Dicembre 22, 2024

86 thoughts on “ADDIO, SERGENTE DELLA NEVE

  1. Magari, per chi non avesse avuto ancora modo di conoscere questo autore potrebbe essere giunto il momento di leggere “Il sergente della neve”.
    È disponibile in tutte le biblioteche.
    E in libreria, anche in edizione economica (Einaudi tascabili, ET)

  2. Chiedo a Miriam Ravasio, a Enrico Gregori e a Gaetano Failla di darmi una mano a moderare questo post (se ne avete voglia, s’intende).
    Vi ringrazio anticipatamente.

  3. Massimo, che tempismo, avevo appena postato di là per ricordare il vecchio post.
    Un altro vecchio che va via! Ha lasciato tanti libri, tante emozioni e quella capacità tutta sua, omerica, di parlare dell’uomo, dei boschi e degli animali. E’ stato un reduce e ha raccontato della guerra, come Revelli e Primo Levi, ed erano amici, pur diversissimi. Qualcuno qui aveva anche postato una poesia di Primo Levi dedicata a Rigoni Stern. Non so se su quel post o da qualche altra parte. Cercherò.
    Rigoni Stern a differenza degli altri aveva chiuso con il passato, forse , considerando la guerra con una antichità tutta classica, come un momento di comunione tragica, che investe l’uomo riconsegnandolo, alla fine, alla vita, allo spirito umano della natura.
    Riposa in pace vecchio Stern, noi stiamo ancora tribulando.

  4. Avevo letto il Sergente nella neve più di 30 anni fa. Recentemente avevo visto lo spettacolo di Paolini in TV. Coinvolgente, toccante, come Paolini sa fare. C’era anche Mario Rigoni stern fra il pubblico, ed alla fine si è preso la sua meritata dose di applausi. Intensi, prolungati.
    Era anziano, era visibilmente commosso, e un pò impacciato, quasi non fosse abituato al pubblico ed ai riconoscimenti della gente. Come si addice ad un “vecchio saggio”, che ha comunicato ciò che sentiva di dover dire per la pura esigenza di sentirsi uomo tra gli uomini.
    Voglio ricordarlo così.

  5. Ciao massimo, vorrei salutare Mario Rigoni Stern , grande scrittore che purtroppo ho cominciato conoscere tardi, con uno stralcio ( la parte conclusiva) del suo ultimo libro, Stagioni:
    …Così una dolce malinconia ti prende, la melanconia dell’autunno, e sotto un larice, all’asciutto, cerchi anche tu un luogo dove accucciarti per meditare sulle stagioni della tua vita e sull’esistenza che corre via con i ricordi che diventano preghiera di ringraziamento per la vita che hai avuto e per i doni che la natura ti elargisce.
    Una mattina di dicembre vedrai il cielo uniformemente grigio, le montagne dentro le nuvole, i boschi più scuri e, da una catasta di legna, schizzar via lo scricciolo. Il suo campanellino d’argento ti dirà prossima la prima neve.

    Non siamo in autunno, ma oggi in questa giornata di giugno con il cielo insolitamente grigio, un po’ di malinconia ci ha preso.
    Buon riposo Mario – scusa la confidenza -.

    Stefano

  6. Addio a Mario Rigoni Stern. Che di sicuro adesso ha ritrovato i compagni perduti nella neve. Che sta abbracciando Levi. Che ha compreso il senso del combattere, del morire, del raccontarne.
    Mi domando quali saggi sapranno partorire questa generazione e le seguenti. Quali sergenti. Quali scrittori di cose e non di parole.

  7. Grazie anche a te, Carlo.
    Scusami, non avevo visto il tuo ottimo commento.
    Credo sia bello, per “un vecchio saggio”, godersi i meritati applausi prima che sia troppo tardi.

  8. Oh, ci sei anche tu Maria Lucia.
    Grazie anche a te.
    Immagino già l’incontro tra Primo Levi e Rigoni Stern. Chissà cosa si diranno.:)
    Ti domandi “quali saggi sapranno partorire questa generazione e le seguenti. Quali sergenti. Quali scrittori di cose e non di parole.”
    Mah! Io sono ottimista e dico… vedremo.

  9. La sua scrittura aveva il tono serio di chi, anche parlando a bassa voce, sa farsi ascoltare. Le sue pagine si leggono piano, poco per volta e senza affanno; come in montagna. Non intervengo sul suo libro più conosciuto, lascio spazio agli altri. Invece mi soffermo un pochino sui suoi racconti, perché Rigoni Stern ha raccontato come un nonno dei boschi; un vecchio albero che ospita, al piacere della sua ombra uomini e animali. E i suoi sono racconti di vita, di tribolazione e di lavoro. Anche quando ricorda fatti ed episodi della resistenza, lo fa nel contesto naturale delle ore. Così, i ragazzi, giovani partigiani, nascosti ad aspettare i tedeschi, parlano di cani e di urogalli. La guerra, l’azione che devono compiere è descritta come una delle tante “cose che capitano agli uomini”, perché la vita è oltre la vita stessa, è tutto questo immenso insieme di cui l’uomo è solo un briciolino. Il senso del tempo, che noi abbiamo perso, possiamo ritrovarlo fra le sue parole e stupirci ancora.

  10. @ Maria Lucia:
    guarda che in questo presente ci siamo anche noi! Che dedichiamo alla vita anche il tempo della riflessione e delle parole: saremo noi i vecchi saggi! Ogni epoca ha i suoi, io un po’ già mi ci vedo, e sto bene.
    Baci

  11. Cara Miriam, grazie della tua saggezza! Quando muore un grande vecchio mi vengono questi pensieri malinconici… siamo sulle spalle di giganti ma riusciamo veramente a vedere più in là?

  12. “Il senso del tempo, che noi abbiamo perso, possiamo ritrovarlo fra le sue parole e stupirci ancora”.
    Mi piace questa frase, Miriam.
    E il dubbio di Maria Lucia è sensato: “siamo sulle spalle di giganti ma riusciamo veramente a vedere più in là?”
    Ringrazio entrambe.
    Buonanotte.

  13. Mi secca ma mi devo autocitare…a ragion veduta. L’unico scorcio autobiografco nelle cose che ho scritto è un accenno della ritirata dalla Russia in “Un tè prima di morire”. Alla vicenda che mi riguarda, però, si è aggiunta la grande ammirazione per il libro di Rigoni Stern che lessi a 13 anni e che ora, a 13 anni, sta leggendo mio figlio. Non ho caldeggiato, ma ho solo saputo che lui aspettava che rientrasse nella biblioteca scolastica per poterlo avere. Per superare il problema l’ho acquistato. Sono convinto che Rigoni Stern abbia scritto un capolavoro. Ha parlato di guerra senza manco una fucilata. Lì non ci sono soldati, ci sono uomini-ragazzi mandati al macello. Loro, probabilmente, ignoravano cosa li attendeva sul fronte russo. Una delle pagine più tragiche e vergognose della seconda guerra mondiale.

