regista lungo tutta la sua carriera, l’autarchia, l’autonomia caparbia, venata di fruttuoso narcisismo, tipico dell’artista neodecadente, triste ma vitale, sperimentatore irriducibile nell’ambito di un’industria, il cinema, incline al compromesso e al dolo.
Nel marzo 1978 uscì il suo secondo lungometraggio, Ecce bombo, realizzato con criteri industriali: 180 milioni di lire di costo, due miliardi di lire di incasso. I temi sono quelli del precedente film, filtrati dall’abituale punto di vista dell’alter ego Michele, con un’attenzione particolare ai conflitti generazionali (famoso il carrello all’indietro che mostra la sorella del protagonista impegnata a progettare l’occupazione della scuola, lo stesso protagonista e il padre dei due a indicare l’abisso tra le generazioni) e compiendo un’analisi spietata di un mondo giovanile che appare spaesato. Già in quest’opera risulta messo a punto quello stile che, nel corso del tempo, è diventato elemento riconoscibile del suo cinema: macchina fissa, montaggio nell’inquadratura, storie incrociate, per cui i personaggi, come ebbe a dire lo stesso M., sembrano muoversi in un ‘acquario’. Ma soprattutto appare in tutta la sua evidenza il lavoro radicale di rarefazione compiuto dal regista sul décor, sui caratteri, sulla storia, spinto qui fino a un limite estremo. Il successo arrise pienamente, senza cedimenti, compreso l’invito al Festival di Cannes, in una sezione parallela dove i critici dei “Cahiers du cinéma” scrissero di un film “alla Baudrillard”.
Nel 1981 M. presentò alla Mostra del cinema di Venezia “Sogni d’oro”, il suo film più ispirato, ambizioso e compiuto, ritratto di un giovane regista còlto, significativamente, in quello ‘stato di sonno’ che per l’uomo di cinema rappresenta l’emergere del desiderio e dell’angoscia della morte. L’opera però si rivelò un insuccesso commerciale nelle sale.
Tre anni dopo, con l’ausilio di Sandro Petraglia per la sceneggiatura e di un produttore navigato come Achille Manzotti, poté uscire “Bianca”, il suo film forse più amato dal pubblico in cui affiora una maggiore attenzione alla complessità del personaggio protagonista, un professore di matematica, arido nel cuore e paranoico nella mente, che si scopre serial killer per eccesso di comprensione e protezione nei riguardi degli amici più cari. Rispetto al passato si avverte un processo di scrittura più evidente, una sceneggiatura di ferro che sembra alimentare ogni inquadratura al posto delle immagini felicemente inventate di Ecce bombo. Ma Bianca è anche un’opera sullo sdoppiamento della personalità, capace di utilizzare lo spazio nella sua ‘verticalità’: la salita che Michele deve compiere per raggiungere la propria abitazione e la scuola, la discesa, sotto il livello stradale, dove si trova il commissariato.
Nel film successivo, La messa è finita, il più amaro e impegnato, il pubblico con sorpresa ammirò M. nel ruolo di un sacerdote alle prese con le piccole e grandi tragedie dei parrocchiani e dei propri cari. M. sceglie di conferire dignità e dolore a Don Giulio, alla figura complessa di un prete, sempre difficile da portare sullo schermo e, come notato dall’autore, fin troppo spesso ridotta a macchietta dal cinema italiano. Anche se il nome del personaggio cambia, in Don Giulio si possono rintracciare elementi tipici di Michele Apicella: le stesse utopie politiche, la stessa tensione a ricreare un’armonia ormai perduta all’interno del proprio mondo (ancora gli amici, la famiglia). La messa è finita è forse il film più corale della produzione di M. e segna una decisa cesura al suo interno: rispetto ai precedenti rivela infatti un ritmo classico di racconto e di messa in scena. Quest’opera segnò inoltre l’inizio della collaborazione con Nicola Piovani da parte del regista, sempre attento alle atmosfere musicali dei suoi film e ideatore in prima persona dei significativi inserti di musica leggera (si pensi in questo caso al finale sulle note della canzone Ritornerai di Bruno Lauzi).
Nel 1987 M. ha iniziato l’attività di produttore, caratterizzando così a tutto tondo la dimensione dell’autarchia: con la Sacher film, fondata insieme ad Angelo Barbagallo, ha finanziato alcune opere prime di giovani registi (Notte italiana, 1987, di Carlo Mazzacurati; Domani accadrà, 1988, di Daniele Luchetti) concretizzando il suo bisogno di agire, di ‘fare qualcosa’ per il cinema al di là dei vuoti dibattiti sulla crisi della produzione nazionale. Nel 1989 M. ha presagito l’imminente dissoluzione del sistema comunista in Europa nel suo film più impegnativo, Palombella rossa, aspra e spettacolare allegoria, attraverso una partita di pallanuoto che non si esaurisce mai, sulla crisi del linguaggio, del pensiero, della comunicazione, opera quasi godardiana, nono-stante un finale sbrigativo e irrisolto, che ha riempito la copertina dei “Cahiers du cinéma”.
