Novembre 15, 2024

129 thoughts on “IL CASO FIRMINO

  1. 1. Se doveste “divorare” un libro – al punto da riuscire a metabolizzarlo – quale scegliereste? (Non dev’essere il vostro libro preferito, ma quello più utile per voi).

  2. Partecipate, mi raccomando…
    Potremmo eleggere il libro che si ritiene più utile metabolizzare e il personaggio letterario dal destino più “comune”.
    Secondo letteratitudine, s’intende…

  3. Voglio ringraziare Tea Ranno per la recensione che ha fatto e Firmino, che non ho letto ancora, per essere approdato sulla carta sgravato dalla penna magica del suo autore Sam Savage.
    In un altro blog e’ stato chiesto di spiegare perche’ si scrive. Io credo che la risposta assolutamente vera (almeno per me) sia questa:
    Perché le vite degli uomini – e dei ratti – nei romanzi hanno sempre un Destino, acquistano cioè un fine, una dignità e un senso. Anche le più balorde. E siccome Firmino aspira ad avere un Destino ecco che comincia a cercarlo nei libri, viaggiando nello spazio e nel tempo.
    Oggi mi sento tanto topo Firmino.
    Laura

  4. Ben tornato a Massimo Maugeri,
    che non si sta risparmiando da subito!
    Un abbraccio forte anche da parte di Calazio Pirouet, che si è fatto vivo in tua assenza, ed è un sostenitore competente e affascinato dal tema trattato, oggi,forse, in quanto collegato a un autore che lui ama e così pure Sam Savage : “Io sono stato sgravato, deposto e allattato sulla carcassa defoliata del capolavoro più non-letto del mondo” (Finnegans Wake di Joyce).
    Come è strano il mondo letterario:
    :_)
    si parla del diavolo – Calazio Pirouet – e spuntono le corna – Finnegans Wake di Joyce -; questo mio arcano è dovuto al fatto che non sappiamno chi è Calazio, intervenuto in un’altra stanza, ma conosciamo il titolo di uno dei suoi libri prediletti: Finnegans Wake di Joyce.:_)
    Ciao, caro Massimo, e grazie per tutto quello che fai per Noi tutti!
    Luca

  5. Ciao Massimo.
    Felice del tuo ritorno.

    …circa due mesi fa sono entrato in una libreria di ravenna, avevo già acquistato un paio di libri quando mi sono imbattuto in “firmino”… l’ho sfogliato, me lo sono rigirato fra le mani indeciso se comperarlo o no e poi l’ho rimesso giù: “lo prenderò la prossima volta” mi sono detto…. non l’ho ancora fatto ma rimedierò presto, anche perché a casa mia i topi sono molto amati. Uno dei miei figli quando era piccolo voleva diventare il re dei topi (non è diventato flautista per caso…) e sopprimere tutti gli uomini.. crescendo ha leggermente mitigato i suoi propositi – potete stare tranquilli – ma continua ad adorare quei roditori.

    stefano mina

  6. Bravissima Tea!
    Bellissima questa tua affermazione:
    ” La realtà, infatti, è ben diversa dal sogno, e di sogni (quando la pancia è vuota) si può anche morire. Ma se ne vive quando si carpisce dal reale ciò che basta alla sopravvivenza magnificando poi quella sopravvivenza, appunto, con lo sconfinamento nell’irrealtà…”
    Ecco. Il rapporto tra reatà e sogno credo sia alla base di ogni creazione letteraria. E credo sia anche una delle ragioni del successo del libro.
    Perchè del sogno abbiamo bisogno.
    E il fatto che venga ingurgitato come un pasto, che debba essere divorato, digerito, assaporato come il più primitivo ed essenziale del nostro “materiale ” di sopravvivenza – il cibo – annoda l’esperienza del sogno a quella della fame.
    Fame e sogni. Insaziabilità. Impossibilità di accontentarsi della sola somma di giorni, degli atti che ci vestono, ci nutrono, ci trascinano, senza sovrapporre a quei gesti il lampo accecante di ciò che ci trascende, di ciò che – anche per un momento – ci fa percepire bellezza. O il senso delle cose, o l’inganno delle cose.
    A mio aviso è questa parificazione di necessità vitali a rendere curioso il libro.
    Per Firmino (come per tutti i sognatori) leggere un libro non è meno essenziale che mangiare.
    Masticando con denti sorcini l’inchiostro di stampa, la filigrana o la copertina grossolana di un vecchio volume, Firmino suggerisce con colpo di coda che morire di fame si può.
    Ma morire di sogni…anche.

  7. Io mangerei “L’isola di Arturo”di Elsa Morante. E mi riconoscerei nel bambino – Arturo – che vive nell’isola a contatto con una dimensione del reale che è immaginata. Sublimata. Rovistata tra ricordi lontanissimi.
    Quando scoprirà la verità su quell’immaginazione, l’isola avrà messo zavorra nel suo cuore. Avrà attecchito con la tenacia di una forma dell’anima.
    E non servirà lasciarla.
    Sarà isola lui stesso. E non potrà che ricordarlo ogni giorno.

  8. Io non riesco ad immaginarmi topo nemmeno se si tratta di libri. Dovrei pensarmi un topo animato, ma non quei topastri della Gabbianella e il Gatto, brutti, zozzi e malvagi; e nemmeno il Topolino ficcanaso e un po’ detective antipatico e sapientino. No, per mangiarmi dei libri e rorsicchiare le pagine dovrei immaginarmi come i topini di Cenerentola, Giac e Gas-Gas. Allora mi rosicchierei L’anno della lepre dell’amico Paasilinna, per trasformarmi ( e questa volta per davvero) in un roditore naturista! Nascondermi nello zaino del miglior amico dell’orso e con lui girare per boschi e mari.
    🙂

  9. Firmino rappresenta per me la forza della sopravvivenza.
    Essa si mostra fantasiosa, perché ci fa inoltrare dalla necessità materiale mancante in quella irreale, che riesce a nutrirci per un tempo.
    Chi vive meglio, ora: colui che si nutre solo per il suo fisico e si interessa poco d’altro o chi vagheggia tra il reale e l’irreale, fino ad inebriarsi da non sentire la fame distruggerlo.
    Basta un attimo, simile alla condizione creata dall’alcol o dalla droga, per essere felice e non sentire neanche di morire.
    Quale vita è migliore? Ad ognuno la sua scelta.
    Ritengo utile prepararsi spiritualmente e psichicamente alla situazione precaria di cibo, potrebbe apparire anche improvvisamente, di modo di non perdere il coraggio nel riconoscere che la vita è anche morire, ed è meglio farlo mangiando un libro nel quale sentirsi appagato per il suo contenuto e trasportato laddove i sensi racchiudono la realtà nell’irrealtà dei sensi, senza forma alcuna, così che il trapasso non viene percepito e si crede di continuare di sognare.
    Saluti
    Lorenzo

  10. Io mangerei tutta la saga di Harry Potter per diventare lui, il maghetto. Pero’ alla fine del settimo libro vorrei che la mia morte fosse vera e definitiva, senza la coda di incoraggiamento che chi l’ha letto conosce bene. Perche’ un eroe non puo’ vivere alla fine felice e contento. Il suo essere eroe si esaurisce nell’esaurimento del destino che gli e’ stato assegnato. Finita la missione, deve scomparire per non essere costretto a fare i conti con il suo stesso mito.
    Laura

  11. …mi sono sempre sentito un po’ “l’idiota “di dostoevskij sempre più straniero in questo mondo ma siccome sono parecchio ostinato – almeno ci provo ad esserlo – non ho nessuna intenzione di impazzire e dargliela vinta…al mondo; almeno
    fino a quando avrò la sensazione di non essere l’unico ” fesso ” ( è virgolettato, avete visto) sulla terra.
    stefano mina

  12. Desidero ringraziare, innanzitutto, per l’ottima recensione Tea Ranno,che mi ha confermato il mio sentire vicino, in generale, sia l’autore che i suoi personaggi che faccio miei, anche, per uso personale-professionale leggendo molto!: non solo per essere aggiornato sulle tendenze letterarie, ma soprattutto per trasferire la letteratura nella comunicazione verbale,scritta e per immagine nei miei lavori di pubblicitario; mi spiegherò
    meglio nel rispondere alla domanda di Massimo:
    1. Se doveste “divorare” un libro – al punto da riuscire a metabolizzarlo –
    quale scegliereste? (Non dev’essere il vostro libro preferito, ma quello più utile per voi).
    Ecco questo è il punto, per me, topico: io ho utilizzato in ogni periodo della mia vita libri consoni a l’esperienza vissuta al momento e da sviluppare poi in seguito, a seconda del mio ruolo: ho ricevuto all’età di dodici anni,
    che ricordo di più, da mia madre un romanzo “I ragazzi della via Pal” e alle scuole medie i “Promessi sposi” e Ugo Foscolo erano i miei preferiti; e continuando nell’esempio: alle superiori Kant, Shopenauer, Nietzsche, Freud, Marx, mi hanno accompagnato: e come uso personale Jung per rendermi interessante. E senza a dilungarmi nel citare i grandi dell’800 e ‘900 francese,russo,italiano e ameriKano e il teatro tutto da Eschilo a Dario Fo e quant’altro d’interesse generazional-scolastico.
    Segue%

