Il secondo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è lo scrittore spagnolo Ildefonso Falcones, autore del celebre bestseller “La cattedrale del mare“, edito da Longanesi.
Sempre per Longanesi è uscito di recente il nuovo romanzo intitolato “La regina scalza” (anche questo ha scalato la classifica dei libri più venduti).
Ildefonso Falcones ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa sulla sua scrittura, sul suo rapporto con le storie che scrive e sui passi che hanno portato alla stesura de “La regina scalza”. Noi, ovviamente, lo ringraziamo… e insieme a lui ringraziamo Tommaso Gobbi, dell’ufficio stampa della Longanesi, per l’indispensabile supporto fornitoci soprattutto per la traduzione del testo.
P.s. Il precedente ospite di questa rubrica è stato Glenn Cooper
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Il coraggio delle donne e “La regina scalza”: riflessioni sulla scrittura e sulle storie
“Signor Falcones vuole spiegarci cosa intende quando dice che il coraggio delle donne è il modo migliore che conosce per raccontare la Storia?”
Guardo il giornalista che mi ha fatto la domanda.
“Lei crede che mi avrebbe chiesto la stessa cosa se avessi parlato di uomini anziché di donne? Mi avrebbe fatto la stessa domanda se avessi detto che è il coraggio degli uomini a cambiare la Storia?”
Nei giorni scorsi in Italia mi hanno posto molte volte questa domanda ma solo dopo un po’ ho capito che era proprio il fatto che mettessi le donne al centro che incuriosiva e faceva scattare l’interrogativo. Credo che gli stessi giornalisti non ne fossero consapevoli, quindi ho iniziato a rispondere rigirando la domanda. La Storia purtroppo è sempre stata fatta dagli uomini, e dagli uomini ancora oggi sono fatti i governi, è per questa ragione che sentirsi dire che il coraggio delle donne può cambiare la Storia è destabilizzante. E in questo concetto c’è quello – più ampio – dell’ingiustizia, concetto che torna sempre nei miei romanzi.
Ma mettiamo subito in chiaro una cosa: io scrivo romanzi d’intrattenimento e non voglio indottrinare nessuno. L’unico scopo che ho quando scrivo è quello di procurare al lettore lo stesso piacere che anche io cerco nei libri: sarebbe a dire l’evasione, il divertimento. Se non cercassi questo, non prenderei in mano un romanzo ma un saggio. Io scrivo letteratura popolare, punto a raggiungere il maggior numero di persone possibile per divertirle e non mi interessa in alcun modo l’entrare a far parte di una cerchia intellettuale ristretta. Se scrivo di ingiustizie è perché credo che sia il tema più affascinante e coinvolgente di cui si possa parlare e voler leggere. L’eterna lotta dell’oppresso contro l’oppressore, del giusto contro l’ingiusto. Chi non vorrebbe essere un combattente che si batte contro le ingiustizie? Come ve lo spiegate il successo di Zorro altrimenti? Il lettore deve identificarsi ed emozionarsi, ecco come la vedo io.
Questo non significa che prima di iniziare a scrivere non mi documenti a fondo. Tutt’altro. La Storia è al centro di ogni mio libro ed è il faro che mi guida. Invento dei personaggi, certo, ma ognuno di essi è profondamente legato al periodo storico che sto raccontando. È una sorta di patto che ho fatto con me stesso ma che ho sempre considerato come naturale. La Storia è un vincolo per me, un limite invalicabile. Non invento dei fatti, piuttosto cerco di ricreare delle situazioni che siano assolutamente verosimili e per farlo è chiaro che devo documentarmi, leggere e studiare moltissimo. Se non si è rigorosi, se non si riescono a fornire dettagli fisici, particolari dell’epoca o persino odori, il lettore avvertirà un senso di estraneità, un qualcosa che non torna.