  14. Caro Massimo, sì, ti aiuto volentieri, per quanto mi è possibile, insieme a Miriam e a Enrico, a moderare questo post.
    Innanzi tutto mando un pensiero di cuore, dolcissimo, a Mario Rigoni Stern. Sono davvero commosso.
    Ho conosciuto Mario Rigoni Stern la prima volta telefonandogli da Padova, nell’autunno del 1993. Io insegno inglese ai bambini della scuola elementare, adesso abito in Toscana. Quell’anno con miei due colleghi avevamo deciso di incontrare lo scrittore ad Asiago, con i bambini più grandi: due classi quinte. Lui disse subito che era d’accordo e mandò ai bambini una sua foto (aveva un cappello) con accanto il suo cane. Dietro c’era scritto: “Quello col cappello sono io”. Tra l’autunno e l’inverno i bambini lessero la sua raccolta di racconti “Il libro degli animali”. Durante l’incontro nella primavera del 1994 ad Asiago lui tra l’altro disse (più o meno, ricordo a memoria): “Gli insegnanti non saranno d’accordo, ma per me la scuola era molto importante solo nelle ore in aula. Poi, nel pomeriggio, andavo nei boschi e scoprivo cose meravigliose. I bambini, dopo le ore scolastiche, dovrebbero imparare ad arrampicarsi su un albero…”
    Per molti anni dopo di allora, fino all’anno scorso, gli mandavo per il 21 marzo gli auguri di buona primavera, a cui lui sempre rispondeva, e ad una lettera dove, tra l’altro, lo ringraziavo per il suo libro “L’ultima partita a carte”, così mi rispondeva, in alcune righe:
    “Ritengo l’insegnante elementare più importante dei docenti universitari: la mia formazione “letteraria” è dovuta a una maestra e a un maestro, bravissimi, di molti anni fa.”
    Nella rivista Orizzonti del luglio del 2006 ho pubblicato una sua intervista (aveva risposto alle mie domande con una lettera scritta a mano con un elegante inchiostro nero). Avevo intitolato l’intervista “La morte accompagna la vita”. Riporto solo tre domande e le risposte di Rigoni Stern:
    “DOMANDA: In molti suoi libri la sua scrittura attinge a ricordi d’un passato remoto. Teme quel processo di selezione che spesso la memoria compie?
    RISPOSTA: Non sono uno storico ma ho tanti ricordi come se avessi trecento anni. Leggo e amo la storia e anche i paesaggi e la gente nel trascorrere del tempo. Cerco di capire e trascrivere secondo ‘detta dentro’. (E io a lui: ‘I’ mi son un che, quando/ Amor mi spire, noto, e a quel modo/ Ch’e’ ditta dentro vo significando’ – Dante, Purgatorio, N.d.R.)
    DOMANDA: Nel suo recente libro ‘L’ultima partita a carte’ mi hanno molto colpito, nelle pagine conclusive, le seguenti frasi:
    ‘No, non avevo rimorsi per come mi ero comportato nelle battaglie; quando mi avevano ordinato di uccidere e non era necessario, avevo disubbidito. Ora, verso la fine della mia vita, posso dire che sono più quelli che ho salvato di quelli che ho ucciso.’
    Più in là parla anche della lettura del Vangelo fatta nel Lager dov’era prigioniero e dell’illuminazione ricevuta dal Discorso della Montagna.
    Qual è la sua riflessione sulla morte e la sua personale religione?
    RISPOSTA: La morte accompagna la vita, di più non so dire.
    DOMANDA: Se dovesse paragonare la sua scrittura all’opera d’un musicista e a quella d’un pittore, quali nomi farebbe?
    RISPOSTA: Il Vivaldi delle ‘Quattro stagioni’, il Marc Chagall delle pitture della Russia Bianca… ma questi sono genii, io sono uno scribacchino al loro confronto!”
    @ Carlo S.
    Nella stessa intervista chiedevo anche:
    DOMANDA: Quali sono state le sue impressioni relative alla recente versione teatrale del romanzo Il sergente nella neve? Mi può parlare di quest’opera teatrale?
    RISPOSTA: L’ho vista con partecipazione e mi hanno colpito l’attenzione e l’impressione che hanno avuto i molti giovani presenti (studenti milanesi). Paolini è davvero molto bravo nello scuotere le coscienze. Dal mio punto di vista l’avrei preferito più sommesso. Ma il teatro è teatro!”
    Mi fa piacere infine segnalare una mia foto con Mario Rigoni Stern, di quell’incontro scolastico della primavera del 1994, pubblicata a commento dell’intervista, qui visibile
    http://www.rivistaorizzonti.net/arretrati/28.htm
    Un abbraccio a tutti,
    Gaetano

  15. Correzione, nella penultima risposta di Mario Rigoni Stern: “il Marc Chagall delle pitture dei villaggi della Russia Bianca…”

  16. La risposta di Rigoni Stern a Gaetano sulla scuola e’ la cosa piu’ bella:
    “Gli insegnanti non saranno d’accordo, ma per me la scuola era molto importante solo nelle ore in aula. Poi, nel pomeriggio, andavo nei boschi e scoprivo cose meravigliose. I bambini, dopo le ore scolastiche, dovrebbero imparare ad arrampicarsi su un albero…”
    Ne sono commosso. E pedagogicamente la condivido con tutto il cuore. Mario Rigoni Stern deve essere stato un albero su gambe come me. Dunque deve esserlo tuttora, un albero. Solo senza gambe. Onore alla quercia millenaria che sara’ diventato.

  17. Io l’ho conosciuto qualche anno fa al Salone di Torino, lo avevano invitato a parlare in pubblico. Sembrava un orso rubato alle sue montagne. La sala era stracolma. Esordì dicendo: ” Sono venuto a piedi dall’albergo, quanto traffico, quanto rumore. Come vivete male in città!”. Il pubblico si alzò in piedi e cominciò ad applaudire. Un applauso lungo, intenso, sentito.

  18. Stern è legato a Siracusa dalla figura di Elio Vittorini…Che lo pubblicò per Einaudi, ma che fu anche uno dei suoi ammiratori più perplessi, sollevando il dubbio che le sue storie, così annodate all’esperienza vissuta, non fossero per questo frutto di un’autentica vocazione.
    Ecco…credo che non abbia mai senso chiedersi questo in letteratura. Vocazione e vita. Come fossero disgiunte. Come se la vita non s’innestasse sulla vocazione e la vocazione non s’imbevesse di vita.
    Il ricordo che oggi custodisco per Stern s’inaridirebbe senza la sua vita. E i libri che ho letto non sarebbero niente senza una potente vocazione che ha consentito alla sua storia di venire allo scoperto.
    Non sono solo i libri a chiarire la vita, è anche la vita a chiarire i libri.
    Poi ci sono uomini (come Stern) che non possono fare a meno né dell’una né dell’altra. Che intrecciano parole e gesti. Fatti e narrazione.
    Credo che siano gli scrittori migliori, quelli che non dimenticano di vivere.

  19. MARIO RIGONI STERN: “LA NOSTRA MANIERA DI VIVERE E’ SBAGLIATA. TUTTO E’ COSI’ RAPIDO E VELOCE, NON C’E’ PIU’ TEMPO PER MEDITARE”

    I suoi romanzi e racconti lasciano un segno di luce e di speranza in tempi di così grande incertezza e buio. In un contesto come quello attuale, è necessario individuare figure autorevoli e credibili.
    Lo scrittore Mario Rigoni Stern è morto ad Asiago, all’età di 86 anni. Malato da tempo, Rigoni Stern e’ mancato ieri sera. La notizia della sua morte è stata tenuta riservata dalla famiglia, per espressa volontà dello scrittore. I funerali sono stati celebrati oggi pomeriggio, in forma strettamente privata, nella chiesetta del cimitero di Asiago.
    Tra le sue opere piu’ famose ”Il sergente nella neve”, ”Ritorno sul Don” e ” Storia di Tonle”. Vincitore di numerosi premi letterari tra i quali Campiello, Bagutta e Grinzane Cavour
    “Era uno scrittore grandissimo, aveva la grandezza che hanno i solitari”. E’ il primo commento dello scrittore Ferdinando Camon alla notizia della morte di Mario Rigoni Stern. “Quando sono stato presidente del Pen Club italiano – ricorda – è stato il primo italiano che ho candidato al Nobel: era uno scrittore classico, dalla visione lucida e dalla scrittura semplice ma potente; aveva carisma anche come uomo”. Tante volte, sottolinea, “io, Mario Ismenghi, Giampiero Brunetta, Sergio Perosa e il prof. Lenci andavamo a passeggiare per i monti e tutti lo sceglievamo automaticamente come guida”. Camon ne ricorda la figura: “aveva un carattere buono e mite – rileva – se ne fregava dei convegni e delle società letterarie”.
    “Per noi è una perdita gravissima. Rigoni Stern era l’icona dei valori della gente di montagna”. Così il sindaco di Asiago, Andrea Gios, commenta la scomparsa del celebre scrittore altopianese. “Perdiamo – sottolinea – un pezzo della nostra storia, forse il più autorevole, anche se è riduttivo naturalmente considerare Rigoni Stern solo un asiaghese. La sua fama era di levatura mondiale”. “Rappresentava – ribadisce Gios – i valori della gente della montagna, quelli in cui tutti noi ci identifichiamo. Per fortuna ci ha lasciato un tesoro, quello delle sue opere delle quali possiamo continuare a godere”.(Da Ansa) M.Allo