  13. Segue%
    Dopo,con l’Università non c’è storia, ho messo da parte la filosofia e la psicologia e ho pensato solo a leggere per affermarmi nella società: solo saggi e codici e sentenze di diritto,anche, internazionale e inerente il business & administration; ma sapete cosa è stato veramente sorprendente per me?, entrando nel mondo pubblicitario in seguito, aver dovuto usare i classici per ottenere risultati apprezzabili nel mio lavoro e tutta l’arte in generale e la musica classica e non solo. (sic!)
    Il libro preferito: il Dizionario della lingua Italiana e la Divina Commedia – commentata dal Sapegno -; per favore, non chiedetemi il perché? Che non saprei cosa rispondere, per davvero! 🙂
    Segue%

  14. Segue%

    2. Nel destino di quale personaggio letterario potreste riconoscervi?
    In Carlo Magno e in Gesù – come Manager -; sono stato così creativo, secondo me, nella mia professione di aver usato gli insegnamenti di Gesù – per il business di oggi -; ero negli States, nel 1997, e ho copiato paro,paro, e sviluppato in Italia nei miei corsi interattivi rivolti ai Manager d’Azienda, il pensiero di Bob Briner esperto di Marketing internazionale: “ L’organizzazione fondata da Gesù è la migliore che ci sia mai stata.
    Vogliamo considerare la longevità? Duemila anni. La ricchezza?La devozione dei seguaci? Molti hanno dato la vita per l’organizzazione. La diffusione? La diversificazione? Si è integrata con successo in qualsiasi tipo di contesto.”
    🙂
    Certo, oggi,a distanza di tempo mi sento un po’ ridicolo e mi rispondo da solo con una battuta immaginaria di Cornacchione, personaggio televisivo, e simpatico
    mistificatore nel professarsi di Forza Italia e seguace di Silvio Berlusconi : ma, Silvio! hai dovuto per davvero credere di essere un altro? nonostante tutto il seguito di fedeli, che hai attorno a te!
    🙂

    Ciao, Caro Massimo, come vedi tu chiedi e io ti rispondo in qualche modo: povero me!
    Luca

  15. Bellissimo il commento di Laura: “Perche’ un eroe non puo’ vivere alla fine felice e contento. Il suo essere eroe si esaurisce nell’esaurimento del destino che gli e’ stato assegnato”. E’ vero, è proprio così. Un eroe che sopravvive al suo mito lo distrugge, perché si è eroi una volta sola nella vita, e per sempre.
    Firmino è un ratto che ha coscienza della sua inadeguadezza, bruttezza, incapacità di comunicazione con gli umani. Ma sa leggere. E sa scrivere. Lettura e scrittura diventano per lui gli strumenti di trasformazione della intrinseca banalità della sua vita. Gli permettono di darsi un Destino, di trovare cioè un senso, una giustificazione all’esistere, una possibilità di consegnarsi alla Sapienza e alla Bellezza. Solo così, paradossalmente, la sua vita diventa più vera. E anche la sua morte, quando la morte diventa prolungamento di un sogno e consacrazione al Mito.

    Concordo perfettamente con Simona: il conflitto realtà-sogno è alla base della creazione letteraria. I sogni hanno in sé quel grumo di mistero che schiude all’invenzione. E la realtà quel tanto di ragionevolezza che permette di ricondurre il mistero dentro i canoni della plausibilità.
    Anche la fame è un ottimo stimolo alla lettura. Siamo affamati di storie, di vite che appartangono ad altri, di avventure, passioni, viaggi. Siamo avidi del sentimento che pervade il protagonista d’una vicenda che diventa la nostra, di un amore che assomiglia al nostro, di una perdita, un rimpianto, un ritorno, una nostalgia. Ci sostituiamo al nostro Eroe e mettiamo in atto i suoi stratagemmi, le sue astuzie per purificarci del peggio di noi, o per gratificarci delle sue buone qualità illudendoci che siano le nostre.

    In quanto a Lorenzo: Sì, Firmino rappresenta la forza della sopravvivenza, sia in senso fisico (mangiare per immettere nel corpo sostanze vitali) sia in senso metaforico: quando la realtà è insostenibile bisogna trovare necessariamente una via di fuga e la letteratura è un ottimo cuneo per sfondare il muro dell’irrealtà.
    Quale vita è migliore? Quella che fa soffrire di meno. Il sogno è un anestetico quando non si hanno a disposizione altri strumenti per sopportare il dolore. In caso contrario, quando siamo felici, quando la vita ci appaga, quando sentiamo che la gioia ci prende per mano e ci porta via… allora che bisogno c’è di palliativi?

  16. Ciao Luca.
    Bene il Dizionario della lingua italiana, bene Gesù. Saper usare le infinite possibilità del linguaggio, possedere l’infinita umiltà per guardare al mondo senza pregiudizi, credo siano le “armi” migliori per instaurare un dialogo. Ma non il dialogo finto della diplomazia tornacontista e della mentalità imperante del “piglio ut piglio”: un vero parlare, un vero ascoltare, un mettersi a confronto per decodificare i fatti e i sentimenti; e attribuire ad essi dignità.

  17. @ Luca,
    povero te, ma quanto sole stai prendendo?
    🙂
    Comunque tieniti pronto perché il tema del prossimo post sarà impegnativo!!! Aspettare per vedere. Buona navigazione!
    PS. Domanda: ma, così per semplice curiosità, Il padre dei nomi (di Paolo Teobaldi), in qualche modo ti riguarda?
    altra faccina

  18. Ciao Massimo,

    Non ho letto “Firmino” per cui non rispondo alla prima domanda.

    Se doveste “divorare” un libro – al punto da riuscire a metabolizzarlo – quale scegliereste? Sceglierei “Guerra e pace” di Tolstoj. Assolutamente irresistibile.

    Nel destino di quale personaggio letterario potreste riconoscervi?
    Potrei riconoscermi in Odisseo e nella sua “mente colorata” (citando Pietro Citati).

    A presto. Ciao. Francesco

  19. Che bella questa recensione!
    Ne avevo lette altre due – che lo stroncavano e che me lo avevano posto lontano questo Firmino, ora ammetto che sempre lontano sta, ma la recensione me lo ha reso più interessante.
    Ma dunque: c’è sto topo non esce mai e si innamora di ginger rogers. Ma non è un po’ erronea questa metafora del lettore che vede l’arte come alternativa alla vita, che la sostituisce alla vita? E’ una rappresentazione un po’ vecchia questa del lettore, quasi preindustriale. Il topo da biblioteca. Ma la letteratura non ci piace anche invece perchè stiamo in continua oscillazione tra quella e la realtà, come se costantemente l’una illuminasse l’altra e la riscrivesse? Come è vero che i romanzi letti a 18 anni e riletti a 48 sembrano avere una trama diversa, l’incredibile potere della carne che invecchia.
    Come è vero che un uomo ci pare diverso, dopo un romanzo che un po’ gli somiglia. Il potere della parola che rimane.

    Il romanzo che mejo mi ha fatto alla salute è stato FIMA di Amos Oz. Un romanzo utile a tutti i presuntuosoni restii ad alzare le terga.
    Il romanzo del destino- non lo so.

    Ma sai che penso Massimo? Che è una domanda intimissima questa del romanzo der destino!

  20. CHE PIACERE LEGGERE LE PAROLE DI TEA !!!!!!
    un saluto anna di mauro
    (p.s. sara’ mia cura leggere “Firmino” al piu’ presto !!)

  21. Interessante recensione.
    Non ho ancora letto il libro anche se è già in lista di attesa.
    Devo dire che, alla vigilia del lancio editoriale, ho trovato eccessivo lo spazio pubblicitario dato al libro sui principali quotidiani nazionali.
    Eccessivo sia dal punto di vista economico (ritengo il costo di parecchie migliaia di euro per mezza pagina di quotidiano nazionale con tirature di circa 800.000 copie giornaliere) che delle recensioni di accompagnamento alla pagina pubblicitaria di noti scrittori italiani della stessa scuderia editoriale che si “sperticavano” le dita nell’elogio ridondante.
    Ma certamente non può non tenersi conto della centralità del libro nella vita del protagonista per saziare la fame del corpo e poi quella dell’anima.
    Il libro e la letteratura protagonisti di vari romanzi: Firmino, L’eleganza del riccio e chissà forse ancora altre nuove opere di successo.
    Un libro da divorare: Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta.
    Un personaggio: Demian di Hermann Hesse

  22. Detesto i topi. Nell’infanzia ho amato solo Topolino di Disney, che mi è tuttora molto simpatico. Ma il mio primo libro – che credo di aver letto otto volte– s’intitolava per una strana ironia della sorte, “Compare sorcetto e compagni”! Chissà chi l’ha scritto. Vivevo con quel libro in mano quando avevo cinque anni…
    Se dovessi divorare un libro, non so, la scelta sarebbe difficile. Mi verrebbe mal di pancia a furia di rosicchiare… Sceglierei forse un libro piccolo, Il piccolo principe, per illudermi di andare con ll piccolo protagonista nel suo pianetino e per tornare a capire dalle parole della volpe che cos’è veramente l’amicizia. E anche un libro di poesie, sceglierei. La poesia è il mio pane quotidiano; potrebbe continuare a esserlo anche se io diventassi… un topo.
    Quanto al personaggio nel cui destino vorrei o potrei tentare di riconoscermi: forse Mena Malavoglia, quando sogna il suo povero sogno con compare Alfio il carrettiere. Un vinto, comunque, perché nei vinti, negli umili, negli onesti, mi è sembrato, qualche volta, di riconoscermi.