Nel 1990, sulla spinta emotiva del passaggio cruciale del Partito comunista italiano a partito di sinistra democratica, ha quindi filmato le discussioni fra militanti nelle sedi di tutta Italia, dalla Sicilia a Roma, realizzando un documentario intitolato La cosa, acquistato dalla Terza rete della RAI e mandato in onda la sera del 6 marzo. Nel 1991 ha poi prodotto e interpretato Il portaborse, diretto da Luchetti, per il quale ha vinto il David di Donatello come migliore attore protagonista e in cui ha rivestito il ruolo di Cesare Botero, ministro socialista delle Partecipazioni statali, specchio di quello che sarebbe stato, di lì a poco, l’evento ‘Tangentopoli’, ossia il crollo, morale e giudiziario, del sistema politico italiano fondato sull’asse Democrazia cristiana-Partito socialista italiano. Quattro anni dopo sarebbe tornato a interpretare un film senza dirigerlo, La seconda volta, esordio nella regia di Mimmo Calopresti, prodotto dalla Sacher film, in cui conferisce intenso e doloroso spessore alla figura di un professore universitario costretto a confrontarsi, in un incontro complesso e difficile, con la giovane terrorista che tempo prima gli aveva sparato.
Nel 1993, in Caro diario, radicalizzando una prassi ormai riconosciuta, M. ha invece messo in scena direttamente sé stesso, lungo tre capitoli (In vespa per Roma, Isole, Medici), a vario titolo emblematici, fra cui spicca la cronaca, filmata in una perfetta sintesi fra Neorealismo e Nouvelle vague, del tumore al sistema linfatico realmente affrontato e sconfitto, dopo articolate vicissitudini in balia dei rappresentanti più seriosi e bizzarri della medicina contemporanea. Il personaggio Michele Apicella appare definitivamente ricongiunto al suo autore, che porta nel film il proprio vissuto e la propria idea di cinema, le piccole e grandi scoperte personali (il modo di guardare le strade e i quartieri di Roma o le isole Eolie), la propria nostalgia (quella in particolare per Pier Paolo Pasolini, per quello sguardo che consente ai dati personali e storico-sociali di diventare cinema, e del grande regista sceglie di filmare il monumento all’idroscalo di Fiumicino, con il pianoforte di Keith Jarrett a fare da colonna sonora). Il film ha segnato la definitiva consacrazione ad autore di respiro internazionale di M. che, dopo cinque anni, ha presentato al pubblico il suo film più cerebrale, nonostante la patina di leggerezza, e meno sentito, Aprile, efficace sul piano della satira politica contro la destra berlusconiana e il secessionismo della Lega Nord, ma pedante e irrisolto nella commistione di vita pubblica italiana e vita individuale, culminante nella nascita di Pietro, il primogenito dell’autore.
Dopo una lavorazione lunga e travagliata, su un set, la città di Ancona, per lui inusuale, M. è riuscito infine a presentare La stanza del figlio, sceneggiato con Linda Ferri e Heidrun Schleef, grande successo in Italia e all’estero, spiazzando tutti nel filmare il dolore di una famiglia di fronte alla morte, insensata e improvvisa, del figlio adolescente. Opera anche troppo meditata e cruciale nell’ambito della produzione del regista, La stanza del figlio concentra nella dimensione del privato tutte le sofferenze, le disillusioni, ma anche i crediti, le rabbie e le speranze raffigurati nei film precedenti. Nella sospensione del finale, è la sigla di tutto il cinema di M., tra militanza (divenuta esposizione in prima persona sulla scena politica e sociale con l’iniziativa dei ‘girotondi’, ossia le manifestazioni di protesta organizzate in piazza nel tentativo di rivitalizzare una sinistra sempre più evanescente) e utopia, isolamento autarchico e affetti profondi, pane quotidiano e sete di assoluto.
La Treccani si ferma qui. Ciaooo!
Grande! Ammiro molto Nanni Moretti.
Credo sia molto bello questo spazio dedicato al cinema italiano. Ci sarebbero tanti film del periodo d’oro (anni 50 e 60) che sono davvero dimenticati.
Volevo complimentarmi con Gordiano per l’ottimo articolo.
Un saluto a Massimo e a tutti.
Un film intensissimo, ironico, visionario.
Sono d’accordo nel dire che sarebbe riduttivo coglierne il taglio politico, perchè in Moretti è sempre l’uomo, i suoi dubbi, la sua precarietà ad essere al centro della scena.
E poi…l’idea del sogno, della rappresentazione onirica della realtà…Si è detto tante volte che Moretti ha una capacità profetica (vedi “Habemus papam”), ma in realtà è la sua capacità sognante a fargli cogliere i segnali premonitori, proprio come è avvenuto in letteratura per i grandi scrittori che hanno “visto” il futuro…
In sostanza chi sogna è più vicino alla realtà di chi non sogna.
Il sognatore – da tutti visto come un “lontano” dalla vita reale – è nella vita, pulsa con essa e i suoi misteri.
Perchè ha occhi per decifrarla.
E’ questa la grande lezione di Moretti.
Grazie infinite a Massi e a Gordiano Lupi per averci ricordato l’importanza dei sognatori.
Cara Simo,
grazie per i tuoi preziosi commenti.
Trovo sia bellissima questa tua frase: “In sostanza chi sogna è più vicino alla realtà di chi non sogna”.
Sono molto d’accordo. Chi sogna ha una capacità di visione superiore a chi non lo fa.
In tutte le discipline umane, sono stati i sognatori e i visionari a far fare passi avanti all’umanità.
Grazie anche ad Amelia, Franca e Margherita per i loro interventi.
E, naturalmente, ancora grazie a Gordiano per la bella recensione.
Questo post rimane “aperto” per eventuali nuovi interventi.
A tutti do appuntamento a una prossima puntata di “pellicole italiche da rivedere”.
Grazie a tutti per i commenti e la lettura!