    Ricordiamo Mario Rigoni Stern una tra le voci più limpide e profonde della letteratura italiana
    MUORE NELLA SUA ASIAGO SERGENTE NELLA NEVE
    Nato nel 1921 ad Asiago, Mario Rigoni Stern è noto al grande pubblico soprattutto come autore de “Il sergente nella neve”, libro autobiografico in cui raccontava le drammatiche vicende vissute durante la campagna di Russia, di cui fu fra i pochi sopravvissuti. Alpino della divisione Tridentina, medaglia d’argento al valor militare, fu fatto prigioniero dai tedeschi dopo l’8 settembre, e trasferito in Prussia orientale. Rientrò a casa a piedi dopo due anni di lager, e da allora rimase sempre nella sua Asiago. Con la moglie Anna, sposata nel 1946, ebbe tre figli e negli ultimi decenni – dopo aver lavorato fino al 1970 al catasto di Asiago -, si dedicò interamente all’attività di scrittore, ma anche ad un costante impegno civile. Era stato Elio Vittorini, nel 1953, a fargli pubblicare presso I Gettoni di Einaud, il suo primo romanzo “Il sergente nella neve”, che presto diventò un classico della letteratura italiana. Nel 1962 uscì “Il bosco degli urogalli”, cui seguirono “La Storia di Tönle”(1978), “L’anno della vittoria”(1985) e “Le stagioni di Giacomo (1995)”. Giornalista de “La Stampa”, per la quale scrisse anche brevi racconti, si dedicò anche agli studi storici, tra cui il recente volume “1915/18: La guerra sugli Altipiani”. Una raccolta di firme presentata dal Gruppo Amici della Montagna del Parlamento, lo aveva candidato a senatore a vita.
    Il celebre autore del romanzo Il sergente nella neve ritiene che il mondo che stiamo vivendo è fatto per consumare e che un consumo smodato consuma anche la natura. Gli “ecologisti da salotto” – dice – chiamano intanto tutti gli alberi pini, non sanno più distinguere
    Nel racconto “Vecchia America”, tratto da Il bosco degli urogalli, lei ha tratteggiato un ritratto intenso e lucido della famiglia patriarcale. Ecco, oggi che la società è mutata, esiste ancora una traccia di quel mondo? Una debole traccia, quanto meno un piccolo segno, da cui ripartire per delineare un futuro diverso e ricostruire una realtà più ricca di speranze?
    Dovrebbe essere rimasto un qualche piccolo segno, direi. Ci metto il condizionale, perché è tutto così rapido e veloce che non resta nemmeno il tempo per meditare. Vede, mi capita di leggere oggi frasi del tipo “sono un ragazzo di trenta cinque anni…”. Beh, a una simile età io dico che non si è più ragazzi, ma uomini. Ricordo molto bene un mio vicino – era un contadino – il cui figliolo di tredici anni si era fatto male tagliando la legna; io mi avvicinai dicendo: “sono ragazzi, cosa vuoi fare?”. Il piccolo si era ferito a un dito. “Ma che ragazzi!” riprese lui, “a tredici anni si è uomini”. Vede, gli uomini di oggi si definiscono ragazzi a trenta cinque anni! Mi viene di confrontarli con persone che ho conosciuto – bambini non ancora di dieci anni – che seguivano i nostri emigranti in Germania. Con loro andavano a lavorare nelle miniere. Venivano utilizzati per portare l’acqua e i viveri nell’avanzamento, laddove la miniera era più bassa. Lavoravano che nemmeno avevano finito le elementari. Adesso a trenta cinque anni si dicono ancora ragazzi! Insomma, quando si diventa uomini adesso?

    Nella società di oggi tutto è stravolto. Nei ritmi, nel linguaggio, perfino nelle relazioni interpersonali. Ecco, le chiedo se può esserci ancora spazio per dei sentimenti sinceri? Soprattutto ora, con la Tv che imperversa e che tutto conforma ai propri canoni…
    Vede, per fortuna la televisione non rappresenta il nostro mondo…

    Però lo condiziona…
    Sì, certo, ma condiziona solo chi la vuol vedere. Io dico sempre: “spegnete la televisione, prendete un libro”. Se ci sono dieci milioni che guardano la televisione, ce ne sono anche molti altri che non la guardano o che addirittura non hanno la televisione in casa e neppure la vogliono avere. Oramai la gente è nauseata.

    Ecco, in un tempo in cui l’identità stessa della famiglia, con i suoi valori di riferimento, è venuta meno, quali soluzioni si possono intravedere? Lei, dall’alto della sua esperienza, cosa consiglia di fare? Che atteggiamenti occorre assumere?
    Io mi guardo intorno e mi limito a fare delle osservazioni, cercando dunque di trarre delle conseguenze da ciò che vedo. Non intendo essere messaggero di nessuno, né profeta; non ho messaggi da lanciare, assolutamente. Dico solo che la nostra maniera di vivere è sbagliata, che il mondo che stiamo vivendo è fatto per consumare e che il consumo consuma anche la natura. Consumando la natura, noi consumiamo l’uomo: consumiamo l’umanità. Vede, una volta la gente – mi riferisco alla gente di montagna, perché io sono un montanaro e vivo in montagna – era diversa; io certe realtà cittadine non le posso conoscere, ma dico questo: cinquant’anni fa si sentiva la gente cantare. Cantavano loro, non avevano le macchine per farli cantare o per ascoltare. Adesso la gente non canta più. La gente comune – il falegname, il contadino, l’operaio, quello che va in bicicletta, il panettiere – ha smesso di cantare. L’ha osservato questo?

    Certo, è verissimo…
    Adesso cantano le immagini, cantano gli apparecchi radio, la televisione, i dischi, ma la gente non canta…

    Ha ragione, il canto fa emergere peraltro anche il lato buono della natura umana. E’ un segno di apertura e di condivisione della realtà. La gente che non canta più ha perso di conseguenza il senso delle cose, la misura, l’ordine dei valori. Torniamo però indietro nel tempo, ora. Lei nel 1938 si è arruolato volontario nella scuola militare di alpinismo di Aosta…
    Sì…

    …e durante la seconda guerra mondiale ha partecipato alla terribile campagna di Russia, le cui drammatiche vicende sono state ripercorse in modo esemplare nel suo celebre libro Il sergente nella neve. Ecco, la guerra: è una dimensione che appartiene purtroppo all’uomo da sempre, per cui dobbiamo giocoforza conviverci; ma perché, mi chiedo, oggi, nonostante le drammatiche e dolorose testimonianze di chi la guerra l’ha vissuta sulla propria pelle, come lei, non se ne comprende più l’insensatezza. Perché non si va mai placando la spirale dell’odio, nonostante siano stati compiuti tanti passi significativi e determinanti sul fronte della civiltà e del progresso?
    Vede, è una storia che parte da lontano e arriverà molto lontano. Hanno incominciato dai tempi della Bibbia Caino e Abele, poi le guerre erano tra tribù e tribù, poi tra città e città, poi tra popolo e popolo, adesso tra religioni e continenti; ad un certo momento non ci saranno più confini e si fermeranno. Guardi la nostra Europa. L’Italia non ha mai avuto un periodo così lungo di pace. Eppure non si comprende l’insensatezza dei conflitti. Le televisioni hanno fatto vedere l’esplosione della guerra e l’invio delle truppe pacifiste, così dicono. Io invece dico che pian piano la gente si renderà conto che è possibile vivere meglio senza conflitti. La guerra distrugge, non dimentichiamolo. Non possiamo portare le nostre regole nel convento altrui. Questo è un vecchio proverbio russo che io ho imparato quando ero lì. Cosa facciamo, andiamo a imporre la democrazia dove non la vogliono e non l’hanno mai avuta? Non possiamo imporre la nostra maniera di vivere a gente che non la vuole. Lasciamo a ognuno la propria maniera. Il fatto di dire “portiamo la pace” va rivisto. Come la portiamo, con i carri armati? Un’altra cosa vorrei dirle: i media, specialmente le televisioni, divulgano le notizie in maniera sproporzionata, amplificandole e rendendole paradossali. Arriva una notizia dall’Iraq: cade un elicottero, muore un pilota americano, la salma viene riportata in patria, seguono i funerali di Stato e il soldato viene salutato come un eroe. In realtà la morte è stata causata da un incidente, a seguito della caduta dell’elicottero. In Russia, invece, nel 1943 sono scomparsi ottanta mila soldati italiani, ma nessun giornale ne aveva dato notizia. Noi, tra i pochi sopravvissuti, avevamo il torto di esser vivi: eravamo testimoni scomodi. Vede come sono diverse le misure, anche tra guerra e guerra?

    Certo, è anche una diversità epocale, naturalmente…
    E’ una diversità epocale anche nella maniera di presentare le cose, innanzitutto…

    La sua drammatica esperienza personale ha però coinciso con dei segnali di grande fratellanza, manifestati da gente umile che si è però rivelata ricca di un grande senso di pietà e di condivisione della sofferenza. Durante la terribile ritirata degli alpini in Russia, lei, assieme con i suoi compagni, è stato accolto nelle isbe del popolo nemico, durante la notte. Ha avuto un posto dove dormire, ben riparato dal freddo, ma anche del cibo per fronteggiare la fame. E’ per questo, dunque, che va ancora avanti il mondo, nonostante il perpetuarsi dell’odio in ogni area del pianeta?
    Sì, e questo succede oggi ai popoli migranti; succede agli emigranti del terzo e quarto mondo che vengono in Italia, quando trovano qualcuno che dà loro una mano.