  23. Cara Tea, sono d’accordo con te nello stabilire il rispetto dell’etica e dell’onestà intellettuale fra tutti i soggetti interessati al dialogo, aggiungo io, e per l’appunto mi sono ricordato che:
    “ La vita è quella che ciascuno fa, e spera che si avveri, almeno, nei suoi sogni”.
    Può c’entrare, in qualche modo, con la letteratura?
    Grazie, cara Tea, e lieto di averti conosciuto in questa occasione,
    Luca Gallina

  24. Cara Miriam,:-)
    tu lo sai che per te sono sempre pronto ad accogliere un invito stimolante e creativo, per volare per davvero!
    E per affinità!:
    Il padre dei nomi (di Paolo Teobaldi), in qualche modo ti riguarda?
    E perché me lo chiedi, sennò!
    Baci & Abbracci
    🙂
    Luca

  25. Odio i topi, ma Firmino l’ho letteralmente… adorato.
    Questo libro è un inno alla lettura e all’amore dei libri.

  26. Ho letto Firmino, attirata anche daglil strilli tipo: “se leggere è il vostro piacere e il vostro destino questo libro è stato scritto per voi”; oppure “Chi ama leggere farà subito amicizia con Firmino”.
    Io amo leggere, e leggere è il mio piacere, ma il libro non mi è piaciuto. L’ho letto, senza troppa fatica, fino in fondo (mentre i libri che proprio non sopporto li chiudo e amen), ma l’ho trovato spesso ripetitivo, con un rumore di fondo cupo e desolato che non ero preparata a sopportare.
    E benché nella recensione di Tea Ranni si dicano cose giuste, sulle quali non si può obiettare, devo anche dire che a me Firmino è risultato spesso, nella storia, antipatico, supponente, e poco generoso. Se Firmino è la metafora del lettore, io, lettrice, in questa metafora non mi ci ritrovo.
    Per quanto riguarda le due domande di MM, eh, ci devo pensare un po’, visto che, davvero, la prima cosa che mi era venuta in mente era (banalmente) la lista dei miei libri preferiti.

  27. Nutrirsi di libri e di letteratura come antidoto contro il conformismo attuale: televisione, fiction, scatole che si aprono e si chiudono incollando migliaia di persone alllo schermo televisivo,veline, chi, sorrisi e canzoni, verissimo ecc. ecc.
    Non ho mai provato tanta gioia come quella di respirare il profumo delle pagine di un nuovo libro (e si perchè ogni libro ha una carta diversa, nuova o riciclata che sia) ovvero di inorridire davanti ad un libro ingiallito su una bancarella per poi scoprirne la bellezza del contenuto e ritenerlo una reliquia.
    E la curiosità di acquistare sulle bancarelle libri la cui prima copertina ed edizione risale a 40 anni fa, ma ancora oggi in commercio?

  28. Da leggere assolutamente questo articolo su Firmino.
    Fonte satisfiction.menstyle.it
    francesco giubilei

    E’ stato il successo editoriale dell’anno: bestseller negli Stati Uniti, diritti stravenduti alla Fiera di Francoforte, protagonista indiscusso alla Fiera del Libro di Torino e quasi 50 mila copie vendute in poche settimane dall’uscita in Italia per Einaudi. E Firmino, folgorante esordio dello scrittore americano Sam Savage, si arricchisce ora di un nuovo capitolo. Abbiamo scoperto che proprio Firmino ha moltissime analogie con il romanzo La bibliotecaria di Claudio Ciccarone, pubblicato nel 2000 da Guida editore. E se da una parte l’autore, giornalista Rai e vincitore nel 2002 del Premio Ilaria Alpi per un servizio andato in onda su Tg2 Dossier, non ha nessuna remore nel parlare esplicitamente di plagio, dall’altra è abbastanza evidente, raffrontando i due libri, che ci siano delle fortissime analogie sia a livello di trama che a livello testuale. Entrambi i protagonisti sono animali – Firmino un topo e Marta, la protagonista de La bibliotecaria, una tarma- che si nutrono di libri, così facendo li leggono e ad un certo punto entrambi capiscono che non si devono distruggere, che il loro modo di fare è sbagliato, e allora trovano il modo di continuare a leggerli senza rovinarli.
    Anche le tematiche affrontate fuor di metafora sono incredibilmente simili: in tutti e due i libri si parla di fantascienza, della seconda guerra mondiale, della rivoluzione, della distruzione di un quartiere (il mondo di Firmino) o del mondo (Marta), di fori nei libri creati da avi di Marta e di fori nei muri creati da avi di Firmino. A colpire anche i moltissimi passaggi che se non uguali sono (a dir poco) vicini. A partire dagli incipit. Nelle prime pagine di Firmino si legge: “All’inizio mangiavo lasciandomi guidare solo e soltanto dal gusto, rosicchiando e masticando dimentico. Ma ben presto cominciai a leggere. (…). Oh, come mi rammaricai allora di tutti quei buchi spaventosi! (…). Non ne vado fiero”. Nelle prime pagine de La bibliotecaria: “All’inizio della mia carriera di bibliotecaria divoravo libri su libri, distruggendo indiscriminatamente fogli e copertine. Ma accadde che un giorno, mentre ero impegnata a triturare finemente un volume…quel sapore mi fece capire che sia i libri, sia gli autori meritano rispetto”. In alcuni casi i due protagonisti hanno addirittura gli stessi e inusuali appetiti sessuali, entrambi attratti dalle proprie sorelle: “Lei si ostinava per giunta a tenere la coda alzata, in modo che mi eccitava… impudente e provocante… il suo fondoschiena occupava tutto il mio campo visivo” (Firmino, pag. 39); “Erano proprio le mie sorelle ad attrarmi, con i loro corpi sinuosi, le antenne impertinenti, le zampette voluttuose, i culetti vibranti…” (Marta, pag. 35). Difficile sostenere che siano soltanto combinazioni, di passaggi così vicini nei due libri se contano una trentina: forse che Firmino, senza che Savage se ne sia accorto, abbia divorato La bibliotecaria? La possibilità esiste dato che proprio La bibliotecaria risulta tra i libri in catalogo alla biblioteca di Yale dove Savage ha insegnato proprio mentre scriveva il “suo” Firmino. Da un’intervista di William Baldwin, Savage afferma di aver iniziato il suo libro nel 2003 e di averlo terminato nel 2005. Anni dopo, quindi, l’uscita e la catalogazione del libro di Ciccarone alla Yale (che è del 2000). E dalla biografia di Savage sappiamo che lo scrittore americano legge l’italiano. Se non bastasse un’altra strana coincidenza: su Coffee House Press, tra i più seguiti siti letterari americani, quando chiedono a Savage perché abbia scelto come animale un topo lo scrittore risponde: “Non potevo mica scegliere una tarma”. E se Savage, che abbiamo cercato via mail, per adesso non risponde, l’autore italiano, promette battaglia: “Sono fermamente convinto del plagio. I miei avvocati intravedono tutti gli elementi per una causa legale, ma ciò che adesso davvero mi interessa è che il mio libro, ormai fuori catalogo, venga ripubblicato e che i lettori scoprano la vera storia di Firmino”.

    Gian Paolo Serino (la Repubblica)

  29. In genere anche io mi tengo ben lontana dagli strilli propagandistici: non sopporto di leggere storie che la critica si sente in obbligo di incensare per dare al lettore (poveraccio, così incapace di scegliere nel mare magnum della robaccia pubblicata!) la possibilità di individuare un prodotto “buono” (che poi, ciò che è buono per il critico spesso non lo è per il lettore). Bene. Firmino mi è stato regalato e, avendolo per le mani, non ho resistito alla tentazione di leggerlo, anche perché quella striscetta sulla copertina… Ho cominciato: una pagina via l’altra, alla ricerca della straordinarietà, della svolta, dell’eccellenza. Sono arrivata alla fine della storia davvero con l’amaro in bocca. Poi mi è stata chiesta la recensione. Ho ripreso il libro. Ricordavo comunque delle pagine buone, immagini che avevano resistito alla lettura “affamata” di straordinarietà. Rilegendo sono partita dunque dalla mia delusione: avevo in mano un libro, solo questo. E ho cominciato a leggerlo davvero, le orecchie finalmente libere dalla propaganda.
    Ha ragione Annalisa, Firmino a volte è supponente, pieno di sé, arrogante persino. Ma sono difetti dei quali è consapevole e sui quali ironizza. Non voglio salvarlo a tutti i costi, non voglio spargere altro incenso. Come lettrice posso dire che ho trovato pagine che si salvano dalla banalità, che mettono in moto pensieri che danno vita ad altri pensieri, a riflessioni, interrogativi, spunti per approfondimenti. E anche una bella leggerezza, nonostante i tomi citati e il disastro delle relazioni umane. Ho trovato una gran capacità di ridicolizzare le eterne insoddisfazioni dell’uomo, una spietatezza nello sguardo che evita gli specchi e – parlando di un sé talvolta impossibile da accettare – lo liquida con un impersonale: “Lui”. E penso che la Letteratura, intanto, sia questo.

