ALLACCIATE LE CINTURE, di Ferzan Ozpetek
con Kasia Smutniak, Francesco Arca, Filippo Scicchitano, Carolina Crescentini, Francesco Scianna, Carla Signoris, Elena Sofia Ricci, Paola Minaccioni
Recensione di Ornella Sgroi
“A mano a mano ti accorgi che il vento/ ti soffia sul viso e ti ruba un sorriso/ la bella stagione che sta per finire/ ti soffia sul cuore e ti ruba l’amore”. Inizia così la splendida canzone “A mano a mano” di Rino Gaetano. E inizia così anche il nuovo film di Ferzan Ozpetek, “Allacciate le cinture”, dopo un acquazzone estivo pugliese che fa scontrare sotto la pensilina di una fermata degli autobus i due protagonisti di un amore appassionato. E turbolento. Anticipato dal titolo di questa storia d’amore che “a mano a mano si scioglie nel pianto/ quel dolce ricordo sbiadito dal tempo/ di quando vivevi con me in una stanza/ non c’erano soldi ma tanta speranza”.
Non poteva scegliere colonna sonora migliore, Ferzan Ozpetek, per rappresentare in musica i vuoti d’aria nel viaggio di Elena (Kasia Smutniak) e Antonio (Francesco Arca). Dentro una storia semplice, quotidiana, che potrebbe appartenere a chiunque. Fatta di opposti che si attraggono, di coppie che si scoppiano e di altre che si formano, di amici fidati che rendono più preziosa la vita (questo il ruolo del sempre più bravo Filippo Scicchitano), di famiglie allargate e reinventate (come quella di Carla Signoris ed Elena Sofia Ricci, che insieme fanno scintille). Una storia fatta di sorrisi e tradimenti, sogni e progetti, paure, ansie e malattia.
E tutto questo Ferzan Ozpetek lo racconta, in un salto temporale di tredici anni, con il suo sguardo inconfondibile, attento alle sfumature dei sentimenti, alle sterzate delle relazioni e alla leggerezza preziosa che la vita riesce a inventarsi anche nei momenti di maggiore sofferenza. Una leggerezza che il regista affida qui alla comicità dolente di una Paola Minaccioni malata di cancro e di solitudine.
Tredici anni. “E a mano a mano mi perdi e ti perdo/e quello che è stato mi sembra più assurdo/ di quando la notte eri sempre più vera/ e non come adesso nei sabato sera./ Ma dammi la mano e torna vicino/ può nascere un fiore nel nostro giardino/che neanche l’inverno potrà mai gelare/può crescere un fiore da questo mio amore per te”.
Anche nel film di Ozpetek – che all’inizio ha qualche difficoltà a decollare come se si portasse dietro un senso di indecisione, a volte di banalità nei dialoghi forse volutamente scontati per rimarcare la non straordinarietà della storia che sta per essere raccontata – bisogna aspettare l’inverno della relazione tra Elena e Antonio per comprenderne tutta la forza. Mentre, “a mano a mano” come nella canzone di Rino Gaetano, il film comincia a toccarti il cuore con dei momenti di grande emozione, soprattutto quando si sofferma a mostrare i diversi modi di amare dei suoi personaggi. Tra cui Antonio, così carnale e fisico da non conoscere altro linguaggio se non il sesso per parlare d’amore ad Elena in una delle scene più potenti del film. E superare con lei ogni distanza, persino quella segnata dalla malattia che la sta divorando, a cui lui non sa come reagire.
Succede così che, nonostante le possibili riserve iniziali, “Allacciate le cinture” comincia nel suo corso a smuovere degli stati d’animo che restano vivi nello spettatore anche dopo la fine del film. Complice l’idea asimmetrica della temporalità adottata dal regista che, come nel bellissimo trailer montato in rewind, riavvolge il nastro della sua canzone fatta di immagini per riportarci a quando il sole brillava sulla spiaggia così come le risate sui volti dei suoi personaggi.
“E a mano a mano vedrai che nel tempo/ lì sopra il suo viso lo stesso sorriso/ che il vento crudele ti aveva rubato/ che torna fedele/ l’amore è tornato”. Nonostante le turbolenze e a prescindere da come sarà l’atterraggio alla fine del viaggio.
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Leggi l’introduzione di Massimo Maugeri
Il trailer del film
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