    Lei ha pubblicato Il sergente nella neve nel 1953. Ecco, che ricordo ha di quegli anni? Chi ha frequentato tra gli scrittori di allora?
    Frequentavo amici e persone di notevole spessore. Subito dopo aver scritto Il sergente nella neve, a parte Elio Vittorini che ha pubblicato il libro nei “gettoni” Einaudi, ho conosciuto Italo Calvino e molti altri scrittori e poeti. Anche se vivevo appartato sulla montagna, ogni tanto scendevo in pianura. A Padova c’era l’Università, dove incontravo qualche poeta come Diego Valeri; oppure andavo a Milano, dove mi incontravo con gli amici scrittori alla libreria Einaudi, in via Manzoni.

    Come trova gli scrittori di oggi? Sono cambiati anche loro…
    Hanno altri problemi e altri modi di raccontare. Ci sono i tradizionalisti, e penso a Sciascia per esempio, mio coetaneo. Di giovani ce ne sono di bravi.

    Nelle sue opere, oltre ai rilievi della memoria, è costante il riferimento alle montagne. Come altrettanto forte è l’amore per la terra. Questa dimensione dell’anima in che modo la vive oggi? Ha forse la sensazione di essere uno degli ultimi cantori della natura? Lei dice che non si canta più oggi…
    Vede, oggi ci sono coloro che non sanno più distinguere un abete da un pino. Sono gli “ecologisti da salotto” che chiamano tutti gli alberi pini. Poi ci sono gli “esasperati”, quelli che non si rendono conto che l’uomo vive sulla terra da molte migliaia di anni. Prima eravamo pochi e ora siamo in tanti, certo; ma nella terra c’è tanto posto, senza che si vada a cercare nulla altrove. La maniera di vivere della nostra epoca mi sorprende. Mi domando se serva a qualcosa fare una coltivazione intensiva e produrre molto fino a buttare poi via…

    Tempo fa aveva lanciato l’allarme intorno all’abbandono delle montagne, criticando il fatto che vi si dedichino solo poche risorse. Effettivamente, la non coltivazione delle montagne comporta dei disastri irreparabili. Ecco, perché questa disattenzione, nonostante ci sia un gran discorrere intorno alla tutela dell’ambiente?
    Noi purtroppo dimentichiamo un vecchio detto: è la montagna a regolare la natura. Siccome la montagna è un lavoro lento e lungo, non appare. Il bosco per crescere ha bisogno di tempo, un albero per crescere ha bisogno di almeno cent’anni, la foresta ha bisogno di secoli, molti secoli. Sono cose che si vedono poco. Il reddito dei soldi impiegati in montagna è basso ma costante. Non è soltanto la foresta. E’ che la foresta produce ossigeno e trattiene l’acqua; la foresta arricchisce pure il paesaggio, ma ci sono molti altri motivi a favore, tra cui quello di purificare l’aria. Non ci si rende conto che ad abbandonare la montagna si abbandonano con essa le sorti dell’ambiente.

    Parliamo del suo paese, di Asiago. Per lei resta un luogo insostituibile, visto che lo ha eletto a dimora stabile…
    No, non l’ho eletto io, è lui che ha scelto me.

    Ci è nato e vissuto da sempre, a parte la triste parentesi della guerra. Vi ha lavorato nell’ufficio del Catasto, si è sposato e ha avuto tre figli. Anche nei suoi libri compare di continuo l’altopiano di Asiago. Ecco, cos’ha di così speciale il suo paese, la sua terra?
    Vede, la mia famiglia vive qui da mille anni. Non troverei altro luogo per vivere.

    Per concludere, che libri consiglierebbe ai lettori di “Teatro Naturale”?
    Ci sono tanti autori. Consiglierei un libro vecchio ma sempre nuovo: Le Georgiche di Virgilio.

    E tra i contemporanei?
    Penso a Francesco Biamonti, che ha scritto libri bellissimi.

    Perché si sta perdendo tanto il concetto di ruralità oggi? E’ qualcosa che va superato?
    No, non va superato. Rimarrà, rimarrà, non si preoccupi. La gente ha necessità di aria buona e di verde, non esiste solo la televisione. Lentamente, vedrà che si riscopriranno i valori della ruralità. Intanto occorre darci una mano.

    L’UOMO DELL’ALTIPIANO
    Nato ad Asiago il primo novembre 1921, Mario Rigoni Stern ci vive dunque da sempre mantenendo un legame fortissimo con il territorio, a parte la drammatica parentesi del secondo conflitto mondiale.

    Asiago, per quanti lo ignorassero, è un piccolo paese delle Prealpi venete, in provincia di Vicenza; assolutamente da visitare per la fascinosa bellezza dei luoghi, davvero incantevoli, non solo per il paesaggio.
    Rigoni Stern da questa terra tanto amata si è allontanato suo malgrado per le tristi vicissitudini vissute da alpino sul fronte, culminate poi con l’esperienza di oltre due anni nei lager di Lituania, Slesia e Stiria, prigioniero dei tedeschi. Liberato nel maggio del 1945, torna a casa a piedi e dopo un periodo di spaesamento viene assunto presso l’Ufficio imposte del catasto di Asiago. Si sposa nel 1946 e diventa successivamente padre di tre figli. Ora vive nella casa di sempre, che lui stesso ha costruito con le proprie mani.

    Il suo esordio da narratore risale al 1953, con Il sergente della neve. Ricordi della ritirata di Russia, apparso tra i “gettoni” einaudiani e divenuto oramai un classico della letteratura italiana. Il libro, sostenuto da Elio Vittorini, era una rielaborazione degli appunti presi da Rigoni Stern durante l’esperienza da militare. Si tratta di un’opera lucida e implacabile, scritta con stile semplice, senza enfasi, capace di presentare i nudi fatti con grande efficacia e onestà.
    In questi giorni è peraltro in scena allo Strehler di Milano una rappresentazione teatrale del suo romanzo da parte dell’attore Marco Paolini.

    Molti sono comunque i libri di Mario Rigoni Stern, li elenchiamo a beneficio dei lettori . Mondadori ha tra l’altro riunito le sue opere in un volume della celebre collana dei “Meridiani”, sotto il titolo di Storie dall’Altipiano. E tra i tanti suoi libri, molti hanno riferimenti alla natura. Uomini, boschi ed api, per esempio, è una raccolta di racconti in cui la storia dell’uomo viene ripercorsa attraverso la voce degli animali e della natura. Poi c’è La storia di Tönle, ch’è uno dei libri più alti dello scrittore veneto. Tönle Bintarn è stato un contadino, ma anche un pastore e un contrabbandiere, vissuto tra la fine dell’Ottocento e la grande guerra. Le sue vicende hanno sconvolto l’Altipiano asiaghese e rappresentano un destino che si è imbattuto con i grandi eventi della storia. Tönle rimane un uomo legato alla terra e all’alternarsi delle stagioni della natura e della vita, nonostante sia costretto ad affrontare la travolgente realtà degli eventi.

    Maria Allo

  20. @ Sergio
    Molto bella la tua immagine della quercia millenaria. In “Arboreto salvatico” (1991) Rigoni Stern parla dei suoi amati alberi. E in un lungo articolo di Franco Marcoaldi apparso su “La Repubblica” nell’estate del 2005, così parla del suo bosco:
    “Le luci filtrano dall’alto in questa cattedrale del creato, dove i fruscii, i suoni e gli odori sono mezzi per far diventare preghiera le tue sensazioni.”
    @ Salvo
    Questo scriveva Rigoni Stern, rivolgendosi ai ragazzi della città, nell’introduzione ad una edizione scolastica del volume di racconti “Il bosco degli urogalli”:
    “… vorrei farvi respirare l’aria del bosco, farvi sentire la bellezza gioiosa dell’alba, la malinconia dell’autunno, la dolcezza della prima neve, l’intimità del fuoco dentro la casa e la saggezza del lavoro antico degli uomini.”
    @ Maria
    Molto bella la tua intervista. Mi ha colpito in special modo il brano dove egli parla del canto.
    “Cantavano loro, non avevano le macchine per farli cantare o ascoltare. Adesso la gente non canta più. La gente comune – il falegname, il contadino, l’operaio, quello che va in bicicletta, il panettiere – ha smesso di cantare. L’ha osservato questo?”
    @ Simona
    Fai notare giustamente il grave errore di valutazione di Vittorini, il quale scambiò Rigoni Stern per un memorialista. Scriveva Vittorini nel risvolto di copertina della prima edizione de “Il sergente nella neve”: “Mario Rigoni non è scrittore di vocazione. (…) forse non sarebbe mai capace di scrivere di cose che non gli fossero accadute.”
    A tal proposito ecco la risposta di Rigoni Stern a una mia domanda (Orizzonti, n. 28, luglio 2006):
    “Nel risvolto di copertina del suo primo libro “Il sergente nella neve”, Elio Vittorini così esordiva: “Mario Rigoni non è scrittore di vocazione”. Ha influito in qualche modo sulla sua vocazione di scrittore questo giudizio avventato?
    No, non ha cambiato niente; ho continuato la mia vita come sempre; lavoro, passeggiate, leggere,… scrivere.”