  30. Zauberei
    grazie di aver sostenuto la mia, ormai diventata fissazione, che le percezioni umane sono legate al momento del percepirle, come alle necessità primarie dettate dalla vita stessa.
    Potremmo anche definire, che sogniamo di sognare un sogno che si rivela sempre mutevole, perché il bisogno di farlo muta continuamente, e non solo di forma ma anche di contenuto.
    L’importante, per uscire dal labirinto, è riconoscere la meta da raggiungere ed impegnarsi per raggiungerla, perché solo così ci riconosciamo sempre, anche nel nostro mutare continuo. L’impegno è tutto, uguale come poi andrà a finire.
    Letteratura è un surrogato per le mancanze sentite, fino al punto di poter divenire realtà quando le mancanze non sono colmabili diversamente.
    Esistono tanti surrogati, ed ognuno può sceglierne uno a suo piacere.
    Il tutto per stabilire un equilibrio mancante, perché è di esso che ne abbiamo primariamente bisogno.
    Saluti
    Lorenzo.

  31. @Tea Ranno: dirò che questo ultimo intervento mi ha fatto venire voglia di riprenderlo, allora, ‘sto benedetto Firmino, e di riprenderlo in mano senza aspettative e attese (della straordinarietà, della svolta dell’eccellenza, è proprio stato così!). Forse, finalmente potrò cogliere meglio il meglio che c’è (e che già, qui e là, avevo visto).
    Probabilmente, leggendolo in attesa del *botto*, mi chiedevo semplicemente a che cosa era dovuta tutta questa grancassa intorno a un libro che magari era bello, ma non eccezionale. Quasi sicuramente, questomi ha fatto perdere di vista il buono che comunque c’è.

  32. Io Firmino l’ho comprato, incuriosito, proprio lunedì scorso e l’avevo cominciato il giorno dopo, immediatamente prima della comparsa di questo post.
    Non mi sento di dire che sia brutto, anzi per ora non mi dispiace affatto, come tutti i libri che essenzialmente parlano di altri libri. Contemporaneamente sto rileggendo anche “I testamenti traditi” di Milan Kundera, un altro libro che parla di libri ma con ben altro spessore, pur non essendo nè un romanzo nè un vero saggio sulla letteratura (è semplicemente un libro di un romanziere che ragiona sui romanzi) e debbo dire che è stato proprio Firmino a farmi venire voglia di tornarci sopra (l’avevo letto molti anni fa) perchè mi era piaciuto molto e avevo trovato interessanti molte delle tesi sul romanzo (e sulla musica) che portava avanti, ma le ricordavo vagamente. Ancora più interessanti e condivisibili mi appaiono oggi. Per ora Firmino ha quindi assolto un compito importante (per me, in questo momento). Forse stasera lo finirò, forse domani. Ma credo prima terminerò la rilettura di Kundera.

  33. Giungo tardi. E chiedo venia…
    Intanto consentitemi di ringraziarvi tutti per i commenti.
    E Tea, ancora una volta, per la bella recensione e per essere intervenuta più volte.

  34. Quanto al successo di Firmino, beh, non so, provo a ipotizzare:
    perchè il protagonista è un topo ed al contempo ci parla di altri libri: c’è quindi un contrasto accattivante tra il gioco (topi, cartoni animati, fantasia, infantile ingenuità) e il parlare in fondo di temi più alti (libri, letteratura, autori); il che può anche suggerire facili scorciatoie (conscie, inconscie) verso un pizzico di cultura attraverso, in fondo, una breve e facile storia di simpatici (o antipatici, non importa) topolini.

  35. Ringrazio soprattutto coloro che hanno partecipato al mio giochino.
    A peensarci bene non è facile individuare un libro che riteniamo utile (per noi) “metabolizzare”. Né è facile individuare il destino di un personaggio letterario nel quale riusciamo a riconoscere il nostro.
    Giocherò anch’io.
    Vi dirò qual è il “mio” libro e qual è il “mio” personaggio.

  36. Ringrazio Tea per il suo intervento delle 7:28 pm.
    In effetti aveva avuto modo di raccontarmi l’aneddoto per telefono. L’ho trovato divertente. E mi ha colpito.
    Mi ha fatto capire di come sia importante, a volte, la rilettura di un testo. Di come possa riuscire a farci entrare meglio, e con più cosapevolezza, nelle pagine; nella storia; nei personaggi.
    Peccato che il tempo non è mai abbastanza.

  37. Cara Laura, su Gian Paolo Serino dico solo che è un amico e che ci stimiamo reciprocamente. I nostri blog sono impostati in maniera diversa. Ma nella loro diversità credo che svolgano entrambi un ruolo importante.
    Magari, qualche volta lo inviterò qui… così ci illustrerà il suo progetto (mi riferisco a Satisfiction).
    Però, adesso, torniamo a parlare del caso Firmino.
    Vuoi?
    🙂

  38. @ laura elle minuscola
    e menomale che c’è Serino. Anzi ho letto il pezzo postatao su Satisfictyion e riportato qui, grazie al piccolo scambio di battute fra te ed Enrico. La cosa sembra serissima e documentata: i libri come le canzoni? Plagiati a turno al di qua e al dilà dell’Oceano? Come le magliette che i produttori si scopiazzano a vicenda.
    Mi piacerebbe saperne di più. Mo’ cerco.
    saluti
    🙂
    PS. a me comunque sembra un libretto, un’antologia furbina…

  39. Si’, Massimo, scusa.E’ che io non nutro tutta quest astima, lo ammetto.E non mi piace come ha affrontato il caso del topo Firmino.E trovo indecente come ha affrontato il caso saviano.
    Perdonami ancora, emi ritiro..Ma io non sono per l’ecumenismo atutti i costi

  40. @ Francesco Giubilei
    Hai fatto bene a postare l’articolo di Gian Paolo. Ma hai visto il post?
    C’è un link (approfondimenti) proprio sulla questione plagio (che peraltro cita anche Serino).
    Però a me, ripeto, interessava analizzare (o meglio, tentare di analizzare) il caso editoriale. Che è mondiale, non solo italiano.
    Abbiamo visto – lo dimostrano anche i vostri commenti – che ad alcuni, questo libro è piaciuto tantissimo, ad altri meno.
    Tutto effetto della pubblicità?
    L’aneddoto di Tea ci dimostra che, a volte, la pubblicità può sortire effetti contrari.
    E allora?
    Come mai tutto questo successo?

  41. No, Laura… non ti ritirare. Nemmeno io sono per l’ecumenismo a tutti i costi (non serve a nessuno). Diciamo che tento di mantenere un clima sereno, perché a mio avviso (ma si può anche non essere d’accordo) favorisce lo scambio di idee e il ragionamento.

  42. Torno per l’ultima volta sulla questione plagio.
    Credo che Claudio Ciccarone abbia tutto il diritto di intentare causa per plagio… sarà poi la legge a stabilire (speriamo) torti e ragioni.
    Però mi piace sottolineare questa frase dell’articolo di Gian Paolo (che poi è una dichiarazione rilasciata dallo stesso Ciccarone):
    “ciò che adesso davvero mi interessa è che il mio libro, ormai fuori catalogo, venga ripubblicato e che i lettori scoprano la vera storia di Firmino.”
    E ha ragione.
    Ma è anche vero che se il suo libro è stato ripubblicato (e ripescato dall’oblio), e il suo nome è diventato famoso, un po’ di merito ce l’ha di certo Firmino… plagio o non plagio.
    Auguro il meglio a Ciccarone. E spero di leggere presto suoi nuovi libri.

    P.s. C’è, per caso, qualche big che ha voglia di plagiare il mio romanzo (estinto) “Identità distorte”?
    Diciamo che ne sarei ben felice.
    🙂

  43. E provo infine a rispondere alle domande di Massimo:
    Libro da metabolizzare: difficile da rispondere, molti certamente; dall’Odissea alla Divina Commedia, al Gargantua di Rabelais, ai Karamazov fino a Kafka o Joyce o perchè no, alla Terra Desolata di Eliot.
    Personaggio ? Forse l’agrimensore K. del Castello. Un personaggio che rimane indefinito di fronte a un mondo che perde i connotati di comprensibilità e che si fa sempre più irrazionale ed ostile.
    E le cui mete si allontanano sempre quando sembrano farsi più vicine. Ma che si ostina a proseguire, pur non riuscendo a capire e a fare capire il perchè (questo forse anche grazie all’incompitezza del romanzo, e proprio nella sua incompiutezza sta gran parte del suo fascino).