Per scrivere “La regina scalza” ho impiegato tre anni e ho letto centinaia di testi. La maggior parte dei volumi di cui ho bisogno li acquisto da un sito internet spagnolo che si chiama Iberlibro e che dispone di un catalogo vastissimo, anche di testi antichi o introvabili in qualsiasi libreria. Poi ovviamente mi documento molto anche su internet e ogni tanto ricorro alla biblioteca e solo dopo aver studiato ed essermi completamente immerso nell’epoca che voglio raccontare, comincio a scrivere.
Non credo ci sia un unico metodo o regole ben precise per scrivere un buon romanzo, ma se dovessi proprio individuare una norma per me sempre valida, è il partire dalla fine. Quando inizio un nuovo romanzo devo avere bene in testa quale sarà la conclusione, dove voglio andare a parare. Tutto il resto della storia viene dopo, ma il finale è il punto verso il quale mi sto dirigendo e deve essere chiaro fin da subito. Nel corso della storia cambierò idea, alcune storie si intrecceranno tra loro in modi che magari stupiranno anche me, ma so che tutto deve portarmi in un punto ben preciso. E a proposito delle storie che si intrecciano mi viene in mente un’altra piccola confidenza. Mi hanno chiesto tante volte, vista la mole dei miei libri, come faccio a tenere a mente tutto dall’inizio alla fine e se per caso ho una grande lavagna in cui disegno degli schemi o una parete su cui attacco post-it, come si vede in qualche film. Ma perché – rispondo io – dovrei fare cose di questo tipo quando abbiamo uno strumento come excel? Con excel ho sempre tutto sotto controllo, qual è il retroterra dei vari personaggi, come questi sono legati tra loro, in che momento sono accaduti alcuni fatti e tutto ciò che è necessario. E così è stato anche per “La regina scalza”.
Dopo aver ambientato il primo libro, “La cattedrale del mare”, nel XIV secolo, e il secondo, “La mano di Fatima”, nella seconda metà del ‘500, con “La regina scalza” siamo nel XVIII secolo, in pieno illuminismo. Il racconto è ambientato in Spagna anche se sono partito da una mia grande curiosità per il periodo della schiavitù a Cuba. Si è trattato di un periodo durissimo per gli schiavi delle piantagioni: lo zucchero veniva ancora raffinato a mano e gli uomini e le donne che lavoravano nei campi erano sottoposti a ritmi e trattamenti disumani, soprattutto nelle settimane della raccolta. Quando sento dire che oggi la nostra libertà subisce delle privazioni mi viene quasi da ridere. Non abbiamo idea di cosa significhi davvero essere privati della libertà e della dignità…
Se avessi scelto di ambientare il romanzo a Cuba, però, mi sarei dovuto trasferire là per un lungo periodo per potermi documentare a fondo e non credo che mia moglie avrebbe preso bene la cosa…! Allora ho pensato a questa donna, Caridad, che è una schiava cubana che arriva in Spagna. Durante la traversata il suo padrone muore ma prima di spirare le “dona” la libertà. In Spagna conoscerà e si legherà moltissimo a Milagros, una gitana che ha la ribellione e il canto nel sangue. Il contesto storico è appunto quello della persecuzione dei gitani nella Spagna del XVIII secolo e un altro tema fondamentale del romanzo è proprio quello del canto e della musica. Lo sapevate che il flamenco nasce dall’incontro tra i canti degli schiavi e le musiche dei gitani? Gli schiavi cantavano per sopportare il dolore e la fatica. Erano canti dolorosi, con un ritmo triste, nostalgico e cupo, il cui ritmo era tenuto soprattutto attraverso strumenti a percussione. Il canto per gli schiavi era un modo per comunicare con gli dèi e per resistere e tenere occupata la mente. I gitani invece erano completamente atei e accompagnavano i loro canti con la chitarra. Dalla fusione di queste melodie nacque il flamenco, una musica che – dice la tradizione – deve essere cantata finché non si sente il sangue in bocca.
Cosa succederà a Caridad e Milagros e dove e perché si ritroveranno a cantare e ballare lascio che lo scopriate voi stessi leggendo il libro, amici di Letteratitudine. Con l’augurio, da parte mia, che possiate divertirvi il più possibile, pagina dopo pagina dopo pagina.
(Riproduzione riservata)
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