  21. A proposito dell’essere o meno “scrittore di vocazione”: credo che ricordare sia già inventare (nel senso etimologico di “invenire”), trovare sulla pagina – mano a mano che questa prende corpo – qualcosa di sconosciuto. La scrittura non è mera registrazione di accadimenti, e Rigoni Stern lo dimostra ampiamente:
    “Così passavano le giornate: nella tana a scrivere o a pensare guardando i pali di sostegno, oppure a buttar pidocchi sulla piastra arroventata della stufa: diventavano allora tutti bianchi e poi scoppiavano (…)” da “Il sergente nella neve”.
    Attraverso la memoria i fatti vengono ricomposti, assemblati secondo ordini diversi, dotati di una vita che è altra rispetto all’accaduto, e che – in Rigoni Stern – diventa “memorabile” proprio attraverso una scrittura semplice, che prescinde dall’attualità e resiste al tempo.

  22. Mi ha molto colpito la considerazione sulla morte di Rigoni Stern che riporta nel post. Grazie molte. Speriamo che il Veneto e che i veneti, ma non solo loro, facciano tesoro delle sue grandi lezioni. Un pensiero, più che un pensiero, un sentito grazie da parte mia. Laura

  23. @ Tea
    molto interessanti le tue considerazione e il tuo dono ri ricerca etimologica e di ulteriori parole di Rigoni Stern.
    @ Laura
    Fare tesoro della grande lezione di Rigoni Stern, dici giustamente. Un certo revisionismo storico italiano, soprattutto negli ultimi venti-venticinque anni, ha coinvolto, e continua a coinvolgere, partigiani, Resistenza, Repubblica di Salò, ecc. Ricordo che Rigoni Stern, al termine della tragica ritirata di Russia, per il suo rifiuto, dopo l’8 settembre 1943, di aderire alla Repubblica di Salò, fu imprigionato per venti mesi nei Lager tedeschi. Oggi l’elogio funebre in suo onore da parte di alcuni esponenti governativi mi lascia l’amaro in bocca.

  24. Credo di capire l’atteggiamento di Rigoni Stern nel sentirsi un “non-scrittore”. La sua non è ritrosia e nemmeno polemica, è una semplice considerazione dello stato di fatto.
    Molto spesso la “LETTERATURA” ci piomba dall’alto come una saetta. Ci deve folgorare, stupire, meravigliare, farci quasi sentire impotenti di fronte alla capacità dello “SCRITTORE” di scagliare fulmini abbacinanti.
    Normalmente quanto sopra mi lascia indifferente.
    Mentre invece i “fulmini” di Rigoni Stern sono parole di tutti i giorni. Sono quel linguaggio che è sempre stato nostro e dentro di noi.
    Così, con quel lessico semplice, lui ci raccontò una storia potente. Questa, per me, è letteratura immortale. Oggi si può “salvare il soldato Ryan”, per carità, ma il sergente di Rigoni Stern si è salvato da solo. E rimane con noi per sempre.

  25. La sua morte mi ha lasciato dentro un vuoto, ci ha lasciato un grande uomo. E poi io abito vicino ad Asiago per cui sento ancora di più il distacco, conosco le sue montagne… posso immaginare il suo amore per la natura. Ecco, mi sembra che sia stato un uomo che ha sempre guardato all’essenziale delle cose, la sua scrittura asciutta, senza frozoli lo testimonia. La sua vita spartana pure. Non cercava la gloria e l’approvazione del mondo. Se persino il giudizio di Vittorini sulla sua scrittura (e sappiamo quanto uno scrittore sia sensibile al giudizio altrui, almeno io sono così) l’ha lasciato indifferente, vuol dire che era un uomo che poteva contare su un grande equilibrio interiore, un equilibrio così nasce dall’aver sperimentato che “passa la scena di questo mondo”, come dice San Paolo, e rimane solo ciò che è stato vagliato attraverso l’umana sofferenza, il distacco, la croce.
    Non per niente nella natura lui trovava l’espressione di Dio.

  26. Dopo Luigi Malerba, mancato poco più di un mese fa, un altro grande che se ne va.
    Scrive Andrea Casalegno, sul Il Sole di oggi:
    “Mario Rigoni Stern è scrittore vero perchè è un uomo vero. Non tutti coloro che sanno aderire all’esperienza degli uomini sono capaci di raccontarla. Ma la profondità del sentimento e la serietà dell’impegno sono i pilastri su cui Mario costruisce la narrazione. Corrugare la fronte per capire: è questo il gesto fondamentale da cui nasce lo scirttore Rigoni Stern. Prima capire per sè, poi rendere testimonianza, perchè le sofferenze non siano mai più dimentica.”

  27. @ Enrico:

    Sì, il sergente si è salvato da solo! E poi ha continuato come sempre: lavoro, un po di “ozio” e di pensiero. La vita dei montanari che per lui comprendeva, come chi per eccezione naturale nasce con gli occhi di diverso colore, anche la scrittura. Ma si trattava, appunto, di un dono naturale, a cui lui rendeva un omaggio quasi religioso.
    Ritorno oggi

  28. Addio a Mario Rigoni Stern, uno degli scrittori a me più cari per quella sua asciutta, straziata, antiretorica, umanissima rievocazione di una delle pagine più amare della storia del Novecento, che di pagine amare, purtroppo, ne ha conosciute tante: la ritirata dell’armata italiana in Russia, lungo la linea del Don. Un massacro: i fanti, gli alpini, tutti i poveri soldati mandati al macello nell’ARMIR, ricevono nelle pagine de “Il sergente nella neve” una consacrazione non finta, non voluta, ma autentica e profonda, come autentiche e profonde sono sempre le pagine di questo grande libro: «Giuanin mi domandava sempre più spesso: – Sergentmagiú ghe rivarem a baita? – Anch’io sentivo che qualcosa non andava. I russi al di là del fiume avevano avuto il cambio e di notte lavoravano a tagliare cespugli e piante per aprire il campo di tiro alle loro armi. Quando ero solo, guardavo laggiù, a sud, dove il fiume girava e vedevo dei bagliori come lampi estivi. Ma erano tenui e pareva che venissero di là dalle stelle… «Sergentmagiú ghe rivarem a baita?» Quelle parole erano dentro di me, facevano parte della mia responsabilità e cercavo di rincorarmi parlando di ragazze e di sbornie. Tra noi v’erano ancora di quelli che scrivevano a casa: «Sto bene, non preoccupatevi per me, sono il vostro…» ma mi guardavano con occhi mesti e indicando l’ovest mi chiedevano: – Da che parte dovremmo andare in caso di…? Che cosa prenderemmo con noi? ………
    Addio, Sergente Maggiore Stern. E grazie di tutto. Agli insegnanti una preghiera: facciano leggere sempre questo picolo grande libro ai loro studenti.

  29. stavo per scrivere qualcosa, poi mi sono resa conto che sarebbe stata una fotocopia dell’intervento di carlo.
    quindi diciamo che per me è la stessa cosa.
    lo firmo anch’io, se carlo me lo consente.

  30. “Un uomo della montagna”. Bellissimo per un uomo poter usufruire di questa definizione. i grandi silenzi, le lunghe meditazioni, le passeggiate per i sentieri scoscesi, il canto degli uccelli, la poesia dei colori. Tutto questo apparteneva a Mario Rigoni Stern. E penso a quale inaudita violenza sia stato sottoposto quest’uomo, strappato al suo mondo incantato, un fucile tra le braccia, e inviato a uccidere i suoi simili. E come lui tanti altri. Una pagina di storia tristemente chiusa quella del Novecento. Mario rigoni Stern è riuscito a rendere poetica anche quella pagina, attraverso la testimonianza della sua scrittura. Nella sua opera c’è tutto se stesso, l’ uomo della montagna, il rigore morale, il rispetto per l’individuo e la natura, la grandezza delle persone semplici. Sta qui il nucleo della sua poetica.