  44. Ciao Massimo.
    Perché tutto questo successo, chiedi.
    Provo a rispondere:
    1) è un piccolo libro apparentemente facile (poi, se si vuole scavare – per esempio tra le innumerevoli citazioni vere o false che siano – si trova di che andare a fondo!);
    2) ha un personaggio accattivante: un topo che non è Topolino e neppure Geronimo Stilton, ma un disincantato “senza mento” che ha coscienza della propria infimità e – moderno Cenerentolo – trova nella Letteratura la Principessa Azzurra;
    3) ha un incipit che aggancia, un finale che chiude il cerchio (questo lo dico per quelli che comprano un libro lasciandosi conquistare da incipit ed excipit);
    4) pizzica bene le corde della nostalgia e del rimpianto (caro vecchio Fred, cara vecchia Ginger, per esempio);
    5) infila il naso tra le carte di uno scrittore dilettante e va a frugare tra gli strumenti del mestiere;
    6) può essere una valida guida per i prof che vogliono dare un’infarinatura di narrativa a studentelli svogliati;
    7) è edito da Einaudi;
    8) gode della cospicua copertura finanziaria della summenzionata Casa Editrice;
    9) è privo di quella “belluria” che, a detta di Calasso, nuoce grandemente alla letteratura;
    10) cerca di dare a chi legge l’illusione che tra le pagine di un libro potrà soddisfare la sua esigenza di immortalità (quella storia del senso, del Destino…).
    Che te ne pare?

  45. Sulla questione pubblicità e conseguente effetto sui libri, torno a dire quanto già da me esposto in altri post.
    “Tempo fa un grande editore del calibro di Livio Garzanti disse che i bestseller sono imprevedibili.
    Facendo pressioni sui critici, acquistando spazi pubblicitari, insistendo con i distributori e i librai, egli sosteneva di poter spingere le vendite di un libro al massimo fino a trentamila copie. Oltre era impossibile perché da lì in poi contava solo il passaparola dei lettori, che evidentemente è sempre imprevedibile.
    Ergo… allora, come oggi, è sempre il pubblico che fa il bestseller. Nel bene e nel male.”

  46. Il libro che vorrei metabolizzare è “Furore” di John Steinbeck… perché dà l’idea che la tragedia umana è sempre dietro l’angolo, ma che è possibile ritagliare un angolo di paradiso persino nel peggiore degli inferni (mi riferisco al noto finale).

  47. Potrei riconoscermi nel destino del Conte di Montecristo; ma non per esercitare desideri di vendetta… quanto per dimostrare a me stesso che è possibile uscire da qualunque inganno, da qualunque trappola, da qualunque prigione.
    E ricominciare.

  48. Massi,
    forse non dobbiamo chiederci le ragioni del successo di un libro.
    Forse dobbiamo anche affidarci alla magia che aleggia sulle percezioni dei lettori, sui loro desideri. Sul pressare di un mondo interiore a cui non sanno dare voce.
    La letteratura è un mistero. E’ incrocio di anima immortale e di mondo mortale. E’ vibrazione di ricordi. Di attese . Di orizzonti.
    Ma, soprattutto, è il grande regno dell’incompiuto. Di ciò che non siamo. Di ciò che vorremmo essere. Di ciò che non possiamo amare.
    Ecco. E’ un equilirio inafferrabile come una piuma che vortica. Che decide di posarsi dove nessuno si aspetterebbe. E che infine solleva più sguardi in cielo di un aereoplano.
    Forse alcuni successi letterari non hanno spiegazioni razionali, ingabbiature e catene.
    Partecipano dell’incompresa folia che domina anche chi li scrive. E chi li legge. E chi li ricorda.
    Piume che – senza motivo – ci ostiniamo a fissare per ore.

  49. La letteratura è un mistero. E’ incrocio di anima immortale e di mondo mortale. E’ vibrazione di ricordi. Di attese. Di orizzonti.
    Ma, soprattutto, è il grande regno dell’incompiuto. Di ciò che non siamo. Di ciò che vorremmo essere. Di ciò che non possiamo amare.


    Sì, mi piace.
    Brava Simona!
    🙂

  50. Si Massimo ho visto il post e letto i commenti.
    Scusa se qui intervengo poco ma ti leggo sempre.
    Ora sono a Londra, ci sentiamo, buon dibattito (se trovo un po’ di tempo intervengo anche io).
    ciao
    Francesco

  51. Rilancio: ci sono libri che “suonano” entrando in sintonia con l’animo del lettore, ma restano sconosciuti, relegati in un angolo, il passaparola funziona solo fino a un certo punto. E libri che – emozionando, vibrando, suonando, volteggiando appunto come candide piume – volano sparati in vetta alle classifiche.
    A questo punto sì, interrogarsi sulle ragioni concrete del successo di un libro credo sia possibile. Soprattutto in un’epoca in cui il marketing la fa da padrone. Sei d’accordo Simona?

  52. Sì, mia cara Tea. Possiamo interrogarci. Ma non so se la risposta stia tutta nel marketing. Anzi, mi piace pensare che nella fortuna dei libri ci sia anche un pizzico del destino che rema contro corrente. Che s’impenna e ammalia.
    Mi piace pensarlo folle , questo destino. Poco ragionevole. Che punta i piedi come un bambino e non sa nulla di affari. Di conteggi. Di entrate e uscite.
    Nonostante tutto, credo in un’assurda provvidenza che si incarica di stupirci. E di suggerirci di acquistare un libro solo perchè ci fa sognare.

  53. Firmino cade, è goffo, va sbattendo continuamente, il suo cervello è così pesante che lo fa sbilanciare in avanti. Ma sa volare sì, è una piumetta che brilla quando esce fuori dal tiro degli “occhi di bue” che lo perseguitano…

  54. Bello quello che scrivi, Simona. Ma mi sono accorta che purtroppo nella realtà non è così, non sempre comunque. Ci sono burattinai che manovrano ben saldi fini e se un libro ha da ballare… balla!

  55. Cara Tea, secondo Longanesi (vedi commento sopra) tirando fili si riescono a raggranellare 30.000 copie vendute.
    Troppe, o troppo poche?
    Secondo te?
    Certo… dipende dal costo dei fili.

  56. Appunto. Dipende dalla forza economica di un soggetto che scommette su un prodotto (comunque di livello superiore alla media) e attira su quel prodotto l’attenzione di altri soggetti che fanno da cassa di risonanza. E così via. Se a ciò aggiungi la trasposizione televisiva del prodotto libro, con azzeramento (o, a seconda dei casi, enfatizzazione)del pathos e riduzione della trama a polpettina rosa, caro Massimo, il gioco è fatto. Certo, ci sono i botti eclatanti (mi sovviene di un certo libro scritto “nei ritagli di tempo” da un noto politico, che non ha decollato), ma quelli sono i normali rischi aziendali. Anch’essi contabilizzati!

  57. Gli ingredienti per un libro che rimane fisso nella memoria e per una lettura senza pause ci sono tutti nel racconto Firmino di Sam Savage, pubblicato nel 2007 da Einaudi.
    A quanto pare si tratta di un caso internazionale.
    Di solito me la do a gambe di fronte ai casi letterari.
    O li leggo dopo anni o non li sfoglio.
    Il fatto è che si soffia tanto sulla brace delle polemiche letterarie, che preferisco non unirmi alla massa delle voci, spesso farneticanti, capaci di distruggere uno scrittore e il suo libro o di portarlo ingiustamente sugli altari della gloria.
    Però si ha anche la fortuna di imbattersi nei libri, quelli che vuoi rileggere una seconda e una terza volta e proporli agli altri in una sorta di mistica ed euforica evangelizzazione del libro scoperto.
    Dopo aver letto Firmino, ho spiluccato qualche recensione, anche di scrittori o opinionisti di un certo spessore.
    Quasi tutti scorgono nella vicenda del ratto-lettore Firmino il malinconico e divertente potere di redenzione della Letteratura(cosa di cui sono feroce assertore).
    Il topo Firmino che si ciba di libri per non morire di fame è stato, addirittura, eletto a simbolo del lettore emarginato di romanzi nella nostra società.
    Troppo semplicistico.
    È vero, Firmino legge ogni tipo di storia, modella, sempre con le zampe per terra, la sua vita, divora, letteralmente e non, innumerevoli libri; a ciò però si lega indissolubile un percorso di conoscenza di sé e degli altri, uno sforzo di comprensione degli uomini-ratti e degli uomini umani, una volontà di amare e di vivere l’amore che lo conduce a suonare tutte le corde dei sentimenti umani, mentre, piccolo reietto del mondo animale, percorre instancabile i tubi delle fognature, lappa i rimasugli del latte della madre, sgranocchia i pop-corn delle sale cinematografiche, si redime dai bassi istinti che lo indurrebbero a saltare addosso alla sorella preso da foia sessuale.
    Chi legge Firmino conferma la propria fedeltà al potere salvifico della Letteratura, però diventa suo compagno nell’avventura della vita, nei sogni che la animano, negli istinti che la sorreggono, nelle illusioni, amare e lusinghiere, con cui si impara a fare i conti con la durezza del reale.
    Chi si illudesse di leggere una favola moderna potrebbe rimanere fortemente deluso; il tocco dello scrittore, ex professore di filosofia, fa capolino lungo tutta la rete narrativa, ma con la leggerezza del favolista e la dovizia linguistica del narratore.