  31. Purtroppo non l’ho conosciuto abbastanza. Spero di recuperare, almeno qualcosa, leggendo il suo “Sergente nella neve”. Lo saluto da quaggiù.

  32. Ho aggiornato il post inserendo due video:
    – Il primo si riferisce a un’intervista che Mario Rigoni Stern ha rilasciato a Fabio Fazio (programma “Che tempo che fa”, Rai Tre) in occasione dell’uscita di “Stagioni”.
    – Il secondo “incrocia” la figura di Rigoni Stern con quella di Primo Levi

  33. Sono due video interessanti.
    Vi invito a guardarli e a commentarli (se potete e volete).

    @ Jean
    Anche questo può essere un modo per conoscere meglio il Sergente della letteratura italiana.

  34. Ho scritto un post http://storiadopostoria.blog.kataweb.it/il_mio_weblog/2008/06/18/spasiba-non-e-una-parola-di-guerra/
    ricordando Rigoni Stern e un commento nel blog di una mia amica di blog
    “Sai, la memoria è una sfida che si rinnova, prendiamo noi, che quegli anni non li abbiamo vissuti, ma che sappiamo, perchè abbiamo letto negli occhi gonfi di pianto dei nostri padri e dei nostri nonni, prendiamo noi il testimone, continuiamo noi a ricordare i tanti che sono stati mandati al macello per “gettare un pugno di morti sul tavolo della pace”, continuiamo noi ad insegnare che razza di schifezza sia mai la guerra, cerchiamo di sentire nelle nostre vene il freddo di quella pianura russa di Rigoni Stern, il gelo di quel lager nel quale Primo Levi vide sparire la sua famiglia e il concetto di umanità. Solo così saremo degni d’esser parte viva del genere umano.”

    …Non lasciamoci impietrire dalla lenta nevicata dei giorni….

  35. Lascio un altro piccolo contributo su Mario Rigoni Stern, ricordando la sua semplicità e la sua saggezza. Sono dispiaciuto per la sua morte, ma sono molto contento per la sua vita, vissuta a contatto con i ritmi della natura e del suo cuore.
    Segnalo, per chi volesse approfondire la scrittura di Rigoni Stern, il volume “Storie dall’Altipiano”, pubblicato nel 2003 nella prestigiosa collana “I Meridiani Mondadori”, che raccoglie tutte le sue opere apparse fino ad allora.

    In occasione del Premio Chiara alla carriera, a lui assegnato a Varese nel 2003, nelle ultime righe della sua breve autobiografia “Storia di una vita” lì presentata, così scrive:
    “Vivo ad Asiago, mio paese natale e terra degli avi, amo camminare per le mie montagne, sciare, coltivare l’orto; scrivo quando ho qualcosa da dire. Sono sposato ad Anna, mia compagna di scuola, ho tre figli e quattro nipoti.”

  36. Ho appena finito di leggere su “La stampa” di oggi il racconto “Morte di un capriolo” di Mario Rigoni Stern, già pubblicato sullo stesso quotidiano nel maggio 2004. Che bello! Che tenerezza! Avevo pensato di trascriverne qui qualche brano, ma poi ho deciso di non farlo, rischierei di sciupare il racconto, meglio leggerlo interamente.
    Un abbraccio,
    Gaetano

  37. Correggo. Il titolo completo del racconto è: “Morte di un capriolo sull’altipiano”.

  38. Di ritorno dalla Russia, c’era anche mio padre, anche lui un sergente nella neve. Quando lessi il libro, capii ragioni di quella generazione che difficilmente avrei potuto comprendere in altro modo.
    Gratitudine, commozione, per un Grande che ci ha lasciati un pò orfani, tutti.

  39. Un grande narratore ed una persona riservata. Due cose che raramente
    si fondono in una sola persona.
    Inoltre a leggere i suoi racconti, scrupolosi ed autobiografici, anche un ottimo soldato.

  40. Come sempre vi ringrazio per i commenti.
    Più che commenti sono contributi veri e propri. Grazie di cuore a tutti.
    In particolare a Subhaga Gaetano Failla.
    p.s. cercherò quel racconto…

  41. (30/10/2007)
    Questa sera sul «La 7» si vedrà Il sergente con Marco Paolini. Mi viene da pensare a quel tempo quando, 65 anni fa, il Corpo d’Armata Alpino era in linea sul Don da Karabut a Nord al Novo Kalitwa a Sud. Lassù all’estrema sinistra c’era il battaglione Verona del 6° alpini, laggiù a Sud il battaglione Saluzzo del 2° alpini. Dalla Liguria al Friuli, agli Appennini erano presenti tutte le popolazioni delle nostre montagne. Dovevamo essere impiegati nel Caucaso e a quello scopo eravamo stati preparati. Ma le cose andarono diversamente a causa di Stalingrado e dopo una prova nella steppa il 1° settembre 1943, noi alpini avemmo segnato il nostro destino. Quando eravamo partiti dall’Italia ci avevano detto che la guerra sarebbe finita presto con la nostra vittoria. Sarebbe dovuta finire ancora in quell’estate, invece, quella che fermò le truppe dell’Asse ed ebbe inizio la nemesi del Terzo Reich e anche quella del fascismo. Sembra molto lontano quel tempo e siamo rimasti in pochi a testimoniare.

    I ragazzi che quarant’anni fa leggevano Il sergente nella neve mi mandavano disegni che assomigliavano un poco alla storia: gli alpini avevano il cappello con la penna (anche se in Russia avevamo il passamontagna sotto l’elmetto o una coperta sulla testa) e c’erano i muli, le slitte, il paesaggio piatto; dagli ultimi disegni che ho ricevuti ci sono uomini con caschi che emettono raggi e armi mirabolanti. Nessun paesaggio. Forse ci credono combattenti extraterrestri?

    Questa sera alla tv gli italiani di oggi vedranno, comodamente seduti nelle loro case calde, un episodio di quel lontano inverno. Qualcuno penserà a un parente; un nonno, uno zio, un padre abbandonato nella neve, o finito in un gulag in Siberia o nell’Uzbekistan. Per me che sono stanco e vecchio è solo rinnovare dolore per carissimi amici che non sono riusciti a seguirmi perché fermati da una pallottola o da una notte di tormenta – ma quale notte poteva essere stata? – che chiudeva i polmoni e congelava il corpo. Marco Paolini, con la sua arte, ci riporterà quel tempo e quelle notti. Certi momenti riuscirà non a rievocare ma a ricostruire vivi volti a me carissimi e mai dimenticati. Alla fine di quella battaglia mancarono all’appello 84.830 italiani, 10.030 tornarono dalla prigionia. In 74.800 morirono in quelle steppe. Ricordate che questo è stato.

  42. Guarda caso, la settimana scorsa, sono stata presidente della giuria per la presentazione di una tesi su Mario Rigoni Stern dalla dottoressa Emira Ghribi in cui abbiamo discusso ed apprezzato la voluminosa e universale opera di questo scrittore scomparso ieri! Il mondo come lo dice lui è universale e c’è tanta umanità nel più profondo dell’uomo.

  43. Il passo che piu’ mi ha colpito dell’articolo di Rigoni Stern e’ quello in cui parla delle differenze fra i disegni infantili di quarant’anni fa con quelli del 2007: se gli alpini prima erano alpini, oggi sembrano extraterrestri. Dovremmo tornare alla realta’, noi Italiani di oggi, credo proprio, se no i nostri figli penseranno che la steppa sia solo una stoppa con un errore grammaticale in mezzo.

  44. Grazie Massimo per averci dato l’occasione di ricordare Mario Rigoni Stern.
    Ho sempre pensato a lui più che a uno scrittore nel senso classico del termine ad un uomo particolarmente sensibile, delicato. Le sue capacità descrittive della natura (il bosco degli urogalli, uomini boschi ed api, il libro degli animali o ancora, l’ultimo suo, stagioni) indicano la simbiosi totale ed assoluta con cui si immergeva nella realtà che lo circondava. Ma da osservatore, senza alcuna interferenza che poteva solo inquinare la perfezione della natura, alterare la purezza dell’aria.
    Recentemente avevo visto Paolini nel suo classico sergente nella neve; mi aveva stupito che un personaggio così chiuso, così schivo, così riservato come Mario Rigoni Stern avesse permesso quella rappresentazione. Poi, alla fine della stessa, ho visto che c’era anche lui tra il pubblico, ed ho sentito le sue parole, ed ho capito.

    Hanno dato il suo nome ad un asteroide… bene, in qualche modo continuerà a girare attorno a noi, continuando a toccarci l’animo ogni volta che pensermo a lui.

  45. Devo ringraziarvi tutti, ché siete riusciti ad avvicinarmi a Mario Rigoni Stern – “Il sergente nella neve” -: in biblioteca comunale di Milano ho trovato l’edizione Einaudi ed era catalogato come libro di storia:contestualmente ho preso in prestito anche di Giulio Bedeschi – “Centomila gavette di ghiaccio” – catalogato, invece, come narrativa. Ho voluto confrontare la scrittura e la veridicità del racconto di quel periodo, ricordi della ritirata di Russia, fatta da entrambi gli autori, che c’erano veramente a soffrire quelle pene dell’inferno, assieme a degli altri fratelli: italiani, tedeschi, russi; chi a difendersi e chi a voler offendere tutti convinti di un unico ideale di libertà civile e sovranità del proprio sentimento Patrio; e così non fu perseguito questo ideale se non in parte, per i nostri numerosi alpini morti a causa di una guerra assurda e che li svantaggiava sul terreno dello scontro: 74.800 alpini italiani+ soldati tedeschi+civili e militari russi. In questo Mario Rigoni Stern, ho percepito diverso, ha saputo dare nel suo straziante racconto pari dignità umana a tutti i soggetti intervenuti nel conflitto e ha avuto, anche, la volontà di integrarsi con la popolazione contadina ucraina e vivere per soppravvire alla guerra nelle loro povere case coloniche – Isba – tutti insieme: italiani,tedeschi, civili russi. Nel racconto vivo di Mario Rigoni Stern ho apprezzato, per l’appunto, questa poetica dell’io narrante senza rassegnazione alla propria sconfitta umana , alla morte, e condivisa strenuamente con gli altri; così pure, nessun dichiarato eroismo da qualunque parte provenisse.

    Segue%

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    Invece, le foto che ho trovato allegate al libro di Giulio Bedeschi – “Centomila gavette di ghiaccio” – Ed. U.Mursia & C. – 1972, mi hanno straziato nel vedere i corpi dei caduti italiani martoriati riversi nella neve e ho chiuso gli occhi, volendo sentire le parole di Mario Rigoni Stern scritte nel suo libro a pag. 83:

    “Questa volta non arriveremo a casa, Mario; ci lasceremo la pelle. I Russi non ci lasciano passare, – dice il Vecio. Ed è triste. Chissà quanti ne avrà visti morire; chissà cosa sarà passato per la sua radio. Renzo, invece, è sempre uguale. Se avesse un fiasco di vino o sentisse una quaglia cantare nell’avena, alla sacca non ci penserebbe più. Ma forse non ci pensa nemmeno adesso. – Su, coraggio paesani, – dico, – vedrete che festa faremo quando saremo ritornati, che pastasciutte e che sbornie! Ci sarà anche lo Scelli con l’armonica e le ragazze e grappa -. Ma il Vecio sorride sfinito e gli occhi gli luccicano.”
    Queste sono le loro voci e loro non ci sono più!Più tornati indietro nel loro Paese l’Italia, che li aveva ingiustamente mandati lontano a combattere sacrificandoli all’alleato straniero tedesco: Italiani,Tedeschi, Russi, tutti fratelli vittime inconsapevoli della guerra fratricida, forse.

    Luca Gallina

    P.S. Questo io dovevo in memoria, anche, a mio zio materno, tenente degli alpini, morto in Russia con i suoi compagni della Julia.

  47. A proposito dei disegni che i bambini spedivano a Rigoni Stern.
    Nell’ultimo progetto nella piccola scuola di Monte Marenzo (comune particolarissimo) mi sono confrontata con il tema dei dispersi. Abele Colombo è un piccolo soldatino, insignito di medaglia e poi di lapide commemorativa, che si perse proprio lì, dopo aver salvato la vita di un ufficiale, nella sterminata pianura di neve. E’ vero! I bambini disegnavano marziani, come ha scritto Stern, extraterrestri. Per riportarli al vero, alla percezione, proposi un fumetto ambientato in paese, con il postino che camminando fra i sentieri e i casali, consegnava alla mamma di Abele (lui era nei campi) la cartolina. Poi lui, il protagonista, Abele Colombo, in cammino verso la stazione più vicina per salire sul treno che dopo giorni lo avrebbe portato in un luogo tutto bianco. In classe, la maestra ed io, leggemmo alcune pagine del Sergente; per la raffigurazione del viaggio proposi la riproduzione di una grande cartina geografica e infine la rappresentazione illustrata del fatto eroico. Lavorammo di gomma, per cancellare le cose e gli uomini che la neve aveva sommerso. Un buon lavoro che l’Amministrazione Comunale, conserva con la dovuta cura, nella piccola biblioteca, per le altre classi e a “futura memoria”. Ma quel piccolo paese è un’eccezione; in altri posti il lavoro paziente e collettivo della memoria si accantona in fretta e senza pensieri. Tutto nel sacco viola, quello della carta.

  48. avevo letto il “sergente nella neve” tanti anni fa e mi aveva colpito moltissimo, sopratutto per l’immagine che dava del fatto che da ambo le parti c’erano uomini messi lì a combattere non nemici. Poi ho avuto la fortuna di rincontrare l’autore alla trasmissione di Fazio e allo spettacolo teatrale di Marco Paolini, che conosco personalmente. L’impressione che ho avuto subito è che oggi abbiamo bisogno moltissimo di queste persone e delle loro testimonianze “crude e pulite”. Bisognerebbe favorire il fatto che i giovani vengano in contatto con questi personaggi…oltre al valore delle testimonianze favorirebbero la lettura. Con Mario Rigoni Stern muore un “grande” , e grande è la perdita.

  49. Vorrei ricordare Rigoni Stern trascrivendo qui il finale del suo racconto “Segni sulla neve”. Si tratta della ricerca di “un lepre” ferito da un’auto, o una moto di passaggio su per le strade di montagna non avvezze a tali transiti. Lo scrittore lo trova, alla fine, e tenta di accarezzarlo, ma il lepre con una scossa fugge via.Dopo un po’ allungai la mano per sfiorarlo come per dirgli bravo. Era dolce il contatto dei miei polpastrelli con il suo pelo folto e liscio, ma lui fece uno scatto come se fosse stato colpito da una scarica elettrica e corse via.
    “Quando riuscii a liberarmi da quel fitto gelato lo vidi che ancora correva sicuro verso la valle profonda, dove non ci sono strade ma poca neve ripari e pasture: – Vai! – gli gridai. – Vai e tienti lontano dalle automobili, e nell’autunno prossimo sono certo che farai ammattire i cani dei segugisti!”

    Non ci sarà un anno prossimo, per Rigoni Stern, e neppure per noi lettori con lui. Ma mi piace pensare che sia salito verso una montagna ancora più alta. A raggiungere gli animali che amiamo, e gli uomini la cui energia non può svanire in un soffio.

    Maria Rosa Tabellini

  50. Bellissimo questo ricordo di Maria Rosa Tabellini. Poetico come il racconto del “lepre”. Quante cose ci ha insegnato Mario Rigoni Stern. Quanto ci ha arricchiti. Come dirgli grazie?

  51. Rigoni Stern e ”il” lepre. Un attimo, un incontro. Che commuove. Raggiunge l’acme e lo condivide con i lettori. Questa e’ Letteratura. Grazie di tutto cuore, sig.ra Tabellini. Grazie Mario.

  52. Luca,
    Questo io dovevo in memoria, anche, a mio zio materno, tenente degli alpini, morto in Russia con i suoi compagni della Julia.

    Ebbene si’: onore! Eterno onore a tuo zio, Luca.

  53. di NICO ORENGO

    Anni del dopoguerra, negli irripetibili «Gettoni» di Vittorini appare «Il Sergente nella neve» di Mario Rigoni Stern, dolente Anabasi della ritirata di Russia. Il testo l’ha consegnato a Giulio Einaudi l’artista Bertagnin che era amico di Rigoni, conosceva Asiago e l’altipiano e a Milano frequentava Peverelli, Chighine e altri pittori amici di Einaudi. Vittorini apportò, come di consueto con gli esordienti, qualche lieve modifica e definì l’autore: «Non è scrittore di vocazione». A ragione altri critici, come De Robertis, si ribellarono a quel giudizio. E il tempo diede loro ragione. Rigoni, da «Il bosco degli urogalli» a «Ritorno sul Don», da «Storia di Tönle» a «Sentieri sotto la neve», confermò la sua scrittura civile, etica, a difesa della dignità dell’individuo, della sua libertà e della fragilità della natura, con parole asciutte, antiretoriche. Se ne è andato a 86 anni, lassù ad Asiago, vicino a quei boschi che erano la sua memoria.