    Sulle domande poste…
    1)Psiche e Techne di Galimberti
    2) Nessuno!

  58. Prima su FIRMINO. Ne ho già discusso sul mio blog (http://lucianoidefix.typepad.com/nuovo_ringhio_di_idefix_l/2008/06/firmino-deprime.html) : avendolo trovato noioso, deprimente e fasullo, e non avendomelo prescritto il dottore, l’ho lasciato dopo poche pagine. Irritato non solo con il battage pubblicitario montato attorno a questo libro ma anche e soprattutto con me che ci sono cascato come un pollastro.
    UN LIBRO DIVORATO E METABOLIZZATO? Potrei citarne tantissimi e allora scelgo MAIGRET E IL LADRO PIGRO. Fu il primo libro che (a dodici anni) comprai con i MIEI soldi. Ero già un lettore avido ma quel volumetto mi rivelò che si potevano scrivere romanzi per “grandi” con un vocabolario semplicissimo, mi presentò sulla carta un personaggio che già conoscevo e amavo in televisione, mi diede un modello di “eroe” (Jules Maigret) abissalmente diverso da quelli tipici dei ragazzini della mia età. Con tutte le conseguenze sulla mia vita futura: gusto per la legalità, ripugnanza per prepotenza arroganza ipocrisia protervia, antipatia e diffidenza per le cose complicate e arzigogolate, simpatia per le persone umili, ansia di giustizia, voglia di scrivere anch’io. Da quel 1966, MAIGRET E IL LADRO PIGRO l’ho letto (divorato?) non so quante volte. E metabolizzato a fondo

  59. Finalmente sono tornato dopo un buon mese di assenza ingiustificata, causa legamenti crociati.
    Apro subito dicendo che purtroppo non ho letto Firmino. Tuttavia rispondo con vivo piacere alle due successive domande di Massimo.
    Sfortunatamente non ho un libro che vorrei divorare al punto da metabolizzarlo, bensì ne ho diversi: la Bibbia, il Corano, la Torah, mistiche varie e aforismi orientali.
    Per quanto riguarda il destino di un personaggio letterario non riesco ad identificarmi con nessuno. Forse mi piacerebbe Guglielmo da Baskerville, un po’ anche un po’ Harry Potter, talvolta una mistura tra Jack Aubrey e Stephen Maturin.

  60. Per metabolizzarlo divorerei ‘Il rosso e il nero’. Mentre sento il mio destino vicino a quello di madame Bovary

  61. :-)(
    Ciao a tutti e un bacio alla cara Tea… brava come sempre.
    Non ho ancora letto “Firmino” ma i topi mi fanno simpatia (Topolino, i topini di Cenerentola…) e spero che la questione plagio si risolva… in effetti non è possibile creare in laboratorio un bestseller né prevedere che lo diventerà: in questo come in ogni cosa umana c’è un mix imprevedibile di calcolo e casualità, mercato e air du temps… la Tamaro si è ritrovata bestsellerista suo malgrado, Eco non si spiega il successo del primo romanzo…
    Risposte al gioco di Massi (ma è una fissazione, allora! 🙂 ):
    1. Metabolizzerei “La divina commedia”, “I promessi sposi”, la Bibbia e Leopardi e, da austeniana convinta, tutta la produzione della cara Jane…
    2. Mi “identifico” in Elizabeth Bennet e Jane Eyre, intelligenti e romantiche, forti e sentimentali a un tempo…
    Kissazzi

  62. @ Maria Lucia
    ma ” Kissazzi” ha un suono un po’ equivoco, non trovi? Baci
    😎

  63. Cara Tea,
    non ho ancora letto Firmino, era in programma ma adesso dopo la tua recensione sarà una priorità. Lo proporrò anche per il laboratorio di lettura della biblioteca Gino Pallotta.

  64. Bene, devo dire che le opinioni intorno al caso Firmino espresse in questo blog, sono perfettamente in linea con quanto le vicende del ratto hanno suscitato tra i lettori: c’è chi lo trova insopportabile e si dà del pollastro per essere caduto nella trappola degli imbonitori pubblicitari, chi si rifiuta di leggerlo, chi lo trova delizioso, chi profondo, chi supponente, chi bellissimo. In ogni caso è un personaggio che resterà – nel bene o nel male – presente nella memoria. E mi sembra questa una delle funzioni indispensabili di un libro: creare appunto personaggi memorabili, che resistono al clamore e durano nel tempo. Se un personaggio è piatto, senza spessore, senza “carne” e senza “sangue”, scivola via, è come se non fosse mai esistito. Firmino, invece, si è conquistato un Destino. Ed era questa la sua massima aspirazione.

    Auguro una buona digestione a Maria Lucia che ha scelto dei libri proprio importanti, di quelli che un Destino lo scolpiscono davvero.

    – In quanto a Silvana: sì, credo che Firmino susciterà un bel dibattito in biblioteca. E sarò felice di essere tra i presenti, magari per sostenere le ragioni del ratto al quale, ormai, mi sono proprio affezionata.

  65. Davvero bello il tuo precedente commento, cara Tea.
    Firmino si è conquistato un Destino. Ed era questa la sua massima aspirazione.

    Credo sia la massima aspirazione di qualunque personaggio letterario.
    La maggior parte dei personaggi letterari nasce e muore nel giro di pochissimo tempo. E il loro ricordo scompare nei meandri delle menti dei pochi o tanti lettori che li hanno accompagnati nelle loro storie. E il loro destino è l’oblio.
    Tu, invece, per Firmino evochi un destino con la D maiuscola. Un Destino.
    Bello.
    Gli altri sono d’accordo?
    Quello di Firmino è un Destino con la D maiuscola o minuscola?
    Insomma… Firmino resterà? Sopravvivrà al decorso del tempo?

    Che ne dite?

  66. Questo post di Firmino rimane aperto e ci accompagnerà per tutto il week end.
    Chi ha piacere a farlo (e non l’ha ancora fatto) partecipi al giochino che ho lanciato rispondendo alle domande del post.
    Giusto per divertirci.
    Ripropongo le domande di seguito…

  67. 1. Se doveste “divorare” un libro – al punto da riuscire a metabolizzarlo – quale scegliereste? (Non dev’essere il vostro libro preferito, ma quello più utile per voi).
    2. Nel destino di quale personaggio letterario potreste riconoscervi?p>

  68. Massi, il destino si trasforma in Destino se confluisce negli altri. Se confonde se stesso nelle altre vite. Se se ne lascia trasformare e le trasforma.
    Se Firmino si è “infrattato” – com’è diritto di un topo che si rispetti – tra le maglie della nostra quotidianità, se anche svolgendo i compiti ordinari della nostra vita pensiamo a lui con un sorriso, ne evochiamo un gesto, una parola, ecco…credo che faccia già parte del nostro destino…

  69. Grazie, SuperSimo letteraria (è da tempo che non ti chiamavo così, vero?).
    Bellissime parole, le tue.
    Allora auguro a tutti gli amici di letteratitudine un Destino capace di confluire negli altri.
    E a Firmino di affrettarsi a infrattarsi sempre più.
    Per essere memorabile (come dice Tea).
    🙂

  70. Io sto iniziando la lettura di Firmino in questo momento. Grazie per la segnalazione. Vi saprò dire.

  71. @Simona-Massimo
    aggiungo alle belle parola di Simona che ognuno ha il suo firmino in sé, e che, se credesse di non averlo o anche di non conoscerlo, sarebbe solo perché non si è dato a scoprirlo.
    La vita è come un fiume; all’inizio solo un rivolo di energia che, andando giù a valle raccoglie tutte le altre energie che lo abbiano riconosciuto e cercato.
    Alla fine, si delinea un destino comune a tutti nel grande delta che sbocca nel grande mare (forza spirituale che tiene raccolto tutte le energie esistenti). Il destino di ognuno diventa comune, si è avverato ed è pronto per proseguire, non so dove, ma proseguirà ancora il suo viaggio delle rivelazioni.
    Saluti a tutti
    Lorenzo

  72. Altro spunto di riflessione “firminiana”:
    “(…) Vi chiedete perché dunque mi lagni adesso dinanzi a una nuova possibilità di camuffarmi, all’occasione d’oro che mi si offre di rannicchiarmi inosservato dietro le impenetrabili sembianze di un animaletto che ispira terenerezza? Be’, ecco il perché: la differenza tra assumere una maschera, che è sempre un’occasione di libertà, e averla imposta è la stessa che intercorre tra un rifugio e una prigione”.

    – Vecchio come la letteratura il gioco a nascondersi dietro una maschera, ma Savage sposta la riflessione un poco più in là del semplice nascondimento: se scelgo di indossare una maschera compio un atto di libertà, sono io che decido di infilarmi in un rifugio e condurre indisturbato la mia vita al riparo da occhi indiscreti. Ma se quella maschera mi viene imposta (penso, per esempio, alla Maschera di Ferro) quella libertà viene soppressa da atti di forza che diventano tormento e prigionia.
    Ecco, mi piacerebbe conoscere la vostra opinione al riguardo.

  73. Interessante, sì, la riflessione di Savage sulla maschera, la maschera come rifugio o prigione. Bisogna tuttavia ricordarsi continuamente il fatto che si stia indossando una maschera, seppure come scelta di libertà. Ma si potrebbe andare un po’ più in là: ricordarsi che le maschere sono diverse – il nostro corpo fisico, ad esempio, e la nostra mente, e le nostre emozioni, tutte maschere “a scadenza”. Un discorso evidenziato dai mistici, i quali mettono in guardia dall’identificazione, dalla “dimenticanza”.
    Un caro saluto Tea. Spero prima o poi di leggere i tuoi libri.
    Gaetano

  74. @ massimo:
    sarà scontato e/o fuori moda, ma io divorerei la Divina Commedia nella improbabile speranza che mi rimanga in circolo almeno una delle dodicimila idee avute da Dante.

  75. Cara Tea,
    come ha già scritto Gaetano la riflessione “firminiana” che ci offri è molto interessante.
    E mi invita a farne un’altra (che tramuto in domanda).
    E se a volte noi stessi indossassimo delle maschere in maniera inconscia (cioè senza rendercene conto)?
    Sarebbe un atto di libertà, o una forma di autoimposizione?

  76. E’ bello pensare alla maschera come a un atto di libertà. Conservare in segreto la nostra essenza per mostrarla solo a coloro che – pochissimi – conquistano la nostra fiducia. Una maschera può essere un atto di pudore, non necessariamente una menzogna, un infingimento. In questo tempo in cui sembra doveroso mettere in piazza il proprio intimo, “confessarsi” pubblicamente (anche quando nessuno chiede di farlo), nascondersi dietro un velo (che non diventi un burqa, per carità) può davvero essere liberante.


    -Bella l’idea della maschera a scadenza, forse può ricollegarsi appunto all’idea di libertà: liberi di variare il nostro essere, il nostro apparire, in funzione del nostro sentire; del resto, non sarebbe peggio una standardizzazione di sé?
    Gaetano, mi piacerebbe che tu parlassi ancora della “dimenticanza” da cui i mistici ci mettono in guardia. Mascherarsi per dimenticarsi nuoce all’anima?

  77. Evoco i discorsi dei mistici, in primo luogo di Osho – o meglio, ciò che mi è sembrato di comprendere delle loro parole.
    Maschera come pudore, come segreto, come opposizione alla nudità spettacolare, votata all’esposizione sul palcoscenico di questa nostra società senza ombre. Sì. Le radici d’una pianta hanno bisogno di oscurità, portate alla luce muoiono, e con esse l’intero organismo.
    Mostrare la nostra essenza solo a coloro che conquistano la nostra fiducia, tu dici. Non so. Potrebbe essere anche un tradimento della fiducia. Meglio dire forse: proteggere la nostra fragilità. E poi, qual è la nostra essenza?
    Cito in qualche modo, smozzicato, a memoria (non ho qui il testo), Borges, da “Frammenti di un vangelo apocrifo”:
    “Date le vostre perle ai porci, perchè l’importante è dare.”
    Mascherarsi per dimenticarsi nuoce all’anima? chiedi. Vediamo.
    Le maschere sono “a scadenza” perchè il corpo muore, e la sua morte trascinerà con sè tutte le maschere, come la scia d’una cometa. Si pensa che la grande maggioranza di noi muoia incoscientemente perchè terrorizzato dalla scomparsa rapidissima, una dopo l’altra, di tutte le maschere, e l’unico rifugio rimane il sonno dell’incoscienza. “A occhi aperti di fronte alla morte” diceva Adriano (anche qui distorco a memoria), con la Yourcenar, al termine delle sue memorie. E dunque la maschera come dimenticanza nuoce, perchè prima o poi saremo di nuovo nudi di fronte all’esistenza, e saremo del tutto impreparati. E ciò ci è già capitato tante volte, durante le nostre “piccole morti”, quando la vita ci dà uno strattone e per un attimo ci fa crollare di dosso i nostri veli (o i cappotti, i guanti e le sciarpe!)
    E con questo mi viene da concludere con un Gulp! Poffarbacco! Good night! Smack!
    Gaetano

  78. L’essenza? La polpa, il nocciolo, il cuore del cuore (banale e retorico, sì, ma per ora non trovo parole migliori), quella interiorità, frequentazione con se stessi che poi permette – modificandosi e rafforzandosi e “coprendosi” – le relazioni con gli altri. Non credo si tratti di tradire la fiducia. E’ solo proteggere quella fragilità (hai detto bene) che ci costituisce e dalla quale hanno origine le forze che ci portano a relazionarci col “mondo”.
    Il corpo muore, è vero, ma muore evolvendo ogni giorni, in vecchiezza e in sapienza, in dimenticanza e stoltezza, in astuzia e disinganno, in armonia con gli altri, in solitudine assoluta. Siamo noi in questa costante modifica di noi, ma la polpa – nonostante strattoni e scossoni, è quella che tende a non variare. E ha bisogno di camicie, guanti, cappotti, sciarpe… Anche perché le nudità imbarazzano. E poi, volendo ancora giocare a spostare lo sguardo: quanta seduzione ci può essere in un gioco a nascondersi?

  79. ho letto il libro quindi una volta tanto sono preparato …..
    ho trovato l’inizio un po’ macchinoso e la fine di una tristezza infinita, anche se a tratti mi è paciuto.
    Non è comunque facile spiegare l’origine di tale successo.
    probabilmente la metafora e l’associazione con il topo da biblioteca e divoratore di libri ha facilitato la comunicazione fra i lettori.

    Un libro ch vorrei divorare ? probabilmente Il Giorno della locusta di Nathaniel West.
    Il personaggio con il quale mi sono immedesimato: lo scrittore sfigato che ospita il topo per alcune settimane. …….

  80. Bene e bello Tea, il discorso che fai, che abbiamo fatto, il quale ha molteplice sfaccettature. “Il cuore del cuore”, “la polpa”, come ben dici, non varia, semplicemente – io eliminerei inoltre, come concetto, anche la “tendenza” all’invariabilità. Mare quieto, immenso cielo limpido, immutabile, non corrotto da nessuna tempesta, che ognuno di noi, penso, abbia almeno una volta sperimentato.
    Una delle forme artistiche più spirituali è il teatro, con la sua disciplina ad indossare su un palcoscenico le innumerevoli maschere dei personaggi interpretati, fino a raggiungere la consapevolezza che anche la nostra vita quotidiana ha la consuetudine alla maschera, ma l’attore rimane libero, sa di essere un attore, e gode della sua arte, del gesto del nascondersi.
    E infine, la letteratura – non è altro che un raffinato gioco di seduzione, di ombre; sul telo bianco vediamo le immagini proiettate, e siamo da esse commossi, e in uno squarcio delle nostre preziose emozioni, in un intervallo, sappiamo della figurina dietro il velo, della sua ombra che ci delizia.

  81. @ Massimo Off topics (Lontano dai topi)
    Il formato word che ti ho spedito la seconda volta va bene?

  82. Dopo aver letto tutti i vostri commenti, mi viene da chiedermi, che cosa sia la vita.
    Ne avrei una risposta per ognuno, perché per ognuno di voi la vita avrebbe un significato personale.
    Ne delineo, che la conoscenza della vita è come dover uscire da un labirinto.
    La vita è l’insieme dei pensieri creabili nella nostra mente, degli aspetti riscontrabili, e anche non (inconscio), e alla fine delle decisioni che prendiamo nel dover scegliere.
    Abbiamo così bisogno di una maschera, anch’essa variabile sia nel tempo sia nella sua forma. Rimane quindi l’enigma della scelta nel non riuscire mai a vedere chiaro la via d’uscita dal labirinto.
    Eppure, esiste una via che riuscirebbe a risolvere ogni questione e guiderebbe i nostri intenti su una strada sempre giusta: è la via dell’amore vero e incondizionato che dona solo dopo che abbiamo dato tutto, cioè fino ad essere pronto di dare anche la propria vita, qualora lo richiedesse.
    Un impegno chiaro, ma quasi impossibile da eseguire, e che quindi solo pochissimi riescono ad eseguire.
    Tutto il resto è un dipendere dalle molteplici forme d’abbagliamento che la vita stessa, per sua natura, ci offre continuamente ogni giorno, ora e secondo del nostro tempo che trascorriamo in lei e per lei.
    Allora sì, che abbiamo bisogno di maschere, e sempre più differenti e variopinte, secondo del caso e delle nostre capacità a sopportare la verità da affrontare.
    La verità non è di questo mondo, perché il vero amore c’induce a rompere con le sue regole per elevarci poi al trascendente, dal quale veniamo e dove ritorneremo.
    Agli esseri comuni, a me compreso, incapaci di afferrare questa verità e viverla, non resta che navigare e sperare in un vento propizio che li preservi dalle tempeste che sempre troveranno sul loro percorso, così tortuoso come loro sono nei pensieri ed azioni.
    Al sostenitore della verità, non rimane in questa vita che il ruolo di vittima per un ideale elevato ma liberatorio. Solo con il suo sacrificio egli acquista il vero valore che ha voluto rappresentare, perché solo dopo si sente il vuoto lasciato da lui al confronto con la realtà struggente di questo mondo, che ha vinto di nuovo e continua a imperare sul destino dell’uomo.
    Saluti.
    Lorenzo

  83. “Penso sempre che ogni cosa durerà in eterno, ma non è mai così. In realtà niente esiste per più di un istante, tranne ciò che custodiamo nella memoria. Cerco sempre di conservare dentro di me ogni momento – preferirei morire piuttosto che dimenticare. (…) Così è la vita – non c’è modo di capirne il senso”, dice Firmino (giusto per rimanere in tema).