  54. Sergio,
    caro amico sincero: tu ti sei fatto onore, invece, a ricordare col tuo sentire civile e amor patrio il sacrificio dei nostri caduti, di tutte le guerre inutilmente fratricide, per la libertà e dignità umana di tutti Noi e – la fierezza sentita di essere cittadini italiani -, se me lo consenti: W l’Italia della Repubblica e la sua Costituzione.
    Ciao, un abbraccio
    Luca Gallina

  55. Vi ringrazio ancora per i nuovi commenti.
    Di Rigoni Stern ne ha parlato ieri (in prima pag. del Domenicale del Sole24Ore), anche Riccardo Chiaberge nella sua rubrica “Contrappunto”.
    Riporto il pezzo nel commento che segue.

  56. Loggionisti e melomani, meteoropatici e catastrofisti, prenotatevi una poltrona per l’apocalisse. Nel 2011 la Scala di Milano manderà in scena un’opera lirica di Giorgio Battistelli ispirata al film-bestseller di Al Gore Una scomoda verità sulle disastrose conseguenze del riscaldamento globale. E qualcuno ne ha già fatto la parodia preventiva: John Tierney, sul «New York Times», si è inventato una finta lettera di Battistelli all’ex-vice di Clinton, in cui il compositore italiano chiede chiarimenti su libretto e spartito. Il protagonista, principe Algorino, in lotta con il perfido mago Petroleo, seduce la Fanciulla delle Miniere, e dal loro amore nasce una figlia, la pestifera Carbonia. Anche se a rigor di chimica la bimba dovrebbe avere due fratellini di nome Ossigeno, questo sminuirebbe il ruolo di Carbonia, facendo sfumare la candidatura del soprano più sexy del momento, la russa Anna Netrebko. E come conciliare le romanze coi grafici in Power Point sulle concentrazioni di CO2?
    A dispetto delle facili ironie, è apprezzabile che la musica contemporanea si cimenti con temi di così alto valore civile. Del resto se Verdi cantava la patria perduta, perché non mettere in musica la perdita della patria di tutti? Rimane il rischio che l’effetto serra al Piermarini desertifichi palchi e platee, o le sommerga in un mare di noia.
    E forse, prima di rivolgersi alle superstar d’oltreoceano, varrebbe la pena di guardare in casa nostra. Il prossimo 12 luglio l’intramontabile Arnoldo Foà salirà sul Monte Tomba, uno dei luoghi sacri della Prima guerra mondiale, per recitare in una pièce di Mario Rigoni Stern, Senza vincitori né vinti. Un omaggio all’impavido Sergente nella neve, che si è arreso alla morte lunedì sera a 86 anni. Molti dei racconti e romanzi di Rigoni meriterebbero di diventare musica per la Scala . Anche quelli dedicati alla natura, ai galli cedroni, ai camosci e agli altri abitanti della montagna, che evocano atmosfere da Flauto Magico. Sarebbe un modo più schietto, meno glamorous ma più convincente, di inscenare l’emergenza ambientale.
    Ricordo quando gli feci visita ad Asiago, un’estate, le sue invettive contro i lanzichenecchi col fuoristrada che devastavano l’altipiano, ma anche contro l’ignoranza degli ecologisti: due di loro erano andati a trovarlo l’inverno prima e vedendo i larici spogli dietro la sua casa, avevano chiesto: «Cosa aspetta a tagliarli?». Non sapevano che i larici hanno la brutta abitudine di perdere gli aghi.
    Nel 2011, il riscaldamento globale potrebbe aver rotto gli argini, e andremo alla Scala in canotto ad ascoltare i vaticini (ormai superati) di Al Gore. Ma il fatto più preoccupante, per il futuro della Terra, è che già ora non sappiamo più distinguere un larice da un abete.
    Riccardo Chiaberge

  57. Mario Rigoni Stern, Il bosco degli urogalli (1962)
    Einaudi, 2000
    Einaudi Tascabili
    Euro 6,40

    Leggendo a ritroso le opere di Mario Rigoni Stern, da Tra le due guerre ed altre storie al Sergente nella neve, si ha la sensazione di camminare per un unico sentiero di montagna, incontrando nella memoria e nel ricordo dell’autore l’autenticità della gente, quella povera gente, quella stessa gente che lo stesso Rigoni Stern definisce «compaesani del mondo».

    La millenaria storicità della gente di montagna, che per il mondo giunge al centro del mondo, è per Rigoni Stern l’onphalos della sua origine interiore e del suo sguardo reale nel valore dei popoli.

    Il bosco degli urogalli è l’insieme dei racconti che dal 1958 l’autore aveva pubblicato su vari periodici, quando ancora lavorava al catasto. I fatti e le vicende descritte in questo bellissimo libro rappresentano il “moto remoto” della vita dell’uomo scandito dal tempo; ed il tempo vive perennemente nel ricordo di un passato per comprendere il futuro.

    L’autore rievoca una movimentata “commedia umana” incorniciata dalle sensazioni visive e olfattive di boschi e montagne, colori e tramonti, in una prospettiva paesaggistica di spazi aperti, aria pulita; il tutto lungo un cammino che, attraverso paesi lontani (America e Australia), s’inerpica tra drammi umani creati dagli umani (la guerra), inserendosi tra fatica e povertà, per raggiungere nella natura l’equilibrio di un rigore morale e di una speranza nella vita.

    Dal primo capitolo (Di là c’è la Carnia) il sentiero dell’uomo si snoda dalla Polonia alla Slesia, tra lager e miniere di ferro, sudore e disperazione, deportati e montagne bianche, per raggiungere la fine del libro (e metaforicamente della strada del mondo) tra camini fumanti, zuppa e patate bollenti, latte caldo, e, chiudendo la porta di casa perché è finita la caccia, riposarsi tra le contrade e le dimore del paese illuminato, in pace con la natura.

    Nel mezzo di questo cammino numerose sorprese: un mondo animato di cacciatori, cani segugi dal pelo fulvo (Alba e Franco) e urogalli, boschi innevati, abeti trasudanti resina, vecchi in attesa di un ritorno con lo sguardo fisso al bosco prendono forma tra le nostre mani, liberandoci dalla voracità moderna per collocarci in una piccola valle chiusa dai boschi, vicino al caldo del fuoco, tra il fieno, o nelle foreste d’abeti curvati dalla neve.

    C’è un linguaggio “antico” semplice e reale e una virile fiducia nella vita in queste pagine. Rigoni Stern sa, osservando, narrare la storia; la storia dell’umanità, l’esodo e il ritorno dei poveri; sa intercalare nelle vicende umane il positivo di un mondo che non è solo umano, ma anche animale, equilibrando magistralmente il valore dell’animale alle necessità impellenti dell’uomo.

    Alba e Franco, due cani segugi dal pelo fulvo, non sono una società per azioni, ma l’unione tra uomo e animale in una simbiosi caratteriale unica e indivisibile. Rigoni Stern dona ai due segugi la loro collocazione letteraria così come Bendicò, il cane nobile siciliano del Principe di Salina, o il cane Argo di Svevo, fino all’elegante Bauschan di Thomas Mann in Cane e padrone hanno la propria.

    Non sorprenderebbe se, in un pomeriggio d’inverno dopo aver letto Le volpi sotto le stelle, il lettore si affacciasse alla finestra di casa e, fantasticando, scorgesse le tracce della volpe dal pelo folto e dalla punta della coda tutta bianca sulla neve.

  58. Caro Gaetano,
    scusami, non ho notato il tuo commento alla mia comparazione quercia/Rigoni stern… e Sozi. Grazie.
    Un bacione
    Sergio

  59. salve a tutti sono safa abbes studentessa nella facoltà di lettere e sto facendo la mia tesina su MARIO RIGONI STERN Eil suo romanzo IL SERGENTE NELLA NEVE.per questo ho bisogno di un commento dettagliato sulla vita dell’autore e un analisi testuale del suo libro il sergente nella neve .
    per piacere aiutarmi

  60. Post molto interessante. Adoro Mario Rigoni Stern e trovo che andrebbe ricordato e riletto un po’ di più.

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