    Non credo che la conoscenza della vita sia un percorso verso l’uscita di un labirinto, né che tutto il resto sia un dipendere dalle molteplici forme d’abbagliamento che la vita ci offre. La realtà è esperienza, è concretezza, è razionalità, possibilità di costruire identità e riconoscersi in esse. Conosciamo perché siamo dotati di una intelligenza che ci permette di avvicinarci agli oggetti della nostra curiosità, e di romperli per studiare il modo in cui sono fatti.
    La vita è così, non c’è modo di capirne il senso. Ognuno di noi cerca di trovarne uno: il pù plausibile per sé, il più conforme al suo spirito e alla sua indole.

  84. credo sia ormai inutile domandarsi il perché del successo o dell’insuccesso dei libri. anche perché, le logiche promozionali e commerciali, prescindono dal livello del romanzo. livello che poi è sempre soggettivo.
    Firmino è un fenomeno, va bene. Io ce l’ho ma non l’ho ancora letto. Devo dire che la polemica sull’eventuale plagio ha parecchio raffredato la mia intenzione di leggerlo. Probabilmente sbaglio. Mi dicono che sia scritto molto bene. Qualora non è poco visto che altri “fenomeni” si sono dimostrati anche parecchio avulsi dalla sintassi.

  85. Che gioco intrigante. Quale libro vi sarebbe utile metabolizzare? Ci penso da quando ho letto la domanda e francamente non riesco a decidermi. Qualunque libro io abbia letto mi è stato utile in qualche modo, mi sono identificata con questo o quel personaggio, ho amato, ho odiato. Ho riso sonoramente, facendo girare la gente intorno a me. Ho pianto in silenzio.
    Ma sempre dentro di me è rimasto qualcosa e io sono la somma di tutti questi piccoli percorsi.
    Ma se proprio devo sceglierne uno, mi piacerebbe metabolizzare “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, l’ho letto più di una volta, e questo per un'”affamata” che divorerebbe un’intera libreria che accarezza le copertine colorate che sente la consistenza dei libri, ne percepisce lo spessore, ama l’oggetto, non è usuale.
    L’ho letto tante volte perchè ritrovandomi sempre e infelicemente Teresa, avrei voluto imparare a essere Sabine.

  86. Ho letto Firmino con piacere. Non mi aspettavo nulla, ma mi ha aperto un mondo, una prospettiva. Non mi capita spesso.

  87. A Miriam: io e Simona abbiamo frequentato uno stage di scrittura con Luigi La Rosa e Francesco Costa a Castel di Tusa nell’hotel di Antonio Presti… L’Atelier sul mare. Tu anima artistica saresti stata presa da una sindrome di Stendhal quanto una casa! Nel registro degli ospiti, tra disegni e saluti, abbiamo trovato questo Kissazzi che ci ha fatto tanto ridere!
    🙂
    A Tea: grazie delle belle riflessioni e degli spunti di discussione.
    Chi legge non cerca altro che maschere che gli raccontino quello che è. Che gli rivelino il suo Destino, la sua Destinazione. La direzione, in senso etimologico. Chi scrive indossa quelle maschere e racconta a se stesso e a chi lo ascolterà o leggerà. Pensiamo ai bambini e alle fiabe e favole. Il bambino ne ha bisogno per costruire il suo, di destino, identificandosi negli eroi delle storie che legge o gli vengono raccontate. Metabolizza inconsciamente situazioni e modi di essere. Non per nulla le fiabe sono depositarie di sapienza antica, stratificazioni di culture e riti di passaggio. Una storia è un rito di passaggio perché una volta letta e fatta nostra non ci lascia più per come ci ha trovati.

  88. Anche io ho partecipato al corso di scrittura a Castel di Tusa insieme a Simona e Maria Lucia (per noi Luce). Non conosco Miriam ma posso assicurarle che è stata davvero una bella esperienza e la settimana prossima avrà una continuazione romana.

    Per Luce….ci vediamo domenica
    Un bacio

  89. Eccomi, sono tornata dal mio viaggio.
    Rispondo subito a Massimo Maugeri sulla parola metabolizzazione di un libro, che, per definizione, avviene dopo la lettura dello stesso e, quindi, richiede del tempo. Come qualsiasi altra esperienza.
    Il materiale metabolizzato viene fuori inaspettatamente, lo fa servendosi di una forma nuova del pensiero, a volte si lega al destino individuale a volte lo aiuta semplicemente a comprederlo, ad assaporarlo nelle sue parti più profonde e complicate. Mi spiego meglio:l’intellettuale materiale da metabolizzare, è buona premessa alla consapevolezza.
    AHHHH Siiiiiiii a tal proposito e ad proposito di ratti, voglio ricordarvi che nell’ultimo libro di Giorgio Gaber, intellettuale di grande spessore, c’è un racconto formidabile ed esilarante in senso comico, dove l’autore, trasferitosi in una nuova casa in campagna, intrattiene una divertente lotta con il “Grigio”. L’episodio più divertente è quando, sul prato confinante, mummifica per sbaglio il gallo del vicino (uno strano generale in pensione), per via di un veleno acquistato all’emporio insieme a trappole, formaggi e svariati espedienti per la deratizzazione.
    Interessante la relazione fra Gaber e il grigio, la vena comico-letteraria con cui tratta questa parte di sè, l’autoironia.
    Ciao

  90. @Tea Ranno
    La ringrazio della sua risposta, che trovo assolutamente positiva, perché sorge da un afferrare alla vita, così com’è, ed esserne soddisfatti con quello che si ha raggiunto; va bene anche così, meglio che cercare senza trovare mai una soddisfazione compiacente lo stimolo del cercare stesso senza esserne appagato, perché non di questo mondo.
    L’essere soddisfatti comprende, come afferma giustamente lei alla fine, diverse graduazioni, la cui scelta senza lo stimolo di cercare ancora comporta, a mio parere, un consumare energie nello spreco del rimanere, per poi anche retrocedere.
    Uno che cerca, per indole sua, non si fermerà mai, cioè si ripresenterà sempre nuove domande e vorrà anche intraprendere nuove azioni.
    Grazie ancora.
    Lorenzo

  91. Ho comprato da due gorni “Firmino” dopo essermi incuriosita avendo letto qui nel blog – e ho appena letto una ventina di pagine, ma gia’ mi piace, eccome !!!!!!
    grazie di avermelo fatto scoprire !!
    saluti cari a tutti
    anna di mauro

  92. L’introvabile libro di Ciccarone (“La bibliotecaria”) è stato ristampato subito da Fanucci (porta la data: prima edizione, luglio 2008). Ho cominciato a leggerlo. Vedremo.
    Per ora, dopo 20 pagine lette in coda al supermercato, posso solo dire che Marta la tarma è un tantino più simpatica del topo Firmino.
    E che le polemiche, se non altro, hanno portato di nuovo alla luce un libro che era introvabile.

  93. Ho finito di leggere Firmino cinque minuti fa,in procinto di partire per una meritata vacanza.

    Porterò in viaggio Firmino, forse lo rileggerò da subito per fissare nella memoria alcune parti che ritengo particolarmente significanti: non avevo neanche badato a tutta la pubblicità che lo ha accompagnato, non sono solito seguire questo genere di consigli nel comprare libri, mi affido all’istinto (e questo lo dico in risposta ad alcuni commenti insensati e volgari di chi si fa plasmare dalla pubblicità e poi ne demonizza populisticamente i prodotti)

    Una storia affascinante, credo che per molti rimarrà un classico da conservare nella memoria: il topo Firmino accompagnerà noi lettori e noi instancabili sognatori nelle sfide di ogni giorno, dicendoci a bassa voce che la cultura ha un senso perchè non è mai fine a sè stessa, ed è la cultura, e non l’estrazione sociale, a rendere una persona migliore.

    Amo il profumo dei libri, ma questo libro mi è sembrato avere un profumo ancora più intenso: profumava di libertà, di fantasia. E’ una lezione di vita.

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